Relazione Bioetica.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di Roma

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17.06.2013 Views

che noi ci sentiamo pronti a giustificare pubblicamente come una condotta legittima anche di fronte alle altre persone. Questo significa fare appello ad un diritto morale. Fare appello ad un diritto morale non equivale a dire “faccio quello che mi pare, non mi seccate ”. Richiamare un diritto morale invece significa affermare la propria libertà pubblicamente, e però naturalmente avere delle ragioni solide per farlo. La prima ragione solida che deve accompagnare la pretesa di potere fare appello ad un diritto morale è sapere bene come stanno le cose, e quindi studiare, leggere, superare il piano della superficialità , la barbarie, la mancanza di approfondimento, la vaghezza, il sentito dire . Per potere legittimamente usare il linguaggio dei diritti morali nelle questioni della bioetica la prima cosa da fare è fare ciò per cui vi trovate in questo edificio: continuare a studiare, riflettere, comprare libri, leggere libri, studiare, studiare, studiare (applausi). (Trascrizione autorizzata rivista dall’autore) Prof.ssa Fierro: Vi ho visto così attenti e interessati, perché, appunto, il professore ci ha fatto uscire dalla vaghezza, da quella che spesso io chiamo “l’aria fritta”, la vaghezza, come l’ha chiamata lui, della cattiva informazione. Personalmente ho apprezzato anche l’impostazione di questa relazione da parte del maestro, perché ha posto tantissimi problemi senza insistere sulle soluzioni. Quindi io credo che siamo tutti adesso, diciamo così, presi dal desiderio di discutere, cioè di porre ulteriormente l’attenzione del professore ai problemi. Io vi faccio una proposta. Adesso, alle 11,00 voi fate l’intervallo, però cominciamo già a porre qualche interrogativo al professore. Poi, subito dopo l’intervallo tornate, il professore è così gentile da dedicarci un pochino in più del suo tempo, e noi facciamo il dibattito, che poi è la parte in cui voi siete protagonisti. Allora, vorrei cominciare a segnare qualche domanda, prima che, appunto, suoni l’intervallo. Chi si sente di aprire, di formulare qualche domanda? All’inizio i ragazzi sono sempre un po’ ritegnosi, poi vengono fuori. Chi vuole cominciare, i ragazzi, i professori? Per rompere il ghiaccio, cominciamo a fare una domanda da qui e poi, però, venite a farle voi. Naturalmente, per quello che mi riguarda ci sono tantissimi spunti di riflessione, ma quella che mi viene subito, così, nell’immediato, non è tanto una domanda quanto una considerazione,un bisogno appunto di ulteriore riflessione. Riguarda proprio la conciliazione tra quella che è “la libertà individuale di decidere” e quelle che devono essere, poi, le norme: c’è, ci può essere, professore, davvero una corrispondenza, una non frattura tra quelle che sono le esigenze dell’etica dal punto di vista dell’autonomia, cioè la libera scelta individuale, e quelle che devono essere le norme che in determinati ambiti devono avere una valenza non più soggettiva, ma una valenza per la collettività? Perché poi qui è il grosso problema. Però io vorrei che ne segnasse più d’una di domande, la mia è solo una delle tante. Prof.ssa Castriota: Professore, pongo una domanda che si muove nel mio animo da tanto, spero di riuscire ad articolarla prima di tutto. Nel momento in cui (ecco, io pongo un problema concreto al quale eticamente do una risposta) nell’ovulo viene immesso lo sperma di una persona di cui non si conosce l’origine, non si sa a chi appartenga, io mi chiedo: primo, quale atteggiamento riusciranno ad avere quei due genitori di un bambino che è figlio di quella mamma? Nel momento in cui nasceranno dei problemi, il padre che sa di non essere il padre, riuscirà eticamente ad avere la stessa libertà, lo stesso atteggiamento della mamma, che è la mamma di quel bambino, o si creerà comunque un problema etico da parte della figura paterna? Secondo, è giusto non dare a quel bambino il diritto di sapere chi è suo padre? Fino a che punto queste cose sono superabili? Francamente io pongo la prima questione come una questione grossa. Nella

