Ordine aprile 2000 - Ordine dei Giornalisti
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determinati, perché se si trascende<br />
da questo limite , non<br />
si rispetta la verità obiettiva e<br />
la competizione politica<br />
diventa un’occasione per<br />
aggredire la reputazione<br />
altrui” (Cass. 12.2.1987). Un<br />
secondo orientamento, meno<br />
rigoroso, è dell’idea che “in<br />
tema di diritto di critica appare<br />
incongruo richiamare il<br />
requisito della verità <strong>dei</strong> fatti<br />
narrati atteso che l’interpretazione<br />
soggettiva di una<br />
vicenda non può mai essere<br />
valutata secondo giudizi di<br />
esistenza ma, semmai essere<br />
ritenuta condivisibile o<br />
meno” (Cass., 27.6.1984).<br />
Un terzo orientamento, infine,<br />
reputa soddisfatto il requisito<br />
della verità della critica se il<br />
giornalista motiva la propria<br />
disapprovazione con argomentazioni<br />
logiche ed esempi<br />
concreti, ritenendo che “in<br />
materia di esercizio del diritto<br />
di critica, l’obbligo di rispettare<br />
la verità <strong>dei</strong> fatti si traduce<br />
in un richiamo all’osservanza<br />
delle regole di correttezza<br />
metodologica: in primo luogo,<br />
dovere di motivare nella<br />
maniera più scrupolosa i giudizi<br />
emessi enunciando specificatamente<br />
gli elementi di<br />
fatto che a parere del giornalista<br />
li confermano; in secondo<br />
luogo, l’obbligo di controllare<br />
attentamente che gli elementi<br />
di fatto richiamati siano<br />
conformi a quanto il giornalista<br />
conosce della realtà o<br />
che, comunque, per quanto<br />
gli consta, non possano<br />
essere confutati dall’esperienza”<br />
(Trib. Torino<br />
6.6.1991).<br />
Inoltre è possibile divulgare<br />
notizie appartenenti alla sfera<br />
privata di un uomo pubblico<br />
Non è configurabile l’esimente del diritto di critica, allorchè la<br />
critica non è lealmente riportata come tale, ma si fonda<br />
sulla sotterranea esposizione di una tesi non corrispondente<br />
al vero e comunque in nessun modo accreditabile sulla base<br />
<strong>dei</strong> dati di fatto acquisiti.<br />
Trib. Perugia, 30 settembre 1996, Scottoni e altro<br />
In tema di diffamazione a mezzo stampa, la valutazione circa<br />
il rispetto del limite di continenza nell’esercizio del diritto di critica<br />
non può prescindere dalla verifica di correlazione con i<br />
titoli, la grafica e, particolarmente, il contenuto espositivo,<br />
giacché la mera collocazione del riferimento può implicare un<br />
ulteriore significato, dotato del disvalore. (Fattispecie relativa<br />
ad annullamento per vizio di motivazione da parte della suprema<br />
Corte di sentenza nella quale il giudice di merito aveva ritenuto<br />
giustificata l’espressione “un vero boss” riferita all’assessore<br />
ai ll.pp. del Comune di Ardea sulla scorta del solo significato<br />
letterale del termine).<br />
Cass. pen., sez. V, 24 ottobre 1995, Fedele<br />
In materia di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di critica<br />
va riconosciuto nei confronti di personaggi la cui voce ed<br />
immagine abbia vasta risonanza presso la collettività<br />
grazie ai mezzi di comunicazione, anche quando si manifesti<br />
in forma penetrante e talvolta impietosa. (Fattispecie relativa<br />
alla critica delle modalità di conduzione di un programma<br />
televisivo di sport, (“Novantesimo minuto”), con la quale il<br />
presentatore era stato indicato, tra l’altro, come “ottusamente<br />
aggrappato al gobbo, macchinetta che serve ad imbrogliare i<br />
telespettatori facendo loro credere che il conduttore non stia<br />
leggendo...”). In tema di diffamazione a mezzo stampa, affinché<br />
sia riconosciuta la scriminante di cui all’art. 51 c.p., non<br />
occorre che la critica sia formulata con riferimento a precisi<br />
