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RAPPRESENTAZIONE E INVARIANZA - La scuola di Pitagora editrice

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<strong>RAPPRESENTAZIONE</strong> E <strong>INVARIANZA</strong><br />

Rappresentazione e modelli<br />

<strong>di</strong> ALDO VENTRE<br />

<strong>La</strong> rappresentazione in ambito scientifico è un sistema <strong>di</strong> connessioni, <strong>di</strong> ponti tra<br />

<strong>di</strong>verse realtà, tra le quali veicola conoscenza, svela profon<strong>di</strong>tà inaspettate, è processo<br />

conoscitivo e insieme conoscenza essa stessa, promuove ulteriore conoscenza, si<br />

esplica, si concretizza, nella costruzione <strong>di</strong> realtà concettuali tra loro isomorfe, i modelli,<br />

che non solo hanno lo scopo <strong>di</strong> stabilire corrispondenze, ma guidare al chiarimento<br />

delle motivazioni, “rendere sempre più precise le domande” [1].<br />

In questo senso la rappresentazione promuove il progresso della scienza. È possibile<br />

conquistare la compiuta conoscenza <strong>di</strong> un fenomeno, <strong>di</strong> una classe <strong>di</strong> fenomeni? Il<br />

modello esprime la ragionevole, una ragionevole, conoscenza <strong>di</strong> una classe <strong>di</strong> fenomeni.<br />

“ Gli obiettivi del pensiero scientifico sono <strong>di</strong> vedere il generale nel particolare”<br />

[2].<br />

<strong>La</strong> misura in cui gli obiettivi sono raggiunti è in<strong>di</strong>cativa del potere <strong>di</strong> una rappresentazione.<br />

Questo potere è l’essenza stessa dell’oggetto della scienza. Per usare la parole<br />

<strong>di</strong> John von Neumann: “le scienze non cercano <strong>di</strong> spiegare, non cercano nemmeno<br />

<strong>di</strong> interpretare: si limitano a costruire modelli” [3].<br />

<strong>La</strong> parola “rappresentazione” in matematica è usata in luogo <strong>di</strong> “funzione”, “mappa”,<br />

“trasformazione, seppure esistono sfumature tra i significati. Da una rappresentazione<br />

ci si aspetta un riconoscimento imme<strong>di</strong>ato, o intuitivo, o visivo dell’oggetto <strong>di</strong> cui è<br />

nota la rappresentazione. Si parla infatti <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> rappresentazione in geometria,<br />

pensando alla geometria descrittiva, o <strong>di</strong> rappresentazione topologica delle superfici:<br />

ad esempio, il cilindro è rappresentato da un rettangolo con una coppia <strong>di</strong> lati opposti<br />

identificati. In generale, <strong>di</strong> una rappresentazione ci si aspetta <strong>di</strong> conoscere l’origine,<br />

la causa. Come avviene il riconoscimento? Che cosa non varia che, a rappresentazione<br />

avvenuta, ci fa scoprire l’oggetto dal modello? O conosciamo solo modelli?<br />

All’inizio del ventesimo secolo, <strong>di</strong>versi filosofi si convinsero che la teoria della relatività<br />

<strong>di</strong> Einstein <strong>di</strong>mostrava come, in qualsivoglia settore, la verità <strong>di</strong>pendesse dall’ottica<br />

scelta. Paradossalmente, Einstein riteneva che la sua teoria enunciasse proprio il<br />

contrario: essa si basa infatti sull’idea <strong>di</strong> invarianza, cioè su una concezione profonda


342<br />

Rappresentazione e invarianza<br />

della realtà che resta sostanzialmente la stessa al variare delle prospettive. È un’interpretazione,<br />

un modello, dell’andamento dei fenomeni che si conserva vera su molte<br />

scale.<br />

Campane e potenze<br />

Supponiamo <strong>di</strong> sottoporre a un test sulle votazioni riportate da mille studenti o <strong>di</strong><br />

pesare i maschi adulti <strong>di</strong> un paesino. Scopriremo che i voti riportati al test e i pesi<br />

degli abitanti descrivono una curva a campana (fig. 1).<br />

<strong>La</strong> me<strong>di</strong>a sarà rappresentata dal picco della curva in un intorno ristretto verrà a tro-<br />

figura 1<br />

varsi la maggior parte delle cifre. <strong>La</strong> curva poi scenderà bruscamente ai due lati dell’asse<br />

poiché i voti altissimi o bassissimi e i pesi supermassimi o ultraleggeri sono rari.<br />

Scopriremo, per esempio, che il peso me<strong>di</strong>o degli adulti maschi è 70 chili e che quasi<br />

tutti gli uomini del villaggio hanno un peso compreso tra 50 e 90 chili. In altre parole,<br />

se i valori che stiamo analizzando seguono una curva a campana, non troveremo<br />

mai un valore che si <strong>di</strong>scosta molto dalla me<strong>di</strong>a: la me<strong>di</strong>a ci <strong>di</strong>ce con sicurezza cosa<br />

dobbiamo aspettarci. Vi saranno persone che pesano 120 chili, ma sarebbe incre<strong>di</strong>bile<br />

che qualcuno pesasse 200 o 2000 chili.<br />

<strong>La</strong> curva a campana fornisce la rappresentazione <strong>di</strong> un gran numero <strong>di</strong> fenomeni, dai


Aldo Ventre<br />

quozienti <strong>di</strong> intelligenza, al gioco dei da<strong>di</strong>, alle <strong>di</strong>mensioni delle uova delle galline.<br />

Circa 60 anni fa Beno Gutenberg e Charles Richter [4] sismologi del Caltech condussero<br />

analisi statistiche sulla frequenza dei terremoti analizzando una quantità <strong>di</strong><br />

documenti relativi a sismi verificatisi in un ampio periodo e dovunque. Gutenberg e<br />

Richter stabilirono un rapporto tra <strong>di</strong>mensione e frequenza dei terremoti. Nel grafico<br />

rappresentativo sono riportati sull’or<strong>di</strong>nata il numero <strong>di</strong> terremoti e sull’ascissa<br />

la magnitudo. (Ricor<strong>di</strong>amo che quando la magnitudo aumenta <strong>di</strong> 1, l’energia liberata<br />

aumenta <strong>di</strong> 10.) In termini <strong>di</strong> intensità la legge <strong>di</strong> Gutenberg e Richter enuncia<br />

una semplice regola: se il sisma <strong>di</strong> tipo A libera due volte l’energia del sisma <strong>di</strong> tipo<br />

B, allora il sisma A è quattro volte meno frequente <strong>di</strong> B. Se l’energia raddoppia, il<br />

terremoto <strong>di</strong>venta quattro volte più raro. Il grafico <strong>di</strong> questa relazione è quello della<br />

potenza e la legge è detta “legge della potenza” (fig. 2); nel caso specifico si tratta <strong>di</strong><br />

una potenza con esponente negativo, del tipo y=x -1 , iperbole equilatera che ha gli<br />

asintoti negli assi coor<strong>di</strong>nati.<br />

figura 2<br />

343


344<br />

Patate e frattali<br />

Rappresentazione e invarianza<br />

<strong>La</strong>nciamo una patata sbucciata e congelata contro un muro: la patata si ridurrà a un<br />

mucchietto <strong>di</strong> frammenti <strong>di</strong> varie <strong>di</strong>mensioni. Qual è la <strong>di</strong>mensione tipica? Per scoprirlo<br />

possiamo lanciare contro il muro un migliaio <strong>di</strong> patate, produrre un gran numero<br />

<strong>di</strong> frammenti e applicare il metodo <strong>di</strong> Gutenberg e Richter. Allora sud<strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo<br />

i frammenti in <strong>di</strong>eci mucchi secondo il peso: il primo contiene i pezzi più grossi circa<br />

dello stesso peso, e così via, l’ultimo mucchio conterrà frammenti <strong>di</strong> un grammo circa.<br />

Tracciamo ora un grafico riportando sull’or<strong>di</strong>nata il numero <strong>di</strong> frammenti <strong>di</strong> ciascun<br />

mucchio e sull’ascissa il loro peso. I pezzi <strong>di</strong> patata sono descritti da una legge della<br />

potenza: precisamente se il peso dei frammenti raddoppia, allora il loro numero <strong>di</strong>minuisce<br />

<strong>di</strong> circa sei volte. In questo esperimento la frequenza è inversamente proporzionale<br />

alla <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> un fattore 6, anziché 4, come nella legge <strong>di</strong> Gutenberg<br />

e Richter.<br />

L’esperimento della patata, e la scoperta che ne seguì, sono dovuti ai ricercatori danesi<br />

L. Oddershede, P. Dimon e J. Bohr [7], che utilizzarono frammenti che pesavano<br />

tra i 100 grammi e un millesimo <strong>di</strong> grammo. Il processo <strong>di</strong> frammentazione<br />

della patata può essere complesso, ma il mucchio <strong>di</strong> frammenti presenta una proprietà<br />

specifica: l’invarianza <strong>di</strong> scala o autosimilarità. Il mucchio <strong>di</strong> frammenti ha una<br />

struttura frattale. Il paesaggio <strong>di</strong> detriti appare lo stesso su tutte le scale, come se ciascuna<br />

parte fosse una minuscola immagine dell’insieme. Non vi è una scala “privilegiata”<br />

rispetto alle altre. E questa è una proprietà specifica. Le galline non depongono<br />

mai uova gran<strong>di</strong> come un pallone da calcio o piccole come un acaro: la loro struttura<br />

corporea le pre<strong>di</strong>spone sa produrre uova le cui <strong>di</strong>mensioni descriverebbero, in<br />

un grafico, una curva a campana con il picco rappresentante il valore me<strong>di</strong>o, tipico,<br />

normale. Invece, nel processo <strong>di</strong> frammentazione delle patate congelate non vi è pre<strong>di</strong>sposizione<br />

naturale: i frammenti che vengono prodotti coprono una immensa gamma<br />

<strong>di</strong> scale. Come un frammento <strong>di</strong> cavolo, simile al cavolo, anche questa struttura frattale<br />

[6]. Dunque la legge della potenza ci <strong>di</strong>ce che non esiste un frammento normale<br />

o tipico.


Aldo Ventre<br />

I fisici Tom Witten e Leonard Saunders dell’Università <strong>di</strong> Chicago nel 1984 costruirono<br />

un modello <strong>di</strong> aggregazione [5], <strong>di</strong> cui presentiamo una descrizione molto semplificata.<br />

Al centro <strong>di</strong> un spazio vuoto compare una singola particella. Da lontano si<br />

avvicina un’altra particella che segue una traiettoria casuale. Se non sfiora la prima<br />

continua a viaggiare, se invece la tocca le si aggrega. Entra in gioco una terza particella<br />

che segue pure una traiettoria casuale. Anch’essa, se colpisce la prima, o una delle<br />

prime due, si aggrega, altrimenti procede oltre. Il modello consiste dunque nel liberare<br />

particelle a caso, e seguire la storia del grappolo che va formandosi con quelle<br />

particelle che si aggregano. <strong>La</strong> forma dell’aggregato che si costituisce è fantastica (fig.3).<br />

figura 3<br />

Dal momento in cui una particella si aggrega al grappolo, il corso della storia del<br />

grappolo stesso prende una via definitiva e irreversibile <strong>di</strong> cui è traccia in tutto quanto<br />

accade in seguito. <strong>La</strong> crescita è instabile e <strong>di</strong>pende da ogni minimo evento. Tuttavia<br />

la struttura complessa che si forma ha caratteristiche costanti. Per esempio, il numero<br />

<strong>di</strong> particelle che si trovano a <strong>di</strong>stanza dal centro segue la legge della potenza: al raddoppiare<br />

della <strong>di</strong>stanza il numero <strong>di</strong> particelle aumenta <strong>di</strong> 3,25.<br />

<strong>La</strong> legge della potenza ancora comporta che il grappolo è frattale e che non c’è una<br />

<strong>di</strong>mensione tipica per le varia parti o sottograppoli: se si prende una porzione dell’immagine<br />

e la si ingran<strong>di</strong>sce si noterà che è molto simile a quella intera.<br />

3 Aggregazione <strong>di</strong> Witten e<br />

Saunders.<br />

345


346<br />

Conclusione<br />

Lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> fenomeni e avvenimenti complessi prende forma nei modelli che ne<br />

danno una rappresentazione “adeguata”. Il senso dell’adeguatezza risiede nelle potenzialità<br />

<strong>di</strong> offrire risposte, ma anche <strong>di</strong> formulare domande, il significato del progresso.<br />

<strong>La</strong> legge della potenza dà risposte sulla struttura del fenomeno complesso, anche sulla<br />

natura, ma non può dare informazioni sulla sua occorrenza. Mentre il poter costruire<br />

modelli probabilistici può sod<strong>di</strong>sfare la richiesta <strong>di</strong> conoscenza sull’occorrenza <strong>di</strong> eventi.<br />

Vanno dunque sottolineate le peculiarità delle rappresentazione frattale e della rappresentazione<br />

probabilistica nell’indagine su fenomeni e avvenimenti, in vista della<br />

previsione. Conclu<strong>di</strong>amo con Richard Evans [8],<br />

è sempre un errore per lo storico cercare <strong>di</strong> prevedere il futuro. Diversamente dalla scienza, la vita<br />

è troppo impreve<strong>di</strong>bile.<br />

Bibliografia<br />

[1] KARLIN S., 11 th R.A. Fisher Memorial Lecture, in “Royal Society”, April 20, 1983.<br />

[2] WHITEHEAD A. N., A Dictionary of Scientific Quotations (MACKAY A., a cura <strong>di</strong>), IOP Publishing,<br />

Bristol 1991.<br />

[3] VON NEUMANN J., Collected Works VI, Pergamon Press, 1961, p. 492.<br />

[4] RICHTER C., Acceptance of the Medal of the Seismological Society of America, in “Bulletin of the<br />

Seismological Society of America”, 67, 1977, pp. 1244-47.<br />

[5] BUCHANAN M., Ubiquity. The Science of History... or Why the World is Simpler than we Think,<br />

Mark Buchanan © 2000, trad. ital. Ubiquità, Arnoldo Mondadori E<strong>di</strong>tore SpA, Milano 2001.<br />

[6] MANDELBROT B., The Fractal Geometry of Nature, Freeman, 1983.<br />

[7]ODDERSHEDE L., DIMON P., BOHR, Self-organized criticality in fragmenting, in “Physical Rewiew<br />

Letters”, 71, 1993, , pp. 3007-10.<br />

[8] EVANS R., In Defense of History, Granta Books, 1997.<br />

Rappresentazione e invarianza


RAPPRESENTARE POMPEI ATTRAVERSO LA VIDEOGRAFICA<br />

Questo contributo ha come oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o Pompei, o, meglio, “molto+della solita<br />

Pompei”, la Pompei a tutti nota, città <strong>di</strong> memorie profane e sacre.<br />

<strong>La</strong> Pompei romana, nota in tutto il mondo grazie a un evento drammatico e funesto,<br />

l’eruzione <strong>di</strong> un vulcano, il Vesuvio, la cui lava l’ha sepolta per secoli, conservandola<br />

intatta, e alla cui lava si deve quel fascino macabro e pietoso con cui è conosciuta<br />

in tutto il mondo: i calchi <strong>di</strong> uomini, donne, bambini, animali, le cui vite<br />

sono state fermate per sempre in un istante e nell’istante <strong>di</strong> un atto.<br />

<strong>La</strong> Pompei religiosa, quella del Santuario della Beata Vergine del Santo Rosario, la<br />

cui icona è nota ai fedeli <strong>di</strong> tutto il mondo e al cui Santuario giungono i fedeli <strong>di</strong><br />

tutto il mondo per chiedere la “grazia” o per ringraziare. “Vado a Pompei a pie<strong>di</strong>” -<br />

si <strong>di</strong>ce- a in<strong>di</strong>care, per l’appunto, la “grazia” ricevuta.<br />

Ma Pompei, oggi, non è soltanto la “città delle memorie”, il salotto buono <strong>di</strong> Piazza<br />

Bartolo Longo o della folcloristica Via Roma con le sue colorate bancarelle dove, accanto<br />

alle immagini del Fauno e della Madonna sono già evidenti e ben in vista i<br />

miti della modernità con le magliette <strong>di</strong> Maradona e <strong>La</strong>vezzi. Pompei oggi è una città<br />

della contemporaneità e, pertanto, della contrad<strong>di</strong>ttorietà, della contaminazione, della<br />

insofferenza e del degrado urbano e sociale che, con evidenza, emerge appena ci si allontana<br />

<strong>di</strong> pochi passi dalla piazza iconica. A ben guardarla, Pompei oggi è la città<br />

della scommessa e della voglia <strong>di</strong> riscatto, che può puntare su risorse altre, quelle che,<br />

come gli scavi archeologici e il Santuario, segnano con decisione il suo territorio -il<br />

fiume Sarno, l’AtiCarta, le serre, i vuoti urbani, i gran<strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong>smessi, gli assi periferici<br />

e quelli centrali, gli assi infrastrutturali dell’attraversamento trasversale- e così<br />

via.<br />

In tal senso, Pompei è una realtà che - come nell’alta moda - indossa abiti eccellenti,<br />

ma al contempo è anche una realtà contemporanea, <strong>di</strong>namica e contrad<strong>di</strong>ttoria, le<br />

cui risorse altre, più che <strong>di</strong> essere scoperte attendono <strong>di</strong> essere ri-generate sulla base<br />

<strong>di</strong> aspettative <strong>di</strong> contesto.<br />

L’indagine qui condotta ha inteso interpretare le identità eccellenti degli scavi archeologici<br />

e del Santuario quasi come una lacuna attorno alla quale si estende e trova<br />

forma un più vasto territorio, rappresentato da una città <strong>di</strong> rappresentanza che, ora-<br />

1-2 Over Pompei, manifesto, particolari<br />

(U. Basilica, T. D'Arienzo, G.<br />

De Luca, L. Frettoloso, Corso <strong>di</strong><br />

"Grafica computerizzata", prof.<br />

arch. Ornella Zerlenga).<br />

<strong>di</strong> ORNELLA ZERLENGA<br />

1<br />

2


3<br />

348<br />

Rappresentare Pompei attraverso la videografica<br />

mai chiusa a nord e a sud da due linee ferrate in <strong>di</strong>rezione trasversale, appare quasi<br />

come un frammento <strong>di</strong> un puzzle dalla sagoma stretta e allungata lungo gli assi stradali<br />

<strong>di</strong> Via Plinio, Via Roma e Via Lepanto che, in <strong>di</strong>rezione est-ovest attraversano il<br />

‘salotto bene’ della Piazza Bartolo Longo su cui prospetta il Santuario, lambendo a<br />

nord-ovest il parco archeologico. Più nello specifico, questo frammento urbano si colloca<br />

all’interno <strong>di</strong> un vasto contesto territoriale, ancora connotato da ampie aree naturali<br />

ma, al contempo, fortemente antropizzato; un contesto territoriale che vanta<br />

una storia antica e che appare così significativamente segnato, ora in <strong>di</strong>rezione trasversale<br />

ora longitu<strong>di</strong>nale, dal percorso del fiume Sarno, dalla linea autostradale, dai<br />

molteplici assi <strong>di</strong> fondazione (ora <strong>di</strong> sviluppo periferico) delle quattro popolose frazioni<br />

<strong>di</strong> Pompei cresciute attorno agli originari casali <strong>di</strong> Mariconda, Messigno, Ponte<br />

Nuovo, Treponti.<br />

Ricorrendo alle più innovative forme infografiche <strong>di</strong> narrazione, quale la rappresentazione<br />

multime<strong>di</strong>ale nella specie della videografica, ovverosia grafica per lo schermo,<br />

sono stati descritti e portati all’attenzione <strong>di</strong> un pubblico vasto i temi della contemporaneità<br />

in <strong>di</strong>venire che caratterizzano Pompei_oggi con particolare riguardo alle problematiche<br />

architettonico-ambientali legate alla qualità del contesti urbani sia centrali<br />

che periferici, al rapporto fra permanenza dei caratteri identitari e contaminazione<br />

della contemporaneità, all’uso sociale dei luoghi, alla riqualificazione del fiume Sarno,<br />

alla vivibilità sociale e alle risorse della città oltre la Pompei archeologica e religiosa,<br />

all’inquinamento acustico, alla salvaguar<strong>di</strong>a degli scavi archeologici, ai rifiuti urbani<br />

e al degrado ambientale, all’ospitalità turistica.<br />

A esperienza compiuta, unanime è apparso il messaggio veicolato attraverso i filmati<br />

prodotti, che hanno raccontato <strong>di</strong>sagi e speranze, “sguardo e destino” con emozioni <strong>di</strong>verse<br />

e che appare ben espresso dai giovani autori del video -qui presentato- dal titolo<br />

Over Pompei: “Il video non vuole trasmettere l’idea <strong>di</strong> una Pompei da scoprire bensì<br />

quella <strong>di</strong> una Pompei da costruire. Infatti i giochi <strong>di</strong> trasparenze e <strong>di</strong> ombre nascondono<br />

immagini che gradualmente si costruiscono per mostrare una Pompei che viene<br />

estratta gradualmente da queste ombre, strappata dal degrado, estirpata dalle erbacce.<br />

Un potenziale estrinseco, nascosto, una molla compressa, che aspetta <strong>di</strong> scattare, una<br />

3 Fasi <strong>di</strong> realizzazione delle<br />

scene del filmato Over Pompei (<strong>di</strong>segno<br />

dello sfondo attraverso il ricalco<br />

vettoriale <strong>di</strong> immagini fotografiche<br />

e gestione animata dei titoli).


Ornella Zerlenga<br />

forza magmatica inutilizzata, pari proprio a quella vesuviana, che potrebbe con la sua<br />

potenza espressiva rendere la città un polo attrattivo <strong>di</strong> livello superiore. Il video funge<br />

da invito a un pubblico vasto a liberare questo magma, a rivalutare questa città” 1 .<br />

Multime<strong>di</strong>a graphics|Le nuove frontiere della rappresentazione<br />

In circa <strong>di</strong>eci anni il <strong>di</strong>segno grafico è passato da un ambiente statico (libri, poster,<br />

opuscoli) a un altro che comprende sempre più esplorazioni multime<strong>di</strong>ali, interattive<br />

e in movimento; un ambiente <strong>di</strong>namico, costituito <strong>di</strong> pura essenza <strong>di</strong>gitale che si realizza<br />

tramite tecnologie infografiche e i cui prodotti (ancora esclusivamente <strong>di</strong>gitali)<br />

sono fruiti virtualmente (in rete e non) attraverso periferiche <strong>di</strong>gitali come i monitor<br />

dei personal computer o gli schermi per esposizione. In sintesi, questi prodotti grafici<br />

per lo schermo rappresentano la vera <strong>di</strong>mensione unicamente <strong>di</strong>gitale del <strong>di</strong>segno<br />

grafico, che investe l’intero processo <strong>di</strong> produzione del progetto: dall’intuizione, all’elaborazione,<br />

realizzazione, <strong>di</strong>ffusione, fruizione, mo<strong>di</strong>ficazione, archiviazione, eliminazione.<br />

I presupposti per il compimento e la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> una grafica a <strong>di</strong>mensione esclusivamente<br />

<strong>di</strong>gitale e in grado <strong>di</strong> esprimersi attraverso forme totalmente innovative rispetto<br />

ai prodotti del design grafico tra<strong>di</strong>zionale su supporto cartaceo si devono allo<br />

sviluppo delle tecnologie informatiche dei sistemi iperme<strong>di</strong>ali e multime<strong>di</strong>ali e, soprattutto,<br />

<strong>di</strong> Internet, la rete telefonica globale che connette i computer <strong>di</strong> tutto il<br />

mondo trasmettendo informazioni in forma <strong>di</strong>gitale. Lo sviluppo dei sistemi iperme<strong>di</strong>ali<br />

ha favorito l’avvento dell’interattività ovvero la principale forma <strong>di</strong> comunicazione<br />

nel mondo <strong>di</strong>gitale fra utente e computer “che rende <strong>di</strong>namica la grafica” 2 ;<br />

al contempo, la tecnologia multime<strong>di</strong>ale ha consentito lo sviluppo <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> comunicazione<br />

integrate e costituite da scrittura, immagine, au<strong>di</strong>o, video, alle quali poter<br />

collegare esplorazioni interattive e rispetto alle quali aprire a nuove forme <strong>di</strong> comunicazione<br />

e <strong>di</strong> prodotto, videografica e grafica <strong>di</strong>namica che costituiscono, dunque,<br />

il “nocciolo denso” <strong>di</strong> un nuovo artefatto: la comunicazione <strong>di</strong> flusso dove scor-<br />

4 Fasi <strong>di</strong> realizzazione delle<br />

scene del filmato Over Pompei (<strong>di</strong>segno<br />

dello sfondo attraverso il ricalco<br />

vettoriale <strong>di</strong> immagini fotografiche<br />

e gestione animata dei titoli).<br />

349<br />

4


350 OVER<br />

POMPEI|MOLTO PIÙ DELLA SOLITA POMPEI<br />

L'immagine solita <strong>di</strong> Pompei nell'immaginario<br />

collettivo è esclusivamente<br />

legata al valore degli scavi romani e<br />

del Santuario <strong>di</strong> piazza Bartolo<br />

Longo. Ciononostante gli stessi scavi<br />

romani non sono valorizzati appieno<br />

e lasciano intravedere un senso <strong>di</strong><br />

abbandono che fa sì che tale potenziale<br />

ricchezza non sia sfruttata al<br />

meglio. Sebbene anche queste arcinote<br />

qualità dovrebbero essere rivalutate,<br />

il nostro obiettivo è invece<br />

quello <strong>di</strong> andare oltre la "solita Pompei"<br />

ridotta al souvenir <strong>di</strong> coccio e<br />

al reperto archeologico, e mostrare<br />

il volto vivo della città che ancora<br />

non si è espresso. Una città che,<br />

mentre conserva le bellezze e i te-<br />

sori che sono all'origine della nostra<br />

civiltà contemporanea, racchiude anche<br />

una realtà moderna e <strong>di</strong>namica<br />

che potrebbe venir fuori tramite la<br />

rivalutazione delle periferie, del<br />

fiume Sarno e delle magnifiche risorse<br />

umane, naturali e culturali<br />

spesso sfruttate in maniera solo marginale.<br />

Vogliamo far intendere che<br />

Pompei potrebbe (il con<strong>di</strong>zionale è<br />

d'obbligo) essere molto <strong>di</strong> più. Il video,<br />

infatti, non vuole dare l'illusione<br />

<strong>di</strong> una Pompei migliore che in realtà<br />

non esiste, ovvero non vuole trasmettere<br />

l'idea <strong>di</strong> una Pompei da scoprire<br />

bensì quella <strong>di</strong> una Pompei da<br />

costruire. Infatti, i giochi <strong>di</strong> trasparenze<br />

e ombre del video, <strong>di</strong> bui che<br />

nascondono immagini che gradualmente<br />

si costruiscono vogliono mostrare<br />

una Pompei che viene estratta<br />

gradualmente da queste ombre, strappata<br />

dal degrado, estirpata dalle erbacce.<br />

Un potenziale intrinseco, nascosto,<br />

una molla compressa che<br />

aspetta <strong>di</strong> scattare, una forza magmatica<br />

inutilizzata, pari proprio a<br />

quella vesuviana, che potrebbe con<br />

la sua potenza espressiva rendere la<br />

città un polo attrattivo <strong>di</strong> livello superiore.<br />

Il video dunque funge da invito<br />

a un pubblico vasto a liberare<br />

questo magma, a rivalutare questa<br />

città. Il protagonista del filmato cammina<br />

in un paesaggio fittizio ed<br />

esplora una nuova Pompei. Le im-<br />

Rappresentare Pompei attraverso la videografica<br />

magini si compongono sullo sfondo,<br />

facendo intuire il volto <strong>di</strong> una Pompei<br />

che verrà, che si estende oltre<br />

l'area degli scavi e che si popola anche<br />

nelle periferie.<br />

Sulle T-Shirt del nuovo fruitore della<br />

città si sviluppano concetti, figure e<br />

messaggi <strong>di</strong> una Pompei che ancora<br />

non è venuta fuori.<br />

<strong>La</strong> musica, <strong>di</strong>namica e sincopata, accompagna<br />

il ritmo <strong>di</strong>namico delle immagini<br />

che si compongono sullo<br />

sfondo in un succedersi <strong>di</strong> scene in<br />

movimento. Il brano <strong>La</strong> del Ruso dei<br />

Gotan Project aggiunge alla rapprsentazione<br />

un colore me<strong>di</strong>terraneo<br />

(Umberto Basilica, Tyron D'Arienzo,<br />

Giuseppe De Luca, Luigi Frettoloso).


Ornella Zerlenga<br />

Il Sarno è un fiume della Campania<br />

che, a <strong>di</strong>spetto della sua brevità <strong>di</strong><br />

percorso (appena 24 Km), conta su<br />

un bacino notevolmente esteso (ca.<br />

500 km²), interessando dal punto <strong>di</strong><br />

vista politico-amministrativo ben 39<br />

Comuni <strong>di</strong> tre province (Salerno, Napoli,<br />

Avellino). Il Sarno nasce a una<br />

quota <strong>di</strong> circa 30 m sul livello del<br />

mare alle pen<strong>di</strong>ci del monte Saro. Negli<br />

ultimi cinquant’anni del secolo<br />

scorso, il Sarno <strong>di</strong>venta noto per essere<br />

il fiume più inquinato d'Europa,<br />

sfociando, dopo aver accolto scarichi<br />

agricoli e industriali privi <strong>di</strong> un<br />

trattamento depurativo, nel golfo napoletano.<br />

Le cause <strong>di</strong> tale stato <strong>di</strong><br />

degrado andrebbero rinvenute nello<br />

sviluppo delle industrie (conserviere,<br />

conciarie, metalmeccaniche) e nei<br />

fertilizzanti e pestici<strong>di</strong> agricoli che,<br />

con i propri scarichi contribuiscono<br />

in modo determinante a mettere in<br />

ginocchio la fauna acquifera del<br />

Sarno. Diversi gli interventi per correre<br />

ai ripari: negli anni '70, senza<br />

ottenere i risultati sperati; nel 2000,<br />

con la costruzione <strong>di</strong> quattro depuratori.<br />

Nel 2008 i risultati delle prime<br />

analisi effettuate <strong>di</strong>mostrano che in<br />

21 siti prescelti il grado <strong>di</strong> aci<strong>di</strong>tà<br />

delle acque è risultato me<strong>di</strong>amente<br />

nella norma, mentre il contenuto <strong>di</strong><br />

ossigeno nelle acque ha evidenziato<br />

ancora picchi <strong>di</strong> inquinamento. Il video<br />

proposto, attraverso l'anima-<br />

zione <strong>di</strong> più forme <strong>di</strong>segnate (pesci,<br />

rifiuti, fiume, ecc.), mira alla sensibilizzazione<br />

del problema ponendosi<br />

come occasione per educare le coscienze<br />

dei giovani verso il tema<br />

della protezione ambientale e salvaguar<strong>di</strong>a<br />

dei valori etici e morali, che<br />

ormai sempre <strong>di</strong> più inquinano non<br />

solo il territorio ma le coscienze<br />

stesse degli uomini, fin'anche <strong>di</strong> coloro<br />

che per dovere istituzionale quei<br />

valori dovrebbero proteggere e sviluppare.<br />

Sulle note del celebre French<br />

Cancan <strong>di</strong> Jacques Offenbach il video<br />

narra lo scorrere del tempo dall'originario<br />

e gioioso scenario <strong>di</strong> salute<br />

del fiume (con le sue acque azzurre)<br />

e della allegra fauna, che lo<br />

351<br />

RIPULIAMO IL FIUME SARNO<br />

abita, fino alla fuga dei pesci a seguito<br />

all'inquinamento delle acque,<br />

che per l'appunto assumono il colore<br />

grigio. L'animazione proposta fa susseguire<br />

alle piroette dei pesci quelle<br />

dei nuovi abitanti del fiume (scarponi,<br />

buste <strong>di</strong> plastica, pneumatici),<br />

che, in forma <strong>di</strong> simboli dell'inquinamento,<br />

invadono l'habitat fino al<br />

botto finale e all'endline <strong>di</strong> sensibilizzazione:<br />

"non andare a ritmo con<br />

l'inquinamento | ripuliAMO il fiume<br />

Sarno", <strong>di</strong> cui sono state stu<strong>di</strong>ate più<br />

soluzioni grafiche e cromatiche prima<br />

<strong>di</strong> giungere alla soluzione finale, che<br />

integra al testo il <strong>di</strong>segno figurato<br />

<strong>di</strong> un pesciolino che guizza dalle acque<br />

del fiume (Carolina Amorino).


