Relazione Bioetica.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di Roma

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inverdiscano invece ostilità e sospetti tradizionali nella Chiesa di Roma nei confronti della democrazia stessa, ancora orgogliosamente rivendicati da papa Pacelli e felicemente attenuati e posti in sordina durante la stagione (evidentemente assai breve) del cattolicesimo conciliare. Valga il vero. Converrà certamente anche lei che una società democratica è tale perché in essa ciascuno partecipa in modo eguale alla comune sovranità, ha eguale titolo a determinare ogni decisione. Credente o non credente che sia. Ma tale decisione ha poi carattere vincolante per tutti, anche per chi non la ha condivisa. C’è il rischio permanente che una maggioranza opprima ogni minoranza, e la democrazia è fragile proprio perché costretta a camminare sul ciglio di questo baratro. Dal quale cerca di premunirsi con i noti strumenti costituzionali, che sottraggono al voto i famosi diritti «inalienabili». Ma quello stesso voto, a maggioranza, può alienare l’inalienabile nella volontà di un Führer o di un «Uomo della Provvidenza», come ci hanno raccontato per esperienza diretta i nostri nonni e i nostri padri. L’unico «fondamento» della convivenza democratica, insomma, è solo un diffuso e saturante ethos democratico. L’abc del quale – davvero minimo e irrinunciabile – è che ad ogni decisione si arrivi attraverso un processo deliberativo in cui ciascuno ha il dovere di rivolgersi a tutti gli altri cittadini, e argomentare, per convincerli della propria opinione. Poiché antinomie, aporie, paralogismi della democrazia, e marchingegni costituzionali e culturali per depotenziarne gli effetti, riempiono intere biblioteche, scendiamo dall’empireo della filosofia a una esemplificazione pratica. Poniamo che una persona X, debitamente eletta in parlamento, voglia introdurre una legge che consente la poligamia. Se ne dovrà discutere. Cioè ciascuno dovrà addurre argomenti. Pro e contro. Argomenti. Cioè valori democratici, fatti empirici accertabili, logica. Potrà, l’onorevole X, partire ad esempio dal valore democratico della libera scelta, e allora la poligamia, se consensuale, perché no?Gli si potrà ampiamente obiettare, gli argomenti «contro» non mancano. Non entro nel merito. Mi interessa solo sottolineare quelle che non potrebbero essere considerate argomentazioni (democratiche) a favore della poligamia. Non si potrebbe, ad esempio, pretendere di introdurre la poligamia solo per gli uomini. Violerebbe il principio di eguaglianza. E a tale obiezione non si potrebbe replicare: ma lo dice il Corano, che esprime la volontà di Dio. Dio non può essere un argomento, insomma, perché non può essere mai convincente – in linea di principio – per chi non è credente, per chi creda in un dio diverso, per chi creda nello stesso Dio ma ritenga che la Sua Parola vada interpretata differentemente. Non può, in linea di principio, diventare fattore di un dia-logos fra cittadini. Anzi: annulla dia-logos, argomentazione raziocinante, persuasione reciproca, dunque deliberazione democratica, nella regressione dello scontro tra dogmi (…). (Paolo Flores d’Arcais, Lettera aperta al cardinal Ruini, in «MicroMega», n.3, giugno-luglio 2005, pp.8-9) Testo n. 32 Umberto Veronesi: la legge 40 è una legge medievale. Confesso un disagio: quando penso alla legge 40 del 2004, che introduce tanti divieti per le coppie infertili che vorrebbero avere un figlio, mi vengono in mente i roghi che dal Quattordicesimo al Diciassettesimo secolo uccisero donne di cui si diceva che fossero streghe. Ovviamente, la ragione ci ricorda che nessuna di esse lo era. Perché le streghe non esistono, ed esistono invece i pregiudizi e le violenze. Insieme con quelle donne arse sui roghi, mi chiedo spesso, quanta parte del sapere femminile fu sacrificato e cancellato, tagliando alle radici una medicina dalla parte delle donne che forse sarà una conquista del futuro, ma che per adesso vive di vita