Ordine aprile 2000 - Ordine dei Giornalisti
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ornalistica legalmente riconosciuta<br />
versità come<br />
o <strong>dei</strong> cittadini all’informazione”<br />
3Diffamazione<br />
a mezzo stampa: modifiche legislative ai Codici contro il diritto di cronaca<br />
Un “grande vecchio”, nascosto nel Parlamento, studia, con<br />
metodo scientifico, le norme che colpiscono direttori, articolisti<br />
ed editori. Non è un’affermazione esagerata. Questo<br />
sospetto nasce dalla lettura delle “novità” introdotte, tra<br />
novembre e dicembre 1999, da deputati e senatori nell’ordinamento<br />
giuridico. Nessuno nelle due Camere si sarebbe<br />
reso conto <strong>dei</strong> riflessi nefasti delle innovazioni legislative infilate<br />
nelle leggi sul giudice di pace (n. 468/1999) e sul giudice<br />
monocratico (n. 479/1999). Anche la Cassazione dà una<br />
mano in quest’opera che punta a intimidire chi lavora nei giornali,<br />
nei periodici e nelle emittenti radiotelevisive.<br />
3.1. Diffamazione a mezzo stampa, sentenze “inappellabili”.<br />
La legge 24 novembre 1999 n. 468 modifica il terzo<br />
comma dell’articolo 593 del Codice di procedura penale,<br />
stabilendo che “sono inappellabili le sentenze di condanna<br />
relative a reati per i quali è stata applicata la sola pena pecuniaria”.<br />
Le pene pecuniarie sono la multa (per i delitti) e l’ammenda<br />
(per le contravvenzioni). Questa legge dà un colpo<br />
durissimo alla libertà di stampa, alla tranquillità economica e<br />
psicologica <strong>dei</strong> giornalisti e ai bilanci delle aziende editoriali.<br />
Poniamo il caso che il giornalista-articolista venga condannato<br />
per diffamazione a mezzo stampa (articolo 595 Cp) solo<br />
alla pena della multa (fino a un milione), avendo il tribunale<br />
(in composizione monocratica) scartato la condanna alla<br />
pena della reclusione da sei mesi a tre anni. L’articolo 595<br />
Cp, infatti, prevede multa e reclusione in via alternativa. Il<br />
giornalista, che ha scritto l’articolo “incriminato”, e il direttore<br />
responsabile (che ha omesso il controllo sull’articolo), una<br />
volta emessa la sentenza di condanna alla sola multa, non<br />
possono impugnare il provvedimento avanti alla Corte d’Appello,<br />
ma possono ricorrere per Cassazione unicamente per<br />
motivi di legittimità. In sostanza articolista e direttore pagano<br />
subito la multa e poi, con l’editore, sono nelle mani del giudice<br />
civile per quanto riguarda la fissazione dell’entità del risarcimento<br />
del danno (2043 Cc). La condanna penale è il<br />
presupposto della successiva condanna sul piano civilistico.<br />
L’incertezza è sul quantum. Ma i tempi sono perigliosi, perché<br />
si può ripetere quello che gli inglesi dicono del giudice dell’equity:<br />
la giustizia è grande quanto il piede del cancelliere,<br />
volendo dire che le sentenze cambiano ogni qual volta<br />
cambia il cancelliere. Come dire, con i romani, tot capita tot<br />
sentenziae.<br />
Anche l’articolo 459 Cpp (Casi di procedimento per decreto),<br />
riscritto dalla legge 16 dicembre 1999 n. 479 sul giudice<br />
unico, riserva una sorpresa sgradita. Dice questo nuovo articolo:<br />
“Nei procedimenti per reati perseguibili di ufficio ed in<br />
quelli perseguibili a querela (come la diffamazione, ndr) se<br />
questa è stata validamente presentata e se il querelante non<br />
ha nella stessa dichiarato di opporvisi, il pubblico ministero,<br />
quando ritiene che si debba applicare soltanto una pena<br />
pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena<br />
detentiva, può presentare al giudice per le indagini preliminari,<br />
entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona<br />
alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie<br />
di reato e previa trasmissione del fascicolo, richiesta motivata<br />
di emissione del decreto penale di condanna, indicando<br />
la misura della pena”.<br />
