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FUSCALDO DEF.pdf - Centro di Lessicologia e Toponomastica ...

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L’alta costa tirrenica cosentina.<br />

Un assetto macro- e micro-<strong>di</strong>alettale, un ambiente ed una storia calabrese particolare (Cetraro,<br />

Fuscaldo, Paola-Amantea).<br />

0.1. Brevi considerazioni storiche.<br />

Non è nostro compito illustrare in questa sede la lontana storia linguistica e culturale della Calabria,<br />

bensì mettere brevemente in mostra quelle forze socio-culturali congiunte degli ultimi 2200 anni<br />

che hanno contribuito maggiormente a creare le macro- e micro-aree <strong>di</strong>alettali e culturali <strong>di</strong> cui<br />

volevamo interessarci in queste giornate <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, con particolare attenzione data alla storia<br />

tardome<strong>di</strong>oevale e alle <strong>di</strong>visioni e peculiarità <strong>di</strong>alettali degli ultimi secoli e d’oggi. Volessimo<br />

tracciare una storia più ampia saremmo obbligati ad intraprendere uno stu<strong>di</strong>o puntuale <strong>di</strong> quelle<br />

iscrizioni che potremmo forse chiamare enotre o, per interpretare questa parola densa d’ideologia<br />

etnica, paleo-italiche, o ad<strong>di</strong>rittura paleo-osche, dalle aggiunte meri<strong>di</strong>onali alle iscrizioni italiche <strong>di</strong><br />

Vetter da parte <strong>di</strong> Paolo Poccetti in poi. A queste si aggiungono poi la lunga iscrizione <strong>di</strong> Tortora-<br />

Aieta (Lazzarini-Poccetti 2001) e le nuove scoperte <strong>di</strong> Crimisa, le lamine bilingui commentate dagli<br />

stessi Lazzarini e Poccetti. Queste iscrizioni, o testimonianze paleoitaliche, andrebbero connesse<br />

alle iscrizioni <strong>di</strong> Vibo, <strong>di</strong> Tiriolo, <strong>di</strong> altri luoghi ancora, quali l’iscrizione paleoitalica <strong>di</strong> Mendolito<br />

(Adrano, Sicilia, della seconda metà del VI sec. a. C.) commentata in Agostiniani 1984-85, ed alla<br />

lunga iscrizione <strong>di</strong> Rossano del Vaglio (Potenza 1 ) verso la fine della Seconda Guerra Civile, quando<br />

ormai le popolazioni brettiche si stanno definitivamente latinizzando. Così il percorso dell’osco<br />

locale della Calabria andrebbe stu<strong>di</strong>ato in modo approfon<strong>di</strong>to. Un confronto andrebbe poi fatto con<br />

l’estensione e la <strong>di</strong>ffusione delle iscrizioni doriche delle coste e <strong>di</strong> quelle achee <strong>di</strong> Reggio Calabria.<br />

Si dovrebbe inoltre indagare la <strong>di</strong>namica culturale espressa da queste stesse iscrizioni, per testare<br />

innanzi tutto l’affermazione <strong>di</strong> Strabone che i Brezii occupavano la Mesogaia, i Greci le coste,<br />

probabilmente per costatare la sua inadeguatezza o forse la sua voluta <strong>di</strong>storsione ideologica.<br />

Ambedue queste forze debbono inoltre confrontarsi con l’emergente lingua <strong>di</strong> Roma, prima come<br />

collante degli agglomerati italici confederati, poi delle regioni dell’Impero.<br />

I rapporti sono evidentemente più complessi, come già annotava Poccetti 2001: 159 “La<br />

compattezza dell’irra<strong>di</strong>azione alfabetica induce a presumere una circolarità <strong>di</strong> rapporti culturali ed<br />

in<strong>di</strong>geni, certamente agevolati dalla relativa compattezza linguistica tanto degli uni quanto degli<br />

altri”, e come ho cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare, dal punto <strong>di</strong> vista dell’idronimia storica calabrese, in<br />

Trumper 2004. Ciò che, invece, preme illustrare in questo breve stu<strong>di</strong>o de<strong>di</strong>cato alla costa tirrenica<br />

cosentina è l’insieme <strong>di</strong> fattori me<strong>di</strong>oevali che <strong>di</strong>mostrano pressioni esercitate dalla cultura<br />

bizantina, dalla cultura araba, e da altre culture neolatine oltre a quella in<strong>di</strong>gena, su una compagine<br />

locale complessa già frutto dell’incontro più remoto tra la cultura e la lingua <strong>di</strong> Roma, da una parte,<br />

e le lingue italiche in<strong>di</strong>gene e il greco delle colonie doriche ed achee, dall’altra. Questo lavoro si<br />

<strong>di</strong>fferenzia dai “Saggi” monografici sui paesi calabresi per alcuni motivi, uno dei quali è già<br />

specificato all’inizio. Un altro aspetto centrale è la possibilità offerta ai lettori <strong>di</strong> scegliere cosa e<br />

come trarre dalle notizie fornite. Un lettore appassionato, ma non specialista, può fermarsi alle<br />

notizie generali, un lettore più “specializzato” può insinuarsi nelle note che contengono tutte le fonti<br />

e le precisazioni del caso. Per questo motivo, e per non appesantire la lettura, le note e la<br />

bibliografia (limitata ai riferimenti nel testo non ulteriormente precisati) sono situate alla fine del<br />

Saggio, in forma <strong>di</strong> appen<strong>di</strong>ce 2 .<br />

1 Ampiamente trattato da Marcel Lejeune nel periodo 1970-1976. Se ne veda anche il breve riassunto in A. L.<br />

Prosdocimi (a c. <strong>di</strong>), Lingue e Dialetti dell’Italia Antica, Biblioteca <strong>di</strong> Storia Patria, Roma 1978: 897-901.<br />

2 Un ringraziamento del tutto personale da parte mia va, innanzitutto, a mia moglie (M. Maddalon) per la sua immensa<br />

pazienza, per la sua capacità critica e capacità non in<strong>di</strong>fferente <strong>di</strong> revisionare e semplificare testi in sé <strong>di</strong>fficili, agli<br />

amici D. Maio e G. De Caro, per tante minuziose osservazioni e per l’amore verso i luoghi della loro nascita, poi a tutte<br />

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1. CETRARO.<br />

Trovo un po’ riduttivo il tentativo esposto in G. Forestiero, Il <strong>di</strong>aletto del Tirreno 1 (E<strong>di</strong>toriale<br />

Progetto 2000, Cosenza 2005, pp. 19-25) <strong>di</strong> riportare la Calabria Linguistica nel letto <strong>di</strong> Procuste<br />

rohlfsiano <strong>di</strong> una classificazione binomica tra una Calabria latina (nord) ed una Calabria greca<br />

(centro-sud), visto il <strong>di</strong>battito protrattosi negli ultimi 20-30 anni e il tentativo del sottoscritto <strong>di</strong><br />

proporre in Maiden-Parry, The Dialects of Italy (Routledge, New York 1997) una prima <strong>di</strong>visione<br />

in quattro macro-aree, dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> un modello <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione linguistica basata su un<br />

numero sufficientemente grande <strong>di</strong> parametri fonologici, morfologici, storico-lessicali e talvolta<br />

sintattici (per i macrogruppi centrali e meri<strong>di</strong>onali). Ovviamente, nel libro citato non vi era spazio<br />

sufficiente per entrare in tutte le considerazioni <strong>di</strong> natura lessicografica storica, né per enumerare<br />

tutte le eteroglosse stu<strong>di</strong>ate per determinare simili <strong>di</strong>visioni geolinguistiche. Comunque, i fenomeni<br />

considerati, anche in uno spazio così ristretto, appartenevano a quelli che credo siano costitutivi<br />

delle maggiori eteroglosse calabresi. Evidentemente, tali macro-aree sono ulteriormente <strong>di</strong>visibili in<br />

centinaia <strong>di</strong> micro-aree all’interno <strong>di</strong> ogni macrogruppo, tale e tanta è la frammentazione storiconaturale<br />

<strong>di</strong> una regione quale la Calabria. A rigor <strong>di</strong> logica andrebbe pur detto che non vi è una netta<br />

<strong>di</strong>scontinuità né al nord, né a ovest, né a est. Al nord i <strong>di</strong>aletti romanzi arcaici della nota “Area<br />

Lausberg” continuano senza frattura in Basilicata fino al fiume Agri, oltre il quale questi<br />

s’incontrano con i “<strong>di</strong>aletti campani” dell’area Saracena-S. Martino-Moliterno (PZ).<br />

le persone che mi hanno arricchito con le loro conoscenze della propria cultura <strong>di</strong>alettale e con il proprio senso<br />

d’identità locale.<br />

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CARTA 1: CARTA DEI DIALETTI CALABRESI<br />

Al centro occidentale si frappone una zona “cuscinetto” denominata “zona <strong>di</strong> transizione” tra il<br />

“campano” e l’arcaico in una zona che va da S. Arcangelo, Aliano ed Alianello verso nord-ovest,<br />

“zona <strong>di</strong> transizione” in cui vige il cosiddetto “vocalismo romeno”. A est, ossia oltre Tursi, tra<br />

Pisticci e Matera, si assiste ad una graduale evoluzione verso il complesso <strong>di</strong>alettale apulo-dauno.<br />

Le proprietà arcaiche <strong>di</strong> quest’area, oltre che nelle opere <strong>di</strong> altri stu<strong>di</strong>osi, sono state stu<strong>di</strong>ate più in<br />

profon<strong>di</strong>tà dal sottoscritto in J. B. Trumper, La pertinenza degli eventi catastrofici naturali per la<br />

<strong>di</strong>alettologia e la linguistica romanze RID 23. 9-38 (1999) 3 , J. B. Trumper et al., <strong>Toponomastica</strong><br />

Calabrese 2000, pp. 121-160, 193-208, 209-235, nonché, dal punto <strong>di</strong> vista della zoonimia, da<br />

3 Comunque, alcuni dei problemi riguardanti il rapporto tra la <strong>di</strong>fferenziazione geo-linguistica (eteroglosse ecc.) e la<br />

storia naturale della Calabria (geografia, movimenti demografici e <strong>di</strong>sastri naturali) sono stati trattati a lungo in J. B.<br />

Trumper, G. Chiodo, A Changing Europe: the Presence versus Absence of Drastic Events Provoking or Blocking<br />

Internal Migration and their Possible Contribution to Linguistic Change or Conservation Part 1, stu<strong>di</strong>o apparso in Klaus<br />

Mattheier (a cura <strong>di</strong>), Dialect and Migration in a Changing Europe, Lang, Mainz 2000:195-244 .<br />

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alcuni collaboratori nel volume A. Men<strong>di</strong>cino, M. Maddalon, N. Prantera, Zoonimia popolare<br />

(<strong>Centro</strong> E<strong>di</strong>toriale, UNICAL 2004).<br />

Questa premessa era dovuta, e non tanto per amor <strong>di</strong> polemica quanto per <strong>di</strong>scutere la corretta<br />

ubicazione del Cetrarese tra i <strong>di</strong>aletti calabresi del cosentino settentrionale. In effetti, ci troviamo <strong>di</strong><br />

fronte un <strong>di</strong>aletto che ha molto in comune con altri <strong>di</strong>aletti nordcalabresi, nel caso del lessico<br />

pensiamo ad oscismi quali avusulijá ‘ascoltare’ (osco *ausis pro lat. auris; si veda Trumper 1. 201),<br />

a latinismi quali<br />

fragu ‘battigia’, voce tipicamente tirrenica (Rohlfs, NDDC 6 274, senza spiegazione, ma già risolto<br />

adeguatamente da Alessio in DEI 3. 1703 frago 2 ‘riva del mare’ dal rumore delle onde, come anche<br />

l’italiano ‘battigia’, < *fragum < *frăgāre, forma perfettiva <strong>di</strong> fră[n]gĕre);<br />

ngiarmá ‘affascinare’ < Fr. (en)charmer, equivalente con <strong>di</strong>stribuzione complementare rispetto al<br />

verbo carmari (< carmen, con o senza interferenza della forma francese, cfr. Trumper 1. 317-318) 4 ;<br />

pruventivu ‘serotino; nato tar<strong>di</strong>’, <strong>di</strong> solito prumentivu (Rohlfs, NDDC 6 551 non fornisce forme con<br />

pruv- che a Verbicaro, mentre le due parole sono in geo<strong>di</strong>stribuzione complementare), ecc.<br />

Vi è inoltre un certo numero <strong>di</strong> grecismi quali:<br />

ciroma ‘confusione’ (Alessio RIL 77: 638-639 [v. 967; del 1944] per documentazione e risoluzione,<br />

Rohlfs NDDC 6 183, Trumper 1. 403-404 ke¢leusma);<br />

pantùocchju ‘pipistrello’ (Rohlfs NDDC 6 498 con geo<strong>di</strong>stribuzione limitata, Alessio RIL 78: 84-85<br />

[v. 1763] del 1945) 5 ;<br />

pòja ‘lembo <strong>di</strong> veste’ (= pudìa <strong>di</strong> altri <strong>di</strong>aletti, Rohlfs NDDC 6 539 < po<strong>di</strong>¢a 6 );<br />

catasciu = scatasciu, catasciune ecc. (Rohlfs, NDDC 6 147 catasciu < catasciari dal tardolat.<br />

cataxare, anche se in Trumper 1. 333-334 mostriamo che nei glossari tar<strong>di</strong> esiste pure catapsare,<br />

<strong>di</strong>retto esito del verbo gr. kataya¢¢w, dal quale poteva partire tutta la serie 7 );<br />

tangále, -i ‘tanghero’, non da associare o derivare da ‘tànghero’, come voleva Rohlfs (a causa della<br />

<strong>di</strong>versa accentuazione), bensì da riportare al trunguale, trungale della Valle del Crati, Rota Greca<br />

4 6<br />

Per una simile presenza dell’antico francese cfr. anche ciavarru, -a ‘caprettone’ > ‘stupido’ (Rohlfs NDDC ciavarru<br />

senza spiegazione, Trumper 1. 363-364 sull’ampia penetrazione della voce tra i parlari calabresi). Del tutto simile la<br />

storia <strong>di</strong> ’ntamà, ’ntamatu, voci fornite anche da Cedraro per le zone più arcaiche (così Rohlfs, NDDC 6 ), che<br />

provengono dall’antico francese entamer.<br />

5<br />

Non “tutto occhi” come in R. Matta, Vocabolario Cetrarese, Pellegrini 1998, bensì come mo<strong>di</strong>ficazione del gr.<br />

pontiko¢j + -ŏcŭlus (<strong>di</strong>minutivo).<br />

6<br />

Come <strong>di</strong>cono giustamente Kahane & Kahane 3. 278 (ripetendo essenzialmente quanto da loro argomentato in RPh 35.<br />

2. 348-356 [1981]), Rohlfs come Fennis non <strong>di</strong>stingue bene tra il <strong>di</strong>minutivo po¢<strong>di</strong>on < pou¤j (che si sviluppa poi al<br />

plurale nel senso anche <strong>di</strong> ‘cime della vela’) e po<strong>di</strong>¢¢a, mentre Alessio RIL 78: 83-84, vv. 1752, 1753 [1945] li<br />

<strong>di</strong>stingue, senza fornire l’analisi puntuale dei Kahane: si veda anche Kahane & Kahane in RPh 22. 4. 432 [1967]) per<br />

commenti sul bizantinismo po<strong>di</strong>¢¢a ‘gonna; falda <strong>di</strong> gonna’ (Du Cange greco 1189-1190 “Pode¢a, Po<strong>di</strong>¢¢a, Podh¢¢,Vestis<br />

talaris, quae po¢daj ambit”, con citazioni rilevanti dal Poeta Ptocoprodomo in poi. Per esiti moderni ed ipotesi<br />

risolutive si vedano Andriotis 287, Lavagnini 805. Se, comunque, il bizantino po<strong>di</strong>¢¢a = pode¢¢a derivano dall’arcaico<br />

podei¤on pl. podei¤a, come ipotizzano Chantraine ed altri in DELG 932-933, in quanto ‘gonne lunghe’ che coprono<br />

anche i pie<strong>di</strong>, allora la connessione antica tra i due termini esiste effettivamente. Tuttavia, la testimonianza delle<br />

Hermeneumata Monacensia (ca. 1150: CGL 3. 205, 18-23 “scafi uar[a]ca prymna puppis ergate ergata po<strong>di</strong>a po<strong>di</strong>a<br />

parasimon tutela armena tela” ecc.), nota anche al Rohlfs (EWUG 2 413-414), mostra che i due lemmi si separano<br />

semanticamente e formalmente nel bizantino più o meno nel periodo 900-1100, momento in cui il greco influenza <strong>di</strong> più<br />

il romanzo calabrese. La forma cetrarese mostra una retrazione inusuale dell’accento greco in questo caso.<br />

7<br />

Tale è il ragionamento seguito nel DEI, nel FEW 2. 492 <strong>di</strong> von Wartburg, nel DES 1. 257 <strong>di</strong> Wagner e, alla fine, nelle<br />

opere <strong>di</strong> Rohlfs. Comunque, von Wartburg in ZRP 58. 28 [1952] suggeriva che forse il percorso della parola fosse più<br />

complesso e Kahane & Kahane 1. 474, 747 riprendono tutta l’argomentazione, suggerendo un’altra ipotesi, cioè che si<br />

debba partire dal verbo katasta¢zw ‘sgocciolare’, donde il sostantivo derivato kata¢¢stacij ‘sgocciolamento’<br />

(Galeno), e dal sostantivo una nuova base greco-romanza *catax- che entra nel romanzo tramite Marsiglia e il sud<br />

d’Italia (Kahane & Kahane “the Grecism entered the West, separately, through Marseilles and Sitaly”) come il nostro<br />

catasciu, scatasciu, catascià ecc. Dato il ragionamento (compresenza <strong>di</strong> catapsare nelle Glosse e il sostantivo<br />

tardogreco kata¢¢stacij), non vi sono ancora criteri per poter scegliere tra le due ipotesi.<br />

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tungale (anche antico nome del centro storico ‘u Tungale’, l’o<strong>di</strong>erna Babilonia), Bisignano<br />

t[r]unguàdu ecc. ‘arrogante; gradasso’ < gr. drougga¢rioj ‘capo della truppa mercenaria’ <<br />

drou¢gga ‘mercenari’ (coll.) < lat. drunga, antico gallicismo del latino 8 , da associare a voci<br />

dell’irlandese, del bretone e del cimrico, ecc.<br />

Notiamo anche gli arabismi comuni (gàfaru, -une, gàvaru = càvaru = càfaru ‘vuoto; guasto’ ><br />

arabo øaf[a]r, v. Pellegrini 1. 253-254, Trumper 1. 271-272), pure gli arabismi assai rari come farra<br />

‘fracasso; chiasso; rumore’ ecc., non registrato da Rohlfs 9 . Vi è traccia ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> qualche<br />

turchismo comune tipico del calabrese quale ’nzavardatu/ ’nzavurdatu ‘sporco’, da riportare,<br />

insieme al più generale cosentino. zaùrru, zavùrru > zavùrdu, zagùrdu (con <strong>di</strong>ssimilazione –rr- > -<br />

rd-, poi un’evoluzione –v- > -g- non tanto rara) > S. Fili + Pre-Sila + Sila zavùordu, zagùordu<br />

‘zotico, rustico, “tamarro”; imbecille; sporco <strong>di</strong> natura’ ecc., alle forme bizantine tarde<br />

gkiaou¢roj e ntzaou¢roj che trasmettono il turco gjawr, gjaur ‘miscredente; infedele’ che, a detta<br />

<strong>di</strong> Lokotsch v. 632 p. 50, me<strong>di</strong>a a sua volta l’iranico gabr- 10 . Il percorso è ovviamente za[v]ùrru ><br />

(con <strong>di</strong>ssimilazione <strong>di</strong> –rr- 11 ) zavurdu > verbalizzato ’nzavurdà > part. pass. ’nzavurdatu (> per<br />

alcuni con armonia delle vocali atone pretoniche ’nzavardatu). Gli esempi abbondano. Anche la<br />

morfologia verbale e la sintassi del cetrarese sono chiaramente d’origine nordcalabrese, cui fa<br />

eccezione la nota ‘Area Lausberg’.<br />

Esistono particolarismi che fanno emergere in modo chiaro un microcosmo linguistico cetrarese,<br />

specialmente nelle frazioni (S. Angelo è un esempio classico), alcuni dei quali rispecchiano la vita<br />