precaria, episodica. Nei periodi in cui una società si muove e si rinnova, spinta dai propri giovani (pensiamo alla fine degli anni ’60, col movimento che partì dai campus americani) si profila una medicina rispettosa delle donne. E non solo. Perché, una medicina che rispetta sentimenti e diritti della parte di umanità storicamente più debole, acquista una forza in più, e diventa una medicina rispettosa dei diritti di tutti. Invece nei periodi di conservatorismo (e noi siamo in uno di questi) la medicina torna indietro e si apre a ideologie rigide e disumane, basate su principi astratti. Come medico che da tanti anni si occupa del tumore della mammella, ho naturalmente conosciuto moltissime donne, ho ascoltato le loro paure, i loro sfoghi, le loro speranze. Ho ascoltato la storia di tante vite al femminile. Alle mie pazienti ho potuto dare, insieme con la mia professionalità di chirurgo e di ricercatore, il mio ascolto e la mia profonda simpatia umana, ma non esito a dire che ho ricevuto da loro molto più di quanto ho dato. Ho ricevuto una visione del mondo tenera e coraggiosa, e soprattutto ho ricevuto, ascoltato e meditato la loro richiesta di autodeterminazione: la donna vuole che cessi l’assalto cruento al suo corpo da parte di una scienza professionale al maschile che solo in tempi recenti ha cominciato a interrogarsi sulla liceità di certi comportamenti. Nella mia memoria sfilano storie confidate con fatica, e con quella tremenda vergogna che è la vergogna incolpevole della vittima (...). Se privare la donna dell’utero o di una mammella è un assalto cruento al suo corpo e alla sua identità psicologica, pensiamo a quale inaccettabile prevaricazione sia negarle la speranza di maternità, contestualmente negando la speranza di paternità al suo compagno. Ora, io sono fermamente convinto che la libertà riproduttiva, affermata con la legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, sia parte inalienabile dei diritti della persona, e faccia capo a quel principio di responsabilità individuale che è proprio delle società democratiche. Perciò, a mio fermo avviso, occorre votare sì all’abrogazione di una legge che lede gravemente i diritti della persona. Dalla parte di chi difende la legge 40 e di chi la critica e la osteggia, si stanno facendo infinite discussioni: giuridiche, religiose, filosofiche, etiche. Con qualcosa di assurdo e di medioevale,come nel caso (e non sembrano passati i secoli) in cui si discute sul «quando» l’anima verrebbe istillata nell’embrione. Al momento stesso del concepimento? Dopo 14 giorni? Al momento in cui il feto viene considerato vitale e potrebbe essere capace di vita autonoma se nascesse anzitempo? Lasciando liberi gli altri, personalmente mi rifiuto di entrare in questo genere di discussioni. Mi limito a ricordare una cosa sola: prima di un certo stadio, un embrione ha in sé la capacità di dividersi in due, dando luogo a una gravidanza gemellare. L’alta frequenza di gemelli veri, cioè monovulari, rivela una predisposizione eccezionale dell’uovo umano a regolare il suo sviluppo dopo la duplicazione spontanea. Mi permetto di frequentare per un attimo un discorso che non mi appartiene, un discorso assurdo: sul filo del ragionamento di chi parla dell’anima, dobbiamo pensare che l’anima attribuita all’unico embrione iniziale può dividersi in due, dando luogo a due anime? Ora, invece, voglio tornare al discorso che più mi sta a cuore, cioè quello della libertà riproduttiva. Io credo che nella legge ci siano cose che non solo vanno contro questa libertà inalienabile, ma che sono ingiuste e inumane. Per esempio, perché la procreazione medicalmente assistita viene riservata dalla legge a coppie che sono afflitte da sterilità e infertilità, mentre è vietata alle coppie che sono minacciate da una malattia genetica, e che con la fecondazione in vitro e la diagnosi preimpianto potrebbero scegliere tra gli embrioni quello che non ha in sé l’eredità della malattia? E ancora: perché è vietata l’inseminazione eterologa, cioè

