Aprile 2005 n. 73 - Comunitachersina
Aprile 2005 n. 73 - Comunitachersina Aprile 2005 n. 73 - Comunitachersina
APRILE 2005 Sped. in abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Trieste - Quadrimestrale n. 73 – Iscritto al n. 718 del Registro Giornali e Periodici del Tribunale di Trieste – 26.01.1988 – Editore: Società Francesco Patrizio della Comunità Chersina - ONLUS fotografia di Marco Lemessi XXIX RADUNO ANNUALE della Società F. Patrizio della Comunità Chersina Aquileia, domenica 29 maggio 2005 P R O G R A M M A Ore 09:30 Ritrovo ad Aquileia nel piazzale antistante la Sala Romana per la registrazione dei partecipanti Ore 10:00 / 12:15 Assemblea Generale nella Sala Romana Ore 12:30 Santa Messa nella Basilica attigua Ore 13:30 Pranzo all’Hotel Patriarchi, via G. Augusta n. 12 Le prenotazioni sono obbligatorie e devono essere fatte entro il 10 maggio - per il pranzo, telefonando ai n. 040 395942 – 339 6483874 - per il pernottamento del 28 maggio direttamente all’Hotel Patriarchi, via G. Augusta, 12 – 33051 Aquileia (UD), tel. 0431 919595 – fax 0431 919596 Costo del pranzo e 23,00 a persona - Stanza singola con prima colazione e 46,00 – doppia con prima colazione e 76,00 Sono invitati a partecipare tutti i chersini sparsi per il mondo, i loro discendenti e amici, gli esuli appartenenti alle altre comunità e, in particolare, quelli della comunità di Lussino e dei relativi villaggi.
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APRILE <strong>2005</strong><br />
Sped. in abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Trieste - Quadrimestrale n. <strong>73</strong> – Iscritto al n. 718 del Registro<br />
Giornali e Periodici del Tribunale di Trieste – 26.01.1988 – Editore: Società Francesco Patrizio della Comunità Chersina - ONLUS<br />
fotografia di Marco Lemessi<br />
XXIX RADUNO ANNUALE della Società F. Patrizio della Comunità Chersina<br />
Aquileia, domenica 29 maggio <strong>2005</strong><br />
P R O G R A M M A<br />
Ore 09:30 Ritrovo ad Aquileia nel piazzale antistante la Sala Romana per la registrazione dei partecipanti<br />
Ore 10:00 / 12:15 Assemblea Generale nella Sala Romana<br />
Ore 12:30 Santa Messa nella Basilica attigua<br />
Ore 13:30 Pranzo all’Hotel Patriarchi, via G. Augusta n. 12<br />
Le prenotazioni sono obbligatorie e devono essere fatte entro il 10 maggio - per il pranzo, telefonando ai<br />
n. 040 395942 – 339 6483874 - per il pernottamento del 28 maggio direttamente all’Hotel Patriarchi, via<br />
G. Augusta, 12 – 33051 Aquileia (UD), tel. 0431 919595 – fax 0431 919596<br />
Costo del pranzo e 23,00 a persona - Stanza singola con prima colazione e 46,00 – doppia con prima<br />
colazione e 76,00<br />
Sono invitati a partecipare tutti i chersini sparsi per il mondo, i loro discendenti e amici, gli esuli<br />
appartenenti alle altre comunità e, in particolare, quelli della comunità di Lussino e dei relativi villaggi.
Sommario<br />
PADRE VITTORE MARIA CHIALINA p. 1<br />
I COMMERCI DURANTE IL PERIODO VENEZIANO p. 4<br />
GIORNO DEL RICORDO <strong>2005</strong> p. 7<br />
Esilio (poesia) p. 7<br />
L’esodo dei sacerdoti p. 8<br />
Il mio esodo p. 10<br />
CRONACHE p. 11<br />
Festa del patrono di Cherso a Trieste p. 11<br />
Festa del patrono di Caisole a Trieste p. 12<br />
Nozze d’oro e d’argento di caisolani p. 12<br />
CHERSO L’ISOLA CHE C’È p. 13<br />
Tre giornate a Smergo disturbati dalla bora p. 19<br />
Ancora «NO» al leone sulla torre p. 20<br />
A Cherso i resti della chiesa di S. Giovanni di Piazza p. 21<br />
DALLA COMUNITÀ DI LUSSINPICCOLO p. 22<br />
lettera del Segretario Responsabile dott. Favrini p. 22<br />
risposta della Presidente della Comunità Chersina p. 23<br />
risposta del Direttore del Giornale Luigi Tomaz p. 24<br />
NOTIZIE DAI CHERSINI NEL MONDO p. 25<br />
dagli Stati Uniti p. 25<br />
dall’Australia p. 26<br />
RECENSIONI p. 27<br />
PAGINA DEI LETTORI p. 28<br />
risposta del Direttore del Giornale Luigi Tomaz p. 29<br />
LA COMUNITÀ RICORDA CHI CI HA LASCIATO p. 29<br />
CONTRIBUTI p. 31<br />
Allegato a questo numero del giornale, è l’inserto contenente gli<br />
interventi di Luigi Tomaz per il Giorno del Ricordo <strong>2005</strong><br />
«I Giuliano Dalmati nella storia del confine orientale»<br />
«Prima del 1919».<br />
PRANZO DEL RADUNO<br />
San Daniele sulla Berkel<br />
Grana da scavare<br />
Seppie al sedano<br />
polpi in salsa piccante<br />
Gamberetti rucola e grana<br />
Tonné in braide<br />
Vitello tonnato<br />
Roast beef all’inglese<br />
carnaroli agli asparagi<br />
Pasta pasticciata<br />
Arista di maiale al forno con carotine<br />
Verdure grigliate<br />
Strudel di mele caldo<br />
Caffè<br />
Convocazione dell’<br />
ASSEMBLEA GENERALE<br />
della Società<br />
Francesco Patrizio della Comunità Chersina<br />
Il Consiglio Direttivo della società<br />
Francesco Patrizio della Comunità<br />
Chersina, nella seduta del 5 febbraio<br />
<strong>2005</strong>, a Cervignano del Friuli (Ud) ha<br />
deliberato – come disposto dall’art. 11/a<br />
dello Statuto – di convocare l’assemblea<br />
generale annuale dei soci ad<br />
Aquileia, domenica 29 maggio <strong>2005</strong>,<br />
alle ore 8:00 in prima convocazione e<br />
alle ore 9.30 in seconda convocazione<br />
nel medesimo luogo e data<br />
col seguente ordine del giorno:<br />
1. Relazione del Presidente consuntiva<br />
2004 - preventiva <strong>2005</strong><br />
2. Relazione economico/finanziaria del<br />
Tesoriere consuntiva 2004, preventiva<br />
<strong>2005</strong><br />
3. Modalità di adesione all’Associazione<br />
delle Comunità Istriane<br />
4. Rinnovo del vecchio statuto<br />
5. Varie ed eventuali<br />
Il Presidente<br />
Carmen Palazzolo Debianchi<br />
Comunità Chersina<br />
Sede e segreteria:<br />
34123 Trieste - Via Belpoggio, 29/1<br />
Sito Internet: www.comunitachersina.com<br />
Conto corrente postale:<br />
c/c 11338340 (dall’estero CAB 12400, ABI 07601)<br />
Intestato a Soc. “F. Patrizio della Comunità Chersina”<br />
Redazione:<br />
Direttore Responsabile: Angelo Sandri<br />
Direttore Editoriale: Luigi Tomaz<br />
Redattori: Bommarco Delia<br />
Moise Francesco<br />
Palazzolo Debianchi Carmen<br />
Peruzzi Mauro<br />
Testi e impaginazione a cura di Carmen Palazzolo Debianchi<br />
Recapiti:<br />
Luigi Tomaz<br />
041 400741<br />
Bommarco Delia<br />
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deliuccia@iol.it<br />
Fotocomposizione e stampa:<br />
Tipo/Lito Astra Srl - 34147 Trieste<br />
Via Cosulich 9-11 - Tel. e Fax 040 830180
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Comunità Chersina<br />
PADRE VITTORE MARIA CHIALINA<br />
UN CHERSINO DA RICORDARE<br />
16 dicembre 1969, muore a Venezia<br />
Padre Vittore Maria Chialina, Minore<br />
Conventuale. E’ stato anche parroco della<br />
parrocchia dei Frari a Venezia per più di<br />
trent’anni e lo era ai tempi dell’esodo; molti<br />
dei chersini esuli che sono approdati a<br />
Venezia sono stati aiutati da lui e lo ricordano.<br />
Era nato a Cherso il 27 settembre 1885.<br />
A 35 anni dalla sua scomparsa e a 120<br />
dalla sua nascita vogliamo ricordarlo sul<br />
nostro giornale.<br />
Questo era anche il desiderio di Mons.<br />
Vitale Bommarco che, prima di andare a raggiungerlo<br />
nell’Aldilà, stava preparando un<br />
suo personale contributo.<br />
Ai documenti del suo archivio, e dalle<br />
memorie di P. Chialina stesso, attingiamo<br />
per ripercorrere le tappe salienti della sua<br />
vita.<br />
Figlio di Leonardo, un friulano che, a<br />
Graz, aveva conseguito il diploma di Maurer<br />
Meister ed era andato a lavorare in Istria, e a<br />
Cherso si era fermato avviando una sua<br />
impresa edile. La madre era Maria<br />
Coglievina, di Cherso.<br />
Fu nel 1890 che Leonardo costruì la<br />
casa per la sua famiglia in Prà, dietro la<br />
Porta Bragadina; c’è ancora, a tre piani più<br />
soffitta e cantine.<br />
Dopo un’infanzia serena guidata dai<br />
genitori, attenti e profondamente religiosi,<br />
come si legge nelle sue memorie, frequentò<br />
le scuole elementari con ottimo profitto<br />
sognando di diventare ingegnere o architetto.<br />
“Guardando sul tavolo di mio padre i<br />
disegni tracciati dal geometra riguardanti<br />
case, cisterne, scale interne ed esterne… mi<br />
sono provato anch’io a tracciare piante e<br />
prospetti di case viste davanti e di fianco…”.<br />
Dopo le quattro classi elementari, prescritte<br />
a quei tempi, rimase a scuola altri due anni<br />
facoltativi.<br />
La vocazione sacerdotale arrivò presto<br />
“fu partecipando a una sacra funzione<br />
durante la novena dell’Immacolata, che allora<br />
si celebrava con grande solennità, che mi<br />
commossi fino alle lacrime. Quella sera<br />
l’Immacolata mi chiamò e non mi lasciò più”.<br />
Entrò nel Collegio Serafico di Cherso il 3<br />
ottobre 1898.<br />
Terminati gli studi liceali a Cherso, fre-<br />
Dalle memorie di Nives Chialina, nipote di P. Chialina<br />
NEL GIORNO DELLA CONSACRAZIONE<br />
Con i genitori e la sorella.<br />
quentò a Camposanpiero il primo anno di<br />
Filosofia ma fu ben presto inviato<br />
all’Università Gregoriana, a Roma, dove<br />
conseguì la laurea in Filosofia nel 1906; nel<br />
1911, alla Facoltà Teologica di S. Bonaventura,<br />
quella in Teologia.<br />
Fu ordinato sacerdote dal Cardinale<br />
Respighi il 18 settembre 1909 nella Basilica<br />
di S. Giovanni in Laterano.<br />
Venne richiesto dal Ministro Generale<br />
del suo Ordine, Padre Sottaz, al Collegio di<br />
Camposanpiero dove, eletto Guardiano del<br />
Convento, rimase parecchi anni facendo<br />
3<br />
scuola di Matematica, Lettere e Filosofia e…<br />
“Mi occupai di conigli e di entrate e uscite,<br />
assistei durante la guerra all’esodo dal collegio,<br />
accolsi soldati italiani e inglesi…”<br />
Nell’autunno del 1921 il parroco diocesano<br />
della Basilica dei Frari a Venezia, per<br />
motivi d’età, presentò le dimissioni da parroco.<br />
Fu l’occasione provvidenziale che i Frati<br />
Minori attendevano per poter rientrare nella<br />
chiesa che era stata loro tolta nel 1810<br />
secondo la legge napoleonica di soppressione<br />
generale degli Ordini Religiosi. Primo<br />
Padre Guardiano e parroco dei Frari fu eletto
4 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Padre Chialina, che con solenne cerimonia<br />
prese possesso della Basilica il 25 gennaio<br />
1922.<br />
Nel 1923 acquistò non lontano dalla<br />
chiesa un terreno di circa 300 mq con una<br />
casa di cinque locali. Quel terreno, un<br />
tempo, aveva fatto parte del grande orto-frutteto<br />
dell’antico convento dei Frari, divenuto<br />
Archivio di Stato. In luogo della vecchia casa<br />
Padre Chialina eresse il nuovo Patronato<br />
con sala-teatro e cinematografica, che fu<br />
una delle prime sale cinematografiche parrocchiali<br />
di Venezia. Fu inaugurata il 15<br />
novembre 1931.<br />
Nel 1924 fu nominato Ministro<br />
Provinciale restando parroco ai Frari, per<br />
espresso desiderio del Patriarca; tenne infatti<br />
la sede del nuovo incarico a Venezia. Il<br />
suo provincialato durò due trienni, dal 1924<br />
al 1930. In quegli anni fece restaurare e riaprire,<br />
ridandoli ai Frati Minori che le avevano<br />
costruite, varie chiese e conventi, quali<br />
- S. Francesco di Treviso, chiesa costruita<br />
nel secolo XIII, che era stata ridotta a<br />
magazzino militare;<br />
- S. Lorenzo a Vicenza, chiesa costruita<br />
nel 1280 e ridotta a caserma e magazzino,<br />
restituita al culto nel 1927;<br />
- S. Francesco a Pola, la chiesa e convento,<br />
costruiti nel 1.300, erano rimasti integri<br />
fino al 1805 quando i Francesi soppressero<br />
il Cenobio trasformandolo in caserma<br />
militare dividendo in due piani la chiesa.<br />
L’Austria usò gli edifici come magazzino di<br />
provviste. Dopo il 1918 il governo italiano<br />
decise il restauro degli edifici nelle loro<br />
forme originali, che vennero riconsegnati<br />
all’Ordine dei Minori nel 1927;<br />
- Chiesa e convento di S. Francesco a<br />
Brescia, costruiti dai Francescani nel 1254, e<br />
restituiti all’Ordine, come le strutture precedenti,<br />
per interessamento del P. Chialina.<br />
Il 23 giugno 1927 acquistò un appezzamento<br />
di terreno nella periferia milanese corrispondente<br />
all’attuale quartiere di Viale<br />
Corsica, allora inesistente. Dopo varie peripezie<br />
fu costruita una bella chiesa con<br />
annesso convento, che si possono ammirare<br />
anche oggi.<br />
Nel triennio 1936/39 fu rieletto<br />
Provinciale, acquistò il Collegio Teologico di<br />
S. Massimo a Padova, fece costruire il<br />
capannone del Messaggero, l’importante<br />
giornale periodico dell’Ordine tuttora esistente,<br />
per il quale acquistò una nuova macchian<br />
tipografica, allora all’avanguardia.<br />
Comprò a Trieste il terreno per la costruzione<br />
della chiesa di S. Francesco e a Pola<br />
quella per edificare la nuova parrocchia di S.<br />
Giuseppe.<br />
Nel 1940, nominato Guardiano a<br />
Treviso, fu mandato come Delegato<br />
Generale a visitare i conventi della Provincia<br />
di S. Girolamo in Jugoslavia. Al suo posto ai<br />
Frari era stato inviato Padre Raffaele<br />
Radossi di Cherso.<br />
Ai primi di gennaio del 1942 P. Radossi<br />
fu eletto Vescovo di Parenzo e Pola. Padre<br />
Chialina ritornò a Venezia. Fu eletto Giudice<br />
Ecclesiastico Regionale del Tribunale Metropolitano,<br />
nel 1952 Definitore Perpetuo con<br />
rescritto della Sacra Congregazione.<br />
Fu parroco ai Frari fino al 1964. “Per<br />
bontà dei superiore – scrive nelle sue<br />
memorie – rimango di famiglia nel convento<br />
Fu un ottimista.<br />
Sentiva il bisogno di tradurre in atto l’idea<br />
che aveva in mente. Viveva profondamente il<br />
suo ideale, in una visione largamente<br />
umana, capace di organizzare la sua azione<br />
in un ambiente di collaborazione e di simpatia.<br />
Deciso nel suo operare e sicuro di sé,<br />
dava fiducia agli altri in modo che gli ostacoli<br />
più duri venivano facilmente superati. […]<br />
Nelle divergenze, accettava il giudizio<br />
altrui, se vedeva che era più giusto del suo,<br />
raro esempio di saggezza e di equilibrio. Non<br />
si appropriava il merito di alcuno, pronto a<br />
chiarirlo e a darlo al meritevole. Con la stessa<br />
chiarezza deplorava la doppiezza, il sotterfugio,<br />
il fariseismo. Se ebbe denigratori e<br />
nemici, li ebbe solo per questi motivi. La fiducia<br />
che riponeva nei collaboratori era tale da<br />
lasciare loro l’iniziativa. Egli si accollava l’onere<br />
delle spese o d’appianare le difficoltà<br />
burocratiche. Se chiedevi cinque, dava dieci,<br />
lasciando spazio all’altrui responsabilità. Per<br />
quei tempi era un pioniere. Alcuni lo giudicarono<br />
severo nell’uso dell’autorità; lo era talvolta,<br />
ma solo perché amava l’ordine e la<br />
pulizia morale.<br />
Chi l’ha conosciuto intimamente sa che<br />
non avrebbe torto un capello a nessuno, e<br />
che in fondo era timido, di quella timidezza<br />
dell’uomo molto intelligente e fuori dalla<br />
mediocrità.<br />
Nei casi gravi della sua vita, e ne ebbe<br />
parecchi, soffriva in silenzio. Si limitava caso<br />
mai a dire: “Un infortunio sul lavoro!”. Allora<br />
lo sorreggeva la sua fede semplice e il suo<br />
dei Frari a Venezia che è la mia patria di elezione,<br />
vicino ai miei fratelli Maria e Antonio.<br />
Cherso, dove sono nato, non è più la mia<br />
patria, è passata alla Jugoslavia e non si<br />
chiama più Cherso ma Cres!”<br />
Qui è rimasto fino al 16 dicembre 1969,<br />
quando si è spento all’età di 84 anni.<br />
Questa è la storia degli avvenimenti più<br />
importanti della sua vita; una vita spesa per<br />
la Comunità e per la sua missione. Di lui<br />
“uomo” abbiamo un ritratto tracciato in occasione<br />
della sua morte da un confratello che<br />
lo conosceva molto bene e che gli era stato<br />
vicino negli ultimi anni della vita. Ne riportiamo<br />
una sintesi sufficiente, grazie alla sensibilità<br />
e all’abilità dello scrittore, a farne un<br />
ritratto indimenticabile.<br />
ASPETTI DI UN UOMO<br />
Di Padre Giuseppe Ungaro, un confratello<br />
spirito di orazione che si nutriva quotidianamente<br />
della Sacra Scrittura e dei Santi Padri.<br />
Preferiva S. Girolamo e S. Agostino. Per S.<br />
Girolamo aveva una venerazione speciale.<br />
Partendo da questa terra lasciò sul suo tavolo<br />
aperti la Sacra Scrittura e S. Gerolamo,<br />
quasi come un invito a noi a continuarne la<br />
lettura.<br />
Aveva mediocri disposizioni per le arti<br />
figurative, ma un eccellente gusto per la letteratura.<br />
Per la sua straordinaria memoria<br />
citava sempre autori latini e italiani con il<br />
gusto dell’esteta. Lui stesso si cimentava con<br />
una certa vena a verseggiare. Come un adolescente<br />
cercava il compiacimento degli altri<br />
e, se veniva, ne era felice per giorni interi.<br />
Era sempre aggiornato sulle migliori opere<br />
letterarie. E sulla loro critica, lieto se poteva<br />
parlarne o di prestare il libro che aveva<br />
appena letto.<br />
P. Vittore era un introverso, difficilmente<br />
gli si carpiva un segreto dell’anima. Di questo<br />
doveva soffrire e per lo stesso motivo<br />
molti lo giudicavano, specie nella sua fierezza<br />
di uomo e lavoratore infaticabile, orgoglioso<br />
e indipendente. La sua indipendenza era<br />
data dal fatto che egli vedeva la meta da raggiungere<br />
e, a capo di tutti, tutti cercava di<br />
trascinare. Sappiamo com’era, al principio<br />
del secolo la Provincia del Santo (di Padova<br />
- dei Frati Minori Conventuali) e com’egli la<br />
lasciò nel 1939: commentarne i fatti è retorica.<br />
Se non avesse avuto una forza d’animo<br />
superiore, non l’avrebbe fatto; se avesse<br />
badato a critiche, sconfitte e all’inerzia altrui,<br />
oggi non avremmo questa Provincia, con
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Padre Chialina a Padova nel luglio del 1967 col giovane Padre Antonio Vitale Bommarco.<br />
queste opere. Se non fosse stato autentico<br />
uomo di fede, sarebbe stato creduto un<br />
ambizioso.<br />
Nei molti anni che guidò gli altri, fu<br />
accompagnato da una prudenza senza pari.<br />
Il segreto d’ufficio, il saper vedere tutto<br />
senza farsi scorgere, il dissimulare con<br />
bontà le mancanze altrui e l’intervenire al<br />
momento opportuno, erano le forme della<br />
sua prudenza. Sapeva tacere, non per<br />
orgoglio, ma per carità. Rare volte usciva<br />
con qualche notizia riservata, e più per<br />
chiarire un’idea o difendere una persona<br />
che per saccenteria. In lui le confidenze<br />
entravano in una tomba.<br />
Era legato al suo passato e dalla sua<br />
infanzia traeva, maturati, i suoi gusti e i suoi<br />
ideali. […]<br />
Della sua città natale, Cherso, aveva<br />
ricordi vivi; quei ricordi sani, di vita all’aria<br />
aperta, che erano le fonti del suo equilibrio<br />
interiore. Rimase a Cherso fino all’età di 17<br />
anni, quindi per tutta la sua formazione<br />
umana. “A Cherso - scrive nelle sue memorie<br />
- mia città natale, ho trascorso i primi 17<br />
anni della mia vita nella mia casa paterna e<br />
parte nel caro convento di S. Francesco per<br />
gli studi classici. […] Le ricreazioni si facevano<br />
nel vasto orto del convento. Poi c’era-<br />
no le frequenti passeggiate lungo il mare, da<br />
S. Lucia a S. Nicolò, alla Lanterna, alla<br />
bella insenatura di Chimen-S.Clemente,<br />
zona sempre primaverile anche d’inverno<br />
perché riparata dal vento di bora”.<br />
Egli parla di passeggiate lungo il mare<br />
e attraverso i villaggi montani e ne racconta<br />
il fascino. “Da questi villeggi, nelle<br />
feste, venivano a Cherso i contadini a portare<br />
abbondanza di galline e di uova.”<br />
E da questa vita gli rimase la semplicità,<br />
il gusto dei cibi genuini, del buon vino<br />
e della frugalità che sa accontentarsi di<br />
tutto. Non l’ho mai visto chiedere qualcosa<br />
di diverso dal piatto comune.<br />
“In quel giorno si mangiava l’agnello<br />
arrosto allo spiedo in aperta campagna,<br />
ed echeggiavano i canti di noi giovani allegri<br />
e spensierati. E sul mare si passava la<br />
giornata chiassando e giocando nell’acqua<br />
limpida.”<br />
Alla fine della sua lunga vita ripeteva<br />
ancora con grande nostalgia e tenerezza<br />
“Nella tua terra dammi sepoltura, con i tuoi<br />
fiori adorna il mio sepolcro. Addio Cherso!<br />
Ora non più. Dormite, cari genitori, il<br />
vostro sonno nel cimitero di Cherso! Vi<br />
avrò sempre presenti nella memoria e pregherò<br />
per voi da lontano.”<br />
Comunità Chersina<br />
5<br />
Ottimista sempre,<br />
il P. Vittore,<br />
non solo perché<br />
sentiva in sé forza<br />
e coraggio nell’operare,<br />
perché la<br />
fede nella provvidenza<br />
garantiva il<br />
suo spirito d’iniziativa,<br />
ma perché<br />
era sano anche<br />
interiormente,<br />
aveva dentro di sé<br />
la gaiezza del<br />
sole, del mare,<br />
degli uomini semplici<br />
della sua<br />
Cherso, dell’entusiasmo<br />
dei pescatori<br />
e dei pastori, e<br />
della sua famiglia<br />
che dal Friuli a<br />
Cherso in Austria,<br />
dall’Austria al<br />
Transvaal, ha fatto<br />
del mondo la sua<br />
casa.<br />
Frizzante nel<br />
parlare, arguto<br />
nell’osservare, mostrava la sua felicità di<br />
vivere ovunque, con tutti, in chiesa come<br />
a mensa, con il povero come con il ricco,<br />
desiderato commensale dei Patriarchi di<br />
Venezia La Fontane, Urbani, Roncalli. Era<br />
di casa in ogni famiglia dei Frari, e non<br />
solo, perché conosceva di ogni abitante<br />
nome e cognome, gli ascendenti e i<br />
discendenti ma perché di tutti fu amico e<br />
fratello.<br />
Il florilegio è inesauribile, le testimonianze<br />
a non finire. Sempre discreto nella<br />
carità ai poveri, che non era elemosina ma<br />
aiuto a liberarsi da una situazione inumana.<br />
[…]<br />
Quanti naufragi salvati!, quante soluzioni<br />
avviate al meglio, sempre col suo<br />
intuito e spirito di carità, in discreta ed<br />
evangelica pazienza. “Non sappia la sinistra<br />
quello che ha fatto la destra”.<br />
Sono vivi i beneficati, tanti, per cui si<br />
impone il silenzio, ma con tutti costoro P.<br />
Ch’ialina vive ancora.<br />
[…]<br />
Fu il mio maestro di vita e lo è ancora<br />
nel suo immutato ricordo.<br />
P. Giuseppe Ungaro
6 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
I COMMERCI DURANTE IL PERIODO VENEZIANO 1<br />
Parte XVI<br />
Il commercio durante il periodo<br />
veneziano si svolgeva quasi esclusivamente<br />
via mare e riguarda l’isola di<br />
Cherso perché toccava anche le sue<br />
coste e impegnava la sua popolazione,<br />
come tutta quella residente lungo<br />
le coste del Mar Adriatico, nella navigazione,<br />
nel commercio vero e proprio<br />
e nella produzione delle merci di<br />
scambio. Erano oggetto di commercio,<br />
in particolare: il sale, l’olio d’oliva, la<br />
legna da ardere, il bestiame. Venezia<br />
assunse il monopolio di questi prodotti<br />
perché erano importantissimi nel somministrar<br />
commercio, produrre dazio,<br />
impegnar navigazione.<br />
Il commercio del sale<br />
Il sale marino - alimento indispensabile<br />
all’uomo, che può essere prodotto<br />
solo in località situate sulle coste<br />
del mare - metteva anticamente i<br />
popoli che lo possedevano in una<br />
posizione economicamente e politicamente<br />
privilegiata perché, non esistendo<br />
la refrigerazione, per la conservazione<br />
degli alimenti si ricorreva<br />
alla loro salatura e/o essiccazione e la<br />
salatura richiedeva grandi quantità di<br />
sale (1 chilogrammo di sale per 3 chilogrammi<br />
di pesce!). Oltre che per la<br />
conservazione degli alimenti (pesce,<br />
carne, olive), il sale era importante<br />
nella fabbricazione del formaggio,<br />
nella concia del pellame, per gli animali<br />
da pascolo e, ieri come oggi,<br />
nella cucina degli alimenti.<br />
Ne derivava il fatto che il sale<br />
costituisse un preziosissimo mezzo di<br />
scambio per ogni altro tipo di merce,<br />
quasi una moneta. Avendone colto<br />
l’importanza fin dal Medioevo, la<br />
Repubblica di Venezia acquisì il<br />
monopolio della produzione e del<br />
commercio del sale in tutta l’Italia<br />
Settentrionale e nella regione alpina<br />
ed esso divenne una delle sue prime<br />
e più importanti fonti di guadagno.<br />
Vennero costruite saline a Murano<br />
e poi a Chioggia – che diventò la<br />
(1) Le notizie per la stesura di questa parte sono<br />
tratte dall’opera di Tullio Pizzetti, Con la bandiera<br />
del protettor S. Marco, Edizioni Campanotto,<br />
Pasiano di Prato (Ud) 1999, vol. III.<br />
capitale del sale nel Medioevo – a<br />
Cervia (comune situato ora in provincia<br />
di Ravenna), in Istria e in Dalmazia,<br />
specie a Muggia, Capodistria,<br />
Pirano e Pago. Esistevano saline anche<br />
ad Isola, Orsera, Rovigno, Pola,<br />
Brioni e nel Canal di Leme ma, dal<br />
momento che esse non entravano<br />
nei commerci veneziani, se ne hanno<br />
poche notizie.<br />
Oltre che produrre sale nelle terre<br />
soggette al suo dominio, Venezia lo<br />
importò da Creta, Cipro, Ibiza, Gerba,<br />
Alessandria e da altre località ancora.<br />
L’importazione di sale era utile alla<br />
politica marittima di Venezia perché<br />
gli alti noli per il suo trasporto e i prestiti<br />
per le costruzioni navali favorivano<br />
il movimento nel Mar<br />
Mediterraneo delle navi più grosse,<br />
utili in caso di guerra. Inoltre, grazie<br />
al suo alto peso specifico, il sale veniva<br />
usato anche come zavorra nel<br />
viaggio di andata o in quello di ritorno,<br />
a seconda del tipo di merce trasportata.<br />