<strong>di</strong> mare. Brevi esempi sono: l’uso <strong>di</strong> gàrgia, pl. garge, voce <strong>di</strong>ffusissima col significato <strong>di</strong><br />

‘branchia, -e’ (<strong>di</strong> pesce), ma qui metaforicamente estesa al significato <strong>di</strong> ‘un nulla; niente; cosa da<br />

poco conto’, quello <strong>di</strong> santulinu [sandulinu] ‘cannotto; canoa lunga e sottile’ che sembrerebbe<br />

venezianismo portuale (ven. sàndolo, sandolìn, sandón per barchette piccole a fondo piatto 12 ),voce<br />

8 Cfr. il toponimo Drunga<strong>di</strong> del Vibonese. Nel nostro caso tangale potrebbe benissimo essere incrocio tra trungalu/<br />

tungalu e tàngaru.<br />

9<br />

La voce non può derivare né dal longobardo fara ‘gruppo famigliare’ (sia per la geminata –rr- sia per il significato) né<br />

dalla forma fragunìa ‘chiasso’ registrata nel Dizionario <strong>di</strong> Galasso ed in Rohlfs NDDC 6 258 come farragunìa dei<br />

<strong>di</strong>aletti reggini (non trovo traccia <strong>di</strong> una forma greca <strong>di</strong>alettale farawni¢¢a ipotizzata da Rohlfs), né dall’arabo farağ<br />

‘gioia, allegria’ (Pellegrini 1. 231: la geminata –rr- fa obiezione). Ricondurrei la nostra voce all’arabo arr ‘calore<br />

intenso; caldo’ trattata in Pellegrini 1. 217-218. ‘Scaldarsi’ in una lite non è lontano concettualmente dal chiasso.<br />

10<br />

Per un simile fenomeno <strong>di</strong> passaggio da etnico o da rappresentante d’altro gruppo religioso a qualità negativa cfr.<br />

*albër-esh- > avrìesciu (Valle del Crati: ‘sporco’) rispetto all’italo-albanese arbëresh ‘italo-albanese’ che deriva dalla<br />

stessa base, oppure saracinu che nei <strong>di</strong>aletti del Tirreno in<strong>di</strong>ca pesci <strong>di</strong> nessuna utilità o valore (Crenilabrus sp.).<br />

Latinus è, invece, ambiguo, visto che nei <strong>di</strong>aletti italo-romanzi dà esiti sia positivi (ven. strafòjo la[d]ìn Trifolium<br />

repens L.: v. J. Trumper, M. T. Vigolo, Il Veneto Centrale, CNR, Padova 1995: 160, ‘trifoglio buono’ ecc.) sia negativi<br />

(antico lombardo laìn, Ruzzante slainare, slainaço ecc.). Vi è una simile bivalenza dell’epiteto “latino” nella storia<br />

delle lingue ibero-romanze.<br />

11<br />

E’ del tutto regolare che in moltissimi <strong>di</strong>aletti calabresi si eviti lo iato tra due vocali con l’inserimento <strong>di</strong> –v-, cfr.<br />

agnu[m] > áünu > ávunu, tauru[m] > táüru > távuru, cal[ĭ]du[m] > cáüdu > cávudu, nĭgru[m] > níüru > nìvuru, in alcuni<br />

<strong>di</strong>aletti lĭgnu[m] > lìünu > lìvunu (Malvito, Fagnano Castello), e via <strong>di</strong>cendo. Ne consegue un regolare cambiamento<br />

zaùrru > zavùrru.<br />

12<br />

Le voci veneziane sono ampiamente attestate nei <strong>di</strong>zionari storici, cfr. G. Patriarchi, Vocabolario Veneziano e<br />

Padovano, Conzatti, Padova 1775 p. 269 Sandon “Zatta” (= zattera), 1796 2 p. 266 id., Seminario, Padova 1821 3 p. 167<br />

id., G. Boerio, Dizionario del Dialetto Veneziano, Cecchini, Venezia 1856 2 p. 597 col. 3 Sandolo, Sandon ecc. Du<br />

Cange latino (7. 301) fornisce esempi <strong>di</strong> sandalum ‘barca a fondo piatto’ dal ’200 in poi, cfr. anche per Venezia e<br />

Aquileia Piccini 2006: 414 (documenti dal 1275 al 1300); comunque Sella 1944: 502 dava già sandalum ‘barca’ e<br />

sandalarius ‘barcaiolo’ a Roma dal 1030 in poi, Sella 1937: 305 sandone[m], sandolo con esempi dal 750 d. C. in poi,<br />

Piccini 2006: 414 (sandalum, sandulum ‘barca a fondo piatto per trasporti in fondali bassi’ [esempi del Trecento] <<br />

greco bizantino sa¢¢ndalij), Du Cange latino 7. 301 ecc. Il primo riferimento latino in assoluto, con questo significato<br />

<strong>di</strong> ‘barca a fondo piatto’, è probabilmente nel decreto <strong>di</strong> re Aistolfo del 753 d. C. (PL 87. 1412D “uel portum cum<br />

sandonibus, aut naues, in ipso fluuio ...” ecc.). Il Du Cange greco 1331 “Sa¢¢ndalij, Sa¢¢¢ndaloj, Sanda¢¢¢¢lion, Scapha<br />

majori navigio adjuncta” forniva una documentazione proto-bizantina dell’uso come ‘barca a fondo piatto’. A questo<br />

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che, comunque, potrebbe essere grecismo <strong>di</strong>retto 13 , quello <strong>di</strong> tragunara, variante travunara,<br />

‘corrente alluvionale’, derivato <strong>di</strong> draco, draconem ‘drago’ con estensione a fenomeni<br />

meteorologici in alcune zone marittime del sud (VES 294-295 offre una spiegazione esauriente del<br />

termine molto <strong>di</strong>ffuso nei <strong>di</strong>aletti meri<strong>di</strong>onali), oppure nell’ittionimia tipica del paese. Per la<br />

maggior parte la terminologia ittica è comune al Tirreno, talvolta al Me<strong>di</strong>terraneo romanzo intero.<br />

Basti un rapido sguardo ad una carta europea della ‘spigola’ (Dicentrarchus labrax, Dicentrarchus<br />

semipunctatus, Carta 2). L’Europa del nord è caratterizzata da elementi lessicali che si riferiscono<br />

alle spine <strong>di</strong> questo genere (sulla testa e sugli opercoli), dallo scan<strong>di</strong>navo agborre allo slavo<br />

окун(ь), che derivano da Pokorny IEW 18 *HAOK- ‘acuto; ago; spina’, nel celtico con derivati <strong>di</strong><br />

Pokorny IEW 258 *D H EREG H - ‘spina’ (cimr. draenogyn, dyrnogyn, bret. drene[u]c, draeneg) 14 ,<br />

nonché nell’esito germanico <strong>di</strong> Pokorny IEW 109 *B H AR[E]S- ‘punta; spina; spica’ (ted.<br />

[See]Barsch, oland. baars, ingl. bars > bass, presente nel secondo elemento dello scan<strong>di</strong>navo<br />

agborre, con penetrazione nel romanzo marginale, fr. sett. bar id.). Tale prototipo lessico-semantico<br />

(‘quello con le spine’) s’incontra nel Me<strong>di</strong>terraneo con il tipo ‘lupo’ (REW 5173 lupus ‘1. Wolf, 2.<br />

Seebarsch’ > ibero-romanzo lobo, llobarro, llop, sud-fr./ prov. loup, ligure e corso luvazzu, luvassu<br />

ecc., ven. lóvo, rum. lup de mare)/ ‘il vorace’ (gr. la¢¢brac > labra¢¢kion, laura¢¢kion, ><br />

labra¢¢ki: il <strong>di</strong>minutivo è già attestato nel tardo e me<strong>di</strong>o greco, cfr. Simeone Seth, De alimentis in<br />

Ideler 2. 279, e si noti che i Greci avevano ampiamente inteso il significato base dell’ittionimo<br />

[Icesio in Ateneo, Dipnosofisti 310f, Oppiano, Alieutica 2. 130 ecc.]; <strong>di</strong>viene prestito nel alban.<br />

stesso periodo dall’ottavo al nono secolo dopo Cristo appartiene l’uso <strong>di</strong> sandaloj¢¢ ‘barca’ che troviamo nella<br />

Cronografia <strong>di</strong> Teofane (l’e<strong>di</strong>zione critica <strong>di</strong> De Boor usa copie del periodo 900-1000, Paris. Reg. 1710, 1711 ecc.), ad<br />

es. 397, 5-8 “tou££j tw¤¤n kathnw¤v sanda¢¢¢louj aÃrantej” (allestendo le barchette <strong>di</strong> catene), oppure il <strong>di</strong>minutivo<br />

sanda¢¢¢lion nella Cronografia 429, 7-9 “kai£££ toi¤¤j sandali¢¢¢oij tou¤¤ yeudoprofh¢¢¢¢tou Moua¢¢¢¢med” (e alle barche<br />

del falso profeta Maometto). Prati EV 151 e Pellegrini nel DEI (5. 3330) riportano il nome della barca alla calzatura, al<br />

sandalo, mentre mi pare che possano aiutare l’estesione gestaltica sia ‘pesce piatto’ (sa¢¢ndalon in Strömberg 1943:<br />

37, meglio in Thompson, Fish 226, che <strong>di</strong>mostra che il nome antedata Esichio verso il 600-700 d. C. ed è riconducibile<br />

almeno al periodo <strong>di</strong> Alcifrone, 300-400 d. C.: Frisk, GEW 2. 675 lo <strong>di</strong>chiara un prestito “orientale”, <strong>di</strong> etimologia<br />

sconosciuta) sia il legno leggero (sa¢¢ndaloj: sandalo rosso, Pterocarpus santalinus, sandalo bianco, Santalum album).<br />

Quest’ultimo è facilmente riconducibile al persiano čandal (non necessariamente tramite l’arabo andal, come voleva<br />

Lokotsch v. 1825), che a sua volta risale al sanscrito čandana. La voce in<strong>di</strong>ana, come <strong>di</strong>mostra Mayrhofer 1. 378, si<br />

riconduce alla base indo-europea *(S)KAND- ‘brillare; esser brillante’ <strong>di</strong> Pokorny, IEW 526 (cfr. latino can<strong>di</strong>dus,<br />

candēre, candēla, ecc.), per cui si tratta <strong>di</strong> una denominazione ‘legno brillante, legno che brilla’. Comunque, la precisa<br />

origine orientale della voce (in<strong>di</strong>ano > iranico > occidente) era già evidenziata in B. Laufer, Sino-Iranica, Chicago<br />

1919: 552, 584. Il persianismo è già presente nei testi proto-bizantini (primo me<strong>di</strong>o greco) non solo come sa¢¢ndaloj<br />

ma anche in forme più vicine all’iranico originale, cioè Santa¢¢¢n, Tzandana¢¢¢n (cfr. Du Cange greco 1332, 1562). Il<br />

nome del ‘legno’ è documentato da Pellegrini in testi toscani del ’300 (Dittamondo), cui aggiungo le testimonianze<br />

pisane trecentesche del Pegolotti (A. Evans, Fr. Balducci Pegolotti, La Pratica della Mercatura, Cambridge Mass 1936<br />

pp. 69, 78, 124, 138, 215, 225, 296, 377, con 4 ricorrenze <strong>di</strong> ‘sandali’, 5 <strong>di</strong> ‘sandoli’) e veneziane del primo Trecento<br />

(A. Stussi, Zibaldone da Canal, Venezia 1967 pp. 57, 66, testo 35r27, 40r2-3). Visto che Alcifrone ed altri<br />

<strong>di</strong>stinguevano tra il sa¢¢ndalon e l’usuale ‘passera’ <strong>di</strong> mare, si potrebbe pensare anche in questo caso ad un ‘pesce<br />

bianco-splendente’ come punto <strong>di</strong> partenza, cioè ad un ittionimo d’origine cromatica. E’ notevole che i primi riferimenti<br />

alla ‘barca’ così denominata si riferiscono a Venezia, Aquilea e l’Esarcato. Vi è d’altronde anche il toponimo Sàndolo<br />

<strong>di</strong> Fossò (VE), che sia G. Beltrame (<strong>Toponomastica</strong> della Diocesi <strong>di</strong> Padova, Liviana, Padova 1992: 165-166) sia D.<br />

Olivieri (Saggio <strong>di</strong> una illustrazione generale della <strong>Toponomastica</strong> Veneta, Lapi, Città <strong>di</strong> Castello 1915: 113)<br />

riconducevano ad un santo (Abdon o Odo), mentre la prima forma del toponimo del 911 d. C. è San Dono, che<br />

formalmente potrebbe ugualmente derivare dal nome della ‘barca’ particolare (sandón = sándolo).<br />

13<br />

Dubito moltissimo che si tratti <strong>di</strong> grecismo <strong>di</strong>retto: la presenza <strong>di</strong> venezianismi lessicali, d’altronde non infrequenti<br />

(cfr. lungo il Tirreno tra Cetraro e Paola la voce zanchètta Arnoglossus sp. ecc., per ‘sogliole’ i cui occhi sono posti a<br />

sinistra piuttosto che a destra, dato che il veneziano sanchéta per gli stessi pesci deriva da zanca [mod. sanca]<br />

‘sinistra’), è garantita dalla presenza storica <strong>di</strong> maritimi veneziani a Borgo S. Marco <strong>di</strong> Cetraro. Kahane & Kahane 2. 35<br />

ecc. derivano, come altri, il nome greco della barchetta dal nome della scarpa. Il nome sándolo della barchetta sembra<br />

<strong>di</strong>ffuso dai Veneziani, che lo prendono dal greco.<br />

14<br />

Anche l’irl. cas-chlúb ‘spigola’ (O’ Baill, ZCP 46. 164-199 [1994] ad loc.) continua questa stessa idea base, con,<br />

cioè, cas < *K[E]S-T- < Pokorny IEW 586 *KES- ‘tagliare’ e clúb < cló ‘chiodo’ ecc.<br />

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labrik, lavrak, v. Trumper 1999: 534). Il tipo lessico-semantico ‘spinoso’ penetra dentro il<br />

Me<strong>di</strong>terraneo nel veneziano brançin, bransin (per l’etimologia germanica v. Trumper-Vigolo 2003:<br />

218 ssgg.), per continuare nell’Italia centrale come spigola (già allotropo <strong>di</strong> ragno in Toscana) fino<br />

a Roma, come spinula nel campano e calabrese, come spinotta in parte del calabrese e nel siciliano.<br />

La Calabria intera, dunque, regionalmente uniforme per quanto riguarda il tipo lessicale, si trova<br />

solidale con la Sicilia e l’Italia centrale e parte del nord, un blocco lessico-semantico a sua volta<br />

solidale con il nord d’Europa. L’Europa e il Me<strong>di</strong>terraneo sono caratterizzabili come un complesso<br />

unico spaccato dall’incontro <strong>di</strong> due insiemi lessico-semantici per ‘spigola’, uno definibile come<br />

‘spinoso’ (‘pesce con le spine’), l’altro come ‘lupo’/ ‘(pesce) vorace’, e tutta la Calabria s’allinea al<br />

tipo ‘spina’.<br />

Tuttavia, non mancano lemmi originali usati solo in loco. Esempi <strong>di</strong> ittionimi cetraresi assai<br />

originali e caratterizzanti, che talvolta mancano altrove, sono: Cavagnùolu Trigla lyra = Cùocciula<br />

a ffurca 15 , còlaru = còranu Atherina sp. 16 , còzza bbùmmula = vrogn’i zuzzu Dolium galea L. 17 ,<br />

Iana = gana Serranellus sp. + Coris julis L. (adulto, forma femminile 18 ), mughicìellu Maena<br />

vulgaris Cuv. (= Maena maena L.), murrune (Liza capito Cuv., Liza saliens Risso), che si vorrebbe<br />

associare a murrune documentato in Rohlfs NDDC 6 443-444 ‘ceppo d’albero; tronco mal tagliato;<br />

15<br />

Nel reggino vero e proprio (RC, Melito, S. Elia ecc.) cavagnolu è Trachurus trachurus, mentre in molti <strong>di</strong>aletti<br />

calabresi cavagnola è Lichia amia, Seriola Dumezili: l’evidente origine è cavagna ‘cestone’, per cui si veda Salvioni,<br />

RDR 5. 182, REW 1786 (REWS id.) *cavaneum ‘cestone’, con esiti provenzali, piemontesi e lombar<strong>di</strong>. Con ogni<br />

probabilità un elemento del sostrato celtico che passa con il galloitalico della Sicilia in alcuni <strong>di</strong>aletti meri<strong>di</strong>onali: dal<br />

siciliano al reggino sensu stricto il passaggio è concepibile, la presenza <strong>di</strong> questa voce a Cetraro è un’anomalia<br />

geolinguistica, perciò una peculiarità cetrarese. Il passaggio dal contenitore al pesce fa parte della metafora gestaltica<br />

usuale. I termini cùocciu, cùocciulu, -a (Trigla sp.) sono usuali in Calabria.<br />

16<br />

Cfr. Fiumefreddo coranìcchja, Amantea, Campora, Falerna, Tropea cùranu, Pizzo còranu (Rohlfs aggiunge<br />

Gizzeria), Gioia Tauro cùrina, ma Nicotera curunèža, RC, S. Elia, Melito curunèdda, da associare a Trebisacce,<br />

Montegiordano cor[]nàl, Roccella & Bagnara curunèja, Siderno & Locri curunèIlIla. A Schiavonea e Corigliano<br />

troviamo còlm, Cariati còlamu, del tutto simile alla variante cetrarese. Rohlfs NDDC 6 193 ecc. riferisce còranu a<br />

coronèdda e còrnaru, riferisce còrnaru a còranu, senza soluzione e senza documentare tutte le forme <strong>di</strong>alettali. Date le<br />

forme <strong>di</strong>alettali còlaru (Cetraro) e còlamu (Ionio da Schiavonea a Cariati), viene da pensare ad una possibile origine<br />

nell’ittionimo ko¢¢llouroj usato da Marcello Sideta (Pisces, 22: non vi sono commenti su questo ittionimo in<br />

Thompson, Fishes 121) nel 100-200 d. C., se ipotizziamo che la forma còlaru sia quella originale da cui si possono<br />

derivare sia còlamu sia *còrulu, donde per <strong>di</strong>ssimilazione tra sonoranti (non nasali) gli esiti <strong>di</strong>alettali còrunu, còranu,<br />

còrinu (> cor[u]nàle, corunèlla ecc.). Un confronto con l’apparente ittionimo kouru¢¢loj dell’Alieutica <strong>di</strong> Numenio<br />

(Ateneo306b-“Noumh¢¢¢nioj d' e¦¦n ¥Alieutik%¤¤ kouru¢¢lon au¦¦to££n kalei¤: toi¤si¢¢¢ ken aÃÃrmena pa¢nta paropli¢¢¢¢ssaio<br />

de¢¢¢letra kouru¢¢¢¢lon hÄÄ peirh¤na hÄ ei¦nali¢¢hn eÀÀrphlan”) sembrerebbe appropriato, se non è un riferimento<br />

ad un tritone particolare, come Mair pensa sia il caso per quanto riguarda l’allotropo kordu¢¢loj <strong>di</strong> kouru¢¢¢loj in<br />

Oppiano, Alieutica 1. 306 (“poulu¢¢¢podej skolioi¢¢¢ kai££ kordu¢¢¢¢loj”). Mair nell’e<strong>di</strong>zione LOEB traduce “the<br />

crooked Poulpe and the Water-Newt”- il polipo storto e il tritone d’acqua). In Europa e nel Me<strong>di</strong>terraneo sembrano del<br />

tutto sconosciuti ‘tritoni marini’ ma soltanto alcune specie <strong>di</strong> tritoni delle acque interne (rettili d’acqua dolce), per cui<br />

viene il sospetto che si tratti, invece, <strong>di</strong> qualche pesciolino, azzarderei membri del genere Atherina sp., il che<br />

spiegherebbe il nostro ittionimo calabrese.<br />

17<br />

La forma vrogna è usuale tra Schiavonea e Cariati, con la variante ionica bbrogna tra Roccella e Bovalino (RC),<br />

bbrogna pure sul Tirreno a Nicotera, grogna da Amantea a Pizzo sul Tirreno. Come <strong>di</strong>versa lessicalizzazione abbiamo<br />

trumba e tufa a Tropea, cozz’ a mmùm[m]l a Montegiordano e Trebisacce, che corrisponderà formalmente alla cozza<br />

