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Relazione Bioetica.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di Roma

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Ricorrere all’astensione, potrebbero <strong>di</strong>re gli avversari, significa avvalersi anche del peso <strong>di</strong> quelli che non sanno, <strong>di</strong> coloro<br />

a cui la questione non interessa, <strong>di</strong> chi andrà al mare, quel giorno.<br />

Personalmente non trovo così criticabile, <strong>di</strong> fronte a una materia complessa come la fecondazione assistita, chi non se la sente <strong>di</strong><br />

cancellare la delega affidata col voto al Parlamento. Dopo un lungo lavoro il Parlamento ha approvato una legge, e chi non si sente<br />

sufficientemente competente, non votando, può anche significare: mantengo la mia delega, mi fido. Legittimo. Piuttosto, mi auguro<br />

che l’astensione come in altri casi possa castigare la tendenza all’abuso dello strumento referendario. Perché prendere una legge<br />

come questa, <strong>di</strong>battuta e combattuta come questa, e metterla – per esempio per quanto riguarda la ricerca sugli embrioni – dentro un<br />

quesito <strong>di</strong> referendum, un semplice sì o no, è affidare alla volontà della maggioranza qualcosa <strong>di</strong> enormemente delicato e complesso<br />

(...).<br />

(Intervista a Carlo Casini <strong>di</strong> Marina Corra<strong>di</strong>, «Referendum, astensione militante», in «Avvenire», 29 gennaio 2005)<br />

Testo n. 14<br />

Eugenio Scalfari: il car<strong>di</strong>nale viola il Concordato.<br />

(...) Ma vengo all’aspetto più eclatante della prolusione Ruini, fatta propria da tutti i vescovi della Cei. Riguarda il<br />

referendum abrogativo della legge 40. Lo ripeto: non entrerò nel merito della questione ma mi limiterò all’analisi del<br />

documento del car<strong>di</strong>nale. Egli parte da un’affermazione: la legge 40 non sod<strong>di</strong>sfa appieno le esigenze della Chiesa in<br />

materia <strong>di</strong> fecondazione me<strong>di</strong>calmente assistita; è troppo permissiva per i gusti della gerarchia ecclesiastica. Tuttavia<br />

<strong>di</strong>segna un impianto apprezzabile che, allo stato dei fatti, è il massimo che si possa raggiungere. Ne consegue che ogni<br />

mo<strong>di</strong>fica <strong>di</strong> quella legge non può che peggiorare la qualità dal punto <strong>di</strong> vista della Chiesa. Perciò essa non va emendata.<br />

Bisogna invece mobilitare le coscienze affinché il referendum abrogativo fallisca. La Chiesa farà <strong>di</strong> tutto perché ciò<br />

avvenga e si riserva <strong>di</strong> decidere, in prossimità della consultazione, quale sia la via migliore da seguire: se votare “no”<br />

oppure <strong>di</strong>sertare dal voto e impe<strong>di</strong>re così il raggiungimento del “quorum” necessario per la vali<strong>di</strong>tà del referendum.<br />

Eminentissimo car<strong>di</strong>nale, mi auguro che lei e i suoi confratelli non vi siate resi conto d’esservi inoltrati su un terreno<br />

all’ingresso del quale è scritto in caratteri cubitali che a voi, proprio a voi, è precluso l’ingresso.<br />

Voi potete <strong>di</strong>re e ri<strong>di</strong>re fino alla noia che l’embrione è una persona, così come i vostri confratelli <strong>di</strong> quattrocento<br />

anni fa sostenevano che il sole gira intorno alla Terra e misero in catene il grande scienziato che sosteneva il contrario.<br />

Ciò che invece non potete assolutamente fare è <strong>di</strong> prescrivere agli elettori quale sia il modo più efficace per impe<strong>di</strong>re<br />

l’abrogazione (parziale) d’una legge attraverso il legittimo esercizio del voto popolare.<br />

Qualche dubbio deve averlo avuto anche lei, caro Ruini, quando a conclusione del suo testo ha scritto: «Siamo<br />

consapevoli delle <strong>di</strong>fficoltà che ci attendono e delle critiche cui potremo essere sottoposti. È però doveroso per noi<br />

esprimerci con sincerità e chiarezza e siamo sostenuti dalla coscienza <strong>di</strong> adempiere alla nostra missione».<br />

Lei sarà pur convinto <strong>di</strong> adempiere alla sua missione prescrivendo agli elettori se debbano votare o no. Ma sta <strong>di</strong><br />

fatto che con il documento letto a Bari il 17 gennaio lei, presidente della Cei, ha violato gli articoli 1 e 2 del Concordato<br />