con il seme di un donatore? Se la donna è fertile e l’uomo non lo è, e se entrambi desiderano un figlio nato da lei, non è disumano stabilire questo divieto? Sia nella prima che nella seconda situazione, il risultato è che la speranza di un figlio viene negata per legge. (Umberto Veronesi, Perché io voto sì, in «L’Espresso», 7 aprile 2005, pp.30-32) Testo n. 33 Card. Ersilio Tonini: al prof. Veronesi dico che la scienza non può essere onnipotente. (…) E dunque il cardinale ha voglia di fare qualche domanda al professore. Di portargli qualche argomento contrario. Per esempio ho letto che per Veronesi la proibizione della diagnosi reimpianto sull’embrione è «inumana». Questa diagnosi porta alla selezione ed eliminazione degli embrioni malati, e per la legge italiana è eugenetica. Ho sottogli occhi gli atti di un convegno di filosofi e bioeticisti invitati da Robert Edwards, un «padre» della provetta, alla Royal Society nel novembre scorso a Londra. Veronesi non ne sa niente? È raggelante: è stato affermato senza remore che, visto che la diagnosi reimpianto è possibile, abbiamo ora il «dovere morale» di migliorare la specie, di fare uomini più intelligenti e più riusciti. Che i genitori hanno il diritto di scegliersi i figli come li vogliono. Che «ci sono esseri umani che non sono persone» (cioè i minorati, i dementi non sono persone). Uno dei più famosi bioeticisti britannici, Gregory Stock, ha scritto u n libro dal titolo «Redesigning humans», ridisegnare gli uomini. Davvero non vede, professore, che il divieto alla diagnosi sugli embrioni è una barriera a una deriva eugenetica già chiara – che è anche questa la posta in gioco? C’è la ricerca, altro nodo drammatico. L’uso degli embrioni. Per Veronesi non c’è problema: «Piuttosto che finire in un lavandino – ha detto – gli embrioni potrebbero essere fondamentali per la ricerca sulle staminali: donatori di cellule così come un adulto, constatata la morte cerebrale, può essere donatore di organi». Ma l’embrione è vivo, scoppia di vita, lo dice l’etimo greco, «en bruo», sono pieno, sono colmo, germoglio. È talmente vivo che occorre bloccarlo col gelo a meno 195 gradi, per fermarlo. In Gran Bretagna siamo già al cinismo sinistro della relatrice Lisa Bortolotti al convegno di Edwards, che ha detto che «la dignità degli embrioni consiste nell’essere usati come cadaveri negli istituti di anatomia». Ma, vorrei chiedere a Veronesi, davvero non sente esitazioni davanti a una ricerca che usi e uccida l’embrione per curare altri uomini? Non si rende conto che qui siamo sul crinale in cui si supera e cancella il messaggio cristiano, ma ormai universale, per cui tutti gli uomini sono uguali fra loro? Che ci si butta alle spalle Kant, che gli uomini da fine diventano solo un mezzo? E se poi il professore volesse rispondermi che fino a 14 giorni dall’unione dei gameti non c’è nulla, o, come ha affermato, che «l’anima esiste se c’è un pensiero», gli chiederei se allora è d’accordo con quella filosofa inglese, per la quale ci sono esseri umani che n on sono persone. Se un autistico o un cerebroleso sono persone, oppure no. (Intervista al cardinale Ersilio Tonini di Marina Corradi, «Caro Veronesi, la scienza non è onnipotente», in «Avvenire», 6 giugno 2005) Testo n. 34 Comitato «Scienza & Vita» e «Comitato per il Sì ai referendum»: le ragioni dell’astensione e quelle del sì a confronto sul primo quesito. LA LEGGE 40 PROMUOVE LA RICERCA NEL RISPETTO DELLA VITA. Il primo referendum è stato presentato dai promotori “per consentire nuove cure per malattie come l’Alzheimer, il Parkinson, la sclerosi, il diabete, le cardiopatie, i tumori”. Ad oggi non esiste un solo caso al mondo in cui le cellule staminali embrionali abbiano guarito tali malattie, mentre risultati incoraggianti sono stati raggiunti solo con le staminali adulte. IN REALTÀ IL REFERENDUM VUOLE introdurre la possibilità di produrre embrioni in numero superiore a quelli che verranno impiantati e il loro conseguente congelamento. Sugli embrioni soprannumerari si vogliono fare sperimentazioni distruttive. Inoltre questo referendum vuole consentire la clonazione. (da un dépliant del Comitato per la legge 40 «Scienza & Vita») VOTIAMO SÌ AL 1° QUESITO. Consentendo la ricerca sulle cellule staminali pre-embrionali, diremo sì alla possibilità di nuove cure per molte malattie. Le cellule staminali pre-embrionali, avendo la caratteristica di moltiplicarsi e di differenziarsi, possono ricostituire qualsiasi parte del corpo umano. Da queste dipende il futuro della ricerca biomedica e la possibilità di trovare cure per malattie oggi molto diffuse, come il Parkinson, l’Alzheimer, il diabete. Da esse può derivare una speranza per milioni di persone. Perché impedirlo, lasciando inutilizzati gli embrioni attualmente congelati, quando potrebbero essere utili per scoprire nuove cure? Votare Sì al 1° quesito referendario significa abrogare parte degli articoli 12, 13 e 14 della Legge 40/2004, consentendo nuove speranze di vita e di guarigione per molti malati. (da un dépliant del «Comitato per il Sì ai referendum») Testo n. 35 Marcello Pera: non voterò perché la questione della fecondazione artificiale non si risolve con un referendum, ma in Parlamento. (...) Dire «sì» ai quesiti referendari equivale a non toccare più alcunché per molti anni a venire. Ugualmente, dire «no» rende intangibile l’argomento. Ma di qui a poco si potrebbe sentire l’esigenza di tornarci sopra. Chi meglio del Parlamento può svolgere questa riflessione, anche in vista di future revisioni della legge? Dove meglio che in Parlamento si trovano persone rappresentanti di tutte le opinioni, e consapevoli di tutte le esigenze da bilanciare, che, discutendo per mesi o anni (come è accaduto da noi) alla fine riescono a trovare una soluzione di equilibrio, la quale, se non accontenta tutti, almeno scontenta il minor numero? Con i referendum in materia di bioetica – ma sarebbe lo stesso con i referendum in materia di pena di morte o di norme penali – non è in gioco un istituto della democrazia diretta; è in gioco la capacità della democrazia diretta di risolvere con l’accetta del «sì» e del «no» ciò che la democrazia parlamentare indiretta sa risolvere con gli strumenti più raffinati del confronto.