[a] bbùmmula <strong>di</strong> Cetraro. Delle altre località calabresi in cui si pesca non mi è noto il nome <strong>di</strong> questo gasteropodo<br />

marino. Se partiamo da grogna (> vrogna > bbrogna), l’origine dev’essere un latino (cochlea) cornea. Còzza è regolare<br />

esito <strong>di</strong> *cocia < cochlea (REW 2011), mùmmula, come variante <strong>di</strong> vùmmula/ bbùmmula, rappresenterà probabilmente<br />

una ‘cozza a orciuolo’ (ergo < bo¢mbuloj), per la grandezza e la forma del gasteropodo.<br />

18<br />

La forma più giovane, maschile, è denominata pisc’i rrè (usuale in calabrese, cfr. altri <strong>di</strong>aletti calabresi cazz’i rrè). Il<br />

termine ana = gana, con referenti sia Coris julis sia Serranellus sp., sembra connesso con Praia cànnulu, Scalea &<br />

Diamante hjan, Schiavonea & Corigliano zagann, Rossano & Cariati cannuta, Crotone cànnulu Serranellus sp. In<br />

quel caso si tratterà <strong>di</strong> esiti <strong>di</strong> un ittionimo greco xa¢nnoj, -h (Rohlfs, EWUG 2 558), che potrebbe essere o derivato del<br />

verbo xai¢nein ‘sba<strong>di</strong>gliare’ (pesce con ‘la bocca sempre apperta’) o un semitismo ittico nel greco.<br />

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pezzo <strong>di</strong> rame o <strong>di</strong> legno; torsolo’ ecc. (mai un pesce secondo Rohlfs: l’estensione ad un pesce per<br />

Gestalt, ossia per somiglianza <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensione e <strong>di</strong> forma, è ragionevole, anche se l’associazione<br />

proposta da Rohlfs, NDDC 6 443-444, con murra sembra fuorviante), vujaratu Scomber japonicus<br />

colias Gmel. 19 , zzazzá esemplari piccoli <strong>di</strong> Trachurus trachurus L. (maggiormente rappresentato<br />

come lemma sulla costa ionica e nel reggino: per l’origine semitica, che sia araba o sia ebraica, si<br />

veda { HYPERLINK "http://www.johnbtrumper.it/" } p. 4 nota 8), zirru (a) Auxis thazard Lac., (b)<br />

Euthynnus pelamis L. (per la geo<strong>di</strong>stribuzione e l’etimologia araba, < zīr, e non dal me<strong>di</strong>o gr.<br />

tsh¤roj, come voleva Rohlfs, cfr. { HYPERLINK "http://www.johnbtrumper.it/" } p. 3-4, con<br />

metafora gestaltica contenitore > pesce). Altri esempi non mancano <strong>di</strong> certo.<br />

Ci sono altri particolarismi quali ’sca ‘forse’, probabilmente riduzione <strong>di</strong> ’icica (< <strong>di</strong>ci ca), rari<br />

latinismi quali<br />

abbillà ‘assalire’ (cfr. reggino abbeari, abbejari <strong>di</strong>scusso da Alessio in ID 10. 154, Boccafurni<br />

62, Cipolla III 2r.), accivettattu ‘intimorito’ (Cipolla IV r. in Boccafurni 2002: 74);<br />

ammurcatu ‘rattristato’ (Rohlfs NDDC 6 77, 442 dà murcus > catanzarese meri<strong>di</strong>onale e reggino<br />

murcu id.: solo il derivato murcidus è reperibile nell’ultima e<strong>di</strong>zione aggiornata del REW);<br />

canitùtine ‘crudeltà’ (Cipolla III r. in Boccafurni 2002: 85, voce che Rohlfs, NDDC6 126, dava<br />

unicamente come reggina, ovviamente da *canitus, -itū<strong>di</strong>nem ‘comportamento da cane’);<br />

19<br />

Ovviamente non vi è una fonte latina <strong>di</strong> cui vujaratu potrebbe essere esito. Il greco offre ad<strong>di</strong>rittura tre possibili fonti<br />

<strong>di</strong> derivazione, una formalmente <strong>di</strong>fficile ma semanticamente adatta, una semanticamente <strong>di</strong>fficile ma formalmente<br />

appropriata, la terza improbabile da ambedue i punti <strong>di</strong> vista. Sgomberiamo prima il campo da un’altra proposta che si<br />

dovrebbe reggere sul greco bwreu¢¢¢j, bwri¢¢<strong>di</strong>on, bouri¢¢¢<strong>di</strong>on 'muggine' (prestito afro-asiatico del greco), voce lontana<br />

sia per significato sia formalmente. La terza proposta <strong>di</strong> cui sopra è anche lontana, cioè un derivato deverbale dal<br />

me<strong>di</strong>ogreco periferico (> cipriota moderno) bourgia¢¢¢rein 'essere favorevole; essere piacevole' <<br />

gou¢¢¢rgioj < ouÀÀrgioj < ouÀÀrioj 'favorevole' < ouÒÒroj(vento favorevole, vento <strong>di</strong> poppa): non si conosce pesci<br />

chiamati ‘piacevoli’ o ‘favorevoli’ e la forma ultima richiederebbe una <strong>di</strong>ssimilazione alquanto forzata <strong>di</strong> r...r in Ø….r.<br />

Per Scomberi<strong>di</strong> vi è la nota metafora gestaltica ‘giara’ > ‘tonnetto, tonno’ descritta in { HYPERLINK<br />

"http://www.johnbtrumper.it" } pp.3-4 (cfr. i commenti precedenti su zirru, nonché i commenti <strong>di</strong> C. Battisti 1960-61 su<br />

oÃrkuj e oÃrkunoj sia ‘orcio; giara’ sia ‘tonno’), per cui semanticamente bwta¢¢rion ‘vasetto’, <strong>di</strong>minutivo <strong>di</strong><br />

bwti¢on, bwsi¢¢on (forme relate a bou¤ttij, bou¤tij, bou¢¢th), sarebbe adatto, anche se <strong>di</strong> tardo uso (tra i trattati greci <strong>di</strong><br />

alchimistica <strong>di</strong> Sinesio, Olimpiodoro, Zosimo e <strong>di</strong> qualche anonimo, cfr. Berthelot-Ruelle 60. 19, 71. 16-17, 165. 4,<br />

288. 24-25 ecc., con variazione tra bwta¢¢rion e bota¢¢rion: per ulteriori dettagli cfr. Trapp 2. 304). Comunque, una<br />

simile soluzione richiederebbe una variante *bwda¢¢rion, che con l’eliminazione totale della -d- interna <strong>di</strong> parola (come<br />

nei <strong>di</strong>aletti <strong>di</strong> Cipro ecc.) darebbe una forma possibile (*bouda¢¢rion > boua¢¢rion) da dove derivare la nostra voce. Du<br />

Cange greco 232-233 “Bwua¢¢rion, Vasis species”, se non un errore <strong>di</strong> stampa, darebbe la forma interme<strong>di</strong>a necessaria.<br />

E’ usuale che alcuni <strong>di</strong>aletti greci periferici, ad es. quelli <strong>di</strong> Scarpanto, Ro<strong>di</strong> o Cipro, conoscono l’eliminazione totale<br />

della –d- intervocalica; la conoscono pure i <strong>di</strong>aletti otrantino-salentini dell’Italia (boi ¢¢<strong>di</strong>on > bou¢¢<strong>di</strong> > bou¢¢i , bra¢¢¢du ><br />

bra¢¢¢i , a¦delfo¢¢¢j > a¦derfo¢¢¢j > * a¦darfo¢¢¢j > a¦¦rfo¢¢¢ ecc.), mentre quelli calabro-greci erano evidentemente più<br />

conservativi in questo rispetto (bou¢¢<strong>di</strong>, bra¢¢¢du, tzarfo¢¢¢). E’ del tutto inusuale l’evoluzione –t- > -d- > Ø, fenomeno<br />

comunque noto in molte varietà otrantine del Salento (si veda Rohlfs 1977: 49 ssgg. sugli esiti variabili, cioè –t- > -d- ><br />

Ø vs. il mantenimento della -.t-). Altra possibilità sarebbe il greco periferico (Cipro: Yancoullis 106)<br />

bouda¢¢¢ra > boua¢¢ra ‘ampia; grande’, che però manca <strong>di</strong> motivazione semantica (lo sgombro macchiato è<br />

relativamente piccolo, tonnetti e tonni gran<strong>di</strong>). Bwta¢¢rion e forme simili, come il latino bŭttis, sono evidenti prestiti nel<br />

greco e nel latino, anche se la precisa fonte non è apparentemente conosciuta (Wanderwörter o parole culturali<br />

migratòrie: GEW 1. 261, 280, DELG 191, 204 ecc.): potrebbe facilmente essere afro-asiatica, data la presenza d’una<br />

base proto-afro-asiatica *BU- 1. pancia, 2. vaso (Orel-Stolbova 350-351, pp. 85-86), cfr. anche Cohen et al. 2. 90-91<br />

BTT 3 ‘sorte de bouteille’, con riferimento a forme originali aramaiche e siriache, donde le forme arabe (prestiti). Gli<br />

autori, riferendosi a S. Frænkel, Die aramäischen Fremdwörter in Arabischen (Leida 1886: 72) ed a C. Brockelmann,<br />

Lexicon Syriacum (Halle 1928 2 : 99), suggeriscono le forme siriache ed aramaiche come possibili fonti delle voci greche<br />

e latine. Data la possibilità <strong>di</strong> soluzioni multiple senza potere scegliere con motivi scientifici puntuali tra esse, siamo<br />

costretti ad ammettere che l’origine lontana <strong>di</strong> vujaratu resta ancora sub iu<strong>di</strong>ce.<br />

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la riduzione implicita in fitucchjisca Opuntia ficus-in<strong>di</strong>ca (< ficu turchjisca; cfr. Boccafurni 2002:<br />

106, Cipolla II r. III, NDDC 6 270);<br />

cutrubbèlla ‘albicocca’ (Cipolla II r. I, r. III menzionata in Boccafurni 2002: 103) 20 .<br />

Vi sono le tracce <strong>di</strong> avverbi con secondo elemento dal congiuntivo latino vellis, vellit (volo, velle),<br />

ad es. duvivìelli ‘in nessun posto’ (Boccafurni 2002: 104, Cipolla IV v. I), si reperiscono elementi<br />

gergali, reminiscenze <strong>di</strong> un antico artigianato cetrarese, ad es. dìscipulu ‘allievo; appren<strong>di</strong>sta’<br />

(Trumper, Una Lingua Nascosta: l’appren<strong>di</strong>sta <strong>di</strong>scìpulu o ciuttéllu d’u mašchéri, per cui la voce<br />

non costituisce un dottismo), azzacugnà ‘colpire’ (< gergale zaccagnu ‘coltello’ > azzacagnare<br />

‘accoltellare’, v. Una Lingua Nascosta p. 155 ecc.), d’origine non <strong>di</strong>fficile. Ci sono pure i grecismi<br />

non comuni, consoni al ruolo <strong>di</strong> un paese <strong>di</strong> pescatori che conosce da lungo tempo rapporti via<br />

mare, ad es.<br />

il fitonimo crìtina, Crithmum maritimum L., (Matta 1998 p. 54-55 [v. nota3] <strong>di</strong> pianta “poco più<br />

alta del finocchio <strong>di</strong> mare”, la quale conclude “un nome non registrato nei repertori”, <<br />

krh¤qmon 21 );<br />

mmatajunna, mmatahjunna = mmata ‘rovescio d’acqua; acquazzone’ (Rohlfs NDDC 6 402, EWUG 2<br />

144 lo vuole da e©mba¢thj, neogr. mpa¢thj, concordando in ciò con Andriotis 219 “mpa¢¢thj,<br />

qalassinh££ auÃÃra"< e¦mba¢¢thj < e¦¦m-bai¢¢nw 22 );<br />

20<br />

Diversamente da quanto pensano alcuni, arcera ‘beccaccia’ (< latino acceia) non è voce né rara né caratterizzante<br />

nella Calabria settentrionale: per ulteriori osservazioni si veda Trumper 1. 151-153.<br />

21<br />

Suppongo che il riferimento sia al Crithmum maritimum L. ben presente in natura lungo le coste calabresi, dove è<br />

generalmente conosciuto con il nome <strong>di</strong> finùocchju marinu. Penzig 145-146 dava come nomi comuni della Toscana<br />

“Crétamo, Crétino”. Il nome non è stato documentato in Calabria da Rohlfs (NDDC 6 , EWUG 2 ecc.). Al contrario<br />

Alessio RIL 77. 660, v. 1149 (1944) riportava a krh¤qmon il siciliano crìttimu e le forme toscane, portando in suffragio<br />

delle sue osservazioni il seguente percorso antico gr. krh¤qmon > tarda variante kri¢¢tamoj (allotropi in Dioscoride 2.<br />

156) > me<strong>di</strong>ogreco krh¢tamon, kri¢¢tamon > mod. kri¢¢tama, con lo stesso genere della nostra forma cetrarese. Per<br />

quanto riguarda il greco krh¤qmoj, krh¤qmon, un'origine indo-europea sembra esclusa, come è anche esclusa<br />

un’associazione voluta da Vasmer con voci greche (kera¢¢in come accusativo in Teofrasto, Historia Plantarum 9. 15. 5),<br />

slave (russo hren < antico slavo ecclasiastico hrĕn,) e germaniche (antico alto tedesco chren, kren > me<strong>di</strong>o alto krēne ><br />

moderno Kren) per la Cochlearia armoracia (= Armoracia rusticana: Marzell 1. 396, 399 ipotizza che forme germaniche<br />

derivano da quelle slave, quelle romanze [Nord Italia crén, francese cran ecc.] da quelle germaniche). Visto che il<br />

Crithmum maritimum L. è l’unico ‘finocchio’ o ‘aneto’ <strong>di</strong> color rosso, l’unica base extra-indoeuropea da cui potrebbe<br />

provenire è quella proto-turcico-mongola data da Tenishev 2001 come *KYZ- ‘glow red’/ ‘<strong>di</strong>venir rosso per azione del<br />

fuoco’ (> turco kïzïl, ciuvascio verbo xër-, aggettivo xërlë ‘rosso’), da Starostin-Dybo-Mudrak 1. 828-829 *K’IūR¢¢¢U- ><br />

proto-turcico *KïR¢¢- / *KïZ- ‘rosso; rossiccio’. La strada è alquanto lunga, ma se vogliamo proseguire con la vecchia<br />

proposta <strong>di</strong> Pisani (Scritti in onore <strong>di</strong> G. Bonfante 2. 712, ipotesi d’una possibile “origine paleoeuropea”) siamo costretti<br />

a <strong>di</strong>scutere l’ipotesi d’una voce migratoria altaica (Wanderwort culturale). Il nostro fitonimo prima registrato in<br />

Dioscoride (De Materia Me<strong>di</strong>ca 2. 129, donde le attestazioni in Galeno, Paolo Egineta, Aezio Amideno ed altri) è<br />

continuato nelle opere botaniche greche seriori (Delatte 1939: 325 kri¢¢tamon a¥¥lmuri¢¢¢j nel ms. Parigi BN 637<br />

dell’inizio del Quattrocento ecc.) e latine (Antidotarium Nicolai: v. Fontanella pp. 71, 80, varianti critamus, cretamus,<br />

cretanus) del Me<strong>di</strong>o Evo, donde, per opera dei monaci me<strong>di</strong>oevali, passa in alcuni volgari europei.<br />

22<br />

Lavagnini 647 vuole, invece, derivare mpa¢¢thj dal catalano embat. Visti i significati nel greco <strong>di</strong> e¦¦mba¢¢¢thj (per il<br />

Me<strong>di</strong>oevo si vedano Trapp 3. 486-486 e¦¦mbasi¢¢a, e¦¦mba¢¢¢thj ecc., Du Cange greco 377 e¦¦mba¢¢th[j] “solium; labrum<br />

balnei”, 380 eÃÃmpa “gradus; ascensus”, il senso anche nel bizantino Teofane, Cronografia 59, 18-19<br />

[“ei¦¦ mh£££ to££ uÀÀdwr th¤j e¦¦¦mba¢¢¢thj, e¦¦n $ ei¦¦sh¤lqen Eu¦¦no¢¢¢mioj, e¦¦ke¢¢nwsan ...” se non avesse svuotato l’acqua della<br />

vasca da bagno in cui Eunomio è entrato]), nei glossari me<strong>di</strong>oevali con significato “solium; solium balnei; alveus<br />

balnei” o “vadum” (CGL 3. 435, 12 “e¦¦mbato¢¢j uadosus”) cfr. CGL 2. 185, 46/ 2. 295, 48/ 2. 505, 35/ 2. 527, 40/ 2.<br />

548, 36/ 3. 287, 14/ 3. 657, 16, la voce, sebbene formalmente accettabile (non implicherebbe problemi <strong>di</strong> sviluppo<br />

fonologico), presenta insuperabili problemi <strong>di</strong> natura semantica. Questi vengono ovviati se proponiamo come origine<br />

della voce il catalano me<strong>di</strong>oevale embat (< batre’s, embatre’s, Corominas DECLC 2. 731 “impuls d’un’onada, però<br />

més sovint ‘brisa, vent suau o ventijol que bufa de mar’ …”, con prima documentazione del Trecento). Ipotizzo,<br />

dunque, un catalanismo del lessico marino sia per il neogreco che per la rara voce calabrese presente nel cetrarese. La<br />

serie greca e¦¦mbato¢j 'accessibile' > e¦mbateu¢w ecc. darà forse, invece, i tipi reggini mbatò ‘appollatoio delle galline’,<br />

mbatijari ‘appollaiarsi’, come suggerito in Alessio RIL 74. 699, v. 630 (1941).<br />

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mmàtala, mmàtula ‘inutilmente’, voce più caratteristica del calabrese meri<strong>di</strong>onale (Rohlfs, NDDC 6<br />

397, EWUG 2 328-329 dal prefisso verbale mata- < meta-, cfr. reggino ammata ‘<strong>di</strong> nuovo, bovese<br />

matapa¢li id. < meta- + pa¢¢lin 23 );<br />

surìa ‘filo’ (Rohlfs, NDDC 6 704, < souri¢a , cfr. Bovese id.).<br />

Lo stesso forse <strong>di</strong>casi <strong>di</strong> hjèhhjamu ‘asma’, che sembra avere più a che fare col gr. fle¿gw,<br />

fle¿gma, che non col verbo calabrese d’origine latina ahhjà ‘scovare; fiutare’ (< adflāre, cfr. rum.<br />

aflà). Comunque, vanno segnalati anche dei germanismi (longobar<strong>di</strong>smi) più consoni al fuscaldese<br />

e che forse accennano a rapporti secolari con la gente <strong>di</strong> Fuscaldo, ad es. assaccà/ arsaccà<br />

‘affannare’ (Rohlfs, NDDC 6 101, con geo<strong>di</strong>stribuzione più ionica che tirrenica, si veda Trumper 1.<br />

188-189 per le origini germaniche, nel verbo sahan), guantèra ‘vassoio’ (Boccafurni 2002: 111,<br />

Cipolla II r. VII, NDDC 6 316), scèrpa ‘cosa, oggetto, esempio’ (per scèrpa, scirpa longobar<strong>di</strong>smi<br />

cfr. Rohlfs, NDDC 6 634), sgrìengiu ‘smilzo; attorcigliato; storto’ (Rohlfs, NDDC 6 640, ovviamente<br />

< *sclinc- da un longobardo slink) ecc.<br />

La cosa che più colpisce nel cetrarese, vista la sua natura <strong>di</strong> <strong>di</strong>aletto <strong>di</strong> ‘confine’ con i territori <strong>di</strong><br />

Bonifati, Buonvicino e Diamante, è la presenza <strong>di</strong> alcuni elementi del tutto particolari, che lo legano<br />

in modo deciso all’Area Lausberg arcaica che procede dalla linea Verbicaro-Diamante-Cirella a<br />

nord. Tali elementi si riconoscono nel contare le giornate in avanti, cioè [g]òje > crai ‘domani’<br />

