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Ordine aprile 2000 - Ordine dei Giornalisti

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LEGGE & CRONISTI<br />

di stampa nel quale si dia l’informazione (sostanzialmente<br />

esatta e pertinente ad un confronto elettorale) che l’associazione<br />

aveva speso - nella gestione appena conclusa - delle<br />

cifre delle quali non era stata data una spiegazione soddisfacente<br />

senza peraltro alludere direttamente o indirettamente a<br />

spese illecite. Non è lesivo della reputazione del responsabile<br />

della gestione di un’associazione non riconosciuta accusare di<br />

scarsa “pulizia” una gestione contabile di scarsa trasparenza<br />

(ancorché tale scarsa trasparenza possa poi lasciare oggettivamente<br />

spazio alla supposizione di una gestione irregolare<br />

del denaro comune), in quanto nel linguaggio corrente pulizia<br />

e trasparenza denotano valori imparentati e la critica, per<br />

quanto aspra, non può nella specie ritenersi pretestuosa e<br />

travalicante i limiti <strong>dei</strong> confronti delle posizioni, anche tenuto<br />

conto della circostanza che il controllo dell’utilizzazione del<br />

denaro comune è strettamente pertinente ad una campagna<br />

elettorale (che era nei fatti in corso). Anche nelle associazioni<br />

non riconosciute il bilancio deve essere “trasparente”; e trasparente<br />

non è una voce del conto economico (nella specie “materiale<br />

di pulizia e varie”) nella quale siano comprese spese<br />

estremamente eterogenee, indipendentemente dal fatto che i<br />

sindaci non abbiano mosso rilievi al riguardo, dal fatto che le<br />

pezze giustificative siano accessibili agli interessati ed infine<br />

dal fatto che in assemblea gli associati (cui erano state date<br />

spiegazioni insufficienti ed imbarazzate) non abbiano insistito<br />

nella richiesta di chiarimenti.<br />

App. Milano, 30 dicembre 1994, Santerini c. D’Adda e altro<br />

Lede la reputazione di un magistrato (senza poter essere<br />

considerato legittimo esercizio del diritto di cronaca e critica, in<br />

quanto eccede il limite della continenza) l’articolo, pubblicato<br />

su un quotidiano nazionale, con cui se ne accosti la figura al<br />

personaggio manzoniano di Don Abbondio, così tacciandolo<br />

di pavidità (nella specie, il giornalista autore dell’articolo è stato<br />

condannato alla pena di lire 750.000 di multa, al risarcimento<br />

<strong>dei</strong> danni morali nella misura di lire 100.000.000, nonché al<br />

pagamento di lire 10.000.000 a titolo di riparazione pecuniaria<br />

ex art. 12 l. 8 febbraio 1948 n. 47).<br />

Trib. Milano, 24 novembre 1995, Cavallaro<br />

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di cronaca e<br />

di critica, come anche maggiormente, quello di ricerca storica o<br />

sociale riceve tutela penale anche sotto il profilo putativo, qualora<br />

l’agente abbia ritenuto per errore involontario che i fatti narrati<br />

siano veri e abbia dato la prova delle circostanze e <strong>dei</strong> fatti<br />

che giustificano il proprio errore. (Nella fattispecie è stato ritenuto<br />

insussistente l’elemento psicologico del reato di diffamazioni<br />

per la configurabilità dell’esimente putativa ex art. 51 in relazione<br />

al libro-inchiesta sulla mafia, gli uomini del disonore).<br />

Trib. Trento, 15 ottobre 1993, Arlacchi<br />

Il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca in quanto<br />

non si concreta nella narrazione di fatti, ma nell’espressione di<br />

un giudizio o di un’opinione che, come tale, non può essere<br />

rigorosamente obiettiva. Ove il giudice pervenga, attraverso<br />

l’esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest’ultimo<br />

come prevalentemente valutativo, anziché informativo, i<br />

limiti dell’esimente sono quelli costituiti dalla rilevanza sociale<br />

dell’argomento e dalla correttezza di espressione. (Fattispecie<br />

nella quale la S.C. ha ritenuto la sussistenza della esimente a<br />

favore del comandante <strong>dei</strong> vigili urbani di un comune che in<br />

una lettera pubblicata su un quotidiano, intervenendo nella<br />

controversia politico-sindacale tra la giunta e la polizia municipale,<br />

aveva manifestato l’opinione che la paventata, più stretta<br />

dipendenza <strong>dei</strong> vigili dall’amministrazione, si risolvesse in una<br />

