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Rivista Accademica n 21 - accademia dei rozzi

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All’interno del processo di passaggio dal<br />

latino al volgare un ruolo importante, come<br />

è ben noto, è stato svolto dai notai. Nei documenti<br />

notarili si rileva frequentemente la<br />

compresenza di latino e volgare: un fatto<br />

che sta a significare come accanto alle formule<br />

in cui si redigevano gli atti si facesse<br />

strada l’esigenza, ai fini della validità stessa<br />

del documento, di far sottoscrivere un atto<br />

comprensibile per le parti contraenti.<br />

Le carte mercantili offrono allo studioso<br />

un altro terreno di indagine privilegiato.<br />

Alcuni, come la Carta Pisana, inducono,<br />

tra l’altro, a considerazioni di vario tipo riguardo<br />

alla diffusione della lingua 13 . Per la<br />

nascita del volgare italiano e le origini della<br />

lingua senese, che per molti aspetti coincidono,<br />

è stato determinante, a vario titolo,<br />

oltre al ruolo <strong>dei</strong> notai sopra menzionato,<br />

quello <strong>dei</strong> mercanti, <strong>dei</strong> santi e <strong>dei</strong> letterati.<br />

Mentre per questi ultimi il non uso<br />

del latino a favore del volgare, più vicino<br />

alla lingua parlata, corrispondeva ad una<br />

scelta stilistica, per le altre categorie l’uso<br />

del volgare corrispondeva ad un’esigenza<br />

di comprensibilità da parte <strong>dei</strong> singoli o<br />

delle masse 14 .<br />

Per ricercare le origini della lingua senese<br />

è utile analizzare le carte commerciali e<br />

mercantili 15 . Un’interessantissima testimonianza<br />

di lingua senese mercantile risale al 5<br />

luglio 1260, due mesi prima della battaglia<br />

13 La Carta pisana consiste in un elenco di spese<br />

navali. Inoltre si ritrova un’iscrizione su un sarcofago<br />

del Camposanto, con un morto che parla al vivo:<br />

“+h(om)o ke vai p(er) via prega d(e)o dell’anima mia, si come<br />

tu se’ ego fui, sicus ego su(m) tu <strong>dei</strong> essere”. La stessa iscrizione<br />

si ritrova, nella sostanza, nel lungo corridoio<br />

che conduce alla chiesa senese di Santa Caterina<br />

della Notte: “Come tu sei fui ancor io, come io sono sarai<br />

anche tu”.<br />

14 “Quando io vo predicando di terra in terra, quando<br />

io giogno in uno paese, io m’ingegno di parlare sempre sicondo<br />

i vocaboli loro; io avendo imparato e so parlare al lor<br />

modo di molte cose (...)”. In: San Bernardino, Prediche<br />

Volgari, XXIII<br />

15 La necessità di retrodatare la nascita del volgare<br />

italiano attraverso documenti che dessero il giusto valore<br />

alla lingua senese era sentita anche da Claudio<br />

Tolomei: “Se mai vi pregai, hora vi scongiuro, che mi cerchiate<br />

qualcuna de le più antiche scritture che costì in Siena<br />

si trovano in lingua toscana. Vorrei, s’egli è possibile, che<br />

di Montaperti 16 , e giunge da una lettera di<br />

Vincenti di Aldobrandino Vincenti scritta<br />

“in nome de’ compagni di mercatura” a<br />

Giacomo di Guido di Cacciaconti, “mercante<br />

in Francia”, pubblicata per la prima volta<br />

nel 1868 in una rara edizione 17 . Vi si trovano,<br />

accanto a cose di mercatura, anche espressioni<br />

di amor di patria. “(...) Sappi,<br />

Iachomo, che noi siamo oggi in grande dispesa et<br />

in grande faccenda, a chagione de la guerra che<br />

noi abbiamo con Fiorenza et sapi che a noi chostara<br />

assai a la borsa (...)”. Due <strong>dei</strong> tre esempi<br />

di uso di “-ch-” intervocalico fanno pensare<br />

alla riproduzione del suono della “-c-” aspirata.<br />

Due grandi mistici senesi, Santa<br />

Caterina e, più tardi, San Bernardino, ci<br />

hanno lasciato preziose testimonianze linguistiche<br />

che permettono di osservare come<br />

alcuni tratti ed espressioni si siano mantenuti<br />

fino ad oggi 18 . In una lettera di Santa<br />

Caterina a frate Raimondo da Capua a proposito<br />

di un condannato a morte si legge:<br />

“(...) E diceva: ‘io v’anderò gioioso e forte; e parrammi<br />

mille anni che io ne venga (...) E vedendomi<br />

cominciò a ridere; e volse che io gli facessi il segno<br />

della croce (...)”. Il parlante senese può agevolmente<br />

verificare la persistenza dell’uso<br />

di un’espressione come “parere mille anni” 19<br />

per indicare vivo desiderio e - soprattutto in<br />

ambienti rustici - di “anderò” e “volse” invece<br />

di “andrò” e “volle”.<br />

fussen di cento o di dugento anni innanzi a Dante”<br />

(Lettera di Claudio Tolomei all’amico Giacomo<br />

Paganelli, 1 aprile 1546).<br />

16 Le lettere <strong>dei</strong> mercanti senesi sono precedenti a<br />

quelle fiorentine, datate intorno al 1290.<br />

17 Ringraziamo Ettore Pellegrini per la preziosa segnalazione.<br />

Della lettera di Vincenti si ritrova notizia<br />

in: A. CASTELLANI (1982), La prosa toscana delle origini:<br />

i testi toscani di carattere pratico, Bologna, Patròn.<br />

18 Sulla lingua di Santa Caterina cfr. M.<br />

BENEDETTI (1999), Le opere di Santa Caterina da Siena:<br />

aspetto linguistico, pp. 117-120 e M. CATRICALÀ (1999),<br />

Caterina e la storia della lingua italiana, pp. 1<strong>21</strong>-130. In<br />

AA.VV. “Con l’occhio e col lume”, Atti del Corso<br />

Seminariale di Studi Cateriniani - Università per<br />

Stranieri di Siena, Dip. di Scienze Umane, Siena,<br />

Cantagalli.<br />

19 Cfr. l’analoga espressione nel sonetto di Cecco<br />

Angiolieri, alla nota successiva.<br />

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