Il decreto penale, con la condanna a una pena pecuniaria, è<br />
inappellabile. C’è da sperare che il Gip non accolga la richie-<br />
ORDINE 4 <strong>2000</strong><br />
sta del Pm. In precedenza non era previsto il decreto penale<br />
per i reati perseguibili a querela.<br />
3.2. Il divieto di pubblicazioni delle immagini. La legge 16<br />
dicembre 1999 n. 479 sul giudice unico cambia la rubrica<br />
dell’articolo 114 Cpp allargando il “divieto di pubblicazioni”<br />
dagli atti alle immagini e in particolare, con il comma 6-bis,<br />
“vieta la pubblicazione dell’immagine di persona privata della<br />
libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta<br />
all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione<br />
fisica, salvo che la persona vi consenta”. Questa norma<br />
chiude il cerchio e completa la legge n. 492/1992 che vieta,<br />
salvo nei casi di pericolosità del soggetto o di pericolo di fuga<br />
o di circostanze che rendano difficile la traduzione, l’uso delle<br />
manette ai polsi. Il comma-6 nella versione originaria impediva<br />
addirittura la pubblicazione della fotografia di persone<br />
arrestate con o senza manette. Il comma 6-bis è sostanzialmente<br />
inutile perché l’articolo 8 del “Codice sulla privacy”, in<br />
vigore dal 18 agosto 1998, proibisce a giornali (e giornalisti)<br />
la pubblicazione di persone in manette. Evidentemente il<br />
Parlamento non si fida del “Codice” (e del giudice disciplinare-<strong>Ordine</strong><br />
<strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong>) e preferisce calcare la mano sul<br />
piano penalistico, ricorrendo, con l’aiuto dell’articolo 115 Cpp,<br />
ai rigori dell’articolo 684 Cp (arresto fino a 30 giorni oppure<br />
ammenda da 100 a 500mila lire). La violazione del divieto di<br />
pubblicazione di una foto di persona in manette diventa, quindi,<br />
vieppiù risarcibile sul piano civilistico una volta sanzionato<br />
il giornalista sul piano penale.<br />
3.3. Il caso Travaglio. L’innovazione (sconcertante) della<br />
legge 468 va di pari passo con le polemiche seguite al caso<br />
di Marco Travaglio, il giornalista al quale il tribunale civile di<br />
Roma ha pignorato lo stipendio dopo la condanna, per diffamazione,<br />
a pagare 80 milioni all’ex ministro Cesare Previti.<br />
Questa vicenda, secondo la Fnsi, ripropone la drammatica<br />
situazione di decine e decine di giornalisti denunciati in sede<br />
civile per diffamazione.<br />
Secondo un dato raccolto dall’<strong>Ordine</strong> nazionale di categoria,<br />
sui giornalisti e sui giornali italiani pendono querele per circa<br />
3.500 miliardi di risarcimenti. La richiesta più alta è stata<br />
formulata da una banca americana nei confronti di due direttori<br />
di telegiornali nazionali e di un quotidiano regionale: 400<br />
milioni di dollari (pari a circa 700 miliardi di lire). Ma altre liquidazioni<br />
di danni per diverse decine di miliardi sono state<br />
sollecitate da imprenditori, avvocati, politici e anche giornalisti.<br />
Tra le condanne massime finora comminate figurano i 450<br />
milioni contro Vittorio Sgarbi e Italia Uno; i 311 milioni ottenuti<br />
da un magistrato contro “Il Mattino”, che, secondo il monitoraggio<br />
dell’<strong>Ordine</strong>, è tra i quotidiani più colpiti con “Il Giornale”<br />
e “l’Unità”.<br />
3.4. Una nuova legge sulla rettifica. L’abnorme numero di<br />
querele contro giornali e giornalisti rende necessaria, secondo<br />
Fieg (Federazione editori) e Fnsi (sindacato <strong>dei</strong> giornalisti),<br />
una nuova legge sulla rettifica in caso di diffamazione a<br />
mezzo stampa. È dello stesso avviso il presidente della<br />
Camera, Luciano Violante, che ha esposto un suo progetto<br />
(condiviso dal ministro di Giustizia Oliviero Diliberto) nel<br />
convegno del 23 giugno 1999 organizzato dall’<strong>Ordine</strong> nazionale<br />
<strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong>: “Il problema più significativo – ha detto<br />