politicizzazione del corpo, determinata dall’esigenza di frenare<br />

lo zelo da loro dimostrato nel reprimere “illeciti più o meno<br />

gravi”).<br />

Cass. pen., sez. V, 24 novembre 1993, Paesini<br />

I requisiti essenziali affinché l’attività giornalistica, quando<br />

diffonda notizie lesive dell’altrui onore e reputazione, possa<br />

ricondursi all’esercizio del diritto di cronaca e di critica previsto<br />

e tutelato dall’art. 21 cost. che, a norma dell’art. 51 c.p. esclude<br />

l’antigiuridicità del fatto, consistono nella verità oggettiva o<br />

anche soltanto putativa <strong>dei</strong> fatti riferiti, nella loro rilevanza<br />

sociale e nell’obbiettività, serenità e correttezza dell’informazione.<br />

Pertanto, quando una notizia viene caricata di un effettivo<br />

valore negativo, perché connotata dagli articolisti da aggettivazioni<br />

spregiative e drammatizzanti, che indipendentemente<br />

da ogni valutazione sulla loro corrispondenza alla realtà,<br />

depongono per un deteriore spessore morale <strong>dei</strong> magistrati,<br />

l’efficacia dell’aggressione portata alla reputazione di un magistrato<br />

su un giornale di larga diffusione è fuori discussione.<br />

Trib. Napoli, 8 <strong>aprile</strong> 1995, Cariello c. Soc. Edime e altro<br />

Ciò che rileva è accertare se la critica sia o meno trasmodata<br />

in un attacco personale volto a colpire la sfera privata dell’offeso<br />

senza alcuna finalità di pubblico interesse, ovvero se le<br />

espressioni usate abbiano una tale carica lesiva dell’altrui<br />

dignità da non poter essere scriminate.<br />

“Lottizzato” e “portaborse” sono termini cui da anni si ricorre<br />

ormai comunemente nel linguaggio critico giornalistico per<br />

designare due momenti dello stesso fenomeno di schieramento,<br />

di inserimento in una struttura in ragione di un’appartenenza<br />

ad un’area politica, di adesione talora incondizionata agli<br />

orientamenti di un partito o di un leader. È da escludere che<br />

tali espressioni trasmodino nella contumelia, ovvero che siano<br />

comunque pregne di una carica lesiva non attenuata dalla<br />

diffusa desensibilizzazione in ordine alla portata offensiva di<br />

determinate parole quando siano usate nell’ambito della critica<br />

politica.<br />

Trib. Roma, 24 marzo 1995, Scalfari e altro<br />

È configurabile il reato di diffamazione a mezzo stampa, allorchè<br />

si ponga in essere un comportamento che trascenda i limi-<br />

L’esercizio del diritto<br />

di critica giornalistica<br />

ti della scriminante dell’esercizio del diritto di critica politica,<br />

consistendo questo, piuttosto, in un gratuito attacco personale,<br />

espressione di semplice malanimo e disprezzo per la persona<br />

oggetto della critica. Un siffatto comportamento non trova tutela<br />

alcuna nell’ordinamento, essendo privo di ogni possibile<br />

giustificazione.<br />

Trib. Perugia, 28 marzo 1995, Modena c. Granocchia<br />

L’attribuzione a taluno di un fatto costituente reato, ove non trovi<br />

supporto in elementi certi di riscontro dedotti dall’imputato, o<br />

non sia comunque fondata su notizie apprese da fonte informativa<br />

qualificata e sottoposte col massimo scrupolo a tutti gli<br />

accertamenti possibili, non configura esercizio del diritto di critica<br />

o di cronaca, nemmeno sotto il profilo della putatività.<br />

Trib. Roma, 11 dicembre 1993, Scalfari e altro<br />

In tema di diffamazione a mezzo stampa i limiti scriminanti del<br />

diritto di critica e del diritto di cronaca non sono coincidenti,<br />

ma diversi, essendo i primi più ampi <strong>dei</strong> secondi, per cui,<br />

quando uno scritto contiene notizie e opinioni, fatti e critiche, sì<br />

da costituire esercizio, ad un tempo, di entrambi i diritti, i corrispondenti<br />