Ad esempio, le navi veneziane<br />
che commerciavano con<br />
l’Oriente, portavano il sale all’andata,<br />
stoffe preziose e spezie al ritorno o<br />
altre merci all’andata e un carico di<br />
sale da Cipro o Alessandria al ritorno,<br />
mentre quelle che andavano in<br />
Fiandra e in Inghilterra, al ritorno caricavano<br />
sale a Ibiza e a Cagliari, e<br />
così via. Ciò consentiva alle navi di<br />
viaggiare sempre cariche ottimizzando<br />
i commerci.<br />
Riguardo al sale, nel suo dominio<br />
Venezia adottò una politica diversa, a<br />
seconda delle zone, cui sovrintendeva<br />
un Magistrato al Sal. In generale,<br />
Venezia deteneva il monopolio del<br />
sale, il che vuol dire che si riservava<br />
il diritto di acquisto e di vendita del<br />
prodotto, che veniva acquistato tutto<br />
ad un prezzo molto basso, precedentemente<br />
concordato coi proprietari<br />
con la stipula di appalti, meno una<br />
piccola parte (generalmente un quinto),<br />
che veniva lasciato ai padroni<br />
delle saline e ai salinari per il proprio<br />
uso. In cambio la Repubblica sovvenzionava<br />
i lavori di riparazione e<br />
manutenzione delle saline esistenti e<br />
la costruzione delle nuove.<br />
Le saline più antiche e importanti<br />
dell’Istria per estensione e produzio-<br />
ne furono quelle di Pirano. Nelle isole<br />
di Cherso-Ossero sembra che la produzione<br />
del sale sia stata trascurabile.<br />
Si sa che a Ossero, nel 1416,<br />
vennero costruite delle saline che<br />
vennero abbandonate già nel 1460 a<br />
causa dell’aria malsana generata<br />
dalle acque stagnanti da esse prodotte.<br />
Il commercio dell’olio<br />
Anche l’olio, come il sale, era oggetto<br />
di monopolio durante la Repubblica<br />
di Venezia, perché era anch’esso un<br />
prodotto molto importante, non solo per<br />
cucinare ma anche per l’illuminazione,<br />
per la fabbricazione del sapone e per la<br />
lavorazione della lana. Il commercio<br />
dell’olio d’oliva non era dunque libero<br />
ma l’intera produzione dello Stato da<br />
Mar – Istria, Dalmazia e Levante – tolto<br />
il fabbisogno locale, doveva essere<br />
inviato a Venezia, e soltanto via mare,<br />
e così pure l’olio proveniente dall’estero.<br />
Tutto ciò che riguardava l’olio, dal<br />
1250 circa in poi, era regolato dalla<br />
Magistratura Ternaria (da ternier venditore<br />
d’olio), a cui subentrarono nel<br />
1500 i Provveditori sopra Ogli, che avevano<br />
il compito dell’approvvigionamento<br />
per la città, del controllo dei prezzi e<br />
delle botteghe di vendita, della coltivazione<br />
degli olivi, dell’autorizzazione alle<br />
esportazioni, della persecuzione penale<br />
dei contrabbandieri. Da essi dipendevano<br />
inoltre alcune Arti connesse al<br />
commercio dell’olio, come quella dei<br />
Sagomadori (misuratori dei recipienti<br />
per l’olio), dei Peatteri (barcaioli) da<br />
olio, dei Botteri, dei Senseri (sensali),<br />
dei Saoneri (fabbricanti di sapone).<br />
Per rendere la Repubblica autosufficiente<br />
ed indipendente dal bisogno di<br />
approvvigionarsi presso altri di un prodotto<br />
così importante, venne proibito il<br />
taglio degli olivi sia domestici che selvatici<br />
e vennero emanate norme particolari<br />
per estendere la coltura degli<br />
stessi in ogni terreno adatto ad essi e<br />
per innestare le piante selvatiche. Tutto<br />
l’olio prodotto doveva essere portato a<br />
Venezia, accompagnato da una precisa<br />
documentazione.<br />
A Cherso la produzione dell’olio<br />
sembra essere diventata significativa<br />
intorno alla metà del 1500, quando
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
venne creato il Fondaco dell’olio, ed<br />
aumentò negli anni successivi se il<br />
Fortis, quando visitò l’isola nel 1771,<br />
stimò che la produzione dell’olio nell’isola<br />
di Cherso-Ossero si aggirasse intorno<br />
ai 3.000/3.500 barili all’anno.<br />
Il principale fornitore di olio della<br />
Repubblica fu Corfù, seguita da Zante,<br />
Cefalonia e S. Maura. Nonostante tutti i<br />
suoi sforzi, la Repubblica di Venezia<br />
non riuscì però a supplire completamente<br />
al suo fabbisogno di questo prodotto<br />
né ad occuparsi del tutto del suo<br />
commercio per cui, nel 1700, il commercio<br />
all’ingrosso dell’olio, a Venezia,<br />
era in mano di una cinquantina di ditte<br />
delle quali solo 28 erano italiane, 10<br />
erano ebree, 5 greche, 4 tedesche, 3<br />
dalmate.<br />
I mercanti d’olio di Venezia erano<br />
uniti in un consorzio.<br />
Il commercio dell’olio era soggetto a<br />
pesanti dazi d’ingresso, di consumo e di<br />
uscita, situazione che induceva al contrabbando;<br />
esenzioni particolari furono<br />
concesse agli oli istriani destinati al Friuli<br />
e, tradizionalmente, a quelli delle<br />
Bocche di Cattaro.<br />
Le due Comunità di Cherso e<br />
Ossero avevano sempre cercato il<br />
modo di esportare liberamente, a un<br />
miglior prezzo, il loro olio, che era di ottima<br />
qualità rispetto agli altri e molto<br />
apprezzato a Venezia per la sua delicatezza.<br />
A tal fine presentarono nel 1765,<br />
tramite il sacerdote Giuseppe Detcovich,<br />
mansionario della Collegiata di Cherso,<br />
un memoriale per ottenere la “libera<br />
estrazione” in stati esteri del loro olio.<br />
Dopo una causa durata quasi due anni,<br />
la petizione venne respinta ma si ottenne<br />
una riduzione del dazio d’ingresso.<br />
Commercio della legna da ardere<br />
La legna da ardere o da fuoco rappresentava<br />
durante il periodo veneziano<br />
la principale fonte di energia, paragonabile<br />
al petrolio di oggi, indispensabile sia<br />
per fornire energia alle sue numerose<br />
industrie (Arsenale, Zecca, vetrerie, tintorie),<br />
sia per gli usi di cucina e il riscaldamento<br />
delle abitazioni. Vista l’importanza<br />
di questo prodotto, la Repubblica di<br />
Venezia si preoccupò fin dai tempi più<br />
antichi di assicurare alla città un regolare<br />
approvvigionamento di legna, specie<br />
nella stagione invernale, e di controllarne<br />
attentamente il commercio e il prezzo di<br />
vendita, soprattutto a difesa dei consumatori<br />
meno abbienti. Tutta la legna prodotta<br />
nei territori della dominante doveva<br />
G. Zompini, Battellante, venditore di<br />
legna per uso domestico.<br />
essere dunque portata a Venezia salvo<br />
la parte stabilita per il consumo personale<br />
e locale. All’ingresso a Venezia la<br />
legna era soggetta, come tutte le altre<br />
merci, al pagamento di un dazio. Era vietato<br />
trasportare e vendere legna a stati<br />
esteri. Per evitare illeciti e incette, il trasporto<br />
ed il commercio della legna era<br />
esattamente regolamentato e doveva<br />
svolgersi con l’accompagnamento della<br />
precisa documentazione predisposta allo<br />
scopo. Per esempio, per evitare gli abusi<br />
dei burchieri da legna, tendenti a frodare<br />
sulla quantità e qualità della legna da trasportare<br />
e da vendere e a trasportarla e<br />
venderla fuori dalla Repubblica di<br />
Venezia, si ordinò che la legna dolce<br />
venisse tagliata nella lunghezza di 3<br />
piedi e quella forte di 2 e 1/2; che il trasporto<br />
fosse controllato per mezzo di bollette<br />
di carico rilasciate dai Rettori dopo<br />
aver verificato il carico; che l’imbarco<br />
della legna ai carradori (moli e pontili)<br />
avvenisse secondo l’ordine di arrivo dei<br />
battelli; che, all’arrivo a Venezia, a padroni,<br />
marinai e carradori (misuratori pubblici)<br />
fosse vietato di accantonare per sé<br />
una parte del carico.<br />
Il controllo di tutta questa materia era<br />
affidato dapprima alla Magistratura delle<br />
Rason Vecchie e, a partire dal 1500, a<br />
un Magistrato sopra legne e boschi, che<br />
rimase in funzione fino alla caduta della<br />
Repubblica. Egli era il responsabile di<br />
tutto quanto atteneva alla legna da ardere<br />
dal punto di vista giuridico, civile,<br />
penale e inerente il controllo dei mestieri<br />
collegati al commercio e alla vendita<br />
Comunità Chersina<br />
7<br />
della legna come quello dei Burchieri da<br />
legna, addetti al trasporto e alla vendita,<br />
e quello dei Biavaroli e dei Fruttaroli,<br />
addetti alla vendita della legna al minuto.<br />
Anticamente, per soddisfare il fabbisogno<br />
della città di Venezia erano sufficienti<br />
i boschi esistenti sulle coste adriatiche<br />
alle sue spalle ma, già nel 1500, si<br />
rese necessario importare legna da<br />
fuoco dall’Istria, dalla Dalmazia, dalle<br />
Isole del Quarnero e dall’entroterra friulano,<br />
padovano e trevigiano. L’isola di<br />
Cherso figura fin dal XVI secolo fra i<br />
principali fornitori di legna da ardere di<br />
Venezia, specie di “elese” (leccio), che<br />
veniva caricato quotidianamente nei cargadori<br />
posti in vari punti della costa. Per<br />
impedire lo sfruttamento dei boschi e la<br />
loro devastazione, Venezia regolamentò<br />
severamente il taglio dei boschi, sia<br />
della legna da ardere sia di quella da<br />
costruzione, con ordini di rimboschimento,<br />
proibizioni di taglio per un certo periodo,<br />
concessione di sola raccolta di rami<br />
secchi o caduti a terra, proibizione alle<br />
comunità locali di tagliare legna senza<br />
permesso, di distruggere i boschi per<br />
ricavare pascoli, di scavare le radici<br />
degli alberi.<br />
I navigli usati erano trabaccoli, brazzere,<br />
tartane, tartenelle, in gran parte di<br />
piccola portata e con equipaggi di pochi<br />
uomini, spesso tre soli più il patrone. Nei<br />
trasporti da Cherso e Lussino il patrone<br />
doveva darsi in nota alla Cancelleria di<br />
Ossero dichiarandosi pronto a caricare<br />
in un dato caricatore del circondario:<br />
Porto Viario (o Vier, presso Ossero), S.<br />
Andrea (o Jadrischizza) presso<br />
Puntacroce di Cherso, Porto Camisa<br />
(sotto Ustrine su Cherso), Porto Lovo (o<br />
Lischi su Lussino), Porto Gherbocca (o<br />
Galboca, sotto Verin su Cherso), Porto<br />
Pernata (presso l’imbocco sul Vallone di<br />
Cherso), S. Giovanni (sotto Caisole).<br />
Molto attivi in questo commercio erano i<br />
patroni di Lussinpiccolo e Lussingrande<br />
e, a partire dalla seconda metà del<br />
Settecento, quelli di Neresine.<br />
Commercio del bestiame<br />
La fornitura di animali da carne a<br />
Venezia era assicurata dalla Dalmazia<br />
perché i pochi allevamenti della terraferma<br />
veneta non erano in grado di assicurare<br />
il fabbisogno di carne alla popolosa<br />
città. Così pare che fin dal 1.500, se non<br />
prima, si fosse stabilito un regolare trasporto,<br />
chiamato traghetto di Zara, di<br />
bestiame bovino e ovino dal retroterra<br />
dalmato a Venezia, attraverso al porto
8 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
“Manzera” tipo di legno adibito al trasporto di bovini da Zara a Venezia.<br />
di Zara. Infatti, il trasporto del bestiame<br />
dalla Dalmazia a Venezia era riservato<br />
tradizionalmente ai patroni del<br />
distretto di Zara, e particolarmente di<br />
Selve, a cui in seguito si aggiunsero<br />
i patroni lussignani. Il punto d’imbarco<br />
del bestiame, a Zara, si trovava<br />
nell’insenatura a nord della città in<br />
una località che da questa funzione<br />
prese il nome, che conserva tuttora,<br />
di Barcagno, dove esisteva pure un<br />
lazzaretto, il lazzaretto S. Marco, e<br />
un apposito cargador, cioè un<br />
impianto per carcare gli animali sulle<br />
imbarcazioni.<br />
I legni adibiti al traffico del bestiame<br />
erano denominati manzere e<br />
castrere, capaci di trasportare,<br />
rispettivamente, 80 buoi o 400 pecore<br />
o castrati.<br />
Il reperimento degli animali era<br />
affidato dallo Stato, tramite appalto,<br />
ad un partitante, che doveva a sua<br />
volta procurarseli da singoli venditori,<br />
generalmente bosniaci. Una ditta di<br />
spedizionieri si occupava poi di trovare<br />
le imbarcazioni per il trasporto a<br />
Venezia. I manzi dovevano essere<br />
grassi e mercantili, esclusi li torri…di<br />
libbre 800 il paio e, prima dell’imbarco,<br />
potevano essere visitati dal partitane;<br />
il nolo del trasporto era a carico<br />
del mercante-venditore; il rischio di<br />
mare era condiviso fra partitante e<br />
venditore purché la manzera adibita<br />
al trasporto non fosse stata caricata<br />
oltre il limite di 75/82 animali, nel<br />
qual caso del rischio rispondeva<br />
esclusivamente il mercante. Le date<br />
di partenza da Zara venivano fissate<br />
in anticipo e potevano essere spostate<br />
solo per mancanza di bastimenti.<br />
Il governo degli animali durante<br />
il viaggio era affidato ai marinai<br />
dell’imbarcazione che, in cambio di<br />
questo servizio, ricevevano un premio<br />
fisso per ogni viaggio. Lo sbarco<br />
del bestiame avveniva al Lido, dove<br />
si effettuava pure il pagamento, in<br />
valuta veneta o in zecchini d’oro al<br />
valore corrente di piazza. Dei bovi<br />
periti durante il viaggio si recuperava<br />
di solito la pelle e il sevo. Se, allo<br />
sbarco, il peso di una coppia di buoi<br />
era inferiore alle 800 libbre, il mercante<br />
doveva pagare una penalità<br />
ma riceveva un premio se il loro<br />
peso era superiore a quello stabilito.<br />
I prezzi venivano stabiliti nel contratto<br />
e andavano dai 19 ai 14 e 1/2<br />
zecchini al paio, a seconda delle stagioni.<br />
Se, durante il viaggio del<br />
bestiame per la terraferma, qualche<br />
animale andava smarrito o rubato, il<br />
mercante aveva diritto ad un indennizzo.<br />
Sembra non fossero però rare<br />
anche le richieste di indennizzi indebiti<br />
per cui i Capitani degli abitati<br />
situati lungo il passaggio degli animali<br />
avevano l’obbligo di vigilare perché<br />
non avvenissero furti e i militari<br />
dovevano cooperare al recupero<br />
delle bestie sbandate. In tutti i paesi<br />
che si trovavano lungo il passaggio<br />
del bestiame veniva inoltre pubblicato<br />
un bando con il quale veniva fatto<br />
obbligo ai Capitani, Giudici e<br />
Vecchiardi di recarsi nel luogo di<br />
sosta degli animali per contarli alla<br />
presenza dei conducenti sicché, se<br />
al momento della partenza mancava<br />
qualche capo e non si trovava il colpevole<br />
dell’ammanco, il villaggio era<br />
tenuto a risarcire il danno.<br />
(continua)<br />
Carmen Palazzolo Debianchi<br />
Il mensile dell’A. N. V. G. D.<br />
“Difesa Adriatica”<br />
in omaggio ai lettori di<br />
“Comunità Chersina” per tutto il <strong>2005</strong><br />
“Difesa Adriatica” è il periodico dell’Associazione Nazionale<br />
Venezia Giulia e Dalmazia. Il mensile si rivolge non solo ai soci<br />
dell’ANVGD, ma all’intera platea degli Esuli giuliano-dalmati in<br />
Italia e nel mondo riportando le novità istituzionali e associative,<br />
gli approfondimenti storici e culturali, le notizie giuridiche e legislative.<br />
Nell’ottica di una maggiore diffusione dei periodici degli esuli,<br />
come elementi fondamentali di collegamento fra gli stessi, promossa<br />
dall’ANVGD, i lettori di “Comunità Chersina”, che non fossero<br />
già abbonati a “Difesa Adriatica”, potranno riceverlo in<br />
omaggio per tutto il <strong>2005</strong> spedendo semplicemente il proprio<br />
nominativo e indirizzo:<br />
Per posta a: Difesa Adriatica, Via Leopoldo Serra, 32 – 00153 Roma<br />
Per telefono e fax al n.: 06 5816852<br />
Per e-mail a: info@anvgd.it
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Quest’anno, il Giorno del Ricordo<br />
è stato commemorato in Italia, con<br />
grande solennità, in 176 manifestazioni,<br />
tenute in 84 località, come<br />
comunicato dal centro dell’ANVGD,<br />
curato dal nipote di Padre Rocchi,<br />
Fabio, che ha raccolto e diffuso le<br />
informazione sull’argomento. Si è<br />
trattato di conferenze, dibattiti, tavole<br />
rotonde, proiezione di filmati e documentari,<br />
mostre fotografiche, presentazione<br />
di libri significativi.<br />
A Roma, in Parlamento, ci sono<br />
stati i discorsi dei Presidenti delle due<br />
Camere, onorevoli Pera e Casini, e<br />
c’è stato il discorso del Presdente<br />
della Repubblica, Carlo Azelio<br />
Ciampi, che trascriviamo:<br />
“Ho accolto con soddisfazione la<br />
decisione con cui il Parlamento<br />
Italiano ha istituito la Giornata<br />
Nazionale del Ricordo. Essa consente<br />
di commemorare con continuità<br />
una grande tragedia della Seconda<br />
Guerra Mondiale.<br />
Il mio pensiero è rivolto con commozione<br />
a coloro che perirono in<br />
condizioni atroci nelle Foibe, nell’autunno<br />
del 1943 e nella primavera del<br />
1945; alle sofferenze di quanti si<br />
videro costretti ad abbandonare per<br />
sempre le loro case in Istria e in<br />
Dalmazia.<br />
Questi drammatici avvenimenti<br />
formano parte integrante della nostra<br />
vicenda nazionale; devono essere<br />
GIORNO DEL RICORDO <strong>2005</strong><br />
radicati nella nostra memoria; ricordati<br />
e spiegati alle nuove generazioni.<br />
Tanta efferatezza fu la tragica<br />
conseguenza delle ideologie nazionalistiche<br />
e razziste propagate dai<br />
regimi dittatoriali responsabili del<br />
secondo conflitto mondiale e dei<br />
drammi che ne seguirono.<br />
Tutti i popoli europei ne hanno<br />
pagato il prezzo.<br />
Da allora sono trascorsi sessant’anni<br />
e si sono avvicendate tre<br />
generazioni.<br />
E’ giunto il momento che i ricordi<br />
ragionati prendano il posto dei rancori<br />
esasperati.<br />
I principi di dignità della persona,<br />
di rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo<br />
e dei diritti delle minoranze<br />
sono il fondamento dell’Unione<br />
Europea. L’integrazione realizzata fra<br />
i nostri Paesi permette a tutti gli europei<br />
di condividere un unico spazio di<br />
democrazia e di libertà. In questa<br />
nuova realtà unitaria, contrassegnata<br />
dall’abolizione fisica delle frontiere,<br />
italiani, sloveni e croati possono guardare<br />
con fiducia ad un comune futuro,<br />
possono costruirlo insieme: consolidando<br />
innanzitutto una convivenza<br />
in cui la diversità è il fattore di<br />
arricchimento reciproco, in cui le radici<br />
e le tradizioni di ognuno vengono<br />
rispettate nella loro pari dignità.<br />
Auspico, in questo spirito, che la<br />
Giornata del 10 febbraio, ispirata a<br />
Comunità Chersina<br />
9<br />
sentimenti di riconciliazione e di dialogo,<br />
lasci un’impronta nella coscienza<br />
di tutti noi: italiani, europei, cittadini<br />
di un mondo che solo una rinnovata<br />
unità di ideali e di intenti democratici<br />
potrà rendere veramente migliore.”<br />
A Venezia la celebrazione del<br />
Giorno del ricordo si è svolta in tre<br />
giorni 9, 10, 11 febbraio sotto gli<br />
auspici dello stesso Comune, organizzata<br />
dall’A.N.V.G.D. provinciale<br />
della quale è presidente il comm.<br />
Tullio Vallery e vicepresidente Gigi<br />
Tomaz.<br />
Il giorno 10 nel duomo di Mestre,<br />
ESILIO<br />
Un freddo mattino<br />
spezzò le residue speranze.<br />
Sovvertita, sconvolta ne fu la sovranità<br />
di terre secolari istro-venete.<br />
La repressione, gli eccidi,<br />
l’impotenza, la rinuncia del paese<br />
consolida l’idea dell’abbandono.<br />
Partono silenziosi.<br />
Portano nel cuore ricordi<br />
ed il dolore<br />
di una profonda immensa ingiustizia.<br />
Portano l’illusione del ritorno<br />
che aiuta a sopportare la tristezza<br />
dei campi profughi.<br />
Assiomi ideologici irreali<br />
rendono estranee, solidarietà e calore<br />
[umano.<br />
Patiscono in silenzio<br />
con dignità, l’inospitalità<br />
che contrasta con il loro amore<br />
per la Patria.<br />
L’incredulità supera la comprensione<br />
verso racconti, sofferenze vissute.<br />
La verità emerge, prevale,<br />
sulle ipocrisie sulle opportunità.<br />
Inesorabile, il tempo<br />
non consente rinvii per atti di giustizia.<br />
Antonio Zett<br />
di Cherso, residente a Spinea di Venezia<br />
(Il componimento è stato letto dal Sindaco<br />
di Spinea durante la celebrazione in<br />
Consiglio Comunale del Giorno del<br />
Ricordo <strong>2005</strong>)
10 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
affollatissimo, è stata celebrata la<br />
messa solenne per i nostri martiri e<br />
per i morti in esilio. Hanno partecipato<br />
tutte le Autorità e le Associazioni,<br />
con labari, bandiere e gonfaloni, ed<br />
un nutrito numero di Chersini residenti<br />
nel Comune e nella Provincia.<br />
I temi del Ricordo sono stati trattati<br />
il giorno 9 dal Consiglio Comunale<br />
di Venezia, appositamente convocato<br />
in mattinata nel suo palazzo di Cà<br />
Farsetti sul Canal Grande, il 10<br />
pomeriggio nella sala del Consiglio<br />
comunale di Spinea, importante<br />
comune della cintura venezianomestrina,<br />
e l’11 nel salone gremito<br />
del Centro Culturale Candiani di<br />
Mestre.<br />
Gigi Tomaz è stato tra gli oratori<br />
ufficiali di tutte e tre le manifestazioni.<br />
Anche a Spinea c’era la rappresentanza<br />
dei chersini residenti nella<br />
zona, tra i quali il poeta Zett che ha<br />
portato una sua poesia letta dallo<br />
stesso Sindaco Claudio Tessari che<br />
ha presieduto l’incontro.<br />
Il grande tema della comune storia<br />
veneziano – istriano – dalmata era<br />
stato anticipato da Tomaz nell’Aula<br />
magna dell’Ateneo veneto il 16<br />
novembre – come abbiamo già riferito<br />
– e poi il 19 gennaio a Cà<br />
Rezzonico dove ha trattato della parlata<br />
veneziana in Istria e Dalmazia<br />
come evoluzione dal latino avvenuta<br />
contemporaneamente nelle tre regioni<br />
in costante scambio reciproco.<br />
Le due conferenze, organizzate<br />
dalla sezione veneziana del Circolo<br />
Europeo di Cultura sono in corso di<br />
stampa. Gli interventi al Consiglio<br />
comunale di Venezia e a Mestre<br />
sono stati già pubblicati in un opuscolo<br />
e noi l’abbiamo ristampato come<br />
inserto a questo numero del giornale<br />
per farne omaggio ai nostri lettori.<br />
Dal Comune di Chioggia Gigi<br />
Tomaz è stato invitato a tenere il<br />
prossimo 11 maggio alle 17,30, nel<br />
grande Auditorium in Corso del<br />
Popolo, una lezione a studenti, insegnanti<br />
e cittadini sui rapporti storico –<br />
economici tra Chioggia, Istria e<br />
Dalmazia dall’antichità all’esodo.<br />
Sta per uscire la rivista semestrale<br />
di studi storici Chioggia con la<br />
prima di due puntate dello studio<br />
chiesto a Gigi su Chioggia e l’Esodo<br />
del Giuliano-Dalmati. L’interessante<br />
capitolo sul primo esodo forzato dei<br />
regnicoli chioggiotti, del 1915, verrà<br />
da noi pubblicato in seguito.<br />
A Trieste la Comunità Chersina è<br />
stata presente col suo labaro il 10<br />
febbraio alla Foiba di Basovizza,<br />
all’alzabandiera in piazza dell’Unità<br />
d’Italia e alla successiva manifestazione<br />
al Teatro Verdi, alla presenza del<br />
Vicepresidente del Consiglio, on.<br />
Gianfranco Fini.<br />
Grande successo del “Ricordo” dunque!<br />
Ma ricordare, pur essendo importante,<br />
non basta. Bisogna anche chiedersi<br />
“Perché è potuto accadere?” ed<br />
analizzare gli eventi che hanno preceduto<br />
le foibe e l’esodo, non per scusarli<br />
ma per capire meglio e poi, soprattutto,<br />
educare le nuove generazioni alla convivenza<br />
democratica, all’accettazione<br />
della diversità come “fattore di arricchimento”,<br />
al rispetto per gli altri e per le<br />
loro idee.<br />
Dal settembre 1943 al maggio<br />
1945 l’Istria è stata teatro di una<br />
feroce guerriglia tra i tedeschi e i<br />
partigiani comunisti di Tito. Poi questi<br />
ultimi rimasero padroni del<br />
campo e ripresero una radicale<br />
“pulizia etnica” contro gli italiani,<br />
considerati “impurità etnica”.<br />
Approfittando della violenza bellica<br />
usarono le minacce, le deportazioni,<br />
le uccisioni, gli infoibamenti. Si<br />
calcolano in 12.000 le vittime civili.<br />
350.000, su 500.000, fuggirono<br />
profughi in Italia.<br />
Il giornale della diocesi di Trieste<br />
“Vita Nuova” scriveva che il comunismo<br />
balcanico “scatenò una lotta<br />
A Verona – scrive Meyra Moise –<br />
quest’anno, per la prima volta, il<br />
“Giorno del Ricordo” è stato solennemente<br />
celebrato attraverso una serie<br />
di manifestazioni culturali e artistiche:<br />
proiezione con dibattito del film<br />
“Portius”, trasmissione in teatro di<br />
ricordi dal vivo di persone che hanno<br />
sofferto e vissuto da vicino il dramma<br />
delle foibe, celebrazione di una S.<br />
Messa per i martiri istriani e inaugurazione<br />
di un cippo dedicato agli eroi<br />
giuliano-dalmati. La partecipazione è<br />
stata entusiasta e numerosa, anche<br />
perché l’invito è stato esteso a tutti i<br />
simpatizzanti veronesi sensibili al<br />
nostro problema.<br />
Da Ponte Sull’Ania (Lucca), Mons. Giuseppe Stagni, di Ustrine,<br />
così presenta l’esodo dei sacerdoti e suo dalle nostre terre:<br />
L’ESODO DEI SACERDOTI<br />
di Mons. Giuseppe Stagni<br />
senza quartiere contro il clero cattolico<br />
di cultura latino-veneta”.<br />
Carlo Sgorlon, scrittore friulano,<br />
ha scritto che una propaganda martellante<br />
ripeteva che “i preti erano<br />
parassiti, non producevano nulla,<br />
vendevano soltanto chiacchiere e<br />
superstizioni, non avevano diritti.<br />
Erano sospetti e carichi di ambiguità.<br />
Le sottane nere servivano a<br />
nascondere una natura di fannulloni<br />
e oziosi che si facevano mantenere<br />
dai fedeli. Si attribuivano loro<br />
amori disordinati con donne dal<br />
comportamento leggero e si cominciò<br />
a parlare del confessionale<br />
come di un luogo di complotti”.
