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necessarie per portare a compimento il lavoro.Ognuno dei presenti a bordo ha staccato la spina con la quotidianità cittadina e ora guarda solo verso il luogo misterioso e poco conosciuto in cui stiamo andando, un punto situato sul Corno d’Africa, laddove il Mar Rosso si espande progressivamente nell’Oceano Indiano. Proprio in queste acque gli squali balena si ritrovano prima di diventare adulti e sessualmente maturi per poi riprendere a vagare negli oceani. Quasi un giorno di viaggio, con una sosta ad Addis Abeba, qualche ora per ambientarsi sul bel caicco Boreas of Katharina, capitanato da Maurizio Pazzelli, che sarà la nostra casa galleggiante per una settimana, e poi il giorno seguente ci si sveglia ormeggiati più a occidente, con la netta sensazione 60 Qui sopra, alcune immagini di squali balena e, a sinistra, uno scorcio della barca utilizzata, il Boreas. di avere invaso il continente africano. Saliti sul ponte, ancora assonnati, ci avvediamo che siamo soli, ancorati in un piccolo ridosso della costa e circondati da una natura arida ma estremamente affascinante. Ovunque ci si volti si incontrano monti brulli che si sovrappongono ad altri e ad altri ancora formando una composizione di contorni montuosi che sembrano non terminare mai. Galleggiamo solitari in questa striscia di mare che si insinua secca a occidente, formando il Golfo di Tajoura, e che, proseguendo sempre verso ovest, si stringe a tal punto da creare una impressionante strozzatura, per poi riaprirsi in un secondo golfo chiamato Goubbeth el Karab. Se gli squali balena vengono qui perché il gioco delle correnti rende il mare ricco di plancton, noi, per i motivi più diversi, cominciamo a respirare il senso della lontananza dalle cose rituali, circondati da quelle brulle coste laviche, persino belle nella loro essenzialità. Il meteo, in questa prima giornata, è poco africano, almeno per le aspettative che avevamo: nuvole, un costante vento da oriente, sole che si nasconde e si mostra in un’alternanza di caldo e freddo. Una volta vestiti, saliamo sui gommoni e, ballando sulle onde corte, cerchiamo di avvistare qualcosa che riveli l’oggetto del nostro desiderio. Salsedine, vento, rumore del fuoribordo, e qualche pinna caudale vista e non vista, sono le uniche cose rilevanti di questa prima perlustrazione di Il programma della Whale Shark Expedition 2012 Il 20 gennaio 2012 prenderà il via la quinta edizione della Whale Shark Expedition nelle acque di Gibuti a bordo del Boreas of Katharina, con la presenza del biologo marino Emilio Mancuso, dell’Istituto per gli Studi sul Mare, quale responsabile della spedizione. Le iscrizioni sono aperte a subacquei e non. Il lavoro di fotoindentificazione verrà effettuato in apnea. Si consiglia di disporre di fotocamera digitale, così da poter scaricare su un Pc le immagini realizzate secondo le indicazioni di Emilio Mancuso. Si naviga sul Boreas, un motorsailer in legno con nove cabine doppie con bagno, doccia, e aria condizionata indipendente. Informazioni: Spot Project by la Compagnia del Mar Rosso, tel. 0238000467, info@mar-rosso.it, www.mar-rosso.it. tardo mattino. Troppo poco! Madre natura evidentemente parla un linguaggio che non riusciamo a intendere e quindi affrontiamo il pomeriggio chi deluso e chi ancora speranzoso. Dopo un pranzo silenzioso, consumato sul tavolone a poppa della barca, veniamo interpellati da Emilio, brillante biologo di bordo e responsabile del progetto Whale Shark, per ritentare l’avvistamento del balena. Chi conosce la natura sa bene che non bisogna mai dare nulla per scontato e che ogni momento rimandato può essere un momento perso per sempre. Infatti, i raggi di sole sono diventati più costanti e le sensazioni decisamente migliori. Il rumore del gommone che si allontana dal Boreas e l’ottimismo che ci accompagna dopo la poco prolifica mattinata si materializzano nell’attimo in cui Lucien, il ragazzo di Djibouti che conduce il gommone, fa il primo avvistamento. E’ sempre la parte superiore della pinna caudale a emergere, il sole brilla tra uno squarcio di nubi e illumina la superficie nella quale si distinguono Nelle fotografie, i partecipanti a una delle spedizioni effettuate gli scorsi anni mentre si immergono in apnea in mezzo a un gruppo di squali balena. enormi sagome che nuotano un metro sotto il pelo dell’acqua. Maschera, boccaglio, mi tuffo in avanti emozionato, ingurgito acqua salata, soffio con forza e, magicamente, tra le bollicine della caduta in mare compare il profilo di uno squalo balena. E’ davanti a me, almeno cinque metri di lunghezza, con la pelle grigia ricoperta da macchie circolari chiare di diverse gradazioni. Mi colpiscono la sua eleganza, la morbidezza espressa dalle sue movenze, i suoi pic- 61