coppia un domani ci saranno dei problemi, quel padre un domani potrà dire: “Questo figlio mi sta dando dei problemi, non è mio figlio”. Tutto questo può incidere, può essere una ragione tale da frenare, da portare a un ripensamento? Non è più logico adottare un bambino, ed essere insomma in posizione di parità fra i due coniugi? Ecco, vorrei proprio che mi dicesse il suo parere, grazie. Prof.ssa Fierro: Ancora, potete venire a formulare domande, così il professore ne segna almeno tre e poi comincia a rispondere. Vieni, Federico. Poi c’è il prof. Carini. Federico: Buongiorno, sono Federico. Lei ci ha proposto tanti casi particolari e ha parlato poi successivamente di un diritto morale che deve regolare il comportamento e l’avvenire di tutti questi casi. Qual è il principio che deve portare alla formulazione di questo diritto morale? Come si fa a trovare un diritto che poi possa essere applicato in tutti questi casi così particolari che hanno delle variabili diverse l’uno dall’altro? Grazie. Prof. Carini: Io vorrei accennare a un problema molto complesso che è quello della sperimentazione sugli embrioni. Le chiedo se le posizioni dei cattolici e dei laici, che appaiono assolutamente irriducibili (in quanto i cattolici considerano l’embrione come portatore di un progetto di vita assolutamente originario e irripetibile, perché viene da Dio, e invece i laici una entità biologica), potrebbero in qualche modo trovare un punto di congiunzione, di contatto nelle tesi avanzate dalla teologia americana, ad esempio dal teologo Norman Ford (che lei cita nel suo volume),1 il quale ritiene che si possa ipotizzare una fase preembrionale, tra il primo e il quattordicesimo giorno. In qualche modo mi sembra che egli apra una prospettiva d’incontro a queste due posizioni, quella laica e quella cattolica, che mi sembrano assolutamente irriducibili. Poiché, se per i cattolici si può accettare il fatto che l’embrione è già persona in quanto portatore di un progetto di vita, questa posizione però potrebbe chiudere la porta alla ricerca scientifica che è molto promettente nel caso di malattie degenerative molto gravi come l’Alzheimer, il Parkinson o le malattie cardiovascolari, che sono socialmente molto incidenti. Grazie. Gabriele: Io sono rimasto molto colpito da una parte del suo discorso, in cui affermava che non può essere un’autorità a stabilire per noi ciò che è giusto e ciò che è bene. Quindi lei ammette la possibilità di una scissione, di una contraddizione fra la legge morale individuale, fra il “tu devi” dell’individuo e invece la legge dello Stato, e quando c’è questa contraddizione l’individuo deve obbedire alla propria legge morale e disobbedire, se è il caso, all’autorità, disobbedire, se è il caso, allo Stato, ribellarsi, se è il caso, allo Stato. Ecco, a me sembra che questo ammetta: 1) forse anche l’anarchismo, 2) in ogni caso la possibilità che possa essere giusto ribellarsi o fare rivoluzioni o cose del genere, quando la legge dello Stato entra in qualche modo in contraddizione con la legge dell’individuo. In realtà queste coincidono, e poi secondo me è sbagliato dire che bisogna fare ciò che ordina l’autorità perché è giusto, ma una cosa, poiché l’ha ordinata l’autorità, è giusta. È questo, semmai, il ragionamento da fare secondo me. Prof.ssa Fierro: Il professore vuole segnare un’altra domanda, poi magari risponde un po’ adesso e un po’ dopo. Valerio: Salve, io le volevo domandare questo. Lei ha parlato di libertà e scelta dell’individuo, ma non ha mai affrontato il problema di come invece possano essere regolamentate tutte queste tecniche, queste novità, queste scoperte della biologia, etc. Assolutamente non ha affrontato il problema, ha parlato soltanto di morale, di etica

che noi ci sentiamo pronti a giustificare pubblicamente come una condotta legittima<br />

anche <strong>di</strong> fronte alle altre persone. Questo significa fare appello ad un <strong>di</strong>ritto morale.<br />

Fare appello ad un <strong>di</strong>ritto morale non equivale a <strong>di</strong>re “faccio quello che mi pare, non mi<br />

seccate ”. Richiamare un <strong>di</strong>ritto morale invece significa affermare la propria libertà<br />

pubblicamente, e però naturalmente avere delle ragioni solide per farlo. La prima<br />

ragione solida che deve accompagnare la pretesa <strong>di</strong> potere fare appello ad un <strong>di</strong>ritto<br />

morale è sapere bene come stanno le cose, e quin<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are, leggere, superare il piano<br />

della superficialità , la barbarie, la mancanza <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento, la vaghezza, il<br />