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Le feste religiose, compreso il S.<br />
Natale, furono abolite perché ricordavano<br />
leggende e miti. Furono<br />
uccisi 35 sacerdoti. Cito tre soli<br />
esempi. La salma di don Angelo<br />
Tarticchio fu estratta da una foiba<br />
(voragine), nuda, con una corona di<br />
spine calcata sulla testa.<br />
Don Federico Vecchiet si era<br />
laureato in ingegneria; era un parroco<br />
straordinario. I partigiani nascosero<br />
quattro bombe nell’orto della<br />
sua canonica e poi lo accusarono ai<br />
tedeschi di tenere le bombe nascoste<br />
contro di loro. Interrogato, negò.<br />
Fu deportato a Dachau, dove morì il<br />
20 febbraio 1944.<br />
Don Miro Bulesich, il 24 agosto<br />
1947 fu sgozzato con due coltellate<br />
alla gola a Lanischie perché<br />
- avendo studiato alla Gregoriana<br />
a Roma, era falso come un<br />
Gesuita;<br />
- aveva celebrato una certa festa<br />
chiamata Pasqua;<br />
- aveva liberato una quarantina<br />
di croati, già destinati alla deportazione<br />
in Germania ma, se i tedeschi<br />
lo avevano ascoltato, voleva dire<br />
che era loro amico. Aveva 27 anni.<br />
La Chiesa ha avviato la sua causa<br />
di beatificazione.<br />
Perché don Giuseppe Stagni è<br />
andato profugo in Toscana<br />
In questo dramma si inserisce<br />
l’ordinazione sacerdotale del giovane<br />
seminarista Don Giuseppe. Si<br />
trovava sull’isola di Lussino. Non<br />
poteva raggiungere il suo arcivescovo<br />
a Zara perché la città era sotto i<br />
paratigiani titini; la cattedrale era<br />
stata sfondata da bombardamenti e<br />
l’Arcivescovo lavorava nella cappella<br />
mortuaria del cimitero. Don<br />
Stagni sentiva che Gesù lo chiamava<br />
al suo altare. Si recò a Fiume,<br />
dove il vescovo Ugo Camozzo lo<br />
ordinò sacerdote domenica 5<br />
novembre 1944. L’ordinazione<br />
avvenne nella chiesa del SS.<br />
Redentore, che lo stesso vescovo<br />
volle come una preghiera, affinché<br />
la città venisse risparmiata dalla<br />
guerra. Durante l’ordinazione si scatenò<br />
un bombardamento sulla città.<br />
Il Vescovo pensò di sospendere la<br />
cerimonia, ma il giovane Don Stagni<br />
lo implorò di continuare: “Altrimenti,<br />
quando potrò essere ordinato<br />
sacerdote?” Uscirono in fretta dalla<br />
chiesa e raggiunsero il rifugio del<br />
vescovado tra le macerie ed evitando<br />
i cadaveri. Gesù aveva detto:<br />
“Se siete perseguitati fuggite in<br />
un’altra città”. Lui stesso, perseguitato<br />
da Erode, fuggì profugo in<br />
Egitto.<br />
Così fecero i tre Vescovi.<br />
Mons. Ugo Camozzo, vescovo di<br />
Fiume, nel 1947 ammainò il tricolore<br />
del vescovado e lo tagliò in tre<br />
pezzi che nascose in tre valigie<br />
affinché non glielo sequestrassero<br />
alla frontiera. Con quel tricolore<br />
riposa ora ai piedi dell’altare della<br />
Madonna, sotto l’organo della<br />
Primaziale di Pisa.<br />
Mons. Pietro Doimo Munzani,<br />
arcivescovo di Zara, fu deportato<br />
prigioniero nell’isola di Lagosta. Da<br />
qui esulò a Roma. Rifiutò una<br />
nuova sede: “Voglio morire come<br />
Vescovo della mia Zara!” diceva.<br />
Mons. Raffaele Radossi, vescovo<br />
di Pola, andò per benedire alcune<br />
salme, esumate da una foiba.<br />
Fecero saltare la sua “Topolino”.<br />
Adagiato sul prato con una grossa<br />
lacerazione sulla testa, disse in dialetto<br />
al segretario che gli asciugava<br />
il sangue: “No te preocupar perché<br />
mia mama me dixeva che el bacalà,<br />
più che se lo bate, più bon el diventa”.<br />
Anche lui dovette fuggire in<br />
Italia e divenne Arcivescovo di<br />
Spoleto. Così sono fuggiti 250<br />
sacerdoti e una ventina di Comunità<br />
Religiose, tra le quali due di suore<br />
benedettine di vita contemplativa.<br />
Il giovane sacerdote Don<br />
Giuseppe Stagni raggiunse la sua<br />
isola di Cherso nascosto sotto un<br />
telone su una barca militare. Nella<br />
cittadina di Cherso, mentre cercava<br />
rifugio nel Convento di S. Francesco,<br />
sentì sopra alla testa il sibilo di<br />
una pallottola che gli era stata indirizzata.<br />
La mattina dopo vide un<br />
camion carico di tedeschi. Non c’era<br />
posto per lui. Montò sul predellino,<br />
accanto all’autista. Quando arrivò al<br />
suo paese di Ustrine aveva la veste<br />
talare piena di polvere e le mani rattrappite:<br />
sembrava Babbo Natale!<br />
Il 12 novembre 1944 tutti i 250<br />
abitanti di Ustrine erano in festa.<br />
Riuscirono a stendere perfino un<br />
gran pavese di bandierine dal campanile<br />
alla casa del festeggiato.<br />
Comunità Chersina<br />
11<br />
Durante il corteo verso la chiesa,<br />
nel cielo apparve un aereo. La<br />
gente abbandonò la strada e si rifugiò<br />
nelle case. I piloti si abbassarono,<br />
virarono due volte, s’accorsero<br />
della festa… e scomparvero. Una<br />
festa povera ma ricca di emozioni e<br />
di gioia. A Don Stagni sarebbe piaciuto<br />
esercitare il suo sacerdozio fra<br />
la sua gente ma, nell’agosto 1945,<br />
l’Arcivescovo lo chiamò a Zara. La<br />
città era stata distrutta per il 90 %<br />
da 54 bombardamenti. Don Stagni<br />
passava tra le rovine recitando il S.<br />
Rosario.<br />
Il 28 settembre 1948 anch’egli<br />
dovette strappare le radici della sua<br />
vita e del suo sacerdozio dalla sua<br />
terra. Fu accolto nel Campo profughi<br />
di Udine e quindi nel Collegio<br />
Vescovile Pio X di Treviso.<br />
Un giorno ricevette il seguente<br />
messaggio di Mons. Ugo Camozzo,<br />
arcivescovo di Pisa: “Il 5 novembre<br />
1944, quando ti ordinai sacerdote a<br />
Fiume, sotto i bombardamenti, ti<br />
dissi che ti saresti ricordato di quella<br />
tua straordinaria ordinazione sacerdotale.<br />
Ora ho bisogno di te. A<br />
Ponte All’Ania non hanno né una<br />
chiesa né un sacerdote”. Così Don<br />
Giuseppe Stagni è venuto profugo a<br />
Ponte All’Ania. E’ venuto da una<br />
vigna del Signore che una guerra e<br />
una politica cattiva avevano devastato.<br />
Con questa eccezionale ed<br />
avventurosa esperienza sacerdotale<br />
Don Stagni ha iniziato a Ponte<br />
All’Ania una nuova vita.<br />
L’articolo fu spedito a Padre<br />
Flaminio Rocchi che, il 27 agosto<br />
1994, così gli rispose da Roma:<br />
“Caro Don Giuseppe,<br />
ho letto e meditato la bellissima<br />
relazione sulla tua giovanile avventura<br />
sacerdotale. La fuga dei sacerdoti,<br />
anche autoctoni, costituisce un<br />
fatto di grave importanza storica<br />
anche perché gli stessi preti croati<br />
ci vanno accusando che abbiamo<br />
avuto paura, nutrivamo una incapacità<br />
testarda di colloquiare con i<br />
croati e che il nostro esodo è stato<br />
un errore. Per questo mi sono soffermato<br />
a giustificarlo. Tu, comunque,<br />
puoi correggere, tagliare,<br />
modificare a tuo piacimento.<br />
Il titolo di “Monsignore” te lo sei
12 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
meritato pienamente. A Roma bastano<br />
cinque anni di servizio presso il<br />
Vaticano o presso il Vicariato per<br />
maturare il titolo.<br />
Ogni anno, già dai primi giorni di<br />
agosto, a Cherso, ci si preparava al<br />
consueto pellegrinaggio verso un<br />
affascinante santuario, pieno di ex<br />
voto, posto su un colle, sopra un<br />
mare spesso burrascoso e di un blu<br />
cupo e profondo, dedicato alla<br />
Madonna di S. Salvador. Io cercavo<br />
già di procurarmi 3 sassolini lisci e<br />
rotondi da inserire nella “scarpetta<br />
della Madonna”, una piccola cavità a<br />
forma di scarpa che si trova lungo il<br />
sentiero che conduce alla chiesetta.<br />
Quell’anno, era il 1948, nella mia<br />
famiglia avvertivo una forte tensione.<br />
I miei genitori parlottavano tra di loro<br />
continuamente, spesso nervosamente,<br />
la nonna aveva gli occhi arrossati,<br />
la mamma le guance cadenti e si<br />
alternavano momenti di mutismo<br />
assoluto a discussioni e alterchi più<br />
vivaci. Anche i pasti erano frettolosi e<br />
poco curati.<br />
Io giocavo in Pra’, davanti a casa,<br />
cercando di catturare le imprevidenti<br />
cicale che si avventuravano a frinire<br />
nelle parti basse dei tronchi dei lodogni.<br />
Ero turbata. Il clima familiare<br />
cominciava ad angosciarmi. Eppure il<br />
ricordo della mitragliatrice piantata<br />
davanti a casa, il terrore delle pallottole<br />
che sibilavano verso la soffitta, le<br />
fughe all’alba per rifugiarci nella cantina<br />
più sicura di zio Mate, l’ orrore<br />
dei corpi distesi sotto il volto e nelle<br />
canisele, l’ acquattarsi fulmineo sotto<br />
il figher per non essere individuati dai<br />
cupi e rombanti aerei che passavano<br />
bassi sulle nostre teste, stavano, se<br />
pur lentamente, sfumando. Non capivo,<br />
e i miei perché restavano senza<br />
risposta.<br />
Un mattino vidi arrivare mio padre<br />
con delle assi di legno e cominciò a<br />
inchiodarle e ad ingabbiare la vetrina,<br />
intanto mia madre avvolgeva nelle<br />
intimele alcuni degli oggetti più fragili,<br />
riponendoli con cura nel baule. Ogni<br />
martellata era come una ferita; anche<br />
le cicale smettevano di frinire, mia<br />
sorella tremava e io avrei voluto,<br />
come aveva fatto il gatto, spaventato,<br />
rifugiarmi nel sottoscala, chiudere gli<br />
occhi e tapparmi gli orecchi.<br />
All’alba del 14 agosto il vaporetto<br />
In campagna e nelle montagne ci<br />
sono sacerdoti che lavorano per 40 –<br />
50 anni come santi apostoli e rimangono<br />
sacerdoti nella loro umiltà.<br />
IL MIO ESODO<br />
di Annamaria Zennaro Marsi<br />
si staccò dal molo. La nonna non<br />
aveva voluto venire con noi, non ce<br />
la faceva a lasciare la sua casa e la<br />
sua terra.<br />
Le case diventavano sempre più<br />
piccole, la nonna... un punto nero;<br />
scorgevo solo le strisce irregolari<br />
delle masiere sulle colline. Poi,<br />
quando il vaporetto ebbe virato a<br />
destra dopo la lanterna, Cherso<br />
venne inghiottita, con tutto il suo<br />
porticciolo e la sua baia e con “Lei”,<br />
il mio nido divelto, abbattuto, frantumato<br />
per sempre. Passando davanti<br />
alle chiesette di S. Nicolò, sotto<br />
San Salvador e S. Biagio, mia<br />
madre si fece il segno della croce e<br />
noi la imitammo automaticamente.<br />
Il cielo era limpidissimo, soffiava<br />
un borino che si faceva sempre più<br />
gagliardo, le ombre scure sulla<br />
costa dell’isola contrastavano con il<br />
bagliore rosato, accecante della<br />
sponda opposta. Il mare era di un<br />
blu intenso e molto agitato, profondo<br />
e cupo. Immaginavo feroci<br />
pescecani e vortici tumultuosi che<br />
inghiottivano pescherecci e pescatori,<br />
come avevo visto nei dipinti<br />
degli ex voto a San Salvador.<br />
Giungemmo a Fiume intorno a<br />
mezzogiorno. Mi accolse un odore<br />
sgradevole e nauseante di ferro<br />
arrugginito, di carbone misto ad<br />
asfalto rovente, vidi alte e grigie<br />
case allineate, con tante finestre<br />
tutte uguali e, solo allora, mi accorsi<br />
dei bagagli. Mio padre s’incamminò<br />
reggendo sulla spalla sinistra una<br />
valigia legata con dello spago e sul<br />
braccio destro un sacco. Lo seguiva<br />
mia sorella, segaligna e in piena<br />
crisi adolescenziale, con un fagotto<br />
che alternava da uno all’altro braccio,<br />
poi mia madre con una grande<br />
borsa e ... io, che cercavo di ripararmi<br />
dalla calura dietro ad un muro, a<br />
quell’ora, avaro d’ombra. Una<br />
mesta processione nell’afa agostana<br />
per raggiungere la stazione ferroviaria.<br />
Avvertivo un senso di nausea,<br />
sbocconcellai il panino che mia<br />
madre aveva portato e una pesca<br />
che, generosamente, il piccolo<br />
Farò il possibile per esserti vicino<br />
a Ponte All’Ania e a Ustrine.<br />
Ti abbraccio<br />
Tuo P. Flaminio Rocchi”<br />
pesco dietro la porta dell’orto ci<br />
aveva regalato, solo quell’estate.<br />
Il treno giunse dopo parecchie ore<br />
e credo di essermi addormentata sul<br />
sedile lucido e consunto, perché ad<br />
un certo momento mi sentii trascinare<br />
giù. Eravamo giunti a Divaccia.<br />
Il buio fitto della notte ventosa era<br />
rischiarato solo dalla luna e dalle stelle.<br />
Tremavo dal freddo, nonostante<br />
indossassi il bel golfino bianco di<br />
lana caprina, molto pruriginosa, con i<br />
bottoncini a forma di cappellino, di<br />
cui andavo fiera. Cominciai a lacrimare,<br />
ma nessuno era in grado di<br />
consolarmi. Solo mio padre, forte e<br />
temprato da una vita durissima e da<br />
un precedente e ben più tragico esilio,<br />
cercava di rincuorarmi con il suo<br />
dolce sorriso.<br />
Arrivammo a Trieste il 15 di agosto,<br />
prima che albeggiasse. Ci<br />
avviammo in un silenzio amaro e<br />
opprimente lungo il viale Miramare.<br />
Le nostre ombre scure e disperate<br />
spezzavano quelle degli alberi che<br />
scorrevano lungo il muro della ferrovia,<br />
fino a raggiungere il giardinetto<br />
da dove si potevano scorgere le finestre<br />
degli zii, a me sconosciuti, che si<br />
erano offerti di ospitarci, prima di<br />
essere accolti al SILOS. Mia madre<br />
mi aggiustò i capelli e mi rifece la<br />
“banana” per rendermi presentabile<br />
al loro risveglio. La zia salutò per<br />
primo suo fratello, poi mia madre,<br />
mia sorella e, rivolta a me, chiese:<br />
“Perché piange questa bambina?”<br />
Ah, quanto avrei preferito percorrere<br />
il sentiero ripido, sassoso, assolato<br />
affiancato dai rovi e arrivare<br />
accaldata e stanca, magari scalza, a<br />
S. Salvador !!!<br />
Lassù sarei stata accolta dal refrigerio<br />
dell’ombra profumata di pini, di<br />
salvia e di salsedine, dall’ abbagliante<br />
trasparenza della luce e della speranza,<br />
dall’abbraccio consolatorio<br />
della preghiera. Qui, mi sentivo sull’orlo<br />
di un burrone tetro e vorticoso,<br />
nel buio più cupo, sgomento e<br />
disperato, nell’ignoto più sconfortante<br />
e imperscrutabile.<br />
Mi chiedevo angosciata: “Perché<br />
tutto questo? Perché ???”
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
CRONACHE<br />
Comunità Chersina<br />
A TRIESTE LA FESTA DEL PATRONO DI CHERSO, S. ISIDORO<br />
Riuscitissima celebrazione grazie alla collaborazione di tanti<br />
Nelle fotografie, una visione della sala dell’Associazione delle Comunità Istriane in cui si è tenuto l’incontro della festa del Patrono,<br />
a Trieste, con parte dei tanti partecipanti.<br />
E’ consuetudine che le informazioni<br />
sulla festa del Patrono vengano<br />
date tramite il nostro giornale ma,<br />
dal momento che, a causa di difficoltà<br />
tecniche, quest’anno il nostro<br />
foglio non è uscito in tempo utile, è<br />
stato spedito un certo numero di<br />
inviti personali con la frase “Vieni e<br />
porta un amico”. La cosa ha fatto<br />
piacere e molti hanno risposto alla<br />
chiamata. Fra essi ricorderò, in particolare,<br />
il nostro Vicepresidente<br />
Mauro Peruzzi, che è venuto da<br />
Montecchio Maggiore, alle porte di<br />
Vicenza, con alcuni familiari.<br />
Numerosa è stata pure la partecipazione<br />
degli amici lussignani, fra i<br />
quali c’erano, come tutti gli anni, i<br />
Segretari delle Comunità di<br />
Lussinpiccolo e di Lussingrande,<br />
Giuseppe Favrini e Stefano<br />
Stuparich.<br />
Non c’era l’arcivescovo Bommarco,<br />
ormai unito a noi per sempre<br />
dall’Aldilà.<br />
La cerimonia religiosa, affidata<br />
dalla Presidente ai due sacerdoti<br />
dell’isola residenti a Trieste, è stata<br />
magistralmente organizzata da don<br />
Simeone Musich di Aquilonia, che<br />
ha concelebrato la S. Messa assieme<br />
a don Dario Pavlovich di Vallon.<br />
Quest’ultimo, che il 4 luglio 2004 ha<br />
festeggiato il 50° anniversario della<br />
sua ordinazione sacerdotale, ha<br />
voluto ricordare l’avvenimento coi<br />
13<br />
suoi conterranei e, a fine Messa, ha<br />
distribuito ai presenti un’immaginetta-ricordo.<br />
La Comunità Chersina ha<br />
ricambiato il pensiero offrendogli<br />
alcuni libri su Cherso.<br />
Dopo la Messa e le brevi parole<br />
della presidente dell’Associazione<br />
Francesco Patrizio e del presidente<br />
dell’Associazione delle Comunità<br />
Istriane, c’è stata la proiezione delle<br />
diapositive della gita di settembre a<br />
Cherso e nei suoi villaggi di Corrado<br />
Ballarin. Questa gita ha avuto un<br />
crescente successo per cui, a richiesta<br />
di quanti vi hanno preso parte, di<br />
amici e simpatizzanti, verrà ripetuta<br />
anche nel <strong>2005</strong>. Gli organizzatori -<br />
segue a pag. 18
14 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Festa del Patrono di Caisole S. Antonio Abate<br />
Come di consueto anche quest’anno, per<br />
onorare la festività di Sant’Antonio Abate, patrono<br />
di Caisole, una folta rappresentanza della<br />
comunità dei Caisolani e loro discendenti residenti<br />
a Trieste, si è riunita domenica 16 gennaio<br />
<strong>2005</strong> nella chiesa di Santa Teresa in Trieste.<br />
Mons. Cosulich ha officiato la S. Messa<br />
ricordando nell’omelia i punti salienti della vita<br />
del Santo che si devono tradurre in un incita-<br />
Nella chiesa di Caisole, benché frequentata<br />
regolarmente ogni domenica dagli abitanti<br />
del paese, ed addirittura affollata nei mesi estivi,<br />
per evidenti ragioni demografiche non si<br />
celebrano più matrimoni di residenti nel paese.<br />
Nel 2004, però, si sono celebrate le nozze<br />
d’oro di ben due coppie, delle quali una stabilmente<br />
residente a Caisole, che hanno voluto<br />
riconfermare nella loro chiesa la promessa di<br />
matrimonio fatta 50 anni prima.<br />
Nella foto sono ritratti i coniugi Giovanni ed<br />
mento per ognuno di noi alla generosità e all’amore<br />
per il prossimo, ciascuno secondo le proprie<br />
disponibilità. E’ stata sottolineata, inoltre, la<br />
necessità di rimanere uniti, anche se solo idealmente,<br />
a quanti vivono tuttora a Caisole, sotto la<br />
guida spirituale di Mons. Giuseppe Bandera, cui<br />
è andato un profondo pensiero di riconoscenza<br />
per la sua lunga dedizione alla parrocchia.<br />
Come sempre in ogni bella ricorrenza, alla<br />
Anna Bortulin che 50 anni dopo la fatidica data<br />
del 25\11|1954 si sono riuniti a festeggiare le<br />
loro nozze d’oro circondati dai figli Dario,<br />
Sergio e Riccardo.<br />
Mentre nel mese di aprile erano stati Nada<br />
e Vincenzo Bandera (fotografia a sinistra) a<br />
tagliare il traguardo dei 50 anni di matrimonio,<br />
ma stavolta, a rendere ulteriormente suggestiva<br />
la cerimonia, è stata la contemporanea presenza<br />
della nipote Alessandra che con il marito<br />
Bruno Malisana festeggiava nello stesso gior-<br />
Messa è seguito un lauto pranzo, organizzato da<br />
Paolo Mohovich in un ristorante cittadino, che è<br />
servito a rinsaldare le amicizie e a mantenere<br />
saldi i legami fra 3 - 4 generazioni di Caisolani e<br />
discendenti, che hanno proprio in Caisole un<br />
forte vincolo che va oltre ogni barriera di età. Un<br />
pensiero commosso è anche andato a tutti i<br />
Caisolani, residenti e non, che purtroppo nel<br />
2004 ci hanno lasciato, ed infine si è discusso su<br />
quale possa essere il contributo che i Caisolani,<br />
benché residenti a Trieste, possono dare alla<br />
vita attuale e futura della loro cittadina evitando<br />
di limitarsi soltanto al ricordo del tempo che fu,<br />
che pure è necessario per tramandare tradizioni<br />
ed usi destinati altrimenti a disperdersi. Naturale<br />
epilogo alla riunione (favorito dai molti bicchieri<br />
che sembravano svuotarsi da soli tanto lo facevano<br />
in fretta...), è stato un bel coro di canzoni<br />
tradizionali accompagnato dal suono della fisarmonica<br />
di colui che risulta essere l’ultimo nato in<br />
una casa di Caisole e cioè Sergio Bortulin.<br />
Il prossimo appuntamento è stato fissato per<br />
domenica 15 gennaio del prossimo anno, e l’invito<br />
è esteso già da ora a tutti i Caisolani residente<br />
a Trieste che leggono questo giornale, e<br />
che per vari motivi quest’anno non hanno potuto<br />
partecipare.<br />
Bruno Malisana<br />
Nozze d’oro e d’argento<br />
no a sua volta un ambito traguardo:<br />
le nozze d’argento. Nella foto a<br />
destra sono riprese le due coppie<br />
davanti all’altare mentre ascoltano<br />
attentamente le parole di mons.<br />
Bandera.<br />
Sia per i coniugi Bortulin che<br />
Bandera e Malisana si è trattato di<br />
due momenti di gioia intensa e<br />
festa cui ha partecipato l’intero<br />
paese.<br />
L’augurio è che altre coppie<br />
raggiungano in serenità questi bei<br />
traguardi e soprattutto che nuove<br />
coppie decidano che è giunta l’ora<br />
del matrimonio, anche se questa<br />
sembra una parola a cui molti giovani<br />
d’oggi paiono essere sordi...<br />
Bruno Malisana<br />
NOZZE D’ORO<br />
MARIA PETRIS<br />
ANTONIO BUNICCI<br />
ad Arma di Taggia (Imperia).<br />
Parenti ed amici<br />
augurano loro ogni bene
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Comunità Chersina<br />
CHERSO, L’ISOLA CHE C’È<br />
Fotografia di Don Dario Pavlovich.<br />
E’ uscito, alle soglie dell’estate<br />
scorsa, il numero doppio 99/100<br />
della rivista di letteratura “Resini –<br />
Quaderni Liguri di Cultura” interamente<br />
dedicato alla cultura istriana<br />
e fiumana del Novecento. L’iniziativa<br />
ha riscosso vasta eco favorevole. Il<br />
chersino Luigi Surdich<br />
dell’Università di Genova ha contribuito<br />
con questo saggio, bello e<br />
interessantissimo.<br />
Josep e Irena si incontrano a<br />
Praga. Hanno abbandonato la città<br />
da molto tempo e, dopo venti anni di<br />
esilio, finalmente possono tornare<br />
liberi in patria. Una storia di amore,<br />
tra i due, venti anni prima, stava per<br />
nascere. Ora si rincontrano e quella<br />
storia di sentimenti e di affetti, così<br />
personale e privata, risulta impossibile<br />
riattivarla, rilanciarla. La Storia<br />
grande e maiuscola, con la sua crudeltà<br />
e la sua pena, ha strozzato fin<br />
dall’inizio il cammino della loro<br />
vicenda e adesso quanto più fortemente<br />
pesa e condiziona in negativo<br />
l’ipotesi di una ripresa di un legame<br />
appena avviato è una distanza che<br />
si è fatta abisso incolmabile.<br />
Incolmabile soprattutto per la separatezza<br />
dei ricordi.<br />
Josep e Irena sono i protagonisti<br />
del romanzo L’ignoranza di Milan<br />
Kundera, apparso in edizione italiana<br />
presso l’editore Adelphi nel 2001.<br />
Nel cuore dello sviluppo della trama<br />
una riflessione rende conto della<br />
sostanza di quanto, di che cosa<br />
rende irrapportabile un avvicinamento,<br />
un’unione, una sintonia:<br />
Immagino l’emozione di due esseri<br />
che si rivedono dopo anni. Un<br />
tempo si frequentavano e quindi<br />
pensano di essere legati dalla stessa<br />
esperienza, dagli stessi ricordi.<br />
Gli stessi ricordi? E’ qui che<br />
comincia il malinteso: non hanno<br />
gli stessi ricordi; del passato, a<br />
entrambi sono rimaste impresse<br />
due o tre situazioni particolari, ma<br />
non le stesse; i loro ricordi non si<br />
somigliano; non collimano; e<br />
anche dal punto di vista quantitativo<br />
non sono comparabili: l’uno si<br />
ricorda dell’altro più di quanto<br />
questi non si ricordi di lui; anzitut-<br />
15<br />
di Luigi Surdich<br />
to perché la capacità di memoria<br />
varia da individuo a individuo<br />
(spiegazione, questa, che sarebbe<br />
in fondo accettabile per entrambi),<br />
ma anche (e questo è più duro da<br />
ammettere) perché non hanno,<br />
l’uno per l’altro, la stessa importanza.<br />
Quando Irena vide Josep<br />
all’aeroporto, ricordava ogni particolare<br />
di quella loro lontana<br />
avventura; Josep non ricordava<br />
nulla. Sin dal primo istante, il loro<br />
incontro ebbe come fondamento<br />
un’ineguaglianza ingiusta e ripugnante.<br />
(p.121)<br />
Agosto 1972. Accompagno mio<br />
padre a Cherso, il paese suo e mio,<br />
il paese dove è nato lui nel 1914 e<br />
dove sono nato io nel 1946. Cherso<br />
è il capoluogo dell’isola che, di fronte<br />
a Fiume, si distende in lungo per<br />
circa sessanta chilometri e continua,<br />
si può dire (solo un esiguo canale,<br />
ovviamente sormontato da un ponte<br />
fa da separazione) nell’isola di<br />
Lussino. Nella primavera trascorsa è<br />
morta la zia di mio padre, quella che<br />
in realtà, per lui orfano di madre e
16 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
padre fin dall’età di un anno, è stata<br />
il naturale sostituto della figura<br />
materna. C’è qualche incombenza<br />
burocratica da disbrigare e io sono<br />
molto contento di fare un viaggio<br />
così lungo assieme a mio padre e<br />
sono emozionato di andare finalmente<br />
a vedere dove sono nato. Mi<br />
colpisce, del paese di Cherso, la<br />
sua calma, la sua quiete come da<br />
lago; mi colma di sensazioni perdute,<br />
forse mai provate così intensamente,<br />
quel forte odore di mare che<br />
penetra dappertutto; mi stupisce leggere<br />
dall’insegna posta all’esterno<br />
della bottega che il barbiere si chiama<br />
Surdic; mi incuriosisce e mi<br />
riempie di infantile allegria la sosta<br />
forzata della corriera per non scontrarsi<br />
con una capra che liberamente<br />
attraversa la strada; mi turba non<br />
poco la sosta al paesino di<br />
Dragosetti, quello della zia e dell’infanzia<br />
di mio padre, paesino dalla<br />
splendida vista sul Quarnaro (una<br />
specie di Ruta di Camogli, per intenderci),<br />
ma paesino arrivando al<br />
quale, provenendo da Cherso, sembra<br />
come di essere passati dalla<br />
povertà alla miseria: della luce elettrica,<br />
tanto per dirne una, non è<br />
nemmeno il caso di parlarne. Ma di<br />
quel viaggio soprattutto mi è rimasto<br />
impresso, osservando da vicino,<br />
spiando gesto dopo gesto, parola<br />
dopo parola, incontro dopo incontro,<br />
il comportamento di mio padre, il<br />
disagio e la difficoltà di rapporti che<br />
lui incontrava con persone che pure<br />
aveva conosciuto, a suo tempo, che<br />
pure aveva frequentato, a suo<br />
tempo. Ho percepito, allora, senza<br />
capire bene, quello che, molti, molti<br />
anni dopo, tramite la narrazione di<br />
Kundera, mi si è illuminato.<br />
***<br />
Il traghetto ci mette poco, bastano<br />
venti minuti, a trasferirci dall’isola<br />
alla terraferma, da Faresina a<br />
Brestova. Di qua, lungo i tornanti<br />
ripidi che ci porteranno a Laurana e<br />
Abbazia, serpeggia la lunga striscia<br />
delle auto degli estivanti, in attesa di<br />
traghettare e raggiungere l’isola, per<br />
poi sparpagliarsi nelle spiagge di<br />
Vallon o, più in giù ancora, di<br />
Lussinpiccolo. Di là resta l’isola, da<br />
cui ci si allontana, da cui si prende<br />
congedo. Ancora uno sguardo, quello<br />
con cui si vede “l’isola impiccolire,<br />
svanire all’orizzonte nell’immenso<br />
bagliore del mare” (come scrive,<br />
riferendosi a Lussino, nel racconto<br />
L’isola Giani Stuparich, a p. 81 della<br />
seconda edizione, Torino, Einaudi,<br />
1942). Per me è stata la prima volta<br />
che ho visitato l’isola, ed è la prima<br />
volta che la guardo da lontano,<br />
