Relazione Bioetica.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di Roma

Relazione Bioetica.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di Roma Relazione Bioetica.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di Roma

liceo.orazio.it
from liceo.orazio.it More from this publisher
17.06.2013 Views

Testo n. 16 Francesco d’Agostino: la scienza deve porsi dei limiti. (…) In Inghilterra un’équipe di Newcastle è stata autorizzata a produrre cellule staminali embrionali per la cura del diabete, la Francia di recente ha permesso la ricerca sugli embrioni inutilizzati, in Spagna è stata avviata la produzione di linee cellulari embrionali. Il veto posto dalla legge 40 rischia di fare dell’Italia la «Siberia» di questo filone di studi… «Sono convinto che sia necessario riaffermare il divieto di ogni forma di manipolazione dell’embrione perché la motivazione di queste ricerche è sostanzialmente utilitaristica, rivolta soltanto a un risultato scientifico. Il compito della Bioetica oggi è quello di porre limiti allo sperimentalismo, richiamando al rispetto della vita umana. Non dimentichiamo che s e da una parte si vuole lavorare senza vincoli sull’embrione, dall’altra oggi si cerca di limitare il più possibile la sperimentazione sugli animali, sull’onda di una crescente sensibilità nei confronti dei loro diritti. Tanto che è prevista, addirittura, l’obiezione di coscienza dello sperimentatore. Si sta configurando un paradosso: gli “animali non umani” sembrano oggi più meritevoli di rispetto degli umani». Ma gli embrioni dimenticati nei laboratori della fecondazione assistita sono vite che potenziali non saranno mai più. Anche su questi vigono le stesse riserve etiche? «Sì, perché anche questa presunta autolimitazione dei ricercatori è solo strumentale: è il primo passo per ricorrere poi all’embrione “fresco”, creato ad hoc. Il terreno, se non si pongono limiti invalicabili, diventa subito scivoloso. È vero che ha ammesso la sperimentazione sugli embrioni in esubero e dimenticati un Paese cattolico come la Spagna, ma l’assimilazione della cultura ispanica a quella italiana solo per quanto riguarda il credo religioso è una forzatura. Abbiamo un retroterra storico e culturale completamente diverso» (…). (Intervista a Francesco D’Agostino di Franca Porciani, «È necessario porsi dei limiti. Puntiamo sulle staminali adulte», in «Corriere della Sera», 15 gennaio 2005) Testo n. 17 Carlo Alberto Redi: è un errore frenare la scienza. (…) A Redi, ricercatore dichiaratamente laico, chiediamo se condivide il divieto del fronte cattolico alla manipolazione dell’embrione. «Io credo che qualsiasi argomentazione religiosa sia rispettabile. Sia quella cattolica che considera l’embrione in ogni suo stadio, anche quello primordiale, già una vita compiuta, sia quella ebraica che ritiene le prime fasi della vita embrionale prive ancora di un’identità, di un’anima. Ma queste problematiche attingono più alla filosofia che alla scienza. Per noi ricercatori la vita è, piuttosto, una materia, una realtà biologica. Però, nel caso italiano, bisogna stare attenti a non confondere le acque. Qui non si sta discutendo dell’ipotesi di autorizzare la creazione di embrioni a scopo di ricerca, come è avvenuto nel Regno Unito, ma di utilizzare gli embrioni “scartati” e dimenticati da anni in frigorifero nei centri di fecondazione assistita. Sotto il profilo etico, è più accettabile buttarli via o far sì che queste cellule continuino a vivere in un altro modo e per scopi utili alla scienza? In altri termini, bisogna porsi il problema del destino di queste vite non vite, senza ipocrisie». Ma vale veramente