Aprile 2005 n. 73 - Comunitachersina

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APRILE 2005 Sped. in abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Trieste - Quadrimestrale n. 73 – Iscritto al n. 718 del Registro Giornali e Periodici del Tribunale di Trieste – 26.01.1988 – Editore: Società Francesco Patrizio della Comunità Chersina - ONLUS fotografia di Marco Lemessi XXIX RADUNO ANNUALE della Società F. Patrizio della Comunità Chersina Aquileia, domenica 29 maggio 2005 P R O G R A M M A Ore 09:30 Ritrovo ad Aquileia nel piazzale antistante la Sala Romana per la registrazione dei partecipanti Ore 10:00 / 12:15 Assemblea Generale nella Sala Romana Ore 12:30 Santa Messa nella Basilica attigua Ore 13:30 Pranzo all’Hotel Patriarchi, via G. Augusta n. 12 Le prenotazioni sono obbligatorie e devono essere fatte entro il 10 maggio - per il pranzo, telefonando ai n. 040 395942 – 339 6483874 - per il pernottamento del 28 maggio direttamente all’Hotel Patriarchi, via G. Augusta, 12 – 33051 Aquileia (UD), tel. 0431 919595 – fax 0431 919596 Costo del pranzo e 23,00 a persona - Stanza singola con prima colazione e 46,00 – doppia con prima colazione e 76,00 Sono invitati a partecipare tutti i chersini sparsi per il mondo, i loro discendenti e amici, gli esuli appartenenti alle altre comunità e, in particolare, quelli della comunità di Lussino e dei relativi villaggi.

APRILE <strong>2005</strong><br />

Sped. in abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Trieste - Quadrimestrale n. <strong>73</strong> – Iscritto al n. 718 del Registro<br />

Giornali e Periodici del Tribunale di Trieste – 26.01.1988 – Editore: Società Francesco Patrizio della Comunità Chersina - ONLUS<br />

fotografia di Marco Lemessi<br />

XXIX RADUNO ANNUALE della Società F. Patrizio della Comunità Chersina<br />

Aquileia, domenica 29 maggio <strong>2005</strong><br />

P R O G R A M M A<br />

Ore 09:30 Ritrovo ad Aquileia nel piazzale antistante la Sala Romana per la registrazione dei partecipanti<br />

Ore 10:00 / 12:15 Assemblea Generale nella Sala Romana<br />

Ore 12:30 Santa Messa nella Basilica attigua<br />

Ore 13:30 Pranzo all’Hotel Patriarchi, via G. Augusta n. 12<br />

Le prenotazioni sono obbligatorie e devono essere fatte entro il 10 maggio - per il pranzo, telefonando ai<br />

n. 040 395942 – 339 6483874 - per il pernottamento del 28 maggio direttamente all’Hotel Patriarchi, via<br />

G. Augusta, 12 – 33051 Aquileia (UD), tel. 0431 919595 – fax 0431 919596<br />

Costo del pranzo e 23,00 a persona - Stanza singola con prima colazione e 46,00 – doppia con prima<br />

colazione e 76,00<br />

Sono invitati a partecipare tutti i chersini sparsi per il mondo, i loro discendenti e amici, gli esuli<br />

appartenenti alle altre comunità e, in particolare, quelli della comunità di Lussino e dei relativi villaggi.


