Relazione Bioetica.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di Roma
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Il problema che nasce a questo punto dipende dal fatto che la donna può, soprattutto in presenza di malformazioni, decidere di interrompere la gravidanza. Perciò io mi sono molto preoccupato di capire che cosa determinava la decisione. La gravità della malattia? Il rischio elevato di malformazioni? Certamente; ma, quando siamo andati al fondo della questione, abbiamo visto che uno dei fattori più significativi che determinava la decisione era il fatto che, una volta che fosse nata una persona con disabilità, come adesso si dice, ci fosse o meno una struttura sociale pronta a sostenere i genitori. Faccio un caso molto banale: se due genitori, che lavorano e che solo grazie al reddito comune riescono a mandare avanti la famiglia, vengono a sapere che da loro nascerà un essere con un handicap tale che abbia bisogno del sostegno continuo di una persona, o c’è un servizio sociale che glielo garantisce oppure la donna decide di interrompere la gravidanza, perché altrimenti dovrebbero, lei o il marito, abbandonare il lavoro, senza avere più le condizioni di reddito per far andare avanti la famiglia. Quindi voi vedete che la cosiddetta cultura dell’accoglienza, di cui io sono un grande fautore, e la cultura della vita, alla quale io credo molto più di tanti che se ne fanno banditori a parole, richiedono grande attenzione pubblica, perché non dobbiamo attribuire rilevanza alla vita e poi favorire l’abbandono sociale. Vogliamo che ci sia una maggiore accoglienza delle persone con handicap? Dobbiamo dare servizi sociali alle famiglie, dobbiamo dare sostegno, dobbiamo intervenire. Vogliamo evitare che le persone che hanno situazioni di dolore grave possano essere accompagnate nella loro malattia da cure palliative? La metodologia di queste cure è stata tentata in Inghilterra e però sono state create subito, all’interno delle università, delle scuole per insegnare la terapia del dolore, sono stati organizzati dei servizi sociali che intervengono quando viene chiesta l’assistenza ad una persona in grave situazione di difficoltà, in fin di vita e con grandi dolori. Per fare ciò servono soldi, servono scelte politiche e sociali su come evitare l’interruzione della gravidanza, come promuovere la cultura della vita, la scelta di sopravvivere e non di chiedere il suicidio assistito. Non si trata solo di questioni strettamente individuali; certo sono strettamente legate a ciascuno di noi, alla nostra autodeterminazione, però noi facciamo le nostre scelte, che possono andare in un senso o nell’altro a seconda della condizione sociale e culturale nella quale ci troviamo. Lo dico con molta passione, scusatemi, non per imporre un punto di vista, ma perché questo è uno dei terreni sui quali in questi anni mi sono trovato non solo in grandissima sintonia intellettuale, ma anche ho potuto lavorare con molte persone che si dichiarano profondamente cattoliche e praticano il cattolicesimo, a cominciare da sacerdoti. Dato che su questi terreni ho lavorato molto a livello europeo, posso dire che i valori comuni ci sono e su questo ci dobbiamo impegnare. Non usiamo alcune situazioni estreme, difficili e controverse, per alzare steccati che non dovrebbero esserci. Ho scritto un articolo qualche settimana fa in cui riprendevo molte cose scritte nel suo discorso di S.Ambrogio, dal cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, che ha fatto un grande e laico discorso sulla solidarietà. Se all’interno delle nostre organizzazioni sociali non c’è solidarietà, se noi lasciamo sole le persone, è fatale che l’abbandono sociale determini anche una spinta a chiedere la fine della vita per chi si trova in una situazione intollerabile. Se io so che metterò al mondo una persona con handicap e questa persona non avrà sostegno nella fase iniziale della vita, non avrà la possibilità di essere accolto degnamente a scuola, troverà albergatori che rifiuteranno gli handicappati che vanno in vacanza nel loro albergo, non troverà possibilità agevolate di percorso per entrare nel lavoro, è chiaro che avremo un rifiuto della vita. Io sono un grandissimo sostenitore, ve ne sarete accorti, dell’autonomia di decisione di ciascuno di noi, ma quando c’è un’esaltazione pericolosa della libertà e quando la libertà significa ‘io ti abbandono a te stesso, decidi tu’, quando io mi chiamo fuori, io collettività,
comune, stato, regione, repubblica nel suo insieme e dico ‘sbrogliatela tu’, credo che questa non sia per nulla la via corretta in tutte le questioni di cui ci siamo occupati oggi. Mi sono dilungato più del previsto, però voi non mi avete risposto alla domanda che vi ho fatto sull’impianto dei chip per entrare nelle discoteche. Dovrò dire che ho avuto un bellissimo dibattito in questa scuola, ma su questo argomento c’è stato, come dicono i giuristi, il silenzio- rifiuto. Prof.ssa Fierro: Credo di interpretare i sentimenti di tutti, nel ringraziare vivamente il professor Rodotà, che con tutta la semplicità delle persone veramente intelligenti e preparate ci ha così aiutato a capire oggi tanti problemi.