dati fattuali, purchè il nucleo ed il profilo essenziale di essa<br />
emergano chiaramente dalla modalità della sua estrinsecazione.<br />
(Fattispecie riguardante la trasmissione televisiva “Novantesimo<br />
minuto”, nella quale il giudizio critico era espresso con<br />
una serie di aggettivi - quali lento, confuso, approssimato,<br />
zeppo di errori - tutti riferiti al programma).<br />
Cass. pen., sez. V, 9 ottobre 1995, Montanelli<br />
Lede la memoria di defunti (senza poter essere considerato<br />
legittimo esercizio del diritto di critica storica o di espressione<br />
artistica) la pubblicazione di un romanzo (dal titolo “Il bastardo di<br />
Mautana”) in cui, con modalità conclamatamente diffamatorie e<br />
senza alcuna fedeltà a fonti storiche, sono attribuite connotazioni<br />
molto negative a personaggi facilmente identificabili in persone<br />
realmente vissute, nonostante l’uso di nomi di fantasia (nella<br />
specie, la scrittrice è stata condannata alla pena di un milione di<br />
lire di multa, al risarcimento <strong>dei</strong> danni morali nella misura di lire<br />
20.000.000, nonché al pagamento di lire 10.000.000 a titolo di<br />
riparazione pecuniaria, ex art. 121. 8 febbraio 1948 n. 47, in favore<br />
di ciascuna delle due costituite parti civili).<br />
Trib. Piacenza, 16 maggio 1997, Grasso<br />
In materia di diffamazione a mezzo stampa, per stabilire se<br />
l’autore dello scritto abbia legittimamente o meno esercitato il<br />
diritto di critica di cui all’art. 21 cost., il giudice del merito deve<br />
compiere una valutazione basata congiuntamente: a) sull’interezza<br />
dello scritto (e non su singole parti di esso); b) sulla finalità<br />
della pubblicazione; c) sull’interesse pubblico alla notizia; d)<br />
sulle modalità espressive e sul tenore sintattico.<br />
Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 1997, n. 9743, Casa<strong>dei</strong> c. Boschini<br />
La continenza sostanziale dell’esercizio del diritto di cronaca<br />
presuppone che i fatti narrati debbano corrispondere a verità,<br />
ORDINE 4 <strong>2000</strong><br />
“qualora tali comportamenti<br />
siano idonei a valere come<br />
indice di valutazione rispetto<br />
all’esercizio della funzione<br />
esplicata dal soggetto medesimo”,<br />
considerato che appare<br />
incontestabile che “la zona<br />
illuminabile attraverso la critica<br />
deve essere tanto più<br />
larga quanto è più alta la<br />
posizione pubblica della persona”<br />
(Cass. pen.<br />
23.1.1984).<br />
Parimenti la dimensione politica<br />
giustifica un minor rigore<br />
anche nella valutazione delle<br />
espressioni usate considerato<br />
che “la lotta politica rende<br />
adusi ad un linguaggio la cui<br />
scorrettezza incorrerebbe nel<br />
delitto di ingiuria o di diffamazione<br />
se una riconosciuta<br />
desensibilizzazione della sua<br />
potenzialità offensiva entrata<br />
nel costume non lo accreditasse<br />
come legittimo” (Cass.<br />
pen., 24.1.1992). Pur con<br />
questi limiti decisamente più<br />
ampi la critica non deve mai<br />
trasmodare in un attacco personale<br />
né deve avere intento<br />
denigratorio. Il che significa<br />
che l’asprezza, la vivacità<br />
della polemica e la veemenza<br />
delle espressioni possono<br />
giustificarsi tutte le volte in cui<br />
appaiano funzionali allo<br />
scopo della critica, intesa<br />
come strumento in grado di<br />
veicolare un’idea o accendere<br />
un dibattito politico.<br />
Tale difficoltà di bilanciamento<br />
e di individuazione del limite<br />
della continenza ha portato<br />
a sentenze contrastanti.<br />
Difatti, mentre è stata ritenuta<br />
un’aggressione ingiustificata<br />
alla reputazione di un personaggio<br />
politico il quale era<br />
stato definito “penoso infortunio<br />
del socialismo italiano”,<br />
