l'eroe imperfetto - Wu Ming

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17.06.2013 Views

facendogli credere che le mandrie fossero schiere di guerrieri greci. Convinto di avere l'appoggio di Atena, Aiace si è macchiato di un grave crimine: ha distrutto il bottino di guerra e sparso invano il sangue delle bestie. “La testa coperta di sudore, le braccia insanguinate” (vv. 9-10), la spada grondante in pugno, Aiace entra in scena come un folle angelo sterminatore. E' Atena a chiamarlo fuori dalla sua tenda, affinché Odisseo possa vedere come si è ridotto il suo avversario, il grande guerriero, e possa ridere di lui. “Ridere dei nemici, non è la cosa più bella?”, chiede la dea al suo protetto, che invece prova piuttosto un compassionevole timore. Atena vuole ridicolizzare Aiace, distruggerlo definitivamente. La crudele intervista che la dea gli rivolge ai versi 91-117 non è altro che la messa alla berlina di un pazzo, convinto di avere ucciso gli Atridi e di avere Odisseo legato nella propria tenda, pronto per essere torturato a morte. La crudeltà di Atena è motivata nei versi seguenti: si tratta di una lezione esemplare a uso dello stesso Odisseo e che lui dimostra di avere colto perfettamente. Non bisogna mai peccare di hybris contro gli dei, sentirsi invincibili o intoccabili, perché le sorti umane sono incerte e spesso alterne, e gli dèi non perdonano la superbia. “Gli dèi amano i saggi, odiano i malvagi” (vv.131-132). Da questo passo della tragedia i commentatori traggono una chiave di lettura consolidata. Aiace ha commesso il peccato di considerarsi il migliore di tutti, pretendendo di essere riconosciuto come tale. Quando ciò non è avvenuto, ha gridato al complotto, si è ribellato all'ordine umano, ha attentato alla vita dei re, ha brandito la spada contro i suoi stessi compagni d'armi. La sua empietà è evidente e per questo deve pagare. Mentre la voce della follia di Aiace si diffonde per l'accampamento greco, il guerriero torna poco a poco in sé e si rende conto di ciò che ha fatto. Capisce che la sua fama e il suo onore sono distrutti per sempre. [AIACE:] Guarda l'eroe fiero e coraggioso che non tremava nelle battaglie ardenti, il guerriero dalle mani tremende - contro queste bestie innocue! Ahimè che derisione, quale oltraggio! (364-367) Sopraffatto dal disonore e dall'idea che gli Atridi stiano ridendo di lui, Aiace medita il suicidio. La moglie Tecmessa lo supplica di pensare a lei, che in quanto prigioniera troiana, una volta vedova diverrebbe schiava di uno degli odiati capi Achei; al figlio, che rimarrebbe orfano di padre; agli anziani genitori, che non avrebbero sostegno né consolazione negli ultimi anni di vita. La donna prefigura il triste destino che toccherà in sorte a tutti loro se

il marito si ucciderà. Adesso è il turno di Aiace di ordire inganni. Con parole sibilline tranquillizza la moglie e il figlio, mostra rassegnazione e accettazione del proprio destino, dichiara che compirà i dovuti sacrifici per placare gli dèi, ma intanto pianifica il futuro di tutti in propria assenza. Poi annuncia che intende recarsi nel bosco a seppellire la propria spada disonorata e si allontana. La verità è che le ragioni dei congiunti e dei deboli, le ragioni di donne, vecchi e bambini, non hanno scalfito il peso schiacciante del ridicolo, l'onta del disonore, la perdita del primato guerriero. Un'esistenza post-eroica, in cui Aiace anziano debba contemplare la propria icona giovanile scoprendovi una macchia, un angolo appannato, è una prospettiva per lui inaccettabile. “Vivere bene o morire bene, questo è il dovere dell'uomo nobile” (vv. 479-480). Non esiste altra scelta, l'eroe non può sopravvivere a se stesso. A nulla vale l'appello disperato della moglie, che racchiude un'idea di nobiltà ben diversa: [TECMESSA:] Ricordati di me: un uomo non deve dimenticare la dolcezza che ha ricevuto. Il bene genera il bene, sempre, e colui che non conserva il ricordo di quel bene non può essere definito un uomo nobile. (519-524) Aiace Telamonio, ultimo esponente di una razza guerriera ormai estinta, si apparta nel bosco e interrata l'impugnatura della spada, si getta sulla punta acuminata, con un gesto molto simile a quello di un samurai. E' interessante notare che la spada in questione è anch'essa un trofeo di guerra, cioè nientemeno che l'arma di Ettore, il quale compie così una vendetta postuma sull'erede putativo del proprio assassino Achille. Aiace esce di scena, ovvero vi resta in forma di cadavere, ancora ingombrante, ancora oggetto di contesa. L'ultima parte della tragedia vede lo scontro tra il fratello di Aiace e i due Atridi per le spoglie dell'eroe, secondo una dialettica tra pietas e potere che diverrà poi il tema centrale dell'Antigone. Alla fine sarà l'intervento dirimente e pacificatore di Odisseo, l'uomo nuovo, di grande buon senso oltre che di grande acume politico, a ricomporre il conflitto e il quadro sociale, consentendo ai Greci di seppellire i propri eroi e passare oltre. 2. Il tema nascosto