separandomene. Ma no, non è così.<br />
Se ci penso bene, è la seconda<br />
volta. La prima volta è stata quella,<br />
remotissima, immemore, di quando<br />
avevo sei mesi o poco più e i miei<br />
hanno lasciato casa, paese, isola.<br />
Profughi. Ma ci può essere stato<br />
uno sguardo mio allora? Impossibile.<br />
Un’impossibilità che fa tutt’uno<br />
con la diversità mia dell’essere<br />
esule rispetto a quella di Josep e<br />
Irena di Kundera, a quella di mio<br />
padre e di mia madre.<br />
Eppure… Eppure c’è un qualcosa<br />
che la legge ferma e severa del<br />
mare ci invita ad apprendere:<br />
Guardate il mare: un’onda segue<br />
all’altra, e non è la stessa onda,<br />
ma una è causa dell’altra e le trasmette<br />
forma e movimento. Così gli<br />
esseri che viaggiano attraverso il<br />
mondo non sono gli stessi oggi e<br />
domani, né in una vita gli stessi<br />
che in un’altra. Eppure è la spinta<br />
e la forma delle vite precedenti a<br />
determinare il carattere di quelle<br />
che seguono. Una credenza ragionevole,<br />
ma incredibile.<br />
(W. Somerset Maughan, Acque<br />
morte, Milano, Adelphi, 2001, pp.<br />
54-59).<br />
Un viaggio che non è propriamente<br />
un viaggio, ma un abbandono,<br />
una fuga, si incide inevitabilmente<br />
anche in chi, nell’inconsapevolezza,<br />
non ne ha avvertenza. Come a<br />
volte nel corpo rimane il segno di<br />
una cicatrice dovuta a un contrattempo<br />
del parto, così nel carattere,<br />
nella sensibilità, nell’anima può permanere<br />
la marcatura di un’esperienza<br />
di abbandono, di lacerazione, di<br />
distacco. Anche questa percezione<br />
rientra nella sindrome dell’esilio,<br />
così come nei suoi tratti salienti e<br />
decisivi l’ha analizzata e descritta<br />
Enzo Bettiza:<br />
L’eco delle sindromi, insomma, si<br />
prolunga vibrante al di là delle<br />
prime e dure sottrazioni che l’esodo<br />
impone all’esule: la rinuncia<br />
alla terra e all’identità, la dimenticanza<br />
della lingua natale, le privazioni<br />
materiali, il deperimento dei<br />
legami coniugali, la perdita del<br />
contatto fisico con la tomba dei<br />
propri defunti (ho potuto di persona<br />
constatare come l’allontanamento<br />
dai sepolcri, l’oblio dei<br />
morti di famiglia, acceleri nell’esilio<br />
il declino dei vincoli di parentela).<br />
Raramente si dà il caso di un<br />
recupero integrale dell’equilibrio<br />
perduto già nelle prime ore dello<br />
sradicamento. Anche quando l’esule<br />
riesce a rifarsi col tempo una<br />
vita, una famiglia, una prole, una<br />
patria, una nuova identità linguistica<br />
e culturale, egli non sfugge,<br />
non può mai sfuggire completamente<br />
al marchio del trauma iniziale.<br />
Può abituarsi a convivere<br />
con esso, può attutirlo, fingere di<br />
dimenticarlo, ma non potrà mai<br />
cancellarne del tutto il segno.<br />
Resterà sempre la cicatrice al<br />
posto della ferita. (Esilio, Milano,<br />
Mondadori, 1998 [1^ ed.1996], pp.<br />
379-80).<br />
Tutte le conseguenze che l’esilio<br />
produce, così come le ha censite<br />
Enzo Bettiza, la mia famiglia le ha<br />
provate: non, però, la perdita di beni<br />
materiali perché, non possedendo<br />
alcun bene, era anche impossibile<br />
perderlo! In modo inconscio, credo,<br />
il trauma del viaggio-fuga (come<br />
archetipo di tutti i viaggi possibili e<br />
come viaggio assoluto che tutti gli<br />
altri assorbe in sé e tutti gli altri<br />
rende superflui e inutili) si è fatto<br />
sensibile in me nel rifiuto di quello<br />
che può essere uno degli effetti dell’esilio,<br />
il nomadismo (“Un dì, s’io<br />
non andrò sempre fuggendo / di<br />
gente in gente”, appunto), e nella<br />
condivisione della scelta opposta,<br />
quella della stanzialità, della riluttanza<br />
al viaggiare: “Il viaggio è la ricerca<br />
di questo nulla, di questa piccola<br />
vertigine per coglioni…” (L.F. Céline,<br />
Viaggio al termine della notte,<br />
Milano, Dall’Oglio, 1980, p. 226).<br />
Poi, altro esito che ho potuto riscontrare,<br />
è stata la rimozione spontanea,<br />
istintiva, di qualsiasi inclinazione<br />
al vagheggiamento per “l’isola<br />
che non c’è”. Perché per me l’isola<br />
c’è sempre stata. Concreta anche<br />
se lontana per me Cherso è l’isola<br />
che c’è.<br />
***<br />
L’isola che c’è mi sta davanti, ora<br />
che al tavolino sto scrivendo questi<br />
pochi paragrafi, nell’immagine incorniciata<br />
di una stampa, raffigurante,<br />
come indica la didascalia, l’ “Isola di<br />
Cherso ed Ossero”. C’è un piccolo<br />
aneddoto che mi è caro raccontare,<br />
a proposito di questa stampa. Ero a<br />
cena a casa di amici, qualche anno<br />
fa e, nel dopo cena, mi sono soffer-
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
mato a osservare alcuni quadri<br />
appesi alle pareti del corridoio. Mi<br />
colpì una stampa che raffigurava,<br />
accostati e in parallelo, in senso<br />
orizzontale, due isolotti, uno più<br />
avanzato, più a sinistra rispetto<br />
all’altro e quello più avanzato giungeva<br />
quasi a lambire un altro spazio<br />
disegnato (sembrava anch’esso<br />
un’isola, perché si accampava sul<br />
bordo bianco dell’estremità sinistra<br />
del quadro). Ho fissato più attentamente<br />
il tutto e l’occhio è caduto<br />
sulla didascalia. La sorpresa è stata<br />
davvero grande. Non avevo riconosciuto<br />
la mia isola, ma c’era una<br />
ragione per non averla riconosciuta,<br />
e dipendeva dal fatto che la prospettiva<br />
era spostata, ruotata di 90 gradi,<br />
rispetto al modo legittimamente<br />
adottato nella cartografia che rappresenta<br />
l’Italia e l’annessa Istria.<br />
Se noi siamo abituati a vedere l’isola<br />
di Cherso allungarsi in verticale e<br />
puntare perpendicolare a Nord<br />
verso il porto di Fiume, nella stampa<br />
Cherso e, in parallelo, Lussino, sono<br />
disposti in orizzontale e il Nord che<br />
è la costa istriana risulta collocato in<br />
postazione parallela al bordo sinistro<br />
della cornice, come se fosse un<br />
Ovest: Una carta curiosa, che subito<br />
mi ha avvinto, emozionato, commosso.<br />
Il gentilissimo e generosissimo<br />
padrone di casa che mi aveva<br />
invitato per quella cena me ne ha<br />
fatto dono ed ora l’isola di Cherso,<br />
orizzontale e non verticale, è<br />
costantemente esposta al mio<br />
sguardo, davanti al tavolo di lavoro<br />
del mio studio.<br />
***<br />
Un quadro, una stampa e la<br />
distanza sembra come accorciarsi.<br />
E l’altro strumento con cui tento di<br />
colmare la lontananza è quello dei<br />
libri, della lettura. Di scorcio e per<br />
sommi capi (e, soprattutto, col gusto<br />
della bibliografia imperfetta e parziale<br />
che per indolenza e per abitudine<br />
mi appartiene) qualche passo letterario<br />
dove si fa menzione di Cherso,<br />
fra i molti che nel corso degli anni ho<br />
estrapolato dalle mie letture e ho<br />
trascritto in vari foglietti, ora vorrei<br />
riproporlo, in una antologia ristretta<br />
e inevitabilmente provvisoria. A volte<br />
è la suggestione o l’ipotesi, più che<br />
la certezza, a farmi intravedere<br />
Cherso dove forse Cherso non è. Mi<br />
piacerebbe che lo fosse (e verisimilmente<br />
non lo è) quell’isola di cui si<br />
fa cenno nell’incipit de La frontiera,<br />
romanzo di Franco Vegliani, del<br />
1964, ripubblicato dall’editore<br />
Sellerio nel 1996: “Nell’estate del<br />
1941, che fu una stagione calda ed<br />
afosa, carica di temporali, ma calda<br />
ed afosa, io passai più di un mese in<br />
un’isola della Dalmazia situata molto<br />
a nord nell’arcipelago, e patria<br />
remota, originaria, della mia famiglia”<br />
(p. 9). E anche se non si parla<br />
di Cherso, ma in generale dell’Istria,<br />
in un altro prezioso libretto pubblicato<br />
da Sellerio, mi è accaduto di leggere,<br />
trasferite in immagini narrative,<br />
considerazioni che, riferite a<br />
Cherso, erano costanti nel mio circuito<br />
familiare; e allora le voglio trascrivere<br />
ugualmente. Sono del bel<br />
libretto di Nelida Milani, Una valigia<br />
di cartone (Palermo, Sellerio, 1991,<br />
pp. 48-9):<br />
Povera Istria, sotto a chi tocca: ora<br />
slavi, ora italiani. I due mondi di<br />
questa terra hanno una storia<br />
intrecciata. A non cogliere l’intreccio<br />
della nostra vita si rischia di<br />
finire nelle righe di quel racconto<br />
in cui il narratore che sta descrivendo<br />
un incontro di boxe si attacca<br />
tanto a seguire uno solo dei due<br />
pugili che alla fine, quando il suo<br />
uomo viene buttato giù, non riesce<br />
a raccontare il K.O. perché l’avversario<br />
vittorioso non lo ha né<br />
mai seguito né visto in faccia.<br />
Nato a Lussinpiccolo, nel 1898,<br />
ma cresciuto a Cherso, prima di fare<br />
gli studi superiori a Trieste, per poi<br />
laurearsi in medicina all’Università di<br />
Padova e specializzarsi in Ostetricia<br />
e Ginecologia a Vienna, è Sisinio<br />
Zuech, il cui romanzo Suva, un’isola,<br />
un mondo (Roma, Editrice italiana,<br />
1966), è il momento di travaso<br />
nella narrativa di quanto aveva<br />
caratterizzato alcune raccolte di liriche<br />
(Dopo la tormenta, Poema<br />
cosmico, Frane dell’innocenza,<br />
L’arco della notte), vale a dire “la<br />
presenza ininterrotta di una tematica<br />
sopra ogni altra preminente, ossia il<br />
motivo-mito dell’isola di Cherso con<br />
tutte le sue vaste implicazioni affettive,<br />
politiche, morali, umane”. Il pertinente<br />
giudizio critico è di Bruno<br />
Maier e viene espresso (a p. 319)<br />
nell’ampio saggio, Caratteri, motivi,<br />
aspetti della letteratura triestina del<br />
Novecento, che fa da introduzione al<br />
volume Scrittori triestini del Novecento<br />
(Antologia a cura di O.H.<br />
Bianchi, M.Cecovini, M.Fraulini,<br />
B.Maier, B.Marin, F.Todeschini.<br />
Prefazione di Carlo Bo, Trieste,<br />
Edizioni LINT, 1968). E da tale anto-<br />
Comunità Chersina<br />
17<br />
logia, che riproduce il capitolo IX del<br />
romanzo di Zuech, recupero due<br />
passaggi. Il primo che offre, attraverso<br />
la narrazione indiretta del protagonista,<br />
una panoramica di alcuni<br />
luoghi dell’isola che io spesso sentivo<br />
menzionare, nella loro forma italiana<br />
(come fa Zuech) dai miei genitori;<br />
il secondo che, nella breve<br />
restituzione del parlato, menziona<br />
esplicitamente Cherso:<br />
Nelle serate d’inverno Suva mi raccontava<br />
lunghe storie di notti fantasiose<br />
passate alla pesca. Storie<br />
di sarde, di dentici e di tonni, storie<br />
di scorribande, di peregrinazioni,<br />
di temporali e di naufragi. La<br />
punta Pernata , Farasina, Caisole,<br />
Lubenizze, i macigni di Punta<br />
Grotta, passavano ingigantiti<br />
davanti alla mia fantasia. E il dentice<br />
di dodici chili, che Suva aveva<br />
preso all’amo sul moletto di<br />
Smergo e che lo aveva tenuto impegnato<br />
per qualche ora, e il grongo<br />
enorme che il “defonto pare”<br />
aveva preso al parancale sulle secche<br />
di Punta Cobij, del grongo che<br />
dal soffitto toccava il pavimento ed<br />
era grosso come una anaconda. (p.<br />
995)<br />
Quando i rintocchi della campana<br />
cominciarono a percuotere la grande<br />
volta del cielo, e la temuta nebbia<br />
serale sostò sui tetti e sulle<br />
altane, la compagnia si mosse, poi<br />
sempre più rapida, via via che i<br />
remi prendevano il giusto ritmo. Il<br />
porto, sepolto nel silenzio degli<br />
ulivi, sembrava un lago dolce e<br />
quieto, dove il tempo sostava eterno.<br />
Quando s’accesero le prime<br />
stelle, Suva le stette a rimirare pensoso,<br />
poi disse lentamente: - Ma<br />
chi questo impizza? Chi questo<br />
impizza?... Ogni sera… Ogni<br />
sera… E pò gnente più Cherso,<br />
gnente più Cherso. Addio, addio!<br />
(p. 997)<br />
La figura di Sisinio Zuech fa<br />
capolino tra le pagine del libro di<br />
Vittorio Vettori, Sulla via dell’arcangelo<br />
(Firenze, Franco Cesati<br />
Editore, 1993), che nel suo volumetto<br />
di memorie e aneddotica varia<br />
dedicato “Alla vivente memoria | di<br />
Piero Graverini, il Bersagliere, | aretino<br />
di stampo etrusco-romano, |<br />
valoroso avvocato e uomo di cuore,<br />
| soldato generosamente europeo e<br />
planetario | di una nuovissima Italia<br />
ancora tutta da fare”, intitola un intero<br />
capitolo Cherso (pp. 48-55):
18 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong> 18<br />
L’incontro con la studentessa fu<br />
fissato per la tarda mattinata al<br />
Caffè degli Specchi.<br />
La studentessa però non si presentò<br />
sola. Era accompagnata da<br />
un anziano amico e conoscente,<br />
ben noto al Bersagliere che aveva<br />
avuto modo di incontrarlo più di<br />
una volta nella Libreria antiquaria<br />
di Umberto Saba ai tempi<br />
ormai lontani di Pola: il dott.<br />
Sisinio Zuech di Cherso.<br />
La studentessa stava per fare<br />
doverosamente da tramite fra i<br />
due uomini, ma non ne ebbe il<br />
tempo perché entrambi si salutarono<br />
festosamente per proprio<br />
conto, manifestando insieme la<br />
sorpresa e la gioia di essersi ritrovati,<br />
per effetto di una così gradevole<br />
ed acculturata conoscenza<br />
comune.<br />
“Deve sapere – disse il<br />
Bersagliere alla studentessa, una<br />
volta sistemato con gli altri attorno<br />
a un tavolo del Caffè – che l’illustre<br />
dott. Zuech e l’umile sottoscritto<br />
si sono frequentati e<br />
apprezzati assai prima che Lei<br />
diventasse quella splendida ragazza<br />
che è ora e che grazie al dottor<br />
Zuech io praticamente so tutto (o<br />
quasi) quel che riguarda Cherso e<br />
la sua storia, a cominciare da<br />
quella grande figura filosoficoreligiosa<br />
del pieno Rinascimento<br />
che è stato Francesco Patrizio. Lei<br />
naturalmente, cara signorina,<br />
stando e studiando a Trieste, non<br />
ignora quanto grande sia stata<br />
l’importanza storico-mondiale dell’opera<br />
di Francesco Patrizio (o<br />
Patrizi) da Cherso…”.(pp. 48-9)<br />
Ecco menzionato il nome della<br />
grande gloria locale, il cittadino nei<br />
secoli più illustre: quel Francesco<br />
Patrizi da Cherso (1529-1597) che<br />
mi ha portato una bella fortuna, ai<br />
tempi in cui ero studente universitario,<br />
perché al professore di<br />
Filosofia che, aperto il mio libretto,<br />
aveva visto che ero nato a Cherso<br />
e subito mi aveva chiesto quale<br />
filosofo illustre fosse nato a<br />
Cherso, subito risposi: Francesco<br />
Patrizi da Cherso: Trenta e lode!!<br />
La dominante attenzione alla<br />
figura del Patrizi è intervallata, nel<br />
capitolo del Vettori, da alcune<br />
divagazioni, fra cui quella susseguente<br />
a una malinconica constatazione<br />
di Zuech (“Ormai la mia<br />
Cherso è tutta nel Carso”), che dà<br />
spazio a dei giochi verbali:<br />
“Non sorridevo di Lei – tenne subito<br />
a precisare il Bersagliere -: sorridevo<br />
semmai di me stesso e della<br />
particolare fonetica praticata a<br />
livello popolare nella mia città,<br />
dove per dire ‘pane’ si dice ‘pene’,<br />
per dire ‘mangiare’ si dice ‘mangere’<br />
e quindi per dire ‘Carso’ si<br />
dovrebbe dire ‘Cherso’.<br />
Carso=Cherso, dunque: ecco perché<br />
sorridevo…”. (p. 50)<br />
So poco, anzi, francamente, non<br />
so nulla del dialetto aretino e della<br />
sua fonetica e, a una prima, sintomatica<br />
impressione, le deformazioni<br />
vocaliche or ora registrate mi richiamano<br />
alla memoria, più che una<br />
parlata aretina, la pronuncia pugliese<br />
di molti film del vetero Lino Banfi.<br />
Ma da una parte quella combinazione<br />
“pane-pene”, dall’altra l’attenzione<br />
alla toponomastica, per peregrina,<br />
ma forse non del tutto insensata<br />
associazione con la sagoma oblunga<br />
della fisionomia esterna dell’isola<br />
di Cherso, mi hanno spinto a<br />
recuperare dall’ammasso informe<br />
delle fotocopie un documentatissimo<br />
e rigorosissimo saggio di Enzo<br />
Mattesini, apparso nella rivista<br />
scientifica per eccellenza della lingua<br />
italiana, “Lingua Nostra” (XLIX,<br />
1, marzo 1988, pp. 4-10). Il saggio si<br />
intitola Per l’origine di “cerso”: per<br />
incompetenza, per ristrettezza di<br />
spazio e soprattutto per pudore non<br />
sto a raccontarlo. Ma chi abbia<br />
curiosità etimologiche lo vada a leggere<br />
e forse qualche elemento utile<br />
per il toponimo “Cherso” lo ricaverà.<br />
Di curiosità etimologica si alimenta<br />
anche l’ampio spazio che<br />
Claudio Magris, col nutrimento della<br />
sua sterminata cultura e con il fascino<br />
della sua accattivante scrittura,<br />
dedica a Cherso in Microcosmi<br />
(Milano, Garzanti, 1997):<br />
Cherso, Crespa, Crexa, Chersimium,<br />
Kres, Cres – nomi latini, illiri,<br />
slavi, italiani. La vana ricerca<br />
di purezza etnica scende alle radici<br />
più antiche, si accapiglia per etimologie<br />
e grafie, nella smania di<br />
appurare di quale stirpe fosse il<br />
piede che per primo ha calcato le<br />
spiagge bianche e si è graffiato sui<br />
rovi della fitta macchia mediterranea,<br />
come se ciò attestasse maggiore<br />
autenticità e diritto di possesso<br />
di queste acque turchesi e di<br />
questi aromi nel vento. (pp. 156-7)<br />
L’affascinante cammino tra geografia<br />
e storia, entrambe estrema-<br />
mente accidentate, iscrive immediatamente,<br />
nel suo passo inaugurale,<br />
quali figure-guida i nomi del “classico”<br />
Plinio e del “moderno” Alberto<br />
Fortis, che aveva pubblicato nel<br />
1771 il Saggio d’osservazione sopra<br />
l’isola di Cherso ed Osero:<br />
Cherso è una delle mille isole<br />
dell’Adriatico orientale, contate<br />
scrupolosamente da Plinio. Ancora<br />
nel 1771 l’abate Fortis, viaggiatore<br />
illuminista che crede nel progresso<br />
non senza riserve, la considera<br />
un’unica isola insieme a Lussino,<br />
nonostante lo stretto canale che le<br />
divide a Ossero, aperto ai tempi<br />
remoti dei primi insediamenti protostorici.<br />
Cherso e Lussino tagliano<br />
verticalmente il Quarnero e ne<br />
sono il cuore. (p. 154)<br />
L’ampia escursione di Magris<br />
retrocede fino a uscire dalla storia e<br />
attingere al mito (“Cherso e Lussino,<br />
con il loro arcipelago, si chiamavano<br />
anche Absirtides o Apsirtides, dal<br />
nome del fratello di Medea che la<br />
maga, per amore di Giasone, aveva<br />
attirato in un tranello mortale su<br />
queste acque; dal suo corpo gettato<br />
a pezzi in mare nacquero le isole”,<br />
p.166), per poi, con volo rapido,<br />
transitare dalle vicende degli<br />
Argonauti alla attualità dell’ultimo<br />
decennio del ventesimo secolo (“Nei<br />
diversi secoli e sotto i diversi domini<br />
– da Venezia all’Austria, dall’Italia<br />
alla Jugoslavia di Tito – le due isole<br />
hanno mantenuto la propria peculiare<br />
identità plurima e i legami con<br />
l’Istria. Il regime di Tudjman cerca di<br />
spezzare quest’identità e questi<br />
legami, creando vincoli amministrativi<br />
fra le isole e varie province della<br />
terraferma, a esse storicamente e<br />
culturalmente estranee, per fiaccare<br />
l’autonomismo democratico adriatico<br />
che rilutta all’autoritario e oppressivo<br />
centralismo del governo croato”,<br />
p.156), e consegnarsi, infine, al vissuto<br />
personale, alla tenerezza degli<br />
affetti privati:<br />
basta alzare gli occhi e il mare è lì<br />
davanti, inesauribile e inesplicabile.<br />
Marisa esce dall’acqua – la<br />
prima volta, la centesima: ogni<br />
estate è unica e irripetibile, una<br />
dopo l’altra sfilano come i grani di<br />
un rosario, il tempo li arrotonda<br />
come sassi sulla spiaggia, fra l’uno<br />
e l’altro si apre un infinito. (p. 155)<br />
Marisa che esce dalle acque del<br />
mare (del mare più limpido del
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
mondo, di quel “mare dove ti perdi”,<br />
come ha detto Claudio Magrini nell’intervista<br />
a Stella Pende, apparsa<br />
sotto il titolo La stagione del mio<br />
disincanto in “Panorama”, XXXVIII,<br />
49 [1809], 7 dicembre 2000, p.258),<br />
dopo un bagno, è Marisa Madieri, la<br />
moglie di Claudio Magris, precocemente<br />
scomparsa qualche anno fa.<br />
Ha lasciato, a chi come me solo<br />
fugacemente una volta l’ha incontrata,<br />
la memoria della sua bellezza e<br />
ha lasciato un libro altrettanto bello<br />
quanto bella era lei, Verde acqua<br />
(Torino, Einaudi, 1987). Sotto forma<br />
di diario redatto nella prima parte<br />
degli anni Ottanta scorre la memoria<br />
dolente dell’esodo da Fiume nell’immediato<br />
secondo dopoguerra,<br />
intrecciandosi con la registrazione<br />
del presente. E’ in questa area che<br />
affiora la menzione di Cherso, come<br />
quel luogo di vacanze, di bagni, di<br />
tuffi, di riemersioni dall’acqua del<br />
mare che l’osservazione di Claudio<br />
Magris ha reso disponibile anche a<br />
noi lettori. Porta la data “13 febbraio<br />
1982” l’appunto relativo alla prenotazione<br />
della casa per il soggiorno<br />
estivo:<br />
Siamo stati a Cherso in giornata e<br />
abbiamo confermato per l’estate<br />
le stanze dell’anno scorso, proprio<br />
a due passi dalla spiaggia.<br />
Il tenero riverbero del mare e l’aria<br />
diafana profumata d’alghe<br />
erano pieni di acerbe promesse. Il<br />
rosmarino era già in fiore.<br />
MiholaϾica, luglio 1981; Cantico<br />
dei Cantici 7, 12. (p. 34).<br />
E poi ecco la vigilia della partenza<br />
per le vacanze (“10 luglio 1983”).<br />
Ma domani partiremo tutti assieme<br />
per le nostre isole abitate dagli dèi,<br />
Cherso, Unie, Canicole, Oriule, la<br />
Levrera. Per dodici giorni sarò<br />
anch’io immortale. (p. 88).<br />
Infine, dell’anno successivo,<br />
ancora un ritorno a Cherso, con l’immaginazione<br />
che, nel quadro del<br />
panorama ritagliato dalla prospettiva<br />
del traghetto, accompagna il<br />
vagheggiamento, da lontano, dei<br />
luoghi dell’infanzia di Fiume:<br />
5 agosto 1984.<br />
L’estate è una stagione buona,<br />
amica, che invita alla pausa e<br />
all’abbandono.<br />
Anche quest’anno siamo ritornati a<br />
Cherso, nel ricordo più un sentimento<br />
luminoso che un luogo concreto.<br />
C’è un momento che mi è<br />
particolarmente caro sull’isola, la<br />
sera, quando il sole naufraga all’orizzonte.<br />
Il mare si fa d’oro, le<br />
cicale tacciono d’improvviso e i<br />
gabbiani non volano più. I sassi<br />
della spiaggia, nell’aria subito fresca,<br />
cominciano a restituire lentamente<br />
l’ardore del giorno e nell’immobile<br />
silenzio solo la risacca<br />
ansima sommessa e pare il respiro<br />
del cielo, che trascolora in un cavo<br />
pallore. Allora i pensieri si fanno<br />
giovani e trasparenti e fluttuano<br />
lievi sull’acqua e nell’aria.<br />
Il traghetto che unisce Cherso alla<br />
terraferma, da Porozine a<br />
Brestova, attraversa un tratto del<br />
Quarnaro, alla fine del quale si<br />
scorge lontana Fiume. Se chiudo<br />
gli occhi posso immaginare la mia<br />
vecchia casa vicino al porto<br />
Baross, e quella della nonna<br />
Quarantotto vicina a piazza Dante.<br />
Non so invece in quale parte della<br />
città collocare la casa della nonna<br />
Madieri, col suo atrio chiaro e la<br />
stanza misteriosa. Non riuscirei<br />
più a trovarla. Essa è solo un<br />
punto sospeso e irrelato nella<br />
memoria, un piccolo universo che<br />
contiene e non è contenuto. Così<br />
Atlantide rimane perduta in fondo<br />
al mare, coperta d’alghe e di conchiglie,<br />
lucenti come frutti di vetro<br />
colorato. (p. 130)<br />
***<br />
Al di là della nominazione, per<br />
me sempre dotata di particolare<br />
forza attrattiva, di Cherso, il libro di<br />
Marisa Madieri mi ha aiutato e continua<br />
ad aiutarmi a meglio capire<br />
quale sia stato il dramma di una collettività<br />
e, dentro a quel dramma, il<br />
dramma della mia famiglia, inclusa<br />
nell’”esodo dei trecentomila italiani<br />
che, alla fine della Seconda guerra<br />
mondiale, hanno abbandonato<br />
l’Istria”, come ha scritto Claudio<br />
Magris, che così poi delinea il quadro<br />
storico e fornisce le motivazioni<br />
dell’esodo e le sue conseguenze<br />
(nel libro Utopia e disincanto,<br />
Milano, Garzanti, 1999, p. 57):<br />
La Jugoslavia di Tito, dopo essersi<br />
liberata con la sua straordinaria<br />
guerra di resistenza, non si era soltanto<br />
ripresa terre slave, ma si era<br />
annessa, con l’Istria e Fiume,<br />
anche terre italiane. Negli anni<br />
precedenti c’era stata l’oppressio-<br />
Comunità Chersina<br />
ne fascista degli slavi, e la sottovalutazione<br />
dei loro diritti anche da<br />
parte di molti italiani non esplicitamente<br />
fascisti ma nazionalisti. La<br />
riscossa jugoslava, all’insegna del<br />
totalitarismo, fu violenta e indifferenziata.<br />
In quegli anni segnati<br />
dalla paura, dall’intimidazione e<br />
dal delitto, circa trecentomila italiani<br />
lasciarono, in momenti diversi,<br />
le loro terre e le loro case, per<br />
errare nel mondo e vivere, anche<br />
per molti anni, in campi profughi.<br />
Questa gente, che aveva perso<br />
tutto, veniva spesso incompresa e<br />
ignorata nel suo dramma e perciò<br />
spesso si rinchiudeva a sua volta in<br />
altre frontiere che si rizzavano nei<br />
cuori, le frontiere dell’amarezza e<br />
del risentimento che isolavano questi<br />
esuli non soltanto dalla loro<br />
terra perduta, ma anche, spesso, da<br />
quella in cui venivano a inserirsi e<br />
che li ignorava o li faceva sentire<br />
parzialmente stranieri.<br />
19<br />
Profughi. Anche noi profughi. Per<br />
riservatezza, per pudore, ben poco di<br />
quello che era accaduto ho chiesto in<br />
casa. E se la lucida analisi di Magris<br />
mi ha chiarito la situazione storica e<br />
ne ha motivato le conseguenze, attraverso<br />
il filo della memoria di Marisa<br />
Madieri e la forza rappresentativa del<br />
suo vissuto, ho potuto ricostruire<br />
anche il tessuto di una mia privata<br />
memoria, ipotizzando con buona<br />
dose di probabilità la coincidenza, il<br />
raddoppiamento della vicissitudine<br />
della sua famiglia con quella della<br />
mia. Ho acquisito dalle pagine del suo<br />
libro (in aggiunta alle pagine di altri<br />
libri, di altra letteratura che parlasse<br />
dell’Istria, di Fiume, di Cherso) una<br />
particolare forma di memoria che surrogasse<br />
quella che, per ragioni naturali<br />
(avevo sei mesi quando siamo<br />
andati via da Cherso…), non avevo<br />
potuto costruire e che mi ha privato,<br />
ad esempio, delle sensazioni e delle<br />
emozioni del rito del ritorno-pellegrinaggio<br />
che tanto bene, in un libro a<br />
due voci, quelle di Anna Maria Mori e<br />
di Nelida Milani, Bora, Piacenza,<br />
Frassinelli, 2000, pp.189-90), vengono<br />
espresse:<br />
…E chissà perché adesso, dopo<br />
tanti anni, succede ancora che ogni<br />
viaggio a Trieste, e tanto più a<br />
Pola, Portorose, Pirano, Parenzo,<br />
Cherso o Lussino, diventa inevitabilmente<br />
un pellegrinaggio.<br />
Comincia col riuso del dialetto mai<br />
dimenticato anche se mai più praticato.<br />
E poi continua.
