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Rivista Accademica n 21 - accademia dei rozzi

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26<br />

In due particolari per me il Cursietti ha<br />

ragione: ci troviamo di fronte a un sonetto<br />

dialogato (contro De Robertis, Cannata e<br />

Bruni Bettarini, che sostengono la superfluità<br />

del dialogo fra due fiorentini) e il<br />

Muscia da Siena c’entra fino a un certo<br />

punto perché “la satira è pensata per un<br />

pubblico fiorentino”. Ha torto invece nel<br />

sostenere che la compagine linguistica appare<br />

“priva di elementi senesi” (p. 110) e in<br />

tutto il resto, che porta fuori strada, dalla interpretazione<br />

lambiccata e faticosa <strong>dei</strong> primi<br />

versi alla conclusione che<br />

la beffa, in sostanza si riduce a far partire da<br />

Firenze Cavalcanti “cavaliere”, e a farlo tornare<br />

in patria, dopo la sosta a Nîmes, “cavalcato”.<br />

(p. 110).<br />

Del particolare poi che Guido sia fatto sostare<br />

proprio a Nîmes si è già fornita spiegazione: tale<br />

città è tirata in ballo in funzione anti-Tolosa e<br />

anti-Mandetta (p. 108).<br />

Il sonetto sarebbe opera di un gruppo di<br />

contraffattori:<br />

nella Firenze dell’ultimo Trecento e del primo<br />

Quattrocento fu all’opera un gruppo di letterati<br />

che produssero raffinate parodie biografico-letterarie<br />

e riuscì a spacciarle per autentiche… difficile<br />

quindi non annoverare lo Za tra tali contraffattori<br />

(p. 110).<br />

Di conseguenza per il Cursietti la datazione<br />

del codice Chigiano, testimone unico<br />

del sonetto, andrebbe spostata in avanti di<br />

qualche decennio.<br />

Come si è visto, lo studioso sostiene fra<br />

l’altro che il sonetto è “privo di elementi senesi”.<br />

Questi per me invece sono tre: “sappi<br />

a tôrne” (v. 7), mia correzione congetturale<br />

al posto di “sappia torni”, che ha poco senso;<br />

la voce senese “botio” (v. 11), trasformata<br />

in “botìo” per la rima; “Nimisi” (v. 12),<br />

che allude alla parola “nimo”, propria dell’antico<br />

toscano, di cui si hanno testimonianze<br />

a Siena, Lucca, Pisa e Pistoia (cfr.<br />

Rohlfs, par. 50).<br />

Legata direttamente a “nihil” e “nemo” a<br />

me è nota tramite le commedie popolari senesi<br />

(per esempio, Legacci, Tognin del Cresta,<br />

v. 171: “s’e’ gli ’l sapesse nimo”; la commedia<br />

è inedita da più di 400 anni: la numera-<br />

zione <strong>dei</strong> versi è mia). Su “sappi a tôrne” si<br />

potrebbe anche discutere, un po’ meno su<br />

“botìo”, ma senza l’allusione a “nimo”,<br />

“nihil”, il sonetto avrebbe poco senso:<br />

Rustico vuol dire che il pellegrinaggio di<br />

Guido approda al Nulla. Ecco perché San<br />

Giacomo si sdegna. Ora tutto è più chiaro,<br />

anche la prima parte del sonetto, senza bisogno<br />

di tanti contorsionismi e interpretazioni<br />

bislacche. Sono arrivato io per primo<br />

a spiegare meglio il sonetto non perché sono<br />

più intelligente di tutti i filologi che mi<br />

hanno preceduto, ma solo perché forse meglio<br />

di tutti loro conosco l’antico idioma senese,<br />

e questo lo devo soprattutto al mio lavoro<br />

editoriale sulle commedie popolari senesi,<br />

che è appena cominciato: ne restano<br />

ancora da pubblicare circa un centinaio.<br />

L’Accademia <strong>dei</strong> Rozzi fa quello che può.<br />

Penso alle banche senesi, che con un decimo<br />

di quello che spendono annualmente<br />

per volumi-strenna molto costosi, potrebbero<br />

meritoriamente servire alla causa della<br />

cultura senese, che è cultura italiana, come<br />

dimostra il sonetto Ècci venuto Guido ’n<br />

Compastello, cui Rustico intenzionalmente<br />

volle dare una ben avvertibile patina linguistica<br />

senese per attribuirne la paternità all’amico<br />

Muscia. Come si può vedere dall’appendice<br />

straordinaria del mio libretto su<br />

Rustico, forse a Guido in precedenza non era<br />

andata giù l’accusa di sodomia mossagli<br />

da Rustico, allora sotto la maschera di Lapo<br />

degli Uberti, figlio di Farinata, nel sonetto<br />

Guido, quando dicesti “pasturella”. E ora il<br />

Barbuto, per evitare la reazione di un uomo<br />

violento e poco malleabile come il<br />

Cavalcanti dinanzi all’accusa di ateismo, si<br />

cautela facendosi scudo del Muscia, non<br />

certo poeta, ma notoriamente uomo ben<br />

dotato nel sesso e, c’è da scommetterci, ben<br />

piazzato nel fisico.<br />

Con Guido, detto Cavicchia, scherzare<br />

troppo può diventare pericoloso. Lui non è<br />

Dante, più fino e razionale, che con Rustico<br />

si vendica della Tenzone seppellendo il suo<br />

autore sotto una spessa coltre di silenzio.

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