Sommario<br />

PADRE VITTORE MARIA CHIALINA p. 1<br />

I COMMERCI DURANTE IL PERIODO VENEZIANO p. 4<br />

GIORNO DEL RICORDO <strong>2005</strong> p. 7<br />

Esilio (poesia) p. 7<br />

L’esodo dei sacerdoti p. 8<br />

Il mio esodo p. 10<br />

CRONACHE p. 11<br />

Festa del patrono di Cherso a Trieste p. 11<br />

Festa del patrono di Caisole a Trieste p. 12<br />

Nozze d’oro e d’argento di caisolani p. 12<br />

CHERSO L’ISOLA CHE C’È p. 13<br />

Tre giornate a Smergo disturbati dalla bora p. 19<br />

Ancora «NO» al leone sulla torre p. 20<br />

A Cherso i resti della chiesa di S. Giovanni di Piazza p. 21<br />

DALLA COMUNITÀ DI LUSSINPICCOLO p. 22<br />

lettera del Segretario Responsabile dott. Favrini p. 22<br />

risposta della Presidente della Comunità Chersina p. 23<br />

risposta del Direttore del Giornale Luigi Tomaz p. 24<br />

NOTIZIE DAI CHERSINI NEL MONDO p. 25<br />

dagli Stati Uniti p. 25<br />

dall’Australia p. 26<br />

RECENSIONI p. 27<br />

PAGINA DEI LETTORI p. 28<br />

risposta del Direttore del Giornale Luigi Tomaz p. 29<br />

LA COMUNITÀ RICORDA CHI CI HA LASCIATO p. 29<br />

CONTRIBUTI p. 31<br />

Allegato a questo numero del giornale, è l’inserto contenente gli<br />

interventi di Luigi Tomaz per il Giorno del Ricordo <strong>2005</strong><br />

«I Giuliano Dalmati nella storia del confine orientale»<br />

«Prima del 1919».<br />

PRANZO DEL RADUNO<br />

San Daniele sulla Berkel<br />

Grana da scavare<br />

Seppie al sedano<br />

polpi in salsa piccante<br />

Gamberetti rucola e grana<br />

Tonné in braide<br />

Vitello tonnato<br />

Roast beef all’inglese<br />

carnaroli agli asparagi<br />

Pasta pasticciata<br />

Arista di maiale al forno con carotine<br />

Verdure grigliate<br />

Strudel di mele caldo<br />

Caffè<br />

Convocazione dell’<br />

ASSEMBLEA GENERALE<br />

della Società<br />

Francesco Patrizio della Comunità Chersina<br />

Il Consiglio Direttivo della società<br />

Francesco Patrizio della Comunità<br />

Chersina, nella seduta del 5 febbraio<br />

<strong>2005</strong>, a Cervignano del Friuli (Ud) ha<br />

deliberato – come disposto dall’art. 11/a<br />

dello Statuto – di convocare l’assemblea<br />

generale annuale dei soci ad<br />

Aquileia, domenica 29 maggio <strong>2005</strong>,<br />

alle ore 8:00 in prima convocazione e<br />

alle ore 9.30 in seconda convocazione<br />

nel medesimo luogo e data<br />

col seguente ordine del giorno:<br />

1. Relazione del Presidente consuntiva<br />

2004 - preventiva <strong>2005</strong><br />

2. Relazione economico/finanziaria del<br />

Tesoriere consuntiva 2004, preventiva<br />

<strong>2005</strong><br />

3. Modalità di adesione all’Associazione<br />

delle Comunità Istriane<br />

4. Rinnovo del vecchio statuto<br />

5. Varie ed eventuali<br />

Il Presidente<br />

Carmen Palazzolo Debianchi<br />

Comunità Chersina<br />

Sede e segreteria:<br />

34123 Trieste - Via Belpoggio, 29/1<br />

Sito Internet: www.comunitachersina.com<br />

Conto corrente postale:<br />

c/c 11338340 (dall’estero CAB 12400, ABI 07601)<br />

Intestato a Soc. “F. Patrizio della Comunità Chersina”<br />

Redazione:<br />

Direttore Responsabile: Angelo Sandri<br />

Direttore Editoriale: Luigi Tomaz<br />

Redattori: Bommarco Delia<br />

Moise Francesco<br />

Palazzolo Debianchi Carmen<br />

Peruzzi Mauro<br />

Testi e impaginazione a cura di Carmen Palazzolo Debianchi<br />

Recapiti:<br />

Luigi Tomaz<br />

041 400741<br />

Bommarco Delia<br />

348 2494659<br />

deliuccia@iol.it<br />

Fotocomposizione e stampa:<br />

Tipo/Lito Astra Srl - 34147 Trieste<br />

Via Cosulich 9-11 - Tel. e Fax 040 830180


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Comunità Chersina<br />

PADRE VITTORE MARIA CHIALINA<br />

