Ordine aprile 2000 - Ordine dei Giornalisti
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Milano rende omaggio con una mostra al grande maestro della fotografia<br />
Mario De Biasi<br />
di Gino Banterla<br />
Ha fotografato con la stessa<br />
passione le scene di guerra e<br />
una goccia di rugiada appesa<br />
a un filo d’erba, la disperazione<br />
<strong>dei</strong> terremotati del Belice<br />
e i riflessi di una pozzanghera<br />
dopo la pioggia, le<br />
trasformazioni metropolitane<br />
e i malinconici paesaggi<br />
agresti, i potenti della terra e i<br />
volti anonimi che incontriamo<br />
nella vita quotidiana. Il suo<br />
segreto: un’eccezionale<br />
professionalità costruita giorno<br />
dopo giorno e un’inesauribile<br />
curiosità. Lui minimizza:<br />
“Mi piace girare, scoprire<br />
qualche cosa che la gente<br />
normalmente non vede e<br />
raccontarla con le immagini”.<br />
Mario De Biasi, classe 1923,<br />
è uno <strong>dei</strong> grandi maestri della<br />
fotografia mondiale del nostro<br />
secolo. Le sue fotografie<br />
sono impresse nella memoria<br />
di milioni di persone, non<br />
soltanto in Italia. E oggi,<br />
nell’era televisiva e di Internet,<br />
rimangono a testimonianza<br />
di un giornalismo che<br />
sapeva conquistare i lettori<br />
non a colpi di gadget ma con<br />
la qualità <strong>dei</strong> suoi servizi. De<br />
Biasi ora non viaggia più<br />
come una volta. Ma non si<br />
concede riposo. Anzi, la sua<br />
attività è febbrile, gli impegni<br />
si susseguono intensi: workshop,<br />
incontri con i giovani,<br />
impaginazione di nuovi libri,<br />
che vanno ad aggiungersi ai<br />
cinquanta sinora pubblicati.<br />
Naturalmente, a scandire i<br />
tempi delle sue giornate,<br />
sono i “clic” della macchina<br />
lo sguardo sulla vita<br />
Epoca, le 130 copertine<br />
dell’“italiano pazzo”<br />
fotografica. Ora usa il piccolo<br />
formato, più versatile: “L’ultima<br />
volta che ho fotografato<br />
con una 6x6 è stata all’Expo<br />
di Osaka nel 1970”, spiega.<br />
Nella tranquillità della sua<br />
casa di Milano De Biasi<br />
riesce anche a trovare il<br />
tempo per coltivare un’altra<br />
antica passione, quella grafica<br />
e pittorica. Continua infatti<br />
a produrre acquerelli, tempere,<br />
chine, acrilici. O disegni<br />
multicolori tracciati più<br />
semplicemente con la biro e<br />
il pennarello. Un’immensa<br />
produzione sconosciuta al<br />
grande pubblico. I suoi temi<br />
preferiti: alberi, foglie, volti,<br />
uccelli, farfalle, animali fantastici.<br />
Ogni anno sceglie un tema<br />
nuovo, ma ce n’è uno che lo<br />
ha accompagnato per tutta la<br />
vita: il sole. Ne ha disegnati<br />
più di tremila. Sono queste le<br />
“pause di De Biasi”, secondo<br />
la definizione che diede<br />
Bruno Munari presentando<br />
una sua mostra. Lui dice:<br />
“Disegnare mi tiene sveglia la<br />
fantasia”. Milano, la “sua”<br />
Milano raccontata in numerosi<br />
libri, gli rende ora omaggio<br />
con una mostra all’Arengario<br />
aperta fino al 30 <strong>aprile</strong>.<br />
Duecento fotografie, scelte<br />
tra le centinaia di migliaia<br />
scattate a partire dagli anni<br />
Quaranta, diventano altrettante<br />
tessere dell’immenso<br />
mosaico cosmopolita composto<br />
in oltre mezzo secolo di<br />
militanza dietro la macchina<br />
fotografica.<br />
Bellunese d’origine, montanaro<br />
nel fisico e soprattutto<br />
nello spirito, Mario De Biasi<br />
Alla fine del 1952 il grande salto. De Biasi presenta i suoi<br />
lavori a Sergio Polillo, Renzo Segala ed Enzo Biagi, che<br />
guidano la nuova rivista di Arnoldo Mondadori, “Epoca”.<br />
Pochi giorni dopo viene assunto come fotografo di redazione.<br />
Da quel momento, e per trent’anni, la storia di De Biasi e<br />
del settimanale sono un tutt’uno. Realizzerà 130 copertine.<br />
Un record. “Epoca”, il cui primo numero era uscito il 14 ottobre<br />
1950, direttore Alberto Mondadori, sull’onda del successo<br />
dell’americana “Life”, è diretta a partire dal 1953 dal trentatreenne<br />
Enzo Biagi. Dopo faticosi tentativi il giornale decolla.<br />
Grazie alla piena valorizzazione della fotografia, diventa lo<br />
specchio dell’Italia che cambia dopo gli orrori della guerra e<br />