(e diversi) limiti scriminanti dell’uno e dell’altro vanno<br />

individuati in relazione a ciascun contenuto espressivo, salvo<br />

che non si ritenga, in fatto, che lo scritto, valutato nel suo<br />

complesso, sia prevalentemente e significativamente esercizio<br />

o del diritto di critica o di quello di cronaca, nel qual caso è da<br />

accordare esclusivo rilievo all’una o all’altra causa di giustificazione.<br />

Cass. pen., sez. V, 16 <strong>aprile</strong> 1993, Barile<br />

Il diritto di cronaca sancito dall’art. 21 Cost. consente, nel corso<br />

delle competizioni politiche o sindacali, toni aspri e di disapprovazione,<br />

a condizione che la critica non trasmodi in attacco<br />

personale portato direttamente alla sfera privata dell’offeso e<br />

non sconfini nella contumelia e nella lesione della reputazione<br />

dell’avversario. (Nella specie la suprema Corte ha ritenuto scriminante<br />

le aspre critiche dirette contro un candidato avversario<br />

durante la campagna elettorale per il rinnovo del consiglio<br />

comunale, definito “di razza nuova, spietato con la politica, un<br />

khomeinista nella lotta per il potere” uno che “avrebbe collaudato<br />

un modo di amministrare a metà strada tra il decisionismo<br />

e l’illegalità, come non si era mai visto finora nelle città<br />

peggio amministrate d’Italia” e che “avrebbe fatto da cerniera<br />

tra l’amministrazione e i vari gruppi immobiliari finanziari, che<br />

nel frattempo sarebbero diventati i veri padroni di Roma”).<br />

Cass. pen., sez. V, 2 ottobre 1992, Valentini<br />

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la legittimità del diritto<br />

di cronaca e critica politica va desunto da quello di informazione<br />

pluralistica e di libera espressione della propria opinione.<br />

Il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca, perché<br />

a differenza di quest’ultimo non si concreta nella narrazione di<br />

fatti, bensì si esprime in un giudizio o più genericamente nella<br />

manifestazione di un’opinione che sarebbe contraddittorio<br />

pretendere rigorosamente obiettiva: quanto più è elevata la<br />

posizione o l’attività pubblica di un soggetto, tanto più deve<br />

essere ampia la latitudine della critica.<br />

La menomazione della “identità politica” di un soggetto è da<br />

escludere quando la critica sia rispettosa <strong>dei</strong> limiti dell’interesse<br />

sociale della notizia, della verità <strong>dei</strong> fatti e della continenza.<br />

Cass. pen., sez. V, 16 <strong>aprile</strong> 1993, Barile<br />

È consentito, nell’ambito delle contese di natura politica o<br />

sindacale, esprimersi con toni o modi di disapprovazione e<br />

riprovazione, anche molto aspri, purchè la critica non si risolva<br />

in un attacco personale, vale a dire portato direttamente alla<br />

sfera privata dell’offeso, o in una contumelia lesiva dell’onorabilità<br />

dell’avversario come singola persona.<br />

Trib. Massa, 30 giugno 1994, Bertozzi e altro<br />

Ai fini della configurabilità dell’esimente di cui all’art. 51 c.p. per<br />

il reato di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di cronaca (e<br />

di critica), come ogni diritto, si definisce per mezzo <strong>dei</strong> suoi<br />

stessi limiti, che consentono di precisarne il contenuto e di<br />

determinarne l’ambito di esercizio. Tali limiti, secondo il costante<br />

insegnamento di questa Corte, sono costituiti: 1) dalla verità<br />

del fatto narrato; 2) dalla loro pertinenza, ossia dall’oggettivo<br />

interesse che essi fatti rivestono per l’opinione pubblica; 3)<br />

dalla correttezza con cui gli stessi vengono riferiti (cosiddetta<br />

continenza); essendo estranei all’interesse sociale che giustifica<br />

la discriminazione in parola ogni inutile eccesso e ogni<br />

aggressione dell’interesse morale della persona. In ordine al<br />

primo requisito va osservato che, prescindendo da ogni<br />

controversa opinione filosofica sull’argomento, per “verità”, ai<br />

fini che qui interessano, deve intendersi la sostanziale corrispondenza<br />

(adaequatio) tra fatti come sono accaduti (res<br />

gestae) e i fatti come sono narrati (historia rerum gestarum).<br />

Solo la verità come correlazione rigorosa tra il fatto e la notizia<br />

soddisfa alle esigenze della informazione e riporta l’azione nel<br />

campo dell’operatività dell’art. 51 c.p., rendendo non punibile<br />

(nel concorso <strong>dei</strong> requisiti della pertinenza e della continenza)<br />