personaggio noto “per la sua<br />
nullità politica” (Cass. pen.<br />
16.5.1975), in un altro caso<br />
sono state ritenute legittime<br />
espressioni quali: “un DC di<br />
razza nuova, spietato che<br />
non c’entra niente con la politica,<br />
un Khomeinista nella<br />
lotta per il potere”, che avrebbe<br />
“collaudato un modo di<br />
amministrare a metà strada<br />
tra il decisionismo e l’illegalità,<br />
come non si era mai visto<br />
finora nelle città peggio<br />
amministrate d’Italia” (Cass.<br />
pen. 2.10.1992).<br />
Critica giudiziaria<br />
Il diritto costituzionalmente<br />
garantito di libertà di critica<br />
ovviamente comprende anche<br />
il diritto di critica giudiziaria,<br />
ossia l’espressione di opinioni<br />
di dissenso e di condanna<br />
nei confronti dell’operato<br />
<strong>dei</strong> magistrati.<br />
(v. Trib. Roma, 22.11.1985)<br />
Tuttavia pur essendo incontestato<br />
che anche gli appartenenti<br />
al sistema giudiziario<br />
possano essere censurati<br />
per la loro condotta, sull’argomento<br />
la giurisprudenza<br />
ha adottato un atteggiamento<br />
molto meno liberale rispetto<br />
a quello assunto nel campo<br />
della critica politica. Si è difatti<br />
affermato che “valutandosi<br />
un provvedimento giudiziario<br />
può dimostrarsi, e non soltanto<br />
affermarsi, che il magistrato<br />
abbia ignorato fonti di<br />
prova, norme giuridiche,<br />
regole ermeneutiche (...) non<br />
si cade nell’illecito se il giudizio<br />
si presenta come necessaria<br />
conclusione di una rigorosa<br />
analisi <strong>dei</strong> fatti veri”.<br />
(Cass. pen., 24.11.1994)<br />
Un trattamento meno rigoroso<br />
viene riservato in ordine<br />
alla valutazione della sussistenza<br />
di un effettivo interesse<br />
sociale ritenendosi che<br />
nulla di ciò che un “magistrato<br />
fa o dice anche in sede privata<br />
può dirsi indifferente alla<br />
pubblica opinione, quando le<br />
cose dette o fatte siano idonee<br />
a valere come indice di<br />
valutazione rispetto all’esercizio<br />
delle sue funzioni”<br />
(Cass. pen., 23.4.1986).<br />
Quanto infine alla continenza<br />
del linguaggio sono state<br />
considerate scorrette espressioni<br />
atte ad attribuire ad un<br />
magistrato qualità narcisistiche<br />
ed esibizionistiche: ad<br />
esempio, è stato ritenuto diffamatorio<br />
un articolo dedicato<br />
al giudice Casson nel<br />
quale lo stesso veniva definito<br />
come un procuratore che<br />
“si dedica anima e corpo<br />
all’archeologia politico-giudiziaria<br />
riuscendo a vivere in<br />
pace con un arretrato di processi<br />
che schiaccia l’utente”.<br />
(Trib. Monza 25.3.1994)<br />
Critica scientifica ed artistica<br />
Il settore della critica scientifica<br />
ed artistica è quello in cui<br />
è apparso più difficile adattare<br />
i limiti elaborati per il diritto<br />
di cronaca specie con riguardo<br />
al requisito della verità del<br />
giudizio critico, il quale -<br />
basandosi da un confronto<br />
tra due teorie scientifiche a<br />
loro volta espressioni di valutazioni<br />
prettamente tecniche<br />
o, con riguardo alla critica<br />
artistica, risolvendosi in una<br />
valutazione operata sulla<br />
base di parametri storico culturali<br />
del soggetto - ben difficilmente<br />
può essere definito<br />
vero o falso.<br />
E, difatti, la Cassazione ha<br />
ritenuto incompatibile il crite-<br />
intesa come riflesso soggettivo della circostanza che non ci<br />
sia stata narrazione di fatti immaginari; la continenza formale<br />
presuppone, invece, che la narrazione di fatti debba avvenire<br />
misuratamente, ossia debba essere contenuta in spazi strettamente<br />
necessari all’esposizione; nell’ipotesi, poi, che la narrazione<br />
di fatti determinati sia esposta insieme alle opinioni di<br />
chi la compie, in modo da costituire al tempo stesso esercizio<br />