Violante – è risarcire l’onore delle persone lese e stabilire che<br />
la rettifica fatta nei termini previsti dalla legge ha una funzione<br />
di risarcimento e che la stessa evita il risarcimento civile. C’è<br />
bisogno di una legge di questo genere: i giornali potranno poi<br />
scegliere se rettificare o andare al processo civile”.<br />
La materia è complessa, perché si tratta di trovare un punto<br />
di equilibrio tra l’esigenza giuridica di tutelare l’identità della<br />
persona offesa e il diritto di giornali e giornalisti di riferire quel<br />
che accade ai cittadini, titolari a loro volta del diritto costituzionale<br />
all’informazione (corretta e completa) elaborato dalla<br />
Consulta.<br />
3.5. Il reato di diffamazione a mezzo stampa. È previsto e<br />
punito, come detto, dall’articolo 595 Cp (prevede la reclusione<br />
da sei mesi a tre anni oppure la multa fino a un milione di<br />
lire). Ma l’articolo 13 della legge n. 47/1948 sulla stampa<br />
aggiunge una seconda fattispecie: “Nel caso di diffamazione<br />
commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione<br />
di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione<br />
da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a<br />
lire cinquecentomila”. In entrambi i casi si procede su querela<br />
di parte entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto. La<br />
punizione del colpevole è lasciata alla volontà della persona<br />
offesa. La proposta del presidente della Camera prevede di<br />
inserire – negli articoli 595 Cp 11 (responsabilità civile), 12<br />
(riparazione pecuniaria) e 13 (pene per la diffamazione) della<br />
legge sulla stampa – un inciso che preveda la punibilità<br />
(penale e civile) del direttore, dell’articolista e dell’editore “in<br />
caso di rifiuto di pubblicazione di rettifiche o smentite<br />
secondo le modalità di cui all’articolo 8 della legge sulla<br />
stampa, o qualora la parte offesa non intenda chiedere<br />
rettifiche o smentite”. La libertà delle parti va salvaguardata,<br />
perché altrimenti si rischierebbe di introdurre una correzione<br />
in violazione <strong>dei</strong> precetti costituzionali.<br />
3.6. Il “progetto Passigli”. In queste ore sono tornate alla<br />
ribalte alcune norme inserite nel “progetto Passigli” (poi abortito)<br />
relativo all’ordinamento della professione giornalistica.<br />
L’obiettivo perseguito è quello di garantire alle persone offese<br />
la rettifica sui giornali (a costo zero); rettifica prevista<br />
dall’articolo 8 della legge sulla stampa. In caso di rifiuto della<br />
pubblicazione della rettifica o della smentita, il cittadino leso<br />
nei suoi diritti potrebbe rivolgersi al “Presidente <strong>dei</strong> Consigli<br />
regionali o interregionali dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong>, il<br />
quale dispone in via d’urgenza, con decreto, che i direttori<br />
responsabili delle testate (scritte, televisive, radiofoniche<br />
e telematiche) edite nell’area di propria competenza<br />
territoriale pubblichino la rettifica, nei termini temporali<br />
e secondo le modalità previsti dall’articolo 8. In caso<br />
di mancato intervento da parte del Presidente <strong>dei</strong> Consigli<br />
regionali o interregionali dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong> e<br />
qualora, trascorso il termine di cui al secondo e terzo<br />
comma, la rettifica o dichiarazione non sia stata pubblicata,<br />
l’autore della richiesta di rettifica (se non intende<br />
procedere a norma del decimo comma dell’art. 21) può<br />
chiedere al pretore, ai sensi dell’art. 700 del codice di<br />
procedura civile, che sia ordinata la pubblicazione”.<br />
Questa proposta conferisce al presidente <strong>dei</strong> Consigli<br />
dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong> un potete tipico (paragiudiziario)<br />
delle autorità amministrative indipendenti.<br />
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