UN CHERSINO DA RICORDARE<br />

16 dicembre 1969, muore a Venezia<br />

Padre Vittore Maria Chialina, Minore<br />

Conventuale. E’ stato anche parroco della<br />

parrocchia dei Frari a Venezia per più di<br />

trent’anni e lo era ai tempi dell’esodo; molti<br />

dei chersini esuli che sono approdati a<br />

Venezia sono stati aiutati da lui e lo ricordano.<br />

Era nato a Cherso il 27 settembre 1885.<br />

A 35 anni dalla sua scomparsa e a 120<br />

dalla sua nascita vogliamo ricordarlo sul<br />

nostro giornale.<br />

Questo era anche il desiderio di Mons.<br />

Vitale Bommarco che, prima di andare a raggiungerlo<br />

nell’Aldilà, stava preparando un<br />

suo personale contributo.<br />

Ai documenti del suo archivio, e dalle<br />

memorie di P. Chialina stesso, attingiamo<br />

per ripercorrere le tappe salienti della sua<br />

vita.<br />

Figlio di Leonardo, un friulano che, a<br />

Graz, aveva conseguito il diploma di Maurer<br />

Meister ed era andato a lavorare in Istria, e a<br />

Cherso si era fermato avviando una sua<br />

impresa edile. La madre era Maria<br />

Coglievina, di Cherso.<br />

Fu nel 1890 che Leonardo costruì la<br />

casa per la sua famiglia in Prà, dietro la<br />

Porta Bragadina; c’è ancora, a tre piani più<br />

soffitta e cantine.<br />

Dopo un’infanzia serena guidata dai<br />

genitori, attenti e profondamente religiosi,<br />

come si legge nelle sue memorie, frequentò<br />

le scuole elementari con ottimo profitto<br />

sognando di diventare ingegnere o architetto.<br />

“Guardando sul tavolo di mio padre i<br />

disegni tracciati dal geometra riguardanti<br />

case, cisterne, scale interne ed esterne… mi<br />

sono provato anch’io a tracciare piante e<br />

prospetti di case viste davanti e di fianco…”.<br />

Dopo le quattro classi elementari, prescritte<br />

a quei tempi, rimase a scuola altri due anni<br />

facoltativi.<br />

La vocazione sacerdotale arrivò presto<br />

“fu partecipando a una sacra funzione<br />

durante la novena dell’Immacolata, che allora<br />

si celebrava con grande solennità, che mi<br />

commossi fino alle lacrime. Quella sera<br />

l’Immacolata mi chiamò e non mi lasciò più”.<br />

Entrò nel Collegio Serafico di Cherso il 3<br />

ottobre 1898.<br />

Terminati gli studi liceali a Cherso, fre-<br />

Dalle memorie di Nives Chialina, nipote di P. Chialina<br />

NEL GIORNO DELLA CONSACRAZIONE<br />

Con i genitori e la sorella.<br />

quentò a Camposanpiero il primo anno di<br />

Filosofia ma fu ben presto inviato<br />

all’Università Gregoriana, a Roma, dove<br />

conseguì la laurea in Filosofia nel 1906; nel<br />

1911, alla Facoltà Teologica di S. Bonaventura,<br />

quella in Teologia.<br />

Fu ordinato sacerdote dal Cardinale<br />

Respighi il 18 settembre 1909 nella Basilica<br />

di S. Giovanni in Laterano.<br />

Venne richiesto dal Ministro Generale<br />

del suo Ordine, Padre Sottaz, al Collegio di<br />

Camposanpiero dove, eletto Guardiano del<br />

Convento, rimase parecchi anni facendo<br />

3<br />

scuola di Matematica, Lettere e Filosofia e…<br />

“Mi occupai di conigli e di entrate e uscite,<br />

assistei durante la guerra all’esodo dal collegio,<br />

accolsi soldati italiani e inglesi…”<br />

Nell’autunno del 1921 il parroco diocesano<br />

della Basilica dei Frari a Venezia, per<br />

motivi d’età, presentò le dimissioni da parroco.<br />

Fu l’occasione provvidenziale che i Frati<br />

Minori attendevano per poter rientrare nella<br />

chiesa che era stata loro tolta nel 1810<br />

secondo la legge napoleonica di soppressione<br />

generale degli Ordini Religiosi. Primo<br />

Padre Guardiano e parroco dei Frari fu eletto


4 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Padre Chialina, che con solenne cerimonia<br />

