l'eroe imperfetto - Wu Ming

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17.06.2013 Views

Terza parte: Grazia 9. La Figlia della Donna del Fiume Non c'è niente di più efficace dell'attraversamento di un fiume per evocare il passaggio nel mondo capovolto. Lo stesso ingresso nell'Ade avviene traghettando oltre l'Acheronte, come tocca in sorte a Ercole, Teseo, Orfeo, Enea, nonché all'io narrante della Divina Commedia. E' precisamente attraversando un fiume che nel capitolo V del primo libro del Signore degli Anelli gli hobbit protagonisti del romanzo entrano nei territori in cui si svolgerà la loro grande avventura. Sono questi gli eroi che ci accingiamo a seguire per concludere l'esercizio di lettura condotto fin qui. L'ultima tappa di questo excursus infatti è l'opera più celebre di J.R.R. Tolkien, pubblicata tra il 1954 e il 1955. Nella grande complessità e varietà di temi che caratterizza questo romanzo non è difficile rintracciare quello che ci interessa, e che serpeggia tra le sue pagine. Per farlo è sufficiente mettere da parte le letture allegoriche, per concentrarsi invece sull'eredità poetica che il testo riceve dalla tradizione letteraria. In questo modo si scopre che i protagonisti del romanzo compiono la loro impresa sotto l'egida della Dea, la quale non manca di manifestarsi nel suo triplice aspetto: “la vergine dell'aria, la ninfa della terra e la vegliarda del mondo sotterraneo, personificate rispettivamente da Selene, Afrodite ed Ecate” (R. Graves, Introduzione a I Miti Greci, 1955). Il primo momento sul quale soffermarsi è appunto il passaggio oltre il Brandivino (Brandywine), l'antico confine naturale della Contea. In questo modo i quattro hobbit protagonisti lasciano i luoghi conosciuti per spingersi verso l'ignoto. Sull'altra sponda del fiume li attende un secondo attraversamento, quello di una foresta oscura e vetusta, eppure assolutamente viva. Se il passaggio sull'acqua ha dunque un valore simbolico, la Vecchia Foresta rappresenta il vero punto d'ingresso, la prima delle prove che i nostri eroi dovranno superare nella loro lunga quest. La selva è un labirinto inospitale: un fitto intrico di rami, nel quale nemmeno il vento riesce a insinuarsi. Gli hobbit percepiscono l'avversità degli alberi come se questi fossero esseri senzienti (e lo sono); cercano perfino di comunicare con loro, dichiarando di non avere cattive intenzioni, ma ricevono in risposta soltanto un silenzio ostile. In mezzo alla Vecchia Foresta scorre un affluente del Brandivino, un fiume più piccolo e molto più inquietante: il Sinuosalice (Withywindle).

Dicono che la valle del Sinuosalice sia il luogo più strano e misterioso dell'intero bosco, addirittura il nucleo dal quale proviene e si sviluppa tutto il mistero. (La Compagnia dell'Anello, libro I, cap.VI) Nonostante gli hobbit cerchino di tenersi alla larga dal fondovalle, la foresta sembra spingerli proprio verso il corso del fiume, facendosi più fitta e impenetrabile ogni volta che tentano di cambiare direzione e rendendo invece più agevole il sentiero che porta all'acqua. E' evidente che gli alberi ordiscono una trappola mortale, conducendo gli eroi verso il fulcro del potere che risiede in quel luogo da tempo immemorabile. Così la comitiva viene lentamente sospinta fino al corso del Sinuosalice: […] un fiume marrone scuro, fiancheggiato da antichi salici, ricoperto da salici, ostruito da salici caduti e macchiato da migliaia di foglie di salice sbiadite. L'aria ne era satura ed esse volteggiavano gialle tra i rami, trasportate da una dolce brezza tiepida che spirava nella valle, dove le canne frusciavano e i rami dei salici scricchiolavano. (Ibidem) Nel giro di poche righe, la parola “salice” ricorre cinque volte. La ripetizione suona come un avvertimento: si è giunti in un luogo molto particolare. Nella tradizione folklorica e nella mitologia il salice è un albero inferico, sacro alla Dea. “Nell'antichità il salice era generalmente considerato malefico, essendo votato a Ecate, la dea-luna. Inizialmente benigna, perché dava agli uomini la ricchezza, vegliava sulla prosperità degli armenti e presiedeva alla navigazione, Ecate divenne temibile dal giorno in cui, colpevole di impurità, fu precipitata agli Inferi e diventò Signora degli incantesimi” (Jacques Brosse, Storie e leggende degli alberi, 1987). Le parole inglesi willow (salice) e withe (vimini) condividono la propria radice con witch, strega, e si connettono all'acqua e alla luna. “Le legature di vimini della scopa delle streghe inglesi le votava a Ecate, che esse invocavano. Come dea infernale, questa aveva potere sulle acque sotterranee e, come divinità lunare, si presumeva dispensasse la rugiada e l'umidità nelle campagne” (ibidem). Questa triade di elementi - acqua, luna, salice - segnala la presenza in fondo al fiume della Dea esiliata, anche se in questo caso uno soltanto dei suoi tre volti apparirà manifestamente. Gli hobbit cadono nella trappola del Vecchio Uomo Salice, un albero maligno che dopo averli intorpiditi, cerca di affogarli o stritolarli con le sue radici, e letteralmente di inghiottirli. Solo un aiuto provvidenziale salva i piccoli eroi dalla sorte