(Boccafurni 2002: 96, Cipolla III v., NDDC 6 198) > piscrài/ priscài ‘dopodomani’, > piscrillu/<br />

prischillu ‘tra due giorni’, oppure all’in<strong>di</strong>etro, vale a <strong>di</strong>re ajìeri ‘ieri’ > <strong>di</strong>terza ‘avantieri’ (anche<br />

Boccafurni 104, Cipolla III 7r., cfr. NDDC 6 242) > [n]ustìerzu ‘due giorni fa’. L’unica <strong>di</strong>fferenza<br />

con l’Area Lausberg è che gli anziani delle frazioni non riescono più a contare sette giorni in avanti,<br />

sette giorni in <strong>di</strong>etro, come quelli della zona più arcaica. Altri arcaismi esemplificativi sono la<br />

presenza <strong>di</strong> [g]ollu > [g]ollu ad illu ‘eccolo’, [g]olla ad illa ‘eccola’ (cfr. goll <strong>di</strong> tutta la zona<br />

arcaica, dal latino arcaico olle,-a,-ud per ille, -a, -ud), oppure vocaboli arcaici quali fragunijatu<br />

‘lacerato; rovinato’ < fragunijà (talvolta fraganijà), che Cedraro 1885: 54 aveva già spiegato come<br />

vocabolo della zona arcaica fraganijá<strong>di</strong> ‘ridurre in pezzettini’ dalla base perfettiva *frăgāre <strong>di</strong><br />

frăngĕre ‘rompere’, il fitonimo palarruni ‘biancospino’ (Rohlfs NDC 6 522, senza etimo) > ‘spini<br />

dei pruni, dei roveti, spineti’(Area Lausberg: pedarrone, pirarrone ‘biancospino’ < pĭrārĭa + -ō, -<br />

ōnem, < pĭrus), salavrune ‘ramarro’ (Boccafurni 2002: 139, Cipolla I. Iv., IV r. I 24 ), suriciùorvu<br />

‘talpa’ (Boccafurni 2002: 149, Cipolla I 4r., IV v. 1, spiegato in NDDC 6 705, 910: si oppone ai tipi<br />

tupinaru o surice zupu della Calabria settentrionale ver’e propria), stilla ‘goccia’ (Rohlfs NDDC 6<br />

687), con il latino stīlla (deverbale) al posto dell’innovativo gŭtta, oppure testa ‘margotta’ < testa<br />

‘vaso’, voce presente solo tra i <strong>di</strong>aletti arcaici (NDDC 6 715, già in Cipolla IV r., cfr. Boccafurni<br />

2002: 150, non come tìestu, tîstu, téstu ‘coperchio <strong>di</strong> terracotta; coccio’, voce comune),<br />

23 Boccafurni 2002: 46 (la voce non si trova poi nel lessico <strong>di</strong> Cipolla) dà mmatula ‘invano’ < arabo batil. Da quanto<br />

ipotizzato in Pellegrini 1. 60 (de balde, batil) il nostro termine <strong>di</strong>fficilmente deriva da questo arabismo, ma dal greco,<br />

come suggerito dal Rohlfs.<br />

24 Rohlfs, NDDC 6 599 non esplicita la morfologia: ovviamente la derivazione è dal greco ma si suppone un tardo latino<br />

*saurīlis, -e pl *saurīlĭa, donde una neoformazione *sauriliōne[m], con formazione come hædus > hæ<strong>di</strong>lia ecc.<br />

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CARTA 2, SPIGOLA: unità ittica calabrese e <strong>di</strong>ffusione europea.<br />

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o grecismi particolari quali ávisi ‘profon<strong>di</strong>tà; gorgo; abisso’, voce documentata già da Rohlfs<br />

(NDDC 6 108 ávisi per l’area arcaica al nord e la costa tirrenica fino a Cetraro, con commenti in<br />

EWUG 2 1-2 su questo derivato <strong>di</strong> aÃÃbussoj 25 ) e cumma ‘stalla d’asini o buoi’, come in Cedraro<br />

1885: 47, che lo dà per l’area arcaica del Pollino 26 . Altri esempi abbondano 27 . In questo senso il<br />

cetrarese possiede tutti gli aspetti <strong>di</strong> un <strong>di</strong>aletto <strong>di</strong> frontiera, fa da filtro o cuscinetto tra aree più<br />

chiaramente caratterizzabili quali la zona arcaica definita in Lausberg 1939 e la Calabria<br />

linguisticamente settentrionale.<br />

CARTA DEI CONFINI CETRARESI.<br />

25 Rohlfs notava già lo scempiamento della sibilante –ss- nelle opere <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> Nola: aggiungo che nelle sue Poemata<br />

si evidenziano ben 4 casi <strong>di</strong> abysus, mentre in un Anonimo dello stesso periodo (PL 86. 878C, Cantica) vi è un simile<br />

caso, cioè “Cuius aspectus arefacit abysos” (la cui vista secca/ asciuga gli abissi). Sembra, dunque, che la forma abysus<br />

con scempiamento prenda piede nel latino dell’Italia meri<strong>di</strong>onale nel 400-500 d. C.<br />

26 Rohlfs NDDC 6 218 limita il significato e la geo-<strong>di</strong>stribuzione della voce, EWUG 2 283 dà esiti grecanici <strong>di</strong> ku¢¢mbh<br />

soltanto nel senso <strong>di</strong> ‘gobbo,-a’. Alessio RIL 77. 663-664, v. 1184 (1944) prponeva come etimo ku¢¢mboj.<br />

27 Ringrazio per i controlli del caso l’amico Giovanni De Caro, nativo <strong>di</strong> Cetraro.<br />

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2. <strong>FUSCALDO</strong>.<br />

A Fuscaldo siamo certamente al <strong>di</strong> fuori dell’area arcaica del circum-Pollino, troppo a sud perché se<br />

ne possa sentire l’influenza, ci troviamo, però, in un calabrese tirrenico settentrionale del tutto<br />

particolare, e non solo dal punto <strong>di</strong> vista della sua <strong>di</strong>versa metafonia rispetto ai <strong>di</strong>aletti circostanti 28 .<br />

E’ vero che si reperiscono gli stessi oscismi cui abbiamo accennato sopra, ad es. asulijari (=<br />

cetrarese avusulijà) o meglio ancora á[v]uzunu ‘ontano’ < osco (*also- >) alsĭnus (> latino alnus,<br />

con sincope, v. Rohlfs NDDC 6 104, T 1. 213 per <strong>di</strong>scussione), oppure dei latinismi arcaici <strong>di</strong> quelli<br />

che caratterizzano il calabrese settentrionale come gruppo romanzo conservativo. A parte fragu, già<br />

<strong>di</strong>scusso per il cetrarese, abbiamo casi particolari quali<br />

(1) calavrunu ‘biancospino’ (Rohlfs NDDC 6 119, che riprende Bottiglioni in ID 16. 144-145,<br />

<strong>di</strong>scussione riassunta in REWS 1482 calabrix, -īcem Crataegus sp.);<br />

(2) cestònia ‘tartaruga marina’, animale una volta ben presente lungo le coste calabresi, dal REW<br />

8687 tĕstūdo, variante 2 tĕstūgo, -ĭnem (come in sardo, cfr. Salvioni in RIL 42. 666), incrociata poi<br />

con ‘cesta’ o parola simile: si vedano Merlo ID 5. 103 e Bertoni ZRP 38. 214 per la <strong>di</strong>scussione<br />

degli incroci);<br />

(3) cuglia = guáddara ‘ernia’ (< latino cōlĕus ecc.), più caratteristica, in genere, dell’area arcaica da<br />

Castrovillari in su;<br />

(4) fracòma ‘poltiglia’ (forse ha a che fare con *frăgĭcāre, frequentativo ipotizzato da tutti i<br />

romanisti del classico frăngĕrĕ);<br />

(5) mèra, mèra<strong>di</strong> ‘s’ad<strong>di</strong>ce’ (cfr. Pupo 2002: 101), esito del classico mĕrēre, con significati ancora<br />

simili, verbo <strong>di</strong>scusso prima da Merlo in RIL 85. 43, accettato poi da Meyer-Lübke e ris<strong>di</strong>scusso in<br />

REWS 5522;<br />

(6) s<strong>di</strong>ngari ‘affaticare’ (Pupo 2002: 143 S<strong>di</strong>ncatu ‘Affaticato’), risolto da Alessio nell’ID 12. 74 (v.<br />

REWS 2666 dĭs-dīgnāre);<br />

(7) la sopravvivenza del congiuntivo latino fossilizzato vĕllis/ vĕllit <strong>di</strong> vŏlo, vĕlle ‘volere’ nei<br />

composti quali uvivéi = auvivéi ‘da qualsiasi parte, da nessuna parte’ (= annuaparta),<br />

sulla scia <strong>di</strong> auvìei id. <strong>di</strong> Rende e Marano o <strong>di</strong> cubbélli ‘chiunque’ <strong>di</strong> Dipignano, ecc.<br />

Nello stesso modo troviamo quei grecismi che contrad<strong>di</strong>stinguono la Calabria settentrionale al <strong>di</strong> là<br />

<strong>di</strong> ciròma, che abbiamo già commentato, o <strong>di</strong> crisara ‘setaccio’ accanto alle forme più comuni<br />

grisara e risara (Rohlfs, NDDC 6 202, < greco krhsa¢ra, Alessio ASCL 3. 149, v. D54 [1933],<br />

RIL 77. 660, v. 1151 [1944] krhse¢ra, -a¢ra) e forme comuni simili, a smentire una netta<br />

<strong>di</strong>stinzione tra la Calabria latina e la Calabria greca. Vengono in mente casi quali<br />

(1) agriáru ‘olivo selvatico’ (la forma deriva dal tardo greco a¦griel[l]ai¢¢a, a¢¦grie¢¢l[l]aioj<br />

<strong>di</strong>scussa in Rohlfs NDDC 6 65, EWUG 2 7, Alessio STC 97 (1939), RIL 74. 672, v. 22 (1941), ma<br />

mai data come voce ‘cosentina’ 29 );<br />

28<br />

A Fuscaldo si ha la metafonia per innalzamento <strong>di</strong> un grado d’altezza vocalica, per cui si hanno le vocali toniche<br />

chiuse é, ó in posizione davanti ad i, u seguenti, rispetto alle toniche aperte davanti ad altre vocali, ad es. bbéu, bbónu<br />

rispetto a bbèa, bbòna. I <strong>di</strong>aletti circostanti operano metafonia o per <strong>di</strong>ttongamento (esiti ìe, ùo > ìa, ùa) o per<br />

innalzamento <strong>di</strong> due gra<strong>di</strong> d’altezza (Belvedere: i, u). Il <strong>di</strong>aletto è anche caratterizzato dalla mancata assimilazione<br />

progressiva mb > mm, nd > nn, pur conoscendo la sonorizzazione post-nasale (vale a <strong>di</strong>re la tendenza variabile a<br />

sonorozzare mp > mb, nt > nd).<br />

29<br />

La forma greca a¦grie¢¢laia ecc. ‘olivo selvatico’ è ben nota al calabro-greco me<strong>di</strong>oevale, cfr. doc. 2 p. 45, 12<br />

a¦grille¢¢a, p. 45, 20 a¦¦grielai¢¢¢aj del 1088-1089, in S. G. Mercati, C. Giannelli, A. Guillou, Saint-Jean-Théristès<br />

(Città del Vaticano 1980), Trinchera 74, 21 a¦grillion del 1093, Monastero <strong>di</strong> Carbone (G. Robinson, History and<br />

Cartulary of the Greek Monastery of St.Elias and S. Anastasius of Carbone, II Cartulary, Orientalia Christiana 15. 2<br />

[1929]) doc. XX. 68, p. 225, 15 (a. 1120) a¦¦grie¢¢laias, Trinchera 304, 13 a¥¥griellaiouj del 1190. È ugualmente<br />

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(2) [ped’i] agrìppu ‘pero selvatico < a¦¦gri- + aÃÃp[p]ion < aÃpion ’pera’ (mai data né da Rohlfs né<br />

da Alessio [STC 91 (1939), RIL 74. 672, v. 21 (1941)] come forma ‘cosentina’: la geminata<br />

anetimologica è conosciuta anche nell’esito cipriota aÃÃppij, aÃÃppi[d]ej 30 );<br />

(3) arpìa non ‘avvoltoio’ bensì Buteo buteo L. e Buteo lagopus Brünn. (tipi <strong>di</strong> poiane), che<br />

richiamano le forme pre-silane e silane per gli stessi predatori, cioè arpa e arpavùnu (greco aÐÐrph<br />

sia ‘falce’ che falconide, v. Trumper 2005: 110, 114 sgg. 31 );<br />

(4) camarda ‘siepe; palco’ (anche Pupo 2002: 45), data come grecismo in Rohlfs NDDC 6 121,<br />

EWUG 2 203 kama¢¢rda (per le forme kama¢¢rda e kama¢¢¢r<strong>di</strong>n del me<strong>di</strong>o greco bizantino del 600-<br />

700 d. C. v. Du Cange greco 559 e Trapp 4. 753 32 );<br />

(5) cufizzu ‘tana’ (parola non documentata da Rohlfs, < greco kou¤¤foj ‘vuoto’, perciò ‘spazio<br />

vuoto’, ‘terra svuotata’);<br />

(6) cuzzu ‘piccolo; corto’ (“cuzzu, n’ominé’i nenti”), dal tardo greco koutso¢¢j ‘tagliato,<br />

mozzato; corto’ (< tardo koyo¢¢j [v. Alessio RIL 77. 656 voce 1131] costruito sull’aoristo eÃkoya<br />

<strong>di</strong> ko¢¢ptein ‘tagliare’: si veda koutzo¢¢j ‘storpio; zoppo’ in Trapp 4. 877), voce più reggina che<br />

cosentina;<br />

(7) panganéu ‘sesso femminile’ (manca in tutti i repertori, in quello del Rohlfs e <strong>di</strong> Pupo 2002<br />

ecc.: la sua presenza mi è stata gentilmente confermata dall’amico Domenico Maio, fuscaldese,<br />

d’Italia Nostra), evidente derivato <strong>di</strong> pànganu = pàngalu < greco pa¢¢gkaloj ’tutto bello’ (con<br />

assimilazione progressiva nasale <strong>di</strong> n… l > n … n 33 ;<br />

(8) sévudu ‘terra non coltivata’ (già risolto da Alessio in RIL 76. 351 come incrocio tra il greco<br />

xe¢¢rsoj [> hjìersu, hjèrsu, jìersu in altri <strong>di</strong>aletti calabresi] e il latino sŏl[ĭ]dus).<br />

Altri casi non mancano.<br />

presente nel siculo-greco dello stesso periodo, anche fino al 1331, cfr. Cusa 2. 437, 5 a¦¦griai¢¢leon , 2. 468, 9<br />

a¦¦grille¢¢wn. Le forme registrate nel CGL sono tutte con la –l- scempia (agri!elaia, agrielaioº, [e]agri.elea,<br />

agrielea, a¦¦grie¢¢laion, agreleoº, a¦grelai¢¢¢a, agrielaia, agrelea, agrileon in CGL 2. 138, 19/ 2. 217, 16/ 2. 512,<br />

33/ 3. 191, 63/ 3. 264, 28/ 3. 301, 21/ 3. 359, 7/ 3. 428, 52/ 3. 535, 29/ 3. 535, 52 rispettivamente), mentre le forme<br />

calabro-greche con –ll- concordano con quelle registrate nel Du Cange greco 18 a¦¦gre¢¢llion dell’Assi¢¢¢za <strong>di</strong><br />

Gerusalemme e <strong>di</strong> Cipro (Yancoullis 2005 2 : 20-21 riporta il cipriota moderno agre¢¢¢llin a questa forma attestata<br />

dall’Assi¢¢za in poi; cfr. anche Chatziyoannis 2000: 34).<br />

30<br />

Nel calabro-greco la parola appare variabilmente come a¦griapide¢¢¢a, a¦¦grappi¢¢j, a¦grappi¢¢dh,<br />

a¦¦grappi<strong>di</strong>¢¢a,‘pera’ come a¦¦ppi¢<strong>di</strong>on e a¦¦ppi<strong>di</strong>¢¢¢a in un arco <strong>di</strong> tempo che va dal 1019 al 1213 (Trinchera p. 19 fino a<br />

Trinchera p. 102), quasi sempre con la geminata -pp- (anche CGL 3. 316, 25 del ca. 800 d. C.: agriappiº pirastrum),<br />

come gli esiti ciprioti, prova <strong>di</strong> un me<strong>di</strong>ogreco periferico estremamente conservativo. Per le forme a¢¢¢pphj e appi¢¢¢<strong>di</strong>n<br />

del greco cipriota cfr. Yancoullis 2005 2 : 66, Chatziyoannis 2000:44 (< classico aÃpioj).<br />

31<br />

Alessio RIL 74. 679 vv. 224, 225 (1941) separa inutilmente aÀrph ‘falce’ da aÀrph ‘rapace’.<br />

32<br />

La voce greca sopravvive come prestito anche nello slavo meri<strong>di</strong>onale, cfr. serbocroato kòmārda id., che Berneker<br />

1913: 552 ipotizzava già un latinismo camarata nel me<strong>di</strong>o greco kama¢rda/ koma¢¢rda , mentre il latino è, a sua volta,<br />

derivato da camăra, prestito dal greco ka¢¢mara. Trapp ibid. accetta la sostanza <strong>di</strong> questa argomentazione, suggerendo<br />

in aggiunta che la forma latina sia corretta in cameratus, -a, -um. D’accordo sulla lontana origine Alessio nell’ID 12.<br />

207 e RIL 77. 622 aveva suggerito un percorso lievemente <strong>di</strong>verso, cioè ka¢¢mara > kamari¢¢¢j, accus. kamari¢¢¢da ><br />

latinizzato con <strong>di</strong>versa accentuazione camárĭda > sincopata camár[i]da > kama¢¢rda/ camarda. Quest’ultima soluzione<br />

sembra innecessariamente prolissa, per cui ci dovrebbe sod<strong>di</strong>sfare la prima che già implica <strong>di</strong> per sé dei passaggi<br />

complessi del tipo greco > latino > greco bizantino > romanzo me<strong>di</strong>terraneo e balcanico.<br />

33<br />

La forma pa¢¢gkaloj è ben presente nei testi calabro-greci me<strong>di</strong>oevali (da Trinchera 45, 15, a. 1049, in poi:<br />

testimone dell’atto in questione è il Signore “Pankaloj uioj nikolaou”), con le varianti pagka¢¢¢lloj,<br />

pagka¢¢¢lhj. Per la presenza <strong>di</strong> pa¢¢¢gkaloj, pa¢¢gkalloj nel me<strong>di</strong>ogreco bizantino cfr. Trapp 5. 1170.<br />

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Molti sono i peculiarismi del fuscaldese che lo isolano all’interno <strong>di</strong> un gruppo calabrese<br />

settentrionale tirrenico, oltre gli esempi lessicali già <strong>di</strong>scussi. Alcuni <strong>di</strong> questi sono storicamente<br />

risolvibili, alcuni sono ad<strong>di</strong>rritura banali anche se anomali in quest’area, ad es. scuróbbiu ‘scuro,<br />

buio’, simile alla forma scuròju della Sila ionica (banali esiti, anche se derivazionalmente strani, del<br />

latino obscūrus), funicéu ‘baco da seta’(= sìricu <strong>di</strong> tutti gli altri <strong>di</strong>aletti calabresi settentrionali),<br />

più caratteristico del reggino che del cosentino, esito <strong>di</strong> un supposto *fŏllĭcĕllus = fŏllĭcŭlus,<br />

<strong>di</strong>minutivo <strong>di</strong> fŏllis (cfr., <strong>di</strong> tramite settentrionale, piemontese o lombardo, il toscano ‘filugello’)<br />

contaminato o incrociato con ‘fune’ od altro 34 , esito geo-linguisticamente anomalo a Fuscaldo,<br />

oppure jacunu ‘porcino’ (Boletus edulis L.), che Rohlfs registra in sparuti paesi pre-silani<br />