prese possesso della Basilica il 25 gennaio<br />

1922.<br />

Nel 1923 acquistò non lontano dalla<br />

chiesa un terreno di circa 300 mq con una<br />

casa di cinque locali. Quel terreno, un<br />

tempo, aveva fatto parte del grande orto-frutteto<br />

dell’antico convento dei Frari, divenuto<br />

Archivio di Stato. In luogo della vecchia casa<br />

Padre Chialina eresse il nuovo Patronato<br />

con sala-teatro e cinematografica, che fu<br />

una delle prime sale cinematografiche parrocchiali<br />

di Venezia. Fu inaugurata il 15<br />

novembre 1931.<br />

Nel 1924 fu nominato Ministro<br />

Provinciale restando parroco ai Frari, per<br />

espresso desiderio del Patriarca; tenne infatti<br />

la sede del nuovo incarico a Venezia. Il<br />

suo provincialato durò due trienni, dal 1924<br />

al 1930. In quegli anni fece restaurare e riaprire,<br />

ridandoli ai Frati Minori che le avevano<br />

costruite, varie chiese e conventi, quali<br />

- S. Francesco di Treviso, chiesa costruita<br />

nel secolo XIII, che era stata ridotta a<br />

magazzino militare;<br />

- S. Lorenzo a Vicenza, chiesa costruita<br />

nel 1280 e ridotta a caserma e magazzino,<br />

restituita al culto nel 1927;<br />

- S. Francesco a Pola, la chiesa e convento,<br />

costruiti nel 1.300, erano rimasti integri<br />

fino al 1805 quando i Francesi soppressero<br />

il Cenobio trasformandolo in caserma<br />

militare dividendo in due piani la chiesa.<br />

L’Austria usò gli edifici come magazzino di<br />

provviste. Dopo il 1918 il governo italiano<br />

decise il restauro degli edifici nelle loro<br />

forme originali, che vennero riconsegnati<br />

all’Ordine dei Minori nel 1927;<br />

- Chiesa e convento di S. Francesco a<br />

Brescia, costruiti dai Francescani nel 1254, e<br />

restituiti all’Ordine, come le strutture precedenti,<br />

per interessamento del P. Chialina.<br />

Il 23 giugno 1927 acquistò un appezzamento<br />

di terreno nella periferia milanese corrispondente<br />

all’attuale quartiere di Viale<br />

Corsica, allora inesistente. Dopo varie peripezie<br />

fu costruita una bella chiesa con<br />

annesso convento, che si possono ammirare<br />

anche oggi.<br />

Nel triennio 1936/39 fu rieletto<br />

Provinciale, acquistò il Collegio Teologico di<br />

S. Massimo a Padova, fece costruire il<br />

capannone del Messaggero, l’importante<br />

giornale periodico dell’Ordine tuttora esistente,<br />

per il quale acquistò una nuova macchian<br />

tipografica, allora all’avanguardia.<br />

Comprò a Trieste il terreno per la costruzione<br />

della chiesa di S. Francesco e a Pola<br />

quella per edificare la nuova parrocchia di S.<br />

Giuseppe.<br />

Nel 1940, nominato Guardiano a<br />

Treviso, fu mandato come Delegato<br />

Generale a visitare i conventi della Provincia<br />

di S. Girolamo in Jugoslavia. Al suo posto ai<br />

Frari era stato inviato Padre Raffaele<br />

Radossi di Cherso.<br />

Ai primi di gennaio del 1942 P. Radossi<br />

fu eletto Vescovo di Parenzo e Pola. Padre<br />

Chialina ritornò a Venezia. Fu eletto Giudice<br />

Ecclesiastico Regionale del Tribunale Metropolitano,<br />

nel 1952 Definitore Perpetuo con<br />

rescritto della Sacra Congregazione.<br />

Fu parroco ai Frari fino al 1964. “Per<br />

bontà dei superiore – scrive nelle sue<br />

memorie – rimango di famiglia nel convento<br />

Fu un ottimista.<br />

Sentiva il bisogno di tradurre in atto l’idea<br />

che aveva in mente. Viveva profondamente il<br />

suo ideale, in una visione largamente<br />

umana, capace di organizzare la sua azione<br />

in un ambiente di collaborazione e di simpatia.<br />

Deciso nel suo operare e sicuro di sé,<br />

dava fiducia agli altri in modo che gli ostacoli<br />

più duri venivano facilmente superati. […]<br />

Nelle divergenze, accettava il giudizio<br />

altrui, se vedeva che era più giusto del suo,<br />

raro esempio di saggezza e di equilibrio. Non<br />