Sopra, ancora squali balena e, a sinistra, il Lac Assal, una delle visite previste dal programma di viaggio. coli movimenti, le dimensioni grandi ma rassicuranti. Comincio a nuotare perché voglio muovermi con lui, immedesimarmi nei suoi gesti, temo che qualcosa lo spaventi e sparisca. Dimentico gli altri e inizio a nuotare con calma. Ho la sensazione che il pesce percepisca la mia presenza, ma che non lo disturbi. Riesco lentamente a raggiungere la sua enorme testa quadrata, uno strano cuneo di linee morbide e armoniose, individuo il suo piccolo occhio destro. Lo osservo con attenzione perché, come ci ha raccontato Emilio, quando è pieno, quasi sbarrato, è sintomo che il pesce è tranquillo. Dopo un tempo indefinito in cui siamo uno accanto all’altro, lui accelera leggermente e io risalgo sul gommone, a corto di fiato. Ma subito un altro squalo balena passa vicino e, di slancio, mi catapulto di nuovo in acqua. E’ un esemplare un po’ più piccolo, forse più giovane. Sono già vicino alle sue branchie: le scruto incantato, osservo le cinque fessure branchiali verticali che si muovono come una morbida tenda di velluto, sta mangiando, aspirando l’acqua con la bocca larga, un ovale nel quale il plancton viene risucchiato per poi rimanere inprigionato dietro le sue branchie. Cerco di accelerare e arrivo davanti al suo buffo faccione stranamente dilatato: l’acqua che aspira fa vibrare l’interno bianco delle fauci come una cassa di gomma. Si risale in gommone, ma qualche minuto non basta per rinunciare alla prossima nuotata: questa volta, con me c’è la mia insostituibile compagna di viaggio, che mi ha convinto a seguirla in questo luogo magico. Iniziamo a nuotare insieme, in sincronia, dietro a un balena che, serafico, prosegue per la sua strada. Noi due siamo a volte nello stesso lato, altre volte sui lati opposti e lui, il balena, inizia a scendere di qualche metro. Vediamo la sua bellissima sagoma dall’alto e immagino di abbracciarlo. Nasce una danza misteriosa dove il pesce si inserisce con docilità e, nel suo risalire, ci divide per ricostituire un trio. Scorrendo lungo i suoi fianchi, cerchiamo di cogliere ogni particolare del movimento delle pinne, del foro dietro l’occhio, residuo di un’ancestrale evoluzione fisiologica, del piccolo avvallamento prima della caudale, della piatta pancia, con gli organi sessuali che non sappiamo ancora ben distinguere. Il pensiero costante che mi accompagna nelle nuotate con queste magnifiche creature è quello di riuscire a comunicare la loro bellezza, la loro grazia, l’eleganza, la mansuetudine. Ognuno ha una persona cara, custode dei pensieri intimi che vanno condivisi. Ho pensato ai nostri ragazzi, a quello che saremo in grado di consegnare loro dopo il passaggio su questa pianeta, al forte desiderio che le nostre emozioni possano un giorno essere anche le loro. Ecco una ragione per essere qui: vivere un’esperienza straordinaria che arricchisce, ammaestra, offre l’opportunità di conoscere la storia di un pesce antico che chiede solamente di poter vagare negli oceani così come accade da tempo immemorabile. Michele Guerrieri Un personaggio ancora Rhincodon typus, squalo balena, whale shark... Comunque lo chiamiate, non cambieranno la bellezza e il fascino di questo figlio degli oceani. E’ buffo pensare che il pesce più grande del mondo, che da adulto si assesta tra gli otto e i dodici metri, sia dello stesso ordine (erectolobiformi) di squaletti del calibro dello squalo bambù, o dello squalo zebra. Corpo massiccio, cilindrico e con una evidente serie di carenature lungo i fianchi e pinna caudale eterocerca (il lobo superiore molto più sviluppato di quello inferiore) grande al punto da spuntare spesso fuori dall’acqua insieme alla dorsale quando gli individui sono prossimi alla superficie. Testa molto larga, tendenzialmente appiattita, con una bocca ampia ed ellittica, la cui forma è stata copiata da diverse case automobilistiche per riprodurre le mascherine del radiatore, un indizio, questo, che fa capire come il più grande pesce planctofago del mondo sia un grande esperto di fluidodinamica. Lo squalo balena si ciba di plancton e di piccoli pesci, che cattura nuotando con la bocca aperta e facendo passare l’acqua attraverso