la pena di «sacrificarli» alla ricerca? Queste potenzialità terapeutiche delle staminali embrionali esistono o sono ancora da dimostrare? «Esistono, eccome. Ci sono ormai prove scientifiche certe che le staminali embrionali hanno una straordinaria capacità di moltiplicarsi e di differenziarsi in cellule mature di vari tessuti. Basta ricordare un solo esperimento, quello di Tiziano Barbieri al Memorial Sloan-Kettering Center di New York che ha dimostrato (e pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences) come da una sola staminale embrionale si possa ricavare un milione di neuroni specializzati, che producono dopamina, un mediatore cerebrale. Il problema oggi è, piuttosto, quello di governare la crescita di queste cellule, evitando che producano tumori. Ma d’altra parte il loro studio ci darà anche informazioni importanti su come si sviluppa una malattia come il cancro. Intanto in Inghilterra si sta già lavorando, a Newcastle, a una possibile terapia sperimentale per il diabete. E molto altro è in gestazione in tutto il mondo». Da noi, come è stato detto, il via libera è stato dato solo alle staminali adulte. Che cosa ne pensa? «Non si tratta certo di risorse sprecate. Noi ricercatori siamo solo felici quando lo Stato finanzia studi. Non succede spesso. Ci sono cervelli brillanti impegnati sul fronte delle staminali adulte e i risultati sono lusinghieri. Ma non condivido la pregiudiziale ideologica: non si può privilegiare un ambito di ricerca e metterne in cantina un altro. È una scelta antiscientifica: la ricerca ha una sua circolarità, ogni scoperta è il tassello di un puzzle che si va via via componendo fino a chiarire alcuni punti chiave. Per questo deve poter spaziare, non avere steccati, né essere oggetto di proibizionismo» (…). (Intervista a Carlo Alberto Redi di Franca Porciani, «Sbagliato frenare la scienza. Ecco cosa potremmo curare», in «Corriere della Sera», 15 gennaio 2005) Testo n. 18 Ernesto Galli della Loggia: il contraddittorio atteggiamento della Chiesa di fronte alla vita che nasce e a quella che muore. (...) Venti, trenta anni fa, si accettò senza problemi che la morte non consistesse più nella cessazione del battuto cardiaco e del respiro, secondo quanto suggeriva la più elementare naturalità, bensì in un particolare andamento dell’encefalogramma: che la morte cioè dipendesse dal responso di una macchina. Non solo: a ovvio completamento di quanto sopra si accettò, sempre senza problemi, che il corpo umano fosse virtualmente ridotto a un magazzino di parti di ricambio. Che fosse fatto a pezzi per servire a quella che da allora si è convenuto di chiamare «donazione» a dispetto del fatto che il più delle volte questa avviene nella più assoluta inconsapevolezza del donatore, che giace immerso nel buio dell’agonia. La Chiesa, insomma, ha accettato senza problemi quello che è difficile non definire come il totale sequestro della parte estrema della vita, cioè della morte, da parte del sapere tecnico-scientifico. Per buone ragioni, come si capisce: o per lo meno rese tali dall’impellente richiesta dei vivi di restare in vita a spese di chi muore; richiesta a cui evidentemente anche il magistero allora non se la sentì di opporsi. In questo modo, però, esso ha aperto la porta, oggi, a un’inevitabile obiezione: se è lecito decidere del momento della cessazione della vita indipendentemente dalla naturalità, perché mai la questione della naturalità diviene invece così cruciale quando si tratta dell’inizio della vita medesima? Perché mai l’artificialità deve restare assolutamente lontana da questo inizio ma può invece coinvolgere massicciamente quella fine?