eventuale lesione della reputazione altrui. Il principio della<br />

verità, quale presupposto dell’esistenza stessa del diritto di<br />

cronaca, oltrechè del suo legittimo esercizio, comporta, come<br />

suo inevitabile corollario, l’obbligo del giornalista, non solo di<br />

controllare l’attendibilità della fonte, ma altresì di accertare le<br />

verità della notizia, talché solo se tale obbligo sia stato scrupolosamente<br />

adempiuto, l’esimente dell’art. 51 c.p. potrà essere<br />

utilmente invocata.<br />

L’esercizio del diritto di critica giustifica l’espressione di opinioni<br />

che, in quanto tali, non è richiesto che siano rigorosamente<br />

obiettive, sempre che non si risolvano in un’aggressione all’interesse<br />

morale della persona. In tale situazione, infatti, non<br />

sarebbe configurabile l’interesse sociale alla notizia, costituente<br />

uno degli elementi integranti l’esimente.<br />

Cass. pen., sez. V, 7 <strong>aprile</strong> 1992, Melchiorre<br />

Per saperne di più<br />

BRESCIANI E., Opinioni<br />

espresse in ambito politico,<br />

lesione della reputazione e<br />

diritto di critica (nota a sent.<br />

Trib. Roma 26 marzo 1997,<br />

Selva c. De Mita e altro),<br />

Nuova Giur. Civ., 1998, I, 268<br />

CALIGIURI S., Verità <strong>dei</strong> fatti<br />

e le lotte politiche: la libertà di<br />

critica riconosciuta ai parlamentari<br />

è più ampia di quella<br />

che spetta agli altri cittadini?<br />

Nel caso in cui passi di un volume dedicato al tema della mafia<br />

(contenente, tra l’altro, la completa testimonianza di un ex<br />

aderente a “cosa nostra”) ledano profondamente l’onore e la<br />

reputazione di una persona, nella valutazione dell’esercizio<br />

del diritto di cronaca e di critica e nel conseguente bilanciamento<br />

tra i due beni costituzionalmente protetti del diritto alla<br />

libertà di manifestazione del pensiero e quello alla dignità<br />

personale, nell’attuale momento storico in cui la lotta a quel<br />

cancro sociale che è la mafia è basilare per la stessa difesa<br />

delle strutture democratiche, deve prevalere la libertà di parola;<br />

a tal fine è sufficiente che l’agente ritenga per errore involontario<br />

che i fatti narrati siano veri per configurarsi a suo favore<br />

una causa di esclusione della punibilità venendo a mancare<br />

del tutto l’elemento psicologico necessario per concretare l’esistenza<br />

del reato di diffamazione.<br />

Trib. Trento, 26 ottobre 1993, Arlacchi<br />

Il diritto alla “identità personale”, cioè il diritto di ciascuno di<br />

“essere se stesso” e di essere quindi tutelato dall’attribuzione<br />

di connotazioni estranee alla propria personalità, suscettibili di<br />

determinare la trasfigurazione o il travisamento di quest’ultima,<br />

non può implicare la pretesa di una costante corrispondenza<br />

tra la narrazione di fatti riferiti ad una determinata persona e<br />

l’idea che la medesima ha del proprio io, giacché, altrimenti,<br />

verrebbe automaticamente preclusa ogni possibilità di esercizio<br />

del legittimo diritto di critica.<br />

Cass. pen., sez. V, 16 <strong>aprile</strong> 1993, Barile, Mass. Pen. Cass.,<br />