si appropriava il merito di alcuno, pronto a<br />

chiarirlo e a darlo al meritevole. Con la stessa<br />

chiarezza deplorava la doppiezza, il sotterfugio,<br />

il fariseismo. Se ebbe denigratori e<br />

nemici, li ebbe solo per questi motivi. La fiducia<br />

che riponeva nei collaboratori era tale da<br />

lasciare loro l’iniziativa. Egli si accollava l’onere<br />

delle spese o d’appianare le difficoltà<br />

burocratiche. Se chiedevi cinque, dava dieci,<br />

lasciando spazio all’altrui responsabilità. Per<br />

quei tempi era un pioniere. Alcuni lo giudicarono<br />

severo nell’uso dell’autorità; lo era talvolta,<br />

ma solo perché amava l’ordine e la<br />

pulizia morale.<br />

Chi l’ha conosciuto intimamente sa che<br />

non avrebbe torto un capello a nessuno, e<br />

che in fondo era timido, di quella timidezza<br />

dell’uomo molto intelligente e fuori dalla<br />

mediocrità.<br />

Nei casi gravi della sua vita, e ne ebbe<br />

parecchi, soffriva in silenzio. Si limitava caso<br />

mai a dire: “Un infortunio sul lavoro!”. Allora<br />

lo sorreggeva la sua fede semplice e il suo<br />

dei Frari a Venezia che è la mia patria di elezione,<br />

vicino ai miei fratelli Maria e Antonio.<br />

Cherso, dove sono nato, non è più la mia<br />

patria, è passata alla Jugoslavia e non si<br />

chiama più Cherso ma Cres!”<br />

Qui è rimasto fino al 16 dicembre 1969,<br />

quando si è spento all’età di 84 anni.<br />

Questa è la storia degli avvenimenti più<br />

importanti della sua vita; una vita spesa per<br />

la Comunità e per la sua missione. Di lui<br />

“uomo” abbiamo un ritratto tracciato in occasione<br />

della sua morte da un confratello che<br />

lo conosceva molto bene e che gli era stato<br />

vicino negli ultimi anni della vita. Ne riportiamo<br />

una sintesi sufficiente, grazie alla sensibilità<br />

e all’abilità dello scrittore, a farne un<br />

ritratto indimenticabile.<br />

ASPETTI DI UN UOMO<br />

Di Padre Giuseppe Ungaro, un confratello<br />

spirito di orazione che si nutriva quotidianamente<br />

della Sacra Scrittura e dei Santi Padri.<br />

Preferiva S. Girolamo e S. Agostino. Per S.<br />

Girolamo aveva una venerazione speciale.<br />

Partendo da questa terra lasciò sul suo tavolo<br />

aperti la Sacra Scrittura e S. Gerolamo,<br />

quasi come un invito a noi a continuarne la<br />

lettura.<br />

Aveva mediocri disposizioni per le arti<br />

figurative, ma un eccellente gusto per la letteratura.<br />

Per la sua straordinaria memoria<br />

citava sempre autori latini e italiani con il<br />

gusto dell’esteta. Lui stesso si cimentava con<br />

una certa vena a verseggiare. Come un adolescente<br />

cercava il compiacimento degli altri<br />

e, se veniva, ne era felice per giorni interi.<br />

Era sempre aggiornato sulle migliori opere<br />

letterarie. E sulla loro critica, lieto se poteva<br />

parlarne o di prestare il libro che aveva<br />

appena letto.<br />

P. Vittore era un introverso, difficilmente<br />

gli si carpiva un segreto dell’anima. Di questo<br />

doveva soffrire e per lo stesso motivo<br />

molti lo giudicavano, specie nella sua fierezza<br />

di uomo e lavoratore infaticabile, orgoglioso<br />

e indipendente. La sua indipendenza era<br />

data dal fatto che egli vedeva la meta da raggiungere<br />

e, a capo di tutti, tutti cercava di<br />

trascinare. Sappiamo com’era, al principio<br />

del secolo la Provincia del Santo (di Padova<br />

- dei Frati Minori Conventuali) e com’egli la<br />

lasciò nel 1939: commentarne i fatti è retorica.<br />

Se non avesse avuto una forza d’animo<br />

superiore, non l’avrebbe fatto; se avesse<br />

badato a critiche, sconfitte e all’inerzia altrui,<br />

oggi non avremmo questa Provincia, con


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Padre Chialina a Padova nel luglio del 1967 col giovane Padre Antonio Vitale Bommarco.<br />

