Rivista Accademica n 21 - accademia dei rozzi
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Un sonetto di Rustico<br />
e l’importanza delle<br />
commedie popolari senesi<br />
del Cinquecento<br />
di MENOTTI STANGHELLINI<br />
Nella seconda appendice del mio I trenta<br />
sonetti realistici di Rustico Filippi ho dimostrato<br />
che il sonetto Ècci venuto Guido ’n<br />
Compastello, dal testimone unico Chigiano<br />
attribuito a Nicola Muscia, è opera di<br />
Rustico. Altre novità di rilievo emerse da<br />
questa mia rilettura sono state la correzione<br />
congetturale del v. 7 e una diversa interpretazione<br />
del v. 12, e il sonetto ha cambiato aspetto<br />
di colpo, facendo sì che venissero<br />
spazzate via certe spiegazioni approssimative,<br />
sconfinanti talvolta nel cervellotico. Alla<br />
base di quest’ultime cercherò qui di dimostrare<br />
che è l’ignoranza dell’idioma senese.<br />
Quando Girolamo Gigli nella prima metà<br />
del Settecento se la prendeva contro<br />
l’Accademia della Crusca perché privilegiava<br />
l’idioma fiorentino, aveva ragione. Se le<br />
sue idee fossero state seguite almeno in parte,<br />
tanti filologi si sarebbero risparmiate delle<br />
brutte figure.<br />
Ma rileggiamo il sonetto nella grafia da<br />
cristiani in uso fino a qualche decennio indietro.<br />
Quello che conta è la sostanza. La<br />
grafia tipica <strong>dei</strong> codici antichi soddisfà pochi<br />
addetti ai lavori e fa scappare molti lettori<br />
impauriti e stancati da tanti geroglifici.<br />
– Ècci venuto Guido ’n Compastello<br />
o ha recato a vender canovacci?<br />
Ch’e’ va com’oca e cascali ’l mantello:<br />
ben par ch’e’ sia fattor de’ Rusticacci.<br />
È in bando di Firenze od è rubello,<br />
o dottasi che ’l popol no ’l ne cacci.<br />
Ben par ch’e’ sappi a tôrne del camello,<br />
ché s’è partito senza dicer: “Vacci!”<br />
– Sa’ Iacopo sdegnò quando l’udìo,<br />
ed egli stesso si fece malato,<br />
ma dice pur che non v’era botìo.<br />
E quando fu a Nimisi arrenato,<br />
vendé ’ cavalli, e no li dié per Dio,<br />
e trassesi li sproni ed è albergato.<br />
– C’è arrivato Guido a Compostella oppure<br />
ha portato a vendere tessuti grezzi di<br />
canapa? Se n’è andato camminando come<br />
un papero, col mantello ciondoloni, tanto<br />
che pareva il fattore <strong>dei</strong> Rusticacci. Deve essere<br />
stato bandito da Firenze oppure per la<br />
propria riottosità temeva che il popolo lo avrebbe<br />
scacciato. Sembra davvero che abbia<br />
saputo prendere esempio dal cammello,<br />
perché se n’è andato senza che neppure ci<br />
fosse bisogno di dirgli: «Vai!».<br />
– Sant’Iacopo si sdegnò quando seppe<br />
quello che era successo, ma lo stesso Guido<br />
addusse a sua discolpa una malattia, asserendo<br />
però di non aver fatto nessun voto.<br />
Così, bloccatosi a Nîmes, vendette i cavalli<br />
senza certo donarli per amor di Dio e, levatisi<br />
gli sproni, prese alloggio in un albergo.<br />
Per Mauro Cursietti che ne ha parlato a<br />
lungo nell’ultima parte di un articolo intitolato<br />
Una beffa parallela alla falsa “Tenzone di<br />
Dante con Forese Donati”: la berta di<br />
Cavalcanti “cavalcato” (“L’Alighieri”, n.s. 13,<br />
1999, pp. 91-110), questo sonetto è l’unica<br />
testimonianza del pellegrinaggio di Guido,<br />
al di fuori della Cronica di Dino Compagni:<br />
si tratta sostanzialmente dell’insinuazione<br />
che Guido in realtà non sia mai giunto a<br />
Compostella, ma si sia recato a Nîmes (p. 104). 25