352 ECHO POMPEI<br />

Gli scavi <strong>di</strong> Pompei sono ormai la<br />

principale meta turistica a livello internazionale<br />

del centro sud. Un'immensa<br />

città rasa al suolo dall'ira del<br />

Vesuvio dopo circa 2000 anni si presenta<br />

come una realtà dove tutto appare<br />

fermo, con i luoghi, una volta<br />

popolati e frequentatissimi, ora vuoti<br />

e silenziosi ... Nel camminare per le<br />

vie della città archeologica colpisce<br />

l'incre<strong>di</strong>bile silenzio che avvolge gli<br />

scavi, consentendo alla fantasia del<br />

visitatore <strong>di</strong> immaginare il caotico<br />

brusio nel mercato o il frastuono degli<br />

spettatori nell'anfiteatro, fino a<br />

quando a questo strano e innaturale<br />

silenzio si oppongono, improvvisamente,<br />

le trombe <strong>di</strong> avviso e il fi-<br />

schio <strong>di</strong> un treno della linea circumvesuviana<br />

che, passando a pochi<br />

metri dal sito archeologico, spazzano<br />

via questa sensazione arrestandola<br />

bruscamente e procurando, al contempo,<br />

una grande confusione: da un<br />

lato l'arena <strong>di</strong> 2000 anni fa, dall'altra<br />

un treno che fischia all'impazzata<br />

e che rappresenta il caos della civiltà<br />

moderna. Obiettivo del video -<br />

accompagnato da specifici effetti sonori-<br />

è attivare una riflessione sulla<br />

qualità della percezione e sull'inquinamento<br />

acustico del sito archeologico,<br />

proponendo <strong>di</strong> isolare acusticamente<br />

gli scavi dai rumori della<br />

città contemporanea per ricreare ambienti<br />

sonori capaci <strong>di</strong> simulare ru-<br />

mori e suoni dell'antica civiltà e coinvolgere<br />

il turista in ambientazioni ancora<br />

più profonde. In tal senso, per<br />

"non fare confusione" (non inquinare<br />

acusticamente la Pompei antica e<br />

creare un netto <strong>di</strong>stacco <strong>di</strong> atmosfere<br />

tra il vecchio e il nuovo) appositi<br />

pannelli isolanti potrebbero ridurre al<br />

minimo i rumori provenienti dalla vicina<br />

linea ferroviaria circumvesuviana,<br />

mentre l'utilizzo <strong>di</strong> filo<strong>di</strong>ffusione<br />

potrebbe restituire ambientazioni<br />

particolari, immergendo il visitatore<br />

nei suoni caratteristici dell'antica<br />

Pompei. Da qui è nato il concept<br />

e il logo del video, Echo Pompei,<br />

una riproduzione dei suoni del<br />

passato <strong>di</strong> una civiltà ormai <strong>di</strong>strutta<br />

Rappresentare Pompei attraverso la videografica<br />

e dove la lettera "o" <strong>di</strong>venta un<br />

emettitore <strong>di</strong> suoni con onde annesse,<br />

che si espandono all'esterno<br />

e allontanandosi dalla fonte <strong>di</strong>minuiscono<br />

<strong>di</strong> intensità. Le scene utili<br />

allo sviluppo del video sono state riprese<br />

con una fotocamera e poi infograficamente<br />

trattate per rappresentare<br />

una narrazione multime<strong>di</strong>ale in<br />

cui all'esplorazione della Pompei archeologica<br />

da parte dei due protagonisti<br />

si succedono quelle <strong>di</strong> presentazione<br />

e risoluzione della problematica.<br />

Lo stile grafico è semplice<br />

e si rifà alla narrazione tipica del fumetto<br />

con vignette che inducono all'azione<br />

(Giuliano Addati, Marco Ricciar<strong>di</strong>,<br />

Mirco Sapio).


Ornella Zerlenga<br />

Il video apre al tema della della qualità<br />

della vita, proponendo un confronto<br />

fra la Pompei contemporanea<br />

e la Pompei romana. <strong>La</strong> popolarità<br />

<strong>di</strong> poli attrattori, quale quelli archeologico<br />

e religioso, ha comportato<br />

una crescente urbanizzazione<br />

della città con un notevole aumento<br />

<strong>di</strong> turismo e conseguente inquinamento<br />

delle con<strong>di</strong>zioni ambientali,<br />

fra cui quelle percettive. Il tessuto<br />

urbano a ridosso degli scavi e del<br />

Santuario appare fortemente con<strong>di</strong>zionato<br />

dagli esiti dovuti alla presenza<br />

massiva del turismo, nonché<br />

dagli effetti critici dovuti alla mo<strong>di</strong>ficazione<br />

sociale dei luoghi dell'abitare,<br />

che interessano oggi sia i cen-<br />

tri minori che le metropoli. In tal<br />

senso, il video cattura l'attenzione<br />

del fruitore sulla qualità dell'abitare<br />

oggi (sempre più con<strong>di</strong>zionata dal<br />

rapporto fra quinta urbana e viabilità<br />

stradale), confrontandola con una<br />

qualità eccellente dell'abitare <strong>di</strong> ieri,<br />

quella della casa romana che, come<br />

una piccola fortezza, si <strong>di</strong>fende da<br />

tutto quanto accade all'esterno <strong>di</strong><br />

essa. Attraverso un adeguato commento<br />

sonoro (che simula i rumori<br />

<strong>di</strong> una strada dall'intenso flusso <strong>di</strong><br />

attività), il video racconta la <strong>di</strong>fferenza<br />

sostanziale tra il caos che c'è<br />

oggi per le strade urbane e la tranquillità<br />

che c'era in passato all'interno<br />

della casa romana, scegliendo<br />

come città-esempio per questa problematica<br />

urbana la Pompei contemporanea.<br />

Nella rappresentazione multime<strong>di</strong>ale,<br />

il protagonista -un ragazzo<br />

dei nostri giorni- nel camminare<br />

lungo il marciapiede <strong>di</strong> un o<strong>di</strong>erno e<br />

centrale asse stradale <strong>di</strong> Pompei<br />

viene 'travolto' da una confusione visiva<br />

<strong>di</strong> persone, animali, insegne,<br />

ecc., nonché dai rumori assordanti<br />

delle automobili e moto in transito,<br />

così come delle attività commerciali<br />

e <strong>di</strong> servizio. In tutto questo caos<br />

visivo e sonoro, un graffito pubblicitario<br />

sull'intonaco rosso <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio<br />

della quinta urbana recante la<br />

scritta "Living Pompei" (con la lettera<br />

"P" che rinvia alla planimetria<br />

353<br />

LIVING IN POMPEI<br />

del teatro greco) ne cattura l'attenzione,<br />

inducendolo a pensare alla<br />

tranquillità dell'abitare dell'antica<br />

casa romana. Con la fantasia (simulata<br />

da una <strong>di</strong>stensiva musica) il protagonista<br />

si lascia trasportare nella<br />

Pompei <strong>di</strong> un tempo, trovandosi in<br />

una casa romana classica. Entrando<br />

nell'atrio, la vista <strong>di</strong> un triclinio posizionato<br />

al centro del cortile lo invoglia<br />

a stendersi su <strong>di</strong> esso (qui l'effetto<br />

sonoro simula la percezione del<br />

rumore dei propri passi mentre calpestano<br />

l'erba del giar<strong>di</strong>no) e a rilassarsi,<br />

immergendosi in uno spazio all’aperto<br />

percettivamente riposante (Fabrizio<br />

Della Corte, Francesca Coppola, Raffaele<br />

Nardo, Salvatore Iavarone).


5<br />

354<br />

Rappresentare Pompei attraverso la videografica<br />

rono in modo interrotto “immagini, suoni, sequenze che a loro volta incrociano me<strong>di</strong>a<br />

<strong>di</strong>versi e si susseguono secondo i ritmi che la forma della comunicazione <strong>di</strong>segna”<br />

3 . L’insieme <strong>di</strong> queste circostanze ha ampliato la rosa degli ambiti <strong>di</strong> lavoro in cui<br />

il progettista grafico può essere coinvolto e, al contempo, ha costituito l’occasione per<br />

la creazione <strong>di</strong> nuovi prodotti grafici come il sito web, il multime<strong>di</strong>a, lo spot pubblicitario,<br />

il videoclip, le video-installazioni ambientali, che oggi costituiscono le forme<br />

più <strong>di</strong>ffuse della comunicazione visiva e per le quali il <strong>di</strong>segno grafico amplia i suoi<br />

confini <strong>di</strong>sciplinari per colloquiare con altre forme espressive come l’arte, la cinematografia,<br />

l’architettura, la città, il paesaggio: valga per tutti il recente fenomeno <strong>di</strong> crescente<br />

performance urbana tramite le video-installazioni ambientali.<br />

Lo sviluppo tecnologico della rete mon<strong>di</strong>ale da iniziale strumento <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione ipertestuale<br />

del prodotto grafico a quello più recente e <strong>di</strong>namico a <strong>di</strong>mensione iperme<strong>di</strong>ale<br />

consente <strong>di</strong> interpretare il segno grafico nell’ambiente <strong>di</strong>gitale della videografica<br />

o grafica per lo schermo come sintesi <strong>di</strong> scrittura, immagine, au<strong>di</strong>o e video e <strong>di</strong> tendere<br />

a innovative sperimentazioni progettuali in virtù delle nuove frontiere della rappresentazione<br />

della realtà e delle emozioni, come la motion graphics o grafica in movimento.<br />

Questa ulteriore riflessione riguarda l’introduzione nel panorama della comunicazione<br />

multime<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> recenti forme <strong>di</strong> linguaggio fortemente caratterizzate da una<br />

notevole <strong>di</strong>ffusione dell’immagine in movimento a fronte dell’immagine statica; <strong>di</strong>ffusione<br />

resa possibile dall’immissione <strong>di</strong> nuovi me<strong>di</strong>a, come il video, che apre a una modulazione<br />

spazio-temporale del prodotto grafico, a una sua ‘reale’ narrazione rispetto<br />

alla quale il tempo <strong>di</strong>lata o concentra l’evento, mentre il movimento rallenta o accelera.<br />

L’innovazione infografica nel campo della gestione <strong>di</strong>gitale dell’immagine-movimento<br />

è indubbiamente storia recente. All’attualità, il mondo della comunicazione visiva sta<br />

privilegiando sempre più la progettazione figurata <strong>di</strong> immagini in movimento, ovverosia<br />

la possibilità <strong>di</strong> creare e mo<strong>di</strong>ficare forme grafiche nel tempo, orientando con<br />

decisione la produzione degli artefatti verso prodotti videografici in quanto, se “la <strong>di</strong>fferenza<br />

tra uno stampato e un au<strong>di</strong>ovisivo è il tempo, quin<strong>di</strong> il movimento, l’immagine<br />

cinetica e il sonoro […], il movimento è un elemento che può cambiare il significato<br />

dell’immagine” 4 . Dinamico, infatti, è tutto ciò che è dotato <strong>di</strong> grande ener-<br />

5 Fasi <strong>di</strong> realizzazione delle<br />

scene del filmato Over Pompei (sovrapposizione<br />

alle scene dei protagonisti<br />

ripresi in movimento).


Ornella Zerlenga<br />

gia e vitalità, espressione o accentuazione <strong>di</strong> movimento, e il movimento -afferma<br />

Arhneim- è “il più forte richiamo visivo all’attenzione” 5 in quanto comporta una variazione<br />

del contesto ambientale, al quale potrebbe susseguire una reazione. Fra gli<br />

animali superiori è noto quanto la sensibilità per il movimento sia legata all’istinto<br />

<strong>di</strong> conservazione, consentendo <strong>di</strong> avvertire imme<strong>di</strong>atamente l’approssimarsi <strong>di</strong> un pericolo<br />

o <strong>di</strong> un nemico e <strong>di</strong> come l’istinto predatorio scatti prevalentemente appena la<br />

preda si muove. Questa pre<strong>di</strong>sposizione genetica del sistema visivo a essere attratto<br />

dal movimento (che supera <strong>di</strong> gran lunga anche la percezione <strong>di</strong>stintiva fra forma e<br />

colore) si verifica già quando l’immagine è fissa e il movimento è illusorio, ancor più<br />

quando a esso corrisponde un’immagine animata ossia in reale movimento nel tempo.<br />

<strong>La</strong> <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong>gitale della comunicazione visiva contemporanea consente dunque<br />

<strong>di</strong> integrare con maggiore performance le componenti spazio e tempo e <strong>di</strong> gestire simultaneamente<br />

l’immagine-statica e l’immagine-movimento attraverso l’utilizzo sempre<br />

più <strong>di</strong>ffuso <strong>di</strong> forme <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> micro-narrazione (rese possibili dall’uso <strong>di</strong><br />

software a tanto preposti e caratterizzati da un vero e proprio stile narrativo per la<br />

realizzazione <strong>di</strong> artefatti <strong>di</strong>namici), il cui car<strong>di</strong>ne principale è spesso l’integrazione fra<br />

interattività (che coinvolgere l’utente) e immagine in movimento (meglio in grado <strong>di</strong><br />

attrarre l’attenzione) 6 in virtù del ruolo sempre più rilevante che ha assunto la comunicazione<br />

multime<strong>di</strong>ale.<br />

Queste considerazioni, già fondamento <strong>di</strong> Carosello (primo e più celebre intermezzo<br />

pubblicitario della televisione italiana, 1957-1977), hanno dato vita a una vivace sperimentazione<br />

nel campo della gestione dello spot pubblicitario e della costruzione animata<br />

<strong>di</strong> personaggi e storie, ai quali hanno spesso lavorato in team progettuali registi,<br />

scrittori e grafici <strong>di</strong> rilievo. Oggi, la ricerca del movimento nella comunicazione<br />

visiva e l’interazione fra più competenze specialistiche appartenenti al mondo della<br />

grafica, dell’arte come della cinematografia, è ancora più avvertita e richiesta, così<br />

come <strong>di</strong>mostrano le tendenze in atto e le esperienze compiute da numerosi stu<strong>di</strong> (italiani<br />

ed esteri) che, costituiti in gruppi multi-professionali in grado <strong>di</strong> coprire più<br />

competenze (fotografia, arti visive, cinema, grafica, animazione, sistemi interattivi),<br />

stanno lavorando su questi nuovi concetti e sperimentando attraverso tecnologie sem-<br />

6 Fasi <strong>di</strong> realizzazione delle<br />

scene del filmato Over Pompei (sovrapposizione<br />

alle scene dei protagonisti<br />

ripresi in movimento).<br />

355<br />

6


7<br />

356<br />

Rappresentare Pompei attraverso la videografica<br />

pre più all’avanguar<strong>di</strong>a nuove forme <strong>di</strong> rappresentazione <strong>di</strong>namica degli artefatti comunicativi<br />

come spot, videoclip, video installazioni, video ambienti, video sincronizzati<br />

o interattivi. Per concludere, ciò che si evince da questi anni <strong>di</strong> innovazione tecnologica<br />

nel campo del <strong>di</strong>segno infografico è che in poco tempo sono stati fatti passi<br />

notevoli nel perfezionare tecnologie e procedure, e nella gestione delle immagini-movimento.<br />

Nuove professionalità sono nate, altre si sono specializzate; in ogni caso, il<br />

futuro sembra <strong>di</strong>mostrare che sempre più tutte debbano lavorare in team per una gestione<br />

integrata del progetto. Ed è questo, forse, il messaggio più importante: essere<br />

fortemente integrati nel processo produttivo in virtù sia delle proprie competenze specialistiche<br />

che <strong>di</strong> una formazione culturale fondata sulla tra<strong>di</strong>zione, aperta all’innovazione<br />

e, in generale, in grado sia <strong>di</strong> colloquiare con più saperi operativi, che capace<br />

<strong>di</strong> inserirsi con <strong>di</strong>gnità etica ed estetica nel processo progettuale 7 .<br />

Su questi temi sono stati realizzati i progetti <strong>di</strong> rappresentazione multime<strong>di</strong>ale -qui<br />

presentati 8 - che aprono alla conoscenza <strong>di</strong> Pompei_oggi, contemporaneità in <strong>di</strong>venire<br />

fra permanenza e contaminazione, un territorio magmatico in cui le identità archeologica<br />

e religiosa costituiscono soltanto alcune delle sue molteplici <strong>di</strong>mensioni.<br />

Esito <strong>di</strong> una rivoluzione tecnologica e <strong>di</strong> una società attuale, che immerge sempre più<br />

in un contesto <strong>di</strong> totale visibilità, queste forme <strong>di</strong> comunicazione rappresentano nuovi<br />

alfabeti costituiti da scritture <strong>di</strong>namiche, <strong>di</strong> flusso, dove immagini statiche e in movimento<br />

si mescolano senza <strong>di</strong>scontinuità e limiti temporali. Nuovi scenari e nuove<br />

responsabilità che -come afferma Marisa Galbiati- investono i progettisti della comunicazione<br />

chiamati a dover ri<strong>di</strong>segnare gli aspetti culturali, sintattici e semantici<br />

delle immagini 9 ; società dello schermo, come la definisce Manovich, dove la comunicazione<br />

multime<strong>di</strong>ale e interattiva -dominata dai me<strong>di</strong>a <strong>di</strong>gitali- svolge un ruolo<br />

fondamentale 10 . Con l’affermarsi dei me<strong>di</strong>a <strong>di</strong>gitali contrassegnati da flui<strong>di</strong>tà e mutabilità,<br />

prodotti prima fra loro autonomi (film, design tipografico, design grafico, fotografia,<br />

animazione computerizzata, ecc.) si fondono per generare forme <strong>di</strong> comunicazione<br />

ibride (web design, performing, interaction design, videoinstallazioni, film,<br />

giochi interattivi, ecc.), tutte accomunate da co<strong>di</strong>ci <strong>di</strong>gitali e da un solo elemento, il<br />

movimento, e rese <strong>di</strong>verse dal progetto dell'immagine <strong>di</strong>namica.<br />

7 Fasi <strong>di</strong> realizzazione delle<br />

scene del filmato Over Pompei (sovrapposizione<br />

sulle magliette dei<br />

protagonisti dei testi in movimento).


Ornella Zerlenga<br />

Note<br />

1 Umberto Basilica, Tyron D’Arienzo, Giuseppe De Luca, Luigi Frettoloso.<br />

2 B. GORDON, M. GORDON, a cura <strong>di</strong>, Guida alla Grafica <strong>di</strong>gitale, Modena, Logos, 2002, p. 156.<br />

3 G. BAULE, “Segni dal flusso”, in LineaGrafica, n° 346, luglio-agosto 2003, p. 16.<br />

4 G. DE LISO, Creatività e Pubblicità, Milano, Franco Angeli, 2003, p. 228.<br />

5 R. ARHNEIM, Arte e Percezione visiva, Milano, Feltrinelli, 1981 (1954; ed. it. 1962 1 ), pp. 303-332.<br />

6 G. BAULE, in LineaGrafica: “Segni dalla rete”, n° 349, gennaio febbraio 2004, pp.16-25; “Artefatti<br />

<strong>di</strong> identità”, n° 344, marzo-aprile 2003, pp.20-29; “Interme<strong>di</strong>alità”, E<strong>di</strong>toriale, n° 343,<br />

gennaio-febbraio 2003, pp.16-17; F. GIROMINI, “L’animazione <strong>di</strong>ffusa”, n° 341, settembre-ottobre<br />

2002, p. 60 sgg.<br />

7 Sul tema estetica-etica del progetto grafico, cfr. O. ZERLENGA, Rappresentazione geometrica e gestione<br />

infografica dei modelli. Disegno ornamentale_Intersezione <strong>di</strong> superfici, Napoli, <strong>La</strong> <strong>scuola</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>Pitagora</strong> e<strong>di</strong>trice, 2008, pp. 15-21.<br />

8 Corso <strong>di</strong> Grafica computerizzata, prof. arch. Ornella Zerlenga, Facoltà <strong>di</strong> Architettura, Seconda<br />

Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Napoli, Corso <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea triennale in Disegno Industriale, a.a. 2008-09.<br />

9 Cfr. <strong>di</strong> MARISA GALBIATI in Linea Grafica, “I linguaggi visivi della contemporaneità”, n°352;<br />

Movie Design, n° 342; “Scenari per la web tv”, n° 370.<br />

10 Cfr. L. MANOVICH, Il linguaggio dei nuovi me<strong>di</strong>a, Milano, Olivares, 2002.<br />

357


GABRIELLA ABATE_LAURA ADAMO_EUGENIA ALOJ_MARIAGRAZIA DE CASTRO_MICHELA TOTÀRO_ANNA ZOLLO_ALESSANDRA AVELLA_PASQUALE<br />

FALCONETTI_MARIATERESA GUADAGNUOLO_FABRIZIO AVELLA_GIUSEPPE DALLI CARDILLO_VINCENZO BAGNOLO_FILIPPO BARBERA_GIACINTO BAR-<br />

BERA_MANUELA BASSETTA_FERDINANDO BIFULCO_MAURA BOFFITO_CRISTINA BOIDO_ROSARIO GIOVANNI BRANDOLINO_PAOLO CADDEU_MARCO<br />

CALABRÒ_ANTONINO CALDERONE_GIULIANA CAMPANELLA_MASSIMILIANO CAMPI_CRISTINA CÀNDITO_MIRCO CANNELLA_MARA CAPONE_VALERIA<br />

CAPPELLINI_GIULIO CAPRIOLO_NADIA FABRIS_LAURA BLOTTO_MARIA PAOLA MARABOTTO_LAURA CARLOMAGNO_RAFFAELE CATUOGNO_PAOLO CE-<br />

ROTTO_FABIO CONVERTI_GIANCAMILLO CUSTOZA_ADELMINA DALL’ACQUA_PIA DAVICO_CLAUDIA DE BIASE_MARIA ROSARIA DELL’AMICO_MA-<br />

RIELLA DELL’AQUILA_ANTONELLA DI LUGGO_FRANCESCO DI PAOLA_SERENA MINEO_MINO RENATO ALESSI_MARIA LINDA FALCIDIENO_MICHELA<br />

MAZZUCCHELLI_CINZIA RATTO_LUISA COGORNO_MASSIMO MALAGUGINI_MARIA ELISABETTA RUGGIERO_ALESSANDRO CASTELLANO_RUGGERO TORTI_SE-<br />

RENA WICH_MARCO FILIPPUCCI_RICCARDO FLORIO_FABIANA FORTE_FRANCA GIANNINI_GAIA GIORDANO_CAROLINA GRAZIANI_VINCENZO IAN-<br />

NIZZARO_SALVATORE BARBA_MARIA GIORDANO_LAURA INZERILLO_CARMEN LAGRUTTA_MARIA LEPORE_IRMA LUPICA_ANNA MANDIA_POLYXENI<br />

MARINAKI_DOMENICO MEDIATI_MARIA CRISTINA MIGLIONICO_ERMINIA ATTAIANESE_MARCELLA MOAVERO_COSIMO MONTELEONE_FRANCESCA RO-<br />

MANA MORETTI_MARIA RITA MUSSO_ANTONINO NASTASI_ALESSANDRA PAGLIANO_CATERINA PALESTINI_DANIELA PALOMBA_ROSARIA PA-<br />

LOMBA_BARBARA PANI_ADRIANA PAOLILLO_MARIA INES PASCARIELLO_ANDREA PIRINU_NICOLA PISACANE_MANUELA PISCITELLI_CLAUDIA PISU_MA-<br />

RIA RITA PIZZURRO_FRANCA RESTUCCIA_MARIATERESA GALIZIA_CETTINA SANTAGATI_GABRIELE ROSSI_MASSIMO LESERRI_MICHELA ROSSI_MA-<br />

RIA ARCHETTA RUSSO_CHIARA SCALI_ALBERTO SDEGNO_RICCARDO SER-<br />

Contributi<br />

RAGLIO_PASQUALE ARGENZIANO_GIUSEPPE SPICCIARIELLO_INGRID TI-<br />

TOMANLIO_ANTONIO ALVARO TORDESILLAS_ANTONIO BIXIO_SALVATORE<br />

BARBA_DOMENICO TOSTO_PASQUALE TUNZI_DANIELA VADALÀ_RENATA<br />

VALENTE_CRISTINA VANINI


MEMORIE FUTURE DEL CENTRO ANTICO DI NAPOLI<br />

CONOSCERE IL PASSATO_MISURARE IL PRESENTE_MODIFICARE IL FUTURO<br />

<strong>di</strong> GABRIELLA ABATE<br />

Il metodo è un atteggiamento culturale è cioè forza plastica della cultura, che consente<br />

al rilevatore <strong>di</strong> comprendere i segni generatori sia del contesto che dell’oggetto<br />

da analizzare. <strong>La</strong> <strong>di</strong>scretizzazione1 dell’architettura nelle sue parti e nei suoi elementi<br />

primi costituisce il fondamento essenziale e metodologico per ogni ipotesi <strong>di</strong><br />

costruzione. È opportuno dunque analizzare le <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> ogni manufatto all’interno<br />

<strong>di</strong> un campo generale per poi in<strong>di</strong>viduarne i <strong>di</strong>versi elementi, spingendosi fino al limite<br />

<strong>di</strong> unità minime <strong>di</strong> significato, da inserire nell’ambito <strong>di</strong> una struttura organizzata<br />

secondo percorsi flessibili e interrelati e tali da consentire itinerari <strong>di</strong> lettura molteplici.<br />

Ciò sta ad in<strong>di</strong>care la necessità <strong>di</strong> introdurre nei sistemi <strong>di</strong> archiviazione, accanto<br />

ai dati quantitativi qualitativi ed identificativi, anche i dati relativi alle qualità<br />

formali dell’architettura, capaci <strong>di</strong> esplicitare la conformazione delle parti, in relazione<br />

ad una lettura dei caratteri costitutivi dell’architettura e dei suoi elementi. <strong>La</strong> città intesa<br />

come sistema complesso <strong>di</strong> relazioni si propone come campo <strong>di</strong> sperimentazione<br />

e luogo <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>menti e riflessioni articolate su più livelli <strong>di</strong> conoscenza. Indagarne<br />

le valenze e identificarne i tratti costitutivi che ne connotano l’insieme, <strong>di</strong>ssociando<br />

e ricomponendone le parti, è un’operazione che va condotta all’interno <strong>di</strong> una<br />

struttura conoscitiva globale che consenta poi affon<strong>di</strong> specifici su tematiche opportunamente<br />

interrelabili. In tal senso, ogni struttura d’indagine, <strong>di</strong> conoscenza, <strong>di</strong> archiviazione<br />

e <strong>di</strong> catalogazione dei beni urbani va estesa alla città nel suo complesso,<br />

al fine <strong>di</strong> consentire una lettura che per ogni unità e<strong>di</strong>lizia sia riferita al contesto (teorico,<br />

culturale, storico, urbanistico, formale, legislativo) che ne ha delineato la morfologia.<br />

Infatti lo scopo dell’analisi multicriteri@ è quello <strong>di</strong> ricostruire il DNA2 del territorio<br />

passando dal semplice rilievo geometrico al rilievo <strong>di</strong> tutte le componenti che<br />

determinano il territorio stesso. <strong>La</strong> rapi<strong>di</strong>tà e la molteplicità rappresentano le due <strong>di</strong>mensioni<br />

salienti che configurano la rappresentazione dell’analisi multicriteri@. <strong>La</strong> rapi<strong>di</strong>tà<br />

e la molteplicità <strong>di</strong>ventano così due con<strong>di</strong>zioni necessarie ma non sufficienti<br />

per definire qual’è il luogo dell’architettura; infatti l’architettura sta sul limite tra lo<br />

spazio esterno (spazio estensivo) e lo spazio interno (spazio intensivo), il limite <strong>di</strong>venta<br />

così il luogo della flui<strong>di</strong>tà e della <strong>di</strong>namicità in cui sono contenute tutte le <strong>di</strong>mensioni.<br />

<strong>La</strong> rappresentazione svolge dunque un ruolo cruciale nello svelare quel si


1<br />

360<br />

1 Napoli vista da Pizzofalcone,<br />

2007.<br />

Memorie future del Centro Antico <strong>di</strong> Napoli<br />

stema complesso che è tipico della realtà da un lato, ma anche del progetto <strong>di</strong> architettura<br />

dall’altro. Pertanto l’operazione principale dell’analisi multicriteri@ è quella<br />

<strong>di</strong> misurare e <strong>di</strong>scretizzare la realtà: sia essa un oggetto, un manufatto, un pezzo <strong>di</strong><br />

città un intero territorio o più in generale un intero sistema ambientale. L’ambiente,<br />

come sappiamo, è un sistema complesso e articolato, costituito da territori che non<br />

sono altro che degli ambienti definiti da ambiti giuri<strong>di</strong>co-amministrativi. Per questo<br />

l’azione dell’analisi multicriteri@ mira alla conoscenza più profonda dell’oggetto indagato<br />

attraverso l’integrale delle competenze per concorrere alla conoscenza profonda<br />

dell’ambiente. Il rilevatore che opera per mezzo dell’analisi multicriteri@ attraverso<br />

l’operazione <strong>di</strong> misurazione del territorio non fa altro che selezionare, interpretare e<br />

<strong>di</strong>scretizzare l’evento; lo <strong>di</strong>vide in ogni sua parte riducibile; scompone, razionalizza,<br />

compone l’insieme degli elementi su cui puntare per lo sviluppo futuro. Conoscere i<br />

segni del già fatto ci consente <strong>di</strong> progettare il confine del futuro: conoscere dunque<br />

per patrimonializzare. Il rilevatore dunque ricerca e ricostruisce il sistema <strong>di</strong> relazione<br />

tra le parti, le inter<strong>di</strong>pendenze tra luoghi e spazi, tra territorio e architettura, tra economia<br />

e progetto. Attraverso questa operazione si è realizzata una analisi multicriteri@<br />

della città <strong>di</strong> Napoli che ha permesso <strong>di</strong> ricostruire il genoma del territorio, finalizzata<br />

alla trasformazione del territorio stesso, in vista <strong>di</strong> un modello <strong>di</strong> sviluppo<br />

sostenibile. Il termine sostenibilità <strong>di</strong>venta dunque un atteggiamento culturale <strong>di</strong> sviluppo,<br />

gestione e mo<strong>di</strong>ficazione del territorio, in cui le tre <strong>di</strong>mensioni economica_sociale_ambientale<br />

non vanno considerate come una sommatoria ma come integrale<br />

delle competenze frutto della contaminazione tra i campi. Quando si riflette su una<br />

realtà complessa come quella napoletana, o si elaborano interventi su <strong>di</strong> essa, si finisce<br />

spesso per isolare, volta per volta, uno solo dei tanti segmenti che la compongono,<br />

forse per tentare <strong>di</strong> scioglierne la complessità sociale e temporale. Ne nasce<br />

spesso una illusoria semplificazione dei problemi, in realtà una riduzione che fa perdere<br />

<strong>di</strong> vista proprio la città. In realtà nessun elemento può essere pensato adeguatamente<br />

senza la consapevolezza del primato logico e funzionale dell’insieme e della <strong>di</strong>mensione<br />

inestricabile delle interrelazioni che da esso hanno origine. Storicamente,<br />

nei suoi termini e nei limiti delle sue possibilità, la cultura tra<strong>di</strong>zionale raccoglie la


Gabriella Abate<br />

sfida <strong>di</strong> tale complessità e tenta <strong>di</strong> sciogliere quello che altrimenti resterebbe un nodo<br />

inestricabile <strong>di</strong> frammenti della storia, del senso, del vivere in<strong>di</strong>viduale e collettivo.<br />

Basti pensare alle forme tra<strong>di</strong>zionali della socialità dell’economia della religiosità e<br />

della morale familiare e comunitaria: sistemi <strong>di</strong> relazione che riaggiustano incessantemente<br />

il vecchio e il nuovo, il passato e il presente, il privato e il pubblico. Un vero<br />

e proprio arrangement socio antropologico <strong>di</strong> cui si dà <strong>di</strong> solito una lectio facilior nei<br />

termini stereotipi dell’arte <strong>di</strong> arrangiarsi. Sarebbe forse il caso <strong>di</strong> leggerne in filigrana<br />

come una forma <strong>di</strong> autoregolazione culturale e strutturale. L’idea <strong>di</strong> città contenuta<br />

in queste forme <strong>di</strong> autoregolazione, e nei suoi “istituti” comunitari e societari, opportunamente<br />

riconvertita e recuperata alla legalità, potrebbe costituire una sollecitazione<br />

a pensare, anche per immaginare un “nuovo” che faccia sua la parte migliore<br />

del passato, suggerendo ipotesi <strong>di</strong> una crescita civile ed economica ispirate da un<br />

profondo sguardo dentro <strong>di</strong> se. Forse i nuovi scenari politico-sociali consentono <strong>di</strong><br />

cogliere con occhi più liberi quanto dell’immagine <strong>di</strong> Napoli appartiene ad un passato<br />

che è giusto lasciare al suo destino e quanto invece abbia da tempo cominciato<br />

ad abitare il futuro sgusciando tra gli interstizi dei gran<strong>di</strong> modelli dello sviluppo. Dal<br />

turismo alla pubblicità, i mercati guardano alla città con nuova attenzione, a riprova<br />

del fatto che l’immagine è parte integrante della sostanza <strong>di</strong> un luogo, soprattutto nel<br />

caso <strong>di</strong> un luogo caratterizzato da una profonda vocazione a produrre e far circolare<br />

immagini. Una vocazione che potrebbe rivelarsi nuova e potente risorsa oggi che il<br />

mercato non ha più la rigida soli<strong>di</strong>tà del ferro ma l’immateriale liqui<strong>di</strong>tà dei cristalli.<br />

Napoli deve riannodare alla trama del presente il suo passato migliore, riprendendo<br />

il filo rosso delle metamorfosi del genius loci. Ricca <strong>di</strong> un cre<strong>di</strong>to storico-antropologico,<br />

mai veramente capitalizzato e trasformato in chance collettiva, Napoli dovrebbe<br />

guardare l’orizzonte della globalizzazione attraverso la sua particolare “quadrettatura”<br />

<strong>di</strong> città antica e moderna del suo intreccio <strong>di</strong> temporalità e <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenze che chiede<br />

<strong>di</strong> essere coniugato al futuro, della sua antica capacità <strong>di</strong> imprendere e <strong>di</strong> rischiare<br />

messa quasi sempre al servizio della sopravvivenza ma che un investimento sulle vocazioni<br />

<strong>di</strong> lunga durata potrebbe trasformare in chance <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong> altrettanta lunga<br />

durata. Ecco che nell’epoca della massificazione culturale, dell’architettura globaliz-<br />

361<br />

2 Napoli vista dal Porto, 2007.<br />

2


3<br />

362<br />

Memorie future del Centro Antico <strong>di</strong> Napoli<br />

3 EcoSenseMuseum, Gabriella<br />

Abate, 2008.


