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l'eroe imperfetto - Wu Ming

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disobbedienza al potere patriarcale. Il risultato ottenuto sul campo<br />

rimane lì, nel cuore della vicenda narrata, con la sua carica<br />

discriminante per le sorti collettive, e la sua problematica unicità;<br />

non c'è pacificazione finale che possa ridurne il senso.<br />

In secondo luogo, leggendo con attenzione le parole di Éowyn ci si<br />

accorge che la rinuncia alle armi e il ritorno ai panni della “Bianca<br />

Dama di Rohan” non rappresenta tanto la sconfitta delle sue<br />

ambizioni, quanto una nuova presa di coscienza. La mancata<br />

risposta alla domanda di Faramir (“…Non mi ami tu, Éowyn?”)<br />

rivela l'ininfluenza di un improbabile sentimento personale di<br />

fronte a una realizzazione ben più importante. Éowyn dichiara che<br />

diventerà una “guaritrice” e che amerà “tutto ciò che cresce e non<br />

è arido”. La decisione di non diventare una regina guerriera<br />

coincide con il rifiuto della bella morte in battaglia anelata fino a<br />

quel momento e con la rinuncia al potere di comandare, in favore<br />

della forza di guarire e curare. Nella scelta di Éowyn riecheggiano<br />

le parole che in un celebre romanzo di Christa Wolf la schiava Cilla<br />

rivolge all'amazzone Pentesilea per convincerla a non cercare la<br />

morte in guerra: “Tra uccidere e morire c'è una terza via: vivere”<br />

(C. Wolf, Cassandra, 1983).<br />

In questo modo il finale di Éowyn suggerisce una sfumatura<br />

ulteriore del messaggio veicolato dal romanzo. Se solo la rinuncia<br />

al Potere (la distruzione dell'Anello) può produrre la sconfitta del<br />

Male, così soltanto la Cura - ovvero l'atto di occuparsi della vita, di<br />

“ciò che cresce” - può sanare il mondo dalle ferite del Male stesso.<br />

Questa consapevolezza non suggella un destino specificamente<br />

femminile, ma colloca Éowyn sul traguardo finale accanto al<br />

giardiniere Sam Gamgee, il trionfatore morale e materiale della<br />

storia.<br />

Entrambi i personaggi si trasformano nel corso della vicenda - l'uno<br />

gradualmente, l'altra in modo repentino - scoprendo per se stessi<br />

un destino assai diverso da quello che immaginavano all'inizio.<br />

Entrambi finiscono per sabotare le aspettative generate dal<br />

modello eroico dominante, indicando la possibilità di un eroismo<br />

diverso, solo apparentemente “debole”, che senza escludere il<br />

sacrificio per il bene comune, contrappone al fascino della morte il<br />

legame irrinunciabile alla vita, agli affetti, alla natura.<br />

E' una versione dell'eroismo più antica di quella monolitica virile, in<br />

grado non solo di tenere in massimo conto l'ascendente femminile e<br />

la sua inesauribile forza, ma soprattutto di comprendere il<br />

cambiamento, la trasformazione di sé come strumento<br />

indispensabile al compimento dell'impresa, quindi all'evoluzione<br />

umana.<br />

“Sembra che il nocciolo del mito della Dea sia questo: a nessuno è<br />

permesso di rimanere a lungo quello che è. Questa è la circostanza<br />

che fa sì che il mondo si muova in avanti come creazione continua”<br />

(H. Zimmer, op. cit).

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