Un altro interrogativo ancora, al quale ho già accennato, si affaccia subito dopo. Nella posizione cattolica sulla fecondazione assistita, come del resto in quella sull’aborto, la sacralità della vita è strettamente connessa all’idea della persona umana fatta «a immagine e somiglianza di Dio», e dunque per questa via a una proclamata sacralità del corpo umano. Ma allora come si spiega l’ammissibilità etica di trattamenti così radicalmente diversi per il corpo quando esso è nella sua fase embrionale e quando invece esso è un corpo ormai morente? Vorrei chiarire per concludere, che quelle fatte in queste righe sono domande vere, non a fini polemici bensì per il sincero desiderio di avere una risposta, di capire realmente le ragioni della Chiesa (...). (Ernesto Galli della Loggia, Le contraddizioni della Chiesa, in «Corriere della Sera», 23 gennaio 2005) Testo n. 19 Francesco D’Agostino: non v’è alcuna contraddizione per la Chiesa di fronte alla nascita e alla morte. (...) Attualmente la biologia afferma che, a partire dal concepimento, la formazione dell’embrione prima, e del feto poi, è un continuum. Ma, se un domani le conoscenze scientifiche giungessero invece a affermare il contrario, cosa dovrebbe fare la Chiesa? «Ritengo che il magistero della Chiesa ne prenderebbe lealmente atto. Vede, ci sono tanti equivoci da dissipare. Sentiamo comunemente ripetere che l’affermazione secondo cui l’embrione è un nuovo individuo fin dall’inizio del concepimento è un’affermazione fideistica. In realtà, essa è assolutamente in linea con le scoperte della biologia, consolidate in tutti i manuali comunemente usati nelle università». Torniamo alla contraddizione segnalata da Galli della Loggia. Il moribondo, o meglio il defunto in stato di morte cerebrale, sarebbe ridotto dalla Chiesa a una mera possibile fonte di organi da prelevare a fini di trapianto. L’embrione è ritenuto invece intangibile, in ogni caso, e non può mai diventare oggetto di ricerca. Perché? «Perché il donatore di organi è un cadavere, mentre l’embrione è un individuo vivente. Perché il donatore di organi, o la sua famiglia, hanno dato il consenso all’espianto, mentre all’embrione nessuno richiede il consenso, né esso potrebbe darlo. Per quanto i trapianti siano l’unica possibile terapia per tante malattie altrimenti mortali, essi non potrebbero mai essere giustificati se presupponessero l’omicidio o comunque comportassero la morte del donatore di organi. La sperimentazione sugli embrioni ne implica di necessità la distruzione o, per usare un’espressione più diretta, l’uccisione. Non può avere valore etico il principio secondo il quale si debba uccidere, per realizzare il bene di qualcuno, anche di un malato terminale» (...). (Intervista a Francesco D’Agostino di Marina Corradi, Per la vita, dall’inizio alla fine, in «Avvenire», 26 gennaio 2005) Testo n.20 Giovanni Sartori: la vita umana è definita dalla autoconsapevolezza, perciò la ragione ci dice che l’embrione non è un individuo umano. (…) Su quando scocca la scintilla della vita nei primati, e specificamente nell’uomo (saltiamo, per brevità, tutte le altre vite), la risposta è oramai sicura: comincia nell’attimo della fecondazione, della congiunzione dello spermatozoo maschile con un gamete femminile. Ma, al solito (la domanda non è evadibile), questa fecondazione è già, a quel momento, vita