facendogli credere che le mandrie fossero schiere di guerrieri<br />

greci.<br />

Convinto di avere l'appoggio di Atena, Aiace si è macchiato di un<br />

grave crimine: ha distrutto il bottino di guerra e sparso invano il<br />

sangue delle bestie.<br />

“La testa coperta di sudore, le braccia insanguinate” (vv. 9-10), la<br />

spada grondante in pugno, Aiace entra in scena come un folle<br />

angelo sterminatore. E' Atena a chiamarlo fuori dalla sua tenda,<br />

affinché Odisseo possa vedere come si è ridotto il suo avversario, il<br />

grande guerriero, e possa ridere di lui. “Ridere dei nemici, non è la<br />

cosa più bella?”, chiede la dea al suo protetto, che invece prova<br />

piuttosto un compassionevole timore. Atena vuole ridicolizzare<br />

Aiace, distruggerlo definitivamente. La crudele intervista che la<br />

dea gli rivolge ai versi 91-117 non è altro che la messa alla berlina<br />

di un pazzo, convinto di avere ucciso gli Atridi e di avere Odisseo<br />

legato nella propria tenda, pronto per essere torturato a morte.<br />

La crudeltà di Atena è motivata nei versi seguenti: si tratta di una<br />

lezione esemplare a uso dello stesso Odisseo e che lui dimostra di<br />

avere colto perfettamente. Non bisogna mai peccare di hybris<br />

contro gli dei, sentirsi invincibili o intoccabili, perché le sorti<br />

umane sono incerte e spesso alterne, e gli dèi non perdonano la<br />

superbia. “Gli dèi amano i saggi, odiano i malvagi” (vv.131-132).<br />

Da questo passo della tragedia i commentatori traggono una chiave<br />

di lettura consolidata.<br />

Aiace ha commesso il peccato di considerarsi il migliore di tutti,<br />

pretendendo di essere riconosciuto come tale. Quando ciò non è<br />

avvenuto, ha gridato al complotto, si è ribellato all'ordine umano,<br />

ha attentato alla vita dei re, ha brandito la spada contro i suoi<br />

stessi compagni d'armi. La sua empietà è evidente e per questo<br />

deve pagare.<br />

Mentre la voce della follia di Aiace si diffonde per l'accampamento<br />

greco, il guerriero torna poco a poco in sé e si rende conto di ciò<br />

che ha fatto. Capisce che la sua fama e il suo onore sono distrutti<br />

per sempre.<br />

[AIACE:] Guarda <strong>l'eroe</strong> fiero e coraggioso<br />

che non tremava nelle battaglie ardenti,<br />

il guerriero dalle mani tremende -<br />

contro queste bestie innocue!<br />

Ahimè che derisione, quale oltraggio!<br />

(364-367)<br />

Sopraffatto dal disonore e dall'idea che gli Atridi stiano ridendo di<br />

lui, Aiace medita il suicidio. La moglie Tecmessa lo supplica di<br />

pensare a lei, che in quanto prigioniera troiana, una volta vedova<br />

diverrebbe schiava di uno degli odiati capi Achei; al figlio, che<br />

rimarrebbe orfano di padre; agli anziani genitori, che non<br />

avrebbero sostegno né consolazione negli ultimi anni di vita. La<br />

donna prefigura il triste destino che toccherà in sorte a tutti loro se

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