sistemi di filtrazione chiamati brachiospine, a forma di pettini posizionati davanti agli archi branchiali. Bisognerebbe quindi chiedersi che se ne fa degli oltre tremila piccoli denti (tre - cinque millimetri) presenti su ogni mandibola, ben ordinati in trecentodieci file, non funzionali certo all’alimentazione e forse un ricordo evoluzionistico quasi paragonabile ai nostri denti del giudizio. Una delle sue tante peculiarità è che, a differenza degli altri planctofaci più passivi, quali lo squalo elefante e lo squalo dalla grande bocca (Megachasma pelagios), che si limitano a nuotare a bocca aperta in mezzo agli addensamenti di plancton, lo squalo balena, solo quando è intento ad alimentarsi, pompa attivamente l’acqua verso la bocca, aprendola e chiudendola continuamente durante il nuoto. Un altro comportamento alimentare decisamente inusuale negli altri filtratori è il suo famosissimo nuoto verticale, che fa soltanto lui appena sotto il pelo dell’acqua quando individua una massa di plancton. Questo comportamento parrebbe essere utile per massimizzare il cibo ingerito e allo stesso tempo per ripulire le brachiospine da tutto quello che vi si è accumulato sopra. Nonostante se ne parli tanto e lo si veda sovente nelle fotografie e nei filmati, lo squalo balena è ancora una delle specie meno conosciute. Molti aspetti della sua vita permangono un mistero. Ad esempio, la riproduzione. Il balena parrebbe essere viviparo aplacentato, capace di dare alla luce piccoli di circa sessanta centimetri; i ritmi di crescita sembrerebbero farlo arrivare a spegnere cento candeline, forse anche centocinquanta, facendolo diventare sessualmente maturo intorno ai venticinque - trent’anni anni e a circa nove metri di lunghezza. Ma avete notato come il condizionale sia d’ordinanza perché in realtà i dati certi su questi animali sono scarsi, anche se per fortuna negli ultimi anni le osservazioni sono notevolmente aumentate. Solitari di acque profonde e superficiali, tendono ad aggregarsi in particolari regioni e periodi soprattutto per la riproduzione, quando si osservano esclusivamente esemplari adulti, e per l’alimentazione, quando invece le aggregazioni sono tipicamente di subadulti. Anche la sua colorazione è un elemento particolare, con grande piacere di chi, come noi, la sta usando per una campagna di fotoidentificazione. La livrea è biancastra sul ventre e tendezialmente verdastra sul dorso, dove le carenature e le strie biancastre formano una scacchiera punteggiata da evidenti punti bianchi che aumentano in dimensioni con la crescita, ma non variano la distanza tra di loro. Questo disegno particolare parrebbe essere unico e specifico per ogni individuo, permettendo così, con precise tecniche di fotoidentificazione, di costruire una vera e propria foto segnaletica dei vari individui osservati in giro per il mondo. Campagne di fotoidentificazione, marcature alfanumeriche, marcature satellitari e addirittura chip sottocutanei sono i sistemi che si usano adesso per conoscere meglio questo vagabondo dei mari, che purtroppo ancora oggi, in alcuni paesi, è oggetto di pesca accidentale, o addirittura intenzionale. Il processo di approfondimento sul suo stato di mantenimento è iniziato nel 1982 con una commissione dell’Onu, che lo ha identificato come “specie migratoria bisognosa di studi scientifici per capirne lo stato e il rischio di estinzione”, ed è proseguito nel 2000, con il suo inserimento nella lista rossa Iucn delle specie vulnerabili, e nel 2002, con la pubblicazione nell’Appendice II della convenzione Cites come “specie migratoria sottoposta a sfavorevole stato di conservazione e che necessita di accordi e cooperazione internazionali per la sua conservazione e gestione”.Per fortuna, alla crescente sensazione che questa meraviglia del mare necessitasse protezione è andata via via crescendo la sensibilità dell’opinione pubblica ed è aumentato il coinvolgimento dei turisti, in particolar modo dei subacquei, nei progetti di raccolta dati, ricerca e sensibilizzazione. Un esempio di cui siamo particolarmente orgogliosi è la Whale Shark Photo-identification Library tenuta dall’associazione australiana EcOcean, alla quale, dal 2006, contribuiamo con la Whale Shark Expedition in Djibouti. Basti pensare che dai centocinquantacinque report di avvistamenti documentati nel 2003 siamo passati ai tremila duecento cinquantanove report nel 2009. Emilio Mancuso (Istituto per gli Studi sul Mare) 62 63
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