(Aprigliano, Conflenti ecc.), senza risolverne l’origine. Credo che si abbia a che fare con un<br />

derivato del latino iăcŭlus, -a, -um ‘che si getta’, aggettivo del verbo iacĭō > rēte iăcŭlum 1. ‘rete da<br />

gettare’, persino la composizione tarda rētĭācŭlum, con il verbo rētĭāc[u]lari, donde dall’aggettivo<br />

un nuovo sostantivo iăcŭlum 2. ‘dardo; lasso; serpente (saettone)’, che in alcuni <strong>di</strong>aletti italoromanzi<br />

passa al significato <strong>di</strong> ‘bocciolo’. In questo passaggio penso abbia influito la formazione <strong>di</strong><br />

un iterativo <strong>di</strong> iăcĭō, iăcĕre, iēci, iăctum, aiutata dalla tarda formazione <strong>di</strong> un supino iĕctum (Itala,<br />

latino cristiano) creato sul perfetto iēci. Da questo nuovo (tardo e volgare) supino iĕctum si è creato<br />

un nuovo frequentativo iĕctāre al posto <strong>di</strong> iăctāre, e questa è la forma ipotizzata nel REW 4568<br />

jactāre, 2. *jĕctāre, da dove hanno inizio il verbo calabrese jettari ‘buttare; gettare; germogliare’ e i<br />

sostantivi jìettu, jettune e jèttitu ‘gemma; germoglio; bocciolo’. Propongo un nuovo derivato<br />

(deverbale) *iăcō, -ōnem che prende il posto del noto iăcŭlum (< aggettivo iăcŭlus, -a, -um) come<br />

origine del nostro jacunu, con spostamento semantico ‘rete da getto’ > ‘dardo’ > ‘bocciolo’ ><br />

‘fungo’ (generico > specifico ‘porcino’). Altri casi isolati e caratterizzanti quali crìsciuli ‘lacci’ e<br />

crisènta ‘pettine del telaio’, oppure addula ca ‘sebbene, benché’, pissémpi/ pissémbi ‘molto;<br />

assai’ 35 rimarranno oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione ancora per molto tempo 36 , mentre altri casi<br />

sono <strong>di</strong> facile soluzione, ad es. ficu pi<strong>di</strong>tisca Diospyros lotus L., Diospyros kaki L, o dandarijari<br />

‘saltellare’ (= ’ntantarijari, ’ntantarèa del reggino, per cui cfr. dondolo, dondolare dell’italiano)<br />

ecc. Notiamo qui anche gli arabismi e forestierismi particolari che caratterizzano il fuscaldese<br />

all’interno dei <strong>di</strong>aletti nordtirrenici, ad es. zàccunu ‘mucchio <strong>di</strong> sassi’, che Rohlfs aveva già<br />

in<strong>di</strong>viduato e spiegato (NDDC 6 798, Fuscaldo, arabo sar), zirru per lo scomberide Euthynnus<br />

pelamis, che è già stato spiegato come arabismo nel caso del cetrarese, abbardari ‘curvar[si];<br />

piegare’ (< varda ‘basto’, < arabo barda‘a, Pellegrini 1. 53, varda 1. 170) oppure vajassa ‘donna/<br />

ragazza <strong>di</strong> servizio’. La derivazione in quest’ultimo caso è evidentemente dall’antico francese<br />

baiasse ‘jeune fille; servante’, poi incrociato con bachelier per produrre il moderno bachelette già<br />

ai tempi <strong>di</strong> François Villon. Certamente ha a che fare con il provenzale e catalano bagassa, italiano<br />

bagascia, spagnolo bagasa, portughese bagaxa, ma la lontana origine <strong>di</strong> questa serie non è chiara:<br />

seguendo l’ipotesi <strong>di</strong> Lokotsch v. 171 p. 15 (bagascia, baiasse < arabo bāġiz[a]), sia Gamillscheg<br />

1928: 65 sia Bloch e von Wartburg (DELF 51) davano la voce come prestito orientale, nella<br />

fattispecie arabo, mentre Pellegrini 1. 102 nega in maniera decisa che possa provenire dall’arabo 37 ,<br />

lasciando la questione aperta e sub iu<strong>di</strong>ce 38 . Ci sono anche gli occasionali turchismi come ciavuccu<br />

34<br />

Per la <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> ‘filugello’ e del meri<strong>di</strong>onale funicéllu v. DEI 3. 1645.<br />

35 6<br />

Cfr. anche Pupo 2002: 125. Rohlfs, NDDC 514 nota pessempe, -i nel calabrese centrale a Cortale e Maida, senza<br />

tentativo <strong>di</strong> spiegazione.<br />

36<br />

Adura ca ‘mentre’ è, invece, <strong>di</strong> facile soluzione (‘all’ora in cui …’).<br />

37<br />

Ibid. “dubbia è invece l’origine orientale <strong>di</strong> bagascia”.<br />

38<br />

A nota 131 della p. 102 Pellegrini conclude: “<strong>di</strong>scutibile pertanto l’origine dall’arabo baġīya ‘puttana’ accolta dal<br />

Lokotsch”. Il primo elemento potrebbe essere l’iranico baga- ‘Id<strong>di</strong>o’, se si pensa che l’antica prostituzione fosse quella<br />

sacra, ma la questione resta tuttora irrisolta.<br />

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‘cialtrone’ (cfr. cosentino ciavuccu, ’ngiavuccatu), che più che la singolarizzazione d’un ipotetico<br />

plurale *ciavucci < me<strong>di</strong>o greco tsaou¢¢[t]soj ecc. < turco çavuş, come prima pensavo, mi sembra<br />

ora, alla stregua del greco cipriota tsapou¢¢kkhj ‘sveglio; svelto’ (Yancoullis 2005: 547, < turco<br />

çabuk), un derivato del turcico çavIk, trattato da Clauson 1972: 396 (tris. *CBĞ ‘essere, <strong>di</strong>venir<br />

famosi’ ecc. > çavIk-) come un turchismo in<strong>di</strong>geno ma in Doerfer-Tezcan 1980: 96 čābuk ‘flinck,<br />

schnell’ come iranismo delle lingue turciche (neopersiano cābuk ‘svelto’, passato anche<br />

nell’armeno capuk) 39 . Se questo è la vera origine del nostro termine, allora si è avuto il passaggio e<br />

contrario dal turco ‘svelto; sveglio’ > romanzo ‘stupido’ tramite i Bizantini, vista l’impossibilità <strong>di</strong><br />

contatti <strong>di</strong>retti con gruppi iranici.<br />

Una ricerca dello specifico fuscaldese non può ommettere gli ittionimi sia caratteristici <strong>di</strong><br />

brevi tratti del Tirreno sia tipici dell’antica comunità <strong>di</strong> mare che era Fuscaldo. Ci sono alcuni casi<br />

<strong>di</strong> nomi <strong>di</strong> pesci abbastanza comuni lungo il Tirreno ma che a Fuscaldo in<strong>di</strong>cano <strong>di</strong>versi generi o<br />

specie da quelli soliti negli altri <strong>di</strong>aletti, tale è il caso <strong>di</strong><br />

Caputignusa Cepola rubescens L., che lungo lo Ionio (da Schiavonea a Cariati) in<strong>di</strong>ca, invece,<br />

Trigla aspera Lac.;<br />

Crivéu è la variante prettamente fuscaldese <strong>di</strong> Curvìeu, -èu (Sciaena sp.: Rohlfs, NDDC 6<br />

204);<br />

’Mpastura-vacca Petromyzon marinus L., <strong>di</strong> solito in calabrese denominazione del rettile Elaphe<br />

longissima 40 , qui riferita a pesce, abbastanza negativo come valore nutritivo e comportamentale, nel<br />

continuum o catena degli esseri;<br />

Ragnu del fuscaldese in<strong>di</strong>ca i trachini<strong>di</strong>, cioè Trachinus araneus Cuv., Trachinus draco L.,<br />

Trachinus vipera Cuv., ed in questi casi è allotropo, o variante lessicale, <strong>di</strong> tràcina, mentre in quello<br />

del Trachinus ra<strong>di</strong>atus Cuv. sembra il nome specifico senza allotropo. Con questi referenti il Tirreno<br />

usa ragnu/ ragnùlu nelle microaree <strong>di</strong> Praia, Aieta e Scalea, oppure da S.Lucido via Amantea (pisce<br />

ragnu) e Campora fino a Pizzo, mentre ragnu/ ragnulu/ ragnuttu è più comune in questo senso sullo<br />

Ionio da Rocca Imperiale a Rossano: la sua geo<strong>di</strong>stribuzione non è chiara in Rohlfs, NDDC 6 567,<br />

mentre DEI 5. 3199 certamente erra quando <strong>di</strong>vide l’Italia in un centro-nord che usa ‘pesce ragno’<br />

per i Trachini<strong>di</strong> ed un sud che utilizza unicamente ed uniformemente ‘tràcina’, essendo la vera<br />

geo<strong>di</strong>stribuzione molto più complessa.<br />

Rre de triglia per Trigla aspera Lac. è confrontabile solo con Rre d’i trigghji per lo stesso pesce a<br />

Tropea, Spezzaférru Trachypterus iris Gmel. è decisamente originale e <strong>di</strong> nessun’altra comunità <strong>di</strong><br />

pescatori 41 ;<br />

l’allotropo tòtaru <strong>di</strong> tòtanu, -unu Todarodes sagittatus Lamk, sembra in Calabria caratterizzare<br />

soltanto Fuscaldo assieme a Praia ed Aieta (DEI 5. 3842 suggerisce un rifacimento latino del greco<br />

teuqi¢¢j, teuqi¢¢¢da, -i¤da come teuthis, accusativo *teuthĭda per spiegare alcuni esiti).<br />

Di più <strong>di</strong>fficile soluzione rimangono i seguenti ittionimi:<br />

(1) Mindulìcchju = Monacèa Spicara vulgaris Val., da affiancare ai nomi Miennulìeddu (Paola),<br />

Mìnnula (Trebisacce, Montegiordano, foneticamente [mn], [mn] rispettivamente),<br />

Mìnula/ Mìnnula (Cirò Marina, Squillace-Soverato, Siderno-Locri): Rohlfs NDDC 6 421 dava<br />

mìnula < *mænŭla (REWS 5220a) < mæna (REW 5219) < greco mai¢¢nh, senza alcun tentativo <strong>di</strong><br />

giustificare né –nd- né la vocale tonica –i- 42 ;<br />

39 Notano (ibid.) che già Şā<strong>di</strong>q Kiyā nel 1335 registrava la variante čāvuk.<br />

40 Si veda J. Trumper, P. De Vita, Lessico e Cultura Popolare, Quaderni del Dipartimento <strong>di</strong> Linguistica, Linguistica 1,<br />

Università della Calabria 1985: 5-38, in particolare le pp. 24-27 per la <strong>di</strong>scussione dei nomi calabresi settentrionali <strong>di</strong><br />

rettili, voce ’Mpastura-vacca.<br />

41 Rohlfs, NDDC 6 671, dà senza specificazione “spezzaferru (Cfu) m. sp. <strong>di</strong> pesce”, in<strong>di</strong>cazione del tutto inadeguata.<br />

42 DEI 4. 2422, 2424 affianca forme quali méndola, mìndola (marchigiano), siculo-calabro mìnnula a quelle del tipo<br />

ménola (Veneto, Venezia), senza spiegare gli esiti variabili. Nel caso <strong>di</strong> forme meri<strong>di</strong>onali quali mìnnula vi è il solito<br />

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(2) Muletta Atherina sp., mentre i <strong>di</strong>aletti reggini presentano Mulettu, -a per Mugil sp., Liza sp.<br />

[mugili<strong>di</strong>], seguendo un modello francese arcinoto: Paul Barbier fils (RLR 54. 174-175) aveva già<br />

<strong>di</strong>viso nel 1911 simili ittionimi tra derivati <strong>di</strong> mŭllus ‘rossiccio’, per qualità cromatica, e mūlus<br />

‘mulo’, per la grandezza della testa rispetto al corpo, ma nessuna <strong>di</strong> queste due opzioni semantiche<br />

sembra valida nel caso degli aterini<strong>di</strong>, solo in quello dei mugili<strong>di</strong>. Si dovrà, invece, pensare a mūlus<br />

‘bastardo’, in quanto i latterini sembrerebbero dei clupei<strong>di</strong> ‘bastar<strong>di</strong>’ 43 ;<br />

(3) Mupu Pagellus centrodontus Delar., in contrasto con Mambrune Pagellus acarne Risso e<br />

Pagellus bogaraveo Brünn., con <strong>di</strong>stribuzione costiera non intesa da Rohlfs 44 , sembra echeggiare lo<br />

stesso ittionimo siciliano Mupa Pagellus centrodontus Delar., Pagellus acarne Risso, Pagellus<br />

bogaraveo Brünn. (Mupa 1 in vol. 2. 890 <strong>di</strong> G. Piccitto, G. Tropea, Vocabolario Siciliano, Palermo<br />

1977 ssgg.), allotropo nello stesso siciliano <strong>di</strong> Muca (Muca 3 ibid. vol. 2. 868). Si noti anche che vi è<br />

variazione <strong>di</strong> forme base come Mup- con Muf- e Muff- (nota 26), non solo con Muc-, come in<br />

siciliano. Partirei dal latino mūcus = mŭccus (REW 5709 ecc.) ‘muco del pesce’, visto che la<br />

‘mucosità’ del corpo apparterrebbe al concetto prototipico <strong>di</strong> un pesce come proprietà che permette<br />

al pesce <strong>di</strong> vivere <strong>di</strong> continuo in acqua, e deriverei il sic. Muca da questa base latina. Per produrre<br />

forme alternanti in Mup- e Muf- si richiede la contaminatio con esiti <strong>di</strong> una forma bizantina quali<br />

mou¤xlh, mo¢xlh, moxli¢¢on (Trapp 5. 1050-1051, 1125; esiti calabresi sono trattati in Alessio RIL<br />

77. 690-691, v. 1416) per ‘nebbia; nebbiosità, nuvolosità’: un colore grigio che richiama quello<br />

della nebbia o d’un nuvolo sarebbe adatto in questo caso e la specificazione cromatica potrebbe<br />

spiegare una simile serie ittionimica;<br />

(4) Tannuta Spondyliosoma cantharus L.: in Calabria il nome è originale a Fuscaldo ma si collega<br />

imme<strong>di</strong>atamente al genovese Tanüa (per le varie forme liguri Tanüa, Tagnüa, Tanœua v. VPL<br />

Lessici Speciali 2-1: 84, nizzardo Tanüda (forma ligure più arcaica), provenzale Tanüdo id. (cfr. E.<br />

Rolland, Faune populaire de la France, Maisonneuve, Parigi 1881, 3. 166, A. Davidson, Poissons de<br />

Mé<strong>di</strong>terranée, É<strong>di</strong>sud, Aix-en-Provence 2002: 66-67) 45 . Il termine provenzale-ligure sembra avere<br />

raddoppiamento delle sonoranti post-toniche nei proparissitoni, ad es. glomus, glomeris > cal. gliòmmaru,<br />

gghjjòmmuru, humidus, -a, -um > cetrarese jùmmitu, cinis, cinerem > cìnnara, ferula > *fèlura (per metatesi) > fèllura ><br />

cal. arcaico fìellura, fìeura, merula > *melura > mèllura > cal. centro-meri<strong>di</strong>onale mìeura, mèjura ecc.. Paul<br />

Barbier fils (RLR 52. 117) aveva già suggerito nel 1909 vari incroci e contaminazioni con menda, mendola (‘mandorla’<br />

nei <strong>di</strong>aletti) e con la stessa màndola = màndorla. Suppongo, dunque, insieme a Barbier, un incrocio tardolatino tra<br />

*mænŭla ‘menola’ e amyndala pro amygdala ‘mandorla’ (cosa piccola ma buona: contaminazione che Barbier registra<br />

anche nel provenzale e nei <strong>di</strong>aletti del sud della Francia). Ovviamente, avevo escluso la possibilità <strong>di</strong> ipercorrezione –<br />

nn- > -nd- (come reazione all’assimilazione nasale totale –nd- > -nn-) sia nel fuscaldese sia negli altri <strong>di</strong>aletti ad<strong>di</strong>tati<br />

dal DEI.<br />

43<br />

Questo sembra effettivamente il caso delle denominazioni <strong>di</strong> Atherina sp. nell’Alto Tirreno, cioè Praia/ Aieta Lagune,<br />

Diamante Lagòn, e nell’Alto Ionio, cfr. Montegiordano Lagòn, Rossano Legòn, tutti derivati del veneziano Agón<br />

Alosa fallax lacustris, noto clupeide. Gli aterini<strong>di</strong> sono, dunque, classificati come ‘falsi clupei<strong>di</strong>’in alcune comunità <strong>di</strong><br />

pescatori.<br />

44<br />

Ad onor del vero, e per chiarire una volta per tutte la <strong>di</strong>stribuzione geolinguistica <strong>di</strong> questo tipo lessicale<br />

geolinguistico, specifico quanto segue: Mupu, -a = Pagellus centrodontus, talvolta Pagellus sp., è presente sul Tirreno<br />

da Fuscaldo fino a RC (varianti: Muffuluni a Palmi, Gioia e Bagnara, Mupagghjuni per alcune specie a RC), sullo Ionio<br />

da Cariati fino oltre Locri (Schiavonea, Corigliano e Rossano presentano la variante Mùfr, Siderno Mupagghjuni). Il<br />

secondo tipo lessicale (Mambrune) è presente come Mafròn a Diamante, Mambrune, -u a Cetraro, Fuscaldo, S. Lucido<br />

ed Amantea. Quest’ultimo è <strong>di</strong> facile etimologia , e anche se Rohlfs non lo documenta come ittionimo ma come<br />

aggettivo valutativo usuale per ‘furbo, astuto’, egli dà l’etimo corretto, cioè il latino vafer ‘astuto’ > <strong>di</strong>minutivo<br />

meri<strong>di</strong>onale *vafrō, -ōnem (REW 9120b). Sarebbe un pesce ‘furbetto’.<br />

45<br />

Non è d’imme<strong>di</strong>ato interesse in questa sede appurare la lontana origine dell’ittionimo. Comunque, Gamillscheg 1928:<br />

831 cercò <strong>di</strong> relare con una base gallica (e non germanica, visto che l’antico inglese tannian doveva essere ‘latinismo’)<br />

il francese tan, tanner, seguendo una proposta <strong>di</strong> Jud nello ZRP 38. 42, come più tar<strong>di</strong> anche Bloch e von Wartburg in<br />

DELF 623 tan, tanner (< gallico *tann-, cfr. bret. tann ecc.: “l’écorce du chêne étant employée très tôt pour la<br />

préparation du cuir”. Gli autori <strong>di</strong> VPL Lessici Speciali 2-1: 84 sono decisamente contrari ad una simile proposta:<br />

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influenzato la nomenclatura toscana, sarda e corsa <strong>di</strong> questo pesce, in quanto Razzauti 1933: 120<br />

dava Tanuta come ittionimo livornese <strong>di</strong> Spondyliosoma cantharus (informazione ripetuta in Penso<br />

1940: 94), Cortelazzo ID 28. 08 (1965) dava per Elba Tanuta, variabilmente Tannuta, Penso 1940:<br />

94 Tanuda per Cagliari, mentre Massignon RLiR 26. 428 (1962) forniva per la Corsica Tanuta a<br />

Porto Vecchio, Tanuya nel <strong>di</strong>aletto ligure <strong>di</strong> Bonifacio. Penso 1940: 94 proponeva ad<strong>di</strong>rittura Tanna<br />

e Tan[n]uta come nome dello stesso pesce a Napoli. La comparsa unicamente a Fuscaldo in<br />

Calabria <strong>di</strong> questo ittionimo è, comunque, sorprendente e caratterizzante 46 .<br />

“Difficilmente accettabile è il proposto rapporto con il gallico *tanno- ‘quercia’ (per il colore tannino della livrea)”.<br />

Comunque, Barbier RLR 52. 128 (1909) si appellava alle caratterische cromatiche del pesce (“Le canthère vulgaire est<br />

gris argenté, rayé longitu<strong>di</strong>nalement de brun”), citando a sostenerlo le osservazioni <strong>di</strong> Rondelet <strong>di</strong> 350 anni prima (De<br />

