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Rivista Accademica n 21 - accademia dei rozzi

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2<br />

e comunità locali - prima di essere “riconosciute”<br />

dai sistemi universitari. Questo ritardo<br />

rischia di ridurre il peso delle istituzioni<br />

universitarie e potrebbe minare alle radici<br />

proprio una delle missioni alle quali hanno<br />

storicamente assolto le università. La quantità<br />

di conoscenze non è importante solo<br />

per il suo impatto qualitativo, perché la vera<br />

sfida <strong>dei</strong> prossimi anni non è la tecnologia,<br />

ma ciò per cui viene usata. Il profilo emergente<br />

del lavoratore è quanto mai legato a<br />

nuovi saperi e alla necessità di avere luoghi<br />

e opportunità per imparare ad imparare per<br />

tutta la vita. Così la formazione assumerà il<br />

ruolo di leva strategica per governare il nuovo<br />

che arriva. L’uso e l’esercizio intelligente<br />

del sapere saranno la vera arena <strong>dei</strong> nuovi<br />

impegni umani e istituzionali. In Europa saranno<br />

sempre più rilevanti l’impatto della<br />

ricerca e la qualità e la mobilità <strong>dei</strong> ricercatori,<br />

anche per l’uso che ne potranno fare i<br />

mondi dell’impresa e dell’amministrazione.<br />

Le università si identificano da sempre,<br />

infatti, come “comunità del sapere”, create<br />

per rispondere al bisogno della società di<br />

contare su nuove conoscenze, su competenze<br />

tecniche e professionali avanzate, su un<br />

solido sistema di certificazione e accreditamento.<br />

La responsabilità di garantire la produzione<br />

e la trasmissione del sapere diventa<br />

una vera missione che contribuisce allo sviluppo<br />

socio-economico del contesto territoriale<br />

in cui si colloca l ’ateneo, del sistema<br />

Paese, anche in un’ottica di competitività<br />

dell’Europa.<br />

L’attuale fase di cambiamento che il sistema<br />

accademico sta attraversando ruota<br />

attorno a tre cardini fondamentali: la figura<br />

dello studente, non più mero discente ma<br />

soggetto centrale cui garantire un reale diritto<br />

allo studio; il ruolo della ricerca, motore<br />

essenziale di sviluppo economico e sociale,<br />

nel suo legame indissolubile con la didattica;<br />

l’orizzonte internazionale, nuovo mercato<br />

competitivo ma, soprattutto, palestra<br />

in cui contribuire a definire la nuova<br />

Europa dello spazio comune dell’alta formazione<br />

e della ricerca.<br />

L’attività formativa dell’università deve<br />

concentrarsi su questo triplice e complesso<br />

obiettivo che richiede un massiccio e costan-<br />

te impegno in termini di risorse umane e finanziarie<br />

e necessita di un definitivo riconoscimento<br />

sociale, culturale ed economico da<br />

parte <strong>dei</strong> suoi interlocutori chiave, primi fra<br />

tutti il sistema politico ed economico.<br />

Se gli atenei sono giustamente chiamati<br />

a sviluppare una nuova capacità di selezione<br />

e di valorizzazione delle aree di eccellenza,<br />

creando reti di qualità sulla formazione<br />

e sulla ricerca, aperte anche alla partecipazione<br />

delle altre realtà territoriali, purtroppo,<br />

in Italia, la ricerca non è alimentata da<br />

adeguati contributi pubblici e privati: siamo,<br />

infatti, il Paese dell’UE che meno investe<br />

in questi settori, peraltro in un contesto<br />

europeo già svantaggiato rispetto a<br />

Giappone e Stati Uniti. Nonostante la gravità<br />

della situazione, l’università continua a<br />

sostenere la ricerca con sempre maggiore<br />

entusiasmo e ottimi risultati: basti pensare<br />

che la metà <strong>dei</strong> ricercatori italiani lavora<br />

nell’università, sede di provenienza della<br />

maggior parte <strong>dei</strong> lavori scientifici. Questi<br />

dati sono ben noti anche all’Unione<br />

Europea, che destina ben il 35% <strong>dei</strong> fondi<br />

per la ricerca agli atenei. Ma cifre e impegno<br />

non bastano ad assicurare un solido sviluppo<br />

della ricerca, che necessita invece di<br />

un impegno sistematico dello Stato e di una<br />

maggiore partecipazione del sistema industriale.<br />

Una università bene organizzata deve<br />

conoscere i suoi obiettivi, individuare le responsabilità<br />

precise per ogni attività, essere<br />

capace di modificarsi in base agli stimoli esterni,<br />

essere in grado di valutare e di far valutare<br />

gli attori del processo: un insieme<br />

complesso di attività che, in caso di giudizio<br />

positivo, costituiscono una garanzia dell’affidabilità<br />

del prodotto finale. Si valuta la<br />

qualità per aumentare la qualità: così, al termine<br />

di un ciclo di valutazione, l’istituzione<br />

si conoscerà meglio e sarà in grado di decidere<br />

con maggiori saperi e competenze. In<br />

questo modo, passo dopo passo, giudizio<br />

dopo giudizio, si cresce. È un circolo virtuoso:<br />

si valuta nuovamente e si cresce. Si<br />

valuta la qualità anche per informare i cittadini<br />

sulle reali pratiche dell’istituzione.<br />

Tutto questo in coerenza con l’obiettivo<br />

della pubblica utilità delle università. La va-

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