sentito <strong>di</strong>re . Per potere legittimamente usare il linguaggio dei <strong>di</strong>ritti morali nelle<br />

questioni della bioetica la prima cosa da fare è fare ciò per cui vi trovate in questo<br />

e<strong>di</strong>ficio: continuare a stu<strong>di</strong>are, riflettere, comprare libri, leggere libri, stu<strong>di</strong>are,<br />

stu<strong>di</strong>are, stu<strong>di</strong>are (applausi).<br />

(Trascrizione autorizzata rivista dall’autore)<br />

Prof.ssa Fierro: Vi ho visto così attenti e interessati, perché, appunto, il professore ci<br />

ha fatto uscire dalla vaghezza, da quella che spesso io chiamo “l’aria fritta”, la<br />

vaghezza, come l’ha chiamata lui, della cattiva informazione. Personalmente ho<br />

apprezzato anche l’impostazione <strong>di</strong> questa relazione da parte del maestro, perché ha<br />

posto tantissimi problemi senza insistere sulle soluzioni. Quin<strong>di</strong> io credo che siamo tutti<br />

adesso, <strong>di</strong>ciamo così, presi dal desiderio <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere, cioè <strong>di</strong> porre ulteriormente<br />

l’attenzione del professore ai problemi. Io vi faccio una proposta. Adesso, alle 11,00 voi<br />

fate l’intervallo, però cominciamo già a porre qualche interrogativo al professore. Poi,<br />

subito dopo l’intervallo tornate, il professore è così gentile da de<strong>di</strong>carci un pochino in<br />

più del suo tempo, e noi facciamo il <strong>di</strong>battito, che poi è la parte in cui voi siete<br />

protagonisti. Allora, vorrei cominciare a segnare qualche domanda, prima che, appunto,<br />

suoni l’intervallo. Chi si sente <strong>di</strong> aprire, <strong>di</strong> formulare qualche domanda? All’inizio i<br />

ragazzi sono sempre un po’ ritegnosi, poi vengono fuori. Chi vuole cominciare, i ragazzi,<br />

i professori? Per rompere il ghiaccio, cominciamo a fare una domanda da qui e poi, però,<br />

venite a farle voi. Naturalmente, per quello che mi riguarda ci sono tantissimi spunti <strong>di</strong><br />

riflessione, ma quella che mi viene subito, così, nell’imme<strong>di</strong>ato, non è tanto una<br />

domanda quanto una considerazione,un bisogno appunto <strong>di</strong> ulteriore riflessione.<br />

Riguarda proprio la conciliazione tra quella che è “la libertà in<strong>di</strong>viduale <strong>di</strong> decidere” e<br />

quelle che devono essere, poi, le norme: c’è, ci può essere, professore, davvero una<br />

corrispondenza, una non frattura tra quelle che sono le esigenze dell’etica dal punto <strong>di</strong><br />

vista dell’autonomia, cioè la libera scelta in<strong>di</strong>viduale, e quelle che devono essere le<br />

norme che in determinati ambiti devono avere una valenza non più soggettiva, ma una<br />

valenza per la collettività? Perché poi qui è il grosso problema. Però io vorrei che ne<br />

segnasse più d’una <strong>di</strong> domande, la mia è solo una delle tante.<br />

Prof.ssa Castriota: Professore, pongo una domanda che si muove nel mio animo da<br />

tanto, spero <strong>di</strong> riuscire ad articolarla prima <strong>di</strong> tutto. Nel momento in cui (ecco, io pongo<br />

un problema concreto al quale eticamente do una risposta) nell’ovulo viene immesso lo<br />

sperma <strong>di</strong> una persona <strong>di</strong> cui non si conosce l’origine, non si sa a chi appartenga, io mi<br />

chiedo: primo, quale atteggiamento riusciranno ad avere quei due genitori <strong>di</strong> un<br />

bambino che è figlio <strong>di</strong> quella mamma? Nel momento in cui nasceranno dei problemi, il<br />

padre che sa <strong>di</strong> non essere il padre, riuscirà eticamente ad avere la stessa libertà, lo<br />

stesso atteggiamento della mamma, che è la mamma <strong>di</strong> quel bambino, o si creerà<br />

comunque un problema etico da parte della figura paterna? Secondo, è giusto non dare a<br />

quel bambino il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> sapere chi è suo padre? Fino a che punto queste cose sono<br />

superabili? Francamente io pongo la prima questione come una questione grossa. Nella

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