Lateranense. Se avessimo un presidente del Consiglio <strong>di</strong> normale sensibilità per le prerogative e la <strong>di</strong>gnità dello Stato,<br />

lei avrebbe già ricevuto una nota <strong>di</strong> protesta dall’ambasciatore italiano presso la Santa Sede. Ma noi non abbiamo<br />

purtroppo un presidente del Consiglio che senta questo tipo <strong>di</strong> doveri. E infatti egli è proprio colui che ad una<br />

Conferenza episcopale così poco riguardosa dei principi <strong>di</strong> laicità fa più comodo <strong>di</strong> avere come frontaliere. Posso<br />

capirla, caro car<strong>di</strong>nale, ma deploro profondamente questo modo <strong>di</strong> procedere.<br />

(Eugenio Scalfari, Quei vescovi che violano i patti concordatari, in «La Repubblica», 23 gennaio 2005)<br />

Testo n. 15<br />

Gianfranco Marcelli: forse Scalfari rimpiange il Concordato fascista.<br />

(...) Siamo chiaramente <strong>di</strong> fronte a un maldestro tentativo <strong>di</strong> intimidazione <strong>di</strong> stampo laicista, poggiato per altro su una<br />

concezione davvero arcaica dei rapporti tra Stato e Chiesa.<br />

Nella visione scalfariana, i vescovi dovrebbero circoscrivere la loro competenza attorno a questioni intese in forma “orizzontale”,<br />

che il fondatore <strong>di</strong> Repubblica specifica («evangelizzazione, carità, santificazione»), escludendo in partenza ogni possibilità <strong>di</strong><br />

intervento su argomenti <strong>di</strong>versi. Anche quando essi fossero attraversati da chiare implicazioni etiche: come tali, quin<strong>di</strong>, suscettibili <strong>di</strong><br />

sollecitare per definizione l’interesse del magistero. Ma l’aspetto più singolare dell’intemerata scalfariana risiede nella curiosa<br />

interpretazione che egli dà del Concordato, il cui accordo <strong>di</strong> revisione del 1984 “aggiorna” espressamente i rapporti reciproci, da un<br />

lato ai principi della Costituzione repubblicana e dall’altro alle <strong>di</strong>chiarazioni del Concilio, relative proprio alla libertà religiosa e ai<br />

«rapporti fra la Chiesa e la comunità politica». Un riferimento che rimanda con ogni evidenza alla Gau<strong>di</strong>um et Spes (n. 76) e più in<br />

generale all’intera produzione del Vaticano II. Scalfari non si avvede che la sua impostazione svuota <strong>di</strong> significato proprio la<br />

“rilettura” dei principi concordatari del 1929 effettuata ventun’anni fa. Non si comprende come, proprio in virtù dell’adeguamento<br />

alla Carta costituzionale del ’48, ai citta<strong>di</strong>ni italiani investiti della <strong>di</strong>gnità episcopale dovrebbe essere imposto un limite alla libertà <strong>di</strong><br />

manifestazione del pensiero che a nessun altro verrebbe eccepito.<br />

Tanto più quando, come esponenti <strong>di</strong> quella Chiesa abilitata «alla reciproca collaborazione» con lo Stato, si muovono nella piena<br />

consapevolezza del ruolo specifico che stanno esercitando: basti per questo verificare quante volte, nella prolusione del car<strong>di</strong>nale<br />

Ruini, ci si premura <strong>di</strong> sottolineare che il punto <strong>di</strong> vista espresso è quello tipico della gerarchia ecclesiale, pienamente rispettoso delle<br />

altrui sfere <strong>di</strong> potere e <strong>di</strong> competenza. In ultima analisi, l’infelice e<strong>di</strong>toriale sembra, forse inavvertitamente, rimpiangere proprio il<br />

regime pattizio tipico <strong>di</strong> anni e regimi passati, in cui la cessione <strong>di</strong> poteri rispettivi veniva bilanciata dall’imposizione <strong>di</strong> limiti oggi<br />

improponibili. Che non a caso nessuno, salvo Scalfari, si sogna <strong>di</strong> riproporre. E che comunque mai potrebbero essere accettati, come<br />

decenni <strong>di</strong> assemblee episcopali e <strong>di</strong> vertici consiliari pacatamente <strong>di</strong>mostrano.<br />

(Gianfranco Marcelli, Scalfari arcaico. Idea mussoliniana dei Patti, in «Avvenire», 25 gennaio 2005)

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