Terza parte: Grazia<br />

9. La Figlia della Donna del Fiume<br />

Non c'è niente di più efficace dell'attraversamento di un fiume per<br />

evocare il passaggio nel mondo capovolto. Lo stesso ingresso<br />

nell'Ade avviene traghettando oltre l'Acheronte, come tocca in<br />

sorte a Ercole, Teseo, Orfeo, Enea, nonché all'io narrante della<br />

Divina Commedia.<br />

E' precisamente attraversando un fiume che nel capitolo V del<br />

primo libro del Signore degli Anelli gli hobbit protagonisti del<br />

romanzo entrano nei territori in cui si svolgerà la loro grande<br />

avventura.<br />

Sono questi gli eroi che ci accingiamo a seguire per concludere<br />

l'esercizio di lettura condotto fin qui. L'ultima tappa di questo<br />

excursus infatti è l'opera più celebre di J.R.R. Tolkien, pubblicata<br />

tra il 1954 e il 1955.<br />

Nella grande complessità e varietà di temi che caratterizza questo<br />

romanzo non è difficile rintracciare quello che ci interessa, e che<br />

serpeggia tra le sue pagine. Per farlo è sufficiente mettere da parte<br />

le letture allegoriche, per concentrarsi invece sull'eredità poetica<br />

che il testo riceve dalla tradizione letteraria. In questo modo si<br />

scopre che i protagonisti del romanzo compiono la loro impresa<br />

sotto l'egida della Dea, la quale non manca di manifestarsi nel suo<br />

triplice aspetto: “la vergine dell'aria, la ninfa della terra e la<br />

vegliarda del mondo sotterraneo, personificate rispettivamente da<br />

Selene, Afrodite ed Ecate” (R. Graves, Introduzione a I Miti Greci,<br />

1955).<br />

Il primo momento sul quale soffermarsi è appunto il passaggio oltre<br />

il Brandivino (Brandywine), l'antico confine naturale della Contea.<br />

In questo modo i quattro hobbit protagonisti lasciano i luoghi<br />

conosciuti per spingersi verso l'ignoto. Sull'altra sponda del fiume li<br />

attende un secondo attraversamento, quello di una foresta oscura e<br />

vetusta, eppure assolutamente viva. Se il passaggio sull'acqua ha<br />

dunque un valore simbolico, la Vecchia Foresta rappresenta il vero<br />

punto d'ingresso, la prima delle prove che i nostri eroi dovranno<br />

superare nella loro lunga quest.<br />

La selva è un labirinto inospitale: un fitto intrico di rami, nel quale<br />

nemmeno il vento riesce a insinuarsi. Gli hobbit percepiscono<br />

l'avversità degli alberi come se questi fossero esseri senzienti (e lo<br />

sono); cercano perfino di comunicare con loro, dichiarando di non<br />

avere cattive intenzioni, ma ricevono in risposta soltanto un silenzio<br />

ostile.<br />

In mezzo alla Vecchia Foresta scorre un affluente del Brandivino,<br />

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