l'eroe imperfetto - Wu Ming

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17.06.2013 Views

anche se le visioni non fossero state esclusivamente ingannevoli illusioni. Il piccolo giardino di un libero giardiniere era tutto ciò di cui aveva bisogno, e non un giardino ingigantito alle dimensioni di un reame; aveva bisogno di adoperare le proprie mani, e non di comandare le mani altrui. (Il Ritorno del Re, libro II, cap. I) A Sam non importa nulla dell'onore né degli onori. Tanto meno gli interessa emergere come sovrano illuminato di un reame a venire che riecheggi i fasti del passato; sorte che toccherà invece ad Aragorn e che lui accetterà con cautela, consapevole dei rischi e dei limiti impliciti. Ancora più importante è il secondo elemento che tiene lontana la disperazione. C'è un momento particolare, quando Sam crede di avere perso per sempre Frodo, in cui si siede sconsolato e inizia a rimembrare casa. Mormora “vecchie filastrocche infantili della Contea” e canzoni che evocano “eteree visioni della sua terra nativa”. Piano piano la memoria gli ridona speranza e il suo canto diventa più convinto, chiamando in causa il rigoglio della natura e le “elfiche stelle”. Ecco come ritrova il coraggio Sam, che ormai si avvia a diventare l'eroe indiscusso del romanzo: grazie al ricordo del bene. Un'idea che riecheggia le parole di Tecmessa ad Aiace: ...un uomo non deve dimenticare la dolcezza che ha ricevuto. Il bene genera il bene, sempre, e colui che non conserva il ricordo di quel bene non può essere definito un uomo nobile. E' questa nobiltà al femminile - o saggezza lunare - che si ritrova in Sam, strettamente connessa all'idea del ritorno (“La speranza non aveva mai abbandonato a lungo il suo cuore ottimista, sempre volto al ritorno”). Sam piange di commozione quando deve abbandonare i propri utensili da cucina, perché pensa al sapore dei cibi; si sofferma a ricordare i bagni d'estate e la piacevole visione di Rosie Cotton (sua futura moglie) nella luce del sole; quanto più le possibilità di ritornare vivo dall'impresa si assottigliano, tanto più i suoi pensieri si rivolgono al padre (il Gaffiere), alla Contea, agli Elfi, alle cose belle che ha lasciato dietro di sé. Per Sam vale davvero quanto scriveva Emilia Lodigiani: “più che l'astratto richiamo del male, [gli hobbit] sentono il concreto richiamo della vita: nel cuore della Terra nemica, putrida di corruzione ed esalante disperazione, sono capaci di sognare di 'sedere accanto a un muro assolato, raccontando le avventure vissute, ridendo delle antiche pene', fumando 'erba-pipa' o mangiando focacce, mai dimentichi, davanti alla tentazione, del dolce piacere del vivere, dell'atavica gioia legata alla terra e alla natura”. (E. Lodigiani, Invito alla lettura di

Tolkien, 1982). Tutto ciò vale sempre meno per Frodo che, sottoposto al potere schiacciante dell'Anello, non riesce a ricordare più nulla: Né il sapore del cibo, né il gusto dell'acqua, né il rumore del vento, né il ricordo d'erba, albero o fiore, né l'immagine della luna e delle stelle sopravvivono in me. (Il Ritorno del Re, libro II, cap. III) Questa inibizione segna la sua sconfitta. “Frodo in realtà fallisce come 'eroe'” (J.R.R.Tolkien, lettera 246, 1963), all'ultimo passo viene sopraffatto dal Potere, cede alla propria metà oscura, tenendo per sé l'Anello. Poco importa che appena un attimo dopo l'Anello gli venga provvidenzialmente strappato da Gollum e con lui cada nel baratro dove viene distrutto; una volta valicato il confine dell'Ombra non è più possibile un pieno ritorno a se stessi: Non esiste un vero ritorno. Anche tornato nella Contea, non mi parrà più la stessa, perché io sono cambiato. Dove troverò riposo? (Il Ritorno del Re, libro II, cap. VII) La risposta è ancora una volta fornita da un personaggio femminile, l'elfa Arwen che intercede in favore di Frodo e gli lascia il proprio posto sull'ultima nave in partenza verso il reame beato. E' il caso di sottolineare che non si tratta più di un luogo geografico, ma dell'Aldilà edenico dei Valar, dove Frodo potrà forse trovare la pace di cui ha bisogno. Il chiasmo di destino tra i due hobbit giunge al definitivo compimento. Se infatti l'oggetto magico che è servito a dischiudere le porte del mondo dell'Ombra resta tra le mani di chi parte, il secondo dono di Galadriel, custodito per tutto il corso della lunga avventura in una scatolina, rimane a Sam. Con quella terra Sam fa rifiorire il proprio giardino e in senso lato l'intera Contea. Il servitore che si è affrancato, diventando pari e addirittura superiore al suo padrone - secondo un'evidente visione cristiana -, l'umile che si è dimostrato più eroico di chiunque altro, eredita la terra, pianta i semi, ha dei figli, diventa Sindaco, referente della comunità, perfino custode della memoria e del racconto dell'impresa. Se “l'ultimo compito dell'eroe è il ritorno” e “il premio che reca ristora il mondo” (J. Campbell, op. cit., cap. IV-1), allora il capitolo finale del Signore degli Anelli, e finanche la battuta con cui si chiude - “Sono tornato” - non lasciano margine a dubbi. E' Sam, a tutti gli effetti, l'eroe che riporta indietro la vita dalla morte.