Gabriella Abate<br />

4 Misurare la forma dello spazio<br />

e del tempo, Gabriella Abate, 2008.<br />

363<br />

4


364<br />

zata e della mancata consapevolezza, l’unica risposta possibile in termini multi<strong>di</strong>mensionali<br />

<strong>di</strong>venta l’Ecomuseo 3 del centro antico <strong>di</strong> Napoli, luogo della memoria collettiva,<br />

uno specchio in cui la popolazione si guarda per riconoscersi e per conoscersi,<br />

e per cercare <strong>di</strong> comprendere il territorio cui è legata, momento <strong>di</strong> congiunzione con<br />

le generazioni che l’hanno preceduta.<br />

Note<br />

1 C. GAMBARDELLA, S. MARTUSCIELLO, a cura <strong>di</strong>, Le vie dei Mercanti, Da Luca Pacioli all’Eco-<br />

geometria del territorio, ESI, Napoli 2001.<br />

2 C. GAMBARDELLA, Disegno come governo della mo<strong>di</strong>ficazione dell’ambiente naturale e costruito, in<br />

“Atti del XXV Convegno Internazionale delle <strong>di</strong>scipline della Rappresentazione, I Congresso<br />

UID, Il Progetto del Disegno”, Lerici, 2004.<br />

3 G. ABATE, Tavola EcoSenseMuseum in tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea, Analisi Multicriteri@ nel Centro Antico <strong>di</strong><br />

Napoli: Il Complesso Conventuale <strong>di</strong> Sant’Andrea delle Dame, Relatore Prof. Arch. Carmine Gambardella,<br />

Can<strong>di</strong>data Gabriella Abate, Aversa 24/07/2008.<br />

Bibliografia<br />

GAMBARDELLA C., Ecogeometria in Venafro, identità e trasparenze, ESI, Napoli, 2001.<br />

GAMBARDELLA C., MARTUSCIELLO S., a cura <strong>di</strong>, Città rete_rete <strong>di</strong> Città, <strong>La</strong> <strong>scuola</strong> <strong>di</strong> <strong>Pitagora</strong>, Napoli 2007.<br />

GAMBARDELLA C., MARTUSCIELLO S., a cura <strong>di</strong>, Le vie dei Mercanti, Da Luca Pacioli all’Ecogeometria<br />

del territorio, ESI, Napoli 2001.<br />

GAMBARDELLA C., Disegno come governo della mo<strong>di</strong>ficazione dell’ambiente naturale e costruito, , in<br />

“Atti del XXV Convegno Internazionale delle <strong>di</strong>scipline della Rappresentazione, I Congresso<br />

UID, Il Progetto del Disegno”, Lerici, 2004.<br />

NAPOLI M., Napoli greco-romana, Napoli, 1959.<br />

NAPOLI M., “Topografia ed archeologia”, in Storia <strong>di</strong> Napoli, vol.I, pp.373-507, Napoli 1967.<br />

SANTORO L., Le mura <strong>di</strong> Napoli, Roma, Istituto italiano dei castelli, 1984.<br />

Memorie future del Centro Antico <strong>di</strong> Napoli


IL TEMPO PERDUTO E RITROVATO<br />

PONTELATONE ALLA RI-SCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITÀ<br />

Pontelatone sorse, in epoca me<strong>di</strong>evale, su una altura circondata da valloni, che rappresentavano,<br />

per la città, una <strong>di</strong>fesa naturale. L’inse<strong>di</strong>amento si presentava, all’epoca,<br />

come un castrum, ossia un borgo dotato <strong>di</strong> cinta muraria, sviluppato intorno<br />

ad un castello e collegato con la vallata solo da due ponti, da cui forse deriva il toponimo<br />

della città (Pons <strong>La</strong>trones). L’abitato ha una struttura “a fuso” tipicamente me<strong>di</strong>evale,<br />

supportata da tre assi viari: uno centrale, corrispondente al percorso <strong>di</strong> ingresso<br />

nella città antica; due che delimitano lateralmente la forma del fuso. I collegamenti<br />

tra i tre assi, nel <strong>di</strong>segno degli isolati, sono spora<strong>di</strong>ci, così come le ramificazioni<br />

verso l’esterno, impe<strong>di</strong>te dai due corsi d’acqua che cingono il colle.<br />

<strong>La</strong> scelta del sito fu strategica, non solo dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong>fensivo, ma anche da<br />

quello economico, poiché, vista la sua posizione <strong>di</strong> collina, consentiva la protezione<br />

della pianura sottostante e, contemporaneamente, un facile accesso per gli abitanti al<br />

bosco, al pascolo e alle colture. Pontelatone, dunque, nacque con una esplicita funzione<br />

<strong>di</strong> coor<strong>di</strong>namento e controllo dell’area e della sua economia in crescita e <strong>di</strong>venne,<br />

<strong>di</strong>fatti, un importante centro socio-economico e culturale.<br />

<strong>La</strong> città raggiunse il suo massimo splendore nel XV secolo, sotto la dominazione aragonese,<br />

con la famiglia Carafa che, trascorrendovi lunghi perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> residenza, permise<br />

al centro <strong>di</strong> risentire delle correnti culturali del Regno e <strong>di</strong> godere, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong><br />

un certo benessere sociale,<br />

anche se il popolo fu esageratamente<br />

sfruttato, subendo,<br />

a volte, gravi angherie.<br />

Il re Alfonso V dette<br />

un grande impulso alle arti,<br />

favorendo, con il suo mecenatismo,<br />

l’arrivo nel meri<strong>di</strong>one<br />

<strong>di</strong> maestri dalla<br />

Spagna e dall’Italia stessa,<br />

1 <strong>La</strong> conformazione urbana “a<br />

fuso” del centro abitato <strong>di</strong> Pontelatone<br />

(CE)<br />

<strong>di</strong> LAURA ADAMO<br />

Chi non ha memoria del passato non ha speranza per il futuro<br />

Prof. Ing. Enzo Siviero 1<br />

1


2<br />

248<br />

Il tempo perduto e ritrovato<br />

dove lo stile rinascimentale stava oramai rigettando quello gotico, sotto la spinta dei<br />

gran<strong>di</strong> artisti delle corti toscane. Nell’Italia meri<strong>di</strong>onale, però, ed in particolare nei<br />

centri minori sottoposti al feudalesimo, la corrente toscana tardò a farsi sentire, sovrastata<br />

invece dall’influenza dell’architettura catalana, le cui forme erano ben più familiari<br />

ai feudatari aragonesi. Non mancano esempi <strong>di</strong> contaminazione tra arte catalana<br />

e architettura rinascimentale, ma la quasi totalità degli e<strong>di</strong>fici presenta una originalità<br />

<strong>di</strong> espressione che, più che ad una influenza catalana, fa pensare a caratteri<br />

autoctoni che, dovendo classificare, potremmo definireRinascimento meri<strong>di</strong>onale.<br />

Quella <strong>di</strong>ffusasi tra ‘400 e ‘500 nell’Italia meri<strong>di</strong>onale, infatti, è un’arte non omologa<br />

a quanto <strong>di</strong>chiarato “nazionale”, che presenta dei caratteri del tutto autonomi, ma<br />

non per questo legati solo alla storia locale. <strong>La</strong> matrice culturale <strong>di</strong> questo movimento<br />

è ben ra<strong>di</strong>cata nella memoria dei luoghi ed è dotata <strong>di</strong> una propria in<strong>di</strong>vidualità storica<br />

ed artistica, ma, al contempo, è partecipe <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> scambio culturale<br />

che dà vita ad una propria idea <strong>di</strong> rinascimento, comune a tutto il sud, sebbene carente<br />

<strong>di</strong> una rigorosa e precisa unità stilistica.<br />

<strong>La</strong> produzione architettonica ed artistica <strong>di</strong> questo periodo a Pontelatone fu talmente<br />

rilevante da collocare il comune tra le più importanti testimonianze<br />

del movimento. Inoltre, la notevole conservazione<br />

del carattere unitario del borgo, per nulla contaminato<br />

da manifestazioni posteriori, ne fa uno dei centri<br />

<strong>di</strong> maggiore espressività del rinascimento meri<strong>di</strong>onale.<br />

Il centro storico del comune porta ancora con sé consistenti<br />

tracce dell’impianto urbanistico ed architettonico<br />

del XV secolo, preservato dalle mo<strong>di</strong>ficazioni delle epoche<br />

successive dalla sua posizione e dalla configurazione<br />

morfologica del territorio, che ha impe<strong>di</strong>to qualsiasi ulteriore<br />

sviluppo dell’inse<strong>di</strong>amento, consentendogli <strong>di</strong> conservare<br />

la sua unicità e, quin<strong>di</strong>, la sua identità. <strong>La</strong> forma<br />

dei luoghi, infatti, deve essere intesa “non solo come<br />

aspetto esteriore, ma anche come portatrice <strong>di</strong> valori im-<br />

2 Portale ad arco depresso nel<br />

centro storico <strong>di</strong> Pontelatone.


<strong>La</strong>ura Adamo<br />

materiali, legati alla storia, la cultura e le tra<strong>di</strong>zioni che nei secoli hanno impresso le<br />

loro tracce all’ambiente” 2 .<br />

Gli e<strong>di</strong>fici e gli elementi decorativi rinascimentali superstiti, traccia e memoria del<br />

passato, creano a Pontelatone “un’atmosfera <strong>di</strong> tempo perduto e ritrovato” 3 , conservando<br />

il segno della storia, della cultura e delle tra<strong>di</strong>zioni locali. Infatti, l’aspetto che<br />

caratterizza il rinascimento meri<strong>di</strong>onale, <strong>di</strong>stinguendolo dalle manifestazioni europee<br />

della stessa corrente, è la sua capacità <strong>di</strong> integrarsi con le costruzioni preesistenti, senza<br />

rinnegarle, ma anzi rispettandone le peculiarità, gli impianti urbani ed i materiali tra<strong>di</strong>zionali,<br />

con il risultato <strong>di</strong> una perfetta armonia, anche<br />

cromatica, fra le parti compiute in tempi <strong>di</strong>versi. L’architettura<br />

rinascimentale meri<strong>di</strong>onale, dunque, non è<br />

fatta <strong>di</strong> scorci aperti e stilizzati o <strong>di</strong> facciate, scale e cortili<br />

preziosi per forma e materiali, bensì reinterpreta la<br />

tra<strong>di</strong>zione rurale, fatta <strong>di</strong> tessiture murarie semplici e materiali<br />

poveri (il tufo grigio campano in primo luogo),<br />

coniugandola con le rivisitate forme della classicità al fine<br />

<strong>di</strong> “ingentilirla”. Sicché i palazzi ruotano intorno ad uno<br />

spazio centrale scoperto, ma, a <strong>di</strong>fferenza della classica<br />

casa a corte, risentendo dell’influenza catalana, si aprono<br />

maggiormente all’esterno, con elementi peculiari quali<br />

finestre, bifore, trifore o anche semplici monofore, decorate<br />

da elementi scultorei, ed oggetti ornamentali in<br />

facciata, come il bugnato od i portali ad arco depresso 4<br />

policentrico su stipiti calcarei.<br />

Le facciate ed i cortili del centro storico <strong>di</strong> Pontelatone<br />

si susseguono, ornati da finestre in pietra, cornici scolpite<br />

e portali, in un unicum monumentale creando un<br />

ambiente <strong>di</strong> grande suggestione che costituisce quella singolarità<br />

che <strong>di</strong>fferenzia il comune dagli altri centri minori<br />

dell’Italia meri<strong>di</strong>onale. Proprio in questa peculiarità<br />

3 Bifora decorata da elementi<br />

scultorei nel centro storico <strong>di</strong> Pontelatone.<br />

4 L'ingresso al borgo me<strong>di</strong>evale<br />

<strong>di</strong> Pontelatone. 4<br />

249<br />

3


250<br />

risiedono le ra<strong>di</strong>ci del “patrimonio genetico” dei nostri luoghi che, come scrive il Prof.<br />

Carmine Gambardella, rappresenta il terreno fertile per produrre innovazione e sviluppo.<br />

Essi, però, sono possibili solo quando si è sensibili alla propria <strong>di</strong>mensione territoriale<br />

e si ha quel senso <strong>di</strong> appartenenza alla propria terra che rende consapevoli<br />

<strong>di</strong> essere depositari <strong>di</strong> un patrimonio <strong>di</strong> inestimabile valore, il quale, in quanto tra<strong>di</strong>zione,<br />

storia e cultura <strong>di</strong> un popolo, non appartiene più solo al popolo stesso, ma<br />

all’umanità intera, che, dunque, ha il dovere <strong>di</strong> preservarlo per consegnarlo ai posteri<br />

affinché non giaccia <strong>di</strong>menticato nel tempo.<br />

Note<br />

1 intervento al VI Forum Internazionale <strong>di</strong> Su<strong>di</strong> Le vie dei Mercanti, Capri 5 giugno 2008.<br />

2 C. GAMBARDELLA, a cura <strong>di</strong>, Molise. Usi Civici e Paesaggio, <strong>La</strong> <strong>scuola</strong> <strong>di</strong> <strong>Pitagora</strong> e<strong>di</strong>trice, Na-<br />

poli 2008, pag. 7.<br />

3 M. ROSI, L’altro Rinascimento. Architettura meri<strong>di</strong>onale del ‘400, Liguori E<strong>di</strong>tore, 2007.<br />

4 anche detto arco durazzesco (Carlo Gavini) o arco catalano (Roberto Pane). Di fatto, però, quest’arco<br />

è tipicamente napoletano non esistendo alcun elemento che vi somigli nell’architettura<br />

della Catalogna.<br />

Bibliografia<br />

CIELO L. R., Alle origini del castrum longobardo, in ASSOCIAZIONE STORICA DEL PONTELATOSESE,<br />

a cura <strong>di</strong>, Pontelatone dall’età longobarda all’età aragonese, Pontelatone 1989.<br />

GAMBARDELLA C., a cura <strong>di</strong>, Molise. Usi Civici e Paesaggio, <strong>La</strong> <strong>scuola</strong> <strong>di</strong> <strong>Pitagora</strong>, Napoli 2008.<br />

PANE R., Il Rinascimento nell’Italia Meri<strong>di</strong>onale, E<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> Comunità, 1977.<br />

ROSI M., L’altro Rinascimento. Architettura meri<strong>di</strong>onale del ‘400, Liguori E<strong>di</strong>tore, 2007.<br />

ROSI M., Pontelatone e l’area <strong>di</strong> Montemaggiore, Giannini E<strong>di</strong>tore, Napoli 1995.<br />

Il tempo perduto e ritrovato<br />

ROSI M., Architettura meri<strong>di</strong>onale del Rinascimento, Società E<strong>di</strong>trice Napoletana, Napoli 1983.


TRADIZIONE E INNOVAZIONE PER IL RECUPERO DELLA VALLE DEL SARNO<br />

Introduzione<br />

<strong>di</strong> EUGENIA ALOJ, MARIAGRAZIA DE CASTRO, MICHELA TOTÀRO, ANNA ZOLLO<br />

<strong>La</strong> storia della Valle del Sarno, è un intreccio <strong>di</strong> vicende ambientali, sociali ed economiche,<br />

giocato sul rapporto tra l’uso antropico del fiume e le necessità della vita<br />

naturale del fiume e dell’ecosistema complessivo, alla ricerca incessante dell’equilibrio<br />

tra captazioni, sversamenti e vita fluviale. Nel corso della storia, infatti, è mancata la<br />

ricomposizione tra i para<strong>di</strong>gmi ambientali ed i para<strong>di</strong>gmi antropici, essenzialmente<br />

perché la comprensione dell’ambiente naturale ed umano non è avvenuta in funzione<br />

della possibilità <strong>di</strong> coglierne l’essenza complessa, ma piuttosto in funzione della costruzione<br />

<strong>di</strong> strumenti adatti <strong>di</strong> gestione dei problemi ambientali man mano che essi<br />

si manifestavano.<br />

Tutto ciò ha finito anche per trasformare il paesaggio, la rappresentazione che le popolazioni<br />

locali danno al territorio su cui vivono, venendo a mancare quella sorta <strong>di</strong><br />

auto-riconoscimento dello spazio con<strong>di</strong>viso attraverso la partecipazione intesa come<br />

costruzione e manutenzione delle proprie risorse ambientali.<br />

<strong>La</strong> Valle del Sarno si presenta come una unità <strong>di</strong> tre<strong>di</strong>ci comuni che interessa tre province:<br />

Napoli, Avellino e Salerno.<br />

Nell’ambito dei tre<strong>di</strong>ci comuni si configurano quali centri rurali i comuni <strong>di</strong> Roccapiemonte,<br />

Castel S. Giorgio, Sarno, S. Marzano e S. Valentino.<br />

Il fiume Sarno può essere interpretato come corridoio nell’ecomosaico sarnese compreso<br />

tra il Parco Nazionale del Vesuvio, il Parco Archeologico <strong>di</strong> Pompei e l’area <strong>di</strong><br />

crisi ambientale.<br />

Nel corso della storia le acque superficiali del bacino idrografico sono state utilizzate<br />

per alimentare mulini, opifici, fabbriche tessili, alimentari, per l’irrigazione e per la<br />

produzione <strong>di</strong> energia elettrica.<br />

Per quanto riguarda i tipi <strong>di</strong> vegetazione, nella piana sarnese è prevalente il seminativo<br />

irriguo ed i boschi <strong>di</strong><br />

castagni che prevalgono<br />

nell’area dei monti <strong>La</strong>ttari<br />

e l’avellinese.<br />

1 Il territorio della Valle del<br />

Sarno.<br />

1


370<br />

Tra<strong>di</strong>zione e innovazione per il recupero della Valle del Sarno<br />

<strong>La</strong> frequentazione dell’area da parte dell’uomo inizia a partire dal Paleolitico me<strong>di</strong>o,<br />

cioè a circa 30.000 anni fa,come si evince dai materiali ritrovati nell’area <strong>di</strong> Montoro,<br />

Tòrnola e Serino.<br />

I dati della ricerca preistorica presentano, poi, un vuoto <strong>di</strong> circa 20.000 anni, per arrivare<br />

al Neolitico, documentato dalle ossi<strong>di</strong>ane ritrovate nella piana sarnese a Boscoreale.<br />

A circa 2500 anni a.C., si fanno invece risalire lagune e palu<strong>di</strong> ed inse<strong>di</strong>amenti<br />

protostorici del bronzo antico ritrovati nell’area <strong>di</strong> Palma Campania e Sarno.<br />

Si tratta <strong>di</strong> comunità stanziali che praticavano agricoltura ed allevamento come testimoniano<br />

alcuni ritrovamenti archeologici.<br />

Nella ricostruzione preistorica della valle del Sarno, è possibile inoltre in<strong>di</strong>viduare la<br />

facies appenninica che mostra continuità <strong>di</strong> rapporti, dal bronzo antico a quello me<strong>di</strong>o.<br />

Negli stessi anni erano presenti, nell’area, gruppi etruscofoni e dal VII secolo a.C.<br />

inizia lo scambio con i Greci come viene documentato anche a Nuceria.<br />

Prima del III secolo a.C. era in<strong>di</strong>viduato l’Ager Pompeianus circoscrivibile come una<br />

piana attraversata dalla strada Nuceria-Neapolim.<br />

Nel I secolo d.C., prima dell’eruzione del Monte Somma, era possibile in<strong>di</strong>viduare<br />

l’ubicazione del porto dell’antica Pompei alla foce del fiume Sarno ed identificare due<br />

gran<strong>di</strong> centri: Nuceria e Pompei con circa 25.000 abitanti per ciascuno.<br />

Le specie animali che popolavano la foce del fiume Sarno erano l’Anodonta cignaea,<br />

il Corallium rubrium, la Patella ferruginea. Con riferimento alla vegetazione, invece,<br />

si trovava il Salice, l’Ontano, il Corniolo ed il Frassino; i canneti degli acquitrini erano<br />

costituiti da Arundo donax e Phragmites australis. Anche i cipressi erano piantati in<br />

foce per la loro capacità igrofila <strong>di</strong> bonificare i terreni più umi<strong>di</strong>.<br />

<strong>La</strong> fauna terrestre contava numerose specie <strong>di</strong> maruzze comuni dei Monti <strong>La</strong>ttari e<br />

maruzze giganti dei Monti Picentini, mentre nella piana erano presenti le maruzze<br />

c.c.d.d. attumatella e ceraiola.<br />

Gli appezzamenti coltivati contavano colture <strong>di</strong> piccola taglia, come la lattuga e piante<br />

da frutto (fico,pesco, ciliegio, melo, pero, limone e specie importate come il melograno<br />

e l’albicocco).<br />

Tra le specie officinali un posto <strong>di</strong> rilievo era occupato dalla canapa e dal lino: inol-


Eugenia Aloj, Mariagrazia De Castro, Michela Totàro, Anna Zollo<br />

tre non mancavano i cereali (frumento, orzo e farro) ed alcune specie utilizzate a<br />

scopo me<strong>di</strong>cale (rosa, giglio, viola ed altre specie a base oleosa).<br />

Sui Monti <strong>La</strong>ttari, il bosco da querceto - castagneto <strong>di</strong>ventava faggeta dai 1000 metri<br />

in poi: sui monti, inoltre, erano presenti pascoli per la transumanza degli ovini<br />

utilizzati per la produzione del latte e dei formaggi. Anche l’allevamento dei buoi era<br />

praticato, soprattutto per scopi agricoli.<br />

L’eruzione del 79 d.C. ricoprì Pompei <strong>di</strong> pomici, ceneri e lapilli: il fiume e le palu<strong>di</strong><br />

del bacino idrografico del Sarno dovevano ritrovare un nuovo equilibrio. <strong>La</strong> popolazione<br />

si spostò nell’entroterra solofrano che offriva, grazie ai boschi <strong>di</strong> castagno, il<br />

tannino, che insieme con l’acqua, <strong>di</strong>ede vita all’attività della concia delle pelli.<br />

Il fiume riprendeva ad essere navigabile ma il porto si spostava a Stabia ed il fiume<br />

ritornava ad avere quel ruolo strategico anche militare (con la costruzione <strong>di</strong> ponti e<br />

presi<strong>di</strong>) oltreché economico-produttivo (permettendo le comunicazioni terrestri ed<br />

alimentando la fertilità dei terreni).<br />

Nel 1308 la concessione rilasciata ai Filangieri, che permetteva <strong>di</strong> utilizzare le acque<br />

<strong>di</strong> Solofra per la concia, e le agevolazioni fiscali angioine, davano vita ad un’intesa attività<br />

produttiva che attirava anche i lanaioli fiorentini. Si <strong>di</strong>ffondevano allevamenti<br />

<strong>di</strong> cammello fino a Cava dei Tirreni e opifici <strong>di</strong> stoffe e lana. A tali allevamenti si aggiungevano<br />

coltivazioni <strong>di</strong> lino e canapa che si alternavano con cereali, dando vita ad<br />

un mosaico agrario della piana sarnese caratterizzato dalla policoltura intensiva. Tale<br />

mosaico, al 1500, prevedeva anche vigne e boschi <strong>di</strong> ceduo castanile, pioppi, olmi e<br />

querce, frutteti ed orti.<br />

Alcuni eventi naturali e storico-economici, succedutesi nel XV e XVI secolo (1602:<br />

alluvione del Solofrana, 1631 e 1737: eruzione del Vesuvio, 1668, 1688, 1732: sisma,<br />

1734: inizio del Regno <strong>di</strong> Carlo <strong>di</strong> Borbone) determinavano una nuova evoluzione<br />

dell’assetto del fiume. I conta<strong>di</strong>ni usurpavano abusivamente le acque del Canale<br />

Conte <strong>di</strong> Sarno, ma dal 1700 in poi le sue acque vennero utilizzate per scopi irrigui.<br />

Le acque alimentavano fertili coltivazioni ortive, coltivazioni <strong>di</strong> gelso, canapa e<br />

cotone. <strong>La</strong> <strong>di</strong>sponibilità irrigua traghettò gli opifici della zona verso la Rivoluzione<br />

Industriale contribuendo alla floridezza dell’industria serica, del cotone e della canapa<br />

371


372<br />

Tra<strong>di</strong>zione e innovazione per il recupero della Valle del Sarno<br />

e, con la produzione <strong>di</strong> energia idraulica, alla nascita dell’industria polveriera nella<br />

zona <strong>di</strong> Torre Annunziata. Sin dal 1807 si cominciò a parlare <strong>di</strong> bonifica, che effettivamente<br />

fu avviata nel nocerino, mentre nella piana del Solofrana si lavorava ai collettori<br />

principali e a Scafati con la costruzione <strong>di</strong> paratie utilizzando anche le acque<br />

dello Sguazzatorio (canale della rete scolante) permettendo così allagamenti e ristagni<br />

in località Vaglio.<br />

Il paesaggio agrario prendeva una nuova forma con coltivazioni <strong>di</strong> ulivo, vite ed ortaggi<br />

ed una produzione cerealicola che consentiva ad ogni casa a corte <strong>di</strong> avere l’aia.<br />

Nel 1824 gli svizzeri Mayer e Zollinger stabilivano una filanda a Scafati e poi ad Angri<br />

avviando una produzione tessile che contava 1200 operai che <strong>di</strong>veniva sempre più<br />

fiorente tanto da portare all’apertura <strong>di</strong> una nuova filanda <strong>di</strong> lino e cotone a Sarno<br />

ed un cotonificio a Scafati con altri 2000 addetti.<br />

A metà dell’800 la produzione <strong>di</strong> fillossera provocava l’estinzione del patrimonio viticolo<br />

e la moria del gelso mettendo in crisi l’industria serica e dando vita alla riconversione<br />

in ortivi. Nel 1841 un’esondazione dell’alveo, probabilmente dovuta alla piena<br />

del Solofrana, provocava l’alluvione <strong>di</strong> San Marzano sul Sarno.<br />

Nel 1851 il polverificio <strong>di</strong> Torre Annunziata veniva spostato a Scafati, tra il Sarno ed<br />

il canale Bottaro, per utilizzarne al meglio le acque a scopo <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> energia<br />

elettrica.<br />

Nel 1855, in piena epoca bornonica, iniziava una bonifica il cui obiettivo era il prosciugamento<br />

dei terreni paludosi che si formavano per i ristagni d’acqua dovuti alle<br />

esondazioni delle acque fluviali, nonché il prosciugamento <strong>di</strong> acque dovute alle polle<br />

sorgive del sarnese.<br />

Nella prospettiva <strong>di</strong> una bonifica integrale ed organica, dunque, il reticolo idrografico<br />

del Sarno veniva ad essere così <strong>di</strong>stribuito in una rete idrica superficiale stratificato<br />

a due livelli (quello del fiume Sarno pensile con i canali <strong>di</strong> derivazione insieme<br />

all’Alveo comune nocerino ed ai torrenti Solofrana e Cavaiola e quello della rete scolante<br />

con funzioni irrigue). Tutta la rete confluiva nel fiume Sarno a valle <strong>di</strong> Scafati.<br />

Nel quadro complessivo della bonifica, si determinava un nuovo assetto delle coltivazioni<br />

con la produzione <strong>di</strong> patate, fave, pomodori, cavoli oltre al frumento, il granoturco<br />

e l’avena e rafforzando alcune specificità, già ben note sin dal 1400, come il


Eugenia Aloj, Mariagrazia De Castro, Michela Totàro, Anna Zollo<br />

cavolfiore <strong>di</strong> Angri e Scafati, il pomodoro <strong>di</strong> San Marzano ed i peperoni <strong>di</strong> Nocera.<br />

Nel 1944 una nuova eruzione del Vesuvio mo<strong>di</strong>ficava ulteriormente l’assetto del paesaggio<br />

poiché fu azzerato il paesaggio costruito e l’accumulo dei materiali piroclastici<br />

riempiva canali e vasche utilizzate anche come <strong>di</strong>scariche.<br />

Negli Anni sessanta, si assisteva al decremento dell’industria agroalimentare e conserviera,<br />

che era cominciata con lo stabilimento Cirio <strong>di</strong> Pagani (1882), e che fino<br />

agli Anni cinquanta contava 188 fabbriche, poi ridotte, nel decennio successivo, a<br />

quarantasette unità concentrate nel triangolo industriale <strong>di</strong> Scafati, Angri e S. Antonio<br />

Abate.<br />

Ma i mutati processi produttivi e l’avvento della tecnologia, comportarono che l’industria<br />

conserviera non avesse più bisogno dell’acqua come fonte energetica e la rete<br />

idrica non era più strategico fattore <strong>di</strong> localizzazione industriale. In effetti, in quegli<br />

anni le industrie avevano bisogno <strong>di</strong> fognature per scaricare i reflui: <strong>di</strong> qui l’origine<br />

storica dell’inquinamento del Sarno.<br />

Il valore naturalistico e storico - simbolico, nonché economico - produttivo del fiume<br />

Sarno venne completamente sostituito dal <strong>di</strong>svalore del fiume considerato come una<br />

fognatura, idonea a raccogliere qualsivoglia refluo dell’attività produttiva (ma soprattutto<br />

i reflui dell’industria conserviera e dell’industria conciaria che utilizzava, in luogo<br />

del tannino, il cromo, pericoloso inquinante acquifero).<br />

L’ecosistema fluviale viene completamente sconvolto ed i suoi meccanismi <strong>di</strong> funzionamento<br />

vengono completamente alterati. Quell’armonia tra uomo ed ambiente, determinata<br />

dalla fortunata posizione geografica, dal clima e dalla fertilità del suolo (che<br />

hanno attirato <strong>di</strong>verse civiltà dall’età del Bronzo all’Ottocento) viene completamente<br />

esautorata dall’incremento spropositato dell’inse<strong>di</strong>amento industriale, cancellando in<br />

un colpo solo valori ambientali e storico - culturali, alimentando un <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne territoriale<br />

che trova la sua massima espressione nell’attuale stato <strong>di</strong> salute del fiume Sarno<br />

che sgorga limpido alle falde del Monte Saro in località Affrontata dello Specchio (all’altezza<br />

<strong>di</strong> S. Valentino Torio) presso la città <strong>di</strong> Sarno, ma poi a metà del suo corso viene<br />

compromesso dall’unione con i due torrenti Solofrana e Cavaiola, fortemente inquinati<br />

ed ormai ridotti allo stato artificiale, che affluiscono in un unico collettore passante per<br />

Nocera Inferiore, denominato Alveo comune nocerino. Questo poi scarica nel fiume Sarno<br />

373


374<br />

Tra<strong>di</strong>zione e innovazione per il recupero della Valle del Sarno<br />

presso l’abitato <strong>di</strong> S. Marzano dove affluiscono le uniche sorgenti rimaste (ma in via <strong>di</strong><br />

esaurimento) e da cui hanno origine i corsi <strong>di</strong> S. Maria e <strong>di</strong> Mercato <strong>di</strong> Palazzo, nel Comune<br />

<strong>di</strong> Sarno, e <strong>di</strong> San Marino a tre chilometri da Sarno. Il fiume sfocia infine nel<br />

golfo <strong>di</strong> Castellamare <strong>di</strong> Stabia (Pellicano A.,2001).<br />

Il fiume Sarno <strong>di</strong>venta la vittima dell’industrializzazione e dell’inurbamento: viene<br />

spezzata la connessione tra l’uso e la percezione dell’acqua e, rompendosi l’equilibrio<br />

tra valore naturale dell’acqua e fruizione antropica, si perdono le immagini della civiltà<br />

passata.<br />

Tra tutti i sistemi <strong>di</strong> acque interne, gli ambienti fluviali sono la parte più <strong>di</strong>namica dei<br />

paesaggi. <strong>La</strong> velocità dei processi ecologici e idrologici della risorsa “acqua” genera attualmente<br />

conflitto con la velocità delle trasformazioni antropiche: esse tendono a banalizzare<br />

le forme che sottendono a processi complessi, causando una riduzione, a volte drastica,<br />

delle risorse esistenti, prima fra tutte l’acqua e il suo paesaggio. I risultati, soprattutto nei<br />

paesi industrializzati, conducono ai <strong>di</strong>ssesti idrogeologici del territorio, la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità<br />

a vantaggio <strong>di</strong> una omogeneità e per<strong>di</strong>ta dei caratteri fortemente identitari e culturali<br />

dei paesaggi fluviali. (Mininni M.,Sallustro D., 2003). L’alterazione del paesaggio<br />

impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> raccontare la storia del fiume e della valle: il paesaggio non riesce<br />

più a restituire la storia della sua formazione, delle sue mo<strong>di</strong>ficazioni, delle sue sovrapposizioni.<br />

Il paesaggio non ha potuto conservare i segni e le tracce sovrapposte e<br />

se<strong>di</strong>mentate che la natura da un lato, e la scellerata azione antropica dall’altro, hanno<br />

via via depositato nel corso dei secoli. Sono scomparsi i segni. Altre memorie sono<br />

semplicemente nascoste. Altre immagini sono state alterate dallo scorrere inevitabile<br />

degli avvenimenti economico - produttivi che hanno finito per mutare anche gli atteggiamenti<br />

culturali e gli stili <strong>di</strong> vita delle genti rurali. E così il significato aforistico<br />

del Panta rei os potamòs (dal greco panta rei) eracliteo non connota più il fiume<br />

e le sue valenze storiche, spaziali e temporali, ma finisce per sottolineare come l’uomo<br />

non possa mai fare la stessa esperienza per due volte, giacché il fiume, nella sua realtà<br />

apparente, è stato sottoposto alla legge inesorabile del tempo.