Piscibus Marinis 1554 ad loc. cantharus: “quem … appellant … Ligures tanado a colore, illis enim tanat, color est, qui<br />

pullus Latinis, Gallis enfumé”). Visto che storicamente tanné in francese in<strong>di</strong>cava anche il colore ‘roux brun’, Barbier<br />

riportava l’aggettivo <strong>di</strong> colore poi nominalizzato al gallico *tanno- . Non trovo alcun’altra spiegazione adeguata al caso.<br />

Anche Massignon RLiR 26. 428. (v. 47), 452 tanāre > *tan-uta (REW 8555), accettava la proposta etimologica <strong>di</strong> Paul<br />

Barbier fils in RLR 52. 128. Il DEI 5. 3714 riferisce Tanuda, Tanuta, Tenuta, Isola del Giglio Tannuta (varianti toscane<br />

dal ’600 in poi) a Tanè (5. 3711) e Tanno 1 (5. 3713) < francese tanné, tanner ‘conciare’ < tardo latino tanare delle<br />

Glosse. Ad onor del vero, le Glossae Nominum del ca. 800-900 d. C. offrono le varianti tanare (CGL 2. 565, 44 “Aluta<br />

lucus [corr. locus] ubi pelles in calce pilantur et tanantur”) e tannare (CGL 2. 566, 14 “Alumen. locus ubi tannantur<br />

coria”). Partire dunque dalla tarda forma tannāre non mi sembra errato, viste anche le forme elbane e napoletane,<br />

nonché fuscaldesi, con Tann-.<br />

46<br />

Le forme francesi tan, tanner > tanné, -ée, da dove partono questi tipici ittionimi provenzali e liguri per<br />

Spondyliosoma cantharus, poi con estensione al toscano confinante e <strong>di</strong>ffusi in maniera compatta in Corsica e nella<br />

Sardegna ma in maniera irregolare in alcuni rari <strong>di</strong>aletti del nostro sud, sembrerebbo per il loro modello <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione<br />

d’origine celto-ligure o gallica (per il principio ascoliano della “prova”). A questo scopo accetto come conclusivo<br />

quanto scritto in J. Whatmough, The Dialects of Ancient Gaul, HUP, Cambridge Mass. 1970: 911 sul verbo tannare<br />

attestato nei Glossari (“The use of oak-galls, or bark, for tanning makes it at least likely that the name of the tree and of<br />

the process of tanning are connected … a notion of color (brown, dark yellow) is found in some of the Romance<br />

cognates …” ecc.), P.-Y. Lambert, La langue gauloise, Errance, Parigi (1994 1 : 199) 2003 2 : 202 sulla base *tanno-<br />

(anche se alquanto vago), ed in X. Delamarre, Dictionnaire de la Langue Gauloise, Errance, Parigi 2001: 245 che mette<br />

insieme bretone tannenn (E. Ernaut, Glossaire Moyen-Breton, Buillon, Parigi 1895: 676) , antico cornico glastannen (E.<br />

Campanile, Profilo Etimologico del Cornico Antico, Pacini, Pisa 1974: 49) Quercus ilex L., antico irlandese tinne<br />

Ruscus aculeatus L. (Auraicept) sotto le basi *tanno-, *tenn-io- e conclude “Le mot du français courant tan avec son<br />

dérivé tanner a certainement la même origine, la préparation du cuir se faisant tra<strong>di</strong>tionellement avec une poudre<br />

d’écorce de chênes”. Resta il problema dell’origine delle forme celtiche, trattato per primo da J. Loth in Vocabulaire<br />

Vieux-Breton, Champion, Parigi 1884: 130 “glastannen ilex” ed in RC 29. 71 [1908], che voleva far rientrare la base<br />

celtica *tanno- con le forme in<strong>di</strong>ane e germaniche antiche <strong>di</strong>scusse in Pokorny IEW 234 *d h anu-, forse meglio *d h onw-<br />

(variabilmente *donw-), ipotesi con<strong>di</strong>visa nelle sue linee generali da A. Thomas (RC 39. 334-337 [1920), J. Vendryes<br />

(per tinne dell’irlandese sia in RC 44. 318-319 [1925] sia in Lexique Étymologique de l’Irlandais Antique, Parigi-<br />

Dublino 1960-, T-71). Maggiori riserve degli altri stu<strong>di</strong>osi sono espresse da E. Campanile in Profilo Etimologico del<br />

Cornico Antico, Pacini, Pisa 1974: 49 (“ma l’etimo resta non chiaro, né è certo che si possa in<strong>di</strong>viduare un elemento<br />

glas ‘verde’.” (in glastannen), mentre Whatmough 1970 (op. cit. p. 911 richiamava non solo la forma dei Glossari ma<br />

anche lo strano fitonimo tardolatino tanda, anzi dendronimo, <strong>di</strong> poeta ignoto del 800 ca. d. C. dell’Anthologia Latina<br />

(A. Riese, Anthologia Latina 1, Teubner, Lipsia 1894: 204. 10-12/ D. R. Shackleton Bailey, Anthologia Latina 1,<br />

Teubner, Stoccarda 1982: 195, 10-12, De Servando me<strong>di</strong>co: “Servande in parte misera nabrastanos aesis/ uitiualas<br />

ualmam uitiduis tanda uitritam / capia feis gibatos enim transire uolebat”), tutte forme gallo-latine. Anziché d’origine<br />

celto-ligure J. Hubschmid (ZRP 66. 21-25 [1950], Substratprobleme, Vox Romanica 19. 163 [1960]) postulava, invece,<br />

un’origine non solo pre-romana ma anche pre-indoeuropea, forse più per preconcetto che per altro. C. D. Buck, A<br />

Dictionary of Selected Synonyms in the Principal Indo-European Languages, UCP, Chicago-Londra (1949) 1988 2 §8.<br />

65 <strong>di</strong>scute il rapporto tra voci per ‘pino’ ecc. in germanico ed in in<strong>di</strong>ano, connettendole con i termini per ‘arco’ (‘legno’<br />

> ‘arco’), come anche P. Friedrich, Proto-Indo-European Trees, UCP, Chicago-Londra 1970: 150-151, il quale<br />

suggerisce ad<strong>di</strong>rittura che il francese tan, tanner, tanné, deriverebbe dal dendronimo germanico. In questo senso<br />

Mallory & Adams 1997: 202 vanno oltre, aggiungendo anche l’ittita per ‘pino’ (tanau-) all’in<strong>di</strong>ano e al germanico,<br />

connettendo questi con le voci per ‘arco’ sia nell’in<strong>di</strong>ano antico (dhánus-, gen. dhánvanas ‘arco’) che nell’iranico<br />

antico (avestano: qanwar, gen. qanwano-) ed anche con quelle per ‘coscia’ o ‘femore’. Comunque, non si menzionano<br />

né il tardo latino tannare e il fitonimo tanda (= tanna) né i noti fitonimi celtici (ant. cornico glastennen, bretone<br />

tannenn, ant. irlandese tinne). La <strong>di</strong>scussione sembrerebbe a favore dell’inclusione del celtico ma rimane ancora aperta.<br />

E’ ovviamente da tanna/ tannare che deriva il nostro ittionimo Tannuta.<br />

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Ciò che sorprende veramente nel caso specifico <strong>di</strong> Fuscaldo è la presenza non dei pochi<br />

longobar<strong>di</strong>smi del calabrese ma <strong>di</strong> molti altri, cioè non solo <strong>di</strong> tipi quali aggrizzari ‘arricciare;<br />

corrugare’ (Rohlfs, NDDC 6 63, REWS 3865a, <strong>di</strong>scusso a lungo in Trumper 1. 60) assai estesi sul<br />

territorio, il solito cróccu ‘gancio’, abbramari, -atu, neanche frisinga ‘giovane scrofa’ (generale) ><br />

‘donna delicata’ (specificamente fuscaldese al livello semantico, dal germanico frisk-ing-), ma <strong>di</strong><br />

tipi isolati come attrappari, attrappuni (Rohlfs, NDDC 6 105, con <strong>di</strong>stribuzione assai limitata, senza<br />

spiegazione: v. REWS 8863 per <strong>di</strong>scussione), azzumbulari ‘arrotolarsi’ (Rohlfs, NDDC 6 110, 809,<br />

817: per la <strong>di</strong>stribuzione meri<strong>di</strong>onale limitata e la base germanica v. Trumper 1. 227, per l’origine<br />

germanica cfr. Scar<strong>di</strong>gli-Gervasi 306 ingl. tumble, ted. taumeln, tummeln), guantera ‘vassoio’<br />

(usuale nel nord d’Italia, anomalo nel sud: Rohlfs, NDDC 6 950, spiegazione prima in Alessio RIL<br />

51. 1042, germanico want-). Forse ci vanno qui anche sguantatu ‘arrossato’, sicuramente sguìngiu<br />

‘barcollante’ (Rohlfs, NDDC 6 318, 656, per la derivazione dal longobardo *wenkjan v. REWS<br />

9521, da riportare al germanico *WENG- ‘curvarsi’), tanguni ‘asta longitu<strong>di</strong>nale della vela’ 47 , e molti<br />

altri casi ancora, che inducono a pensare alla possibilità <strong>di</strong> una ‘storia’ tutta longobarda <strong>di</strong> Fuscaldo,<br />

simile ma <strong>di</strong>versa da quella <strong>di</strong> Laino Borgo, ultimo gastaldato salernitano storico in senso<br />

geografico in <strong>di</strong>rezione sud, dato che, dalle notizie ad esso relative, Fuscaldo non è mai stato<br />

gastaldato <strong>di</strong> nessun principe longobardo nella sua lunga storia. Sebbene Roma 1998 ponga,<br />

tentativamente, la Valle del Crati, da Cosenza a Bisignano, a Tarsia, come limes meri<strong>di</strong>onale dei<br />

Longobar<strong>di</strong>, ed altri, con minor saggezza, lo proclamino come appurata frontiera, già V. von<br />

Falkenhausen 1994 2 : 274 mostrava che i tentativi da parte longobarda <strong>di</strong> creare gastaldati così a sud<br />

nel periodo 750-900 furono spora<strong>di</strong>ci e destinati subito a fallire, che dall’800 “erano passati in mano<br />

bizantina i gastaldati <strong>di</strong> Taranto, Acerenzia, Cassano e Cosenza”.<br />

La questione <strong>di</strong>venta ancora più interessante quando si arriva ad una <strong>di</strong>scussione approfon<strong>di</strong>ta della<br />

toponomastica <strong>di</strong> Fuscaldo, a cominciare dallo stesso nome del paese. Vi è un nome personale<br />

Foscoaldo nel Codex Diplomaticus Cavensis (872d. C.) 48 , simile a Fuscoaldus toponimo che<br />

47 La voce è assente, per quanto riguarda il siciliano, dagli ispanismi <strong>di</strong> Michel, com’è assente dal NDDC <strong>di</strong> Rohlfs.<br />

Meyer-Lübke (REW 8559) riportava il tipo lessicale all’antico nor<strong>di</strong>co. Andrebbe ricordata la sua presenza nel me<strong>di</strong>o<br />

francese (Cotgrave 1611: Tangueurs > Tanqueurs “Such as carrie a∫hore ∫tuffe, or per∫ons, out of ∫hip-boats”), voce<br />

commentata sia da Dauzat et al. come d’origine spagnola o provenzale nel francese, remoto germanismo chiamato<br />

‘elemento frisone’ [“probablem. du frison tängeln, tangeln…”] che dal DELF 623B (sost. tangon 1836, < v. tanguer<br />

1643, tangueur 1611). Bloch e Von Wartburg la riportano all’antico nor<strong>di</strong>co, come Meyer-Lübke. La sua presenza è<br />

registrata nello spagnolo dell’800 in DCEC 5. 406B-407A, che, ricordando il frisone e l’antico nor<strong>di</strong>co, fa esplicito<br />

riferimento, comunque, al termine nell’antico normanno e provenzale, accettandolo come prestito galloromanzo,<br />

d’origine remota germanica. La remota origine germanica non è in dubbio, cfr. Onions et al. tang 1 (> tang 2 , la cui prima<br />

apparsa, come ‘risuonare’, ‘suono acuto’ < ‘punto; angolo; acuto’, si può far facilmente retrodatare a Shakespeare,<br />

prima nel 1600 nella Do<strong>di</strong>cesima Notte, Atto ii, sc. 5 Malvolio “Let thy tongue tang arguments of state”, poi nel 1611,<br />

nella Tempesta, Atto ii sc. 2 “But none of us car’d for Kate:/ For she had a tongue with a tang, / Would cry to a sailor,<br />

Go, hang;”), < antico nor<strong>di</strong>co, De Vries 1977: 581B tangi, anche tong ecc. < IEW 201 *DENK- ‘mordere’ (Pokorny<br />

stesso accenna al possibile rapporto con IEW 189-191 *DEK-, cioè *DEK- ~ *DENK-, variazione aspettuale?), con<br />

rapporto apofonico usuale *DENK-: *DONK-Ā (> aat. zanga > Zange, ags. tang[e], tong[e], anord. tangi, tong. In inglese<br />

andrebbe rimarcato che la variante <strong>di</strong>alettale twang <strong>di</strong> tang, cacciando dal lessico usuale tang, non ha conservato<br />

modernamente che il significato ‘suono acuto’ (> qualità particolare <strong>di</strong> voce).<br />

48 In quell’anno vi è una ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> terreni fatta da Alaisi, figlio <strong>di</strong> Foscoaldo, a Viselperto, figlio <strong>di</strong> Rattiperto,<br />

contestualmente “ego alaisi filio foscoal<strong>di</strong> binde<strong>di</strong> tivi wiselperti filius rattiperti terra mea …” ecc. (nel latino del<br />

periodo). Il sito WEB { HYPERLINK "http://www.cs<strong>di</strong>m.unical.it/ospiti/comuni" } confonde il personale con il<br />

toponimo e non cita mai il preteso documento del 589 (regno <strong>di</strong> Autari Flavio) in cui, secondo il sito, esisterebbe un<br />

riferimento toponomastico a Castrum Fuscal[i]<strong>di</strong>, così come non lo citano mai gli autori locali che trattano la<br />

fondazione e il nome <strong>di</strong> Fuscaldo. La spiegazione in termini <strong>di</strong> Fons Calidus, etimo caro al Rohlfs, pur con tutti i dovuti<br />

dubbi del caso, non regge neppure se ripetuta mille volte! La Rete, purtroppo, è piena delle più che <strong>di</strong>scutibili<br />

osservazioni <strong>di</strong> chi dovrebbe occuparsi <strong>di</strong> altro, certamente non <strong>di</strong> toponomastica. Le fonti vanno puntualmente citate!<br />

Quanto detto vale per tutte le osservazioni su questo problema che reperisco online. Per quanto riguarda l’origine del<br />

nome Fuscaldo, Gerhard Rohlfs continuava a propinare il lontano etimo Fons Cal[i]dus, non rinunciandoci mai (Scavi<br />

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troviamo nel 1140 49 , rispetto alla forma Fiscaldus nel Cinquecento 50 , nel Seicento (Marafioti 1601:<br />

273) e nel Settecento 51 . Già nel 1202 abbiamo la forma quasi moderna <strong>di</strong> Fuscaldo in Russo,<br />

Regesto 516, come più tar<strong>di</strong>, nel Duecento, nei Collectoria del Regno della Sicilia. Ciò che sembra<br />

essere in atto è una contaminatio tra due elementi, il primo *Fisk-wald- 52 (‘signoria della pesca’).<br />

Forme con –i- sono registrate in un periodo in cui non vi era alcun interesse ideologico a stabilire<br />

una particolare origine del toponimo rispetto ad altre possibilità. Il secondo è un nome personale<br />

longobardo Fusk[o]ald o Fusk[o]ard (nelle lettere <strong>di</strong> S. Pietro Damiano, Epist. 5 ad Almerich [PL<br />

144 col. 346D], il santo parla <strong>di</strong> un suo fratello Fuscardus) 53 , che alcuni portano <strong>di</strong>rettamente ad un<br />

longobardo *funsa-walda- (Stark 1868: 29, v. anche Morlicchio 1985: 43, 115 per <strong>di</strong>scussione dei<br />

nomi bitematici quali un possibile *funsawalda), altri ad un nome latino Fuscus o Fusculus<br />

germanizzato 54 . Morlicchio 1985 223 conclude: “Nomi come Fusca, Fuscuradus sono invece per<br />

Stark forme secondarie da un tema *funsa-, con la caduta della nasale. La grafia –sc- è da Stark<br />

attribuita a abitu<strong>di</strong>ni grafiche degli scribi romanzi che usavano sc ora per c ora per s”, mentre<br />

l’autrice sembra favorire l’ipotesi <strong>di</strong> nome personale latino germanizzato. Altri casi <strong>di</strong> chiara<br />

toponomastica longobarda sono:<br />

(1) Casa <strong>di</strong> Mare, probabile ri-interpretazione <strong>di</strong> Casamari (v. anche [4]);<br />

(2) Coddemma/ Cuddèmma (per onomastica germanica del tipo Kodo, Kutho si veda Foerstemann<br />

2. 1. 704, il quale esemplifica con il tipo Co<strong>di</strong>mesdorf) 55 ;<br />

(3) Gemarca (< ga-marka-: il tipo lessicale latinizzato come marca è già presente nel ca. 740 nelle<br />

Leggi <strong>di</strong> Ratchis §13 “ut marcas nostras christo custo<strong>di</strong>ente sic debeat fieri or<strong>di</strong>natas et uigilatas”, v.<br />

anche Du Cange latino 5. 265B-267B Marcha (700-970 d. C.) 56 , Latham 290 marcha ecc. del 1086,<br />

Orderic Vitalis 3. 28. 29, 3, 3. 136. 29 marcha ‘terra <strong>di</strong> confine’, aat. marc[h]a ‘Grenzland’,<br />

Schönfeld 161-163 per il tipo Marko-/ Marka- nell’onomastica germanica (anche l’etnonimo<br />

Marcomanni ‘uomini <strong>di</strong> frontiera’), Kluge-Seebold 540B-541A Mark 1 ‘Grenzgebiet’ confrontato<br />

con il lat. margo, iranico marz, celtico mruig/ bro ecc., Scar<strong>di</strong>gli-Gervasi 211 per i relativi confronti<br />

indo-europei e la contaminatio tra due basi *MERG- e *MER[E]G-);<br />

(4) Marre, -i 57 , probabilmente dal nome personale germanico Mâru < *mērija- ‘illustre’<br />

(Foerstemann 2. 2. 205-213, Morlicchio 1985: 195, 215 ecc., cfr. aat. mâri ‘berühmt’);<br />

linguistici 1974: 197 [“Fuscaldo < Fons calidus”], DTOC 3 118 del 1990 [“Non rimane escluso un Fons calidus, in<br />

quanto al terr. <strong>di</strong> Fuscaldo apparteneva una volta l’attuale comune <strong>di</strong> Guar<strong>di</strong>a Piemontese con la stazione idrominerale<br />

‘Terme Luigiane’ dove sono utilizzate le acque calde <strong>di</strong> 5 sorgenti”]).<br />

49 Cfr. Russo, Regesto 314 “…Umfre<strong>di</strong> de Bi[u]bum domini Fuscoal<strong>di</strong> …in S. Michaele de Fuscoaldo …”, 315 “…<br />

ecclesiam sancti Michaelis de Fuscolado …”. Vi è riferimento alle chiese <strong>di</strong> Fuscaldo nel 1168 (Russo, Storia 2. 398)<br />

senza che il paese o il feudo siano mai nominati <strong>di</strong>rettamente.<br />

50 Si veda Barrio, Lib. 2, V, ed. Aceti p. 68 “Nec longe est Fiscaldum castellum alterum, ubi saccarum sit, & mel ac<br />

vinum non ignobile”.<br />

51 Nella stessa e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Aceti, 1737 (<strong>di</strong> Barrio), i commenti e le note (pp. 71-72) danno Fiscaldus con, per la prima<br />

volta, l’ipotesi <strong>di</strong> una derivazione da fons calidus.<br />

52 Nomi germanici che usano Fisk- come primo elemento <strong>di</strong> strutture bitematiche si trovano in Foerstemann 2. 1. 891-<br />

895.<br />

53 Nomi del tipo Fusca/ Uusca, Fuschilse ecc. sono elencati in Foerstemann 2. 1. 977-978-<br />

54 La stessa ambiguità d’interpretazione si trova in Schönfeld 97 PN Fuscias (Procopio, De bello V. 1. 24, 7<br />

Fouski¢a[j]), che suppone o un nome latino germanizzato basato sull’epiteto fuscus o un derivato del germanico<br />

funsa-. Il nome personale germanico Fusculus, d’evidente origine latina, è d’uso comune nel Codex Diplomaticus<br />