queste opere. Se non fosse stato autentico<br />

uomo di fede, sarebbe stato creduto un<br />

ambizioso.<br />

Nei molti anni che guidò gli altri, fu<br />

accompagnato da una prudenza senza pari.<br />

Il segreto d’ufficio, il saper vedere tutto<br />

senza farsi scorgere, il dissimulare con<br />

bontà le mancanze altrui e l’intervenire al<br />

momento opportuno, erano le forme della<br />

sua prudenza. Sapeva tacere, non per<br />

orgoglio, ma per carità. Rare volte usciva<br />

con qualche notizia riservata, e più per<br />

chiarire un’idea o difendere una persona<br />

che per saccenteria. In lui le confidenze<br />

entravano in una tomba.<br />

Era legato al suo passato e dalla sua<br />

infanzia traeva, maturati, i suoi gusti e i suoi<br />

ideali. […]<br />

Della sua città natale, Cherso, aveva<br />

ricordi vivi; quei ricordi sani, di vita all’aria<br />

aperta, che erano le fonti del suo equilibrio<br />

interiore. Rimase a Cherso fino all’età di 17<br />

anni, quindi per tutta la sua formazione<br />

umana. “A Cherso - scrive nelle sue memorie<br />

- mia città natale, ho trascorso i primi 17<br />

anni della mia vita nella mia casa paterna e<br />

parte nel caro convento di S. Francesco per<br />

gli studi classici. […] Le ricreazioni si facevano<br />

nel vasto orto del convento. Poi c’era-<br />

no le frequenti passeggiate lungo il mare, da<br />

S. Lucia a S. Nicolò, alla Lanterna, alla<br />

bella insenatura di Chimen-S.Clemente,<br />

zona sempre primaverile anche d’inverno<br />

perché riparata dal vento di bora”.<br />

Egli parla di passeggiate lungo il mare<br />

e attraverso i villaggi montani e ne racconta<br />

il fascino. “Da questi villeggi, nelle<br />

feste, venivano a Cherso i contadini a portare<br />

abbondanza di galline e di uova.”<br />

E da questa vita gli rimase la semplicità,<br />

il gusto dei cibi genuini, del buon vino<br />

e della frugalità che sa accontentarsi di<br />

tutto. Non l’ho mai visto chiedere qualcosa<br />

di diverso dal piatto comune.<br />

“In quel giorno si mangiava l’agnello<br />

arrosto allo spiedo in aperta campagna,<br />

ed echeggiavano i canti di noi giovani allegri<br />

e spensierati. E sul mare si passava la<br />

giornata chiassando e giocando nell’acqua<br />

limpida.”<br />

Alla fine della sua lunga vita ripeteva<br />

ancora con grande nostalgia e tenerezza<br />

“Nella tua terra dammi sepoltura, con i tuoi<br />

fiori adorna il mio sepolcro. Addio Cherso!<br />

Ora non più. Dormite, cari genitori, il<br />

vostro sonno nel cimitero di Cherso! Vi<br />

avrò sempre presenti nella memoria e pregherò<br />

per voi da lontano.”<br />

Comunità Chersina<br />

5<br />

Ottimista sempre,<br />

il P. Vittore,<br />

non solo perché<br />

sentiva in sé forza<br />

e coraggio nell’operare,<br />

perché la<br />

fede nella provvidenza<br />

garantiva il<br />

suo spirito d’iniziativa,<br />

ma perché<br />

era sano anche<br />

interiormente,<br />

aveva dentro di sé<br />

la gaiezza del<br />

sole, del mare,<br />

degli uomini semplici<br />

della sua<br />

Cherso, dell’entusiasmo<br />

dei pescatori<br />

e dei pastori, e<br />

della sua famiglia<br />

che dal Friuli a<br />

Cherso in Austria,<br />

dall’Austria al<br />

Transvaal, ha fatto<br />

del mondo la sua<br />

casa.<br />

Frizzante nel<br />

parlare, arguto<br />

nell’osservare, mostrava la sua felicità di<br />

vivere ovunque, con tutti, in chiesa come<br />

a mensa, con il povero come con il ricco,<br />

desiderato commensale dei Patriarchi di<br />

Venezia La Fontane, Urbani, Roncalli. Era<br />

di casa in ogni famiglia dei Frari, e non<br />

solo, perché conosceva di ogni abitante<br />

nome e cognome, gli ascendenti e i<br />

discendenti ma perché di tutti fu amico e<br />

fratello.<br />

Il florilegio è inesauribile, le testimonianze<br />

a non finire. Sempre discreto nella<br />

carità ai poveri, che non era elemosina ma<br />

aiuto a liberarsi da una situazione inumana.<br />

[…]<br />

Quanti naufragi salvati!, quante soluzioni<br />

avviate al meglio, sempre col suo<br />

intuito e spirito di carità, in discreta ed<br />

evangelica pazienza. “Non sappia la sinistra<br />

quello che ha fatto la destra”.<br />

Sono vivi i beneficati, tanti, per cui si<br />

impone il silenzio, ma con tutti costoro P.<br />

Ch’ialina vive ancora.<br />

[…]<br />

Fu il mio maestro di vita e lo è ancora<br />

nel suo immutato ricordo.<br />

P. Giuseppe Ungaro


6 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

I COMMERCI DURANTE IL PERIODO VENEZIANO 1<br />

Parte XVI<br />

Il commercio durante il periodo<br />

veneziano si svolgeva quasi esclusivamente<br />

via mare e riguarda l’isola di<br />