umana? La fede, se così le viene imposto dalle sue autorità, può rispondere di sì. Ma la ragione, vedremo, deve rispondere di no. Quanto alla scienza, la domanda su quando «un embrione diventa persona e gode dei diritti spettanti a una persona… è domanda che esula dalla biologia e dalla scienza in generale» (cito da Edoardo Boncinelli su queste colonne). Proprio così. Veniamo alla ragione,all’argomento razionale. In quel contesto l’argomento è che la vita umana è diversa dalla vita animale perché l’uomo è un essere capace di riflettere su se stesso, e quindi caratterizzato da autoconsapevolezza. L’animale non sa di dover morire; l’uomo lo sa. L’animale soffre fisicamente perché è dotato di sistema nervoso; ma l’uomo soffre anche psicologicamente, anche spiritualmente. Diciamo, allora, che la vita umana comincia a diventare diversa, radicalmente diversa da quella di ogni altro animale superiore quando comincia a «rendersi conto». Non certo da quando sta ancora nell’utero della madre. Papa Wojtyla asserisce che «la scienza ha ormai dimostrato che l’embrione è un individuo umano», e come tale non uccidibile. Ma non è così. La scienza è sottoposta, nel suo argomentare, alle regole della logica. E per la logica io uccido esattamente quel che uccido. Non posso uccidere un futuro, qualcosa che ancora non esiste. Se uccido un girino non uccido una rana. Se bevo un uovo di gallina non uccido una gallina. Se mangio una tazza di caviale non mangio cento storioni. E dunque l’asserzione (la terza del quesito referendario sul quale andremo a votare) che i diritti dell’embrione sono equivalenti a quelli delle persone già nate è, per la logica, una assurdità. (Giovanni Sartori, La vita umana secondo ragione, in «Corriere della Sera», 28 febraio 2005) Testo n. 21 Rocco Buttiglione: è pericoloso usare il concetto di autocoscienza (hegeliana) per definire la vita umana. (…) Ma veniamo al nocciolo dell’argomentazione del professor Sartori. Egli ci dice che merita rispetto non la vita in generale, ma la vita umana. Ma cosa è la vita umana e in che cosa si differenzia dalla vita, per esempio, di un cane? La risposta più ovvia, quella che viene in mente a quelli che come noi non sono molto (troppo?) istruiti o molto sapienti, è che la vita umana è la vita di un individuo della specie homo sapiens mentre la vita di un cane è quella di un individuo appartenente alla specie canis familiaris. Il professor Sartori invece di darci la banale risposta che troviamo in ogni manuale di biologia per le scuole secondarie, ci dice che la vita umana è caratterizzata dalla autoconsapevolezza. Cosa sia questa autoconsapevolezza, Sartori non ce lo spiega in dettaglio ma chi ha una infarinatura di filosofia non faticherà a riconoscere la autocoscienza hegeliana. Il problema è che (come bene insegna lo stesso Hegel) non tutti gli uomini sono autocoscienti. E non solo non è autocosciente l’embrione, ma non è autocoscienze neppure il feto. E neppure il bambino, almeno fino ad una certa età. Non sono autocoscienti molti disabili e non siamo autocoscienti tutti noi almeno quando dormiamo. C’è di più. Quell’io, di cui dobbiamo essere coscienti per avere diritto alla vita, come lo definiamo? A secondo del modo in cui definiamo l’io cambia anche l’idea di autocoscienza che abbiamo e cambia anche l’ambito di coloro che riteniamo abbiano diritto alla vita.