inver<strong>di</strong>scano invece ostilità e sospetti tra<strong>di</strong>zionali nella Chiesa <strong>di</strong> <strong>Roma</strong> nei confronti della democrazia stessa, ancora<br />

orgogliosamente riven<strong>di</strong>cati da papa Pacelli e felicemente attenuati e posti in sor<strong>di</strong>na durante la stagione (evidentemente assai breve)<br />

del cattolicesimo conciliare.<br />

Valga il vero. Converrà certamente anche lei che una società democratica è tale perché in essa ciascuno partecipa in modo eguale<br />

alla comune sovranità, ha eguale titolo a determinare ogni decisione. Credente o non credente che sia. Ma tale decisione ha poi<br />

carattere vincolante per tutti, anche per chi non la ha con<strong>di</strong>visa. C’è il rischio permanente che una maggioranza opprima ogni<br />

minoranza, e la democrazia è fragile proprio perché costretta a camminare sul ciglio <strong>di</strong> questo baratro. Dal quale cerca <strong>di</strong> premunirsi<br />

con i noti strumenti costituzionali, che sottraggono al voto i famosi <strong>di</strong>ritti «inalienabili». Ma quello stesso voto, a maggioranza, può<br />

alienare l’inalienabile nella volontà <strong>di</strong> un Führer o <strong>di</strong> un «Uomo della Provvidenza», come ci hanno raccontato per esperienza <strong>di</strong>retta<br />

i nostri nonni e i nostri padri.<br />

L’unico «fondamento» della convivenza democratica, insomma, è solo un <strong>di</strong>ffuso e saturante ethos democratico. L’abc del quale<br />

– davvero minimo e irrinunciabile – è che ad ogni decisione si arrivi attraverso un processo deliberativo in cui ciascuno ha il dovere<br />

<strong>di</strong> rivolgersi a tutti gli altri citta<strong>di</strong>ni, e argomentare, per convincerli della propria opinione.<br />

Poiché antinomie, aporie, paralogismi della democrazia, e marchingegni costituzionali e culturali per depotenziarne gli effetti,<br />

riempiono intere biblioteche, scen<strong>di</strong>amo dall’empireo della filosofia a una esemplificazione pratica.<br />

Poniamo che una persona X, debitamente eletta in parlamento, voglia introdurre una legge che consente la poligamia. Se ne dovrà<br />