Eugenia Aloj, Mariagrazia De Castro, Michela Totàro, Anna Zollo<br />

Analisi del quadro socio economico<br />

Alcuni elementi del quadro demografico, nonché dello scenario socioeconomico ed<br />

istituzionale, sono importanti e da non sottovalutare come ulteriori fattori <strong>di</strong> crisi e<br />

<strong>di</strong> conflitto ambientale.<br />

In questi comuni la popolazione è pari al 25% della popolazione provinciale ed il<br />

tasso <strong>di</strong> incremento annuo della popolazione è stato significativo nel triennio 2003 -<br />

2005 (soprattutto in alcuni comuni come Angri, Nocera Superiore, Sarno e Scafati),<br />

come lo era stato del resto sin dal 1971.<br />

L’area della valle, pertanto, si presenta fortemente densa e si in<strong>di</strong>viduano tre forme <strong>di</strong><br />

conurbazione (1) Castellamare-S. Antonio Abate-Angri; Pompei-Scafati; 2) Pagani-<br />

Nocera Inferiore-Nocera Superiore; 3) Sarno-San Marzano-San Valentino Torio) rappresentando<br />

sottosistemi urbani che vanno considerati come forme complesse, all’interno<br />

delle quali si realizzano precisi meccanismi <strong>di</strong> integrazione funzionale che superando il<br />

livello comunale coinvolgono l’organizzazione produttiva nel suo insieme (D’Aponte T.,<br />

1979).<br />

<strong>La</strong> forte pressione degli scarichi civili contribuisce, pertanto, certamente all’ulteriore<br />

inquinamento del fiume, tanto che le stazioni <strong>di</strong> monitoraggio superficiale dell’Arpac<br />

-Agenzia Regionale Protezione Ambiente della Campania- valutano la qualità ambientale<br />

delle acque come pessima a Scafati, Nocera Inferiore, Sarno e San Marzano,<br />

proprio i comuni interessati da un incremento demografico notevole.<br />

A ciò si accompagna un ulteriore fattore <strong>di</strong> crisi ambientale, dovuto anche agli inse<strong>di</strong>amenti<br />

civili: la produzione <strong>di</strong> rifiuti. Ad esempio solo il comune <strong>di</strong> Angri, da solo,<br />

concentra il 36% della produzione totale dei rifiuti nella provincia <strong>di</strong> Salerno.<br />

L’incremento demografico ha poi comportato una trasformazione dell’uso del suolo<br />

per uso urbano e la produzione incontrollata <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici. Negli ultimi 20 anni, oltre<br />

27 mila persone sono state denunciate per abusi e<strong>di</strong>lizi, pari al 10% della popolazione<br />

residente.<br />

Ulteriori fattori che alimentano la degenerazione ambientale dell’area sono rappresentati<br />

dal rischio frana e dal rischio alluvione, elementi <strong>di</strong> rischio ambientale senz’al-<br />

375


376<br />

Tra<strong>di</strong>zione e innovazione per il recupero della Valle del Sarno<br />

tro interconnessi e generati dal sovrasfruttamento delle falde idriche a scopo industriale,<br />

irriguo e potabile, manifestazioni più emergenti del <strong>di</strong>ssesto idrogeologico facilitato<br />

ed aggravato <strong>di</strong> anno in anno dall’appesantimento e rimodellamento dei pen<strong>di</strong>i e<br />

dall’impermeabilizzazione dei suoli (Pellicano A., 2001).<br />

A tale problematica si aggiunge il rischio vulcanico che la ricostruzione storica ha ben<br />

messo in evidenza come possa rappresentare elemento <strong>di</strong> sconvolgimento del paesaggio<br />

e del mosaico agrario.<br />

Le politiche <strong>di</strong> recupero ambientale dell’area sono state inserite in <strong>di</strong>versi programmi<br />

operativi. <strong>La</strong> tabella 2 <strong>di</strong>mostra come su <strong>di</strong>versi fon<strong>di</strong> del parco finanziamenti regionale<br />

(FEOGA, FESR, FSE, SFOP, POR) siano state investite ingenti somme: in particolare<br />

proprio l’asse I (Risorse Naturali) del POR Campania ha captato ben il 95%<br />

delle risorse totali del POR, mentre l’Asse II (Risorse Culturali) non ha ricevuto alcun<br />

finanziamento. Ciò <strong>di</strong>mostra ulteriormente come l’inquinamento del fiume abbia<br />

estinto non solo il valore naturalistico del fiume ma anche il suo passato culturale<br />

fatto <strong>di</strong> stratificazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse civiltà che hanno determinato un patrimonio<br />

unico ed irripetibile. Tabella 1. Finanziamenti del parco europeo e regionale<br />

Tuttavia la possibilità <strong>di</strong> accedere a fon<strong>di</strong> da utilizzare per il recupero ambientale, in<br />

tutta l’Agro - Nocerino Sarnese è fortemente limitata da una complessa rete <strong>di</strong> rela-


Eugenia Aloj, Mariagrazia De Castro, Michela Totàro, Anna Zollo<br />

zioni istituzionali tra i soggetti preposti al governo del territorio (e dei quali non sempre<br />

è stata facilitata la sinergia) e da una resistenza al cambiamento da parte delle popolazioni<br />

locali che continuano a vedere lo sviluppo industriale come l’unica forma<br />

<strong>di</strong> sviluppo economico e fonte <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to.<br />

Il confronto con esperienze territoriali omogenee: il caso<br />

del Llobregat, dell’Emsher Park e dell’Aire<br />

Il confronto con esperienze territoriali omogenee: il caso del Llobregat, dell’Emsher<br />

Park e dell’Aire.<br />

In questa ulteriore fase <strong>di</strong> ricerca si è reso necessario far riferimento alla valutazione<br />

<strong>di</strong> buone pratiche in contesti territoriali che per problematiche e specificità sono omogenei<br />

alla Valle del Sarno.<br />

Sono stati in<strong>di</strong>viduati dei territori in Germania, Spagna e Svizzera che, seppure in<br />

misura ed intensità <strong>di</strong>versa, presentano le stesse esigenze e problematiche della Valle<br />

del Sarno. Si è proceduto, pertanto, a fare un breve quadro ambientale e socio-economico<br />

dei singoli territori in<strong>di</strong>viduando identità paesaggistiche e specificando come<br />

alla risoluzione dei problemi <strong>di</strong> ciascun territorio si sia accompagnata sempre la proposizione<br />

<strong>di</strong> un’idea forza che si adattasse alle specificità del territorio stesso. Ciò ha<br />

consentito <strong>di</strong> mettere in evidenza come, quando c’è una proposizione guida, si può<br />

immaginare un futuro del territorio proprio perché sono chiari vantaggi e svantaggi<br />

e sono correttamente inquadrate, in un’ottica <strong>di</strong> sviluppo locale, le potenzialità espresse<br />

ed inespresse, attuali e potenziali dei territori.<br />

In tutti e tre i casi, come del resto nel territorio del Sarno, si tratta <strong>di</strong> aree caratterizzate<br />

da una cospicua superficie e concentrazione <strong>di</strong> spazi con elementi <strong>di</strong> interesse<br />

naturalistico, ambientale e storico-testimoniale in cui l’avanzata dell’espansione urbana<br />

sembra travolgere ogni memoria del territorio originario costituito da una ricca<br />

vegetazione che me<strong>di</strong>ava il rapporto tra il fiume e le aree agricole circostanti. Queste<br />

aree, se fino ad ora sono state caratterizzate da interventi <strong>di</strong>somogenei ed episo<strong>di</strong>ci<br />

realizzati da <strong>di</strong>versi soggetti pubblici e privati, ora necessitano non più <strong>di</strong> una <strong>di</strong>-<br />

377


378<br />

Tra<strong>di</strong>zione e innovazione per il recupero della Valle del Sarno<br />

mensione puntuale ma <strong>di</strong> un’azione integrata e <strong>di</strong> riqualificazione complessiva del sistema<br />

territoriale interessato che <strong>di</strong>a una più ampia valenza funzionale ed ambientale<br />

al progetto stesso.<br />

Nella tabella n. 4 è possibile vedere come, nei tre casi analizzati l’idea forza ricomprenda:<br />

1. Riassetto del paesaggio me<strong>di</strong>ante decontaminazione delle acque e dei terreni inquinati;<br />

2. Miglioramento delle imprese agricole e dei prodotti;<br />

3. Valorizzazione delle identità periurbane;<br />

4. Riqualificazione del mosaico paesistico fluviale <strong>di</strong>luendo l’antagonismo tra natura<br />

ed intervento antropico.<br />

Si tratta certamente <strong>di</strong> elementi che, nei territori analizzati sono stati riconosciuti<br />

come i migliori standard <strong>di</strong> performance ai quali sono seguite appropriate tecniche <strong>di</strong><br />

gestione. Confrontare la Valle del Sarno con le valli dell’Emscher, del Llobregat e dell’Aire<br />

è servito ad apprendere buone pratiche, prospettandone una possibile attuazione<br />

nel territorio del Sarno eseguita in modo programmato in termini <strong>di</strong> strategie<br />

e modalità gestionali.Senza dubbio vi sono, nella Valle del Sarno, i presupposti per il<br />

recupero socio economico, nonché dei veri e propri punti <strong>di</strong> forza che:<br />

- fanno acquistare alla sostenibilità la valenza <strong>di</strong> una strategia, anche conservatrice (purché<br />

strettamente legata alle risorse locali endogene);<br />

- possono rappresentare fattori strategici per mettere un minimo <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne in un’area<br />

fortemente degradata dall’azione antropica colpevole e scellerata.


Eugenia Aloj, Mariagrazia De Castro, Michela Totàro, Anna Zollo<br />

Tabella 2. Tre esperienze europee a confronto<br />

379


380<br />

Conclusioni<br />

Tra<strong>di</strong>zione e innovazione per il recupero della Valle del Sarno<br />

Le filiere eco gastronomiche, gli attrattori culturali e la contiguità ad aree SIC (S.I.C.<br />

Monti <strong>La</strong>ttari ad abbondanza <strong>di</strong> macchia me<strong>di</strong>terranea e S.I.C. Monti <strong>La</strong>uro con<br />

interessanti comunità <strong>di</strong> anfibi, rettili e chirotteri) e ad aree parco (Parco regionale<br />

del Sarno, dei Monti Picentini e dei Monti <strong>La</strong>ttari e nazionale del Vesuvio) possono<br />

rappresentare stimoli <strong>di</strong>versi, seppur debolmente integrati, per prospettare forme (seppur<br />

timide fintanto che non si migliora lo stato <strong>di</strong> salute del fiume) <strong>di</strong> risveglio <strong>di</strong><br />

un turismo responsabile e <strong>di</strong> riscoperta dell’area sarnese, comprensorio tormentato dal<br />

sacco delle acque e dagli inse<strong>di</strong>amenti abusivi e bisognoso <strong>di</strong> rifarsi un’immagine.<br />

Un’alternativa <strong>di</strong> sviluppo socioeconomico in chiave sostenibile può essere affidato al<br />

recupero ambientale e alla proposizione <strong>di</strong> circuiti turistici integrati che possano contribuire<br />

a riconoscere valenze estetiche ed utilitaristiche anche nel paesaggio perché<br />

preservare gli ambienti che esprimono tali paesaggi è non solo utile, ma in<strong>di</strong>spensabile<br />

(Mazzetti E., 2001).<br />

<strong>La</strong> proposta <strong>di</strong> circuiti turistici nell’area sarnese, potrebbe permettere <strong>di</strong> valorizzare<br />

tutte le risorse e le tra<strong>di</strong>zioni locali recuperando, attraverso l’economia della conoscenza,<br />

risultati economici e creando opportunità <strong>di</strong> sviluppo per le popolazioni locali,<br />

anche sulla base delle esperienze realizzate in Spagna, Germania e Svizzera.<br />

Una rete <strong>di</strong> itinerari possibili si articola, nel territorio sarnese secondo una <strong>di</strong>rettrice<br />

che va da Torre Annunziata-Palma Campania-Scafati (archeologia industriale) passando<br />

per S. Marzano sul Sarno-Angri-Nocera (specificità agroalimentari) ed infine<br />

per Poggiomarino-San Valentino Torio e Sarno (identità preistoriche ed archeologiche)<br />

toccando ulteriori varie mete ed agganciandosi al maturo turismo nell’area vesuviana<br />

che necessita <strong>di</strong> rivitalizzazione<br />

in funzione<br />

<strong>di</strong> una sempre crescente<br />

competitività dei territori.<br />

Soprattutto il binomio<br />

identità archeologiche/iden-<br />

2 Possibili circuiti turistici integrati<br />

tra area vesuviana e sarnese.


Eugenia Aloj, Mariagrazia De Castro, Michela Totàro, Anna Zollo<br />

tità ecogastronomiche può rappresentare un’importante opportunità <strong>di</strong> sviluppo locale<br />

e <strong>di</strong> attrazione turistica.<br />

<strong>La</strong> storia dell’agricoltura e della peculiarità gastronomiche della Valle del Sarno è lunga<br />

quanto la storia <strong>di</strong> tutta l’area vesuviana. Una varietà <strong>di</strong> nocciola caratteristica dell’area<br />

vesuviana, “la lunga <strong>di</strong> Sarno”, ad esempio, comincia ben duemila anni fa nei<br />

giar<strong>di</strong>ni e negli orti sparsi tra le case della Pompei del I secolo dopo Cristo. Quel<br />

frutto all’epoca era talmente <strong>di</strong>ffuso e apprezzato per le sue caratteristiche che ebbe<br />

persino l’onore <strong>di</strong> figurare assieme ad altre specie orticole in uno degli affreschi <strong>di</strong><br />

Stabiae. Venti secoli dopo, i noccioli sono ancora lì in piccoli appezzamenti che si<br />

tramandano <strong>di</strong> padre in figlio.<br />

Assieme alla nocciola, altre caratteristiche produzioni locali come i pomodorini “a fiaschetta”<strong>di</strong><br />

colore giallo, le “torzelle” (broccolo del quale si usano i gambi ancorché le<br />

foglie), asparagi selvatici, i “cavoli <strong>di</strong> Pompei” (dei quali già Catone ne decantava<br />

virtù), le “cipolle pompeiane” (che ricordava Columella), ricordano come da sempre<br />

le specie vegetali abbiano sostentato il territorio. Conservarne la bio<strong>di</strong>versità e recuperarne<br />

le meto<strong>di</strong>che <strong>di</strong> produzione e trasformazione che utilizzavano i nostri antenati<br />

potrebbe significare un modello <strong>di</strong> archeoagricoltura, espressione della <strong>di</strong>namica<br />

interazione tra storia, natura, evoluzione dell’agricoltura, che si manifesta anche attraverso<br />

una ricchezza agronomica che deriva proprio dalla sopravvivenza <strong>di</strong> sistemi<br />

agricoli policolturali, non travolti dai processi <strong>di</strong> semplificazione bio-ecologica che accompagnano<br />

il <strong>di</strong>ffondersi dei sistemi monoculturali.<br />

A questi territori vanno riconosciute opzioni <strong>di</strong> sviluppo sostenibile basate su sistemi<br />

produttivi multifunzionali, in grado <strong>di</strong> svolgere anche essenziali funzioni ambientali<br />

e culturali.<br />

Le funzioni produttive così importanti in passato, sono oggi ridotte e il supporto che<br />

deriva all’economia citta<strong>di</strong>na in termini <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to prodotto e <strong>di</strong> lavoro è certamente<br />

<strong>di</strong>minuito rispetto al passato. Le funzioni non strettamente produttive, ovvero quelle<br />

paesaggistiche, ambientali e ricreative, rimangono <strong>di</strong> alto interesse ed oggi sono notevolmente<br />

accresciute in termini <strong>di</strong> potenzialità turistiche. anche senza ricorrere ad<br />

un’analisi specifica, appare evidente, <strong>di</strong> fronte al degrado dell’area sarnese, come il<br />

paesaggio delle residue aree coltivate, che si alternano alle vie d’acqua e ai siti ar-<br />

381


382<br />

Tra<strong>di</strong>zione e innovazione per il recupero della Valle del Sarno<br />

cheologici, abbia un valore assoluto. <strong>La</strong> sua salvaguar<strong>di</strong>a, nel rispetto <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione<br />

e <strong>di</strong> una vocazione, può svolgere una moderna funzione turistico-ricreativa.<br />

È un paesaggio coltivato, che mantiene il <strong>di</strong>segno dell’agricoltura, ne conserva i manufatti<br />

e che può, quin<strong>di</strong>, svolgere, una funzione culturale e <strong>di</strong>dattica.<br />

In particolare il turismo nell’area vesuviana, presupponendo un in<strong>di</strong>retto attraversamento<br />

dell’area sarnese, alla riscoperta <strong>di</strong> importanti valori storico-culturali, potrebbe<br />

inglobare, in innovativi circuiti turistici, piccoli centri non ancora interessati da un<br />

modello turistico e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare occasione <strong>di</strong> coinvolgimento economico e occasione<br />

<strong>di</strong> sviluppo.<br />

Il sistema turistico locale si trova ad operare in un contesto in cui, la forte pressione<br />

competitiva internazionale, ha ridefinito le modalità attraverso cui ciascun territorio<br />

si inserisce con le proprie capacità e competenze nel sistema <strong>di</strong> offerta turistica. <strong>La</strong><br />

flessione della domanda turistica va accentuandosi per l’avvento sul mercato <strong>di</strong> nuove<br />

destinazioni, <strong>di</strong> nuove opportunità ricreative e per la <strong>di</strong>ffusa minore propensione al<br />

consumo riconducibile alla situazione congiunturale.<br />

Alla luce <strong>di</strong> queste riflessioni, è evidente che forme <strong>di</strong> turismo innovative, basate su<br />

una progettualità costruita sullo sviluppo delle “risorse proprie” e che possono far competere<br />

il sistema locale sarnese e farlo concorrere nel mercato globale, vedono centrale<br />

e strategica la funzione <strong>di</strong> appeal turistico che ha il circuito archeologico <strong>di</strong> Pompei-<br />

Ercolano-Stabia nel panorama internazionale e che può fungere da traino rispetto a<br />

tutto il territorio sarnese, nuovo rispetto a scenari turistici ormai consolidati. Per contro,<br />

innovative e sostenibili forme <strong>di</strong> turismo sostenibile ipotizzabili nel territorio del<br />

Sarno, possono contribuire a rivitalizzare l’offerta turistica pompeiana -stabiese-ercolanese,<br />

che per la sua “maturità” può “soffrire” della concorrenza <strong>di</strong> destinazioni turistiche<br />

emergenti, in un contesto turistico ormai globalizzato e, proprio per questo,<br />

più turbolento.


Eugenia Aloj, Mariagrazia De Castro, Michela Totàro, Anna Zollo<br />

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Tra<strong>di</strong>zione e innovazione per il recupero della Valle del Sarno


UN ESEMPIO METODOLOGICO DI RICERCA INTEGRATA<br />

IL TABACCHIFICIO DI PRESENZANO<br />

Il progetto <strong>di</strong> riqualificazione e riuso del complesso industriale <strong>di</strong> Presenzano costituisce<br />

un esempio metodologico para<strong>di</strong>gmatico <strong>di</strong> ricerca integrata. L’approccio conoscitivo<br />

multicriteri@/multi<strong>di</strong>sciplinare1 riguarda non solo il contenitore, una struttura<br />

in muratura alla quale si applicano innovativi meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> calcolo tesi a garantire<br />

la sicurezza sismica e la qualità illuminotecnica, ma anche il contenuto, un destino<br />

orientato da una lettura ecogeometrica2 dell’oggetto architettonico e del paesaggio che<br />

lo accoglie.<br />

Nel saldare <strong>di</strong>scipline e metodologie agli strumenti dell’innovazione tecnologica si attesta<br />

la capacità <strong>di</strong> gestire e rappresentare l’integrale delle competenze multi<strong>di</strong>mensionali<br />

identificative dell’ambiente e dell’architettura.<br />

Per la realizzazione del progetto è stato impiegato il patrimonio <strong>di</strong> attrezzature a <strong>di</strong>sposizione<br />

del “<strong>La</strong>boratorio ARS Fabbrica Immateriale” del Centro Regionale <strong>di</strong> Competenza<br />

Benecon3 <strong>di</strong> ALESSANDRA AVELLA, PASQUALE FALCONETTI, MARIATERESA GUADAGNUOLO<br />

(Responsabile Scientifico Prof. Carmine Gambardella) nelle macroaree<br />

della Rappresentazione, dell’Ambiente e delle Strutture.<br />

L’integrazione dei saperi - dal rilievo multi<strong>di</strong>mensionale, alla valutazione della sicurezza<br />

sismica e del confort luminoso, re-istituisce - attraverso la <strong>di</strong>scretizzazione e la<br />

misura dell’oggetto d’indagine - un patrimonio <strong>di</strong> conoscenze che suggerisce possibili<br />

ipotesi <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficazione, una mo<strong>di</strong>ficazione che lo sguardo ‘sapiente’ del rilevatore<br />

‘colto’ orienta sulle potenzialità del territorio.<br />

Da Opificio a ‘Fabbrica della Conoscenza’<br />

Percorrendo la statale 85 Venafrana, cerniera fisica tra Campania e Molise, non si può<br />

non essere attraversati da una forte emozione per la scoperta <strong>di</strong> un singolare e<strong>di</strong>ficio<br />

<strong>di</strong> archeologia industriale, il cui stato <strong>di</strong> abbandono e l’aggressione del tempo ne alterano<br />

l’aspetto, lasciando spazio ad una nuova percezione del costruito: il sito industriale,<br />

le macchine che contiene, la vicenda che rappresenta, assumono valore e fascino<br />

proprio nel momento in cui perdono la loro funzione <strong>di</strong> luogo e strumento per<br />

1 <strong>La</strong> piana idrografica del<br />

fiume Volturno.<br />

<strong>di</strong> ALESSANDRA AVELLA<br />

1


2<br />

386<br />

Da Opificio a ‘Fabbrica della Conoscenza’<br />

la produzione <strong>di</strong> merci. Nasce da ciò la seduzione del <strong>di</strong>smesso, dove si cristallizza<br />

una storia per la quale si prevede l’estinzione. Il Tabacchificio, avvolto nel silenzio<br />

dell’abbandono, custodendo i caratteri del territorio che lo contiene e le storie degli<br />

uomini e delle donne che vi hanno lavorato, <strong>di</strong>viene una spia delle forme <strong>di</strong> organizzazione<br />

<strong>di</strong> un territorio e degli equilibri che ciò genera sull’asse storico: è una traccia<br />

del tempo che unifica, senza soluzione <strong>di</strong> continuità, presente, passato e futuro.<br />

Gli oggetti del patrimonio archeologico industriale sono il frutto dell’agire umano,<br />

in essi sono patrimonializzate conoscenze e abilità <strong>di</strong> cui spesso non si hanno altre<br />

testimonianze. Riconoscere la peculiarità spaziale, ossia quello spazio fisico, tri<strong>di</strong>mensionale<br />

che, normalmente e a <strong>di</strong>fferenza dei documenti scritti, l’oggetto assume,<br />

significa assegnare al bene industriale - la macchina utensile, l’e<strong>di</strong>ficio, il forno, il prodotto<br />

finito, e così via - un ruolo imprescin<strong>di</strong>bile <strong>di</strong> fonte testimoniale per la quale<br />

valgono tutti gli accorgimenti <strong>di</strong> critica e <strong>di</strong> cautela sull’autenticità, la soggettività, la<br />

relatività che si applicano a una consueta fonte scritta (e anche una fonte “orale”),<br />

rendendone inevitabile la tutela al pari <strong>di</strong> altri beni della cultura. Pertanto se - come<br />

afferma Edmund Burke, “i resti del passato - le rovine - conferiscono identità ad un<br />

popolo e permettono <strong>di</strong> prefigurarne il destino” 4 , emerge e si spiega l’esigenza <strong>di</strong> recuperare<br />

tali segni che celano un integrale <strong>di</strong> qualità portatore <strong>di</strong> un patrimonio <strong>di</strong><br />

identità, paesaggio e storia che ciclicamente si regola con l’attività antropica.<br />

L’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> archeologia industriale - nell’accezione <strong>di</strong> rovina - “crea una forma presente<br />

<strong>di</strong> vita passata” 5 , è al contempo una testimonianza del passato ed un messaggio<br />

per il futuro, una criticità per l’ambiente che lo accoglie ed un’occasione importante<br />

per omologare lo stesso ambiente ai bisogni palesi e/o latenti delle comunità che lo<br />

abitano. Un tale riconoscimento<br />

afferma una concezione<br />

non feticista del recupero<br />

archeologico industriale,<br />

ma un’idea <strong>di</strong>namica<br />

<strong>di</strong> conservazione che<br />

segna il passaggio dall’og-<br />

2 Tabacchificio <strong>di</strong> Presenzano,<br />

prospetto ovest prospiciente la<br />

strada statale 85 Venafrana.


Alessandra Avella<br />

IL DI_SEGNO DEL TERRITORIO<br />

<strong>La</strong> rappresentazione multicriteri@del<br />

bacino idrografico del Volturno consente<br />

la registrazione della memoria<br />

del passato, implicitamente scopre le<br />

relazioni che legano le parti, progetta<br />

un <strong>di</strong>segno che non solo ‘comprende<br />

le relazioni’, ma che ‘mette in relazione’<br />

le informazioni all’interno <strong>di</strong><br />

una rete, una matrice <strong>di</strong>segnata riconnettendo<br />

i punti ‘slegati’ tra loro,<br />

facendo emergere potenzialità e risorse.<br />

Affinché la rete possa funzionare<br />

come aristotelico motore virtuoso<br />

sono necessarie operazioni<br />

volte alla riqualificazione dei no<strong>di</strong> per<br />

renderli attrattori <strong>di</strong> flussi o più semplicemente<br />

strutture a servizio delle<br />

collettività locali.<br />

I singoli segni appartenenti alla rete<br />

<strong>di</strong>ventano allo stesso tempo la trac-<br />

cia materiale degli avvenimenti del<br />

passato ed i link della rete rigenerativa<br />

del paesaggio del Me<strong>di</strong>o-Basso<br />

Volturno: il Tabacchificio, ‘Fabbrica<br />

della Conoscenza’, è sede dei laboratori<br />

per l’utilizzo dell’energia elettrica<br />

in relazione all’ambiente e allo<br />

sviluppo sociale, per la ricerca e lo<br />

sviluppo <strong>di</strong> fonti <strong>di</strong> energia alternative<br />

agli idrocarburi (conversione fotovoltaica<br />

dell’energia solare, energia<br />

eolica, utilizzo dell’energia da<br />

biomassa vegetale e rifiuti), per lo<br />

sviluppo <strong>di</strong> agrobiotecnologi, per il<br />

rilancio <strong>di</strong> settori industriali tra<strong>di</strong>zionali<br />

attraverso l’innesto <strong>di</strong> tecnologie<br />

avanzate nei processi, nell’organizzazione<br />

e nella gestione del sistema<br />

esistente;<br />

l’area archeologica <strong>di</strong> Presenzano<br />

lungo la via <strong>La</strong>tina, nella quale sono<br />

riconoscibili i resti <strong>di</strong> un acquedotto<br />

e le rovine <strong>di</strong> un anfiteatro romano,<br />

<strong>di</strong>venta il link archeologico nella maglia<br />

dei percorsi storici;<br />

l’Impianto idroelettrico realizzato dall’Enel,<br />

trasformando la risorsa idrica<br />

in risorsa elettrica, traduce il link<br />

energia;<br />

le masserie, che costituiscono la più<br />

antica testimonianza <strong>di</strong> pieni sul territorio<br />

e che scan<strong>di</strong>scono ritmicamente<br />

la piana idrografica del Volturno,<br />

vengono recuperate attraverso<br />

l’integrazione nella rete-progetto;<br />

l’ospitalità <strong>di</strong>ffusa tipo bed and<br />

breakfast è risolta con la nuova destinazione<br />

d’uso delle abitazioni in<br />

stato <strong>di</strong> abbandono del centro storico<br />

del Comune <strong>di</strong> Presenzano (circa<br />

387<br />

il 5% del costruito);<br />

la stazione <strong>di</strong> Presenzano, attualmente<br />

in <strong>di</strong>suso, viene rifunzionalizzata<br />

per facilitare il raggiungimento<br />

<strong>di</strong> un punto nevralgico della zona in<br />

esame;<br />

viene potenziata la mobilità con l’inserimento<br />

<strong>di</strong> pulmini elettrici in<br />

un’area priva <strong>di</strong> servizi <strong>di</strong> trasporto<br />

pubblico locale;<br />

i percorsi naturali ed antropici rammagliano<br />

le <strong>di</strong>verse emergenze in<strong>di</strong>viduate<br />

sul territorio all’interno della<br />

rete, quadro concettuale capace <strong>di</strong> interpretare<br />

e proiettare, e soprattutto,<br />

strumento in grado <strong>di</strong> strutturare il<br />

territorio e governare la mo<strong>di</strong>ficazione.


3<br />

388<br />

Da Opificio a ‘Fabbrica della Conoscenza’<br />

getto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o ai criteri per la patrimonializzazione ed il riutilizzo. Il tabacchificio industriale<br />

<strong>di</strong>smesso, una risorsa in grado <strong>di</strong> arricchire l’offerta del territorio del me<strong>di</strong>obasso<br />

Volturno, <strong>di</strong>venta Fabbrica della Conoscenza 6 .<br />

Caratterizzato da una forte adattabilità, peculiarità <strong>di</strong>stintiva degli e<strong>di</strong>fici industriali,<br />

il Tabacchificio si configura come l’occasione <strong>di</strong> valorizzazione del territorio e delle<br />

sue risorse materiali ed immateriali, un patrimonio inestimabile al quale è legato osmoticamente<br />

e senza il quale si trasformerebbe in un contenitore svuotato della specificità<br />

e della memoria. I manufatti industriali <strong>di</strong>smessi hanno in<strong>di</strong>scutibilmente un impatto<br />

negativo sulle aree e sugli inse<strong>di</strong>amenti circostanti, sono ‘detrattori ambientali’ 7 ,<br />

junkspace, ovvero “what remains after that modernization has run its course” 8 , ma al<br />

contempo sono già dotati delle necessarie opere <strong>di</strong> urbanizzazione e sono ubicati in<br />

prossimità <strong>di</strong> linee e raccor<strong>di</strong> <strong>di</strong> trasporto, con<strong>di</strong>zioni che ne rendono vantaggioso il<br />

riutilizzo e/o la mo<strong>di</strong>ficazione della destinazione d’uso, sia per motivi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne economico<br />

che ambientale. In questo senso il Tabacchificio <strong>di</strong> Presenzano, situato strategicamente<br />

tra la linea ferroviaria Isernia-Caianello e la strada statale Venafrana, non<br />

fa eccezione.<br />

Le componenti materiali e immateriali che definiscono l’identità del luogo <strong>di</strong> appartenenza,<br />

segnatamente la piana idrografica del fiume Volturno, vengono messe in rete<br />

ed utilizzate come esternalità o vantaggi competitivi su cui investire per la crescita<br />

economica del territorio;<br />

<strong>La</strong> necessità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare<br />

e mettere in rete non solo<br />

i segni <strong>di</strong> storia, ma anche<br />

i detrattori si rafforza con<br />

la constatazione che gli e<strong>di</strong>fici<br />

<strong>di</strong> archeologia industriale,<br />

al pari <strong>di</strong> altre presenze<br />

del passato, sono in<br />

grado <strong>di</strong> consegnare alla<br />

memoria collettiva una pre-<br />

3 Tabacchificio <strong>di</strong> Presenzano,<br />

copertura a shed nel locale<br />

a<strong>di</strong>bito alla scelta del tabacco.