20 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Continua con una mitologia fatta<br />
di vento, di bacche di ginepro, di<br />
scoiattoli che ancora ti attraversano<br />
la strada. Di salvia: non ce n’è<br />
uguale al mondo. Anche il rosmarino<br />
è più profumato: così vuole<br />
appunto la mitologia. E gli istriani<br />
che ritornano, si portano a Roma,<br />
a Brindisi o a Mestre, radici di<br />
rosmarino e di salvia: il gusto e il<br />
profumo della memoria, da piantare<br />
in giardino o sul balcone.<br />
Continua, al ristorante, con il rito<br />
del risotto agli scampi, e il radicchio<br />
piccolissimo, “di primo<br />
taglio”, che non ha fatto ancora in<br />
tempo a diventare amaro.<br />
Ma, a risarcimento di quanto mi è<br />
stato tolto, mi accompagna una singolare<br />
memoria, una “memoria<br />
immemore”, vorrei definirla, che mi<br />
apparenta comunque all’immagine<br />
dell’esule, così come l’ha delineata,<br />
ad epilogo del suo già citato libro,<br />
Enzo Bettiza:<br />
Ecco perché ritrovare il filo della<br />
memoria è, per un esule, un’operazione<br />
molto più importante che per<br />
un individuo nato e cresciuto e<br />
rimasto, senza strappi, nel proprio<br />
ambiente naturale. Per l’esule,<br />
immerso troppo a lungo nella malsana<br />
palude dell’oblio, ricordare è<br />
guarire. Ricordare è come ritrovare,<br />
dopo il coma della memoria,<br />
una prima vita perduta. E’ come<br />
riesumare la salute dalla tomba del<br />
proprio passato. (pp. 443-4)<br />
segue da pag. 11<br />
Francesco Moise e Corrado Ballarin<br />
- cercano di inserire nell’itinerario<br />
ogni anno qualcosa di nuovo. Nel<br />
2004 lungo il viaggio di andata è<br />
stata visitata Fianona, lungo quello<br />
di ritorno Veglia.<br />
Sull’isola di Cherso – per me –<br />
c’è stata quest’anno la visita fuori<br />
programma a Caisole, grazie a<br />
Corrado e a sua moglie Silvana che<br />
mi hanno gentilmente accompagnata<br />
e mi hanno fatto da guida.<br />
A Caisole bisogna andarci e<br />
basta!<br />
Quelle ripidissime strade acciottolate,<br />
il mare azzurrissimo che si<br />
scorge ad una profondità abissale<br />
dalla terrazza della piazza antistante<br />
Viene in soccorso alla sorprendente<br />
memoria di una stagione immemore<br />
anche la poesia. Soprattutto i<br />
versi di un poeta, Adriano Sansa,<br />
che, nato a Pola, ha attraversato<br />
esperienze assai simili a quella dei<br />
miei cari e mie, e che ora, come me,<br />
abita a Genova. Lui, poi, magistrato di<br />
professione, della città di Genova è<br />
stato anche assai valente e stimato<br />
sindaco. Ma io guardo al poeta, che<br />
ha da poco pubblicato un volumetto<br />
di versi, Il dono dell’inquietudine<br />
(Genova, il melangolo, 2003), dove è<br />
inclusa una poesia, Esuli, i cui incipit<br />
ed explcit rispettivamente così recitano:<br />
“Non erano di qui, fu di passaggio<br />
/ che vennero a morire”: “Fu per caso<br />
/ che morendo da antichi cavalieri /<br />
passarono i miei vecchi, qui, da voi”<br />
(p. 105). Ma Esuli è anche il titolo<br />
della poesia che chiude la raccolta<br />
Affetti e indignazione. Poesie scelte<br />
1967-1995 (Milano, All’Insegna del<br />
Pesce d’Oro di Vanni Scheiwiller,<br />
1995, pp. 151-56). E’ un lungo componimento,<br />
di cinque strofe asimmetriche,<br />
che è scritto in dialetto. Mi succede<br />
di leggerlo spesso, perché mi<br />
viene spesso la voglia di leggerlo. E<br />
mi viene la voglia di leggerlo perché<br />
ci ritrovo Cherso, nella seconda strofa<br />
che ora per concludere trascriverò<br />
per intero, e ci ritrovo la voce, ormai<br />
da troppo tempo scomparsa, di mia<br />
mamma, che l’italiano non lo sapeva<br />
o lo sapeva poco, ma quel bel dialetto<br />
lo pronunciava e lo faceva scivolare<br />
con ineguagliabile cadenza:<br />
El vento quela note fredo e forte<br />
più della bora nera ve butava<br />
za via de tuto e dentro ve zigava<br />
esuli come se fossi una parola<br />
e invece iera polvere che ‘ndava<br />
ai contoni del mondo e la sonava<br />
fis’ciando tra le sarte dove tese<br />
iera man che cercava de salvarse<br />
taiade de una parte e screpolade<br />
col sal dentro le piaghe: ve spacava<br />
quel mar de tante estati, la matina<br />
iera un profumo de salvia e ginepro<br />
e de sangrego sul colme de Cherso<br />
che l’acqua lo tegniva e lo lassava<br />
tornar de sera dentro le case.<br />
Ve ricordavi, co ‘l vapor tocava<br />
la salveza dei moli novi e fredi<br />
parole de la Bibia: compatidi<br />
più dei maladi e i poveri, ma forsi<br />
de nessun mai capidi, ‘ncora el vento<br />
ve sbregava per tuto e no savevi<br />
se iera vecie carte, vele, o i cuori.<br />
Luigi Surdich<br />
Luigi Surdich è nato a Cherso il 14 febbraio 1946. E’ professore ordinario di<br />
Letteratura Italiana all’Università di Genova. Si è occupato di Dante, del<br />
romanzo italiano nel Medioevo e in particolare dell’opera di Giovanni<br />
Boccaccio; di autori del secondo Ottocento; di Giovanni Caproni. E’ il responsabile<br />
della rassegna bibliografica della sezione “Origini e Duecento” della<br />
rivista “La Rassegna della Letteratura Italiana”.<br />
la chiesa, e tutte quelle pietre…. E’<br />
un luogo in cui il tempo si è fermato,<br />
che bisogna vedere, perché le parole<br />
non riescono a descrivere efficacemente<br />
la realtà. E poi c’è stata la<br />
visita a Mons. Bandera, un novantenne<br />
in linea coi tempi, capace di<br />
passare dall’italiano al croato e<br />
all’inglese a seconda dei visitatori<br />
che, numerosi, vengono a salutarlo<br />
da ogni parte del mondo in cui i caisolani<br />
si sono stabiliti dopo l’ultimo<br />
conflitto e da cui ritornano o spediscono<br />
figli e nipoti per riverirlo. Egli<br />
conosce tutti e sa tutto, è un amabile<br />
conversatore e il tempo a disposizione<br />
non è sufficiente per dire tutto<br />
ciò che si vorrebbe dire, sentire…<br />
Tornando alla festa del Patrono,<br />
alla riuscita della parte conviviale<br />
hanno collaborato tanti, senza mettersi<br />
particolarmente d’accordo, ma<br />
come in un’orchestra ben affiatata in<br />
cui ognuno conosce la sua parte e<br />
la suona al meglio senza tante<br />
prove; c’è dunque stato chi ha ordinato<br />
vini e tartine, chi si è occupato<br />
delle chiavi, le signore che hanno<br />
preparato dolcetti e torte, chi ha raccolto<br />
le offerte, chi ha montato per<br />
farlo vedere a tutti il nuovo splendido<br />
labaro di Cherso, …<br />
GRAZIE A TUTTI!<br />
Carmen Palazzolo Debianchi
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Comunità Chersina<br />
Tre giornate a Smergo disturbati dalla bora<br />
Tonin “Resia” e Tonin de Lovrana.<br />
Agli inizi di febbraio, poiché mio<br />
nipote Davide, di 10 anni, aveva alcuni<br />
giorni di vacanza, suo papà, Mauro mio<br />
figlio, appassionato di pesca, ha voluto<br />
donargli un fine settimana speciale<br />
facendomi partecipe della loro avventura.<br />
Partenza il sabato mattina con la<br />
macchina colma di attrezzi da pesca;<br />
passiamo i vari confini e, giunti a<br />
Mattuglie, deviamo per Spalato costeggiando<br />
la periferia alta di Fiume.<br />
Sosta a Buccari per una saporita<br />
colazione; la cittadina è percorsa da<br />
gruppi di macchine sgangherate stracolme<br />
di giovani mascherati in cerca di<br />
baldoria. Attraversiamo il ponte di<br />
Veglia e prima del tramonto prendiamo<br />
il traghetto che ci porta a Cherso.<br />
La giornata è splendida ma il freddo<br />
pungente ed un leggero borino ci<br />
costringono a rimanere nella sala interna<br />
fino all’approdo al molo di Smergo.<br />
Dieci casette e qualche villino scaglionati<br />
sulla costa scoscesa, con il tramonto<br />
del sole a far capolino dietro le<br />
alte scogliere. Nel piccolo “mandracio”<br />
spazzato dalla bora sono sistemate<br />
alcune passere e qualche guzzo; il<br />
paese è vuoto e silenzioso.<br />
Arriviamo alla casetta<br />
di Tonin, detto<br />
“Resia” che, assieme<br />
alla moglie Darinca e a<br />
una figlia, vive da solo<br />
nel paese. Dopo esserci<br />
sistemati al piano<br />
di sopra ci rechiamo in<br />
cucina, dove Tonin ci<br />
offre una grigliata di<br />
asinelli e barboni che,<br />
con il fiasco di Pinot<br />
portato da Padova, ci<br />
aiuta a riscaldare l’atmosfera<br />
allietata pure<br />
dalle vecchie canzoni<br />
di Cherso lontana.<br />
Domani, domenica,<br />
un prete, nativo di<br />
Smergo, ritiratosi in<br />
pensione nell’isola di<br />
Cherso dopo il suo<br />
lungo sacerdozio nella<br />
diocesi di Verona,<br />
verrà a celebrare la<br />
Santa Messa nella<br />
bella chiesetta del XIII<br />
secolo dedicata a S. Giovanni, alla presenza<br />
di gente venuta da fuori nonché<br />
dei proprietari delle case, che vengono<br />
a riaprirle nei giorni di festa. Facciamo<br />
conoscenza con un medico croato<br />
appassionato di caccia che trascorre il<br />
fine settimana nella sua casetta rimessa<br />
a nuovo facendo la posta ad un<br />
grosso cinghiale che la notte si avvicina<br />
all’abitato sedotto dalle manciate di granoturco<br />
che giornalmente Tonin cosparge<br />
sul terreno.<br />
Il vento continua a soffiare; il mattino<br />
seguente scendo nel moletto sottostante<br />
la casa e tento di pescare con la<br />
mia togna, ma il freddo pungente e gli<br />
spruzzi d’acqua mi rimandano al caldo<br />
in cucina. Mauro con Divide si sono<br />
appostati al riparo in una piccola baia<br />
ma pure loro tornano a casa con un<br />
magro bottino: una cantra ed un’oradella.<br />
Al pomeriggio, senza perderci d’animo,<br />
con la barca di Tonin andiamo a<br />
calar le reti poco lontano dalla riva,<br />
dove però il fondale scende oltre i quaranta<br />
metri.<br />
Lunedì mattina, essenso il mare<br />
ancora increspato, con la macchina<br />
facciamo una puntatina a Cherso.<br />
21<br />
Troviamo la riva e le piazze dissestate<br />
per la messa in opera di nuovi lastroni<br />
in pietra chiara d’Istria. Un gruppo di<br />
vecchiotti che si crogiolano al sole attira<br />
la mia attenzione:<br />
- Anche mi son mezo chersin, mia<br />
mama era una Tomaz<br />
- Chi, Rosina?<br />
- Come fa a conoscerla?<br />
- Go comprado un loto de tera a<br />
Santa Lucia intestado a suo nome.<br />
Quanti ricordi lontani: muleto assieme<br />
ad Emilio Bellemo portavamo in<br />
magazzino le casse vuote del negozio<br />
e poi nell’orto di dietro si raccoglieva i<br />
dolcissimi fighi, l’uvetta di San Giovanni<br />
e le variopinte bacche di graspini (questi<br />
ultimi mai più ritrovati). Una puntatine<br />
al vecchio negozio di famiglia divenuto<br />
“Market” e poi si torna a Smergo<br />
attraverso i campi pietrosi dove pecore<br />
solitarie, con accanto l’agnellino, brucano<br />
i radi ciuffi d’erba rinsecchita.<br />
Al pomeriggio, mentre io faccio il<br />
quotidiano sonnellino, Mauro e Davide<br />
sono andati a tirare su la rete; finalmente<br />
la fortuna ci arride. Causa il ritardo<br />
dell’alzata, parecchi pesci sono stati<br />
tagliuzzati dai granchi e dal grongo solitario,<br />
però a prua della passera troneggia<br />
una cassetta colma di splendidi asinei<br />
misti a barboni. Scendo estasiato a<br />
guardare Tonin che distriga dalla rete i<br />
pesci ancor vivi senza badare al freddo<br />
pungente che spazza la banchina;<br />
pago a caro prezzo questa leggerezza<br />
poiché alla sera un tremendo attacco di<br />
colica con vomito e diarrea mi colpisce<br />
all’intestino. Rimango a letto tutta la<br />
notte e la mattina successiva bevendo<br />
the e caraffe d’acqua.<br />
Al primo pomeriggio carichiamo<br />
tutto in macchina, pesce compreso, ed<br />
attraversiamo l’isola di Cherso diretti a<br />
Faresina, giusto in tempo per prendere<br />
il traghetto che ci porterà sulla costa<br />
istriana.<br />
Il mare è una macchia d’olio. A<br />
Laurana dicevano “Questa è pegola<br />
nera!”<br />
Eravamo partiti per trascorrere alcune<br />
serene giornate di pesca, per tre<br />
giorni ci ha tormentato la bora ed ora<br />
dobbiamo ripartire con l’addio del<br />
tempo propizio. Diciamo arrivederci,<br />
perché a Smergo torneremo ancora.<br />
Tonin de Laurana (Zmarich)
22 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
ANCORA «NO» AL LEONE SULLA TORRE<br />
Due grossi titoli de Il Piccolo (pagina:<br />
Istria, Litorale e Quarnero) ci<br />
hanno informato dell’ultimo capitolo<br />
della storia del Leone di Cherso.<br />
Cherso rivuole il leone marciano ci<br />
ha raccontato, prima di Natale, dell’iniziativa<br />
dell’ex Sindaco di Cherso<br />
Nivio Toich, presidente del Consiglio<br />
della Comunità italiana, che stava<br />
raccogliendo proseliti fra gli isolani e<br />
fra alcuni partiti che operano in città.<br />
La proposta di rimettere il leone sulla<br />
torre civica era stata presentata alla<br />
Giunta Comunale che l’aveva già sottoposta<br />
all’attenzione dell’Istituto per<br />
la Conservazione dei Beni Culturali di<br />
Fiume e del Ministero della Cultura.<br />
Il bravo dott. Toich precisava nell’intervista<br />
che l’iniziativa era nata<br />
dalla legge veneta per il finanziamento<br />
di restauri storico architettonici sul<br />
versante orientale dell’Adriatico e che<br />
la copia dell’originale (mandato in fregole<br />
a colpi di piccone una notte di<br />
coprifuoco da due guardie rosse nel<br />
settembre 1943) era pronta nella<br />
sede della Comunità degli Italiani, a<br />
qualche metro di distanza dalla torre.<br />
Il dott. Nivio Toich sperava nel clima<br />
che si respira a Cherso.<br />
Quando i chersini sono presi uno<br />
per uno, manifestano, tra di loro, un<br />
clima di speranza, ma quando sono<br />
riuniti ufficialmente, pur continuando a<br />
sperare, tengono la speranza per sé.<br />
Ne hanno provate tante che ritengono<br />
meglio demandare il giudizio ai competenti,<br />
o astenersi. Così infatti è successo<br />
tra i gruppi consiliari. Ci sono<br />
stati i favorevolissimi e gli indecisi ma,<br />
a quanto pare, almeno ufficialmente,<br />
nessun contrario. Ed è già molto!<br />
L’unica nota stonata era alla fine<br />
dell’articolo dove la responsabile delle<br />
attività museali dell’arcipelago<br />
di Luigi Tomaz<br />
Cherso-Lussigano non esprimeva il<br />
parere professionale di competenza<br />
del suo ufficio ma esprimeva il timore<br />
politico della riapertura dei contrasti<br />
sorti all’inizio del secolo. Se il giornale<br />
ha riportato bene, per lei è meglio<br />
rimanga sulla torre lo stemma che è il<br />
simbolo della continuità municipale.<br />
Noi, che stimiamo la valente responsabile<br />
delle attività museali, apprezziamo<br />
il fatto che non abbia rilasciato<br />
un giudizio estetico, cioè tecnico, che<br />
nel caso può essere vincolante, ma<br />
obiettiamo che non ci risultano contrasti<br />
sul Leone sorti un secolo fa, e<br />
purtroppo neanche ci risulta che lo<br />
stemma storico oggi rappresenti la<br />
continuità municipale. Sul timbro e<br />
sulle carte ufficiali del Comune –<br />
anche sugli auguri che riceviamo –<br />
troviamo uno stemma a scacchi, tale<br />
e quale quello dello Stato.<br />
Evidentemente la Croazia non ha una<br />
tradizione comunale come quella<br />
delle antiche Comunità costiere<br />
dell’Adriatico.<br />
Finite le feste, il 22 gennaio, un<br />
altro titolone de Il Piccolo ci ha servito<br />
la doccia fredda: «NO» al leone marciano<br />
a Cherso – bocciata da<br />
Zagabria la richiesta di ricollocare il<br />
simbolo sulla torre civica. La statua in<br />
attesa non è parte originale del monumento<br />
e non sarebbe neanche una<br />
copia fedele. È un parere opinabile,<br />
difficile perciò da contestare in quanto
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
è basato sul gusto soggettivo di chi<br />
ha il potere di applicarlo per giustificare<br />
il divieto. De gustibus non est<br />
disputandum, lo sapevano anche i<br />
Romani!<br />
Esprimiamo al dott. Toich la nostra<br />
solidarietà, e con lui a tutti i chersini.<br />
Egli ha detto: Sono amareggiato […]<br />
Noi andremo avanti con la nostra proposta,<br />
non abbiamo per il momento<br />
alcuna intenzione di arrenderci. È<br />
certo che ci faremo sentire…<br />
Che il signore gliela mandi buona!<br />
Non cessiamo di stupirci. Ma è<br />
possibile che a Zagabria si abbia<br />
paura che il Doge mandi una flotta a<br />
riprendersi l’isola? Ma i Croati credono<br />
di poter entrare in un’Europa che<br />
nella sua storia non abbia la storia di<br />
Venezia?<br />
La Storia! Non sarebbe male che,<br />
almeno su quella regionale, si aggiornasse<br />
anche Il Piccolo per non ripetere<br />
lo strafalcione storico stampato<br />
sopra lo stesso titolo del 22 gennaio:<br />
Il monumento della Serenissima<br />
venne buttato a mare la prima volta<br />
da Napoleone. Per farlo, Napoleone,<br />
o chi per lui, nel 1797 avrebbe dovuto<br />
arrivare a Cherso. Invece, col<br />
Preliminare di Leoben, già in aprile<br />
aveva venduto la Repubblica di<br />
A CHERSO<br />
Comunità Chersina<br />
I resti della chiesa di S. Giovanni di Piazza<br />
messi in luce dai lavori di ripavimentazione<br />
Nell’ambito di un progetto di rinnovo della<br />
vecchia pavimentazione, promosso dalle autorità<br />
cittadine l’inverno scorso e in via di realizzazione<br />
da parecchi mesi a questa parte, la<br />
piazza è oggetto di scavi che hanno riportato<br />
alla luce i resti di una chiesa. Non si tratta di<br />
una scoperta nuova. Ricercatori e archeologi<br />
già sapevano che sotto a quelle pietre si celavano<br />
dei preziosi reperti pertanto, gli scavi<br />
avviati dalla municipalità ora sono stata l’occasione<br />
buona per effettuare sondaggi e ricerche<br />
che non si erano potuti realizzare prima.<br />
La chiesa, le cui fondamenta sono state<br />
ricondotte alla luce è la chiesa di S. Giovanni,<br />
appartenente alla Confraternita di S. Giovanni<br />
di Piazza, soppressa negli anni del dominio<br />
francese, quando vennero abolite quasi tutte<br />
le congregazioni laiche. Si tratta di una costruzione<br />
medioevale, forse di epoca paleocristiana,<br />
eretta fuori dalle antiche mura della città,<br />
probabilmente sulle fondamenta di una costruzione<br />
più antica… e che deve essere stata<br />
abbattuta di certo dopo il 1821, perché nella<br />
pianta di Cherso di quell’anno figura ancora.<br />
Concluse le ricerche archeologiche, i lavori<br />
di ripavimentazione della piazza sono stati<br />
ripresi. Le rovine, protette da un telo di plastica,<br />
sono state ricoperte con uno strato di cemento in modo da assicurarne la conservazione e l’integrità,<br />
come è stato già fatto con la pavimentazione della via a sud del Duomo (antico mercato del pane). I contorni<br />
delle fondamenta della chiesa verranno chiaramente delineati con mattonelle di colore diverso dalle altre<br />
sulla nuova pavimentazione della piazza.<br />
23<br />
Venezia all’Austria che da Trieste<br />
aveva mandato il suo esercito in<br />
Istria, e da Fiume una nave a Cherso<br />
e poi ancora da Trieste le sue navi in<br />
Dalmazia. Il leone di Cherso è stato<br />
vittima di un capitano austriaco,<br />
arrabbiato perché i chersini lo avevano<br />
fatto attendere quattro giorni sotto<br />
il sole di giugno fuori del porto di<br />
Cherso non volendo ammainare il<br />
gonfalone di San Marco. Dopo il trattato<br />
di Campoformio l’Austria occuperà<br />
anche Venezia.<br />
Napoleone ha fatto abbattere i<br />
leoni di Venezia e Terraferma, non<br />
quelli di Cherso!