<strong>di</strong>scutere. Cioè ciascuno dovrà addurre argomenti. Pro e contro.<br />

Argomenti. Cioè valori democratici, fatti empirici accertabili, logica. Potrà, l’onorevole X, partire ad esempio dal valore<br />

democratico della libera scelta, e allora la poligamia, se consensuale, perché no?Gli si potrà ampiamente obiettare, gli argomenti<br />

«contro» non mancano. Non entro nel merito. Mi interessa solo sottolineare quelle che non potrebbero essere considerate<br />

argomentazioni (democratiche) a favore della poligamia. Non si potrebbe, ad esempio, pretendere <strong>di</strong> introdurre la poligamia solo per<br />

gli uomini. Violerebbe il principio <strong>di</strong> eguaglianza. E a tale obiezione non si potrebbe replicare: ma lo <strong>di</strong>ce il Corano, che esprime la<br />

volontà <strong>di</strong> Dio.<br />

Dio non può essere un argomento, insomma, perché non può essere mai convincente – in linea <strong>di</strong> principio – per chi non è<br />

credente, per chi creda in un <strong>di</strong>o <strong>di</strong>verso, per chi creda nello stesso Dio ma ritenga che la Sua Parola vada interpretata<br />

<strong>di</strong>fferentemente. Non può, in linea <strong>di</strong> principio, <strong>di</strong>ventare fattore <strong>di</strong> un <strong>di</strong>a-logos fra citta<strong>di</strong>ni. Anzi: annulla <strong>di</strong>a-logos,<br />

argomentazione raziocinante, persuasione reciproca, dunque deliberazione democratica, nella regressione dello scontro tra dogmi<br />

(…).<br />

(Paolo Flores d’Arcais, Lettera aperta al car<strong>di</strong>nal Ruini, in «MicroMega», n.3, giugno-luglio 2005, pp.8-9)<br />

Testo n. 32<br />

Umberto Veronesi: la legge 40 è una legge me<strong>di</strong>evale.<br />

Confesso un <strong>di</strong>sagio: quando penso alla legge 40 del 2004, che introduce tanti <strong>di</strong>vieti per le coppie infertili che vorrebbero avere<br />

un figlio, mi vengono in mente i roghi che dal Quattor<strong>di</strong>cesimo al Diciassettesimo secolo uccisero donne <strong>di</strong> cui si <strong>di</strong>ceva che fossero<br />

streghe. Ovviamente, la ragione ci ricorda che nessuna <strong>di</strong> esse lo era. Perché le streghe non esistono, ed esistono invece i pregiu<strong>di</strong>zi e<br />

le violenze. Insieme con quelle donne arse sui roghi, mi chiedo spesso, quanta parte del sapere femminile fu sacrificato e cancellato,<br />

tagliando alle ra<strong>di</strong>ci una me<strong>di</strong>cina dalla parte delle donne che forse sarà una conquista del futuro, ma che per adesso vive <strong>di</strong> vita<br />

precaria, episo<strong>di</strong>ca. Nei perio<strong>di</strong> in cui una società si muove e si rinnova, spinta dai propri giovani (pensiamo alla fine degli anni ’60,<br />

col movimento che partì dai campus americani) si profila una me<strong>di</strong>cina rispettosa delle donne. E non solo. Perché, una me<strong>di</strong>cina che<br />

rispetta sentimenti e <strong>di</strong>ritti della parte <strong>di</strong> umanità storicamente più debole, acquista una forza in più, e <strong>di</strong>venta una me<strong>di</strong>cina rispettosa<br />

dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> tutti. Invece nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> conservatorismo (e noi siamo in uno <strong>di</strong> questi) la me<strong>di</strong>cina torna in<strong>di</strong>etro e si apre a ideologie<br />

rigide e <strong>di</strong>sumane, basate su principi astratti.<br />

Come me<strong>di</strong>co che da tanti anni si occupa del tumore della mammella, ho naturalmente conosciuto moltissime donne, ho ascoltato<br />

le loro paure, i loro sfoghi, le loro speranze. Ho ascoltato la storia <strong>di</strong> tante vite al femminile. Alle mie pazienti ho potuto dare,<br />

insieme con la mia professionalità <strong>di</strong> chirurgo e <strong>di</strong> ricercatore, il mio ascolto e la mia profonda simpatia umana, ma non esito a <strong>di</strong>re<br />

che ho ricevuto da loro molto più <strong>di</strong> quanto ho dato. Ho ricevuto una visione del mondo tenera e coraggiosa, e soprattutto ho<br />

ricevuto, ascoltato e me<strong>di</strong>tato la loro richiesta <strong>di</strong> autodeterminazione: la donna vuole che cessi l’assalto cruento al suo corpo da parte<br />

