l'eroe imperfetto - Wu Ming
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momento critico della vicenda, è a lei che il cavaliere chiede la forza per superare le prove. Prove somministrate da un'astuta strega tentatrice in rappresentanza di una lunga genealogia femminile, come vedremo. Torniamo alle scene finali del poema. La reazione di Galvano al disvelamento dell'inganno è rabbiosa e sopra le righe. Rifiuta l'invito del Cavaliere Verde di tornare al castello e riconciliarsi con la sua sposa e invia invece un saluto stizzito: Raccomandatemi a vostra moglie, la bella cortese, lei e quell'altra, mie signore onorate, che il lor cavaliere hanno con così abile astuzia ingannato. (2411-2414) E' interessante notare che Galvano si premunisce di mandare a salutare anche la vecchia megera che aveva visto accompagnare la bella dama alla sua prima apparizione. Galvano ha intuito che l'anziana donna è parte in causa nell'intrigo e infatti il Cavaliere Verde gli rivelerà trattarsi della Fata Morgana, la vera mente del raggiro. Dopodiché il campione di Artù ha un temporaneo cedimento, che lo porta ad auto-assolversi e a pronunciare un'invettiva contro il genere femminile. Galvano afferma che non è strano per un uomo impazzire e lasciarsi circuire dalle donne di cui si innamora. Così è capitato ad Adamo, Salomone, Sansone e Davide. Se questi furono vinti dalle arti di donne, sarebbe gran gioia amarle e mai credere loro, se uno potesse. Ché furono essi in antico i più nobili favoriti dalla fortuna su tutti coloro che sotto il cielo hanno avuto pensiero. E furono tutti ingannati da donne che usavano. Se dunque sono ora ingannato dovrei essere, penso, scusato. (2420-2428) La derivazione cristiana di questo passaggio è evidente fin dai personaggi chiamati in causa, tutti presi dalla Bibbia. Il riferimento è chiaramente alla responsabilità di Eva nel peccato originale, secondo uno schema reiterato dalle sue discendenti, come Betsabea e Dalila. Qui il poeta ha bisogno di stigmatizzare la perniciosità intrinseca al genere femminile e di contrapporla implicitamente all'immagine di purezza rappresentata dalla Santa Vergine. Si tratta cioè di condannare uno dei volti della Dea e di
esaltarne un altro, già inserito nella mitologia patriarcale cristiana. L'eroe viene messo in mezzo a due estremi che sono invece aspetti della stessa natura. Tuttavia, proprio mentre attua questa scissione, l'anonimo poeta finisce per confermare la funzione centrale e moralmente rilevante della dea-strega. Dopo la pesante caduta di stile infatti, Galvano si affretta a riportare su di sé la colpa e a confermare che d'ora in poi indosserà sempre la cintura verde: Così quando l'orgoglio mi pungerà per prodezza nell'armi, umilierà il mio cuore guardare questo laccio d'amore. (2435-2438) La cintura della Dea diventa un anti-talismano, in grado di bilanciare gli eccessi dell'eroe. Attraverso la sfida lanciata all'orgoglio virile, la Dea ha somministrato al campione, e alla Tavola Rotonda tutta, una dura lezione di umiltà, che Galvano dimostra di avere appreso. Questo è detto chiaramente nelle ultime battute tra i due cavalieri. Prima di andarsene Galvano chiede al Cavaliere Verde di rivelargli il suo nome e l'uomo afferma di chiamarsi Bertilak de Hautdesert, e di essere al servizio della fata Morgana, sorellastra di Artù, che vive nel suo castello: Morgana la dea [Morgne þe goddes] dunque è il suo nome. Nessuno ha tanto orgoglio che ella non possa umiliare. Lei m'inviò in questa guisa alla vostra nobile sala, a provare l'orgoglio, se era vero quel che si dice della gran rinomanza della Tavola Rotonda. (2452-2459) Nonostante sia stato ingannato e messo in ridicolo, nonostante si senta ferito nell'amor proprio e portatore di una macchia indelebile, non ci sono dubbi che Galvano ha superato la prova, ha avuto successo. Per questo può tornare alla corte di Artù ed essere accolto con tutti gli onori. Il suo racconto e la confessione della propria mancanza, suscitano in Artù una risata liberatoria. Da quel momento, per disposizione del re, tutti i cavalieri della Tavola Rotonda porteranno a tracolla un drappo verde, in onore di Galvano. La trasformazione della cintura in blasone contiene un messaggio a chiave profondo, che Galvano ha inciso nella carne. Quel nastro ostentato è un memento della fallibilità dell'eroe. “Quella macchia […] rimane, sul piano individuale, il segno
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esaltarne un altro, già inserito nella mitologia patriarcale cristiana.<br />
L'eroe viene messo in mezzo a due estremi che sono invece aspetti<br />
della stessa natura.<br />
Tuttavia, proprio mentre attua questa scissione, l'anonimo poeta<br />
finisce per confermare la funzione centrale e moralmente rilevante<br />
della dea-strega.<br />
Dopo la pesante caduta di stile infatti, Galvano si affretta a<br />
riportare su di sé la colpa e a confermare che d'ora in poi indosserà<br />
sempre la cintura verde:<br />
Così quando l'orgoglio mi pungerà<br />
per prodezza nell'armi,<br />
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questo laccio d'amore.<br />
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La cintura della Dea diventa un anti-talismano, in grado di<br />
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Tavola Rotonda tutta, una dura lezione di umiltà, che Galvano<br />
dimostra di avere appreso. Questo è detto chiaramente nelle ultime<br />
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Lei m'inviò in questa guisa<br />
alla vostra nobile sala,<br />
a provare l'orgoglio, se era vero quel che si dice<br />
della gran rinomanza della Tavola Rotonda.<br />
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Nonostante sia stato ingannato e messo in ridicolo, nonostante si<br />
senta ferito nell'amor proprio e portatore di una macchia<br />
indelebile, non ci sono dubbi che Galvano ha superato la prova, ha<br />
avuto successo. Per questo può tornare alla corte di Artù ed essere<br />
accolto con tutti gli onori. Il suo racconto e la confessione della<br />
propria mancanza, suscitano in Artù una risata liberatoria. Da quel<br />
momento, per disposizione del re, tutti i cavalieri della Tavola<br />
Rotonda porteranno a tracolla un drappo verde, in onore di<br />
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La trasformazione della cintura in blasone contiene un messaggio a<br />
chiave profondo, che Galvano ha inciso nella carne. Quel nastro<br />
ostentato è un memento della fallibilità del<strong>l'eroe</strong>.<br />
“Quella macchia […] rimane, sul piano individuale, il segno