24 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Dalla Comunità di Lussinpiccolo<br />
Il Segretario Responsabile, dott. Giuseppe Favrini, il 9 gennaio <strong>2005</strong>, così scrive:<br />
Alla Presidente della Comunità Chersina<br />
c/o Associazione delle Comunità Istriane<br />
Gentilissima Presidente della Comunità<br />
Chersina<br />
Ho avuto l’onore di venir citato più volte<br />
negli ultimi numeri del Vostro bellissimo<br />
Foglio e di aver indotto, con un mio articolo<br />
sul Foglio ”Lussino” del febbraio 2004, Lei,<br />
gentilissima Presidente, ad aprire un dibattito<br />
su “Patria e Nazione” che, contrariamente<br />
alle Sue intenzioni è continuato anche sull’ultimo<br />
numero del Foglio chersino, arrivato<br />
la scorsa settimana. Il dibattito consiste<br />
soprattutto nel rispondere alla domanda: “Ci<br />
si continua a sentire italiani e quanto e fino a<br />
quando anche se non si vive in Italia da<br />
poco o da lungo tempo?”.<br />
In merito alla mia replica all’Assemblea<br />
chersina del 31 maggio 2004, riportata sul<br />
Foglio chersino di luglio, il Signor Francesco<br />
Moise, sul Foglio di dicembre, scrive una<br />
lettera della quale riporto e commento alcuni<br />
passi:<br />
Comincia il Signor Moise dicendo che la<br />
mia replica “è un’offesa all’intelligenza e alla<br />
responsabile azione di quanti, pur nel pericoloso<br />
rigurgito nazionalista, causa di tutte<br />
le nefandezze dei regimi totalitari, guardano<br />
con speranza alla concordia e alla convivenza<br />
pacifica dell’Europa e al suo futuro, disegnato<br />
dai grandi ideali di De Gasperi,<br />
Schuman e Adenauer......”<br />
Noto che io ho elencato alcuni (dei tanti)<br />
fatti storici a dimostrazione inequivocabile<br />
che, negli originari Italiani che non vivono in<br />
Italia, è venuto meno, con il tempo, il sentirsi<br />
italiani. Non mi sembra che ciò possa ritenersi<br />
offensivo.<br />
Prosegue il Signor Moise: “Leggere e<br />
trasmettere la triste storia del passato in<br />
chiave nazionalista e antieuropea, sottolineando<br />
episodi e cerimonie significative a<br />
Gorizia e a Trieste, paventando altresì la<br />
slavizzazione delle due città con argomentazioni<br />
non degne di commento e lettura,<br />
significa lasciare ancora spazio agli equivoci<br />
che lo stesso Segretario di Alleanza<br />
Nazionale Gianfranco Fini ha definito “pagine<br />
vergognose della storia del nostro passato,<br />
nonché infami leggi razziali volute dal<br />
fascismo.”<br />
Osservo che, secondo il Signor Moise,<br />
sarebbe nazionalismo citare, come io ho<br />
fatto, il tripudio di Trieste per il raduno 2004<br />
degli Alpini e paragonarlo all’entusiasmo<br />
della città per la sua riannessione all’Italia di<br />
cinquant’anni or sono. Sarebbero argomentazioni<br />
non degne di commento e lettura<br />
valutare con cifre alla mano la probabilità<br />
che Trieste diventi in pochissimo tempo una<br />
città a maggioranza slava e dire che ciò<br />
vanificherebbe le strenue lotte dei Triestini<br />
per la loro italianità e l’immane sacrificio<br />
degli Esuli che tutto hanno sacrificato perché<br />
almeno Trieste restasse italiana. Per<br />
quanto riguarda le affermazioni di Fini noto<br />
che si riferivano alle leggi razziali che non mi<br />
risulta si estendessero anche agli slavi.<br />
Continua il Signor Moise “..noi anziani<br />
che abbiamo involontariamente vissuto le tristi<br />
e vergognose pagine del nostro recente<br />
passato, abbiamo il dovere morale di trasmettere<br />
ai nostri figli e nipoti la verità storica<br />
senza sentimentalismi e falsificazioni,<br />
capovolgendo onestamente il giudizio su<br />
momenti fra loro connessi della storia fascista<br />
e dell’alleanza con Hitler: dalla dichiarazione<br />
di guerra, alle avventure nei Balcani,<br />
alla catastrofe greca”<br />
Non mi è chiaro se per tristi e vergognose<br />
pagine il Signor Moise intenda solo queste<br />
ultime tre e non anche altri momenti storici<br />
quali ad esempio l’Esodo del 97% dei<br />
Chersini, la concessione “fascista” a Cherso<br />
di usare il gonfalone di San Marco al posto<br />
della bandiera italiana, i tanti eroici Caduti<br />
chersini, le lotte dei Chersini per la loro<br />
venezianità. Sperando che si riferiscano<br />
solo alla dichiarazione di guerra del 1940,<br />
alle “avventure” nei Balcani e alla<br />
“catastrofe” greca vorrei chiedere al Signor<br />
Moise se il Suo giudizio andrebbe come Lui<br />
dice “capovolto” anche se la guerra fosse<br />
stata vinta.<br />
Il signor Moise scrive ancora “Non è sufficiente<br />
parlare dell’italianità di Trieste,<br />
dell’Istria e della Dalmazia senza dire chiaramente<br />
che la principale colpa di quanto<br />
successo nelle nostre terre, l’esodo e tutto il<br />
resto è unicamente del regime fascista e<br />
della sua megalomania imperiale.”<br />
Noto che il Signor Moise non è sfiorato<br />
da alcun dubbio nel dichiarare questa colpa<br />
“fascista”. Non lo neanche sfiora il sospetto<br />
che ci possano essere altre colpe. Non si<br />
domanda perché la Germania, che pure ha<br />
perso la guerra, sia riuscita quindici anni or<br />
sono a riunificarsi mentre per l’Italia ciò non<br />
solo non si è verificato ma il solo aspirarvi<br />
sarebbe “fascista” seguendo il pensiero<br />
dello stesso Signor Moise.<br />
E ancora dice Moise “E’ doveroso, inoltre,<br />
trasmettere chiaramente i fatti storici che<br />
hanno determinato la catastrofe del dopoguerra<br />
sottolineando che le nostre terre furo-<br />
no vendute integralmente, ancor prima della<br />
disfatta, alla Germania nazista.”<br />
Anche qui il Signor Moise è perentorio.<br />
Non lo sfiara in merito alcun dubbio. Io ero<br />
giovanissimo ed ero a Lussino. I Tedeschi<br />
sono arrivati il 13 novembre 1943. Cacciati i<br />
partigiani titini, che occupavano l’isola dal 25<br />
settembre, vi ripristinarono a tutti gli effetti<br />
l’autorità italiana. A Trieste mi risulta che<br />
l’autorità italiana durò fino all’arrivo dei Titini<br />
il 1° maggio 1945. Lo testimonia anche nel<br />
Suo libro “Arma e vai” il campione lussignano<br />
della vela Agostino Straulino recentemente<br />
scomparso.<br />
Per ultima riporto questa frase di Moise<br />
“Bisogna insegnare ai giovani che forse non<br />
eravamo un “popolo di eroi” ma un popolo<br />
sottomesso alla natura totalitaria del fascismo<br />
che mandava nelle patrie galere o,<br />
quando andava bene, lasciava senza posto<br />
di lavoro chi esprimeva opinioni diverse.”<br />
Anche su questo punto la mia esperienza<br />
è completamente diversa. Alla Nautica<br />
“Nazario Sauro” di Lussinpiccolo insegnavano<br />
professori confinati a Lussino perché<br />
antifascisti. Erano ottimi insegnanti liberissimi<br />
di dire tutto il Loro pensiero. La “ferocia<br />
fascista” consisteva nell’averli costretti a<br />
insegnare nella nostra Lussino. Mi risulta<br />
non sia stato molto diverso nelle altre parti<br />
d’Italia.<br />
Il Signor Moise, dell’antica e nobile famiglia<br />
Moise di Cherso, è componente del<br />
Consiglio direttivo della Comunità Chersina.<br />
Io vorrei ricordare, a questo punto, un<br />
altro Chersino, pure lui di antica e nobile<br />
famiglia di Cherso, Stefano Petris, che, il 9<br />
ottobre 1945 prima di venir fucilato, così<br />
scriveva “Non piangere per me, non mi sono<br />
mai sentito così forte come in questa notte<br />
d’attesa che è l’ultima della mia vita. Tu sai<br />
che io muoio per l’Italia. Siamo migliaia e<br />
migliaia di istriani gettati nelle Foibe, trucidati<br />
e massacrati, deportati in Croazia e falciati<br />
giornalmente dall’odio, dalla fame, dalle<br />
malattie, sgozzati iniquamente. Aprano gli<br />
occhi gli italiani e puntino i loro sguardi<br />
verso questa martoriata terra istriana che è<br />
e sarà italiana. Se il Tricolore d’Italia tornerà,<br />
come spero, a sventolare anche sulla mia<br />
Cherso, bacialo per me assieme ai miei figli.<br />
Domani mi uccideranno; non uccideranno il<br />
mio spirito, né la mia fede. Andrò alla morte<br />
serenamente e come il mio ultimo pensiero<br />
sarà rivolto a Dio che mi accoglierà e a voi<br />
che lascio, così il mio ultimo grido, fortissimo,<br />
più forte delle raffiche dei mitra, sarà:<br />
Viva l’Italia!”.
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Principale se non unico scopo della<br />
Comunità di Lussinpiccolo è adoperarsi in<br />
tutti i modi possibili per il rispetto in Italia<br />
della nostra storia. Perchè la nostra voce<br />
venga ascoltata. Perché non si presti fede in<br />
Italia a quanto divulgato oggi a Ossero ove<br />
in due grandi targhe bronzee si afferma<br />
che nel 1945 Ossero è ritornata nella madre<br />
patria croata e a Cherso ove in piazza è<br />
stato eretto un monumento dedicato a Frane<br />
Petric, definito il più grande filosofo croato<br />
mentre Francesco Patrizio era un grande<br />
letterato italiano, critico e filosofo dell’estetica<br />
letteraria, intimo dei due massimi della<br />
poesia italiana del suo secolo, Ariosto e<br />
Tasso.<br />
Per perseguire questo scopo il nostro<br />
statuto prevede anche una più stretta collaborazione<br />
con le Comunità di Cherso e di<br />
Lussingrande. La lettera del Signor Moise,<br />
autorevole componente del Direttivo di<br />
Cherso, ci lascia molto perplessi in merito a<br />
questa collaborazione che, forse ci illudevamo,<br />
sembrava quasi raggiunta.<br />
Ma anche la posizione in merito al concetto<br />
di Patria slegato dal territorio toglie al<br />
nostro Esodo tutto il Suo valore. Se, infatti,<br />
bastava sentirsi italiani anche senza palesarlo<br />
potevamo restare dov’eravamo. Per la<br />
Comunità che assume questa posizione, fa<br />
venir meno, a mio avviso, il primo requisito<br />
per l’appartenenza all’ Associazione delle<br />
Comunità Istriane, che ha lo scopo di conservare<br />
e sviluppare le tradizioni patriottiche<br />
delle Comunità associate perché il grande<br />
patrimonio di storia e civiltà italiana non<br />
venga disperso e obliato (articolo 2 dello<br />
Statuto). Nelle riunioni dei Chersini a Trieste<br />
il 2 gennaio scorso non ho inteso alcun<br />
accento patriottico e il 2 gennaio 2004 il mio<br />
intervento “patriottico” se non è stato proprio<br />
fischiato è stato fortemente contestato.<br />
Comunità Chersina<br />
25<br />
Vorrei tanto sperare che i Chersini nella<br />
diaspora saranno con noi alleati nel perseguire<br />
lo scopo primo della Comunità lussignana<br />
di lottare per la verità storica. E non<br />
antagonisti come sembra dalla lettera del<br />
Signor Moise e dalla posizione in merito al<br />
concetto di Patria. Noi Lussignani vedevamo<br />
e vediamo in Cherso, erede di Ossero e per<br />
quattro secoli nostra capitale, un faro di<br />
romanità, di venezianità e d’italianità.<br />
La prego, gentilissima Presidente, di<br />
pubblicare questa lettera nel prossimo<br />
numero del Foglio chersino.<br />
Prego anche l’Associazione delle<br />
Comunità Istriane, di pubblicare questa lettera<br />
nel Suo quindicinale “La nuova Voce<br />
Giuliana” che uscirà il prossimo 16 gennaio.<br />
Ringrazio e invio cordialissimi saluti<br />
IL PENSIERO SULL’ARGOMENTO DELLA PRESIDENTE<br />
dell’Associazione Francesco Patrizio della Comunità Chersina, Carmen Palazzolo Debianchi<br />
LIBERTA’ DI OPINIONE E PLURALISMO<br />
hanno diritto di cittadinanza nelle comunità degli esuli?<br />
La precedente lettera del dott. Favrini è stata pubblicata anche sul quadrimestrale della Comunità di Lussinpiccolo “Lussino”, n. 17, del<br />
febbraio <strong>2005</strong> e, a sua richiesta, anche sul n. 108 del 16 febbraio <strong>2005</strong> de “La Nuova Voce Giuliana”.<br />
Senza confutare passo per passo lo scritto, vorrei qui richiamare l’attenzione sulla parte finale della lettera del dott. Favrini, dove egli<br />
afferma: “La posizione in merito al concetto di Patria slegato dal territorio toglie al nostro Esodo tutto il Suo valore …” e “Per la Comunità<br />
che assume questa posizione fa venir meno, a mio avviso, il primo requisito per l’appartenenza all’Associazione delle Comunità Istriane…”<br />
Di solito, io mi rifiuto di lasciarmi invischiare nelle polemiche perché sono del parere che esse sono discorsi fra sordi in cui ognuna delle<br />
parti si trincera sulle sue posizioni senza nessuna apertura nei confronti delle idee degli altri per cui non portano a nessuna conclusione,<br />
sono sterili. Ne è una dimostrazione anche l’atteggiamento del dott. Favrini in merito all’idea di Patria scollegata dal territorio. Lungi dal<br />
rispettare quest’idea anche se non la condivide o dall’ammettere il fatto che, oggi, essa possa essere accettabile e condivisibile anche da<br />
altri esuli, egli ritiene che la Comunità Chersina, con una Presidente che ragiona in questa maniera, non abbia i requisiti per appartenere<br />
all’Associazione delle Comunità Istriane.<br />
Le gravi affermazioni del dott. Favrini mi inducono però, come Presidente della Comunità Chersina, a fare alcune considerazioni sperando<br />
che esse siano ritenute esaurienti e conclusive dalle parti interessate. Per quanto riguarda il signor Moise, ribadisco qui, dopo averglielo<br />
detto a voce assieme ad altri membri del consiglio direttivo, prima della pubblicazione del suo scritto, che sarebbe stato opportuno<br />
usare un tono meno diretto, più “morbido”.<br />
Confermo tutto quanto ho scritto, nel tempo, su “Comunità Chersina” e su altri giornali sul tema Patria e su altri argomenti, sono le idee<br />
che ho maturato nel corso della mia vita e di cui sono convinta, ma non so quanti membri della Comunità chersina le condividono, perché<br />
non ho fatto un sondaggio di opinioni sull’argomento; penso che la stessa cosa valga anche per le opinioni, soprariportate, del dott. Favrini.<br />
Naturalmente, quando parlo di sondaggio di opinioni mi riferisco ad un’indagine scientificamente condotta da professionisti su un campione<br />
significativo - in questo caso - di esuli chersini o lussignani e non le opinioni raccolte qua e là durante i nostri raduni o scritte ai nostri<br />
giornali, delle quali si possono riportare soltanto quelle a favore della nostra tesi e tralasciare le altre.<br />
Quello che intendo qui fermamente sostenere è il diritto alla libertà di opinioni e al pluralismo come principi basilari della democrazia e<br />
aventi pertanto “diritto di cittadinanza” anche all’interno di una stessa comunità di esuli e non discutere né contestare le idee di nessuno.<br />
Ribadisco inoltre, con forza, che le idee diverse dalle nostre non sono necessariamente sbagliate e vanno rispettate come le persone che le<br />
esprimono. Penso che confrontarsi, dialogando e conversando, con idee diverse dalle nostre aiuti a vedere le situazioni da altri punti di<br />
vista, stimoli la riflessione e pertanto favorisca la crescita personale e di gruppo, cioè arricchisca.<br />
Il tema non è nuovo e consiste, sostanzialmente, nel diverso modo di intendere, da parte degli esuli, l’idea di Patria, le ragioni dello<br />
scoppio della seconda guerra mondiale, l’ingresso in Europa, ecc. e si può riassumere nel quesito: “La diversità di idee può costituire motivo<br />
di esclusione da una comunità di esuli o di divisione della stessa?”<br />
Io penso che gli esuli, che sono sempre meno numerosi, oggi debbano ricercare anche più che nel passato ciò che li unisce, che è la<br />
condizione di esuli e le finalità da perseguire e che, all’interno di questo grande insieme, in un’ottica di apertura e di rispetto per gli altri e<br />
per le loro idee, si debba lasciare spazio ai diversi modi di intendere l’esodo e il non esodo, i rapporti coi rimasti, il discorso sui beni abbandonati<br />
e tutte le tematiche vecchie e nuove sulle quali il mondo della diaspora continua a spaccarsi.
26 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
del Direttore del giornale, Luigi Tomaz<br />
PATRIA NAZIONE… E CONFUSIONE<br />
L’ottobre scorso ho accettato la direzione<br />
di Comunità chersina con l’espressa<br />
intenzione di convincere il<br />
Comitato di redazione alla coerenza<br />
con la nostra tradizione civile di<br />
Chersini di dialetto, lingua e cultura italiana,<br />
esulati in massa negli anni che<br />
hanno preceduto o seguito il Trattato di<br />
Pace del 1947.<br />
Nella prima seduta del Comitato di<br />
redazione per il vaglio degli scritti pervenuti<br />
nei mesi precedenti, io osservai<br />
che la lettera indirizzata dal rag.<br />
Francesco Moise al dott. Giuseppe<br />
Favrini, era molto pesante sia nelle<br />
valutazioni (… un’offesa all’intelligenza<br />
… argomentazioni non degne di commento<br />
e lettura) sia nelle esemplificazioni<br />
storiche perentorie, radicalmente<br />
manichee e già da tempo notevolmente<br />
relativizzate dalla critica storica non<br />
ideologicamente militante.<br />
Successivamente inviai via fax a<br />
Trieste un elenco di titoli proposti per la<br />
pubblicazione. Sulla Replica a Favrini di<br />
F. Moise ho scritto di mio pugno, da<br />
una parte, Si? (Ma vi par proprio che<br />
vada pubblicata?) e dall’altra parte:<br />
Potrebbe (Moise) addolcire il tono?<br />
Tutto ciò specificato, ritenendomi<br />
responsabile di non aver deciso da<br />
solo, colgo l’invito espresso sull’ultimo<br />
numero di Lussino dal comandante<br />
Antonio Piccini, che conosco e stimo e<br />
dal quale so di essere stimato e, non<br />
facendolo altri, chiedo scusa al dott.<br />
Favrini del tono insolente della lettera<br />
che, pur perplesso, ho permesso venisse<br />
pubblicata.<br />
Compiuto quest’atto, con altrettanta<br />
sincerità devo dichiarare che non<br />
posso accodarmi ai cinque lettori che<br />
sul foglio Lussino si sono dichiarati<br />
d’accordo anche completamente o in<br />
toto con Favrini.<br />
Posso accodarmi soltanto al cap.<br />
Alvise Bommarco che si è limitato a<br />
dichiarare di non condividere la posizione<br />
di Moise. Punto e basta, in quanto<br />
neanche le affermazioni perentorie del<br />
dott. Favrini sono tutte condivisibili e<br />
storicamente sostenibili. Nell’intervento<br />
al Raduno dei Chersini pubblicato su<br />
Comunità Chersina del luglio 2004, che<br />
ha provocato la lettera del Moise, il dott.<br />
Favrini dice: Nel 1940 l’Italia, pur fascista<br />
e nazionalista non rivendicava più la<br />
Dalmazia […] (Non continuo per non<br />
ripetere il giudizio sugli italiani di<br />
Dalmazia incauto e utilissimo unicamente<br />
per la tesi dei nemici dell’italianità<br />
dalmata). La storia è tutta diversa<br />
perché l’Italia nel 1941 si è presa, d’accordo<br />
col Poglavik croato Ante Paveliæ,<br />
le seguenti località dalmate: Buccari,<br />
Veglia, Arbe, Zaravecchia, Scardona,<br />
Sebenico, Traù, Spalato, Isole davanti<br />
Zara, Solta, Lissa, Curzola, Meleda,<br />
Bocche di Cattaro e scogli vari.<br />
D’accordo con la Germania, l’Italia<br />
si è poi annessa Lubiana e ne ha fatto,<br />
con mezza Slovenia, non uno staterello<br />
autonomo della Corona, come allora<br />
era già l’Albania, ma la novantanovesima<br />
provincia del Regno d’Italia. Noi<br />
non possiamo pretendere credibilità se<br />
cancelliamo nella nostra memoria fatti<br />
storici così notori e importanti. Né possiamo<br />
ripetere per un anno l’argomento<br />
che nessun popolo è riuscito a mantenersi<br />
Nazione se dominato da sovranità<br />
straniera, dimenticando che i Croati<br />
hanno perso l’indipendenza nel XII<br />
secolo e son rimasti tali fino al 1918 e<br />
più o meno altrettanto gli Sloveni. E gli<br />
Armeni? e gli Ebrei? Nell’Impero<br />
d’Absburgo ogni suddito portava<br />
segnata sui documenti la sua<br />
Nazionalità cioè l’appartenenza alla sua<br />
Nazione e noi ben sappiamo che convivevano<br />
più Nazioni nella stessa città,<br />
senza morire se non per pulizia culturale,<br />
linguistica o etnica imposta con la<br />
violenza.<br />
Altra imprecisione, ovviamente scusabilissima,<br />
è l’esaltazione che il dott.<br />
Favrini fa della Nobiltà familiare del<br />
prof. Stefano Petris, comandante la<br />
compagnia che ha resistito ai Titini il 20<br />
aprile 1945 e che poi è stato fucilato.<br />
Stefano era Petris ma non de Petris,<br />
era di famiglia popolana di soprannome<br />
Passafora e se ne vantava. È molto<br />
importante poter obiettare che non<br />
apparteneva alla casta degli … sfruttatori<br />
del popolo, ma all’autentico popolo<br />
di onesti coltivatori, carpentieri, navigatori.<br />
Non è facile conoscerci a fondo tra<br />
Lussignani e Chersini!<br />
Potrei anche sentirmi offeso io dai<br />
giudizi del dott. Favrini sui Chersini i<br />
quali nei loro incontri del 2 gennaio per<br />
celebrare il patrono Sant’Isidoro, non<br />
parlano di Patriottismo e quasi hanno<br />
zittito lui nel 2004 quando s’era messo<br />
a parlare di Patria (in presenza, allora,<br />
del rimpianto padre Vitale Arcivescovo<br />
Emerito). Addirittura la Comunità<br />
Chersina dovrebbe essere espulsa<br />
dall’Associazione delle Comunità<br />
Istriane!<br />
I Chersini si trovano il 2 gennaio, al<br />
Raduno di maggio, e in ferie a Cherso<br />
durante tutta l’estate. Negli intervalli<br />
s’incontrano a gruppetti, a famiglie e tra<br />
amici d’infanzia. Ciascuno conosce tutti<br />
i sentimenti degli altri, germogliati sulle<br />
stesse radici. Cosa pretenderebbe il<br />
dott. Favrini, che si mettessero a cantare<br />
ogni volta l’inno di Mameli e “Il Piave<br />
mormorava…”?<br />
Non chi chiacchiera lavora per la<br />
nostra causa, ma chi opera con cautela<br />
e in profondità, meglio se in silenzio,<br />
anche assumendo rischi. Spesso con<br />
mezze parole e atti riservati si ottiene<br />
più che con tanti discorsi e sceneggiate.<br />
Possibile che di Comunità Chersina<br />
del dicembre scorso sia stata letta soltanto<br />
la letterina di una colonna e mezza<br />
del rag. Francesco Moise? Tutto il resto<br />
delle 36+16=52 pagine tratta di aria fritta?<br />
Il serrato colloquio con gli esuli<br />
dispersi tra i continenti, con i rimasti e<br />
con gli arrivati che in quelle pagine si<br />
svolge, non è stato capito? Ho ragione<br />
allora quando dico che nell’intimo ognuno<br />
può efficacemente intendesi soltanto<br />
con chi sa di cosa parla perché ha vissuto<br />
la stessa storia. Storia piccola<br />
ovviamente perché la dimensione in cui<br />
opera la Comunità è piccola, ma che<br />
compone la base della Storia grande.<br />
I libri che producono i Chersini e<br />
presentano in campo nazionale e le<br />
conferenze che vanno a pronunciare<br />
nelle varie città, per il dott. Favrini sono<br />
barzellette?<br />
Concludo impegnandomi a non<br />
riprendere la polemica su questo tema<br />
anche se altri volessero continuarla.<br />
Ogni impegno serio ha bisogno di un<br />
piano strategico da concordare e poi da<br />
realizzare con atti e tattiche ponderate.<br />
Esigenza fondamentale è tacere le proprie<br />
strategie e le eventuali debolezze e<br />
soprattutto non presentarci come<br />
un’accolita di prefiche lacrimanti in permanenza.<br />
Chi ha l’estro delle lacrime lo<br />
faccia per suo conto.<br />
Se tra Chersini e Lussignani e altri,<br />
vogliamo lavorare assieme, dobbiamo<br />
incontrarci e parlare per spiegarci tra<br />
persone responsabili e comunque animate<br />
di buona volontà e di buon senso.<br />
La buona volontà e la laboriosità possono<br />
diventare doti molto pericolose se<br />
non accompagnate dal buon senso.<br />
Dobbiamo pianificare, non imporre i<br />
nostri obiettivi, ed essere disposti a<br />
modificare anche qualche nostra idea.<br />
Soprattutto a moderare la fiducia in noi<br />
stessi che può non sempre essere del<br />
tutto meritata.