Alessandra Avella<br />

LAYER TECNOLOGIA<br />

Il layer morfologia determina lo sviluppo<br />

morfologico dei corpi <strong>di</strong> fabbrica<br />

costituenti l’Opificio in funzione<br />

del ciclo <strong>di</strong> vita del prodotto tabacco.<br />

Il tabacco è trasportato nell’Opificio<br />

attraverso la rete ferroviaria a<strong>di</strong>acente<br />

o con automezzi percorrenti la<br />

Venafrana n. 85 che si snoda parallelamente<br />

alla strada ferrata. Terminato<br />

il processo <strong>di</strong> preparazione, il<br />

prodotto finito viene caricato <strong>di</strong>rettamente<br />

sui treni merci come è testimoniato<br />

dall’assenza <strong>di</strong> recinzione<br />

lungo la linea ferroviaria.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista della tipologia formale<br />

i corpi <strong>di</strong> fabbrica più bassi sono<br />

destinati alle prime fasi della lavorazione<br />

e quelli più alti, con ambienti<br />

maggiormente arieggiati, alle fasi<br />

successive <strong>di</strong> essicazione del prodotto.<br />

Il layer tecnologia analizza l’informazione<br />

del punto nella <strong>di</strong>rezione<br />

della componente tecnologica.<br />

Al locale deposito del prodotto finito,<br />

realizzato con struttura prefabbricata<br />

in calcestruzzo, si affiancano<br />

i locali <strong>di</strong> accettazione del prodotto<br />

grezzo e pesatura e <strong>di</strong> preparazione<br />

dei telai per la cucitura del tabacco<br />

che presentano, invece, una muratura<br />

portante in conci <strong>di</strong> tufo irregolari<br />

e ricorsi orizzontali <strong>di</strong> mattoni<br />

pressati ricoperti <strong>di</strong> malta bastarda.<br />

Il locale mensa è l’unico dell’intero<br />

plesso <strong>di</strong>sposto su due livelli: il primo<br />

a quota 0,00 m ospita il locale <strong>di</strong><br />

scelta del prodotto; il secondo, seminterrato<br />

a quota -2,80 m, è occupato<br />

dalla mensa e dai relativi locali<br />

tecnici. Una gradonata esterna con-<br />

sente l’accesso alla mensa <strong>di</strong>rettamente<br />

dalla corte a prato antistante.<br />

Il locale deposito del prodotto finito<br />

presenta una struttura prefabbricata<br />

con muratura posta in opera realizzata<br />

con blocchi <strong>di</strong> calcestruzzo alleggeriti<br />

e una copertura costituita<br />

da due travi capriate a T. Il corpo <strong>di</strong><br />

fabbrica restituisce un interessante<br />

abaco <strong>di</strong> componenti prefabbricati:<br />

elementi in calcestruzzo precompresso<br />

utilizzati come tegoli <strong>di</strong> copertura,<br />

la trave perimetrale <strong>di</strong> bordo<br />

del corpo <strong>di</strong> fabbrica e i pali binati<br />

in calcestruzzo precompresso che<br />

fungono, con leggerezza ed eleganza,<br />

da piedritti delle campate prefabbricate.<br />

389


4<br />

390<br />

Da Opificio a ‘Fabbrica della Conoscenza’<br />

ziosa testimonianza storica: raccontano una realtà <strong>di</strong> luoghi, <strong>di</strong> territori, sono una “testimonianza<br />

materiale avente valore <strong>di</strong> civiltà” secondo la definizione del 1967 della<br />

Commissione Franceschini.<br />

Il tabacchificio in <strong>di</strong>suso, a seguito degli interventi <strong>di</strong> riqualificazione e riuso, <strong>di</strong>venta<br />

nodo e snodo <strong>di</strong> permutazione della rete rigenerativa del paesaggio, una rete tesa ad<br />

ostacolare la per<strong>di</strong>ta della memoria e dell’appartenenza e ad avviare un’azione <strong>di</strong> tutela<br />

e <strong>di</strong> valorizzazione del territorio che si riappropria delle sue vocazioni originarie.<br />

Le potenzialità offerte dagli e<strong>di</strong>fici industriali <strong>di</strong>smessi e le possibilità <strong>di</strong> riuso non bastano<br />

a garantire il buon esito <strong>di</strong> un’operazione progettuale: c’è bisogno <strong>di</strong> una conoscenza<br />

multi<strong>di</strong>mensionale del contesto <strong>di</strong> appartenenza della vestigia industriale e,<br />

al contempo, dell’Opificio. Comprendere le n <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> un organismo - territoriale<br />

o manufatto architettonico - attraverso un approccio in grado <strong>di</strong> analizzare e fornire<br />

al contempo una sintesi della realtà, consente <strong>di</strong> superare il mero determinismo<br />

ambientale e <strong>di</strong> operare in contesti <strong>di</strong> pregio e/o d’eccezione - come ad esempio nelle<br />

aree industriali e sugli opifici in <strong>di</strong>suso - realizzando opere realmente connaturate al<br />

proprio ambiente. Leggere il paesaggio significa decifrare il co<strong>di</strong>ce uomo/natura, significa<br />

comprendere il carattere <strong>di</strong> un territorio che “deriva dall’azione <strong>di</strong> fattori naturali<br />

e/o umani e dalle loro interrelazioni.” 9 Si tratta <strong>di</strong> tener conto della “<strong>di</strong>mensione<br />

sociale” del paesaggio che è “componente essenziale della vita delle popolazioni,<br />

espressione della <strong>di</strong>versità del loro comune patrimonio culturale e naturale fondamento<br />

della loro identità.” 10<br />

Il paesaggio, pur mo<strong>di</strong>ficandosi ciclicamente sull’asse storico, conserva le tracce delle<br />

forme passate, tracce materiali ed immateriali impresse fisicamente dall’azione congiunta<br />

della natura e dell’uomo e delle quali, nella piana idrografica del me<strong>di</strong>o-basso<br />

Volturno l’acqua è prevalente. Il fiume Volturno - il sistema venoso che irrora l’organismo<br />

territoriale caratterizzato da un paesaggio punteggiato <strong>di</strong> ulivi - rammaglia<br />

il territorio e <strong>di</strong>venta comune denominatore delle emergenze in<strong>di</strong>viduate lungo il suo


Alessandra Avella<br />

percorso tra le quali l’Impianto idroelettrico <strong>di</strong> generazione e pompaggio <strong>di</strong> Presenzano.<br />

A valle dell’Impianto è collocata la fabbrica per la lavorazione del tabacco progettata<br />

dall’ing. Pietro Lucci nel 1952 e chiusa dopo un ventennio <strong>di</strong> attività. L’Opificio,<br />

pur presentando un impianto passibile <strong>di</strong> notevole impatto sul territorio per<br />

la considerevole volumetria dei corpi <strong>di</strong> fabbrica che lo costituiscono, organizzati spazialmente<br />

e funzionalmente in assoluta aderenza ai connessi processi <strong>di</strong> lavorazione<br />

del prodotto, si inserisce bene nel paesaggio circostante in virtù delle caratteristiche<br />

architettoniche e formali che lo contrad<strong>di</strong>stinguono. É possibile affermare che, basandosi<br />

sui parametri enunciati da Adriaan Linters in “Industria”, lo stabilimento “accorda<br />

poca attenzione al valore tra<strong>di</strong>zionale della “bellezza” a vantaggio <strong>di</strong> un nuovo<br />

criterio: la funzionalità. […] <strong>La</strong> forma ed il volume dell’e<strong>di</strong>ficio sono al servizio della<br />

funzione che deve assumere.” 11<br />

I vettori geometria, storia, fisica, chimica si traducono in elementi <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio e <strong>di</strong><br />

valutazione, analitici e sintetici, concorrenti alla rappresentazione in vivo della realtà<br />

e della sua descrizione critica per il mantenimento del manufatto sulla base <strong>di</strong> una<br />

monitoraggio attivo e multi<strong>di</strong>sciplinare.<br />

L’intero manufatto architettonico, come il territorio che lo accoglie, viene <strong>di</strong>scretizzato<br />

per misurare le componenti storia, geometria, tecnologia, strutture, materiali, destinazioni<br />

d’uso e morfologia.<br />

Il layer morfologia determina lo sviluppo morfologico <strong>di</strong> questi corpi <strong>di</strong> fabbrica in<br />

funzione del ciclo <strong>di</strong> vita del prodotto tabacco.<br />

Il layer tecnologia analizza l’informazione del punto nella <strong>di</strong>rezione della componente<br />

tecnologica - gli orizzontamenti, le coperture e le superfici verticali - per rappresentare<br />

e re-istituire l’abaco dei materiali componenti il plesso architettonico. A questo<br />

proposito è evidente, ad un primo rilievo a vista, la compresenza armonica <strong>di</strong> scelte<br />

costruttive <strong>di</strong> tipo tra<strong>di</strong>zionale – legate alla <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> materiali e tecniche locali<br />

– con soluzioni tecnologicamente più avanzate e innovative ai tempi della realizzazione<br />

del tabacchificio. In<br />

particolare il corpo <strong>di</strong> fabbrica<br />

de<strong>di</strong>cato all’accettazione<br />

del prodotto grezzo<br />

4 Tabacchificio, ingresso<br />

principale.<br />

5 Locale accettazione prodotto<br />

grezzo e pesatura (corpo a).<br />

391<br />

5


6<br />

7<br />

392<br />

Da Opificio a ‘Fabbrica della Conoscenza’<br />

(corpo a), oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o per la valutazione della sicurezza sismica e del confort luminoso,<br />

presenta una geometria rettangolare con i lati rispettivamente <strong>di</strong> 24,7 m e<br />

21,3 m ed un’altezza <strong>di</strong> 7,5 m. Le pareti hanno uno spessore <strong>di</strong> 0,55 m. <strong>La</strong> muratura,<br />

<strong>di</strong> tessitura regolare, è in pietra <strong>di</strong> tufo con listature in mattoni rossi. <strong>La</strong> copertura<br />

è costituita da una voltina in c.a., <strong>di</strong> spessore pari a 0,20 m, con trave cordolo<br />

<strong>di</strong> bordo - sempre in c.a. - e tiranti trasversali in acciaio collocati alla quota <strong>di</strong> imposta<br />

della voltina, la cui presenza riduce fortemente le componenti spingenti del carico<br />

della copertura agenti sulle pareti sottostanti.<br />

<strong>La</strong> compresenza della componente tecnologica e formale nelle scelte compositive trova<br />

riscontro anche nell’articolazione delle strutture orizzontali: le coperture sono realizzate<br />

del tipo a capriate reticolari e tegoloni in c.a.p., del<br />

tipo a volta in c.a., a shed semplice o a doppio shed anche<br />

in rapporto alle necessità <strong>di</strong> aereazione ed illuminazione<br />

delle lavorazioni. <strong>La</strong> copertura del tipo a volta in<br />

c.a. del locale essiccamento del tabacco ha sostituito l’originaria<br />

capriata in legno andata <strong>di</strong>strutta in seguito ad<br />

un incen<strong>di</strong>o, come testimoniano la presenza <strong>di</strong> travi <strong>di</strong><br />

legno (oggi non più presenti) e asole nella parete verticale<br />

per l’alloggiamento del puntone della capriata, spie<br />

in<strong>di</strong>ziarie impercettibili che non sfuggono al rilevatore<br />

nel processo <strong>di</strong> indagine conoscitiva. L’esatta collocazione<br />

nel tempo e nel luogo <strong>di</strong> un reperto non può essere sottovalutato:<br />

“per esso si procederà alla stessa maniera in<br />

cui il paleografo deve prima <strong>di</strong> tutto datare e situare un<br />

certo testo in base al tipo <strong>di</strong> scrittura, l’antiquario deve<br />

determinare la provenienza <strong>di</strong> un vaso dai materiali usati<br />

per costruirlo o per <strong>di</strong>pingerlo, e magari l’investigatore<br />

<strong>di</strong> polizia deve accertare la falsità <strong>di</strong> una cartamoneta<br />

grazie a minute peculiarità della filigrana. Questo momento<br />

è pregiu<strong>di</strong>ziale, ha molti risvolti, e può sempre<br />

accadere che esso riveli perfino un “dolo” per così <strong>di</strong>re,<br />

6 Copertura, locale<br />

essiccamento del tabacco (corpo<br />

d), schizzo A. Avella.<br />

7 Locale essiccamento del<br />

tabacco (corpo d).


Alessandra Avella<br />

così come per qualsiasi documento scritto, fino ai falsi canti <strong>di</strong> Ossian, o per qualunque<br />

ricostruzione preistorica, fino alla falsa mascella e al falso cranio dell’Eoanthropus<br />

del Sussex messi insieme da Chemes Dawson” 12 .<br />

L’oggetto architettonico/punto ed il paesaggio che lo contiene/intorno del punto, possono<br />

re-istituire l’identità al luogo come Fabbrica della Conoscenza, capace <strong>di</strong> attivare<br />

un circolo produttivo virtuoso nel sistema ere<strong>di</strong>tato.<br />

Note<br />

1 L’Analisi Multicriteri@, una metodologia innovativa dei sistemi d’indagine scientifica del rilievo<br />

e della rappresentazione dell’ambiente naturale e costruito, è stata introdotta da Carmine Gambardella<br />

per la conoscenza del sistema-ambiente attraverso la <strong>di</strong>scretizzazione e la misura degli<br />

strati costituenti la complessità della forma, re-istituita perché attraversata dalla conoscenza e<br />

posta in rete come struttura sempre implementabile dall’attività relazionale. Cfr. C. GAMBAR-<br />

DELLA, Prefazione, in O. Zerlenga, Misure in <strong>di</strong>venire, <strong>La</strong> Scuola <strong>di</strong> <strong>Pitagora</strong> e<strong>di</strong>trice, Napoli<br />

2008; C. GAMBARDELLA, Le vie dei Mulini. Territorio e Impresa, ESI, Napoli 2003.<br />

2 “Ecogeometria è la <strong>di</strong>sciplina che consente <strong>di</strong> generare un modello para<strong>di</strong>gmatico dell’ambiente<br />

e del costruito, <strong>di</strong>ssezionato e re-istituito in tutte le sue componenti materiali ed immateriali:<br />

è una eco tecnologica della realtà che affida la multi<strong>di</strong>mensionalità della realtà a alle competenze<br />

specifiche”. Cfr. C. GAMBARDELLA, Ecogeometria in Venafro. Identità e trasparenza, ESI,<br />

Napoli 2003.<br />

3 Il Centro Regionale <strong>di</strong> Competenza Benecon - Beni Culturali, Ecologia, Economia per il recupero<br />

produttivo, la riconversione eco-compatibile e il design <strong>di</strong> supporto dei sistemi ambientali a valenza<br />

culturale - della Seconda Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Napoli, Dipartimento <strong>di</strong> Cultura del<br />

Progetto, Responsabile Scientifico Prof. Arch. Carmine Gambardella, è stato istituito nel 2003<br />

con specifica convenzione della Regione Campania a valere sulla Misura 3.16 P.O.R. Campania<br />

2000-2006. Cfr. il sito www.benecon.it.<br />

4 Cfr. F. D’AGOSTINI, Edmund Burke e le rovine della tra<strong>di</strong>zione, in “Rivista <strong>di</strong> estetica”, n. 8,<br />

1981, anno XXI, pp. 44-45.<br />

5 G. SIMMEL, traduzione da G. CARCHIA, in “Rivista <strong>di</strong> estetica”, n. 8, 1981, anno XXI p. 127.<br />

393


394<br />

6 <strong>La</strong> Fabbrica della Conoscenza è “un’infrastruttura che, integrando saperi e tecnologie, possa <strong>di</strong>venire<br />

motore d’innovazione per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, ambientali, paesaggistici<br />

e industriali. Motore <strong>di</strong> un nuovo che affonda le proprie ra<strong>di</strong>ci nell’identità dei luoghi,<br />

sostenuta da un ciclo produttivo integrato tra il mondo dei saperi e della ricerca e il mondo<br />

dell’impresa e della pubblica amministrazione. <strong>La</strong> finalità è creare attività <strong>di</strong> eccellenza, come<br />

legittima richiesta della collettività <strong>di</strong> utilizzare le proprie risorse come materie prime, <strong>di</strong> rendere<br />

attrattivi e competitivi sistema formativo, capitale umano, beni culturali, paesaggio, fonti<br />

energetiche.” Cfr. C. GAMBARDELLA, Il sole: mito, simbolo, risorsa del Me<strong>di</strong>terraneo, in C. GAM-<br />

BARDELLA, M. GIOVANNINI, S. MASTUSCIELLO, a cura <strong>di</strong>, Le Vie dei Mercanti. Cielo dal Me<strong>di</strong>terraneo<br />

all’Oriente, Atti del Sesto Forum Internazionale <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong>, Capri 5-6-7 giugno 2008,<br />

E<strong>di</strong>zioni Scientifiche Italiane, Napoli 2009.<br />

7 Detrattore ambientale è qualsiasi compromissione antropica che inficia la percezione del paesaggio.<br />

I riferimenti tecnico-normativi sono il D.M. del Ministero dei <strong>La</strong>vori Pubblici dell’8 ottobre<br />

1998, la misura 1.8 del POR Campania 2000-2006 ed il D.M. 16/05/1989 (allegato I).<br />

Cfr. S. MARTUSCIELLO, “Pesa più un litro d’acqua che un litro <strong>di</strong> petrolio”, in C. GAMBARDELLA,<br />

F. IANNOTTA, M. PISCITELLI, a cura <strong>di</strong>, Misura & Identità, <strong>La</strong> <strong>scuola</strong> <strong>di</strong> <strong>Pitagora</strong> e<strong>di</strong>trice, Napoli<br />

2007.<br />

8 R. KOOLHAAS, “Junkspace”, in KOOLHAAS, BROWN, LINK, Content, Taschen, Koln 2004, p. 162-<br />

171.<br />

Da Opificio a ‘Fabbrica della Conoscenza’<br />

9 Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze 20 ottobre 2000, art. 1, lett. A.<br />

10 Cfr. C. GAMBARDELLA, Le vie dei Mulini. Territorio e Impresa, ESI, Napoli 2003.<br />

11 Traduzione da A. LINTERS, Industria, Pierre Madraga E<strong>di</strong>teur, Liege-Bruxelles 1989, p. 42.<br />

12 A. CARACCIOLO, A proposito <strong>di</strong> “Archeologia Industriale” come fonte storica, in “Patrimonio Industriale.<br />

Notiziario Semestrale on line a cura dell’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico<br />

Industriale”, n. 3, <strong>di</strong>cembre 2008, p. 9.


Pasquale Falconetti<br />

<strong>La</strong> valutazione illuminotecnica dell’Opificio<br />

<strong>di</strong> PASQUALE FALCONETTI<br />

L’attenzione nei confronti <strong>di</strong> temi legati al risparmio energetico, l’innalzamento degli<br />

standard <strong>di</strong> qualità ambientale, il susseguirsi <strong>di</strong> normative volte al contenimento dell’uso<br />

dell’energia, sia in ambito residenziale che industriale e commerciale, ha fatto<br />

riemergere l’interesse nei confronti dell’uso della luce naturale per fornire illuminazione<br />

interna agli e<strong>di</strong>fici. <strong>La</strong> natura <strong>di</strong>namica e variabile della ra<strong>di</strong>azione solare viene<br />

vista come un pregio e non più come un <strong>di</strong>fetto. Il suo utilizzo risulta essere un utile<br />

strategia per ridurre il consumo <strong>di</strong> elettricità dovuto all’illuminazione artificiale e rendere<br />

gli ambienti più confortevoli.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista normativo si registrano stimoli sempre maggiori nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong><br />

una progettazione architettonica che, attraverso un consapevole incremento dell’apporto<br />

della luce naturale negli ambienti interni, consenta il conseguimento <strong>di</strong> benefici<br />

illuminotecnici, legati a con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> benessere visivo, ma anche energetici, legati<br />

alla riduzione <strong>di</strong> energia per l’illuminazione artificiale ed al controllo dei guadagni<br />

solari connessi al sovra<strong>di</strong>mensionamento delle parti vetrate. Emerge da quanto<br />

fin’ora descritto che, se da un lato le normative impongono una progettazione consapevole<br />

e razionale basata sulla luce naturale e la tecnologia dei componenti trasparenti<br />

consente <strong>di</strong> massimizzare gli apporti, dall’altro si registra, in molti casi, una carenza<br />

<strong>di</strong> strumenti previsionali in grado <strong>di</strong> controllare e <strong>di</strong>mensionare i sistemi <strong>di</strong> ingresso<br />

e la <strong>di</strong>stribuzione della luce naturale nello spazio.<br />

Tra gli strumenti più all’avanguar<strong>di</strong>a che l’attuale tecnologia mette a <strong>di</strong>sposizione ritroviamo<br />

i “cieli artificiali”, strumentazione che consente <strong>di</strong> valutare la <strong>di</strong>stribuzione<br />

della luce all’interno <strong>di</strong> modelli in scala ridotta esattamente come se si stesse operando<br />

su modelli reali, con margini bassissimi <strong>di</strong> errore [Aghemo, 2004]. L’interazione<br />

tra il modello e il fenomeno luminoso non subisce variazioni consistenti dovute<br />

al passaggio in scala in quanto, date le ridottissime <strong>di</strong>mensioni delle onde elettromagnetiche<br />

costituenti lo spettro della luce, il rapporto tra queste ultime e le <strong>di</strong>mensioni<br />

del modello in scala varia in maniera del tutto trascurabile. In considera-<br />

395


396<br />

<strong>La</strong> valutazione illuminotecnica dell’Opificio<br />

zione della possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> un cielo artificiale del tipo “mirror box” installato<br />

presso il laboratorio ARS, si è deciso <strong>di</strong> condurre un’esperienza <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sull’e<strong>di</strong>ficio<br />

industriale sito in Presenzano, pre<strong>di</strong>sponendo un set <strong>di</strong> verifiche sperimentali<br />

riguardante sia i valori <strong>di</strong> illuminamento che la <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> luminanza sulle superfici<br />

interne, oltre ad una serie <strong>di</strong> scatti fotografici rappresentativi dell’ambiente luminoso.<br />

L’obiettivo è stato quello <strong>di</strong>:<br />

1. ottenere le informazioni caratterizzanti, dal punto <strong>di</strong> vista illuminotecnico, l’ambiente<br />

interno in funzione <strong>di</strong> determinate con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> illuminazione esterne;<br />

2. utilizzare tutti i dati acquisiti sperimentalmente per un confronto con i risultati ottenuti<br />

sullo stesso e<strong>di</strong>ficio, facendo uso <strong>di</strong> alcuni strumenti numerici <strong>di</strong> simulazione<br />

(Ecotect 5.6, Desktop Ra<strong>di</strong>ance e AGI32).<br />

In particolare quest’ultimo aspetto è stato <strong>di</strong> rilevante interesse in quanto i <strong>di</strong>fferenti<br />

software presi in considerazione utilizzano <strong>di</strong>fferenti meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> calcolo.<br />

Ecotect utilizza la versione geometrica del cosiddetto BRE Split Flux Method sviluppato<br />

dal UK Buil<strong>di</strong>ng Research Establishment (BRE), un metodo semplificato <strong>di</strong><br />

calcolo ma riconosciuto a livello internazionale. Desktop Ra<strong>di</strong>ance e AGI32 sviluppano<br />

invece rispettivamente i più noti Montecarlo backward ray-tracing e ra<strong>di</strong>osity<br />

method.<br />

Indagine sperimentale<br />

<strong>La</strong> fabbrica in esame ha una configurazione geometrica legata alle operazioni <strong>di</strong> lavorazione<br />

del tabacco ed è costituita da più corpi. In questo lavoro, l’attenzione è posta<br />

sul corpo <strong>di</strong> fabbrica che era destinato all’accettazione del prodotto grezzo ed alla<br />

sua pesatura.<br />

<strong>La</strong> costruzione <strong>di</strong> un modello in scala per un uso con cielo artificiale richiede particolari<br />

accortezze legate all’assemblaggio dei vari elementi, ai materiali con cui essi devono<br />

essere realizzati e alle caratteristiche geometriche che devono essere necessariamente<br />

rispettate [Bodart, 2006; Bodart, 2007].<br />

<strong>La</strong> scelta della scala del modello con la quale riprodurre l’e<strong>di</strong>ficio è stata effettuata<br />

prendendo in considerazione da un lato la recettività spaziale del piano <strong>di</strong> appoggio


Pasquale Falconetti<br />

del cielo (<strong>di</strong>mensionato per portare plastici <strong>di</strong> estensione massima 1,15 x 1,15), dall’altro<br />

il tipo <strong>di</strong> analisi da effettuare (misura <strong>di</strong> illuminamento e luminanza, riprese<br />

fotografiche). In funzione delle <strong>di</strong>mensioni reali dell’e<strong>di</strong>ficio si è scelto <strong>di</strong> costruire il<br />

modello in scala 1:30 tale che le <strong>di</strong>mensioni totali risultassero 1,0 x 1,30 m, con un’altezza<br />

pari a circa 25 cm.<br />

Il modello è stato realizzato in legno multistrato con spessore delle pareti pari a 1,80<br />

cm (equivalente a 60 cm in scala reale), sufficiente ad evitare qualsiasi passaggio <strong>di</strong><br />

luce attraverso il materiale.<br />

Un sistema ad incastro permette il completo smontaggio <strong>di</strong> tutte le parti <strong>di</strong> esso. Le<br />

finestre sono state considerate come dei vuoti senza l’applicazione <strong>di</strong> alcun materiale<br />

trasparente al loro interno. Anche la copertura è stata prevista come un pezzo aggregabile<br />

tramite un sistema ad incastro, ed è stata realizzata me<strong>di</strong>ante la piegatura a<br />

caldo <strong>di</strong> quattro fogli <strong>di</strong> compensato <strong>di</strong> 0,2 cm incollati tra loro.<br />

Nella realizzazione della base sono stati pre<strong>di</strong>sposti sul pavimento una serie <strong>di</strong> fori per<br />

agevolare il passaggio dei cavi per il posizionamento dei sensori.<br />

L’intero modello è stato infine tinteggiato, <strong>di</strong> colore bianco per il piano d’appoggio<br />

e le pareti, mentre la copertura è stata tinteggiata <strong>di</strong> colore<br />

grigio (Figura 8). Per effettuare la misura dei coefficienti<br />

<strong>di</strong> riflessione sia delle pareti che della copertura<br />

è stata praticata un’indagine spettrofotometrica sul modello<br />

in scala. Lo strumento utilizzato è uno spettrofotometro<br />

della Konica Minolta CM-2600d, operante nel<br />

campo spettrale compreso tra i 380 e i 760 nm con passi<br />

<strong>di</strong> 10 nm, capace <strong>di</strong> restituire lo spettro <strong>di</strong> riflessione <strong>di</strong><br />

un materiale opaco. Sono state ricavate le coor<strong>di</strong>nate colorimetriche<br />

nello spazio colore L*a*b* (noto anche come<br />

CIELAB) delle tinte del modello, ricavando i relativi coefficienti<br />

<strong>di</strong> riflessione (Figura 9).<br />

Per le acquisizioni dei valori <strong>di</strong> illuminamento si è deciso<br />

<strong>di</strong> identificare una griglia immaginaria <strong>di</strong> punti composta<br />

da una serie <strong>di</strong> righe (riga A-B-C-D). Ogni riga<br />

8 Modello architettonico in<br />

scala del Tabacchificio all’interno<br />

del cielo artificiale.<br />

9 Coor<strong>di</strong>nate colorimetriche dei<br />

materiali del modello architettonico<br />

del Tabacchificio.<br />

Pareti (colore bianco) r 94,82;<br />

Copertura (colore grigio) r62,63.<br />

397<br />

8<br />

9


10<br />

398<br />

<strong>La</strong> valutazione illuminotecnica dell’Opificio<br />

risulta costituita da un numero <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> acquisizione numerati in or<strong>di</strong>ne crescente<br />

(Figura 10). In considerazione della scala del modello e nel rispetto delle prescrizioni<br />

normative, la parte sensibile dei micro-luxmetri è stata posizionata ad un’altezza <strong>di</strong> 8<br />

mm dal pavimento, corrispondente a 24 cm in scala reale.<br />

Sono stati quin<strong>di</strong> acquisiti i valori <strong>di</strong> illuminamento su tutti i punti all’interno del<br />

modello oltre all’illuminamento sul piano <strong>di</strong> appoggio al centro del cielo artificiale<br />

che rappresenta l’illuminamento esterno orizzontale senza ostruzioni relativo alla specifica<br />

località (10140 lux). Per il calcolo del daylight factor infatti, ogni singolo valore<br />

<strong>di</strong> illuminamento misurato in un punto interno deve essere rapportato al valore<br />

<strong>di</strong> illuminamento esterno e restituito in percentuale secondo la seguente relazione:<br />

DFint = Eint/Eest (%)<br />

Simulazioni numeriche del Tabacchificio<br />

Successivamente è stato riprodotto il modello tri<strong>di</strong>mensionale dell’e<strong>di</strong>ficio con il CAD,<br />

per poter essere importato all’interno del software Ecotect 5.6 per effettuare le prime<br />

simulazioni numeriche. In questa fase, oltre alla restituzione precisa della geometria<br />

è stata fondamentale la definizione delle caratteristiche fotometriche dei materiali e<br />

delle con<strong>di</strong>zioni al contorno, intendendo per queste ultime la <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> luminanza<br />

del cielo. Alle superfici del modello geometrico sono stati quin<strong>di</strong> attribuiti gli<br />

stessi coefficienti <strong>di</strong> riflessione misurati precedentemente sul modello in scala. Per ottenere<br />

risultati confrontabili con i dati sperimentali è stato inoltre necessario installare<br />

i punti <strong>di</strong> acquisizione nella stessa posizione, sia in pianta che in alzato, in cui<br />

sono state effettuate precedentemente le acquisizioni sotto cielo artificiale. E’ stata impostata<br />

ovviamente la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Cielo Coperto CIE [CIE, 1996] impostando<br />

come valore <strong>di</strong> illuminamento esterno orizzontale quello misurato in precedenza nel<br />

cielo artificiale, ossia 10140 lux.<br />

Nella pagina accanto sono riportati, in maniera sintetica,<br />

i risultati dei valori del daylight factor così come<br />

ottenuti dall’analisi sperimentale nel cielo artificiale, attraverso<br />

le simulazioni con il software Ecotect 5.6 e successivamente<br />

con Desktop Ra<strong>di</strong>ance e AGI32. Dai gra-<br />

10 Posizionamento sensori <strong>di</strong> acquisizione<br />

nel modello in scala<br />

del Tabacchificio, particolare<br />

corpo a.<br />

11 Confronti tra i risultati dell’indagine<br />

sperimentale e le simulazioni<br />

numeriche.


Pasquale Falconetti<br />

399<br />

11


12<br />

400<br />

<strong>La</strong> valutazione illuminotecnica dell’Opificio<br />

fici è possibile verificare che, sia per le analisi sperimentali che per i risultati delle simulazioni,<br />

i valori <strong>di</strong> daylight factor sono sufficientemente alti per tutto lo spazio<br />

considerato. L’andamento dei valori letti per ogni riga <strong>di</strong>mostra che anche l’uniformità<br />

è abbastanza buona, evidenziando soltanto delle leggere <strong>di</strong>fferenze percentuali<br />

in corrispondenza <strong>di</strong> alcuni punti: in prossimità delle finestre e per i punti relativi<br />

alla parte più interna dell’ambiente.<br />

Per le simulazioni eseguite con Ecotect, in corrispondenza del punto 4 appartenente<br />

alla riga D si verifica un netto aumento dei valori dovuto probabilmente alle semplificazioni<br />

che il metodo <strong>di</strong> calcolo utilizza. Ecotect valuta inoltre dei livelli più alti<br />

<strong>di</strong> DF in corrispondenza dei punti della riga D rispetto alle altre righe e anche rispetto<br />

alle simulazioni effettuate con Ra<strong>di</strong>ance e AGI32, nonchè alle acquisizioni sotto<br />

cielo artificiale. Tutti i grafici evidenziano, come è normale che sia, un andamento<br />

dei valori <strong>di</strong> DF più alti in prossimità dei muri dove sono presenti aperture, un regolare<br />

decremento <strong>di</strong> essi per i punti centrali dell’ambiente (punti 3-6) e un leggero<br />

incremento per i punti più interni (punti 2). Le maggiori <strong>di</strong>fferenze si sono riscontrate<br />

dal confronto quantitativo dei valori. E’ possibile verificare infatti che i risultati<br />

ottenuti con Ecotect sovrastimano i valori misurati tanto che, in alcuni punti, si verificano<br />

delle sovra stime anche del 100% rispetto ai valori ottenuti con Desktop Ra<strong>di</strong>ance<br />

e AGI32. Il confronto tra le simulazioni con Ra<strong>di</strong>ance e i dati sperimentali<br />

mostrano una buona corrispondenza per i punti 8 vicino alle aperture.<br />

Il decremento dei valori per i punti più interni è maggiormente marcato in Ra<strong>di</strong>ance<br />

rispetto ai valori misurati. I dati ottenuti dalle simulazioni <strong>di</strong> AGI32 sono quelli maggiormente<br />

confrontabili con i dati sperimentali. In questo caso si verifica una leggera<br />

sovrastima per i punti 8 vicino alle aperture ma per tutti gli altri punti i valori sono<br />

del tutto confrontabili. Partendo dai punti 7 infatti, gli andamenti dei valori simulati<br />

sono soggetti ad una<br />

curva <strong>di</strong> decremento verso<br />

i punti più interni del tutto<br />

simile alla curva dei valori<br />

misurati.<br />

12 Modello tri<strong>di</strong>mensionale in<br />

CAD del Tabacchificio per le simulazioni<br />

numeriche.