1993, fasc. 9, 101<br />

Non trova applicazione la scriminante dell’esercizio del diritto<br />

di critica nel caso in cui oggetto della pubblicazione siano fatti<br />

non veritieri; inoltre, l’attribuzione di qualità narcisistiche ed<br />

esibizionistiche ad un magistrato, lungi dal rappresentare legittimo<br />

esercizio del diritto di critica, costituisce violazione delle<br />

più elementari regole di correttezza professionale posto che,<br />

inserita nell’economia complessiva dell’articolo, diventa lo strumento<br />

utilizzato per una lettura in chiave negativa anche dal<br />

punto di vista morale e non solo professionale della personalità<br />

del magistrato descritto (nella specie, il tribunale ha ritenuto<br />

che l’inserimento del solo nome di Felice Casson all’interno<br />

di un articolo impostato fin dalla sua apertura con un taglio<br />

gravemente denigratorio nei confronti dell’attività della magistratura<br />

in genere, induce maliziosamente ad un immediato<br />

collegamento tra la persona del giudice Casson e le notizie<br />

negative riportate nel testo, e che le espressioni utilizzate<br />

dall’articolista non potessero essere valutate come esercizio<br />

di una critica corretta e civile).<br />

Trib. Monza, 25 marzo 1994, Montanelli e altro<br />

L’uso di un linguaggio astrattamente insultante non lede il diritto<br />

alla reputazione se funzionalmente connesso con il giudizio<br />

critico manifestato, riconducibile al legittimo esercizio del diritto<br />

di critica politica.<br />

Trib. Roma, 10 febbraio 1993, De Marzio c. Fini e altro<br />

Nella ricostruzione cinematografica di un fatto di cronaca<br />

recente (nella specie: il film “Giovanni Falcone”), il pur legittimo<br />

esercizio del diritto di critica non consente all’autore dell’opera<br />

di rappresentare come realmente avvenuti episodi della vita<br />

quotidiana <strong>dei</strong> soggetti rappresentati che si rivelino lesivi <strong>dei</strong><br />

diritti della personalità di questi ultimi, stante l’impossibilità di<br />

provarne l’effettiva verificazione storica; di conseguenza, va<br />

rigettato il reclamo proposto avverso un provvedimento cautelare<br />

volto ad eliminare le scene di un’opera cinematografica<br />

aventi carattere denigratorio per il richiedente.<br />

Trib. Roma, 2 febbraio 1994, Ferrara e altro c. Geraci,<br />

Eccede i limiti del diritto di critica e di satira ed integra un illecito<br />

lesivo dell’altrui reputazione dileggiare le persone facendo riferimento<br />

alle loro non fortunate condizioni fisiche o ad eventuali<br />

carenze culturali (nel caso di specie l’offeso era stato qualificato<br />

“nano” e “uno che non ha proprio il senso di quello che dice,<br />

dell’italiano, della grammatica, di niente, è uno che apre bocca<br />

ed escono fiumi di cose che Kafka si suiciderebbe sentendole”).<br />

Trib. Roma, 5 <strong>aprile</strong> 1994, D’Ecclesia c. Magalli e altro<br />

Nell’esercizio della funzione informativa, che può essere critica<br />

oltre che notiziale, è necessario manifestare il proprio<br />

pensiero in termini sostanzialmente e formalmente corretti e<br />

adeguati al compito professionale.<br />

È lesivo della dignità professionale, alla cui tutela è chiamato<br />

l’ordine, e costituisce un abuso del magistero professionale,<br />

l’uso da parte del giornalista di espressioni inutili ed ininfluenti<br />

ai fini della manifestazione sia sostanziale che critica del<br />

proprio pensiero, espressioni che, rimarcando alcuni particolari<br />

tratti fisionomici degli appartenenti ad una determinata razza,<br />

fuoriescono dalla correttezza del linguaggio giornalistico e si<br />

presentano come disdicevoli, tanto da suscitare il risentimento<br />

della comunità di appartenenza delle persone oggetto<br />

dell’informazione.<br />

Cons. Naz. <strong>Giornalisti</strong>, 6 dicembre 1990, Panerai<br />

In tema di diffamazione a mezzo stampa il diritto di critica si<br />

differenzia da quello di cronaca essenzialmente in quanto il<br />

primo non si concretizza, come l’altro, nella narrazione di fatti,<br />

bensì nella espressione di un giudizio o, più genericamente, di<br />

un’opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente<br />

obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che<br />

essere fondata su una interpretazione, necessariamente<br />

soggettiva, di fatti e comportamenti; ne consegue che l’esercizio<br />

di un tale diritto non può trovare altro limite che non sia<br />

quello dell’interesse pubblico e sociale della critica stessa, in<br />

relazione all’idoneità delle persone e <strong>dei</strong> comportamenti criticati<br />

a richiamare su di sé una comprensibile e oggettivamente<br />

apprezzabile attenzione dell’opinione pubblica.<br />

Cass. pen., sez. V, 16 <strong>aprile</strong> 1993, Barile<br />

24 (32) ORDINE 4 <strong>2000</strong>

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