di cronaca e di critica, la valutazione della continenza sostanziale<br />
e formale non può essere condotta attraverso i soli criteri<br />
summenzionati, ma si attenua, per lasciare spazio all’interpretazione<br />
soggettiva <strong>dei</strong> fatti narrati e per svolgere le censure<br />
che si vogliono esprimere.<br />
Dal principio secondo il quale il diritto di critica non può<br />
essere esercitato se non entro i limiti fissati dalla logica<br />
concettuale e dall’ordinamento positivo, non può desumersi<br />
che la critica sia sempre vietata quando può offendere la<br />
reputazione individuale, dovendosi, invece, ricercare un bilanciamento<br />
dell’interesse individuale alla reputazione con l’interesse<br />
che non siano introdotte limitazioni alla formazione del<br />
pensiero costituzionalmente garantita; bilanciamento da individuarsi<br />
nel fatto che la critica, diversamente dalla cronaca,<br />
soggiace al limite dell’interesse pubblico o sociale ad essa<br />
attribuibile, quando si rivolge a soggetti che tengono comportamenti<br />
o svolgono attività che richiamano su di essi l’attenzione<br />
dell’opinione pubblica.<br />
La continenza sostanziale dell’esercizio del diritto di cronaca<br />
presuppone che i fatti narrati debbano corrispondere a verità,<br />
intesa come riflesso soggettivo della circostanza che non ci<br />
sia stata narrazione di fatti immaginari; la continenza formale<br />
presuppone, invece, che la narrazione <strong>dei</strong> fatti debba avvenire<br />
misuratamente, ossia debba essere contenuta in spazi strettamente<br />
necessari all’esposizione. Nell’ipotesi, poi, che la narrazione<br />
di fatti determinati sia esposta insieme alle opinioni di<br />
chi la compie, in modo da costituire al tempo stesso esercizio<br />
di cronaca e di critica, la valutazione della continenza sostanziale<br />
e formale non può essere condotta attraverso i soli criteri<br />
summenzionati, ma si attenua, per lasciare spazio all’interpretazione<br />
soggettiva <strong>dei</strong> fatti narrati e per svolgere le censure<br />
che si vogliono esprimere.<br />
Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 1996, n. 465, Ortolani c. Soc.<br />
Sperling e Kupfer ed. e altro<br />
La rievocazione televisiva dopo oltre vent’anni di un fatto di<br />
cronaca giudiziaria per sottoporlo alla riflessione critica del<br />
pubblico costituisce esercizio legittimo della libertà di manifestazione<br />
del pensiero, del diritto di critica e dello “jus narrandi”.<br />
Trib. Roma, 20 novembre 1996, Vulcano e altro c. Rai-Tv e altro<br />
In tema di diffamazione a mezzo stampa, quando il comportamento<br />
di una persona, essendo contrassegnato da ambiguità,<br />
sia suscettibile di più interpretazioni, tutte connotate in negativo<br />
sotto il profilo etico-sociale e giuridico, è scriminato dall’esercizio<br />
del diritto di cronaca e di critica il giornalista che, operando<br />
la ricostruzione di una determinata vicenda sulla scorta <strong>dei</strong> dati<br />
in suo possesso e di quelli contenuti in un provvedimento giudiziario,<br />
riconduce il comportamento ad una causale considerata<br />
dalla interessata più infamante di quella, ugualmente riprovevole<br />
e penalmente illecita, prospettata nello stesso provvedimento<br />
giudiziario. (Fattispecie relativa ad un articolo di stampa, in<br />
cui un brigadiere <strong>dei</strong> carabinieri era stato definito “in mano alla<br />
piovra campana”, per aver discreditato <strong>dei</strong> testi che collaboravano<br />
con l’autorità giudiziaria inquirente in un omicidio di<br />
camorra e per avere consegnato un memoriale contenente<br />
rivelazioni non solo al giudice istruttore, ma anche ai difensori<br />
degli imputati. La suprema Corte ha ritenuto che correttamente<br />