Un altro interrogativo ancora, al quale ho già accennato, si affaccia subito dopo. Nella posizione cattolica sulla fecondazione<br />

assistita, come del resto in quella sull’aborto, la sacralità della vita è strettamente connessa all’idea della persona umana fatta «a<br />

immagine e somiglianza <strong>di</strong> Dio», e dunque per questa via a una proclamata sacralità del corpo umano. Ma allora come si spiega<br />

l’ammissibilità etica <strong>di</strong> trattamenti così ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>versi per il corpo quando esso è nella sua fase embrionale e quando invece<br />

esso è un corpo ormai morente? Vorrei chiarire per concludere, che quelle fatte in queste righe sono domande vere, non a fini<br />

polemici bensì per il sincero desiderio <strong>di</strong> avere una risposta, <strong>di</strong> capire realmente le ragioni della Chiesa (...).<br />

(Ernesto Galli della Loggia, Le contrad<strong>di</strong>zioni della Chiesa, in «Corriere della Sera», 23 gennaio 2005)<br />

Testo n. 19<br />

Francesco D’Agostino: non v’è alcuna contrad<strong>di</strong>zione per la Chiesa <strong>di</strong> fronte alla nascita e alla morte.<br />

(...) Attualmente la biologia afferma che, a partire dal concepimento, la formazione dell’embrione prima, e del feto poi, è<br />

un continuum. Ma, se un domani le conoscenze scientifiche giungessero invece a affermare il contrario, cosa dovrebbe fare la<br />

Chiesa?<br />

«Ritengo che il magistero della Chiesa ne prenderebbe lealmente atto. Vede, ci sono tanti equivoci da <strong>di</strong>ssipare. Sentiamo<br />

comunemente ripetere che l’affermazione secondo cui l’embrione è un nuovo in<strong>di</strong>viduo fin dall’inizio del concepimento è<br />

un’affermazione fideistica. In realtà, essa è assolutamente in linea con le scoperte della biologia, consolidate in tutti i manuali<br />

comunemente usati nelle università».<br />

Torniamo alla contrad<strong>di</strong>zione segnalata da Galli della Loggia. Il moribondo, o meglio il defunto in stato <strong>di</strong> morte<br />

cerebrale, sarebbe ridotto dalla Chiesa a una mera possibile fonte <strong>di</strong> organi da prelevare a fini <strong>di</strong> trapianto. L’embrione è<br />

ritenuto invece intangibile, in ogni caso, e non può mai <strong>di</strong>ventare oggetto <strong>di</strong> ricerca. Perché?<br />

«Perché il donatore <strong>di</strong> organi è un cadavere, mentre l’embrione è un in<strong>di</strong>viduo vivente. Perché il donatore <strong>di</strong> organi, o la sua<br />

famiglia, hanno dato il consenso all’espianto, mentre all’embrione nessuno richiede il consenso, né esso potrebbe darlo. Per quanto i<br />

trapianti siano l’unica possibile terapia per tante malattie altrimenti mortali, essi non potrebbero mai essere giustificati se<br />

presupponessero l’omici<strong>di</strong>o o comunque comportassero la morte del donatore <strong>di</strong> organi. La sperimentazione sugli embrioni ne<br />

implica <strong>di</strong> necessità la <strong>di</strong>struzione o, per usare un’espressione più <strong>di</strong>retta, l’uccisione. Non può avere valore etico il principio secondo<br />

il quale si debba uccidere, per realizzare il bene <strong>di</strong> qualcuno, anche <strong>di</strong> un malato terminale» (...).<br />

(Intervista a Francesco D’Agostino <strong>di</strong> Marina Corra<strong>di</strong>, Per la vita, dall’inizio alla fine, in «Avvenire», 26 gennaio 2005)<br />

Testo n.20<br />

Giovanni Sartori: la vita umana è definita dalla autoconsapevolezza, perciò la ragione ci <strong>di</strong>ce che l’embrione non è un<br />

in<strong>di</strong>viduo umano.<br />

(…) Su quando scocca la scintilla della vita nei primati, e specificamente nell’uomo (saltiamo, per brevità, tutte le altre vite), la<br />

risposta è oramai sicura: comincia nell’attimo della fecondazione, della congiunzione dello spermatozoo maschile con un gamete<br />

femminile. Ma, al solito (la domanda non è eva<strong>di</strong>bile), questa fecondazione è già, a quel momento, vita umana? La fede, se così le<br />

viene imposto dalle sue autorità, può rispondere <strong>di</strong> sì. Ma la ragione, vedremo, deve rispondere <strong>di</strong> no. Quanto alla scienza, la<br />

domanda su quando «un embrione <strong>di</strong>venta persona e gode dei <strong>di</strong>ritti spettanti a una persona… è domanda che esula dalla biologia e<br />

dalla scienza in generale» (cito da Edoardo Boncinelli su queste colonne). Proprio così.<br />