in breve tempo si mette alla pari con le grandi riviste illustrate<br />
del mondo: “Paris Match”, “Stern”, “Geographic Magazine”,<br />
oltre naturalmente a “Life”.<br />
Nascono i primi grandi reportage di De Biasi dall’estero: l’alluvione<br />
del 1953 in Olanda, nel 1954 gli scoop su Nasser<br />
privato in Egitto e su Onassis a New York, le strazianti testimonianze<br />
sulla rivolta ungherese nel 1956. Superata con<br />
sangue freddo una serie infinita di pericoli torna dall’inferno<br />
di Budapest con un reportage che nessun altro è riuscito a<br />
realizzare. “L’italiano pazzo”, lo chiamano i suoi colleghi stranieri<br />
per la freddezza con la quale affronta i pericoli del<br />
mestiere in situazioni così difficili. “Epoca” dedica alla tragedia<br />
ungherese uno speciale di 30 pagine. Il servizio viene<br />
venduto da Mondadori Press in tutto il mondo.<br />
Fornito di sempre più sofisticate macchine, affermatosi con<br />
un suo personalissimo stile che unisce obiettività e sensibilità,<br />
rigore formale e spessore documentario, De Biasi corre<br />
negli epicentri degli avvenimenti: la rivoluzione in Venezuela,<br />
l’intervento americano in Libano, l’intervento inglese in Giordania,<br />
il terrorismo alto-atesino. Nel 1958 escono due grandi<br />
inchieste su Argentina e Brasile, che anticipano la tradizione<br />
degli inserti speciali degli anni Sessanta.<br />
Scorrono i ricordi di quel periodo. “Nel dicembre 1959 venni<br />
incaricato di seguire il matrimonio dello scià di Persia”,<br />
racconta. “La Mondadori Press aveva venduto il servizio a<br />
sette-otto paesi ancor prima che io lo realizzassi. Arrivai a<br />
Teheran, ed ecco la sorpresa: ai fotografi accreditati era<br />
vive nel capoluogo lombardo<br />
da oltre sessant’anni. Vi era<br />
approdato nel 1938. La sua<br />
vita ha momenti leggendari,<br />
come sempre accade per gli<br />
uomini di successo che si<br />
sono fatti da soli. Dopo essersi<br />
diplomato a un corso serale<br />
dell’Istituto Radiotecnico<br />
trova lavoro alla Magneti<br />
Marelli di Sesto San Giovanni.<br />
Una sera del 1944, di ritorno<br />
dalla fabbrica, viene bloc-<br />
cato in piazzale Loreto dalle<br />
squadre dell’organizzazione<br />
tedesca Todt e deportato a<br />
Norimberga, dove è costretto<br />
ai lavori forzati per un anno.<br />
Nel 1945, tra le macerie di<br />
Norimberga bombardata,<br />
trova un manuale di fotografia.<br />
Nasce lì la sua passione.<br />
Armato di una Welta 6x6 a<br />
soffietto e senza telemetro<br />
inizia in Germania le prime<br />
riprese: le distruzioni della<br />
permesso riprendere una sola immagine ufficiale al palazzo<br />
reale dopo il matrimonio. Avvisai la redazione: era impossibile<br />
realizzare il servizio. Per risposta Biagi mi telegrafò: “Per te<br />
niente è impossibile. Buon lavoro”. Riuscii a superare lo sbarramento<br />
di poliziotti e a intrufolarmi nel corteo. Potei scattare<br />
tutte le foto che volevo”.<br />
De Biasi ha sempre pubblicato le sue fotografie così come le<br />
ha fissate sulla pellicola, con la stessa inquadratura. Unica<br />
eccezione, il famoso ritratto di Marlene Dietrich, forse in<br />
assoluto il più bello. Spiega: “Quella è l’unica fotografia tagliata.<br />
L’ho scattata nel 1956 con la Rolleiflex a Montecarlo. Allora<br />
non avevo il teleobiettivo, lei era su uno yacht e non potevo<br />
avvicinarmi. Dopo vent’anni ho ripreso in mano il negativo<br />
e ho tirato fuori il volto. È l’unica fotografia reinquadrata a<br />
posteriori”.<br />
La magnifica squadra<br />
di Sampietro il terribile<br />
Con la direzione di Nando Sampietro, dal 1960 al 1969,<br />
“Epoca” si afferma come enciclopedia contemporanea dell’Italia<br />
e del mondo. Il mitico direttore potenzia la squadra fotografica,<br />
composta, oltre che da De Biasi che la guiderà, da<br />
Sergio Del Grande, Giorgio Lotti, Walter Mori,<br />
Walter Bonatti, Vittoriano Rastelli, Mauro Galligani,<br />
Nino Leo. E le tirature del settimanale, che<br />
dà voce alla borghesia più colta, ai professionisti,<br />
ai docenti, al mondo politico e imprenditoriale,<br />
aumentano fino a raggiungere punte di 600<br />
mila copie.<br />
È il periodo più felice per De Biasi e per il giornale.<br />
Il fotografo percorre le strade del mondo: dalle<br />
brughiere della Scozia agli alveari umani di Hong<br />