Cavensis (Atti del 799, 855, 857, 881, 882 ecc.). L’unica cosa non ambigua è l’impossibilità <strong>di</strong> una derivazione da fons<br />

calidus (perché non si cita la forma femminile più generale e ‘parlata’ o ‘volgare’ della tarda latinità, fons calida?).<br />

55 Il tipo è presente anche nella Francia settentrionale, cfr. Couesmes < Go<strong>di</strong>sma, TGF 14563, vol. 2. 836-837. Potrebbe<br />

anche representare un esito <strong>di</strong> nomi quali Go<strong>di</strong>nus o Godulus < *goda- ‘buono’ (più che *guda- ‘Id<strong>di</strong>o’). Si veda anche<br />

il tipo Goda/ Guda in Schönfeld 111.<br />

56 Già presente nella Lex Alamannorum e negli Annales Francorum del VIII° secolo d. C., nella Charta Ottonis Imper.<br />

Per l’anno 965, con le relative citazioni nel Du Cange.<br />

57 Non credo si tratti dell’antico scan<strong>di</strong>navo marr ‘palude; terreno paludoso; acquitrigno’, come Marr nella<br />

toponomastica inglese (Ekwall EPN 316).<br />

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(5) Mercaudo, <strong>di</strong>al. Marcáüdu, terreno e torrente, dal longobardo *marka-wald- ‘bosco <strong>di</strong> confine’<br />

(Rohlfs, DTOC 191 fornisce il microtoponimo senza alcuna spiegazione, v. anche il tipo<br />

nell’inglese Marchwood < merce-wudu, Ekwall EPN 314, anche Morlicchio 1985: 123 per i tipi<br />

con marka-);<br />

(6) Ministalla: proviene da marah- ‘cavallo’ (cfr. aat. mar(i)ha, meriha > ted. Mæhre, ags. mearh ><br />

ingl. mare 58 , Marah- in Foerstemann 2. 2. 216-217, nomi quali Marabadus, Marboduus in Schönfeld<br />

161-163, evidente calco del greco i¨ppo¢maxoj ‘domatore/ combattente <strong>di</strong> cavalli’, < mar[a]h-<br />

‘cavallo’, Du Cange latino 5. 257C “Marach Equus” nella Lex Alamannorum, nella Lex<br />

Baiovarorum ecc., De Rose 1999: 55-58 § 25 per marach della Lex Alamannorum ecc.) > *marahstall-<br />

‘recinto dei cavalli’ > *Maristalla > *Miristalla > Ministalla (non la forma greco-germanica<br />

ibrida monosta¢¢llion proposta da Rohlfs);<br />

(7) Minnáüri: esito <strong>di</strong> Mund(u)aldus > Mindáüdu > Minnáüri (forma più paolana che fuscaldese,<br />

vista l’assimilazione –nd- > -nn- assente dal fuscaldese: per mundu-, -mundu- nelle composte si<br />

veda Morlicchio 1985: 195, 215 ecc., per mundualdus, già dai Capitularia <strong>di</strong> Carlomagno (PL 97:<br />

“dare debuerunt uel mundoaldo eius” ecc., almeno 3 volte), v. Du Cange latino 5. 547A<br />

“Mundualdus, Tutor”, nella Lex Longobardorum, nelle Leges Liutpran<strong>di</strong>, anche Sella 1944: 377<br />

dell’anno 1039) 59 ;<br />

(8) Ramun<strong>di</strong> (per nomi dal longobardo *ragina- ‘consiglio’ cfr. Morlicchio 1985: 96, 140 ecc.);<br />

(9) Salimati che rispecchia una forma sala < longobardo Sali 60 , per sala nel tardo latino cfr. Diplomi<br />

<strong>di</strong> Dagoberto a. 675 (PL 87), <strong>di</strong> Engelberto a. 709 (PL 89 “casatas XI, cum sala et curticle meo”),<br />

Diplomata vari dell’anno 722 (PL 87 col. 152), Du Cange latino 7. 277B-278A “Sala, Domus, ædes<br />

quævis” (E<strong>di</strong>tto <strong>di</strong> Rotari, Lex Alamannorum, Lex Longobardorum ecc.), Sella 1937: 303 (dal 900<br />

d. C. circa), 1944: 497 (del 1158), Latham 416 sala ‘hall’ del 1086 61 ;<br />

58 Scar<strong>di</strong>gli-Gervasi 1978: 211 MARE ipotizzavano che le forme germaniche fossero d’origine celtiche (“<strong>di</strong> origine celt.,<br />

come risulta dal confronto con le lingue celtiche”), d’accordo con Kluge-Seebold 1999 23 : 533 Mähre (“Dieses zu air.<br />

marc m., kymr. march ‘Pferd’ …” ecc.), ma non con Onions et al. 1966: 553 che davano le forme germaniche come<br />

congeneri <strong>di</strong> quelle celtiche e non derivate. Pokorny (IEW 700) dà *marko- comune ai gruppi celtici e germanici,<br />

Gamkrelidze e Ivanov 1995: 472 (anche 635) postulano una fonte asiatica per il tipo lessicale comune ad ambedue i<br />

gruppi indo-europei (“A Celto-Germanic protoform … can be posited in the form *markho- … The word has no<br />

cognate elsewhere in Indo-European and must be considered a loan into the Celto-germanic <strong>di</strong>alect group from some<br />

eastern Asiatic group”). Mallory e Adams 1997: 274 cercano <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare la base altaica da dove potrebbe derivare<br />

(“*markos is related to a series of words for ‘horse’ that extend eastward, in non I.-E. languages, all the way to the<br />

Yellow Sea. Thus we have Mongol morin, Chinese mă, Korean mal, Burmese mra”), ma concludono che una voce<br />

migratoria che viaggiasse per <strong>di</strong>stanze così lunghe doveva avere nell’indoeuropeo una <strong>di</strong>ffusione più capillare. Per<br />

quanto riguarda la base cinese E. G. Pulleyblank (Lexicon of Reconstructed Pronunciation in Early Middle Chinese,<br />

Late Middle Chinese, and Early mandarin, UBC, Vancouver 1991: 206) elenca me<strong>di</strong>o cinese maï’ = m:’ = tardo me<strong>di</strong>o<br />

cinese ma:’ = Yuan mandarino mă < *MAR- ‘cavallo’, con un parallelismo sino-indo-europeo molto forte. Starostin-<br />

Dybo-Mudrak 2. 945 presentano un proto-tungusu *MORV- = proto-coreano *MăR- = proto-mongolo *MORI- (= prototurcico<br />

*BURA-) con <strong>di</strong>scussione. Nonostante i dubbi <strong>di</strong> Mallory e Adams le corrispondenze non sembrano né fortuite né<br />

casuali, per cui credo non si possa non ricorrere all’ipotesi <strong>di</strong> migrazione lessicale asiatica.<br />

59 La voce è stata talmente <strong>di</strong>ffusa, nel senso <strong>di</strong> ‘procuratore’, da figurare nei testi greci della Calabria del Duecento<br />

(calabro-greco me<strong>di</strong>oevale), cfr. per il 1245 a Briatico (Trinchera 415, 11-14):<br />

“proj se££ iwa¢¢nnhn rau¢thn ... ... ... oÐntina¤ ka¢testhsamen hme¢¢¢teron prokou¢¢ratwra kai££ moundoualdon¢<br />

” – a te che costituiamo come il nostro procuratore, oppure per il 1256 a Catanzaro (Trinchera 421, 39- 422, 1):<br />

“ma¤llon de£££ met arxh¤¤j kai£££ ecousi¢¢¢aj tou¤¤ ei¦¦mw¤n mou¤¤ndoua¢¢ldon: mai¤storoj markou pi¢¢lw¤¤¤plastou” -<br />

con l’autorità del mio procuratore, ecc.<br />

60 Cfr. l’aat. ed antico sassone Seli, aat. Sal, ags. sele, Foerstemann 2. 2. 693-697, Kluge-Seebold 698A Saal < *salaz-,<br />

da confrontare con il lat. solum, antico slavo ecclesiastico selo ‘paese’ ecc., Scar<strong>di</strong>gli-Gervasi 250 *SALAZ- e *SAL-I-<br />

del germanico.<br />

61 Il problema resta l’elemento –mata, Mata- del germanico (< *maÞa-), che Schönfeld 165 vorrebbe ad<strong>di</strong>rittura<br />

derivare dal celtico mat- ‘buono; <strong>di</strong> buon auspicio’ (gallico matu- nel Calendario <strong>di</strong> Coligny, irl. math, cimrico e bretone<br />

mad/ anfad ecc.).<br />

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(10) Scarcelli: si ipotizza che il longobardo skalk- ‘servitore’ sia presente nel toponimo Scarcelli<br />

(aat. scalc[h], antico sassone skalk ‘servo; servitore’, in Foerstemann 2. 2. 753-755, Kluge-Seebold<br />

710B Schalk dell’8° sec., dal germanico *skalka- ‘servitore’, antico nor<strong>di</strong>co skalkr, ags. scealc,<br />

antico francone skalk, aat. scalc ecc.: per –skalka- nei nomi, ad es. gudascalc[a] o ‘buon servitore’ o<br />

‘servo <strong>di</strong> Dio’, cfr. Morlicchio 1985: 123, 195 ecc., tardo latino scalcus v. Du Cange latino 7. 329A-<br />

B Scalchus, Scalcus (con citazioni dal 700 d. C. in poi), Sella 1944: 508) 62 , per marescalcus Sella<br />

1944: 351;<br />

(11) Vardaro: warda, wardarius > Vardaru (piuttosto che una derivazione da vardaru ‘bastaio’ <<br />

varda ‘basto’ < arabo barda‘a, come suggeritio dal Rohlfs, data la relativa assenza <strong>di</strong> toponomastica<br />

araba a Fuscaldo), per cui cfr. guarda, warda ecc. in Orderic Vitalis 3. 190. 5 guarda, v. anche Du<br />

Cange latino 8. 406 Warda, Wardarius ecc. (anche sotto Garda, Gardarius), Sella 1937: 172 (a.<br />

1175), Sella 1944: 280, 690 ecc., Latham 520 warda, garda, guarda, wardagium [1070, 1102, 1185],<br />

Piccini 2006: 490) 63 . Per il germanico v. Foerstemann 2. 2. 1234-1237 aat- warta < warda, Kluge-<br />

Seebold 875B Warte, warten 64 .<br />

Visto il numero dei casi, non mi resta che augurare una lunga riflessione sulla possibilità <strong>di</strong> un<br />

adstrato significativo germanico nel fuscaldese, confrontabile solo con quello della toponomastica<br />

<strong>di</strong> Laino Borgo, un’attenta riflessione sulla problematica rivelata al <strong>di</strong> là delle solite ‘chiacchere’,<br />

non suffragate da stu<strong>di</strong>o, con cui vengono trattate simili questioni. Vero è che, al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> questi<br />

due territori comunali (Laino Borgo e Fuscaldo), le tracce <strong>di</strong> adstrato longobardo significativo nella<br />

toponomastica calabrese sono del tutto esigue, rimanendo in questi due comuni quasi il 90% delle<br />

rimanenze linguistiche longobarde della toponomastica calabrese (tolto qualche esempio <strong>di</strong> Sculca e<br />

<strong>di</strong> Ministalla).<br />

62 Vi è anche il nome personale derivato Scalco, -ōnem, usato a partire dai Diplomata ecclesiastici nella PL 87.<br />

63 Non è neppure escluso che si tratti <strong>di</strong> una forma germanica latinizzata waldarius ‘boscaiolo’ < waldus ‘bosco’ (= lat.<br />

saltuarius) : waldarius si trova nei documenti <strong>di</strong> tarda epoca accanto a waldemannus. Walda, -us è trattato sotto Wald<br />

‘hochwald mit buschholz’ in Foerstemann 2. 2. 1199 sgg. Per il latino me<strong>di</strong>oevale abbiamo waldus, -um in Du Cange<br />

lat. 4. 122-123, Walda/ Waldora in 8. 400B, Latham 518 wald[a] del 1167, Sella 1944: 279, 630 (gualdus, waldus),<br />

waldemannus a Verona nel 1185, Piccini 2006: 489 waldus (Friuli 1200-1300). Per l’origine si veda Kluge-Seebold<br />

872B Wald < germanico walÞu-. È documentato, anche nel sud d’Italia, il tipo onomastico germanico Valdarus (nome<br />

<strong>di</strong> un principe longobardo del sud del ca. 690), derivante da questa stessa base, come testimonia Schönfeld 252: si veda<br />

Procopio, De bello Gothico 3. 35, 17 (Ou©a¢ldaloj). Dalla base che ci fornisce il longobardo latinizzato Valdarus/<br />

grecizzato Ou©a¢ldaloj abbiamo l’ingl./ ted. Walter ecc. Mi sembra più adatto ipotizzare o wardarius ‘guar<strong>di</strong>ano’ o<br />

waldarius ‘boscaiolo’ come fonte del toponimo fuscaldese Vardaro che non un raro prestito arabo.<br />

64 Il nome derivato Wardu- > Wardo è trattato in Foerstemann 2. 2. 1237.<br />

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CARTA IGM DEL COMUNE DI <strong>FUSCALDO</strong> CON I TOPONIMI D’ORIGINE LONGOBARDA.<br />

Salimati Marri<br />

Casa-<strong>di</strong>-mare<br />

Gemarca<br />

3. Da Paola ad Amantea.<br />

Mercaudo<br />

Scarcelli<br />

Vardaro<br />

Fuscaldo<br />

Ministalla<br />

Coddemma Minnauri Ramun<strong>di</strong><br />

I <strong>di</strong>aletti tirrenici calabresi da Paola fino a Belmonte ed Amantea non sembrano presentare<br />

fenomeni esclusivi o particolari all’interno della compagine <strong>di</strong>alettale settentrionale, al <strong>di</strong> là della<br />

per<strong>di</strong>ta paolana della retroflessione del fonema consonantico //,- in origine una consonante<br />

retroflessa geminata conservata come tale a Fuscaldo,- con conseguente neutralizzazione con la<br />

lunga /dd/ originale ( iu,-a > iddu,-a ‘lui; lei’, con la stessa consonante geminata <strong>di</strong> friddu<br />

‘freddo’, sidda ‘sete’), mentre i <strong>di</strong>aletti <strong>di</strong> S. Lucido e <strong>di</strong> Fiumefreddo affricatizzano la //, <strong>di</strong><br />

concerto con la Valle del Crati intorno a Cosenza, con Men<strong>di</strong>cino e Cerisano, e al <strong>di</strong> là della<br />

rotacizzazione della /d/ originale (pēs, pĕde[m] > pede > pere, tæda X dai¢¢¢da > deda > rera, uĭdet<br />

> vìda[<strong>di</strong>] > vìra[ri], nīdu[m] > nidu > niru, ecc.). Per quanto riguarda il grande Santo <strong>di</strong> Paola e la<br />

cultura populare del Tre- Quattrocento associata al suo nome, specialmente per quanto riguarda le<br />

cure miracolose operate da lui e le piante usate in tali cure, vi è poco da aggiungere a quanto da me<br />

scritto nel 1984, nonostante le osservazioni seriori errate <strong>di</strong> qualche storico. Nelle trascrizioni del<br />

Teste 99 degli Atti <strong>di</strong> Beatificazione (versione volgare: “intesa la causa de la sua andata li <strong>di</strong>xe ch<br />

nō hauia pagura de morte + datoli tre acu×marj saluagi”), l’autore della versione latina, non capendo<br />

il referente del fitonimo <strong>di</strong>alettale cacùmbaru/ cacùmmaru ‘corbezzola’, noto <strong>di</strong>uretico che riduce la<br />

pressione arteriosa (< bizantino koukou¢¢maron, -oj < gr. ant. ko¢¢maron, -oj), traduce<br />

etimologicamente come se dal latino cucumer ‘citriolo’, così il passo <strong>di</strong>venta “…tres cucumeros<br />

siluestres” (tre citrioli <strong>di</strong> bosco). Nella trascrizione del Teste 69 “… piglia uno poco de secra + la<br />

pista…” vi è incomprensione del fitonimo negli Atti Romani ma si tratta dell’esito <strong>di</strong>alettale secra<br />

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‘bieta’ (< me<strong>di</strong>ogreco se¢klon > antico greco seu¤tlon, v. Rohlfs, EWUG 2 : 452 ecc.), in<br />

<strong>di</strong>stribuzione geolinguistica complementare con jìevuzu, jìevusu, jìvusu, jìüsu (< osco *hĕlŭsa = lat.<br />

hŏlĕra ‘verdura’) 65 . Nella trascrizione del Teste 66 reperiamo ferula (usata nelle cure delle malatie<br />

delle gambe), del Teste 27 erba bianca = ‘assinthio’ (curativo degli occhi), che documenta la nota<br />

voce <strong>di</strong>alettale erva janca per Artemisia sp. Nel caso <strong>di</strong> treffa nella trascrizione del Teste 10 (cura<br />

per gli occhi) il referente è polivalente, come spesso accade nella cultura popolare (Anthriscus sp. +<br />

Trifolium sp. + Elysurum sp. + Lotus sp. + Melilotus sp., voce derivante dall’antico francese trèfle),<br />

perciò parola referenzialmente ambigua, come d’altronde anche l’uso della voce cannicelli (cura per<br />

gli occhi), che alcuni hanno preso come riferimento puntuale al sambuco, precisione impossibile da<br />

verificare, data la costruzione dei fitonimi tipica della cultura orale. Ciò che possiamo costatare è<br />

che nel Tre-Quattrocento si usavano le voci <strong>di</strong>alettali cacumbaru/ cacummaru, secra, fìerula/<br />

fìeura, erva janca, treffa, cannicìei come fitonimi, come attestava S. Francesco <strong>di</strong> Paola, voci<br />

che con ogni probabilità corrispondono ai fitonimi <strong>di</strong>alettali attuali. Un fenomeno rilevante per il<br />

calabrese settentrionale che si conferma in questi documenti importanti del Tre-Quattrocento è,<br />

ovviamente, l’assimilazione nasale progressiva –mb- > -mm-, -nd- > -nn- già avvenuta.<br />

Nel linguaggio attuale dei pescatori vi è poco <strong>di</strong> fenomeni o <strong>di</strong> lessico veramente particolari,<br />

ad es.<br />

Miennulìeddu già commentato;<br />

Circu Amaru Atherina sp. (circu ‘cerchio, -one’) a Paola;<br />

S. Lucido Cavaètta Scomber colias, Šcutu ‘assiolo’ > Dactylopterus volitans, che prende<br />

sempre in genere il nome <strong>di</strong> un uccello (‘ron<strong>di</strong>ne’, ‘corvo’, più raramente ‘gufo’, come il Cucch a<br />

Diamante, o nome d’altro predatore notturno come qui);<br />

Patèggia = Perchja Serranellus sp., Paggèmma, Pataggèmma Labrus sp., voci d’origine<br />

sconosciuta.<br />

A Fiumefreddo, comunque, inizia un lessico <strong>di</strong> mare che forse in<strong>di</strong>ca un avvicinamento ad Amantea<br />

e Campora, cioè una <strong>di</strong>versa matrice storica da quella dei paesi più a nord <strong>di</strong> Fiumefreddo, ad es.<br />

Gualanu = Golanu, Gulanu 1. bovaro, 2. pastore, che in<strong>di</strong>ca il Lithognatus mormyrus (ad Amantea<br />

con un <strong>di</strong>minutivo Golanicchju), una scelta assai caratterizzante, l’inizio dell’uso <strong>di</strong> Saracinu per<br />

in<strong>di</strong>care pesci senza valore commerciale, pesce povero, ad es. Labrus sp., Crenilabrus sp., il<br />

francesismo Alòsa non per in<strong>di</strong>care i rari Alosa alosa e Alosa fallax, benché la Lichia glauca, il<br />

venezianismo ’Mpacchja per in<strong>di</strong>care Solea sp., Arnoglossus sp., Citharus sp., Monochirus sp. (ven.<br />

Paciarèla, Paciarata, Pataracia) accostato in maniera acritica al verbo calabrese ’mpacchjari<br />