anche se le visioni non fossero state esclusivamente ingannevoli<br />

illusioni. Il piccolo giardino di un libero giardiniere era tutto ciò di<br />

cui aveva bisogno, e non un giardino ingigantito alle dimensioni di<br />

un reame; aveva bisogno di adoperare le proprie mani, e non di<br />

comandare le mani altrui.<br />

(Il Ritorno del Re, libro II, cap. I)<br />

A Sam non importa nulla dell'onore né degli onori. Tanto meno gli<br />

interessa emergere come sovrano illuminato di un reame a venire<br />

che riecheggi i fasti del passato; sorte che toccherà invece ad<br />

Aragorn e che lui accetterà con cautela, consapevole dei rischi e<br />

dei limiti impliciti.<br />

Ancora più importante è il secondo elemento che tiene lontana la<br />

disperazione.<br />

C'è un momento particolare, quando Sam crede di avere perso per<br />

sempre Frodo, in cui si siede sconsolato e inizia a rimembrare casa.<br />

Mormora “vecchie filastrocche infantili della Contea” e canzoni che<br />

evocano “eteree visioni della sua terra nativa”. Piano piano la<br />

memoria gli ridona speranza e il suo canto diventa più convinto,<br />

chiamando in causa il rigoglio della natura e le “elfiche stelle”.<br />

Ecco come ritrova il coraggio Sam, che ormai si avvia a diventare<br />

<strong>l'eroe</strong> indiscusso del romanzo: grazie al ricordo del bene. Un'idea<br />

che riecheggia le parole di Tecmessa ad Aiace:<br />

...un uomo non deve<br />

dimenticare la dolcezza che ha ricevuto.<br />

Il bene genera il bene, sempre, e colui<br />

che non conserva il ricordo di quel bene<br />

non può essere definito un uomo nobile.<br />

E' questa nobiltà al femminile - o saggezza lunare - che si ritrova in<br />

Sam, strettamente connessa all'idea del ritorno (“La speranza non<br />

aveva mai abbandonato a lungo il suo cuore ottimista, sempre volto<br />

al ritorno”).<br />

Sam piange di commozione quando deve abbandonare i propri<br />

utensili da cucina, perché pensa al sapore dei cibi; si sofferma a<br />

ricordare i bagni d'estate e la piacevole visione di Rosie Cotton (sua<br />

futura moglie) nella luce del sole; quanto più le possibilità di<br />

ritornare vivo dall'impresa si assottigliano, tanto più i suoi pensieri<br />

si rivolgono al padre (il Gaffiere), alla Contea, agli Elfi, alle cose<br />

belle che ha lasciato dietro di sé. Per Sam vale davvero quanto<br />

scriveva Emilia Lodigiani: “più che l'astratto richiamo del male, [gli<br />

hobbit] sentono il concreto richiamo della vita: nel cuore della<br />

Terra nemica, putrida di corruzione ed esalante disperazione, sono<br />

capaci di sognare di 'sedere accanto a un muro assolato,<br />

raccontando le avventure vissute, ridendo delle antiche pene',<br />

fumando 'erba-pipa' o mangiando focacce, mai dimentichi, davanti<br />

alla tentazione, del dolce piacere del vivere, dell'atavica gioia<br />

legata alla terra e alla natura”. (E. Lodigiani, Invito alla lettura di

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