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Il problema che nasce a questo punto <strong>di</strong>pende dal fatto che la donna può, soprattutto in<br />
presenza <strong>di</strong> malformazioni, decidere <strong>di</strong> interrompere la gravidanza. Perciò io mi sono<br />
molto preoccupato <strong>di</strong> capire che cosa determinava la decisione. La gravità della<br />
malattia? Il rischio elevato <strong>di</strong> malformazioni? Certamente; ma, quando siamo andati al<br />
fondo della questione, abbiamo visto che uno dei fattori più significativi che<br />
determinava la decisione era il fatto che, una volta che fosse nata una persona con<br />
<strong>di</strong>sabilità, come adesso si <strong>di</strong>ce, ci fosse o meno una struttura sociale pronta a sostenere i<br />
genitori. Faccio un caso molto banale: se due genitori, che lavorano e che solo grazie al<br />
red<strong>di</strong>to comune riescono a mandare avanti la famiglia, vengono a sapere che da loro<br />
nascerà un essere con un han<strong>di</strong>cap tale che abbia bisogno del sostegno continuo <strong>di</strong> una<br />
persona, o c’è un servizio sociale che glielo garantisce oppure la donna decide <strong>di</strong><br />
interrompere la gravidanza, perché altrimenti dovrebbero, lei o il marito, abbandonare<br />
il lavoro, senza avere più le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to per far andare avanti la famiglia.<br />
Quin<strong>di</strong> voi vedete che la cosiddetta cultura dell’accoglienza, <strong>di</strong> cui io sono un grande<br />
fautore, e la cultura della vita, alla quale io credo molto più <strong>di</strong> tanti che se ne fanno<br />
ban<strong>di</strong>tori a parole, richiedono grande attenzione pubblica, perché non dobbiamo<br />
attribuire rilevanza alla vita e poi favorire l’abbandono sociale. Vogliamo che ci sia una<br />
maggiore accoglienza delle persone con han<strong>di</strong>cap? Dobbiamo dare servizi sociali alle<br />
famiglie, dobbiamo dare sostegno, dobbiamo intervenire.<br />
Vogliamo evitare che le persone che hanno situazioni <strong>di</strong> dolore grave possano essere<br />
accompagnate nella loro malattia da cure palliative? La metodologia <strong>di</strong> queste cure è<br />
stata tentata in Inghilterra e però sono state create subito, all’interno delle università,<br />
delle scuole per insegnare la terapia del dolore, sono stati organizzati dei servizi sociali<br />
che intervengono quando viene chiesta l’assistenza ad una persona in grave situazione <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>fficoltà, in fin <strong>di</strong> vita e con gran<strong>di</strong> dolori. Per fare ciò servono sol<strong>di</strong>, servono scelte<br />
politiche e sociali su come evitare l’interruzione della gravidanza, come promuovere la<br />
cultura della vita, la scelta <strong>di</strong> sopravvivere e non <strong>di</strong> chiedere il suici<strong>di</strong>o assistito. Non si<br />
trata solo <strong>di</strong> questioni strettamente in<strong>di</strong>viduali; certo sono strettamente legate a<br />
ciascuno <strong>di</strong> noi, alla nostra autodeterminazione, però noi facciamo le nostre scelte, che<br />
possono andare in un senso o nell’altro a seconda della con<strong>di</strong>zione sociale e culturale<br />
nella quale ci troviamo. Lo <strong>di</strong>co con molta passione, scusatemi, non per imporre un<br />
punto <strong>di</strong> vista, ma perché questo è uno dei terreni sui quali in questi anni mi sono<br />
trovato non solo in gran<strong>di</strong>ssima sintonia intellettuale, ma anche ho potuto lavorare con<br />
molte persone che si <strong>di</strong>chiarano profondamente cattoliche e praticano il cattolicesimo, a<br />
cominciare da sacerdoti. Dato che su questi terreni ho lavorato molto a livello europeo,<br />
posso <strong>di</strong>re che i valori comuni ci sono e su questo ci dobbiamo impegnare. Non usiamo<br />
alcune situazioni estreme, <strong>di</strong>fficili e controverse, per alzare steccati che non dovrebbero<br />
esserci. Ho scritto un articolo qualche settimana fa in cui riprendevo molte cose scritte<br />
nel suo <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> S.Ambrogio, dal car<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> Milano, Dionigi Tettamanzi, che ha fatto<br />
un grande e laico <strong>di</strong>scorso sulla solidarietà. Se all’interno delle nostre organizzazioni<br />
sociali non c’è solidarietà, se noi lasciamo sole le persone, è fatale che l’abbandono<br />
sociale determini anche una spinta a chiedere la fine della vita per chi si trova in una<br />
situazione intollerabile. Se io so che metterò al mondo una persona con han<strong>di</strong>cap e<br />
questa persona non avrà sostegno nella fase iniziale della vita, non avrà la possibilità <strong>di</strong><br />
essere accolto degnamente a scuola, troverà albergatori che rifiuteranno gli<br />
han<strong>di</strong>cappati che vanno in vacanza nel loro albergo, non troverà possibilità agevolate <strong>di</strong><br />
percorso per entrare nel lavoro, è chiaro che avremo un rifiuto della vita. Io sono un<br />
gran<strong>di</strong>ssimo sostenitore, ve ne sarete accorti, dell’autonomia <strong>di</strong> decisione <strong>di</strong> ciascuno <strong>di</strong><br />
noi, ma quando c’è un’esaltazione pericolosa della libertà e quando la libertà significa<br />
‘io ti abbandono a te stesso, deci<strong>di</strong> tu’, quando io mi chiamo fuori, io collettività,