<strong>di</strong> una scienza professionale al maschile che solo in tempi recenti ha cominciato a interrogarsi sulla liceità <strong>di</strong> certi comportamenti.<br />

Nella mia memoria sfilano storie confidate con fatica, e con quella tremenda vergogna che è la vergogna incolpevole della vittima<br />

(...). Se privare la donna dell’utero o <strong>di</strong> una mammella è un assalto cruento al suo corpo e alla sua identità psicologica, pensiamo a<br />

quale inaccettabile prevaricazione sia negarle la speranza <strong>di</strong> maternità, contestualmente negando la speranza <strong>di</strong> paternità al suo<br />

compagno. Ora, io sono fermamente convinto che la libertà riproduttiva, affermata con la legge 194 sull’interruzione volontaria della<br />

gravidanza, sia parte inalienabile dei <strong>di</strong>ritti della persona, e faccia capo a quel principio <strong>di</strong> responsabilità in<strong>di</strong>viduale che è proprio<br />

delle società democratiche. Perciò, a mio fermo avviso, occorre votare sì all’abrogazione <strong>di</strong> una legge che lede gravemente i <strong>di</strong>ritti<br />

della persona. Dalla parte <strong>di</strong> chi <strong>di</strong>fende la legge 40 e <strong>di</strong> chi la critica e la osteggia, si stanno facendo infinite <strong>di</strong>scussioni: giuri<strong>di</strong>che,<br />

religiose, filosofiche, etiche. Con qualcosa <strong>di</strong> assurdo e <strong>di</strong> me<strong>di</strong>oevale,come nel caso (e non sembrano passati i secoli) in cui si<br />

<strong>di</strong>scute sul «quando» l’anima verrebbe istillata nell’embrione. Al momento stesso del concepimento? Dopo 14 giorni? Al momento<br />

in cui il feto viene considerato vitale e potrebbe essere capace <strong>di</strong> vita autonoma se nascesse anzitempo? Lasciando liberi gli altri,<br />

personalmente mi rifiuto <strong>di</strong> entrare in questo genere <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussioni. Mi limito a ricordare una cosa sola: prima <strong>di</strong> un certo sta<strong>di</strong>o, un<br />

embrione ha in sé la capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>vidersi in due, dando luogo a una gravidanza gemellare. L’alta frequenza <strong>di</strong> gemelli veri, cioè<br />

monovulari, rivela una pre<strong>di</strong>sposizione eccezionale dell’uovo umano a regolare il suo sviluppo dopo la duplicazione spontanea.<br />

Mi permetto <strong>di</strong> frequentare per un attimo un <strong>di</strong>scorso che non mi appartiene, un <strong>di</strong>scorso assurdo: sul filo del ragionamento <strong>di</strong> chi<br />

parla dell’anima, dobbiamo pensare che l’anima attribuita all’unico embrione iniziale può <strong>di</strong>vidersi in due, dando luogo a due anime?<br />

Ora, invece, voglio tornare al <strong>di</strong>scorso che più mi sta a cuore, cioè quello della libertà riproduttiva. Io credo che nella legge ci<br />

siano cose che non solo vanno contro questa libertà inalienabile, ma che sono ingiuste e inumane. Per esempio, perché la<br />

procreazione me<strong>di</strong>calmente assistita viene riservata dalla legge a coppie che sono afflitte da sterilità e infertilità, mentre è vietata alle<br />

coppie che sono minacciate da una malattia genetica, e che con la fecondazione in vitro e la <strong>di</strong>agnosi preimpianto potrebbero<br />

scegliere tra gli embrioni quello che non ha in sé l’ere<strong>di</strong>tà della malattia? E ancora: perché è vietata l’inseminazione eterologa, cioè

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