la corte d’appello aveva affermato l’esistenza della scriminante,<br />
rio della verità con la critica<br />
scientifica evidenziando<br />
come “il giudice non possa<br />
farsi carico di accertare la<br />
validità scientifica o meno di<br />
una certa terapia chirurgica,<br />
trattandosi di valutazioni tecniche<br />
sottratte per loro natura<br />
ad un giudizio di verità oggettiva”<br />
(Cass. 26.9.1976). Tanto<br />
premesso vediamo che condizione<br />
essenziale per la<br />
liceità della critica artistica e<br />
scientifica è che essa rimanga<br />
nei limiti del valore tecnico<br />
e non degradi in un attacco<br />
personale. In altre parole il<br />
critico d’arte deve limitarsi a<br />
valutare negativamente un’opera<br />
ed il suo autore, astenendosi<br />
però da ogni valutazione<br />
negativa sull’autore<br />
stesso in quanto uomo.<br />
(Gip Trib. Roma 23.9.1991)<br />
Critica storica<br />
La critica storica consiste in<br />
un’indagine penetrante sugli<br />
avvenimenti e sui fatti, ciò<br />
comporta che “in tema di<br />
ricerca storica o storiografica<br />
la prova della verità, come<br />
causa di giustificazione, deve<br />
essere ancora più rigorosa e<br />
più rigoroso deve essere il<br />
controllo delle fonti di prova,<br />
non potendosi fare storia con<br />
dubbi ed insinuazioni”.<br />
(Cass. pen., 27.1.1989)<br />
In questo ambito è dunque<br />
necessario provare la verità<br />
di tutte quelle circostanze<br />
che l’autore accredita quali<br />
fatti oggettivi e che vengono<br />
poi posti a fondamento delle<br />
valutazioni soggettive elaborate<br />
dall’autore. Tuttavia, data<br />
l’impossibilità di ricostruire<br />
una verità storica nella sua<br />
assoluta obiettività, ad avviso<br />
della giurisprudenza, l’indagi-<br />
ne storica per essere tale<br />
deve garantire la scientificità<br />
del metodo d’indagine e,<br />
quindi, della serietà della<br />
ricerca svolta che si realizza<br />
nella completezza del materiale<br />
raccolto, nel pluralismo<br />
delle fonti esaminate, nella<br />
cautela che impone allo storico<br />
di avvisare il lettore del<br />
grado di credibilità ed autorevolezza<br />
delle fonti esaminate<br />
e di sottolineare, se necessario,<br />
la non definitività <strong>dei</strong> risultati<br />
ai quali è la ricerca è pervenuta.<br />
(Trib. Torino 8.1.1980)<br />
Per quanto riguarda l’interesse<br />
pubblico che i fatti esaminati<br />
dallo storico devono rivestire,<br />
alla ricerca storica è<br />
riconosciuto un campo di<br />
indagine più ampio rispetto<br />
alla cronaca. Viene difatti<br />
pacificamente ammesso che<br />
per la formazione del giudizio<br />
dello storico è necessario<br />
anche la conoscenza di quei<br />
fatti che possono apparire<br />
insignificanti per l’opinione<br />
pubblica ma che, invece,<br />
possono rivestire un significato<br />
di pubblico interesse nel<br />
momento in cui vengono rivisti<br />
dal ricercatore storico.<br />
Viene inoltre ammesso che<br />
la ricostruzione storica possa<br />
spaziare sino a ricomprendere<br />
anche fatti privati <strong>dei</strong> personaggi<br />
di rilievo storico o<br />
vicende private di persone in<br />
qualche modo coinvolte in<br />
episodi storici (Pret. Roma<br />
25.5.1995). Infine, la critica<br />
storica pur non potendo esorbitare<br />
il limite della doverosa<br />
continenza può comunque<br />
essere pesantemente negativa<br />
e/o concretarsi in una<br />
espressione di dissenso vivace<br />
e tagliente.<br />
benché nell’ordinanza di rinvio a giudizio la condotta del querelante<br />
fosse attribuita non a collusione o a collateralità con le<br />
cosche camorristiche, come implicitamente significato dal giornalista,<br />
ma all’intento di screditare per ritorsione i propri superiori,<br />
che lo avevano denunciato per concussione).<br />
Cass. pen., sez. V, 16 febbraio 1995, n. 4000, Melati<br />