‘appiccicare, attaccare’, l’ittionimo altrove ignoto Frìgula per in<strong>di</strong>care sia Lichia amia sia Seriola<br />

Dumerili. Ad Amantea e Campora comincia una <strong>di</strong>versificazione lessicale rispetto ai paesi più a<br />

nord che in<strong>di</strong>cherebbe un antico conflitto tra la cultura greca e quella araba. Come asseriva Russo 1.<br />

194-195, commentando le Notitiæ del Patriarcato Ecumenico, Amantea come <strong>di</strong>ocesi nasceva<br />

apparentemente con il governo bizantino della Calabria: Amantea e Tropea erano <strong>di</strong>ocesi, cioè,<br />

“aggregate alla Metropolia <strong>di</strong> Reggio al tempo della riorganizzazione <strong>di</strong> Niceforo Foca”. Così<br />

Amantea e Tropea <strong>di</strong>ocesi nascevano nel periodo imme<strong>di</strong>atamente dopo l’886 d. C. D’altro lato, in<br />

periodo pre-bizantino, come documentava lo stesso Russo (1. 95, 109), esistevano nel periodo 649-<br />

680 (Concilio dei Papi Martino 1 [aa. 649-655] ed Agatone [aa. 678-681) due vescovi, ergo <strong>di</strong>ocesi,<br />

<strong>di</strong> Tempsa/ Temesa e Tropea 66 . E’ dunque probabile che, continuando Tropea come <strong>di</strong>ocesi anche<br />

65 E’ da notare che esiti <strong>di</strong> ko¢maron (> ta£ gouma¢ria) sono forse presenti nel calabro-greco (Trinchera 171, 14, anno<br />

1141: “o¦pou exh goumaria. i'.”- dove ci sono 10 corbezzoli: Caracausi 1990: 143 Gouma¢¢¢rion identifica come<br />

allotropo <strong>di</strong> goma¢¢rion < go¢¢¢moj ‘carico’, cioè come ‘salma’, cioè una misura agraria; l’ambiguità, comunque, rimane),<br />

mentre esiti <strong>di</strong> seu¤tlon sono presenti nel grecanico <strong>di</strong> fine Novecento (Violi 2001: 121 se¢klo, ta£ se¢klia).<br />

66 All’epoca del Papa Martino 1 (prima del 655 d. C.) vi è un vescovo <strong>di</strong> Tropea con nome più greco che latino, Teodoro<br />

(Mansi X, 851-861, Lettera XV a Teodoro <strong>di</strong> Tropea). Nel Concilio <strong>di</strong> Papa Agatone (PL 87) i vescovi Teofane <strong>di</strong> Turi,<br />

Oreste <strong>di</strong> Vibo, Teodoro <strong>di</strong> Tropea, Georgio <strong>di</strong> Tauriana e Stefano <strong>di</strong> Locri (tutti nomi prettamente greci, tranne quello<br />

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nel passaggio chiesa latina > chiesa bizantina 67 , Amantea fosse subentrata come <strong>di</strong>ocesi bizantina<br />

alla <strong>di</strong>ocesi latina <strong>di</strong> Tempsa. Vi sono, comunque, problemi nella gestione bizantina delle <strong>di</strong>ocesi<br />

sia <strong>di</strong> Amantea sia <strong>di</strong> Tropea, visto che già gli Arabi avevano occupato ambedue, istituendo degli<br />

emirati, nel periodo 846-886, e che ritornano qui volta dopo volta, per cui si potrebbe concludere<br />

che gli Arabi abbiano occupato Amantea e Tropea per quasi 100 anni in un periodo <strong>di</strong> poco più <strong>di</strong><br />

300 anni <strong>di</strong> governo bizantino. I risultati sono ovvi nella toponomastica <strong>di</strong> Amantea, perché accanto<br />

al nome antichissimo <strong>di</strong> Amantea, <strong>di</strong> probabile origine greca 68 , abbiamo uno strato <strong>di</strong> latino arcaico<br />

presente in toponimi quali Išca (nome <strong>di</strong> scogliere con le quali si regolavano il i pescatori, < īnsŭla,<br />

DTOC 141) o Culùongi (colŏnĭci, Rohlfs, DTOC 58), Lacquari (< aquārĭus) insieme ad uno strato<br />

importantissimo <strong>di</strong> toponomastica greca rappresentato da toponimi quali Catapanu (< katepa¢¢¢nw<br />

‘ufficiale bizantino superiore’, Rohlfs DTOC 57), Catucastru (< katw££ ka¢¢stron nome del fiume<br />

‘sotto il castello’, DTOC 58), Còrica (Còraca, DTOC 79-80, < ko¢¢rac ‘corvide’) ecc. Accanto a<br />

questi due strati fondamentali reperiamo pure un adstrato assai rilevante <strong>di</strong> toponomastica araba che<br />

non troviamo in genere altrove; esempi sono: ‘I Càmoli’ (Càmuli, DTOC 42 per Belmonte Calabro,<br />

< arabo qamla ‘pidocchio; insetto fasti<strong>di</strong>oso’, Pellegrini 1. 114, Lokotsch v. 1044), ‘Catuso’ (si<br />

veda anche la forma grecizzata in Caracausi 1990: 59; DTOC 59, Pellegrini 1. 55, 155 qādūs,<br />

Lokotsch v. 988: questa forma è assai comune in Calabria), ’Mpelli/ ’Mbelli (Pellegrini 1. 52 Mālla<br />

< Maalla ‘accampamento militare’, deverbale <strong>di</strong> all ‘riposare in un luogo’), Rubano (falso<br />

pre<strong>di</strong>ale, < raba X rab‘[a] > raba[h] ‘mercato’ in Pellegrini 1. 269, con forma grecizzata come<br />

r¥¥a¢¢xap in Caracausi 1990: 493), con ad<strong>di</strong>rittura toponimi arabi <strong>di</strong> posti vicini <strong>di</strong>pendenti da<br />

<strong>di</strong> Stefano, già comune nel latino, sebbene prestito) fanno parte della e¦¦parxi¢a Kalabri¢¢aj, mentre Giuliano <strong>di</strong><br />

Cosenza, Abondanzio <strong>di</strong> Tempsa (Temesa), Pietro <strong>di</strong> Crotone e Paolo <strong>di</strong> Squillace (nomi ugualmente latini che greci)<br />

appartengono alla e¦parxi¢¢a Bretti¢¢wn o e¦parxi¢¢a Bruti¢¢wn. La e¦parxi¢¢a dei Bruzi è definita come la Calabria<br />

centro-settentrionale, mentre quella detta ‘della Calabria’ si determina, con l’eccezione <strong>di</strong> Turi, come area della<br />

Calabria centro-meri<strong>di</strong>onale. Negli Atti bizantini dal 700-800 d. C. in poi, Tempsa o Temesa viene sostituita con<br />

Amantea. L’area <strong>di</strong>ocesana <strong>di</strong> Tropea andava lungo la costa più a nord, con l’eccezione <strong>di</strong> Vibo e Pizzo, mentre quella<br />

<strong>di</strong> Temesa andava all’interno. Più tar<strong>di</strong> Amantea e Tropea contendono i paesi della costa tirrenica, ambedue vengono<br />

occupate ad intervalli dagli Arabi per creare emirati, ambedue manifestano nei <strong>di</strong>aletti dal Me<strong>di</strong>oevo fino all’epoca<br />

moderna una mescolanza <strong>di</strong> elementi greci ed arabi, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> altri circuiti <strong>di</strong>alettali della Calabria. Paesi quali S.<br />

Lucido, Fiumefreddo e Belmonte furono contesi, dunque, da sfere amministrative e <strong>di</strong> potere localizzabili in Amantea e<br />

Tropea. Va rimarcato che Tropea, come Temesa, sembrava nel periodo 550-600 (dal papato <strong>di</strong> Pelagio 1 [mansi IX,<br />

737, lettera al sub<strong>di</strong>acono della Tarpe[i]ana Massa, forse la moderna Drapia situata alle spalle <strong>di</strong> Tropea verso il Monte<br />

Poro, fino al papato <strong>di</strong> Gregorio Magno, Mansi IX, 1085, Lettere Lib. 2 Epist. 1) una <strong>di</strong>ocesi prettamente latina che man<br />

mano si grecizza e passa sotto l’influenza bizantina.<br />

67 Come notava Russo 1. 95, il nome del vescovo <strong>di</strong> Tropea al Concilio <strong>di</strong> Papa Agatone era lievemente sospetto per<br />

quanto riguardava la sua latinità, <strong>di</strong>fatti Russo concludeva che forse Teodoro era “in<strong>di</strong>ce della incipiente grecizzazione<br />

del 679”. Dalla riorganizzazione amministrativa effettuata da Niceforo Foca, cioè dall’ 886 in poi, sia Amantea (al<br />

genitivo con la grafia variabile Amantei¢¢aj o Amanti¢¢aj) sia Tropea (come o¥¥ Tropai¢¢ou) si trovano negli elenchi<br />

delle Notitiæ Episcopatuum (Calabria, metropolia <strong>di</strong> Reggio) enumerate 7, 9, 10, 13 in Darrouzès 1981.<br />

68 L’Amantea del mondo classico è città detta ‘illirica’, cioè dell’Epiro o dell’Albania meri<strong>di</strong>onale (v. Licofrone 1043),<br />

e così è l’Amantea <strong>di</strong> Stefano Bizantino. Comunque, già negli Itineraria latini (Ravenna IV. 32, Schnetz p. 68, situata<br />

tra Tauriana e Agellum o Angellum secondo i <strong>di</strong>versi co<strong>di</strong>ci) Amantea è la nostra citta<strong>di</strong>na tirrenica. La zona è<br />

riconosciuta nei classici ma porta anche in Licofrone il nome Temesa/ Te¢mesa (1067 ssgg.<br />

“Tw¤n Naubolei¢wn d' ei©j Te¢messan e©ggo¢nwn/ nau¤tai katablw¢cousin, eÃnqa Lampe¢thj/ ¨Ippwni¢ou pr<br />

hw¤noj ei©j Thqu£n ke¢raj ...”- i marinai della stirpe <strong>di</strong> Naubolo approderanno a Temesa, dove il corno del<br />

promontorio <strong>di</strong> Vibo si protende nel mare a Lampezia), <strong>di</strong> fatti Krahe ZONF 15. 75 (1939) riconosce Amantea come<br />

toponimo calabrese solo dall’Anonimo Ravennate in poi, mentre Temesa/ Tempsa (poi grecizzata Te¢mya da Tolomeo)<br />

= Te¢mesa/ Teme¢sh è data nella toponomastica antichissima e confrontata col toponimo cipriota antico Ta¢masoj/<br />

Tamasso¢j. Evidentemente Amantea come nome non può essere <strong>di</strong>scusso in<strong>di</strong>pendentemente dal toponimo grecoepiroto<br />

©Amanti¢a, mentre storicamente si dovrà <strong>di</strong>scutere se Amantea sostituisce o no l’italico Temesa (o nome preitalico?).<br />

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Amantea, nomi successivamente rilatinizzati con riferimento a forme antiche, ad es. Raāl ‘al<br />

Mantīah 69 ‘casale <strong>di</strong> Amantea’ > Rael, Raiel (sic in Goffredo <strong>di</strong> Malaterra, scrivano <strong>di</strong> Ruggero 1) ><br />

Aiel > Aiello (Calabro) 70 . Vi è una concentrazione <strong>di</strong> toponomastica araba intorno ad Amantea che<br />

non potrebbe in nessun modo esser chiamata casuale.<br />

E’ importante sottolineare che da Amantea a Falerna ed a Tropea si notano, nel linguaggio dei<br />

pescatori, dei grecismi non generalmente presenti altrove, al <strong>di</strong> là dei soliti vrùomu ‘medusa’<br />

(brw¤moj < brw¤¤ma ‘fetore’), vrica Tamarix gallica (< muri¢¢¢kh), palàngastru ‘uncino con più ami’<br />

(< polua¢¢¢gkistron) ecc., ma casi più rari quali<br />

vulòne (Campora vulòna) ‘aguglia’ Belone belone (< belo¢¢nion, belo¢¢nh 71 );<br />

canìšca ‘squalo piccolo’, ben rappresentato in questo tratto del Tirreno (rifacimento del greco<br />

kuni¢¢skoj con sovrapposizione <strong>di</strong> canis);<br />

cud’i zifune ‘tromba marina’ 72 < sifw¢¢nion 73 < si¢¢fwn , (da confrontare con il veneziano sión,<br />

sionèra id.);<br />

lopantèlla ‘leccia piccola’ (Lichia glauca, Lichia amia) 74 ;<br />

nachìeri ‘capociurma’ (< nau¢¢klhroj: la scempia –ch- garantisce che la forma derivi dal greco in<br />

periodo bizantina a non da un tardo latino nauclerius, nauclarius);<br />

òrze ‘sugheri galleggianti’ (= Cetraro orsa, Fuscaldo orza, deverbale <strong>di</strong> o¦¦rqo¢¢w ‘raddrizzare’ 75 );<br />

pàja ‘corda da vela’ (< ta££ pa¢¢gia , che sostituisce ai¥¥ pa¢¢¢gidej);<br />

A Triàra ‘costellazione delle Pleia<strong>di</strong>’ (Cetraro, Fuscaldo I Tri Gghjúvuli; la nostra forma deriva dal<br />

greco Tria¢¢j, accus. Tria¢¢¢da ‘la Santissima Trinità’) e via <strong>di</strong>cendo.<br />

Lo stesso <strong>di</strong>casi <strong>di</strong> molti arabismi non documentati in altri <strong>di</strong>aletti calabresi se non in questa microarea<br />

tirrenica, al <strong>di</strong> là delle solite tartana (Lokotsch 2036 p. 160 arīda)), sciàbbaca (sciabbachèlla,<br />

agg. sciabbacanu ‘sciatto’: Lokotsch 1737 p. 138, Pellegrini 1. 93, 144), guzzu/ vuzzu, vuzzarìellu<br />

(Pellegrini 1. 93 bū), scapèce (Lokotsch 1902 p. 151, < sikbāğ < iranico sikbä) ecc. I termini<br />

particolari che troviamo nell’area Amantea – Tropea sono:<br />

ambra/ ’mbrusa ‘clupei<strong>di</strong> neonati’ (Lokotsch 78 p. 7, ‘anbar, Pellegrini 1. 121);<br />

69<br />

“M.ntīah” = ’al Mantīah è la forma araba regolarmente usata da Edressi o Al-Idrissi (Amari e Schiaparelli §§ 17, 81,<br />

pp. 19, 97), che fa riferimento negli stessi brani anche al fiume ’ūl.bah (Oliva) a sud <strong>di</strong> Amantea.<br />

70<br />

Rohlfs, Scavi Linguistici 1974: 197 e DTOC 6, continuava a derivare questo toponimo in modo <strong>di</strong>retto dal latino<br />

agellus ‘campetto’ (<strong>di</strong>minutivo <strong>di</strong> ager), senza che si rendesse conto della successiva neolatinizzazione <strong>di</strong> un toponimo<br />

arabo ad opera dei Normanni, forse con un senso <strong>di</strong> storia e <strong>di</strong> continuità latina.<br />

71<br />

Il referente <strong>di</strong> belo¢¢nh è ‘aguglia’ sia in Dorio apud Ateneo, Dipnosofisti 7. 319d sia in Aristotele, Historia<br />

Animalium 506b10. L’uso è continuato nel greco me<strong>di</strong>o e moderno.<br />

72<br />

Più generale è il termine tirrenico d’origine provenzale cud’i rattu.<br />

73<br />

La presenza <strong>di</strong> un <strong>di</strong>minutivo sifw¢¢nion (con variante <strong>di</strong>alettale tarda sifou¢¢nion) <strong>di</strong> si¢¢fwn è registrata sia in<br />

Esichio (S 791) sia in Costantino Porfirogenito (De cærimoniis) sia nel reggino greco Costantino à secretis<br />

(protosegretario). Un simile <strong>di</strong>minutivo è forse alla base della nostra forma <strong>di</strong>alettale zifune. La <strong>di</strong>ffusione del grecismo<br />

a Venezia, nell’Esarcato ed in Calabria è trattata, come tipico levantinismo, in Kahane & Kahane 2. 32 (n. 147).<br />

74<br />

L’ovvio etimo <strong>di</strong> lopantella (< alopatèlla) è l’ittionimo greco au¦¦lwpo¢¢j < auÃÃlwy,presente come au¦lwpi¢¢aj in<br />

Aristotele (Historia Animalium 70b19) ed in Eliano (Natura Animalium 13. 17), come au¦¦lwpo¢¢j in Oppiano (Alieutica<br />

1. 256). È degno <strong>di</strong> nota che simili forme si trovano soltanto ad Amantea (lopantèlla: Lichia sp., varietà piccole), Pizzo<br />

(alòpata: Seriola Dumerili) e Tropea (lòpata: Lichia glauca). Alessio ID 10. 140 e RIL 74. 682, v. 275 non dà né i<br />

referenti precisi né la geo<strong>di</strong>stribuzione del tipo lessicale, ma indovina l’etimo, testimonianza, come quella <strong>di</strong> Rohlfs, <strong>di</strong><br />

interessi puramente archeologico-linguistici del periodo (fino agli anni ’40-50).<br />

75<br />

Più che derivare da un deverbale <strong>di</strong> o¦rqo¢¢w (me<strong>di</strong>o greco o¦rqw¢¢nw > calabro-greco e cipriota o¦rqw¢¢nnw, neogreco<br />

o¦rqw¢¢nw), si suppone un sostantivo femminile o¦rqi¢¢a formata dall’aggettivo oÃÃrqioj registrata nel tardo greco. Così<br />

Kahane & Kahane 1. 27-238, 751 o¦rqi¢¢a < o¦rqi¢¢oj ‘oggetto ritto’ piuttosto che esito <strong>di</strong> o¦rqi¢¢aj (proposta <strong>di</strong> Pisani,<br />

Paideia VI. 105 [1951]) o deverbale da orzare (derivato a sua volta da o¦rqo¢¢w).<br />

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ferze ‘parti della vela’ (EWUG 2 538 feltsa¢¢da e Nachträge 5856, < faršat Pellegrini 1. 176, forse<br />

termine incrociato col greco bizantino fa¢¢rswma);<br />

gassa ‘nodo del palancastro’ (cfr. Pellegrini 1. 116-117, arabo qazzī ‘<strong>di</strong> seta’ < qazz ‘seta’);<br />

’nzirru ‘tonnetto’ (Auxis thazard, < arabo zīr, voce già trattata nel cetrarese), ed altre voci ancora,<br />

<strong>di</strong>fficilmente reperibili in altri <strong>di</strong>aletti calabresi.<br />

A sud <strong>di</strong> Paola, con epicentro ad Amantea, troviamo dunque, nel lessico settoriale, la<br />

documentazione sicura <strong>di</strong> un contrasto linguistico me<strong>di</strong>oevale che in<strong>di</strong>cava la compresenza<br />

estremamente conflittuale <strong>di</strong> due forti culture, quella greca e quella araba, che si sovrapponevano<br />

sulla cultura linguistica latina <strong>di</strong> fondo. Quest’ultima aveva già nel 200 a. C. sostituito la cultura e la<br />

lingua in<strong>di</strong>gene degli Italici originali, <strong>di</strong> quei Brezi che rappresentavano il ramo più meri<strong>di</strong>onale,<br />

insieme ai Siculi, degli Osci e Sabini.<br />

JBT.<br />

Brevi Riferimenti (oltre quelli contenuti nelle note; si osservi che i riferimenti ai classici sono alle<br />

e<strong>di</strong>zioni critiche teubneriane o a quelle del LOEB, qualora non specificati). Le riviste abbreviate<br />

sono: ASCL = Archivio Storico per la Calabria e la Lucania; ID = Italia Dialettale; RC = Revue<br />

Celtique; RDR = Revue de Dialectologie Romane; RID = Rivista Italiana <strong>di</strong> Dialettologia; RIL =<br />

Ren<strong>di</strong>conti dell’Istituto Lombardo <strong>di</strong> Scienze, Lettere ed Arti; RLR = Revue de Langues Romanes;<br />

RLiR = Revue de Linguistique Romane; RPh = Romance Philology; ZONF = Zeitschrift für<br />

Ortsnamenforschung; ZCP = Zeitschrift für celtische Philologie; ZRP = Zeitschrift für romanische<br />

Philologie.<br />

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