Cherso perché toccava anche le sue<br />

coste e impegnava la sua popolazione,<br />

come tutta quella residente lungo<br />

le coste del Mar Adriatico, nella navigazione,<br />

nel commercio vero e proprio<br />

e nella produzione delle merci di<br />

scambio. Erano oggetto di commercio,<br />

in particolare: il sale, l’olio d’oliva, la<br />

legna da ardere, il bestiame. Venezia<br />

assunse il monopolio di questi prodotti<br />

perché erano importantissimi nel somministrar<br />

commercio, produrre dazio,<br />

impegnar navigazione.<br />

Il commercio del sale<br />

Il sale marino - alimento indispensabile<br />

all’uomo, che può essere prodotto<br />

solo in località situate sulle coste<br />

del mare - metteva anticamente i<br />

popoli che lo possedevano in una<br />

posizione economicamente e politicamente<br />

privilegiata perché, non esistendo<br />

la refrigerazione, per la conservazione<br />

degli alimenti si ricorreva<br />

alla loro salatura e/o essiccazione e la<br />

salatura richiedeva grandi quantità di<br />

sale (1 chilogrammo di sale per 3 chilogrammi<br />

di pesce!). Oltre che per la<br />

conservazione degli alimenti (pesce,<br />

carne, olive), il sale era importante<br />

nella fabbricazione del formaggio,<br />

nella concia del pellame, per gli animali<br />

da pascolo e, ieri come oggi,<br />

nella cucina degli alimenti.<br />

Ne derivava il fatto che il sale<br />

costituisse un preziosissimo mezzo di<br />

scambio per ogni altro tipo di merce,<br />

quasi una moneta. Avendone colto<br />

l’importanza fin dal Medioevo, la<br />

Repubblica di Venezia acquisì il<br />

monopolio della produzione e del<br />

commercio del sale in tutta l’Italia<br />

Settentrionale e nella regione alpina<br />

ed esso divenne una delle sue prime<br />

e più importanti fonti di guadagno.<br />

Vennero costruite saline a Murano<br />

e poi a Chioggia – che diventò la<br />

(1) Le notizie per la stesura di questa parte sono<br />

tratte dall’opera di Tullio Pizzetti, Con la bandiera<br />

del protettor S. Marco, Edizioni Campanotto,<br />

Pasiano di Prato (Ud) 1999, vol. III.<br />

capitale del sale nel Medioevo – a<br />

Cervia (comune situato ora in provincia<br />

di Ravenna), in Istria e in Dalmazia,<br />

specie a Muggia, Capodistria,<br />

Pirano e Pago. Esistevano saline anche<br />

ad Isola, Orsera, Rovigno, Pola,<br />

Brioni e nel Canal di Leme ma, dal<br />

momento che esse non entravano<br />

nei commerci veneziani, se ne hanno<br />

poche notizie.<br />

Oltre che produrre sale nelle terre<br />

soggette al suo dominio, Venezia lo<br />

importò da Creta, Cipro, Ibiza, Gerba,<br />

Alessandria e da altre località ancora.<br />

L’importazione di sale era utile alla<br />

politica marittima di Venezia perché<br />

gli alti noli per il suo trasporto e i prestiti<br />

per le costruzioni navali favorivano<br />

il movimento nel Mar<br />

Mediterraneo delle navi più grosse,<br />

utili in caso di guerra. Inoltre, grazie<br />

al suo alto peso specifico, il sale veniva<br />

usato anche come zavorra nel<br />

viaggio di andata o in quello di ritorno,<br />

a seconda del tipo di merce trasportata.<br />

Ad esempio, le navi veneziane<br />

che commerciavano con<br />

l’Oriente, portavano il sale all’andata,<br />

stoffe preziose e spezie al ritorno o<br />

altre merci all’andata e un carico di<br />

sale da Cipro o Alessandria al ritorno,<br />

mentre quelle che andavano in<br />

Fiandra e in Inghilterra, al ritorno caricavano<br />

sale a Ibiza e a Cagliari, e<br />

così via. Ciò consentiva alle navi di<br />

viaggiare sempre cariche ottimizzando<br />

i commerci.<br />

Riguardo al sale, nel suo dominio<br />

Venezia adottò una politica diversa, a<br />

seconda delle zone, cui sovrintendeva<br />

un Magistrato al Sal. In generale,<br />

Venezia deteneva il monopolio del<br />

sale, il che vuol dire che si riservava<br />

il diritto di acquisto e di vendita del<br />

prodotto, che veniva acquistato tutto<br />

ad un prezzo molto basso, precedentemente<br />

concordato coi proprietari<br />

con la stipula di appalti, meno una<br />

piccola parte (generalmente un quinto),<br />

che veniva lasciato ai padroni<br />

delle saline e ai salinari per il proprio<br />

uso. In cambio la Repubblica sovvenzionava<br />

i lavori di riparazione e<br />

manutenzione delle saline esistenti e<br />

la costruzione delle nuove.<br />

Le saline più antiche e importanti<br />

dell’Istria per estensione e produzio-<br />

ne furono quelle di Pirano. Nelle isole<br />

di Cherso-Ossero sembra che la produzione<br />

del sale sia stata trascurabile.<br />

Si sa che a Ossero, nel 1416,<br />

vennero costruite delle saline che<br />