Mariateresa Guadagnuolo<br />

<strong>La</strong> sicurezza sismica dell’Opificio<br />

<strong>di</strong> MARIATERESA GUADAGNUOLO<br />

L’opificio rientra in una tipologia strutturale caratterizzata da regolarità e simmetria,<br />

in cui gran<strong>di</strong> aule sono delimitate da pareti perimetrali <strong>di</strong> significativa lunghezza, dove<br />

aperture ripetitive in<strong>di</strong>viduano setti murari spesso snelli. Sono inoltre assenti pareti<br />

<strong>di</strong> spina, coperture e strutture spingenti, mentre è presente un cordolo in c.a che fascia<br />

la costruzione sia a quota interme<strong>di</strong>a sia in sommità.<br />

Ai fini della valutazione della sicurezza sismica, da effettuare sia a livello globale che<br />

locale, queste caratteristiche geometrico-strutturali mostrano la necessità <strong>di</strong> controllare<br />

oltre alla capacità resistente dell’intero sistema strutturale anche la vulnerabilità<br />

delle pareti perimetrali alle azioni fuori piano.<br />

L’impiego <strong>di</strong> modelli semplificati, <strong>di</strong> agevole utilizzo nella pratica quoti<strong>di</strong>ana, può essere<br />

conseguito utilizzando modelli ad aste in analisi statiche non lineari per stu<strong>di</strong>are<br />

il comportamento globale della costruzione e modelli a blocchi rigi<strong>di</strong> in analisi cinematiche<br />

per valutare il comportamento fuori piano. Le peculiarità strutturali infatti<br />

sembrerebbero rendere gli opifici particolarmente idonei all’impiego <strong>di</strong> una tale modellazione.<br />

E’ stata indagata, quin<strong>di</strong>, la rappresentatività dei risultati ottenuti me<strong>di</strong>ante<br />

tali modelli e meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> analisi, attraverso il confronto con analisi agli elementi finiti.<br />

Il comportamento delle pareti per azioni nel piano<br />

L’analisi del comportamento globale delle costruzioni in muratura può essere effettuata<br />

sia utilizzando modelli più raffinati quali quelli ad elementi finiti sia impiegando<br />

modelli semplificati che consentono l’analisi <strong>di</strong> intere costruzioni con un onere<br />

computazionale ridotto. Tutto questo a scapito <strong>di</strong> una lettura precisa dei meccanismi<br />

<strong>di</strong> deformazione e <strong>di</strong> danneggiamento della struttura muraria. All’interno <strong>di</strong> questa<br />

categoria si ritrovano sia modelli che operano con schemi bi<strong>di</strong>mensionali <strong>di</strong> pannelli<br />

murari, sia modelli che utilizzano solo elementi mono<strong>di</strong>mensionali. Il modello utilizzato<br />

per l’opificio è <strong>di</strong> questo ultimo tipo in cui la struttura muraria è schematizzata<br />

come un insieme <strong>di</strong> aste, costituite da un tratto deformabile con resistenza fi-<br />

401


13<br />

14<br />

402<br />

<strong>La</strong> sicurezza sismica dell’Opificio<br />

nita, e da due tratti all’estremità infinitamente rigi<strong>di</strong> e resistenti per modellare le zone<br />

<strong>di</strong> connessione tra i maschi e le fasce murarie.<br />

Il modello ad aste ha suscitato alcune perplessità a causa dell’incapacità <strong>di</strong> riprodurre,<br />

in modo adeguato, la tri<strong>di</strong>mensionalità della struttura muraria, ciò richiederebbe infatti<br />

una formulazione tri<strong>di</strong>mensionale del comportamento meccanico degli elementi<br />

murari; in genere, invece, si assumono comportamenti in<strong>di</strong>pendenti per ciascun piano<br />

<strong>di</strong> inflessione. Pareti composte da maschi che si intersecano sono pertanto scomposte<br />

in maschi semplici a sezione rettangolare, assunzione che comporta inevitabilmente<br />

<strong>di</strong>verse approssimazioni in termini <strong>di</strong> peso proprio della struttura, rigidezza e capacità<br />

resistente e la cui incidenza non è sempre facile da quantificare. In corrispondenza<br />

degli angoli e degli incroci tra le pareti murarie, gli elementi murari <strong>di</strong>sposti<br />

ortogonalmente a quelli caricati nel proprio piano contribuiscono, infatti, all’assorbimento<br />

delle azioni esterne in funzione del tipo <strong>di</strong> interazione che si sviluppa all’intersezione.<br />

Per ovviare a ciò si possono al più mo<strong>di</strong>ficare le <strong>di</strong>mensioni delle sezioni<br />

trasversali dei maschi murari per preservare quanto più possibile le rigidezze e le resistenze<br />

dei maschi effettivi. L’altra <strong>di</strong>fferenza, decisamente più sostanziale, è la modellazione<br />

della copertura. In un modello semplificato quale quello in esame, infatti,<br />

non può essere modellato l’effettivo comportamento della copertura, bensì possono<br />

essere introdotti opportuni vincoli solo quando la stessa ha una elevata rigidezza nel<br />

proprio piano. <strong>La</strong> valutazione <strong>di</strong> tale rigidezza richiede, tuttavia, l’analisi <strong>di</strong> un modello<br />

specifico, che nel caso in esame riguarda una copertura<br />

costituita da due voltine in calcestruzzo. Nello<br />

spirito dei modelli semplificati, si è ritenuto opportuno<br />

effettuare le analisi dell’opificio imponendo due <strong>di</strong>verse<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vincolo ai no<strong>di</strong> appartenenti al piano della<br />

copertura, ossia sono state considerate le due situazioni<br />

limite <strong>di</strong> impalcato deformabile e <strong>di</strong> impalcato rigido.<br />

Nel primo caso le masse dei no<strong>di</strong> <strong>di</strong> tale piano sono<br />

considerate tra loro in<strong>di</strong>pendenti, nel secondo i gra<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

libertà dei no<strong>di</strong> del piano <strong>di</strong> copertura sono resi “slave”<br />

rispetto a quelli del cosiddetto nodo “master”, secondo<br />

13 Modello ad aste.<br />

14 Modello ad aste - con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> lavoro nei maschi e nelle fasce<br />

(analisi in <strong>di</strong>rezione X e in<br />

<strong>di</strong>rezione Z).


Mariateresa Guadagnuolo<br />

una procedura ampiamente <strong>di</strong>ffusa nelle strutture intelaiate. <strong>La</strong> Figura 15 mostra due<br />

viste del modello agli elementi finiti, utilizzato per confronto, da cui si vede che è<br />

stata fedelmente riprodotta anche l’intera copertura in tutti i suoi elementi costituenti<br />

(voltine, travi-cordolo e piastrini in c.a., tiranti in acciaio). In tale modellazione, sia<br />

le pareti murarie sia gli elementi in calcestruzzo sono modellati con elementi soli<strong>di</strong> a<br />

otto no<strong>di</strong>.<br />

Il comportamento delle pareti per azioni fuori piano<br />

Per analizzare il comportamento locale dell’opificio è stato utilizzato il modello a blocchi<br />

rigi<strong>di</strong> con l’impiego <strong>di</strong> analisi cinematiche lineari e non lineari. Lo stu<strong>di</strong>o dei <strong>di</strong>versi<br />

meccanismi <strong>di</strong> collasso presuppone la loro in<strong>di</strong>viduazione, punto critico dell’approccio<br />

cinematico nell’ambito dell’analisi limite delle strutture, che in questo caso<br />

è semplificata.<br />

Infatti, le caratteristiche dello schema strutturale e le relative modalità <strong>di</strong> danneggiamento<br />

ne consentono un chiaro riconoscimento, potendo peraltro utilizzare i macroelementi<br />

già consolidati per altre tipologie strutturali, quali le chiese, con cui sussistono<br />

numerose analogie soprattutto per quanto riguarda le pareti perimetrali ed i sistemi<br />

ad arco. I meccanismi fuori piano più ricorrenti sono <strong>di</strong> ribaltamento <strong>di</strong> un setto murario<br />

intero o <strong>di</strong> una sua parte; <strong>di</strong> flessione verticale <strong>di</strong><br />

un setto o <strong>di</strong> una sua porzione; <strong>di</strong> flessione orizzontale<br />

<strong>di</strong> una parete; <strong>di</strong> rotazione o traslazione della ciminiera<br />

o <strong>di</strong> una sua parte. In aggiunta si possono attivare anche<br />

meccanismi composti <strong>di</strong> ribaltamento e flessione.<br />

Sul setto murario si considerano agenti le forze stabilizzanti<br />

composte dalle forze peso, dai carichi trasmessi dalla<br />

copertura, dalle componenti verticali delle eventuali spinte<br />

<strong>di</strong> archi e volte, dalle forze orizzontali dovute alla presenza<br />

<strong>di</strong> tiranti e cordoli <strong>di</strong> copertura o <strong>di</strong> piano. Le forze<br />

instabilizzanti considerate sono, invece, dovute alle forze<br />

associate alle masse partecipanti al meccanismo, alle componenti<br />

orizzontali delle eventuali spinte <strong>di</strong> archi e volte.<br />

15 Modello ad elementi finiti.<br />

16 Stati tensionali.<br />

403<br />

15<br />

16


404<br />

<strong>La</strong> procedura per determinare il moltiplicatore dei carichi orizzontali e per effettuare<br />

le verifiche <strong>di</strong> norma, in cinematica lineare e non lineare, è stata implementata in un<br />

foglio <strong>di</strong> calcolo elettronico. Con riferimento ai meccanismi tipici delle pareti perimetrali<br />

degli opifici, che ne costituiscono un elemento caratterizzante, è stato stu<strong>di</strong>ato<br />

il ruolo del cordolo, frequentemente presente a quota interme<strong>di</strong>a, approfondendone<br />

i problemi legati alla modellazione. È stata, inoltre stu<strong>di</strong>ata l’influenza della con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> vincolo della copertura, rilevando che è quantomeno necessario considerare<br />

la resistenza <strong>di</strong> attrito all’interfaccia tra la parete muraria e la copertura stessa, anche<br />

se in maniera approssimata, per pervenire ad una corretta previsione del più probabile<br />

meccanismo <strong>di</strong> collasso.<br />

<strong>La</strong> rappresentatività delle analisi cinematiche è stata valutata attraverso il confronto<br />

con una modellazione agli elementi finiti, effettuato in termini <strong>di</strong> curve <strong>di</strong> capacità,<br />

pervenendo ad un sostanziale buon accordo, sia per quanto riguarda la tipologia <strong>di</strong><br />

meccanismi attivabili, sia per quanto concerne i valori dei moltiplicatori.<br />

<strong>La</strong> valutazione della sicurezza dell’opificio oggetto <strong>di</strong> indagine, effettuata sia a livello<br />

globale che locale, ha confermato che mentre la capacità resistente globale è sufficientemente<br />

adeguata, l’esposizione a collassi fuori piano <strong>di</strong> porzioni murarie delle<br />

pareti perimetrali è notevole, per cui l’attivazione <strong>di</strong> tali meccanismi necessita <strong>di</strong> particolare<br />

attenzione.<br />

Bibliografia<br />

<strong>La</strong> sicurezza sismica dell’Opificio<br />

AVELLA A., GUADAGNUOLO M., Disegno e sicurezza sismica. Il Tabacchificio <strong>di</strong> Presenzano, <strong>La</strong> <strong>scuola</strong><br />

<strong>di</strong> <strong>Pitagora</strong> e<strong>di</strong>trice, Napoli 2010.<br />

AVELLA A., Di_segno e trama del Litorale Domitio, <strong>La</strong> <strong>scuola</strong> <strong>di</strong> <strong>Pitagora</strong> e<strong>di</strong>trice, Napoli 2010.<br />

AA. VV., <strong>La</strong> valutazione per lo sviluppo sostenibile della città e del territorio, Franco Angeli, Milano 1997.<br />

AA.VV., Crisi della ragione, Einau<strong>di</strong> G., Torino 1979.<br />

AGHEMO C., PELLEGRINO A., LO VERSO V., A Protocol for Artificial Sun and Sky Validation. Dipartimento<br />

<strong>di</strong> Energetica Politecnico <strong>di</strong> Torino, Turin, September 2004.<br />

BODART M., DENEYER A., A guide for the buil<strong>di</strong>ng of daylight scale models., in PLEA2006 - The 23rd


Mariateresa Guadagnuolo<br />

MECCANISMI DI COLLASSO DELLE PARETI PERIMETRALI<br />

Sul setto murario si possono considerare<br />

agenti le forze stabilizzanti<br />

composte da: forze peso P2 e P1 rispettivamente<br />

peso proprio del maschio<br />

murario superiore e inferiore<br />

applicate nel baricentro <strong>di</strong> ogni<br />

blocco, i carichi V2 trasmesso dalla<br />

copertura sul maschio superiore e V1<br />

trasmesso da un eventuale carico presente<br />

sulla risega del maschio inferiore,<br />

le forze SV2 e SV1, componenti<br />

verticali <strong>di</strong> un’eventuale spinta in<br />

presenza <strong>di</strong> archi e volte che scaricano<br />

sulla parete a varie quote, la<br />

forza Ns trasmessa dalla muratura e<br />

dai solai superiori quando è analiz-<br />

zato il solo setto inferiore, le forze<br />

orizzontali che si oppongono all’attivazione<br />

del cinematismo FT2, FT1<br />

dovute all’eventuale presenza <strong>di</strong> tiranti<br />

e le forze FC2, FC1, dovute alla<br />

presenza del cordolo <strong>di</strong> copertura o<br />

<strong>di</strong> piano. Le forze instabilizzanti considerate<br />

agenti, invece, sono com-<br />

405<br />

poste da: forze associate alle masse<br />

partecipanti al meccanismo quali W1,<br />

W2, P1, P2, V1, V2, SV1, SV2; forze<br />

orizzontali quali SH2, SH1 componenti<br />

orizzontali <strong>di</strong> un eventuale<br />

spinta in presenza <strong>di</strong> archi e volte<br />

che scaricano sulla parete a varie<br />

quote.


406<br />

Bibliografia<br />

Conference on Passive and Low Energy Architecture, Geneva, Switzerland, 6-8 September 2006.<br />

BERQUE A., Les raisons du paysage, Hazan, Paris 1995.<br />

BODART M., DENEYER A., A. DE HERDE AND P. WOUTERS, A Guide for Buil<strong>di</strong>ng Daylight Scale<br />

Models. Architectural Science Review, Volume 50.1, 2007.<br />

BROCCOLI A., Statuti ine<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> Presenzano nel 1450, in Archivio storico campano, vol. II, 1893-94.<br />

BUCHANAN R. A., Industrial Archaeology in Briatin, Penguin, Harmondsworth 1972<br />

CIE (COMMISSION INTERNATIONALE DE L’ECLAIRAGE). Spatial <strong>di</strong>stributions of daylight – CIE standard<br />

overcast and clear sky. Rapporto tecnico CIE Standard S 003/E, Vienna, 1996.<br />

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GIUSEPPE DAMIANI ALMEYDA<br />

IL "PROGETTO RIDUZIONE" DEL TEATRO MASSIMO DI PALERMO<br />

<strong>di</strong> FABRIZIO AVELLA, GIUSEPPE DALLI CARDILLO<br />

Dai <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> archivio al modello <strong>di</strong>gitale<br />

Giuseppe Damiani Almeyda, <strong>di</strong> origini campane1 , è un architetto emergente<br />

a Palermo negli anni in cui l’amministrazione comunale decide <strong>di</strong><br />

munirsi <strong>di</strong> un teatro all’altezza del prestigio <strong>di</strong> cui la città gode in ambito internazionale.<br />

Incaricato del progetto, in quanto tecnico comunale, rifiuta, data l’importanza<br />

del tema, <strong>di</strong> svolgerlo per assegnazione <strong>di</strong>retta e propone <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>re un<br />

concorso internazionale.<br />

Il suo spirito civico non è ricompensato dalla vittoria del concorso, attribuita<br />

a Giovan Battista Filippo Basile su verdetto della giuria del 2 settembre 18682 ,<br />

ed il suo progetto, marcato dal motto Quod potui feci<br />

faciant meliora potentes, è giu<strong>di</strong>cato quarto.<br />

A pochi anni dalla realizzazione dell’Unità d’Italia la città<br />

<strong>di</strong>mostra già con chiarezza l’avversione allo svolgimento<br />

lineare delle vicende pubbliche: l’assegnazione della realizzazione<br />

è messa in <strong>di</strong>scussione e, con rapporto del 15<br />

gennaio 1869, l’apposita commissione costituita dal Comune,<br />

stabilisce che il Municipio sarebbe <strong>di</strong>venuto proprietario<br />

dei progetti senza, però, averne l’obbligo della<br />

realizzazione.<br />

In quegli anni Damiani segue i lavori della realizzazione<br />

del Teatro Politeama, su suo progetto, e, forte del successo<br />

avuto all’inaugurazione3 , spera <strong>di</strong> ottenere anche<br />

quella del Teatro Massimo.<br />

A cinque anni dal concorso Damiani, nonostante l’avversione<br />

manifestata da più parti4 , non si dà per vinto:<br />

rifiuta l’invito del fratello <strong>di</strong> lasciare “una terra dove l’equità<br />

è sogno <strong>di</strong> utopisti” 5 e lavora al progetto, dai co-<br />

1 Tavola I: intestazione (Foto,<br />

raddrizzamento, post-elaborazione<br />

grafica: Fabrizio Avella).<br />

2 Tavola I: Pianta del piano terra<br />

(Foto: Fabrizio Avella; raddrizzamento:<br />

Giuseppe Dalli Car<strong>di</strong>llo;<br />

post-elaborazione grafica: Fabrizio<br />

Avella).<br />

<strong>di</strong> FABRIZIO AVELLA<br />

1<br />

2


3<br />

408<br />

3 Tavola III: prospetto principale<br />

(Foto: Fabrizio Avella; raddrizzamento:<br />

Giuseppe Dalli Car<strong>di</strong>llo;<br />

post-elaborazione grafica: Fabrizio<br />

Avella).<br />

Giuseppe Damiani Almeyda: il "Progetto riduzione" del Teatro Massimo <strong>di</strong> Palermo<br />

sti più contenuti rispetto a quello presentato al concorso, denominato da lui stesso<br />

Progetto riduzione 6 .<br />

Lo sforzo è vano, in quanto, con delibera del 30 ottobre 1874, il consiglio Comunale<br />

decide <strong>di</strong> dar seguito alle determinazioni della giuria ed assegnare a Giovan Battista<br />

Filippo Basile la realizzazione del Teatro, i cui lavori iniziano nel 1875.<br />

Damiani, dunque, perde la battaglia.<br />

Questo stu<strong>di</strong>o si propone <strong>di</strong> rendere visibile l’opera descritta nel progetto che egli voleva<br />

proporre alla città, e raccontare come sarebbe quel brano urbano se fossero state<br />

fatte scelte <strong>di</strong>fferenti.<br />

Si è scelto <strong>di</strong> prendere in considerazione il Progetto riduzione, in quanto pensato per<br />

la realizzazione dell’opera, e, quin<strong>di</strong>, con uno spirito più “esecutivo” rispetto a quello<br />

presentato in sede <strong>di</strong> concorso.<br />

Il progetto è <strong>di</strong>segnato su cartoncino, a matita e a penna; le parti sezionate sono rappresentate<br />

con campiture inchiostrate nelle piante, e ad acquerello scuro nelle sezioni,<br />

mentre le parti in proiezione sono prive <strong>di</strong> colore nelle piante e nelle sezioni e colorate<br />

ad acquerello negli alzati. Risulta privo <strong>di</strong> coloriture il fronte laterale e non è riportato<br />

il prospetto posteriore.


Fabrizio Avella, Giuseppe Dalli Car<strong>di</strong>llo<br />

Il progetto consta <strong>di</strong> 10 tavole: le tavole I e II rappresentano<br />

le piante del piano terra e del primo piano, la<br />

tavola III il prospetto principale, la IV, la V e la VI le<br />

sezioni, la VII il prospetto laterale, la VIII una sezione<br />

trasversale con la struttura metallica <strong>di</strong> copertura, la IX<br />

la seconda versione del prospetto principale, la X l’inserimento<br />

topografico. Tutte le tavole presentano una scala<br />

<strong>di</strong> rappresentazione <strong>di</strong> 0,01, tranne le tavole IV e IX, il<br />

cui fattore <strong>di</strong> scala in<strong>di</strong>cato nelle tavole è <strong>di</strong> 0,015, e la<br />

X, con in<strong>di</strong>cata una scala <strong>di</strong> 0,003.<br />

Sono presenti due soluzioni relative al prospetto principale:<br />

si è scelto, per l’elaborazione del modello tri<strong>di</strong>mensionale,<br />

quello colorato rappresentato nella tavola III, considerato<br />

definitivo sia per l’accuratezza della tecnica, sia per la numerazione<br />

della tavola, imme<strong>di</strong>atamente successiva a quelle<br />

delle piante e precedente a quelle delle sezioni.<br />

Con le modalità operative descritte in seguito si è proceduto<br />

all’elaborazione del modello vettoriale, utilizzato<br />

come base per le rappresentazioni prospettiche.<br />

Data l’importanza che ha avuto, nel <strong>di</strong>battito degli anni<br />

del concorso, la questione relativa al posizionamento dell’e<strong>di</strong>ficio<br />

e alle demolizioni <strong>di</strong> monumenti preesistenti<br />

nell’area, si è ritenuto utile elaborare, otre a <strong>di</strong>segni prospettici<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio decontestualizzato, la simulazione dell’inserimento<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio nel sito reale.<br />

<strong>La</strong> scelta nasce dalla volontà <strong>di</strong> mostrare come il progetto<br />

<strong>di</strong> Damiani volesse instaurare con il contesto circostante<br />

una relazione basata sulla ricucitura del tracciato<br />

urbano, senza sventramenti eccessivi. Una posizione<br />

progettuale poco “moderna” per i tempi in cui il teatro<br />

4 Tavola III: prospetto principale,<br />

particolari (Foto: Fabrizio Avella;<br />

raddrizzamento: Giuseppe Dalli<br />

Car<strong>di</strong>llo; post-elaborazione grafica:<br />

Fabrizio Avella).<br />

409<br />

4


5<br />

410<br />

5 Prospettiva (modellazione e<br />

rendering: Giuseppe Dalli Car<strong>di</strong>llo;<br />

post-elaborazione grafica: Fabrizio<br />

Avella).<br />

Giuseppe Damiani Almeyda: il "Progetto riduzione" del Teatro Massimo <strong>di</strong> Palermo<br />

è stato realizzato, che, pur sottolineando l’importanza del primo teatro citta<strong>di</strong>no, non<br />

cede ad una eccessiva monumentalità e che ricorda alcuni ragionamenti a noi più<br />

consoni sulla relazione tra nuovo manufatto e tracciato urbano 7 .<br />

Il punto <strong>di</strong> vista dell’immagine è stato scelto in base ad alcune precise considerazioni:<br />

la prima è relativa alla posizione, non rispetto all’e<strong>di</strong>ficio realizzato da Basile, quanto<br />

rispetto all’ipotesi <strong>di</strong> posizionamento del progetto in esame; l’altra è relativa alla possibilità<br />

<strong>di</strong> ricostruire gli e<strong>di</strong>fici circostanti. Se l’e<strong>di</strong>ficio fosse stato inquadrato dalla <strong>di</strong>rezione<br />

opposta, si sarebbero dovuti vedere i fronti del Monastero <strong>di</strong> San Giuliano e<br />

<strong>di</strong> quello delle Stimmate, e<strong>di</strong>fici che Damiani, riconoscendone il valore storico monumentale,<br />

intendeva salvare e che, invece, sono stati demoliti per fare spazio all’e<strong>di</strong>ficio<br />

<strong>di</strong> Basile 8 . <strong>La</strong> mancanza <strong>di</strong> materiale idoneo relativo alla configurazione <strong>di</strong> questi<br />

e<strong>di</strong>fici perduti ne ha sconsigliato la ricostruzione ai fini <strong>di</strong> un inserimento contestuale,<br />

poiché ritenuta poco atten<strong>di</strong>bile 9 .<br />

Il posizionamento dell’e<strong>di</strong>ficio è stato valutato sovrapponendo parte della tavola <strong>di</strong> progetto,<br />

in cui è evidente la scelta urbana, all’ortofoto della città, in modo da ottenere un<br />

accettabile margine <strong>di</strong> precisione 10 .<br />

L’obiettivo dell’inserimento fotografico non è quello <strong>di</strong> stabilire se il teatro realizzato da


Fabrizio Avella, Giuseppe Dalli Car<strong>di</strong>llo<br />

Damiani sia più o meno bello, più o meno adeguato rispetto a quello <strong>di</strong> Basile, ma <strong>di</strong><br />

offrire ad architetti, storici, urbanisti lo spunto per riflessioni, che possono promuovere<br />

l’uno o l’altro progetto, alla luce <strong>di</strong> materiale iconografico <strong>di</strong> nuova elaborazione.<br />

In questo saggio ci si è voluti soffermare sul Damiani architetto che affronta il progetto<br />

secondo logiche interne all’e<strong>di</strong>ficio ma con un occhio <strong>di</strong> estremo riguardo alle<br />

relazioni che esso instaura, e genera, con la città.<br />

<strong>La</strong> fase successiva prevede la rappresentazione degli interni, al fine <strong>di</strong> valutare la relazione<br />

tra la volumetria esterna, rigorosa e poco incline ad eccessi decorativi, e la magnificenza<br />

della platea, dei palchi, degli spazi <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuzione, tutti arricchiti da fastosi<br />

affreschi, nonché del palcoscenico, della torre scenica, pensate per un teatro che<br />

avrebbe dovuto, e voluto, competere con i coevi e<strong>di</strong>fici in costruzione in Europa.<br />

Si spera, alla fine, <strong>di</strong> rendere omaggio ad una figura <strong>di</strong> grande spessore che ha saputo<br />

coniugare la maestria dell’architetto, il rigore dell’ingegnere, la sensibilità del pittore,<br />

la luci<strong>di</strong>tà dell’urbanista.<br />

Metodologia <strong>di</strong> lavoro<br />

<strong>di</strong> GIUSEPPE DALLI CARDILLO<br />

Il processo <strong>di</strong> ricostruzione del modello <strong>di</strong>gitale del teatro progettato da Giuseppe<br />

Damiani Almeyda può essere sud<strong>di</strong>viso in <strong>di</strong>verse fasi operative.<br />

<strong>La</strong> prima è de<strong>di</strong>cata alla raccolta dei dati metrici, essenziali per una corretta ricostruzione;<br />

la seconda consiste in un processo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scretizzazione e sintesi dei dati raccolti<br />

al fine <strong>di</strong> ottenere un modello 3D gestibile; la terza, non meno importante, è caratterizzata<br />

dalla ricerca <strong>di</strong> tecniche <strong>di</strong> rappresentazione adatte alla descrizione dell’oggetto<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o.<br />

Il problema principale riscontrato è stato quello <strong>di</strong> trasformare i <strong>di</strong>segni cartacei, delicatissimi,<br />

in un formato facilmente utilizzabile. Per meglio salvaguardare l’archivio<br />

cartaceo si è optato per un proce<strong>di</strong>mento elaborato ma rispettoso delle tavole originali.<br />

Per evitare il continuo contatto con le tavole originali sono state scattate le foto<br />

411


6<br />

412<br />

6 Prospettiva (modellazione e<br />

rendering: Giuseppe Dalli Car<strong>di</strong>llo;<br />

post-elaborazione grafica: Fabrizio<br />

Avella).<br />

Giuseppe Damiani Almeyda: il "Progetto riduzione" del Teatro Massimo <strong>di</strong> Palermo<br />

dei <strong>di</strong>segni, opportunamente realizzate con con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> luce ed esposizione che limitassero<br />

il formarsi <strong>di</strong> ombre nette e risultassero il più possibile nitide. Si è quin<strong>di</strong><br />

realizzato un “rilievo” dei <strong>di</strong>segni cartacei segnando le misure principali sulle medesime<br />

tavole riprodotte attraverso le foto. I dati numerici raccolti sono quin<strong>di</strong> serviti<br />

da base, come punti <strong>di</strong> appoggio per le coor<strong>di</strong>nate cartesiane, nel successivo processo<br />

<strong>di</strong> raddrizzamento fotogrammetrico delle immagini.<br />

Il rilievo fotografico è stato <strong>di</strong> “inquadramento”, con foto generali che riprendessero gli<br />

elaborati nella loro interezza, e “<strong>di</strong> dettaglio”, per i particolari architettonici più interessanti<br />

o complessi. Per eseguire il raddrizzamento <strong>di</strong> una presa fotografica è necessaria<br />

la conoscenza <strong>di</strong> almeno otto parametri che definiscono la relazione omografica 11 fra<br />

il piano dell’immagine fotografica originaria e quello dell’immagine raddrizzata.<br />

Un passaggio <strong>di</strong> grande importanza è stato quello dell’eliminazione delle <strong>di</strong>storsioni<br />

ottiche dovute alla sfericità dell’obiettivo della macchina fotografica con l’ausilio <strong>di</strong><br />

un software apposito che, riconoscendo le deformazioni dovute all’errore <strong>di</strong> sfericità,<br />

le elimina correggendo l’immagine.<br />

Al termine del processo <strong>di</strong> eliminazione della sfericità e della trasformazione omografica<br />

le immagini risultano in scala e metricamente corrette. Si sono realizzati, dunque,<br />

i fotopiani, successivamente utilizzati come base per misurare e ri<strong>di</strong>segnare il progetto.<br />

<strong>La</strong> fase successiva è stata quella <strong>di</strong> trasformare le immagini raster in formato vetto-


Fabrizio Avella, Giuseppe Dalli Car<strong>di</strong>llo<br />

riale, ri<strong>di</strong>segnando il progetto attraverso software CAD. Le piante, i prospetti, le sezioni<br />

ed i <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> dettaglio sono stati quin<strong>di</strong> utilizzati per la realizzazione <strong>di</strong> un<br />

modello 3d <strong>di</strong>gitale.<br />

Terminata la modellazione sono stati creati gli shaders 12 per la simulazione materica del<br />

progetto rifacendosi sia alle informazioni sul colore deducibili dai <strong>di</strong>segni originali, sia<br />

ad architetture dello stesso periodo realizzate da Almeyda. <strong>La</strong> realizzazione dei materiali<br />

è stata dettata dalle <strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> rendering, più o meno <strong>di</strong> tipo realistico.<br />

Alle istruzioni basilari che raccolgono le caratteristiche fisiche del materiale, come la<br />

trasparenza, la rugosità, la lucentezza, il colore sono state poi applicate apposite textures<br />

per meglio simulare le tonalità e le caratteristiche che sarebbero potute essere<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio qualora fosse stato realizzato. Interessante è stato il proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> inserimento<br />

del teatro nell’attuale tessuto urbano della città. Sono state effettuate delle<br />

foto dell’attuale piazza su cui sorge il teatro Massimo e su una attuale cartografia si<br />

sono in<strong>di</strong>cati i punti <strong>di</strong> presa, l’ora esatta e tutti i parametri <strong>di</strong> messa a fuoco ed esposizione<br />

della macchina fotografica.<br />

Il modello <strong>di</strong>gitale è stato quin<strong>di</strong> posto in scala e posizionato su un’ortofoto attuale<br />

secondo alcuni punti in comune ancora esistenti e riconoscibili nell’impianto planimetrico<br />

progettato e <strong>di</strong>segnato da Almeyda. Il modello e la cartografia <strong>di</strong> base sono<br />

quin<strong>di</strong> stati orientati nella giusta posizione così da far coincidere il nord geografico<br />

con il nord virtuale del software <strong>di</strong> modellazione e rendering.<br />

Quin<strong>di</strong> si è utilizzato un sistema <strong>di</strong> rendering <strong>di</strong><br />

tipo fisico, che si avvale della corretta simulazione delle<br />

caratteristiche <strong>di</strong> una reale macchina fotografica, inserendo<br />

quin<strong>di</strong> i valori della foto originale e la posizione<br />

del punto <strong>di</strong> presa. Ultimo accorgimento è stato la simulazione<br />

della luce del sole intervenendo sui parametri<br />

<strong>di</strong> latitu<strong>di</strong>ne, longitu<strong>di</strong>ne, ora, mese e anno così da<br />

riprodurre le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> luce analoghe a quelle dell’immagine<br />

fotografica 13 .<br />

Con processi del tutto <strong>di</strong>fferenti rispetto a quelli del-<br />

7 Sovrapposizione della tavola<br />

d'inserimento all'attuale ortofoto<br />

(Fabrizio Avella).<br />

413<br />

7


8<br />

414<br />

Giuseppe Damiani Almeyda: il "Progetto riduzione" del Teatro Massimo <strong>di</strong> Palermo<br />

8 Vista della piazza con la sistemazione<br />

attuale (foto: Fabrizio<br />

Avella).