Veniamo alla ragione,all’argomento razionale. In quel contesto l’argomento è che la vita umana è <strong>di</strong>versa dalla vita animale<br />

perché l’uomo è un essere capace <strong>di</strong> riflettere su se stesso, e quin<strong>di</strong> caratterizzato da autoconsapevolezza. L’animale non sa <strong>di</strong> dover<br />

morire; l’uomo lo sa. L’animale soffre fisicamente perché è dotato <strong>di</strong> sistema nervoso; ma l’uomo soffre anche psicologicamente,<br />

anche spiritualmente. Diciamo, allora, che la vita umana comincia a <strong>di</strong>ventare <strong>di</strong>versa, ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>versa da quella <strong>di</strong> ogni altro<br />

animale superiore quando comincia a «rendersi conto». Non certo da quando sta ancora nell’utero della madre.<br />

Papa Wojtyla asserisce che «la scienza ha ormai <strong>di</strong>mostrato che l’embrione è un in<strong>di</strong>viduo umano», e come tale non ucci<strong>di</strong>bile.<br />

Ma non è così. La scienza è sottoposta, nel suo argomentare, alle regole della logica. E per la logica io uccido esattamente quel che<br />

uccido. Non posso uccidere un futuro, qualcosa che ancora non esiste. Se uccido un girino non uccido una rana. Se bevo un uovo <strong>di</strong><br />

gallina non uccido una gallina. Se mangio una tazza <strong>di</strong> caviale non mangio cento storioni. E dunque l’asserzione (la terza del quesito<br />

referendario sul quale andremo a votare) che i <strong>di</strong>ritti dell’embrione sono equivalenti a quelli delle persone già nate è, per la logica,<br />

una assur<strong>di</strong>tà.<br />

(Giovanni Sartori, La vita umana secondo ragione, in «Corriere della Sera», 28 febraio 2005)<br />

Testo n. 21<br />

Rocco Buttiglione: è pericoloso usare il concetto <strong>di</strong> autocoscienza (hegeliana) per definire la vita umana.<br />

(…) Ma veniamo al nocciolo dell’argomentazione del professor Sartori. Egli ci <strong>di</strong>ce che merita rispetto non la vita in generale,<br />

ma la vita umana. Ma cosa è la vita umana e in che cosa si <strong>di</strong>fferenzia dalla vita, per esempio, <strong>di</strong> un cane? La risposta più ovvia,<br />

quella che viene in mente a quelli che come noi non sono molto (troppo?) istruiti o molto sapienti, è che la vita umana è la vita <strong>di</strong> un<br />

in<strong>di</strong>viduo della specie homo sapiens mentre la vita <strong>di</strong> un cane è quella <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo appartenente alla specie canis familiaris. Il<br />

professor Sartori invece <strong>di</strong> darci la banale risposta che troviamo in ogni manuale <strong>di</strong> biologia per le scuole secondarie, ci <strong>di</strong>ce che la<br />

vita umana è caratterizzata dalla autoconsapevolezza. Cosa sia questa autoconsapevolezza, Sartori non ce lo spiega in dettaglio ma<br />

chi ha una infarinatura <strong>di</strong> filosofia non faticherà a riconoscere la autocoscienza hegeliana. Il problema è che (come bene insegna lo<br />

stesso Hegel) non tutti gli uomini sono autocoscienti. E non solo non è autocosciente l’embrione, ma non è autocoscienze neppure il<br />

feto. E neppure il bambino, almeno fino ad una certa età. Non sono autocoscienti molti <strong>di</strong>sabili e non siamo autocoscienti tutti noi<br />

almeno quando dormiamo. C’è <strong>di</strong> più. Quell’io, <strong>di</strong> cui dobbiamo essere coscienti per avere <strong>di</strong>ritto alla vita, come lo definiamo? A<br />

secondo del modo in cui definiamo l’io cambia anche l’idea <strong>di</strong> autocoscienza che abbiamo e cambia anche l’ambito <strong>di</strong> coloro che<br />

riteniamo abbiano <strong>di</strong>ritto alla vita.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!