Kong, dalla guerriglia in Guatemala ai giacimenti<br />
di diamanti in Sudafrica, dalla guerra-lampo di<br />
Israele ai trionfi degli astronauti americani di ritorno<br />
dalla Luna, dal gelo della Siberia al caldo<br />
infuocato delle piste sahariane. Sempre in<br />
compagnia di uno o più giornalisti. “Con loro<br />
avevo rapporti buoni”, dice. “Anche se a volte<br />
pensavano soprattutto al loro pezzo e ignorava-<br />
Mario De Biasi<br />
guerra e soprattutto la gente<br />
che incontra per le strade.<br />
Milano 1946: ritorno alla<br />
normalità e al lavoro alla<br />
Magneti Marelli.<br />
Ma l’interesse di De Biasi è<br />
tutto rivolto alla fotografia, alla<br />
quale dedica ogni momento<br />
del suo tempo libero e ogni<br />
energia.<br />
La Brianza, la Valsassina e<br />
naturalmente Milano: in bicicletta<br />
percorre in lungo e in<br />
“Milano 1954. Gli italiani si<br />
voltano”, la foto-simbolo degli<br />
anni Cinquanta. La mostra<br />
“Mario De Biasi. Fotografia e<br />
passione” (Palazzo dell’Arengario,<br />
piazza Duomo, Milano) è<br />
aperta fino al 30 <strong>aprile</strong>. Orario;<br />
9,30-18,30. Lunedì feriale chiuso.<br />
Catalogo Motta Editore a<br />
cura di Attilio Colombo.<br />
largo campagne, paesi e<br />
città, alla ricerca di volti, di<br />
paesaggi, di architetture. Nel<br />
1948 espone le prime immagini<br />
al Circolo fotografico<br />
milanese; nel 1952 il quinto<br />
Salone internazionale della<br />
fotografia alla Triennale di<br />
Milano gli dedica una mostra<br />
personale. Sono gli anni in<br />
cui la poetica neorealista<br />
esaltata dal cinema pervade<br />
anche la fotografia.<br />
no le necessità del fotografo. Ho realizzato alcuni servizi con<br />
Livio Caputo, giornalista straordinario. In Iran, per esempio,<br />
mi è capitato di fare alcune fotografie di un pastore circondato<br />
dalle sue pecore. Poi vedevo un altro pastore con altre pecore<br />
e mi fermavo a fotografarlo. Livio mi diceva: “ma queste<br />
immagini le hai già”. Io gli rispondevo: “no, perché se io oggi<br />
vedo un pastore con venti pecore, lo fotografo; se domani ne<br />
vedo un altro con quaranta pecore, fotografo anche lui; se<br />
dopodomani trovo altri pastori, non rinuncio a fotografare<br />
anche loro. Nessuna immagine è uguale a un’altra”.<br />
Era accaduto altre volte che De Biasi riprendesse in modo<br />
apparentemente ossessivo uno stesso soggetto. Per esempio<br />
quando, nei pressi dell’abbazia di Chiaravalle, aveva scorto in<br />
un campo alcuni inconsueti spaventapasseri che stimolarono<br />
la sua fantasia. Si trattava di vecchie bambole rotte issate su<br />
pali. Tornò in quel campo più volte per ritrarle con la pioggia,<br />
col sole, con la neve. Un’altra volta, sulla collinetta di San Siro<br />
ricavata dalle macerie <strong>dei</strong> bombardamenti, si imbatté in una<br />
statua femminile forse proveniente da una Triennale milanese.<br />
Per quindici anni tornò a fotografare quella figura, per<br />
seguirne i segni del decadimento. Nulla è ripetizione. E<br />
mentre nei ritagli di tempo libero De Biasi si dedicava a queste<br />
milanesissime escursioni segrete, alla ricerca di significati<br />
arcani, “Epoca” pubblicava i suoi speciali a colori (L’Italia<br />
meravigliosa, L’Europa meravigliosa, I grandi musicisti, Le<br />
città più belle del mondo e tanti altri), che venivano<br />
raccolti e accuratamente conservati da<br />
migliaia di famiglie italiane. Venne venduto in<br />
tutto il mondo lo splendido servizio che<br />
raccontava per immagini le prime ore di vita<br />
di un bambino. “Il direttore mi disse: le do tutto<br />
il tempo che vuole”, ricorda De Biasi. “Andai<br />
alla clinica Mangiagalli di Milano, mi diedero<br />
un camice e cominciai ad assistere ai primi<br />
parti. Ma uscivano soltanto mostriciattoli. Non<br />
era facile realizzare questo servizio. Al<br />
cinquantaseiesimo parto finalmente trovai le<br />
immagini giuste. Il servizio uscì su 20 pagine,<br />
accompagnato da un testo di Vittorio G.<br />
Rossi, sul numero di Natale 1966”. Un altro<br />
episodio, un’altra copertina famosa di “Epoca”<br />
del maggio 1964 dedicata a una spettacolare<br />
eruzione dell’Etna. “Era andato sul posto un<br />
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