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Dagli Stati Uniti<br />
Comunità Chersina<br />
NOTIZIE DAI CHERSINI NEL MONDO<br />
Festa di San Nicolò<br />
12 dicembre 2004<br />
La consueta celebrazione di San<br />
Nicolò ha avuto luogo domenica 12<br />
dicembre scorso nella chiesa del<br />
monte Carmelo di Astoria. La Santa<br />
Messa è stata celebrata in italiano dal<br />
nostro sacerdote chersino don<br />
Roberto, e dedicata alla memoria del<br />
nostro Presidente onorario Padre<br />
Antonio Vitale Bommarco.<br />
Nell’omelia sono state ricordate le<br />
sue doti umane ed in particolare il contributo<br />
che egli ha sempre dato alla<br />
Chersinità durante i vari incontri con i<br />
diversi gruppi di chersini sparsi per il<br />
mondo. Dopo la Santa Messa i presenti<br />
si sono trasferiti all’Astoria World<br />
Mannor, che si trova molto vicino alla<br />
chiesa del Monte Carmelo.<br />
Qui ha avuto luogo la tradizionale<br />
festa annuale dedicata a Santa Claus,<br />
con una cena e l’immancabile intrattenimento<br />
danzante.<br />
Babbo Natale è arrivato sulla sua<br />
slitta con un sacco pieno di doni, che<br />
ha distribuito ai tanti bambini presenti<br />
facendoli felici e contenti.<br />
Tra gli invitati, anche i due novelli<br />
sposi Maver-Bacini (figli di chersini nati<br />
a Trieste dove risiedono), accolti con<br />
grande affetto da tutti noi che abbiamo<br />
loro dedicato la bella canzone “Co son<br />
lontan de ti Trieste (e Cherso!…) mia”,<br />
eseguita dall’orchestrina di Joe e<br />
Mario.<br />
Festa del Patrono<br />
S. Isidoro<br />
Sant’Isidoro è stato festeggiato<br />
anche quest’anno dai chersini della<br />
grande mela.<br />
Nel pomeriggio del 2 gennaio don<br />
Roberto Zubovich, figlio della chersina<br />
Laura Soldatich, ha celebrato una<br />
Santa Messa nella chiesa “The Most<br />
Precious Blood” di Astoria, in un’atmosfera<br />
di fratellanza e comunione.<br />
Preghiere e canti in tre diverse lingue<br />
hanno accomunato i cuori dei presenti.<br />
Rancori e differenze hanno<br />
lasciato posto al perdono nel ricordo<br />
delle Sante Messe celebrate nella<br />
nostra Cherso. Terminata la cerimonia<br />
religiosa, don Roberto ha voluto concludere<br />
la giornata in allegria. Infatti i<br />
partecipanti si sono riuniti nel refettorio<br />
della scuola adiacente per un appetitoso<br />
buffet condito con le note di un cantante<br />
ed un pianista croati. Canzonette<br />
nostrane e musiche dei vecchi tempi,<br />
eseguite magistralmente dal nostro<br />
musicologo Damir, hanno dato inizio<br />
ad un pomeriggio danzante che ha<br />
deliziato per parecchie ore chersini<br />
vecchi e giovani, ed anche lussignani<br />
e tutti coloro che hanno voluto onorare<br />
la festa del nostro Patrono.<br />
Don Roberto ha voluto devolvere il<br />
ricavato della serata alle vittime dello<br />
tsunami.<br />
Laura Cellani Fermeglia<br />
FRATELLI CHERSINI!<br />
Bel il paese dove siamo nati.<br />
I giorni sono passati<br />
senza rimpianti,<br />
son ben ricordati.<br />
Vogliamoci bene,<br />
tutti assieme siamo nati<br />
nel nostro bel paese.<br />
Come chersini ci onoriamo<br />
e con buon umor ce la passiamo.<br />
Se ben lontani dal nostro paese<br />
veniamo volentieri a trovarti<br />
senza badare alle spese,<br />
poi faremo un bon bicier de vin<br />
per essere un bon chersin.<br />
Tutti assieme in compagnia<br />
gridanto VIVA la Fratellanza<br />
Chersina, e così sia!<br />
27<br />
Antonio Coglievina
28 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Un gruppo di bambini con Babbo Natale.<br />
Daniele Velcich, come sempre<br />
solerte e puntuale, ci segnala<br />
che la vita della “Society” australiana<br />
ha avuto il consueto andamento,<br />
scandito dagli incontri<br />
nella sede dell’Associazione<br />
Dall’Australia<br />
25-11-04 Pic-nic dei chersini.<br />
Il Presidente dei Giuliani nel mondo, Dario Rinaldi, tra i Giuliani di Sydney nella nostra<br />
sede fra Egone Canevari e signora, Romeo Varagnolo, Giulio Virant e signora.<br />
La sede dell’Associazione Santa Maria di Cherso,<br />
punto di riferimento<br />
degli esuli giuliano-dalmati e fiumani<br />
Santa Maria di Cherso di<br />
Marsden Park che, nel tempo, è<br />
diventata un punto di riferimento<br />
per tutti gli esuli giuliano-dalmati<br />
e fiumani. L’Associazione riceve<br />
spesso visite di Autorità prove-<br />
nienti dall’Italia e da altre parti<br />
del mondo che, anche quando<br />
sono in Australia in forma privata,<br />
non mancano mai di recarsi<br />
nella sede dell’Associazione per<br />
salutare i connazionali residenti<br />
a Sydney. Così, per il pic nic di<br />
Natale, i chersini australiani<br />
hanno avuto il piacere di ospitare<br />
il dott. Dario Rinaldi, presidente<br />
dell’Associazione Giuliani nel<br />
Mondo. Accade spesso anche<br />
che qualche socio porti agli<br />
incontri della società qualche<br />
parente o amico venuto a fargli<br />
visita, e che costui riconosca fra i<br />
presenti persone che non vedeva<br />
da 30/40 anni.<br />
Alle feste dell’Associazione<br />
non manca mai la presenza della<br />
giovane chersina Carla Perovich,<br />
che fin da bambina allieta col<br />
suo canto i presenti. Per la sua<br />
bravura, la fanciulla sta riscuotendo<br />
sempre maggiore successo<br />
anche fuori dall’ambito degli<br />
esuli. Le auguriamo ogni bene!<br />
Delegazione di esuli<br />
chersini presente a Trieste<br />
per la celebrazione del<br />
Giorno del Ricordo<br />
Senza appuntamento, il gruppo<br />
degli “australiani” si è incontrato<br />
con la rappresentanza della<br />
Comunità Chersina che, col suo<br />
labaro, ha reso onore ai caduti<br />
nella Foiba di Basovizza la mattina<br />
del 10 febbraio. E’ stato proprio<br />
il labaro di Cherso a far avvicinare<br />
gli esuli australiani ai triestini<br />
per uno scambio veloce di<br />
saluti e ricordi, con piacere e<br />
commozione, per poi proseguire<br />
nell’itinerario delle manifestazioni<br />
della Giornata.
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
ALTRE LETTERE ITALIANE<br />
è la nuova collana della EDIT<br />
Si tratta di una collana dedicata agli autori<br />
della Comunità Nazionale Italiana che vive in<br />
Croazia e Slovenia per diffondere le opere di<br />
una letteratura italiana che nella sua alterità,<br />
nella sua diversità italo - istriana e italo - fiumana<br />
rimane pur sempre letteratura italiana. Una<br />
collana che vuole promuovere una prosa e una<br />
poesia che nascono in un contesto sociale e<br />
linguistico non (più) italiano e che proprio per<br />
questa ragione sono state e sono espressione<br />
di identità, luogo della conservazione e del<br />
recupero della memoria, strumento con il quale<br />
tramandare un’eredità culturale intima ma allo<br />
stesso tempo di gruppo. Fare letteratura italiana<br />
in Istria e nel Quarnero oggi non è soltanto<br />
preoccupazione artistica: è un forte segnale di<br />
un’esistenza ancora pulsante, è desiderio di<br />
rendere gli “altri” partecipi di un’esperienza tipica<br />
da microcosmo e dalla cui particolarità scaturisce<br />
un’universalità irripetibilmente preziosa.<br />
Tiziana Dabovic, redattrice del Settore<br />
Editoriale EDIT, nel comunicarci la pubblicazione<br />
dei primi due volumi della collana, di<br />
cui segue la recensione, ci scrive:<br />
“Saremmo lieti che queste notizie venissero<br />
pubblicate nel V/s pregiato Giornale<br />
“Comunità Chersina”. Per ulteriori informazioni<br />
sull’attività della nostra Casa editrice è a vostra<br />
disposizione il sito internet www.edit.hr, nonché<br />
l’indirizzo di posta elettronica editoria@edit.Hr.<br />
RECENSIONI<br />
Comunità Chersina<br />
29<br />
Stemma e Santo Protettore della Magnifica Comunità di Cherso, di Luigi Tomaz, Quaderno<br />
n. 6 della Collana Storica della Comunità Chersina. L’opera - in 200 pagine di testo, corredato da<br />
183 note a pie’ di pagina e da una sessantina di illustrazioni, alcune a colori, in prevalenza disegnate<br />
dallo stesso Autore – affronta l’analisi complessa dello stemma civico di Cherso, Magnifica<br />
Comunità, dal 460 capoluogo della Contea-Capitanato veneziana di Cherso e Ossero. Anche lo<br />
stemma di Ossero è valutato nella sua evoluzione e nella reciproca influenza. La ricerca è condotta<br />
attraverso la Storia locale, adriatica, istriana, veneta, la Storia dell’Araldica e la Storia dell’Arte.<br />
Tratta, interpreta e segnala le riproduzioni e le alterazioni subite dallo Stemma negli esemplari pervenuti<br />
attraverso i secoli e nelle divulgazioni dei libri di Araldica a partire dall’opera del De Beatiano<br />
e dalle opere del Coronelli (XVII e XVIII secolo) fino ai giorni nostri. Elenca e presenta gli stemmari<br />
e i blasonari della Repubblica Serenissima di San Marco ripubblicati per tre secoli in Italia e in<br />
Europa, nonché i maggiori blasonari e stemmari austro-ungarici. L’Autore ha comparato dal punto<br />
di vista stilistico, formale e iconografico lo Stemma “prototipo” con gli stemmi che sembrano o sono<br />
similari dentro e fuori l’area di influenza veneziana.<br />
Il Santo Protettore e Patrono Civico S. Isidoro è esaminato nelle raffigurazioni esistenti e nella<br />
chiesa romano-gotica a lui dedicata. Viene condotta soprattutto un’indagine della più attendibile derivazione<br />
del Patrono chersino dagli omonimi santi vescovi e martiri di Alessandria, Antiochia e<br />
Chio. Il libro è di interesse fondamentale per il mantenimento dell’identità dei Chersini esuli e rimasti,<br />
uniti saldamente dall’attaccamento all’antico stemma dei Padri e dal culto religioso e civile al<br />
loro “Protector et Confalonier”.<br />
MARIO SCHIAVATO<br />
L’eredità della memoria<br />
MARIO SCHIAVATO,<br />
nato nel 1931 a<br />
Quinto di Treviso,<br />
è il primo di otto<br />
figli di una famiglia<br />
di contadini, che si<br />
trasferì nel 1943 a<br />
Dignano, dove lo<br />
scrittore crebbe e<br />
si formò considerandola oggi, con l’Istria in<br />
genere, sua patria d’adozione. Sinora ha<br />
pubblicato una quindicina di volumi di narrativa<br />
per i ragazzi, di prosa e di poesia, alcuni<br />
anche tradotti in lingua croata e macedone.<br />
Secondo Geno Pampaloni la sua è la<br />
prosa, chiara e monocorde, di stampo ottocentesco,<br />
di chi riferisce. Siamo accompagnati<br />
con grande naturalezza nel mondo<br />
contadino, con i suoi personaggi, i costumi,<br />
i riti, le colture, gli animali, il variare del paesaggio<br />
lungo l’arco delle stagioni, e il dolore.<br />
Il tema di fondo, anzi, si direbbe proprio<br />
la consapevolezza qui per metà esistenziale<br />
e per metà sociale, di uno sradicamento<br />
fatale dalla terra amata.<br />
EZIO MESTROVICH<br />
Foiba in autunno<br />
EZIO MESTRO-<br />
VICH (1941-2003)<br />
giornalista e saggista,<br />
ha ricoperto<br />
incarichi di dirigente<br />
nell’editoria della<br />
minoranza italiana e<br />
si è particolarmente<br />
interessato ai problemi<br />
della convivenza<br />
in un ambiente eterogeneo soggetto a<br />
forti sollecitazioni demografiche. Il suo impegno<br />
e la sua partecipazione sono legati alle<br />
vicende della minoranza italiana, fonte continua<br />
della sua attività giornalistica (premio<br />
Istria Nobilissima per l’opera omnia e Penna<br />
d’oro dell’ordine dei giornalisti della Croazia)<br />
e dei suoi lavori letterari.<br />
Ci troviamo - scrive Nelida Milani - di<br />
fronte ad una bella contaminazione letteraria,<br />
con spazi di alta letteratura in cui si inseriscono<br />
molti elementi strutturali del giallo.<br />
Dunque romanzo letterario, romanzo, semplicemente.<br />
Dopo A Fiume, un’estate, quello<br />
di Mestrovich è un ritorno alla letteratura che<br />
riesce a catturare nelle sue trame complesse<br />
una Fiume dura e contraddittoria, una<br />
terra di storie antiche e di nodi non sciolti e<br />
ancora tutti presenti contemporaneamente<br />
sotto la cenere alta mezzo secolo.
30 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Replica sull’argomento del 20.IV.1945.<br />
Io sono l’autrice dell’articolo «Chi ha incendiato...»<br />
Se la mia domanda era «chi ha incendiato...»<br />
vuol dire che aspettavo una risposta da<br />
qualche anziano che poteva sapere qualcosa.<br />
Mi scusi signor Tomaz, Lei non mi può dare<br />
la risposta, perché se io con i miei 10 anni di<br />
allora, lei crede, non posso certe cose ricordare<br />
anche se le ho subite, mentre Lei può sapere<br />
solo dai racconti degli altri. Ciò non mi persuade.<br />
Non mi si è data una risposta precisa.<br />
Perché intrecciare altre persone, contare la loro<br />
discendenza ecc. ecc. Lei insinua una probabilità<br />
(forse giusta). Io ho scritto quello che con le<br />
mie orecchie ho udito e quello che ho visto e<br />
Lei mi contraddice.<br />
Io ricordo bene quella mattina e ripeto che<br />
è vero quello che ho scritto.<br />
Io non ero a Cherso, e non sono quella<br />
mattina andata a Verpolaj da Cherso, bensì da<br />
Loznati (San Giovanni della Vigna) dove allora<br />
abitavo.<br />
Quella mattina di buonora a Loznati sono<br />
arrivati i partigiani. Nel cortile della scuola avevano<br />
la radiotrasmittente. Piano piano la gente<br />
si raccoglieva, per sentire informazioni e noi<br />
bambini eravamo anche curiosi. Tutti aspettavamo<br />
cosa succederà perché i partigiani ci<br />
spiegavano che stavano attendendo la risposta<br />
alla proposta fatta ai fascisti e tedeschi di<br />
arrendersi. Tutti eravamo in ansia perché ci dissero,<br />
se non si arrendono comincerà l’attacco,<br />
però a Cherso già bruciavano le case vicino la<br />
scuola.<br />
Ricordo che mio nonno mi prese per mano<br />
e mi ha mandato a prendere il suo cannocchiale.<br />
Poi con lui sono andata verso Verpolaj.<br />
Abbiamo ben visto cosa bruciava. Bruciavano<br />
le nostre case vicine all’asilo. Ad un tratto sono<br />
iniziate le cannonate che venivano da Grosuia<br />
(sotto Loznati al mare) in continuo. Fischiavano<br />
sopra Loznati. Ancora oggi sento quei fischi,<br />
spari in continuo. Il primo momento mi hanno<br />
fatto tanta paura. Ci siamo distesi a terra finchè<br />
non abbiamo capito che quelle cannonate passavano<br />
sopra di noi.<br />
Tornati a Loznati abbiamo saputo che è<br />
stato dato il comando d’attacco. Noi bambini<br />
più tardi, già abituati agli spari, eravamo perplessi<br />
e volevamo andare verso il mare a vedere<br />
le barche di guerra, ma gli adulti ci hanno<br />
impedito. Si attendevano anche gli aeroplani se<br />
la lotta a Cherso non finiva fino l’ora prescritta.<br />
Quella notte in ogni casa o stalla dormivano<br />
i partigiani e in Piazza c’erano tanti cavalli.<br />
Se la signora Mirjan era quel giorno a<br />
PAGINA DEI LETTORI<br />
Loznati doveva vedere i partigiani. Ha udito gli<br />
spari, ma da Loznati non poteva vedere il fumo<br />
delle case, bensì tante persone, dopo aver<br />
sentito da mio nonno cosa brucia, sono andati<br />
verso quella piccola pineta da dove si vede<br />
Cherso a vedere il fumo e le vampate.<br />
Probabilmente anche la signora Mirjam. Se io<br />
sapevo che la signora Mirjam ha certe informazioni<br />
le avrei domandato quando veniva a<br />
vedere mia mamma o mia zia. Io non sapevo<br />
che la signora era a Loznati, anche noi siamo<br />
evacuati il 10.VI.1944 come anche Lei.<br />
Quella mattina non solo è stata bombardata<br />
la casa in piazzetta, ma anche la nostra e la<br />
casa della signora Mirjam (precisa casa via<br />
Nascimben). Sono cadute due bombe nel<br />
nostro cortile sotto la terrazzetta della signora<br />
Mirjam. Hanno distrutto un pezzo di casa<br />
nostra portando via il camino. Io scappavo<br />
dalla camera saltando sopra i rottami. Ma le<br />
bombe sono esplose. Così tutti noi inquilini<br />
dovevamo evacuare.<br />
Da quel giorno la nostra famiglia e tante<br />
altre di quella vicinanza sono scappate nei villaggi<br />
o nelle casette di campagna. Da quel<br />
giorno io e mia nonna siamo rimaste a Loznati<br />
dove ho frequentato la scuola (la maestra<br />
Maria Bommarco).<br />
Mio nonno e la mamma andavano ogni<br />
giorno a Cherso per lavoro e per riparare la<br />
casa. Il nonno era perito giudiziario. Quella<br />
mattina del 20.IV.1945 non sono andati perché<br />
sono stati fermati dai partigiani che come formiche<br />
erano presenti nella collina.<br />
Il giorno seguente, finita la battaglia, il<br />
nonno si è messo in cammino verso Cherso,<br />
pensando di salvare qualche cosa.<br />
La prima grande ferita era, trovare morto,<br />
sulle porte del suo orto, dove andava ogni mattina,<br />
il suo consuocero, il padre di mio zio<br />
Giovannin. Il signor Duncovich Zaccaria è stato<br />
colpito dagli spari venuti da Pra mentre dava<br />
da bere a un partigiano (deposizione del testimone).<br />
Lo ha portato a casa. Poi, quando è<br />
arrivato a vedere la propria casa che ancora<br />
bruciava, che ancora bruciavano non aveva<br />
cosa salvare. Abbiamo perduto tutto.<br />
Dopo i giorni della tragedia, quando si è<br />
spento il fuoco, ricordo, tutti noi ex abitanti stavamo<br />
a scavare tra le macerie per trovare qualcosa...<br />
ma niente, un secchiello di rame, bartuelle,<br />
chiodi.<br />
Le case bruciate apparivano come fantasmi,<br />
dai muri, dai soffitti piccavano i famosi cavi<br />
e si dondolavamo (erano grigi e dentro perle<br />
color d’avorio). Vede. Perché anche se è passato<br />
mezzo secolo, anche se piccola questi<br />
eventi mi sono davanti gli occhi.<br />
Le ferite sono guarite ma i ricordi restano e<br />
se si può è bene tante cose sapere.<br />
Lei mi chiede.... come mai vengono chiesti<br />
lumi sul 20.IV agli «andati» senza aver mai<br />
chiesto ai «rimasti» che fra di loro ci sono<br />
ancora coloro che quella mattina indossavano<br />
la divisa fascista. Lei non sa se ai «rimasti» lo<br />
abbiamo chiesto. I «rimasti» ci hanno informato<br />
(ma ora sono morti) sul fatale cavo, come<br />
anche della benzina o nafta che si stava spargendo<br />
lungo le nostre case in quella via. Che<br />
cosa è la verità?<br />
Dunque se ancora ci sono dei volontari<br />
della compagnia Tramontana perché non ci<br />
darebbero delle informazioni. Io non le so. Se<br />
Lei li conosce mi faccia il favore di farmi conoscere<br />
qualcuno con cui possa parlare. Lei sa<br />
che anche i tedeschi avevano sede in quella<br />
via in casa Augustoni e in asilo?<br />
Dunque niente categoricamente si può<br />
confermare senza avere una vera risposta da<br />
coloro che hanno partecipato al fatto.<br />
Chiedo scusa ai lettori per aver sbagliato<br />
qualche cognome degli inquilini delle case bruciate.<br />
Ripeto abitavano le famiglie: Augustoni-<br />
Bacchiaz, Bravdica (kokica), Fucic (boxer)<br />
Tonin e Mirjam, Coglievina Attilio, Toich (Toini)<br />
Pietro e Zic (Ziz) Giovanna (Nina), Duilli (paron<br />
Nane).<br />
In quella schiera sono rimaste intatte la<br />
case Chialina e Minutti.<br />
Forse era il destino prima le bombe e poi<br />
la fiamme.<br />
Le guerre fanno errori. Lasciano traumi.<br />
Ognuno qualcosa subisce, perde.<br />
Ma dopo tanti anni la verità sarebbe bene<br />
sapere e no soli certe cose categoricamente<br />
confermare e così dare informazioni sbagliate.<br />
Infine, voglio fare una correzione. Non è<br />
vero che si cambia la storia se si dice TRA-<br />
VANJ invece di april perché il mese è uguale.<br />
Dunque 20 april è uguale 20 travanj. Ogni<br />
paese ha la sua lingua ufficiale e così in<br />
Croazia nei posti pubblici si scrive i nomi (in<br />
America Giovanni è John, in Croazia Ivan, in<br />
Istria Zvane, a Cherso Zuva). Il nostro Pra<br />
resta sempre per noi chersini Pra ma ha il suo<br />
nome 20 travnja.<br />
Senza nessun rancore, amici come prima.<br />
Voglio e vogliamo bene a Cherso e a tutti i<br />
Chersini andati e rimasti ed oggi anche i venuti<br />
perchè si sono assimilati e abbiamo famiglie<br />
miste come da per tutto.<br />
Spero che un giorno sarà qualcuno che si<br />
ricorderà e ci parlerà ancora qualcosa su questo<br />
argomento.<br />
Marija Zic in Rogic<br />
RISPOSTA ALLA PAGINA SEGUENTE
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Gentile Signora<br />
Alla Sua “lettera firmata”, pubblicata<br />
senza nome, ho risposto esaurientemente<br />
quale direttore del giornaletto nominato nel<br />
frattempo. Quanto da me scritto ha preciso<br />
riferimento alla Sua domanda che espressamente<br />
dichiarava di non volere la risposta<br />
che ho dato io. Lei comunque ha chiesto chi<br />
ha dato fuoco alle case che tutti sanno essere<br />
bruciate. La replica non aggiunge alcuna<br />
novità perché Lei insiste a dire che ha visto<br />
l’incendio, non che ha visto chi ha incendiato.<br />
Si sarebbe aspettata risposte di persone<br />
più anziane! Non Le è bastata la signora<br />
Miriam che ha una ventina di anni più di Lei e<br />
poco meno più di me?<br />
Sul consuocero di Suo nonno, che Lei ci<br />
tiene a precisare “colpito dagli spari venuti da<br />
Prà mentre dava da bere a un partigiano<br />
(deposizione del testimonio)” e che è un<br />
argomento nuovo, estraneo all’incendio delle<br />
case, non intendo trattare in pubblico perché<br />
è un fatto personale che oltretutto riguarda<br />
direttamente una famiglia alla quale mi legano<br />
rapporti fraterni da un quarantennio, come<br />
Lei ben sa.<br />
Dato che Lei ha voluto però essere particolarmente<br />
precisa anche nel dettaglio,<br />
posso anticiparLe, a puro titolo di Sua ulteriore<br />
informazione, che l’atto di morte è stato<br />
formulato proprio da mio padre, appositamente<br />
chiamato perché titolare dell’Ufficio<br />
La nostra Comunità ricorda chi ci ha lasciato<br />
Silvani P. Stefano a Camposanpiero il 23.05.04 a 90 anni<br />
Missinich Giuseppe a Montreal (Canada) il 21.12.04 a 92 anni<br />
Pavan Vittorio (Rino) in Australia il 06.03.05 a 82 anni<br />
Bunicci Giorgio a Brisbane (Australia) il 16.03.05 a 78 anni<br />
Gropuzzo Crivellari Concetta a Trieste il 03.04.05 a 85 anni<br />
Malusà Mary a Chioggia (VE) il 12.04.05 a 88 anni<br />
Chersini Cimegotto Annamaria a Venezia il 14.04.05 a 70 anni<br />
Ci giunge da Cherso segnalazione dei seguenti deceduti nell’ultimo semestre:<br />
Cucic Albina il 10 dicembre 2004 a 90 anni<br />
Toich in Duncovich Maria il 26 dicembre 2004 a 90 anni<br />
Muscardin in Negovetich Maria il 17 gennaio <strong>2005</strong> a 75 anni<br />
Ferlora in Rodinis Giannina il 2 febbraio <strong>2005</strong> a 56 anni<br />
Culjanic Ana il 8 febbraio <strong>2005</strong> a 74 anni<br />
Velcich Antonio il 16 febbraio <strong>2005</strong> a 79 anni<br />
Negovetich in Justin Marisa (Marcovunca) il 21 febbraio <strong>2005</strong> a 71 anni<br />
Comunità Chersina<br />
31<br />
Comunale d’Anagrafe e Stato Civile. Se lo<br />
vorrà potremo parlarne a Cherso fra qualche<br />
mese.<br />
Quanto al “20 aprile” cambiato in “20<br />
travnja”, mi stupisce che non abbia inteso l’ironia<br />
e si sia preoccupata di erudirmi come fa<br />
la maestra ad un bambino di prima elementare.<br />
Il problema è molto più complesso di<br />
quanto Lei creda perchè riguarda il fenomeno<br />
della pulizia etnica passato al suo secondo<br />
momento, quello della arbitraria purificazione<br />
linguistica operata dentro una stessa etnia.<br />
Ed è vero che gli Europei che prima capivamo,<br />
ora non capiscono più.<br />
Gigi Tomaz<br />
DUNCOVICH MARIA -<br />
ROSSA<br />
nel ricordo dei familiari<br />
e degli amici<br />
Il cammino della “Rossa” è giunto<br />
al termine il 26 dicembre 2004. E’<br />
mancata serenamente malgrado le<br />
sofferenze degli ultimi anni. Nata a<br />
Cherso il 12 settembre 1914, vi ha<br />
sempre vissuto, fortemente legata<br />
