n. 1 gennaio/febbraio 2003 - inComunione
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IMPEGNO SOCIALE E POLITICO<br />
24<br />
ritori,<br />
spostarsi<br />
per<br />
migliorare<br />
la<br />
propria<br />
condizione<br />
sociale.<br />
In questo anche il popolo cristiano ha<br />
fatto delle migrazioni un suo baluardo, perché<br />
l’espansione della fede era possibile<br />
solo contattando altre genti, visitando altri<br />
popoli con i quali instaurare rapporti di fratellanza<br />
e di mutua convivenza.<br />
La Chiesa è nata e vive essenzialmente<br />
per testimoniare ed annunziare la fede<br />
nel Signore Gesù; è, quindi, emblematico<br />
l’atteggiamento che essa ha tenuto nei<br />
riguardi dei movimenti migratori, sia ad<br />
“extra” sia ad “intra”, sia cioè per gli italiani<br />
che si recano all’estero per motivi di<br />
lavoro (e tanti ne sono stati negli anni passati),<br />
sia per coloro che scelgono la nostra<br />
Italia per una prospettiva di sviluppo<br />
personale o per perseguire un ideale di libertà<br />
non vissuto nella propria patria.<br />
Con il passare degli anni si è<br />
necessariamente vista l’onda<br />
migratoria crescere, trasformandosi<br />
in fenomeno di massa<br />
che necessita di un primo intervento<br />
legislativo nel 1986, seguito<br />
a distanza di quattro anni dalla<br />
“legge Martelli” che guarda al fenomeno<br />
immigratorio non più come un<br />
aspetto congiunturale, ma come un evento<br />
stabile ed irreversibile con cui la società<br />
italiana deve necessariamente<br />
fare i conti.<br />
Emerge anche la prospettiva di<br />
“veicolare” tutta la forza-lavoro latente<br />
nell’immigrazione verso quei<br />
bisogni produttivi necessari alla sopravvivenza<br />
dell’economia del paese.<br />
Tutti gli sforzi apostolici, in questo<br />
preciso frangente, riguardano<br />
l’approccio al dialogo con coloro<br />
che, frattanto, sono divenuti i “nuovi<br />
cittadini” con i quali discutere di lavoro,<br />
di famiglia, di scuola, di tutto con specifica<br />
sensibilità cristiana, su tutto riflettendo<br />
alla luce dei principi evangelici.<br />
Come si vede, il modo di rapportarsi<br />
al vicino che viene da lontano segue un<br />
canovaccio abbastanza lineare per quanto<br />
concerne l’aspetto morale-spirituale,<br />
mentre conosce delle modifiche nei rapporti<br />
interculturali: si passa dalla sempli-<br />
GEN-FEB<br />
2 0 0 3<br />
ce conoscenza del fenomeno al<br />
coinvolgimento del nuovo nel tessuto lavorativo,<br />
privilegiando l’integrazione alla<br />
multietnicità, favorendo lo sviluppo di una<br />
religiosità di “frontiera” piuttosto che ricercare<br />
quel dialogo interreligioso da sempre<br />
auspicato dalla Chiesa post-conciliare.<br />
Solo nel 1993, pur riprendendo le<br />
principali tematiche dei documenti pastorali<br />
precedenti, si punta l’attenzione sugli<br />
aspetti strettamente pastorali dell’immigrazione<br />
attraverso la pubblicazione<br />
della nota pastorale. “Ero forestiero e mi<br />
avete accolto”.<br />
Ad onor del vero, già qualche anno<br />
prima, in alcune città italiane,<br />
erano sorte<br />
iniziative<br />
d’aggregazioni<br />
pastorali<br />
che miravano<br />
a radunare<br />
questa<br />
porzione<br />
del gregge<br />
lasciata altri-<br />
menti allo sbando.<br />
Tutto quello che ruota attorno al mondo<br />
delle migrazioni non deve essere visto<br />
come una qualsivoglia forma di<br />
proselitismo o propaganda, ancor meno<br />
d’adescamento attraverso le tante opere<br />
di beneficenza. Nella logica della nostra<br />
fede, di fronte a migranti d’altra professione<br />
di fede o atei si fa la proposta e si<br />
attende la libera risposta: si esclude qual-<br />
siasi forma di pressione psicologica, diretta<br />
o indiretta.<br />
Certo al cristiano non deve mancare<br />
la franchezza e il coraggio, vigilando con<br />
attenzione per cogliere il momento opportuno<br />
per l’annuncio diretto. È il momento<br />
esplicito che echeggia nell’enciclica<br />
“Redemptoris Missio” quando, ai<br />
numeri 55-57 cita testualmente: “La testimonianza<br />
della carità va completata,<br />
illuminata e giustificata con la presentazione<br />
esplicita del messaggio evangelico.<br />
Fa parte dell’impegno di rendere conto<br />
sempre e a chiunque della propria speranza<br />
(1Pt 3,15). La Chiesa ha sempre<br />
gran rispetto e stima delle religioni non<br />
cristiane... Ma né il rispetto né la stima<br />
possono costruire un motivo per tacere<br />
l’annuncio di Cristo ai non cristiani, i<br />
quali hanno diritto di conoscere la ricchezza<br />
del mistero di Cristo”.<br />
Non si deve poi trascurare il fatto<br />
che anche per tanti immigrati cattolici<br />
la formazione di base è stata così affrettata<br />
e superficiale, o col tempo si è<br />
così diradata, che anche per loro è il caso<br />
di parlare di prima o almeno di nuova<br />
evan- gelizzazione.<br />
L’attenzione dell’operatore<br />
pastorale non va in prima<br />
istanza ai migranti non<br />
cristiani, ma alle nostre<br />
diocesi e comunità cristiane<br />
affinché prendano<br />
coscienza di questa novità<br />
che non riveste solo<br />
implicazioni sociali,<br />
ma ci impegna su<br />
un nuovo fronte<br />
missionario.<br />
Senza cadere<br />
nella retorica<br />
possiamo affermare<br />
che ora la<br />
missione viene<br />
a noi: certo questo<br />
non rallenterà<br />
l’impegno<br />
per la “missio<br />
ad gentes” nelle<br />
terre lontane,<br />
ma darà la consapevolezza che i fronti di<br />
evangelizzazione sono due, uno lontano<br />
attraverso l’impegno dei missionari, le offerte<br />
e la preghiera e un vicino a portata<br />
di mano di tutti i cristiani. Questo è il banco<br />
di prova per ogni cristiano che si sente<br />
veramente tale, questo è l’impegno che<br />
ci chiede il nostro essere Chiesa.<br />
Riccardo Garbetta