Costituisce esercizio del diritto di cronaca e di critica la pubblicazione<br />
di un libro contenente notizie e informazioni, diffuse<br />
negli ambienti interessati, su un imprenditore avente una posizione<br />
pubblica di grandissimo rilievo in campo economico e<br />
sociale, acquisite con una seria ricerca (su articoli di giornali,<br />
relazioni e atti di una commissione parlamentare di inchiesta,<br />
rapporti di polizia giudiziaria, atti societari depositati presso<br />
uffici pubblici, sentenze e altri atti pubblici), esposte in termini<br />
formalmente e sostanzialmente corretti (nella specie, è stato<br />
negato carattere diffamatorio a gran parte delle notizie, informazioni<br />
e valutazioni contenute nel libro “Berlusconi - Inchiesta<br />
sul signor Tv” di Giovanni Ruggeri e Mario Domenico Saulle<br />
detto Mario Guarino).<br />
Trib. Roma, 2 maggio 1995, Berlusconi c. Ruggeri e altro<br />
Va assolto dal delitto di diffamazione con la formula perché il<br />
fatto non costituisce reato, l’autore di una lettera, pubblicata in<br />
un quotidiano, nel corpo della quale si stigmatizzava il comportamento<br />
tenuto dagli amministratori di una società cooperativa<br />
di costruzioni nei confronti di un malcapitato gruppo di aspiranti<br />
acquirenti, essendo l’operato dell’estensore dello scritto<br />
riconducibile al legittimo esercizio del diritto di critica e, quindi,<br />
scriminato in quanto legittima manifestazione di pensiero esercitata<br />
nel rispetto di ben noti canoni della verità, dell’interesse<br />
sociale e della continenza.<br />
Trib.Venezia, 2 novembre 1994, Latini e altro, Foro It., 1996, II, 81<br />
La valenza diffamatoria di una espressione ha carattere relativo,<br />
essendo l’onore e la reputazione stessi valori relativi,<br />
influenzabili dall’appartenenza del soggetto passivo ad un<br />
determinato gruppo sociale, culturale o professionale. Un<br />
attentato alla sfera della reputazione soggettiva, effettuato con<br />
uno scritto giornalistico, per essere scriminato dalla ricorrenza<br />
del diritto di cronaca o critica deve presentare i caratteri dell’interesse<br />
sociale alla conoscenza della notizia, della verità <strong>dei</strong><br />
fatti e della continenza formale in sede espositiva, intesa alla<br />
stregua di correttezza del linguaggio. Travalica i limiti della<br />
continenza formale, con la conseguente inapplicabilità della<br />
scriminante in oggetto, l’attribuzione, in un articolo giornalistico,<br />
della patente di pavidità alla persona di un magistrato impegnato<br />
in processi di lotta alla mafia, tramite l’accostamento alla<br />
figura manzoniana di Don Abbondio, avendo un significato<br />
offensivo, lesivo della considerazione che un giudice deve<br />
avere nell’ambiente professionale e nel corpo sociale, che va<br />
oltre il diritto di critica, particolarmente esercitabile nell’ambito<br />
giudiziario con la manifestazione di fisiologico dissenso rispetto<br />
a determinazioni discrezionali <strong>dei</strong> magistrati, senza degenerare<br />
nel mero insulto di cui possa cogliersi solo l’aspetto<br />
dispregiativo. È peraltro configurabile l’applicabilità delle attenuanti<br />
<strong>dei</strong> motivi di particolare valore sociale o morale nel caso<br />
in cui l’espressione anzidetta sia stata dettata da ribellione<br />
morale di fronte alle disfunzioni giudiziarie ed alla volontà di<br />
fornire un contributo alla lotta alla criminalità organizzata attraverso<br />
la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e degli stessi<br />
organi giudiziari competenti.<br />
Trib. Milano, 17 dicembre 1995, Cavallaro<br />
Non è lesivo della reputazione del responsabile della gestione<br />
di un’associazione non riconosciuta il contenuto di un articolo<br />
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