alle sue origini e tradizioni. Spettatrice<br />
e attrice della travagliata storia dell’isola<br />
per quasi un secolo, era punto di<br />
riferimento e memoria storica per<br />
quanti vi fossero tornati dopo periodi<br />
di esilio. Con il suo sorriso accogliente<br />
e una battuta in dialetto chersino, ti<br />
faceva sempre sentire a casa tua da<br />
qualunque parte arrivassi. Dedita alla<br />
famiglia per la quale ha vissuto, lascia<br />
un grande vuoto tra di noi mentre<br />
accolta dal cielo sempre ci proteggerà<br />
e ci guiderà.<br />
La figlia, Gianna Duncovich Giacometti,<br />
per la famiglia
32 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
GIORGIO BUNICCI<br />
Cherso 11.01.1927<br />
Brisbane (Australia)<br />
16.03.<strong>2005</strong><br />
Un altro figlio della<br />
nostra cara Cherso<br />
ci ha lasciati.<br />
Dopo un viaggio non<br />
sempre facile per le<br />
strade del mondo,<br />
ha raggiunto la pace eterna lasciando<br />
nel dolore l’affettuosissima figlia ed i<br />
famigliari tutti. Lo sradicamento dalla<br />
propria terra è sempre stato come una<br />
spina, che gli faceva male al cuore.<br />
Gli amici e quanti gli volevano bene,<br />
gli rivolgano un pensiero ed una preghiera.<br />
MERY MALUSÀ PENZO<br />
E’ passata a miglior vita a<br />
Chioggia, il 12 aprile <strong>2005</strong>, a 88 anni,<br />
la chersina Mary Malusà, maestra elementare<br />
in pensione, pittrice, vedova<br />
di un pittore. Prima dell’esodo viveva<br />
a Pola coi genitori, la sorella ed il fratello<br />
ingegner “Tono”.<br />
ANNAMARIA CHERSINI<br />
CIMEGOTTO<br />
Ci ha lasciato a Venezia Annamaria<br />
“Furlana” che aveva ereditato il<br />
soprannome dalla madre che tutti i<br />
vecchi chersini ricordano. Era una<br />
delle animatrici della classe 1935 e<br />
dei famosi incontri annuali. Laureata<br />
in psicologia aveva ricoperto importanti<br />
incarichi statali ed ha esercitato<br />
anche la libera professione.<br />
NORDIO ALBANO<br />
E’ deceduto in un incidente<br />
d’auto a Steinfurt<br />
(Germania), dove si era<br />
recato per trascorrere le<br />
feste natalizie col figlio e la<br />
sua famiglia, colà residente.<br />
Aveva 74 anni.<br />
C’eravamo visti<br />
l’ultima volta a<br />
Cherso ad agosto<br />
alla fine della sua villeggiatura. Nel salutarci<br />
gli avevo espresso l’augurio di rivederci<br />
alla prossima estate. Ed Albano,<br />
commosso con gli occhi lucidi come ad<br />
ogni sua partenza, aveva detto Che Dio<br />
ce la mandi bona. Purtroppo non è<br />
andata così.<br />
Albano Nordio nato e residente a<br />
Chioggia amava Cherso ed i chersini<br />
oltremodo e ne era altresì ricambiato; l’avevamo<br />
eletto nostro concittadino, era<br />
diventato, come diciamo noi, un comacese.<br />
Era il chersino-chioggiotto, o se<br />
vogliamo invertire i termini di cittadinanza,<br />
il chioggiotto-chersino più benvoluto<br />
dalla comunità. Persona generosamente<br />
capace di amicizia e simpatia faceva<br />
parte da tempo del nostro gruppo estivo;<br />
era il caratterista della compagnia. Noi<br />
con Albano e c’era l’allegria, la spensieratezza,<br />
la leggerezza delle cose semplici,<br />
lo stupore per l’incredibile stravaganza.<br />
Ora mi piace soffermarmi sull’argomento<br />
il più ricorrente nell’intrattenimento<br />
con Albano: la gastronomia. Ogni mattino,<br />
all’ora del caffé al solito bar sotto al<br />
campanile si teneva l’interrogazione ad<br />
Albano sul suo menù giornaliero, in quel<br />
momento già possibile perché egli aveva<br />
già predisposto ed in parte cucinato sia il<br />
pranzo che la cena. Albano, stimolato e<br />
gratificato dalle nostre domande, non si<br />
limitava ad un semplice elenco, ma con<br />
parole solo sue e tratteggi pittoreschi<br />
argomentava su alimenti, aromi, sapori e<br />
condimenti componendo un pezzo scenico<br />
fresco e croccante che andava a<br />
saziare, a noi digiuni, la voglia dell’iniziale<br />
allegria della giornata.<br />
La pasta alimentare, la bistecca volta<br />
e gira, il filetto in umido, i pomodori<br />
‘conzi’, i lovi lessati sono diventati ormai<br />
leggenda. Le sue tesi sulla cottura della<br />
pasta erano alquanto personali e stravaganti.<br />
Cucinava gli spaghetti per diciotto<br />
minuti. Usava pochissimo la pasta corta<br />
e grossa perché diceva che lo spazio tra<br />
il pranzo ed il suo andare ai bagni di<br />
Chimen era esiguo ed il tempo di cottura<br />
dei rigatoni, quaranta minuti, gli precludeva<br />
l’agio del sacro ed abituale riposo<br />
pomeridiano, preferendo lui senza alcun<br />
dubbio al gusto alimentare il ristoro sonnolento.<br />
Il suo provveditore del pesce<br />
era Nini Peranovich. Lo riforniva di freschezza,<br />
ma Albano molto spesso saltava<br />
questa qualità e conservava il pesce<br />
sino al limite della commestibilità, mosso<br />
non da negligenza, ma da sentimento<br />
perché desiderava assaporare il piacere<br />
del possesso ed allontanare il dispiacere<br />
della distruzione di quel bene pensiero<br />
del suo grande amico.<br />
Io, suo assiduo ed attento uditore<br />
delle cose culinarie, lo portavo spesso su<br />
un argomento il cui ascolto mi faceva<br />
provare sempre piacevoli emozioni; il<br />
tema era l’opera di bonifica dell’indigesto<br />
cetriolo. Sentenziava Albano che per<br />
rendere questo ortaggio appetibile bisognava,<br />
dopo averlo sbucciato, inciderlo<br />
con i rebbi di una forchetta in senso longitudinale<br />
ed in superficie in modo da<br />
provocare la fuoriuscita dell’ acido malsano.<br />
Così liberato il cetriolo era digeribile<br />
come una patata qualsiasi. La bellezza<br />
nell’esposizione di Albano stava nel<br />
fatto che lui per dare più potere alla parola<br />
accompagnava alla descrizione orale<br />
quella gestuale. Ed ecco allora che mentre<br />
parlava sollevava la mano sinistra,<br />
chiusa come a trattenere il cetriolo poi<br />
avvicinava al pugno l’altra mano, la muoveva<br />
con le dita, ossute ed inanellate,<br />
disposte come pronte a graffiare. Allo<br />
stesso tempo apriva bene la bocca, serrava<br />
i denti e li digrignava nervosamente<br />
così che la capsula incisiva nella sua<br />
bocca emanava una luce opaca non<br />
potente ed era la stessa luce metallica<br />
che mi sembrava di vedere erogata dai<br />
denti dell’immaginaria forchetta stretta<br />
nella sua mano destra.<br />
Le capacità culinarie di Albano erano<br />
alquanto modeste, ma ciò non ha importanza.<br />
Io lo vedo Albano d’estate, nella<br />
sua cucina, curvo, in posizione scomoda,<br />
sopra il suo piccolo fornello a bombola<br />
a due soli fuochi, grondante non sudore,<br />
ma amore e passione, intento a preparare<br />
il quotidiano che doveva andare a<br />
soddisfare in tutti i sensi, non solo quello<br />
gustativo, la sua adorata Carmen. E si<br />
può dire che nascean leccornie.<br />
Albano diceva sempre Cherso è il più<br />
bel paese del mondo, ma il clima è troppo<br />
freddo ed il mare è sempre ghiacciato;<br />
quel mare di Chimen che poteva<br />
bagnare le sue caviglie solamente nelle<br />
giornate più afose. Amava il caldo ed è<br />
andato a morire nella gelida Germania<br />
complice una lastra di ghiaccio.<br />
Spesso diceva Quando morirò voglio<br />
essere sepolto a Cherso e per il mio<br />
funerale voglio un carro tirato da quattro<br />
cavalli bianchi. Ed a noi che per canzonarlo<br />
gli ricordavamo che a Cherso c’era<br />
un solo cavallo, quello di Tonin<br />
Scalamera accudito da Balde e che tra<br />
l’altro non era nemmeno bianco, ribatteva<br />
con forza Magari con un caval solo<br />
ma sempre a Cherso voglio essere<br />
sepolto.<br />
Pino Donvio
<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Comunità Chersina<br />
GRAZIE PER I VOSTRI CONTRIBUTI<br />
Dall’Italia: Conto Corrente Postale: 11338340, intestato a: Soc. Francesco Patrizio della Comunità Chersina - Via Belpoggio, 29/1 - 34123 Trieste<br />
Dall’Estero: Bonifico bancario o postale, a seconda degli Stati, sul c/c 11338340, CAB 12400, ABI 07601,<br />
intestato a: Soc. Francesco Patrizio della Comunità Chersina - Via Belpoggio, 29/1 - 34123 Trieste<br />
Albano Giovanni e 10,00<br />
Anelli Carmen e 10,00<br />
Antonini Antonio e 20,00<br />
Asta Flavio e 15,00<br />
Baici Maria in memoria dei defunti delle famiglie Baici e Verbas e 15,00<br />
Baicich Atonia e Duilio in memoria di Saganich Antonio e<br />
Vitich Antonio, Velcich Antonio e 20,00<br />
Bandera Gianfranco e 15,00<br />
Bandera Gianni e 10,00<br />
Bandera Giorgio e 10,00<br />
Bandera Maria e 10,00<br />
Banic Franco e 20,00<br />
Barulich Rocconi Fabia in memoria dei propri defunti e 10,00<br />
Bassanese Rosa e 10,00<br />
Bellemo Maria Vittoria e 15,00<br />
Bellussi Arianna e 20,00<br />
Benussi Ilda e Giuliano e 20,00<br />
Benvin Giovanni e 30,00<br />
Benvin Nino Ivan e 20,00<br />
Bertotto Ancella in ricordo della mia infanzia nella amata Cherso e 20,00<br />
Bertotto Filardi Etta e 25,00<br />
Bertotto Iginia in memoria del marito Franco e<br />
della mamma Duornicich Antonia e 50,00<br />
Biaggini Francesco in ricordo di Aurelia Stefani e 50,00<br />
Biaggini Giuseppe e 20,00<br />
Biaggini Maria e 10,00<br />
Bommarco Francesco e 50,00<br />
Bommarco Gianna per ricordare i propri defunti e 50,00<br />
Bon Domenico e 50,00<br />
Bon Edi e 10,00<br />
Boni Domenico e 20,00<br />
Bortulin Giovanni e 10,00<br />
Bortulin Riccardo e 10,00<br />
Bortulin Sergio e 10,00<br />
Bossi Franco in memoria della mamma Nives e<br />
nonna Mercedes Borri e 30,00<br />
Bossi Rosa Mercedes in memoria della madre Nives Borri e<br />
della nonna Mercedes Borri e 30,00<br />
Bradizza Giacomina e Sablich Francesco e 10,00<br />
Bravuzzo Antonio in ricordo dei miei cari e 20,00<br />
Butkovich Bruna in memoria del marito Karl e 28,00<br />
Camali Antonio e 50,00<br />
Capitanio Arnaldo e 5,00<br />
Capitanio Luciano e 10,00<br />
Capitanio Paolino e 10,00<br />
Castellan Negovetti Maria a memoria e riconoscenza del<br />
Vescovo P.V. Bommarco e 30,00<br />
Castellan Piero e Meri e 20,00<br />
Castelli Fulvio e 20,00<br />
Ceglian Francesco e 30,00<br />
Chersi Adriana e 10,00<br />
Chersi Mariuccia in ricordo dei genitori e 15,00<br />
Coglievina Annamaria in memoria di Tonci e Tonina e 20,00<br />
Coglievina Antonio in memoria dei genitori e 30,00<br />
Coglievina DaSantis Gianninain memoria dei cugini Tonin,<br />
Nives, Uccio Borri e Nini Padovan e 20,00<br />
Colombis Glauco e 30,00<br />
Conte de Falco Ester e 20,00<br />
Craglietto Giuseppe e 30,00<br />
Crivellari Beatrice e 15,00<br />
Crivellari Nives in memoria del fratello Matteo Crivellari e 30,00<br />
Crivici Donato e 20,00<br />
Crusi Maria e Gianna pro stampa ed in memoria di<br />
33<br />
Mons. P. Vitale Bommarco e 100,00<br />
Crusi Meri in memoria di Domenico e 20,00<br />
De Petris Giannella e Mariuccia e 25,00<br />
De Petris Giovanni e 40,00<br />
Desco Francesco (Chicago) in memoria dei fratelli Miro e Rocco e 50,00<br />
Diacci Giovanni in memoria di Giovanna Diacci e 10,00<br />
Doimi Nicolò e 10,00<br />
Don Dario Pavlovich in memoria di Mons. Bommarco e 100,00<br />
Donaggio Antonio in memoria dei propri cari defunti e 50,00<br />
Donvio Antonia e 25,00<br />
Duncovich Gianna in memoria della mamma<br />
Maria Duncovich (Rossa) e 100,00<br />
Dvornicich Dino e 20,00<br />
Fattuta Sergio in memoria del papà e nonni Fattuta Nicolò e 20,00<br />
Filardi Nuccia e 20,00<br />
Filipas Giuseppe in memoria dei propri defunti e 100,00<br />
Filippas Maria e 30,00<br />
Filippas Stefano in memoria dei defunti e di Mons. Bommarco e 20,00<br />
Fillini Bruno e 50,00<br />
Fillini Don Antonio e 50,00<br />
Fillini Luigi e 30,00<br />
Fucci Miriam in memoria del marito Tonin e 50,00<br />
Fuccini Claudio e 20,00<br />
Fucich Elena e 15,00<br />
Gamba Eugenio in memoria dei propri defunti e 25,00<br />
Glavich Gina ricordando la cara mamma Smundin Giovanna e 15,00<br />
Glavina Pugiotto Antonia e 30,00<br />
Grisan Sciucca Corinna in memoria dei propri genitori e 15,00<br />
Grus Pia e 10,00<br />
Hovrich Corsano Rosa e 10,00<br />
Hovrich Giovanni e 10,00<br />
Ianotta Tullia e 20,00<br />
In memoria di Bellemo Laura il marito e 50,00<br />
Kolmann Nelli e 10,00<br />
Lemessi Maria Fiorenza e 100,00<br />
Lemessi Maria Luisa e 100,00<br />
Linardi Andrea e 30,00<br />
Malatestinic Edi e 10,00<br />
Manzardo Antonio e Luciana e 25.00<br />
Manzardo Mario e 20,00<br />
Maracich Renato e 30,00<br />
Mauri Lucia e 20,00<br />
Maver Guerrino ed Etta in ricordo dei propri defunti e 30,00<br />
Mazzoni Marzio in memoria di Padre Bommarco e 100,00<br />
Medarich Giuseppe in memoria della moglie Maria Jacuzzi e 50,00<br />
Merlin Maria Giustina in memoria della mamma Nina,<br />
di zia Sandra e dei defunti della famiglia Chersi e 30,00<br />
Mese Alice pro stampa a favore del fratello Pino Mese e 20,00<br />
Michicich Giorgio e 15,00<br />
Miletto Bracco Fulvia e 20,00<br />
Minutti Cesira e 20,00<br />
Mitis Mirella dalle sorelle Mitis pro stampa e 20,00<br />
Mitis Nives per ricordare Aurelia Stefani e 30,00<br />
Mocolo Anna Maria e 10,00<br />
Mocolo Benita in memoria dei propri defunti e 20,00<br />
Mocolo Bomitali Augusta in ricordo del marito Rino e 20,00<br />
Mocolo Bruna in memoria di Giacomo e 30,00<br />
Mocolo Devita Ettuccia e 20,00<br />
Mocolo Giuseppe (Pepi) e 20,00<br />
Mohovich Giovanni e 10,00<br />
Mohovich Romano e 10,00<br />
Moise Francesco e Carmen in memoria di Gian Virgilio Bommarco e 50,00<br />
Montanari Maria e 24,00
34 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />
Moritz Gemma in memoria del padre Felice e<br />
dei fratelli Fausto e Antonio e 50,00<br />
Moritz Sauli Aurora in memoria del marito Felice e<br />
figli Fausto e Antonio improvvisamente<br />
mancato il 06-02-05 e 50,00<br />
Muscardin Piero e Ferlora Gina per il 30° anniversario della morte<br />
della madre Maria Ferlora e 30,00<br />
Muscardin Toich Emilia in memoria del marito Raffaele e 20,00<br />
Nalon Silvano e 20,00<br />
Negovetich Giorgio e 10,00<br />
Negovetti Maria e 20,00<br />
Negovetti Mario e 20,00<br />
Nevio Federico e 15,00<br />
Nuclich Nino e 25,00<br />
Orlich Nicolò ed Etta e 30,00<br />
Orlini Bonato Giannina e 50,00<br />
Ottoli Giovanni e 15,00<br />
Ottulich Maria Bolletti e 10,00<br />
Pavan Romano e 20,00<br />
Pellegrini Paolo e Anna in memoria dei genitori e 40,00<br />
Petrani Silvano e 50,00<br />
Petronio Malisana Alessandra e 20,00<br />
Piccini Pina e Antonio e 20,00<br />
Piovesan Andrea e 200,00<br />
Pittalis Marisa e Luciano in memoria dei propri cari e 50,00<br />
Poldrugo Etta ed Etto e 15,00<br />
Poldrugo Giovanni e 25,00<br />
Prettegiani Nancy e Nives in memoria dei propri defunti e 25,00<br />
Pugiotto Antonio e Liliana e 15,00<br />
Pussini Clara e<br />
Mariuccia Orlando in ricordo della carissima zia<br />
Lydia Capponi ved. Colombis e 50,00<br />
Qualizza Don Maurizio in memoria di P.V. Bommarco Arcivescovo e 100,00<br />
Rocchi Giuseppe e 25,00<br />
Roghich Francesco e 20,00<br />
Romanin Clappis Aida e 20,00<br />
Rossi Nini e Anna in memoria dei nostri cari e 20,00<br />
Rupnik Meri e 25,00<br />
Sablich Antonio e Gianpaolo e 30,00<br />
Sablich Tonina in memoria del marito Giacomo (Rosolio) e 20,00<br />
Saganich Sablich Maria e 10,00<br />
Santulin Tonina e 15,00<br />
Schelchter Anna Maria e 15,00<br />
Selva Carolina in memoria di Mario e Giuseppe Fatutta e 20,00<br />
Sepci Nives per onorare la memoria di S.E.Arc.Bommarco e 50,00<br />
Solis Cattich Marina in ricordo dei miei cari e 30,00<br />
Solis Vittorio in memoria dei propri defunti e 20,00<br />
Sorella e fratelli Bunicci in memoria del fratello Giorgio e 100,00<br />
Sovich Matteo e Luisella e 20,00<br />
Stagni Mons. Giuseppe e 25,00<br />
Stefani Antonella e 50,00<br />
Stefani Antonio in memoria di P.A.V.Bommarco e 50,00<br />
Stefani Giorgio e Fulvia in memoria della zia Aurelia e 100,00<br />
Stuparich Livio e 20,00<br />
Sucich Guido in memoria dei miei genitori e 25,00<br />
Suor Cuglianich Giannantonia e 20,00<br />
Suor Giuseppina Bacchia e 15,00<br />
Surdich Bruno e 30,00<br />
Surdich Bruno e 30,00<br />
Surdich Francesco e 25,00<br />
Suriani Antonia e 15,00<br />
Taborra Oscar e 10,00<br />
Terdossi Antonio in memoria dei propri cari e 50,00<br />
Toffani Giovanna ved.Viduli e 25,00<br />
Toich Meri e 15,00<br />
Torcolini Francesco e 50,00<br />
Trapani Nina e Maria Pia e 100,00<br />
Valentin Marcucci Giovanna in memoria del marito Franco Marcucci e 30,00<br />
Verani Leone Graziella in memoria della mamma Giovanna Tonetti e 30,00<br />
Verbas Elena offerta sorelle Verbas e 50,00<br />
Vezzani Ausilia – Beggio Emilia e 10,00<br />
Vidinich don Antonio e 20,00<br />
Vlacancich Florio e 20,00<br />
Vlacancich Tarcisia e 25,00<br />
Vodarich Antonio e 25,00<br />
Winter Stefani Nives in memoria della cognata Aurelia e 100,00<br />
Zaccaria Godina Laura in memoria dei propri defunti e 20,00<br />
Zar Antonio e 50,00<br />
Zennaro AnnaMaria e<br />
Concettina in ricordo di Solis Concetta e Zennaro Giuseppe e 20,00<br />
Zmarich Nori in ricordo di Giovanna Petrani e<br />
Aurelia Stefani, amiche carissime e 30,00<br />
Zorich Dora e 10,00<br />
Zucchi Dorita e 20,00<br />
Zulini Roberto e 15,00<br />
Bandera Domenico pro stampa $ USA 20,00<br />
Bandera Nick “ « 20,00<br />
Bandera Vittorino “ « 20,00<br />
Bassi Etta “ « 10,00<br />
Bassi Santo e Anna “ « 15,00<br />
Bon John “ « 20,00<br />
Bunicci John per ricordare i propri cari « 167,00<br />
Cacchioli Fornarich Atonia in memoria di Giuseppe « 20,00<br />
Castellan Piero pro stampa « 20,00<br />
Castellan Tonin e Nadia in memoria dei genitori « 42,00<br />
Coglievina Antonio pro stampa « 30,00<br />
Cralli Giuseppe “ « 20,00<br />
Cremeni Italo in memoria dei genitori « 20,00<br />
Cugliani Antonio “ « 50,00<br />
D’Antoni Claudio “ « 20,00<br />
Diacci Maria in memoria del marito Antonio « 30,00<br />
Dumicich Piero in memoria di Graziella « 15,00<br />
Fermeglia Cellani Laura pro stampa « 30,00<br />
Gallosich Vitich Laura in memoria dei propri cari « 30,00<br />
Jelencovich Bruno e Laura in memoria dei famigliari Nicola e Atonia Milusich « 20,00<br />
Jurasich Vito pro stampa « 20,00<br />
Jurassi Domenico “ « 20,00<br />
Kastellan Franco “ « 10,00<br />
Kucica Tony “ « 20,00<br />
Michicich Antonio “ « 20,00<br />
Miss Giusto e Maria “ « 20,00<br />
Mocolo Carmela “ « 10,00<br />
Negovetti Antonia “ « 20,00<br />
Padjen Petar “ « 20,00<br />
Perovich Fabiano “ « 20,00<br />
Pendivoi Anna “ « 20,00<br />
Purich Giuseppe “ « 100,00<br />
Romita Giorgio “ « 20,00<br />
Sabini Matteo e Vittoria “ « 20,00<br />
Sablich Giorgio “ « 10,00<br />
Sepci Matteo “ « 100,00<br />
Sintich Domenico “ « 20,00<br />
Spadoni Nicolò & Elisabetta “ « 20,00<br />
Sucich Maria “ « 20,00<br />
Vala Rosario “ « 30,00<br />
Velcic Dino “ « 20,00<br />
Velcich John “ « 20,00<br />
Verbas Maria “ « 20,00<br />
Verbora Giuseppe “ « 10,00<br />
Viti Stefano “ « 30,00<br />
Zorovich Nori e Jaco “ « 30,00<br />
Associazione S.Maria $ Australiani 50,00<br />
Battaia Giacomo “ « 30,00<br />
Bradizza Nello “ « 20,00<br />
Perovich Anna e Piero “ « 30,00<br />
Perovich Gino “ « 20,00<br />
Velcich Giovanni “ « 50,00<br />
Velcich Daniele “ “ « 30,00<br />
Zec Antonio “ « 50,00
Sintesi del verbale<br />
del Consiglio Direttivo dell’Associazione<br />
Cervignano, 5 febbraio <strong>2005</strong><br />
Sono presenti: Carmen Palazzolo Debianchi, Delia Bommarco, Luigi<br />
Tomaz, Francesco Moise, Luigi Bommarco in qualità di Tesoriere<br />
Viene letto ed approvato, con qualche leggera modifica, il verbale della<br />
seduta precedente.<br />
Viene discusso il bilancio preventivo <strong>2005</strong>, specificando il programma<br />
delle attività per l’anno <strong>2005</strong>, che prevede la pubblicazione di tre numeri<br />
di Comunità Chersina, l’organizzazione del Raduno annuale e della festa<br />
del Santo Patrono, la pubblicazione dell’opera omnia di Aldo Policek - di<br />
cui si occuperà Gigi Tomaz - e la pubblicazione di un libro di poesie di<br />
Meyra Moise.<br />
Il Raduno <strong>2005</strong> avrà luogo ad Aquileia domenica 29 maggio. Se ne discutono<br />
gli aspetti organizzativi. Nella medesima sede e data si terrà<br />
l’Assemblea Generale dei soci prevista dallo statuto della società<br />
“Francesco Patrizio della Comunità Chersina”, della quale viene predisposta<br />
la convocazione col relativo ordine del giorno.<br />
Gigi Tomaz sta ultimando le pratiche necessarie per diventare a tutti gli<br />
effetti Direttore responsabile della nostra pubblicazione.<br />
Vengono discusse le modalità di adesione a cui dobbiamo attenerci per<br />
entrare nell’Associazione delle Comunità Istriane, soffermandoci soprattutto<br />
sui cambiamenti che questo comporta per la nostra struttura organizzativa<br />
e statutaria.<br />
La copia integrale del verbale è depositata presso la sede della società; gli interessati possono prenderne<br />
visione previo appuntamento telefonico col Presidente o il Segretario.<br />
GITA A CHERSO E NEI SUOI VILLAGGI<br />
Giovedì 8 / lunedì 12 settembre o<br />
Giovedì, 22 settembre <strong>2005</strong><br />
Ore 09.15 – ritrovo davanti alla Stazione Centrale delle FF SS di Trieste<br />
Ore 09:30 – partenza<br />
In mattinata arrivo a Montona, visita del paese e pranzo<br />
Nel pomeriggio arrivo a Cherso, sistemazione e cena all’Hotel Kimen<br />
COMUNICAZIONI<br />
Il 15 maggio <strong>2005</strong> è il termine per l’invio di<br />
materiale per la pubblicazione sul prossimo<br />
numero del giornale, da spedire a Tomaz<br />
Luigi, viale Stazione, 23/b – 30015 Chioggia<br />
(VE) o a Bommarco Delia, via Giulio<br />
Camper-Barni, 14 – 34135 Trieste.<br />
XXIX RADUNO ANNUALE e ASSEMBLEA<br />
GENERALE: Aquileia, domenica 29 maggio<br />
<strong>2005</strong><br />
Programma in 1a pag. di copertina. Si raccomanda<br />
vivamente di prenotare l’eventuale<br />
pernottamento telefonando all’albergo;<br />
il pranzo telefonando a C. Palazzolo, tel. n.<br />
040 395942 / 339 6483874 o a D.<br />
Bommarco, tel. n. 040 412606 / 360 250611.<br />
GITA A CHERSO: Giovedì, 8.9 / lunedì,<br />
12.9.<strong>2005</strong> – Programma di massima in<br />
questa pagina<br />
AVVENIMENTI LIETI E TRISTI: Noi diamo<br />
notizia di quelli che veniamo a conoscenza<br />
attraverso parenti, amici, stampa ma i nostri<br />
lettori possono segnalarci quelli che ritengono<br />
degni di pubblicazione e – compatibilmente<br />
con lo spazio a disposizione –<br />
cercheremo di inserirli sul giornale.<br />
Si propone, facendo base a Cherso, una visita guidata della stessa ed escursioni giornaliere a<br />
Lubenizze, Caisole, Ossero, Santuario di Loze, Lussinpiccolo e Lussingrande - a seconda<br />
delle richieste e degli interessi dei partecipanti - per cui il programma verrà messo a punto<br />
assieme ad essi durante il viaggio di andata. Se il tempo lo consentirà, si potranno prevedere<br />
anche una o due mezze giornate per fare il bagno.<br />
Il viaggio si svolgerà in autocorriera; i pernottamenti, le cene e le prime colazioni si faranno<br />
all’Hotel Kimen di Cherso; il pranzo sarà consumato nel luogo prescelto per la gita giornaliera.<br />
Costo previsto: e 350,00 a persona in stanza doppia - e 390,00 a persona in stanza singola.<br />
Il pagamento sarà effettuato al capogita durante il viaggio di andata.<br />
Le prenotazioni devono essere effettuate entro il 31 agosto al n. di tel. 040 395942 – 339<br />
6483874<br />
La gita si effettuerà soltanto se ci saranno almeno 30 prenotazioni .
La fotografia, spedita da Tonina Santulin, documenta la Peschera col pontile, il Macello e un altro magazzino che non esistono più.<br />
Le persone nella barca sono, da sinistra: Etta Ossolgnak, Etta Ferrari, Ettuccia Moccolo e Licia Policek, Nicolò Orlich, Nicolò Spadoni, Marina Solis,<br />
Maria Fatutta, Annamaria Donvio.