Fabrizio Avella, Giuseppe Dalli Car<strong>di</strong>llo<br />

9 Inserimento della prospettiva<br />

del modello nella sistemazione attuale<br />

(rendering: Giuseppe Dalli<br />

Car<strong>di</strong>llo; inserimento prospettico e<br />

post-elaborazione grafica: Fabrizio<br />

Avella).<br />

415<br />

9


416<br />

l’inserimento fotografico, il modello tri<strong>di</strong>mensionale è stato utilizzato per la messa a<br />

punto <strong>di</strong> tecniche <strong>di</strong> rappresentazione non mimetiche.<br />

Le tecniche <strong>di</strong> rappresentazione sono state scelte sia per ottenere un linguaggio volutamente<br />

non realistico, che cerca <strong>di</strong> imitare i <strong>di</strong>segni ottocenteschi, sia per proporre<br />

un risultato mimetico, utile per l’inserimento del progetto nel contesto urbano, operazione<br />

che consente la visibilità <strong>di</strong> un’immagine del volto <strong>di</strong> una parte della città se<br />

l’e<strong>di</strong>ficio fosse stato realizzato.<br />

Note<br />

Giuseppe Damiani Almeyda: il "Progetto riduzione" del Teatro Massimo <strong>di</strong> Palermo<br />

1 Giuseppe Damiani Almeyda nasce a Capua il 10 febbraio 1834. Frequenta lo stu<strong>di</strong>o del pittore<br />

Giuseppe Mancinelli, e, quin<strong>di</strong>cenne, è ammesso tra gli allievi privati <strong>di</strong> Enrico Alvino.<br />

Nel 1852 è ammesso alla Scuola <strong>di</strong> Ponti e Strade <strong>di</strong> Napoli, presso cui si <strong>di</strong>ploma nel 1859.<br />

Nel luglio dello steso anno il Corpo <strong>di</strong> Ingegneri <strong>di</strong> Ponti e Strade lo trasferisce a Palermo.<br />

2 <strong>La</strong> commissione, nominata nel <strong>di</strong>cembre del 1867, è formata da Gottfried Semper, Mariano<br />

Falcini e Francesco Saverio Cavallari. <strong>La</strong> presenza <strong>di</strong> Semper, figura <strong>di</strong> spicco del panorama internazionale,<br />

dà prontezza dell’importanza attribuita dalla città alla competizione.<br />

3 L’inaugurazione è organizzata, a detta <strong>di</strong> Damiani, ad opera ancora incompiuta, con l’obiettivo<br />

<strong>di</strong> scre<strong>di</strong>tarlo agli occhi dei palermitani, che, però, nonostante l’e<strong>di</strong>ficio avesse ancora bisogno<br />

<strong>di</strong> lavori per l’ultimazione, accolgono con entusiasmo l’opera e ne lodano le qualità.<br />

4 Tra i più tenaci oppositori vi era l’allora sindaco <strong>di</strong> Palermo Emanuele Notarbartolo: “Questo<br />

sventuratissimo uomo si confermò in ogni suo atto a mio danno, sempre e sempre più, quale<br />

antesignano della spietata guerra che d’ogni lato m’era mossa, pur facendomi sempre un soavissimo<br />

sorriso stringendomi la mano con effusione”, in M. DAMIANI, a cura <strong>di</strong>, Giuseppe Damiani<br />

Almeyda. I casi della mia vita, E<strong>di</strong>zioni Anteprima, Palermo 2001, p. 69.<br />

5 <strong>La</strong> lettera, scritta dal fratello nel 1974, è conservata nell’Archivio Damiani <strong>di</strong> Palermo.<br />

6 Il progetto è descritto in <strong>di</strong>eci tavole <strong>di</strong> grande formato, datate 1 gennaio1874, e recanti la <strong>di</strong>citura<br />

del motto utilizzato in sede <strong>di</strong> concorso. È attualmente conservato presso l’Archivio Damiani<br />

<strong>di</strong> Palermo.<br />

7 “Il progetto <strong>di</strong> Damiani per il teatro Massimo manifesta così apertamente le idee del suo autore:<br />

la riconferma dei poli storici della città; la mimesi del nuovo nell’antico con l’adozione <strong>di</strong>


Fabrizio Avella, Giuseppe Dalli Car<strong>di</strong>llo<br />

forme esterne semplici e compatte che spesso non denunciano la funzione e rimandano all’elaborazione<br />

interna; la rifondazione della città attraverso un rinnovamento per punti che non interagiscono<br />

tra loro.” M. GIUFFRÈ, Palermo, l’architetto e la città, in R. PIRAJNO, M. DAMIANI,<br />

P. BARBERA, a cura <strong>di</strong>, Giuseppe Damiani Almeyda. Una vita per l’architettura, tra insegnamento<br />

e professione, E<strong>di</strong>zioni Salvare Palermo, Palermo 2008, p. 36.<br />

8 Non è un caso che la tavola X, in cui è in<strong>di</strong>cato l’inserimanto urbano, sia nominata “Topografia<br />

del locale delle Stimmate in<strong>di</strong>cante l’impianto del teatro”.<br />

9 Sono presenti alcune foto dei fronti del Monastero <strong>di</strong> San Giuliano su via Maqueda, ma la qualità<br />

della definizione delle immagini e la mancanza <strong>di</strong> ulteriori dati metrici ha fatto ritenere tale<br />

materiale iconografico insufficiente.<br />

10 È inevitabile dover cedere ad un compromesso: il tracciato <strong>di</strong>segnato da Almeyda presenta, ovviamente,<br />

alcune incongruenze con il tracciato viario desumibile dall’ortofoto. Si sono scelti dei<br />

capisal<strong>di</strong> che hanno avuto la funzione <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> riferimento per la sovrapposizione della planimetria<br />

<strong>di</strong> Damiani all’ortofoto.<br />

11 L’omografia è una trasformazione fra due spazi piani. Nel caso specifico i due piani sono rappresentati<br />

rispettivamente dal piano ripreso in fotografia e dalla sua immagine trasformata in<br />

proiezione ortogonale, mentre gli otto parametri fondamentali per la trasformazione sono le<br />

coor<strong>di</strong>nate bi<strong>di</strong>mensionali X, Y <strong>di</strong> quattro punti opportunamente scelti e tali che non ve ne<br />

siano tre allineati.<br />

12 Il termine inglese shader in<strong>di</strong>ca uno strumento della computer grafica utilizzato per determinare<br />

l’aspetto finale della superficie <strong>di</strong> un oggetto.<br />

13 Per la simulazione della luce solare si è fatto riferimento all’ora ed alla data esatte della presa<br />

fotografica, memorizzate al momento dello scatto sul file.<br />

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PROPRIETÀ GEOMETRICO-PROPORZIONALI<br />

NELLE CHIESE TARDOGOTICHE DELLA SARDEGNA, ALCUNI ESEMPI<br />

<strong>di</strong> VINCENZO BAGNOLO<br />

Nel quadro internazionale la Sardegna si è spesso trovata in una posizione tale da<br />

portarla ad una interpretazione autonoma dei precetti propri dei gran<strong>di</strong> movimenti<br />

artistici continentali. A partire dal XIV secolo, con l’occupazione dell’isola da<br />

parte dei catalani, vengono importati i modelli artistici e architettonici <strong>di</strong> matrice catalana.<br />

Questi avranno piena <strong>di</strong>ffusione principalmente fra i secoli XV e XVI, integrandosi<br />

anche con alcuni elementi già presenti nella cultura architettonica locale.<br />

Dall’esame delle architetture religiose <strong>di</strong> quest’epoca in Sardegna si evince una prima<br />

sud<strong>di</strong>visione in due macro aree geografiche nelle quali le chiese si caratterizzano per<br />

le <strong>di</strong>fferenti forme della facciata. Alla predominanza del tipo con facciata coronata da<br />

un terminale piatto, tipico dei settori centro-meri<strong>di</strong>onali, si contrappone la presenza,<br />

circoscritta all’area nord-occidentale dell’isola, <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi e<strong>di</strong>fici chiesastici caratterizzati<br />

da facciate cuspidate. Talvolta chiuse tra due contrafforti obliqui che si levano da<br />

esse secondo la <strong>di</strong>rezione delle spinte <strong>di</strong>agonali delle crociere, le facciate <strong>di</strong> queste<br />

chiese si presentano partite da una cornice orizzontale al <strong>di</strong> sotto della quale si apre<br />

un portale gigliato. Sopra la fascia orizzontale <strong>di</strong> scomparto si staglia un oculo, solitamente<br />

con un rosone incorniciato da una ghiera modanata. Presenti con <strong>di</strong>verse varianti,<br />

esempi notevoli <strong>di</strong> queste architetture si ritrovano concentrate nel territorio del<br />

1 Proporzioni ad triangulum<br />

nella facciata <strong>di</strong> Santa Giulia a Padria<br />

(SS).<br />

1<br />

2


2<br />

420<br />

Proprietà geometrico-proporzionali nelle chiese tardogotiche della Sardegna, alcuni esempi<br />

Mejlogu, nella provincia <strong>di</strong> Sassari. Le realizzazioni maggiormente rappresentative sono<br />

espresse dalla parrocchiale <strong>di</strong> Santa Giulia a Padria e da quella <strong>di</strong> San Giorgio a Pozzomaggiore,<br />

costituendo i modelli cui tra<strong>di</strong>zionalmente si fanno afferire le restanti<br />

chiese tardogotiche della zona, come la parrocchiale <strong>di</strong> Sant’Andrea a Giave, quella<br />

<strong>di</strong> Santa Chiara a Cossoine, San Gabriele Arcangelo a Cheremule e Santa Vittoria a<br />

Thiesi, tutte erette fra il XV e il XVII secolo.<br />

<strong>La</strong> chiesa <strong>di</strong> Santa Giulia a Padria costituisce l’esempio più antico <strong>di</strong> quest’area 1 . Sulla<br />

sua facciata si apre un bel portale gigliato con arco a tutto sesto che riproduce in scala<br />

minore quello della cattedrale <strong>di</strong> Alghero. Due pinnacoli si elevano dai pilastrini estremi<br />

posti ai lati del portale a raggiungere la fascia <strong>di</strong> scomparto. <strong>La</strong> facciata si caratterizza<br />

per la presenza dei due speroni dei contrafforti che si levano da essa secondo la <strong>di</strong>rezione<br />

delle spinte <strong>di</strong>agonali della prima volta a crociera. In asse col portale, nel secondo<br />

or<strong>di</strong>ne campeggia un oculo con ghiera modanata. De<strong>di</strong>cata a San Giorgio, la<br />

parrocchiale <strong>di</strong> Pozzomaggiore, si esprime anch’essa in forme tardogotiche <strong>di</strong> derivazione<br />

catalana ascrivibili alla prima metà del XVI secolo 2 , forse ispirate alla vicina<br />

chiesa <strong>di</strong> Santa Giulia a Padria. Due contrafforti <strong>di</strong>agonali caratterizzano la facciata,<br />

con una fascia orizzontale <strong>di</strong> scomparto con archetti inflessi che si intrecciano sormontati<br />

da una cornice ornata da tralci <strong>di</strong> vite. Al <strong>di</strong> sopra della fascia si apre un<br />

grande oculo mentre al <strong>di</strong> sotto si incastona un portale gigliato con arco a tutto sesto<br />

in conci a dovelles e con esili semicolonne ai lati, concluse alle estremità da due<br />

pinnacoli. Riprendendo lo<br />

schema del portale della<br />

parrocchiale <strong>di</strong> Padria, questo<br />

si <strong>di</strong>fferenzia per la presenza<br />

dell’architrave scolpito<br />

con arcatelle inflesse.<br />

Entrambe le chiese sembrano<br />

ricondursi al modello<br />

del San Francesco <strong>di</strong><br />

Alghero, con l’aula sud<strong>di</strong>-<br />

2 Proporzioni ad triangulum<br />

nella facciata <strong>di</strong> Santa Giulia a Padria<br />

(SS).


Vincenzo Bagnolo<br />

visa in cinque campate voltate con crociere costolonate. Mentre nel San Francesco e<br />

nella Santa Giulia l’abside è semicircolare, nel San Giorgio il presbiterio si <strong>di</strong>scosta<br />

dalle architetture della “madrepatria” proponendo il tipo a pianta quadrata tipico del<br />

contesto sardo-catalano.<br />

Lo stu<strong>di</strong>o mira ad indagare se nella composizione geometrica <strong>di</strong> questi e<strong>di</strong>fici si ritrovano<br />

proporzioni riconducibili ad una stessa matrice che consenta una classificazione<br />

linguistica legata al periodo <strong>di</strong> realizzazione delle <strong>di</strong>verse fabbriche. Sulla base<br />

dei rilievi delle facciate sono state elaborate le relative costruzioni geometrico proporzionali<br />

ricercando nei <strong>di</strong>versi casi l’applicazione <strong>di</strong> un rapporto geometrico comune<br />

che riconduca ad un carattere tipologico <strong>di</strong> tali proprietà. Per l’analisi della geometria<br />

delle facciate delle due chiese sono state elaborate le ortofoto in modo da poter<br />

considerare tutti gli elementi presenti come “sfondo” alle costruzioni geometriche<br />

in<strong>di</strong>viduate. Ovviamente, l’utilizzo <strong>di</strong> un piano <strong>di</strong> proiezione parallelo a quello della<br />

facciata determina una deformazione dei due contrafforti che risultano in questo modo<br />

“accorciati”. Le due chiese<br />

esaminate hanno la facciata<br />

inscritta in un quadrato,<br />

con l’altezza al vertice coincidente<br />

con il lato <strong>di</strong> base<br />

del prospetto. Partendo da<br />

questo quadrato <strong>di</strong> base,<br />

nelle due chiese si trovano<br />

gli stessi schemi geometrici.<br />

Dall’esame della facciata<br />

della Santa Giulia,<br />

impostato il quadrato che<br />

include la facciata si evince<br />

subito come la fascia orizzontale<br />

<strong>di</strong> scomparto lo <strong>di</strong>vida<br />

in due parti uguali. I<br />

3 Proporzioni ad quadratum<br />

nella facciata <strong>di</strong> San Giorgio a Pozzomaggiore<br />

(SS).<br />

421<br />

3


422<br />

tracciati che si ritrovano hanno per base due triangoli equilateri opposti il cui incrocio<br />

determina un esagono che definisce le <strong>di</strong>mensioni principali della facciata. Se si<br />

considera lo schema proposto da George Lesser per la cattedrale <strong>di</strong> Amiens 3 , inserendo<br />

all’interno del quadrato <strong>di</strong> partenza tre esagoni regolari, aventi ciascuno un <strong>di</strong>ametro<br />

del cerchio inscritto pari ad 1/3 del lato del quadrato, e ad essi si affiancano<br />

sui due lati altri due esagoni a coprire il quadrato <strong>di</strong> base, si ottiene uno schema alveolare<br />

composto da un totale <strong>di</strong> sette piccoli esagoni. Su questa geometria risulta organizzato<br />

lo schema della facciata: la misura del lato dei sette esagoni ricavati coincide<br />

con quella del <strong>di</strong>ametro dell’oculo, pari anche a quella della corda dell’arco a<br />

tutto sesto del portale, portale la cui geometria risulta inscritta nel piccolo esagono<br />

considerato. Considerando la parrocchiale <strong>di</strong> San Giorgio, partendo sempre da un<br />

quadrato <strong>di</strong> base, il proporzionamento della facciata si ottiene tramite una progressione<br />

geometrica originata da una serie <strong>di</strong> quadrati inscritti uno nell’altro.<br />

Note<br />

1 <strong>La</strong> costruzione terminò nel 1520, come attesta l’iscrizione in facciata.<br />

2 Su una lapide tombale all’interno della chiesa si trova inciso l’anno 1551.<br />

3 G. LESSER, Gothic and sacred geometry, volume two, London 1957, plate XLV.<br />

Bibliografia<br />

Proprietà geometrico-proporzionali nelle chiese tardogotiche della Sardegna, alcuni esempi<br />

LESSER G., Gothic and sacred geometry, London 1957.<br />

MALTESE C., SERRA R., Episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> una civiltà anticlassica, in Sardegna, Venezia 1969.<br />

MOSSA V., Dal Gotico al Barocco in Sardegna, Sassari 1982.<br />

SEGNI PULVIRENTI F., SARI A., Architettura tardogotica e d’influsso rinascimentale, collana “Storia<br />

dell’arte in Sardegna”, Nuoro 1994, sch. 39.


POMPEI: LE MATRICI DEGLI EDIFICI E DEGLI SPAZI URBANI<br />

METODI PROGETTUALI E STRUTTURE GEOMETRICHE<br />

<strong>di</strong> FILIPPO BARBERA<br />

Il presente saggio si inserisce in un filone <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, già iniziati dal Robotti, dalla<br />

Watts e da altri stu<strong>di</strong>osi, sulle matrici generative adoperate nelle domus pompeiane.<br />

Queste ricerche hanno aperto un nuovo in<strong>di</strong>rizzo storiografico sull’antica città, volto<br />

a indagare i meto<strong>di</strong> progettuali adoperati dagli architetti <strong>di</strong> età romana nel <strong>di</strong>segno<br />

<strong>di</strong> domus ad atrium, templi, teatri e spazi urbani. Si tratta <strong>di</strong> un approccio scientifico<br />

incentrato sull’importanza conferita alla pratica del <strong>di</strong>segno presso gli antichi, che consente<br />

<strong>di</strong> ampliare le conoscenze su molti aspetti della cultura progettuale ed architettonica<br />

romana e che ci riconduce ad una necessaria rilettura delle fonti classiche, al<br />

raffronto fra quanto riscontrato nell’indagine <strong>di</strong>retta sulle opere, con quel che riporta<br />

Vitruvio nel De Architectura. Dall’analisi delle strutture e<strong>di</strong>lizie si è potuto riscontrare<br />

che, accanto ai meto<strong>di</strong> progettuali descritti dal trattatista romano, <strong>di</strong> cui non sempre<br />

esplicita in modo chiaro la loro provenienza, furono adoperati anche altri meto<strong>di</strong> proporzionali<br />

e geometrici. Di particolare interesse è la ricerca avviata dal Robotti nel<br />

1988 che si <strong>di</strong>parte dall’analisi <strong>di</strong> 27 domus pompeiane, rilevando come solo tre fra<br />

esse presentino atri le cui <strong>di</strong>mensioni rispondono alle proporzioni in<strong>di</strong>cate da Vitruvio.<br />

Si tratta della domus <strong>di</strong> C. Vibi con ingresso dal Vico del Panettiere, che presenta<br />

un atrio corrispondente al secondo tipo descritto da Vitruvio; della domus adespota<br />

su Via Stabiana che presenta un atrio corrispondente al terzo tipo descritto da Vitruvio<br />

e quella <strong>di</strong> Popidus Priscus con l’ingresso rivolto verso il vico del Panettiere e<br />

il cui atrio rientra anch’esso nel terzo tipo descritto da Vitruvio1 . Da tali verifiche il<br />

Robotti trae due importanti considerazioni: “<strong>La</strong> prima indurrebbe a supporre che il testo<br />

del De Architettura non fosse molto conosciuto e consultato dagli architetti romani<br />

del tempo, la seconda suggerisce l’ipotesi che, pur se conosciuto, il trattato vitruviano non<br />

esercitasse sufficiente autorità sui progettisti e costruttori coevi” 2 . Le forme architettoniche<br />

<strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici e monumenti dell’antichità erano sempre precedute da una struttura logico-matematica<br />

o matrice, che traeva origine da concezioni filosofiche e religiose. <strong>La</strong><br />

delineazione <strong>di</strong> un’icnografia o <strong>di</strong> un’ortografia veniva conseguita in tre mo<strong>di</strong>: a) me<strong>di</strong>ante<br />

l’applicazione <strong>di</strong> una proporzione numerica caratterizzata da piccoli numeri interi;<br />

b) facendo ricorso a una generatrice geometrica, che il più delle volte veniva ispirata<br />

a fonti e significati simbolici; c) infine operando una commistione <strong>di</strong> entrambe


1-2<br />

424<br />

1 Pompei: Villa dei Misteri. L'impianto<br />

originario risale al II secolo<br />

a.C. ma subì ristrutturazioni nel 60<br />

a.C e nel I secolo d.C.<br />

2 Pompei: Casa <strong>di</strong> Loreio Tiburtino,<br />

L'impianto risale al II secolo<br />

a.C.<br />

Pompei: le matrici degli e<strong>di</strong>fici e degli spazi urbani<br />

i meto<strong>di</strong> progettuali 3 . Le domus romane si <strong>di</strong>partivano, secondo Vitruvio, dalla preliminare<br />

progettazione degli atri, che venivano <strong>di</strong>segnati ricorrendo a tre <strong>di</strong>versi tipi<br />

<strong>di</strong> rettangoli: un primo <strong>di</strong> modulo 3x2, un secondo <strong>di</strong> modulo 3x5 e un terzo avente<br />

il lato corto pari al lato <strong>di</strong> un quadrato e quello lungo pari alla sua <strong>di</strong>agonale 4 .Vitruvio<br />

non spiega l’origine <strong>di</strong> questi rettangoli, non <strong>di</strong>ce da dove provengano e per<br />

quale ragione venissero adoperati. Si tratta <strong>di</strong> rettangoli le cui proporzioni sono riconducibili<br />

alla teoria dei numeri <strong>di</strong> ascendenza pitagorica. Si rammenta che <strong>Pitagora</strong><br />

e la sua <strong>scuola</strong> riuscirono a connettere in un unico sistema <strong>di</strong> pensiero cosmologia,<br />

musica, aritmetica e geometria. Le loro ricerche in campo musicale li portarono ad<br />

identificare una stretta relazione tra suoni e matematica. Tendendo alcune corde <strong>di</strong><br />

uguale lunghezza, me<strong>di</strong>ante un cuneo che le fissava alle estremità, scoprirono i tre bicor<strong>di</strong><br />

fondamentali dell’ottava, della quinta e della quarta, che furono tradotti rispettivamente<br />

nei rapporti <strong>di</strong> 1:2, 2:3 (Diapente) e 3:4 (Diatesseron). Di conseguenza<br />

alcuni rapporti fra numeri come il 4:3, il 3:2 (che ricorre nella progettazione degli<br />

atri delle domus romane) o il 2:1 ricalcavano rispettivamente la quarta, la quinta e<br />

l’ottava musicale. È dunque probabile che il trattatista romano assimili all’interno della<br />

sua teoria architettonica le proporzioni mutuate della <strong>scuola</strong> pitagorica 5 . Alcuni stu<strong>di</strong>osi<br />

hanno osservato che gli architetti dell’età romana adoperavano nella progettazione<br />

delle domus anche due ulteriori meto<strong>di</strong> proporzionali, identificati nel metodo ad<br />

quadratum e nella regola del cosiddetto taglio sacro o vesica piscis 6 . Verifiche che sto<br />

conducendo su un cospicuo numero <strong>di</strong> planimetrie <strong>di</strong> domus romane, <strong>di</strong>mostrano


Filippo Barbera<br />

che i tre rettangoli descritti da Vitruvio venivano effettivamente adoperati, anche se<br />

in modo non preponderante, come si riscontra nella Casa della fontana piccola <strong>di</strong><br />

Pompei ove l’atrio è costituito da un rettangolo, coerente con la terza delle tre tipologie<br />

descritta da Vitruvio; nella Casa del fauno ove l’atrio è costituito da un rettangolo<br />

<strong>di</strong> 3x5 quadrati e nella celebre Villa dei Misteri, che presenta un atrio <strong>di</strong> forma<br />

rettangolare costituito da un rettangolo <strong>di</strong> 2x3 quadrati, sebbene l’intera matrice che<br />

dettò in pianta i fili fissi <strong>di</strong> tutte le sezioni murarie è impostata anche sul metodo ad<br />

quadratum, col quale furono determinate tutte le restanti <strong>di</strong>mensioni degli ambienti<br />

della casa. In altre domus pompeiane v’è da registrare nel <strong>di</strong>segno degli atri la presenza<br />

<strong>di</strong> altri meto<strong>di</strong> progettuali non descritti dal trattatista romano, come si riscontra<br />

nella Casa <strong>di</strong> Loreio Tiburtino, risalente al II secolo a.C., ove il rettangolo risulta<br />

composto da tre quadrati sul lato corto e da quattro su quello lungo, con l’aggiunta<br />

<strong>di</strong> una quinta parte ottenuta me<strong>di</strong>ante la sezione aurea <strong>di</strong> uno dei quadrati <strong>di</strong> cui si<br />

compone la griglia <strong>di</strong> 3 x 4 quadrati. L’atrio della Casa dei Vettii risulta invece costituito<br />

da tre moduli sul lato corto e da tre su quello lungo, ai quali vengono aggiunte<br />

due piccole parti uguali realizzate me<strong>di</strong>ante la costruzione <strong>di</strong> un rettangolo corrispondente<br />

al terzo tipo descritto da Vitruvio, applicato ad un singolo modulo della<br />

griglia quadrata <strong>di</strong> 3x3. Anche in questo caso siamo in presenza <strong>di</strong> una variante rispetto<br />

ai tre casi riportati da Vitruvio. Nella Casa <strong>di</strong> M. Lucretio Fronto, l’atrio presenta<br />

ad<strong>di</strong>rittura una forma trapezia regolare, mentre nella Casa della Caccia Antica,<br />

realizzata in età sannitica, quin<strong>di</strong> antecedente alla stesura del De Architectura, l’atrio<br />

425<br />

3 Pompei: Casa dei Vettii. L'atrio<br />

è l'esito <strong>di</strong> un ampliamento realizzato<br />

nel I secolo d.C. che portò<br />

alla eliminazione del Tablinum.<br />

4 Pompei: Casa della caccia antica.<br />

L'impianto originario risale all'età<br />

sannitica. Nella seconda metà<br />

del I secolo d.C. furono effettuate<br />

nuove decorazioni pittoriche in<br />

"quarto stile".<br />

3-4


426<br />

Pompei: le matrici degli e<strong>di</strong>fici e degli spazi urbani<br />

è <strong>di</strong> pianta perfettamente quadrata. Da questi esempi si deduce che gli architetti adoperavano<br />

anche altri meto<strong>di</strong> per progettare gli atri delle domus, basati sull’utilizzo<br />

della sezione aurea o della <strong>di</strong>agonale del quadrato, applicati però al sottomodulo del<br />

lato minore dell’atrio e non all’intera misura del lato. Queste varianti genetico-formali<br />

<strong>di</strong>pendono da un complesso <strong>di</strong> fattori riconducibili non solo alla forma dei lotti<br />

ma, evidentemente, anche ad alcune propensioni estetiche, simboliche e <strong>di</strong> gusto degli<br />

architetti e degli stessi committenti.<br />

L’uso della “<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> un segmento in me<strong>di</strong>a ed estrema ragione”, ribattezzata poi nel<br />

Rinascimento “Sezione aurea”, appare molto ricorrente nelle architetture delle domus<br />

pompeiane ed è anch’essa riconducibile alla tra<strong>di</strong>zione pitagorica, sebbene il trattato<br />

<strong>di</strong> Vitruvio non ne faccia alcun cenno esplicito. Ciò pone il problema <strong>di</strong> apprendere<br />

da quali fonti gli architetti che operarono a Pompei, ricavarono i meto<strong>di</strong> per la progettazione<br />

delle domus, del teatro e degli altri spazi, le cui matrici non sempre appaiono<br />

coerenti con le regole vitruviane. L’indagine sui meto<strong>di</strong> progettuali adoperati<br />

nell’antica Pompei, non ha come obiettivo demolire o svalutare il De Architectura,<br />

bensì <strong>di</strong> comprendere le ragioni per cui il trattatista romano riporti solo alcune regole<br />

omettendone altre. Ciò si evince anche nel caso delle matrici generative dei teatri<br />

dove in molti esempi realizzati, sia greci che latini, si riscontra l’uso del decagono,<br />

o quando il grande trattatista sembra ignorare la regola <strong>di</strong> geometria pratica che consentiva<br />

<strong>di</strong> determinare lo spessore dei piedritti degli archi a tutto sesto, calcolati in<br />

funzione della preliminare tracciatura <strong>di</strong> un esagono all’interno dell’arco, regola taciuta<br />

da Vitruvio anche quando affronta in modo specifico la tematica degli acquedotti.<br />

Allo stato attuale delle ricerche è <strong>di</strong>fficile stabilire se tali omissioni siano state<br />

l’esito <strong>di</strong> sue personali lacune o invece <strong>di</strong> consapevoli silenzi. Certo è che i dubbi su<br />

no<strong>di</strong> aporetici, spiegazioni incomplete, lacune e omissioni permangono, e non sono<br />

pochi gli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> chiara fama, oltre a quelli già citati, che ne hanno sottolineato<br />

la presenza 7 .


Filippo Barbera<br />

Note<br />

1 C. ROBOTTI, Discordanze fra teoria vitruviana e prassi costruttiva nelle domus pompeiane, in “Architettura<br />

e Arte” , n. 2, aprile- giugno 1998, A. Pontecorboli ed., Firenze 1998, pp. 22 -24.<br />

2 Ivi, p. 23.<br />

3 B. GRAVAGNUOLO, I tracciati matematici dell’armonia, in L. BASILE, L. D’APUZZO, A. M. D’A-<br />

RISTOTILE, G. B. MARTINI, M. SQUILLANTE, A. G. S. VENTRE, a cura <strong>di</strong>, Matematica e Architettura,<br />

<strong>La</strong> città del Sole, Napoli 2003, pp.45-63; Sulla rintracciabilità delle matrici generative<br />

geometriche nelle opere <strong>di</strong> architettura: F. BARBERA, Per un nuovo metodo <strong>di</strong> ricerca storico-architettonica<br />

tra il certo e la matrice, in G. LIMONE, a cura <strong>di</strong>, Il vero alla prova del certo. Il certo<br />

alla prova del vero. Vico oltre il suo millennio in “L’era <strong>di</strong> Antigone”, Quaderno n.3 del Dipartimento<br />

<strong>di</strong> Scienze Giuri<strong>di</strong>che della Seconda Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Napoli, Franco Angeli,<br />

Milano 2008, pp.439-454.; F. BARBERA, Le matrici geometriche nell’architettura antica del Me<strong>di</strong>terraneo,<br />

come luogo depositario <strong>di</strong> un linguaggio universale, relazione al Convegno Internazionale-<br />

I filosofi e il Me<strong>di</strong>terraneo- Napoli, 10 -13 novembre 2009- promosso dalla Società Filosofica<br />

Italiana Sezione Napoletana - Società Filosofica Napoletana, Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

Napoli “Federico II”.<br />

4 Scrive Vitruvio: “Ci sono tre mo<strong>di</strong> per determinare la larghezza e la lunghezza degli atri. Nel primo<br />

caso si <strong>di</strong>vida la lunghezza in cinque parti e se ne <strong>di</strong>ano tre alla larghezza, nel secondo si <strong>di</strong>vida<br />

la lunghezza in tre parti e se ne <strong>di</strong>ano due alla larghezza; nel terzo si <strong>di</strong>segni un quadrato <strong>di</strong> lato<br />

uguale alla larghezza e si tracci la <strong>di</strong>agonale la cui misura sarà attribuita alla lunghezza dell’atrio”<br />

M. VITRUVIO POLLIONE, De Architectura, libri X, libro VI, (III), F. BOSSALINO, a cura <strong>di</strong>, trad.<br />

F. Bossalino e V. Dazzi, ed. Kappa Roma, p. 223.<br />

5 Sulla ricezione del pitagorismo nella Roma del I secolo: A. GIANOLA, <strong>La</strong> fortuna <strong>di</strong> <strong>Pitagora</strong><br />

presso i Romani, ed. Battiato, Catania 1921; L. FERRERO, Storia del pitagorismo nel mondo romano,<br />

dalle origini alla fine della repubblica, Giappichelli, Torino 1955.<br />

6 Sul metodo “ad quadratum” nell’architettura antica si veda: J. F. M. LUND, Ad Quadratum,<br />

London 1921; C. MARTINS WATTS, The square on the roman house: Architecture and Decoration<br />

at Pompeii and Herculaneum, pp. 165-181 in “Nexus: Architecture and Mathematics”, KIM<br />

WILLIAMS, a cura <strong>di</strong>, E<strong>di</strong>zioni dell’Erba, Fucecchio- Firenze 1996, pp. 165-181; J. KAPPRAFF,<br />

Musical Porportions at the basis of Sistem of architetcural proportions both Ancient and Modern,<br />

pp. 115-133 in “Nexus: Architecture and Mathematics”, KIM WILLIAMS, a cura <strong>di</strong>, E<strong>di</strong>zioni<br />

dell’Erba, Fucecchio- Firenze 1996, pp. 115-133.<br />

427


428<br />

Pompei: le matrici degli e<strong>di</strong>fici e degli spazi urbani<br />

7 Il Blomfield, ad esempio, stu<strong>di</strong>ando il problema della interpretazione vitruviana delle proporzioni<br />

adoperate dagli architetti greci, si chiede se il rapporto fra il tutto e le parti descritto da<br />

Vitruvio fosse semplicemente analogato con il rapporto fra le membra ed il corpo dell’uomo<br />

o se le proporzioni adoperate dai greci nei progetti dei loro templi venissero prese dalle reali<br />

proporzioni del corpo umano. Lo storico inglese ritiene che il trattato <strong>di</strong> Vitruvio si riveli alquanto<br />

confuso su questo punto cruciale. R. BLOMFIELD, Architecture, in R. W. LIVINGSTONE,<br />

a cura <strong>di</strong>, The Legacy of Greece, AL Clarendon Press, Oxford 1921.


LA FONTANA “QUATTRO CANNOLI” A COLLESANO (PA)<br />

<strong>di</strong> GIACINTO BARBERA<br />

Nell’ambito dei cambiamenti ottocenteschi della città e del processo <strong>di</strong> rinnovamento<br />

che la investe la fontana tende ad abbandonare la propria fisionomia artistica<br />

rivolgendosi ai bisogni della gente. Già, sin dalla seconda metà del XVIII secolo,<br />

si evidenzia un rinnovato interesse per le fontane; esse, appunto, ritrovano la<br />

loro centralità all’interno del tessuto urbano. In questo periodo, infatti, la maggior<br />

parte dei centri minori in Sicilia vengono dotati <strong>di</strong> fontane al centro delle loro piazze<br />

e, in base all’organizzazione dello spazio urbano, vengono corredati anche <strong>di</strong> fontane<br />

a muro. Insieme ai tra<strong>di</strong>zionali materiali lapidei ne vengono introdotti <strong>di</strong> nuovi, quali<br />

il ferro, la ghisa, il cemento, la terracotta ecc. In corso Vittorio Emanuele, sulla piazza<br />

denominata “Quattro Cannoli” un tempo chiamata ‘Piazza Grande’, fu realizzata una<br />

singolare fontana circolare a quattro cannule. Su progetto dell’ingegnere palermitano<br />

Nicolò Diliberto D’Anna, figura <strong>di</strong> grande rilievo per la progettazione <strong>di</strong> architetture<br />

e gran<strong>di</strong> strutture portuali dell’Ottocento in Sicilia, essa fu realizzata alla fine del 1876<br />

nello stesso periodo in cui fu sistemato il lastricato del<br />

suddetto Corso Vittorio; sollevata <strong>di</strong> tre gra<strong>di</strong>ni rispetto<br />

alla quota stradale, occupa una posizione decentrata rispetto<br />

alla piazza. Da un punto <strong>di</strong> vista urbano la fontana<br />

assume una posizione scenografica ottimale poiché<br />

si trova in asse con un e<strong>di</strong>ficio che in origine si amalgamava<br />

rispetto alle altezze dello spazio urbano costruito,<br />

ma che fu in seguito demolito probabilmente negli anni<br />

‘80; al suo posto fu costruito un e<strong>di</strong>ficio assai più alto<br />

occupando lo stesso perimetro del precedente, ma che<br />

per l’eccessiva altezza rompe l’equilibrio dell’intorno. <strong>La</strong>teralmente<br />

ad esso due strade confluiscono nell’invaso<br />

in cui si trova la fontana in modo da permetterne la percezione<br />

all’ultimo istante. Ciò fa comprendere un’originaria<br />

intenzione <strong>di</strong> generare il senso della ‘meraviglia’ che<br />

ricorda un atteggiamento urbanistico tipicamente barocco.<br />

L’attuale fontana in origine era pressoché addos-<br />

1 Foto d'epoca della fontana<br />

Quattro Cannoli a Collesano (Pa).<br />

Anni '30 del '900. Collezione privata<br />

<strong>di</strong> Francesco Scelsi, per gentile<br />

concessione della sorella Rosaria.<br />

1


2<br />

430<br />

<strong>La</strong> fontana quattro cannoli a Collesano (Pa)<br />

sata alla suddetta casa appartenuta alla famiglia Schicchi. Fu in seguito spostata seguendo<br />

però lo stesso allineamento. Il basamento a pianta circolare, al quale accedono<br />

i gra<strong>di</strong>ni che colmano il <strong>di</strong>slivello della quota stradale, presenta una pavimentazione<br />

in pietra bocciardata orientata in senso ra<strong>di</strong>ale. <strong>La</strong> fontana riceve acqua dalla<br />

sorgente Mora. Come si evince da una relazione tecnica del 3 ottobre 1874 rinvenuta<br />

nell’archivio comunale a firma autografa dell’Ing. Nicolò Diliberto Danna, che<br />

riguarda il progetto della fontana in questione, si decise <strong>di</strong> convogliare l’acqua della<br />

sorgente Mora, che giungeva copiosa nella Piazza Garibal<strong>di</strong>, verso una nuova fontana<br />

(Quattro Cannoli) da realizzare nella stessa Piazza Grande, per esigenze della popolazione.<br />

<strong>La</strong> sua tipologia, appartenente alle fontane centrali, si compone <strong>di</strong> una vasca<br />

non molto profonda con una base che crea due piccole sporgenze che si allargano<br />

verso il basso ed una cornice <strong>di</strong> coronamento molto aggettante nella parte più alta la<br />

cui balaustra assume una particolare forma leggermente bombata; la vasca riceve acqua<br />

dalle quattro cannule anzidette; in essa in corrispondenza<br />

delle cannule si trovano quattro piastre metalliche<br />

<strong>di</strong>sposte orizzontalmente che avevano la funzione<br />

<strong>di</strong> reggere i recipienti per l’approvvigionamento idrico.<br />

Le cannule si <strong>di</strong>partono da un pie<strong>di</strong>stallo tronco-conico<br />

in pietrame informe concluso da un coronamento in pietra<br />

tripartito e modanato culminante in una cornice aggettante;<br />

essa accoglie una interessante scultura in ghisa<br />

a soggetto mitologico ed allegorico con al centro un putto<br />

intento a suonare un corno a cavalcioni <strong>di</strong> un delfino;<br />

fu realizzata dalla fonderia Oretea <strong>di</strong> Palermo, come si<br />

desume da una ricevuta <strong>di</strong> pagamento datata 1877. Dagli<br />

atti rinvenuti nell’Archivio comunale si evince però<br />

che in realtà originariamente, per adornare ed impreziosire<br />

tale fontana, era prevista la scultura <strong>di</strong> un Tritone<br />

assiso su <strong>di</strong> un delfino in ghisa. Nella scultura realizzata,<br />

la forma sinuosa e la posizione leggermente contrappo-<br />

2 Cartolina d'epoca della fontana<br />

Quattro Cannoli. Fine anni '60 del<br />

'900.<br />

3 3 <strong>La</strong> fontana allo stato attuale.


Giacinto Barbera<br />

sta del bambino determinano un leggero movimento ascendente che culmina nel<br />

corno richiamando la cornucopia dell’abbondanza; lo stesso motivo del delfino ondeggiante<br />

e flessuoso che si contrappone alla sua carnosa gamba, generando una virtuale<br />

croce formata da linee <strong>di</strong> forza poste in <strong>di</strong>agonale, anche se <strong>di</strong> molto posteriore<br />

cronologicamente ha un ricordo barocco e riecheggia le leziosità del Rococò. Il putto<br />

ha un’evidente somiglianza con le opere dello scultore palermitano Marabitti che verso<br />

la fine del ‘700 introdusse questo tema in Sicilia nelle fontane che illustrano le quattro<br />

stagioni realizzate per l’arcivescovado <strong>di</strong> Palermo. D’altronde, il motivo del putto<br />

giocoso ha già costituito un tema caro al Barocco palermitano, che ha visto Serpotta<br />

protagonista in<strong>di</strong>scutibile ed artefice <strong>di</strong> tali tipi <strong>di</strong> decorazioni in stucco all’interno <strong>di</strong><br />

chiese ed oratori del capoluogo tra la seconda metà del ‘600 e la prima metà del ‘700.<br />

<strong>La</strong> fontana fu realizzata, oltre che per motivi <strong>di</strong> decoro urbano, soprattutto per motivi<br />

funzionali e pratici; infatti, fino alla metà degli anni ‘50 del secolo scorso, molte<br />

donne collesanesi vi si recavano per l’approvvigionamento dell’acqua ad uso domestico,<br />

nonostante molte abitazioni avessero un pozzo interno. <strong>La</strong> fontana oggi rappresenta<br />

per Collesano un elemento aggregante, punto fondamentale del tessuto urbano<br />

per lo svolgersi della vita citta<strong>di</strong>na.<br />

In prossimità della stessa piazza, nel <strong>La</strong>rgo Umberto I sino agli anni ‘60 del secolo scorso<br />

esisteva anche un abbeveratoio <strong>di</strong> forma circolare realizzato<br />

in pietra locale. L’esistenza <strong>di</strong> tale abbeveratoio è ancora<br />

oggi testimoniata dalla presenza <strong>di</strong> un vicoletto che<br />

porta il nome <strong>di</strong> Discesa Bevaio, che si <strong>di</strong>parte da Corso<br />

Vittorio Emanuele e si collega alla Via Umberto I.<br />

4 Restituzione grafica del rilievo<br />

della fontana.<br />

431<br />

4


432<br />

Bibliografia<br />

PANZARELLA E., Il comune <strong>di</strong> Collesano, Me<strong>di</strong>na e<strong>di</strong>trice, Palermo 1995.<br />

<strong>La</strong> fontana quattro cannoli a Collesano (Pa)<br />

SARULLO L., Dizionario degli artisti siciliani, E<strong>di</strong>trice Novecento, Palermo 1993.<br />

TAMBURELLO G., Collesano nella storia, nelle cronache, nei <strong>di</strong>plomi, Tipografia Donuso, Acireale<br />

1893.<br />

TERMOTTO R., A. ASCIUTTO A., a cura <strong>di</strong>, Collesano per gli emigrati, Tipografia Le Madonie, Castelbuono<br />

1991.


MOVIMENTI MEDITERRANEI<br />

LUOGHI DI INCROCIO E ROTTE AFRO-MEDITERRANEE DEI MIGRATORI MODERNI<br />

<strong>di</strong> MANUELA BASSETTA<br />

Nel tempo presente vi è l’impressione che i confini siano ormai inesistenti quando<br />

si tratta <strong>di</strong> merci, flussi finanziari, culturali e informazioni, ben <strong>di</strong>versa è la possibilità<br />

<strong>di</strong> scambio quando si tratta <strong>di</strong> migrazioni e flussi degli esseri umani.<br />

Turismo e emigrazione sono due flussi che si muovono in senso opposto, le popolazioni<br />

del nord si spostano verso il sud da cui partono le migrazioni. I due movimenti<br />

si incrociano. Una parte del mondo che viaggia e una che accoglie, il mondo si <strong>di</strong>vide<br />

in due entità tra turismo e migrazione.<br />

Questi due movimenti generano un insieme <strong>di</strong> carte che costituiscono due sistemi<br />

geografici contrapposti, le geografie perdute e le geografie <strong>di</strong>fficili.<br />

Geografie perdute perché se la strategia della globalizzazione “creerà un campo <strong>di</strong><br />

gioco paritetico”, farà crollare le barriere <strong>di</strong> tempo e spazio e ci farà superare i limiti<br />

della geografia, l’istantaneità e l’utopia <strong>di</strong>ventano una cosa sola: con il crollo <strong>di</strong> tempo<br />

e spazio non resta nulla da decidere si generano un insieme <strong>di</strong> mappe in cui flussi <strong>di</strong><br />

traffico internet e spostamenti <strong>di</strong> turisti si contrappongono a flussi <strong>di</strong> migrazione<br />

umana, determinando il sistema <strong>di</strong> migrazione mon<strong>di</strong>ale. Ma “Fra l’idea e la realtà<br />

cade l’ombra”, <strong>di</strong>ce T.S. Elliot, l’ombra <strong>di</strong> una riflessione che per la geografia dei migranti<br />

si aggiunge a delle considerazioni inespresse, su quelle informazioni che, in genere,<br />

si preferisce ignorare. Mappe sui flussi delle geografie <strong>di</strong>fficili, dove s’in<strong>di</strong>viduano<br />

le zone <strong>di</strong> tensione migratoria i corridoi migratori importanti, flussi dei rifugiati, in<strong>di</strong>viduazione<br />

dei paesi d’origine e paesi <strong>di</strong> accoglienza.<br />

Fino ad arrivare al sistema che <strong>di</strong>segnano le strade e i luoghi dei migratori moderni,<br />

delle geografie umane, dei percorsi, luoghi <strong>di</strong> partenza dal subsahara, luoghi d’incrocio<br />

tra le varie rotte e città<br />

<strong>di</strong> partenza verso l’Europa<br />

che nel continente africano<br />

dalla fascia equatoriale,<br />

sud<strong>di</strong>visi in percorsi che<br />

partono dall’oceano pacifico,<br />

dall’oceano atlantico,<br />

dal deserto africano fino a<br />

1 Geografie perdute.<br />

1


2<br />

434<br />

Movimenti me<strong>di</strong>terranei. Luoghi <strong>di</strong> incrocio e rotte afro-me<strong>di</strong>terranee dei migratori moderni<br />

raggiungere il me<strong>di</strong>terraneo che costituisce l’insieme <strong>di</strong> rotte terrestri dell’immigrazione<br />

clandestina. Ogni passaggio da una città a quella successiva è in<strong>di</strong>viduato dal<br />

sistema <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate geografiche che segue l’andamento sud-nord. Questa mappa è<br />

governata da una simbologia che descrive le situazioni politiche e <strong>di</strong> conflitto nel continente<br />

africano, con le in<strong>di</strong>cazioni dei paesi che si affacciano nel me<strong>di</strong>terraneo coinvolto<br />

negli sbarchi dei migranti.<br />

<strong>La</strong> superficie del Me<strong>di</strong>terraneo nel tentativo <strong>di</strong> superamento del limite del trattato <strong>di</strong><br />

Schengen <strong>di</strong>viene un luogo instabile, nei <strong>di</strong>segni si proiettano confini e limiti, che<br />

creano steccati <strong>di</strong> frontiera, come tra le zone <strong>di</strong> Melilla e Ceuta. Si elencano geografie<br />

<strong>di</strong> deportazione, dove dal sud al nord dell’Europa s’in<strong>di</strong>viduano i luoghi e le città<br />

con la presenza dei centri per migranti in attesa <strong>di</strong> ammissione o deportazione.<br />

Movimenti tra nord e sud producono luoghi d’incrocio tra turisti e migranti, quadri d’interferenza<br />

nello spazio me<strong>di</strong>terraneo, come nelle Isole Canarie, nello Stretto <strong>di</strong> Gibilterra,<br />

nel Canale d’Otranto, nel Canale <strong>di</strong> Sardegna e <strong>di</strong> Sicilia e nell’Isola <strong>di</strong> <strong>La</strong>mpedusa.<br />

I due movimenti s’incrociano ma non s’incontrano, si creano mappe dello spazio ospitale<br />

per i turisti e territori per “ospiti imperfetti”, come nel Centro <strong>di</strong> Accoglienza<br />

dell’Isola <strong>di</strong> <strong>La</strong>mpedusa.<br />

<strong>La</strong> ricerca promuove la scrittura <strong>di</strong> luoghi neutri dove movimenti <strong>di</strong>gitali e umani <strong>di</strong>ventano<br />

generatori <strong>di</strong> nuove libertà.<br />

Un luogo neutro a <strong>La</strong>mpedusa, tra punta Maccaferri e la porta <strong>di</strong> Pala<strong>di</strong>no, propone<br />

una rete in cui alcuni manufatti<br />

che estendono la<br />

loro misura ad itinerari tematici,<br />

zone <strong>di</strong> contatto<br />

dove arte, teatro e comunità<br />

apoli<strong>di</strong> sperimentano<br />

nuove forme e contenuti<br />

per una cultura <strong>di</strong> confine.<br />

CPT, Centri <strong>di</strong> Pittura<br />

Temporanea, <strong>La</strong>boratori <strong>di</strong><br />

2 Rotte afro-me<strong>di</strong>terranee dell'immigrazione<br />

clandestina. Geografie<br />

umane.


Manuela Bassetta<br />

Geografia d’Emergenza, CPT Terminal Centri <strong>di</strong> Partenza Temporanea, sviluppano<br />

un rapporto spazio/fruibilità in cui le reti <strong>di</strong> turismo solidale con i popoli del Me<strong>di</strong>terraneo,<br />

in<strong>di</strong>viduando frammenti <strong>di</strong> luoghi, approfondendo il rapporto tra aree abbandonate<br />

e flussi <strong>di</strong> immigrazione, come avviene nel caso <strong>di</strong> Riace, in Calabria, che<br />

integra lo spazio prosaico con un’esperienza in lingua meticciata, <strong>di</strong>visa tra cronaca<br />

sociale e memoria culturale.<br />

Un paese dell’accoglienza, con tracce <strong>di</strong> un legame sempre più incerto e fragile tra il<br />

passato e il presente, in cui il passato è un paese straniero.<br />

Il passato si compenetra sempre più con la materia, si fa luogo, continente, paese ignoto.<br />

Così la memoria, quasi a fronteggiare la crescente estraneità del tempo a se stesso, si aggrappa<br />

alle misure dello spazio, ne adotta le metafore, i linguaggi, e le architetture.<br />

Questa “<strong>di</strong>dattica delle <strong>di</strong>fferenze” ha valore <strong>di</strong> pratica educativa volta a riconoscere<br />

le <strong>di</strong>stanze tra territorio e tempo e a problematizzare la propria cultura in rapporto a<br />

quella degli altri, in geografie vissute, mappe <strong>di</strong> visibilità e conoscenza.<br />

*Le immagini sono tratte dalla tesi <strong>di</strong> laurea <strong>di</strong> Manuela Bassetta “L’isola possibile, turismo e immigrati: un<br />

progetto <strong>di</strong> turismo solidale”, relatore Prof. Francesca Fatta, correlatori Prof. Rosario Giovanni Brandolino,<br />

Prof. Antonino Perna.<br />

3 Luoghi instabili e proiezioni <strong>di</strong><br />

confine.<br />

435<br />

3


4<br />

436<br />

Bibliografia<br />

Movimenti me<strong>di</strong>terranei. Luoghi <strong>di</strong> incrocio e rotte afro-me<strong>di</strong>terranee dei migratori moderni<br />

FRIEDMAN Y., L’architettura <strong>di</strong> sopravvivenza. Una filosofia della povertà, Bollati Boringhieri, Torino,<br />

2009.<br />

LOWENTHAL D., The Past is a Foreign Country, Cambridge University Press, Cambridge 1985.<br />

JAAR A., The Fire this time. Public interventions 1979-2005, E<strong>di</strong>zioni Charta, Milano 2005.<br />

SCHAMA S., Paesaggio e memoria, Mondadori, Milano 1997.<br />

4 Itinerari tematici dei luoghi<br />

neutri.


IL COLORE DEL SOGNO<br />

SPAZI UMANI E ARCHITETTONICI NELL’ARTE DI MATTEO DISCEPOLO<br />

<strong>di</strong> FERDINANDO BIFULCO<br />

"Le Figarò" 20 Febbraio 1909 nasce il Manifesto del Futurismo<br />

arte recupera l’elemento onirico lasciandolo libero <strong>di</strong> sconfinare nella realtà.<br />

L’<br />

In una recensione della mostra <strong>di</strong> Mario Sironi, uscita sulla rivista “Convegno” del marzo<br />

1920, Margherita Sarfatti scrive: “Piacciono a Sironi soprattutto i paesaggi urbani, gli alti<br />

falansteri che fiancheggiano i rettilinei, le geometrie delle finestre e delle palizzate, l’implacabile<br />

monotonia dei muri e quell’altra non meno imperatoria e brutale delle automobili,<br />

dei tram, dei veicoli [...] le ha glorificate con una linea ferma eppure morbida, con una<br />

comprensione contenuta e semplice dei loro elementi tragici, espressi con una purezza <strong>di</strong><br />

materia plastica in pochi toni <strong>di</strong> grigio, bruno, nero, la cui signorilità raffinata e recisa insieme<br />

rivela il colorista <strong>di</strong> razza”. Una caratteristica tipica dei paesaggi urbani <strong>di</strong> Mario Sironi,<br />

a cominciare attorno al 1919-1920, è la quasi assoluta assenza della figura umana.<br />

Questi paesaggi, che hanno come soggetto la contemporaneità dell’artista, assumono un<br />

aspetto <strong>di</strong> atemporalità tipica della poetica metafisica.<br />

Gli spazi architettonici presenti nelle visioni <strong>di</strong> Mario Sironi assumono un carattere,<br />

una forza evocativa propria della figura umana; le forme si riempiono <strong>di</strong> toni bruni<br />

per <strong>di</strong>ventare pietra.<br />

<strong>La</strong> pittura <strong>di</strong> Matteo Discepolo introduce l’uomo in un<br />

contesto figurativo metafisico, nel quale è l’uomo stesso<br />

che <strong>di</strong>venta il fatto architettonico. Una componente fondamentale<br />

del <strong>di</strong>segno è la percezione degli spazi negativi.<br />

I due termini tra<strong>di</strong>zionalmente usati nel campo dell’arte<br />

sono “spazi negativi” e “forme positive”. L’appalesamento<br />

degli organismi architettonici avviene all’interno<br />

degli spazi negativi, la figura umana emerge dagli spazi<br />

positivi. I clown, le donnine seminude sono essi stessi il<br />

compen<strong>di</strong>o architettonico della rappresentazione pittorica.<br />

<strong>La</strong> capacità <strong>di</strong> orientamento e <strong>di</strong> identificazione nel<br />

luogo, rappresentano per l’uomo le funzioni basilari del-<br />

1 Matteo Discepolo, olio su tela<br />

1980.<br />

1


2<br />

438<br />

Il colore del sogno<br />

l’abitare; sono due concetti che si sviluppano sulla base del modo in cui l’uomo stesso<br />

percepisce elabora ed immagina il proprio mondo, del modo in cui lo concepisce.<br />

<strong>La</strong> realtà metafisica nel campo delle atri figurative si è spesso manifestata attraverso<br />

la citazione <strong>di</strong> elementi propri dell’arte classica. Gli stilemi del passato ammantati <strong>di</strong><br />

un’atmosfera sospesa, portatrice <strong>di</strong> un senso <strong>di</strong> abbandono, <strong>di</strong> un velo <strong>di</strong> mistero che<br />

permea ogni opera e sono proprio questi gli elementi che mantengono tuttora una<br />

carica innovativa ed emozionante.<br />

Le architetture e gli oggetti collocati nello spazio secondo prospettive multiple perdono<br />

il loro significato comune e <strong>di</strong>ventano simboli o metafore <strong>di</strong> concetti nascosti<br />

<strong>di</strong>etro l’apparenza del mondo visibile. <strong>La</strong> metafisica <strong>di</strong>venta la scoperta del mistero<br />

che si cela negli aspetti più comuni del vivere, davanti ai nostri occhi.<br />

Il mondo dell’arte oggi è profondamente cambiato rispetto alle avanguar<strong>di</strong>e figurative<br />

dei primi vagiti del XX secolo; dalla nascita della Pop Art fino ad oggi l’arte è<br />

stata <strong>di</strong>vorata, consumata, denaturata, ridotta dalle logiche<br />

<strong>di</strong> mercato ad una provocazione emotiva e culturale.<br />

Così Giorgio De Chirico ricordava Mavru<strong>di</strong>s, il suo<br />

primo maestro <strong>di</strong> <strong>di</strong>segno:<br />

“... mi insegnava a tracciare delicatamente i contorni <strong>di</strong><br />

un naso, <strong>di</strong> un occhio, della bocca... a ombreggiare e<br />

sfumare le ombre con profonda maestria degna <strong>di</strong> un<br />

Raffaello e... quando lo guardavo vagavo in un mondo<br />

chimerico <strong>di</strong> fantasticherie: pensavo che quell’uomo potesse<br />

<strong>di</strong>segnare tutto... le nubi fuggenti nel cielo e le piante<br />

della terra, le fronde degli alberi mosse dal vento ed i<br />

fiori dalle forme più complicate... Guardandolo immaginavo<br />

<strong>di</strong> essere lui; sì avrei voluto allora essere quell’uomo.<br />

Mi insegnò l’amore per le linee pulite, per i bei<br />

contorni e le forme ben modellate. Se oggi il mio maestro<br />

Mavru<strong>di</strong>s fosse con me potrebbe condurre a <strong>scuola</strong><br />

tutti i geni modernisti ed insegnare loro che prima <strong>di</strong><br />

2 Matteo Discepolo, Pulcinella,<br />

olio su tela 1980.


Fer<strong>di</strong>nando Bifulco<br />

essere cèzanniani, picassiani, soutiniani o matissiani e prima <strong>di</strong> avere l’emozione, l’angoscia,<br />

la sincerità, la spontaneità ed altre scemenze della stessa risma, farebbero meglio<br />

ad imparare a fare una buona e bella punta al loro lapis e poi con quella punta<br />

cercare <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnare bene un occhio, un naso o una bocca” 1 .<br />

Le parole <strong>di</strong> De Chirico riflettono una posizione culturale riguardo ad una <strong>di</strong>versa<br />

visione della realtà e delle leggi stilistiche che la dominano; rimane tuttavia lo slancio<br />

poetico del pittore <strong>di</strong> Volos verso le piccole cose che circondano la nostra vita terrena.<br />

Ricercare delle vibrazioni sconosciute celate dalle fibre muscolari che ci rivestono,<br />

attraverso la rappresentazione <strong>di</strong> un oggetto <strong>di</strong> uso comune, svuotandolo dai<br />

sui significati materiali per regalarci una emozione.<br />

Nel Pulcinella <strong>di</strong>pinto da Matteo Discepolo, il fondo scuro della tela <strong>di</strong>pinta ad olio<br />

e il pavimento in tavolato <strong>di</strong> legno, sono il compen<strong>di</strong>o architettonico sufficiente perché<br />

la figura allegorica si offra al pubblico. Le vesti leggere che ricoprono il corpo<br />

della maschera, si <strong>di</strong>ssolvono arrotolate verso gli arti,<br />

messo a nudo il viso <strong>di</strong> profilo, si rende inutile la maschera<br />

raccolta tra le <strong>di</strong>ta.<br />

L’uomo è origine e significato stesso della rappresentazione,<br />

si offre agli occhi dell’osservatore nella sua umanità<br />

e lascia ad un burattino nell’altra mano, una delle<br />

parti più ironiche <strong>di</strong> se stesso. Lo spazio architettonico<br />

nel quale abita questo Pulcinella, si manifesta alle spalle<br />

del personaggio con una parete nera, fluida, riflettente,<br />

i sogni e le speranze possono <strong>di</strong>venire qualsiasi cosa; il<br />

pavimento sfiorito nel legno è il terreno sul quale si svolge<br />

la rappresentazione. Niente più del colore nero può riflettere<br />

qualsiasi elemento, forse la vera natura dell’uomo<br />

raffigurato risiede nella infinita possibilità <strong>di</strong> forme e stati<br />

d’animo che vi si possono specchiare.<br />

L’architettura interpreta il genius dell’in<strong>di</strong>viduo traducendolo<br />

in uno spazio abitativo dove egli possa proiet-<br />

3 Matteo Discepolo, <strong>La</strong> ragazza<br />

vanesia, olio su tela 1980.<br />

439<br />

3


4<br />

440<br />

4 Matteo Discepolo, I sogni infranti,<br />

olio su tela 1985.<br />

Il colore del sogno<br />

tarsi nella sua naturale umanità. I personaggi <strong>di</strong>pinti dal maestro, evidenziano il suo<br />

anticonformismo intellettuale nei confronti dei movimenti artistici attuali: gli occhi<br />

<strong>di</strong> felce della ragazza nel vano bruno riempiono anche la toilette che si trova nell’angolo<br />

della stanza.<br />

Matteo Discepolo risale al primitivismo della esistenza umana, mettendo a nudo le<br />

debolezze e le emozioni raccolte sulla tela, lasciandoci il ricordo <strong>di</strong> un uomini e donne<br />

immersi nel colore del sogno.


Fer<strong>di</strong>nando Bifulco<br />

Note<br />

“Un sogno”<br />

In visioni <strong>di</strong> notturna tenebra<br />

spesso ho sognato svanite gioie -<br />

mentre un sogno, da sveglio, <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> luce<br />

m’ ha lasciato col cuore implacato.<br />

Ah, che cosa non è sogno in chiaro giorno<br />

per colui il cui sguardo si posa<br />

su quanto a lui è d’ intorno con un raggio<br />

che, a ritroso, si volge al tempo che non è più?<br />

Quel sogno beato - quel sogno beato,<br />

mentre il mondo intero m’ era avverso,<br />

m’ ha rallegrato come un raggio cortese<br />

che sa guidare un animo scontroso.<br />

E benchè quella luce in tempestose notti<br />

cosi’ tremolasse <strong>di</strong> lontano -<br />

che mai può aversi <strong>di</strong> più splendente e puro<br />

nella <strong>di</strong>urna stella del Vero? 2 .<br />

1 G. DE CHIRICO, Me<strong>di</strong>tazioni <strong>di</strong> un pittore, manoscritto della raccolta <strong>di</strong> Jean Paulhan, J.T. SOBY<br />

1912-1913.<br />

2 E. A. POE, Il Corvo e Tutte le poesie, Newton & Compton E<strong>di</strong>tore, Roma 2005.<br />

441


IL MEDITERRANEO DI TOLOMEO<br />

<strong>di</strong> MAURA BOFFITO<br />

<strong>La</strong> Geographia <strong>di</strong> Tolomeo, tipica espressione dell’idea <strong>di</strong> scienza alessandrina, può<br />

essere considerata come summa <strong>di</strong> tutte le conoscenze accumulate dal sapere greco<br />

a partire da Talete fino al II secolo d.C.<br />

<strong>La</strong> concezione omerica del mondo, quale superficie circolare circondata dalle acque<br />

dell’unico fiume Oceano, risulta essere popolarmente ra<strong>di</strong>cata nel mondo greco, anche<br />

se filosofi e scienziati del mondo classico avevano accettato la nozione della sfericità<br />

della terra1 .<br />

A partire dal VI secolo a.C. si assiste in Grecia al sorgere <strong>di</strong> un interesse per la cartografia<br />

concepita, però, a fini puramente culturali. Sembra che il primo greco a re<strong>di</strong>gere<br />

una carta geografica del mondo conosciuto allora sia stato Anassimandro <strong>di</strong><br />

Mileto, anche se nessuna delle sue carte ci è pervenuta2 .<br />

È opportuno ricordare che, nella Grecia antica, le carte geografiche avevano obiettivi<br />

<strong>di</strong>versi da quelli concepiti ai giorni nostri. Strabone, infatti, reputava la geografia una<br />

<strong>di</strong>sciplina derivata dalla filosofia, pertanto non erano i geometri a de<strong>di</strong>carsi alla pratica<br />

della cartografia, quanto piuttosto i filosofi. È molto probabile che le <strong>di</strong>spute in<br />

ambito geografico sollevate dai filosofi stessi abbiano suscitato derisione<br />

da parte dei naviganti o dei “geografi” abituati a viaggiare<br />

come Erodoto <strong>di</strong> Alicarnasso. Autore delle “Storie”,<br />

Erodoto (484-425 a.C. circa) è stato un instancabile<br />

viaggiatore; i suoi viaggi gli hanno consentito<br />

<strong>di</strong> visitare gran parte dei luoghi che si<br />

affacciano sul Me<strong>di</strong>terraneo orientale, come<br />

ad esempio l’Egitto.<br />

<strong>La</strong> prima opera greca <strong>di</strong> geografia,<br />

scritta in prosa, è la Periegesi <strong>di</strong> Ecateo<br />

<strong>di</strong> Mileto (550-480 a.C.). Il lavoro del<br />

logografo costituisce una specie <strong>di</strong><br />

guida alle zone costiere del Me<strong>di</strong>terraneo<br />

a spiegazione <strong>di</strong> una carta geografica<br />

abbastanza famosa. Le cono-<br />

1 Ricostruzione della carta <strong>di</strong><br />

Ecateo.<br />

1


444<br />

Il Me<strong>di</strong>terraneo <strong>di</strong> Tolomeo<br />

scenze geografiche <strong>di</strong> Ecateo risultano essere non immuni da errori derivati probabilmente<br />

dalla <strong>di</strong>sinformazione, come nel caso del Caspio pensato dall’autore come<br />

un golfo che si apre nell’Oceano circolare. Al contrario Erodoto afferma che il Caspio<br />

è un mare chiuso.<br />

Il primo tentativo <strong>di</strong> un approccio scientifico alla cartografia greca si ha con Dicearco<br />

<strong>di</strong> Messina (350-290 a.C.), filosofo greco e <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Aristotele. Nel suo “Itinerario<br />

intorno al mondo” in<strong>di</strong>ca per primo la necessità <strong>di</strong> una linea <strong>di</strong> riferimento sulla<br />

carta dell’ecumene. Questa linea correva da ovest (Gibilterra) ad est (Persia), passando<br />

per l’isola <strong>di</strong> Ro<strong>di</strong> 3 . A questo proposito Eratostene <strong>di</strong> Cirene (276-195 a.C.) suggerisce<br />

<strong>di</strong> tracciare un certo numero <strong>di</strong> linee, parallelamente ad una <strong>di</strong> riferimento, non<br />

<strong>di</strong>stanziate, però, in maniera regolare: il reticolo che ne deriva serve a determinare la<br />

posizione dei luoghi del mondo abitato.<br />

L’ultimo e più importante contributo alla cartografia greca è quello <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Tolomeo<br />

(85-165 d.C. circa), che stabilisce i fondamenti della geografia scientifica. <strong>La</strong> sua<br />

Geographike Syntaxis, dallo stesso Tolomeo definita “una guida geografica alla costruzione<br />

<strong>di</strong> mappe”, può essere considerata un compen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> tutto il sapere inerente la<br />

geografia e la cartografia dalle origini all’epoca in cui egli scrive.<br />

Le sue fonti principali sono i resoconti <strong>di</strong> viaggio attraverso i territori dell’impero romano,<br />

della Persia ed oltre ancora, ma, soprattutto, l’opera del geografo Marino <strong>di</strong><br />

Tiro, attivo nel 120 d.C., il quale, a detta dello stesso Tolomeo, sembra abbia costruito<br />

delle carte geografiche utilizzando un reticolo <strong>di</strong> meri<strong>di</strong>ani e paralleli, probabilmente<br />

originato da una proiezione cilindrica. Per evitare o almeno ridurre gli errori<br />

riscontrati nelle proiezioni<br />

<strong>di</strong> Marino, Tolomeo<br />

propone una proiezione conica,<br />

effettuata da un<br />

punto <strong>di</strong> stazione situato su<br />

una ortogonale all’asse terrestre<br />

4 , anche se limita l’uso<br />

<strong>di</strong> una simile proiezione<br />

2 2 L'ecumene <strong>di</strong> Erodoto.


Maura Boffito<br />

solo per la prima carta generale del mondo, mentre utilizza la proiezione <strong>di</strong> Marino<br />

per le rimanenti 26 carte regionali.<br />

Il mondo <strong>di</strong> Eratostene si era ingran<strong>di</strong>to fino a comprendere la Cina, il Sud-est asiatico,<br />

la parte meri<strong>di</strong>onale dell’Africa orientale, i Monti della Luna nell’Africa centrale<br />

… <strong>La</strong> Geographia <strong>di</strong> Tolomeo comprende questa porzione della terra, completa <strong>di</strong> latitu<strong>di</strong>ne<br />

e longitu<strong>di</strong>ne, <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>ce delle località e <strong>di</strong> un ampio commento topografico.<br />

Nell’opera, in otto libri relativi alle <strong>di</strong>verse aree 5 , è possibile <strong>di</strong>stinguere due parti: la<br />

prima è costituita da un insieme <strong>di</strong> principi generali inerenti la geografia , la costruzione<br />

delle carte (ben 27) ed un catalogo <strong>di</strong> luoghi in<strong>di</strong>viduati. Tolomeo si interroga<br />

sulle <strong>di</strong>mensioni dell’oecuméne, sul valore <strong>di</strong> longitu<strong>di</strong>ne e sul problema delle proiezioni.<br />

<strong>La</strong> seconda parte contiene un catalogo <strong>di</strong> circa 8000 località, analizzate attraverso<br />

coor<strong>di</strong>nate e curiosità.<br />

<strong>La</strong> Geographia <strong>di</strong> Tolomeo rimane, per più <strong>di</strong> mille anni, il punto <strong>di</strong> partenza per ogni<br />

speculazione geografica sia nella cultura occidentale sia in quella araba. L’immagine<br />

del mondo inizierà a mo<strong>di</strong>ficarsi, anche se lentamente, solo a partire dai viaggi <strong>di</strong><br />

Cristoforo Colombo.<br />

Si può affermare, senza ombra <strong>di</strong> dubbio, che Tolomeo sia lo scienziato a cui l’Occidente<br />

deve la propria immagine “fisica” del mondo, così come Aristotele è il filosofo<br />

a cui esso è debitore<br />

della propria immagine<br />

“spirituale”.<br />

3 Ricostruzione della carta <strong>di</strong> Dicearco.<br />

445<br />

3


4<br />

446<br />

4 Cosmographia (prima metà del<br />

XV secolo), apografo della Geographia<br />

<strong>di</strong> Tolomeo.<br />

Note<br />

Il Me<strong>di</strong>terraneo <strong>di</strong> Tolomeo<br />

1 Enunciata dai Pitagorici, affermata con prove teoretiche da Aristotele e misurata da Eratostene.<br />

2 Secondo Diogene <strong>La</strong>erzio, commentatore del III secolo d.C. da cui derivano molte delle notizie<br />

sui filosofi della Scuola Ionica, Anassimandro è stato il primo a tracciare uno schema del<br />

mondo (perimetron) e sempre il primo a costruire un globo.<br />

3 Non è certo che Dicearco abbia in<strong>di</strong>cato anche una linea <strong>di</strong> riferimento verticale come, invece,<br />

viene riportata nella ricostruzione della sua carta del mondo.<br />

4 È questa la prima descrizione conosciuta <strong>di</strong> una proiezione conica, anche se impiegata per scopi<br />

<strong>di</strong>fferenti da quelli assegnati tra<strong>di</strong>zionalmente alla prospettiva.<br />

5 Non ci è pervenuto alcun manoscritto originale dell’opera; si <strong>di</strong>spone soltanto <strong>di</strong> alcune copie<br />

eseguite, probabilmente, da monaci bizantini nell’XI secolo. Queste copie sono organizzate in<br />

otto libri.

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