vennero abbandonate già nel 1460 a<br />

causa dell’aria malsana generata<br />

dalle acque stagnanti da esse prodotte.<br />

Il commercio dell’olio<br />

Anche l’olio, come il sale, era oggetto<br />

di monopolio durante la Repubblica<br />

di Venezia, perché era anch’esso un<br />

prodotto molto importante, non solo per<br />

cucinare ma anche per l’illuminazione,<br />

per la fabbricazione del sapone e per la<br />

lavorazione della lana. Il commercio<br />

dell’olio d’oliva non era dunque libero<br />

ma l’intera produzione dello Stato da<br />

Mar – Istria, Dalmazia e Levante – tolto<br />

il fabbisogno locale, doveva essere<br />

inviato a Venezia, e soltanto via mare,<br />

e così pure l’olio proveniente dall’estero.<br />

Tutto ciò che riguardava l’olio, dal<br />

1250 circa in poi, era regolato dalla<br />

Magistratura Ternaria (da ternier venditore<br />

d’olio), a cui subentrarono nel<br />

1500 i Provveditori sopra Ogli, che avevano<br />

il compito dell’approvvigionamento<br />

per la città, del controllo dei prezzi e<br />

delle botteghe di vendita, della coltivazione<br />

degli olivi, dell’autorizzazione alle<br />

esportazioni, della persecuzione penale<br />

dei contrabbandieri. Da essi dipendevano<br />

inoltre alcune Arti connesse al<br />

commercio dell’olio, come quella dei<br />

Sagomadori (misuratori dei recipienti<br />

per l’olio), dei Peatteri (barcaioli) da<br />

olio, dei Botteri, dei Senseri (sensali),<br />

dei Saoneri (fabbricanti di sapone).<br />

Per rendere la Repubblica autosufficiente<br />

ed indipendente dal bisogno di<br />

approvvigionarsi presso altri di un prodotto<br />

così importante, venne proibito il<br />

taglio degli olivi sia domestici che selvatici<br />

e vennero emanate norme particolari<br />

per estendere la coltura degli<br />

stessi in ogni terreno adatto ad essi e<br />

per innestare le piante selvatiche. Tutto<br />

l’olio prodotto doveva essere portato a<br />

Venezia, accompagnato da una precisa<br />

documentazione.<br />

A Cherso la produzione dell’olio<br />

sembra essere diventata significativa<br />

intorno alla metà del 1500, quando


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

venne creato il Fondaco dell’olio, ed<br />

aumentò negli anni successivi se il<br />

Fortis, quando visitò l’isola nel 1771,<br />

stimò che la produzione dell’olio nell’isola<br />

di Cherso-Ossero si aggirasse intorno<br />

ai 3.000/3.500 barili all’anno.<br />

Il principale fornitore di olio della<br />

Repubblica fu Corfù, seguita da Zante,<br />

Cefalonia e S. Maura. Nonostante tutti i<br />

suoi sforzi, la Repubblica di Venezia<br />

non riuscì però a supplire completamente<br />

al suo fabbisogno di questo prodotto<br />

né ad occuparsi del tutto del suo<br />

commercio per cui, nel 1700, il commercio<br />

all’ingrosso dell’olio, a Venezia,<br />

era in mano di una cinquantina di ditte<br />

delle quali solo 28 erano italiane, 10<br />

erano ebree, 5 greche, 4 tedesche, 3<br />

dalmate.<br />

I mercanti d’olio di Venezia erano<br />

uniti in un consorzio.<br />

Il commercio dell’olio era soggetto a<br />

pesanti dazi d’ingresso, di consumo e di<br />

uscita, situazione che induceva al contrabbando;<br />

esenzioni particolari furono<br />

concesse agli oli istriani destinati al Friuli<br />

e, tradizionalmente, a quelli delle<br />

Bocche di Cattaro.<br />

Le due Comunità di Cherso e<br />

Ossero avevano sempre cercato il<br />

modo di esportare liberamente, a un<br />

miglior prezzo, il loro olio, che era di ottima<br />

qualità rispetto agli altri e molto<br />

apprezzato a Venezia per la sua delicatezza.<br />

A tal fine presentarono nel 1765,<br />

tramite il sacerdote Giuseppe Detcovich,<br />

mansionario della Collegiata di Cherso,<br />

un memoriale per ottenere la “libera<br />

estrazione” in stati esteri del loro olio.<br />

Dopo una causa durata quasi due anni,<br />

la petizione venne respinta ma si ottenne<br />

una riduzione del dazio d’ingresso.<br />

Commercio della legna da ardere<br />

La legna da ardere o da fuoco rappresentava<br />

durante il periodo veneziano<br />

la principale fonte di energia, paragonabile<br />

al petrolio di oggi, indispensabile sia<br />

per fornire energia alle sue numerose<br />

industrie (Arsenale, Zecca, vetrerie, tintorie),<br />

sia per gli usi di cucina e il riscaldamento<br />

delle abitazioni. Vista l’importanza<br />

di questo prodotto, la Repubblica di<br />

Venezia si preoccupò fin dai tempi più<br />

antichi di assicurare alla città un regolare<br />

approvvigionamento di legna, specie<br />

nella stagione invernale, e di controllarne<br />

attentamente il commercio e il prezzo di<br />

vendita, soprattutto a difesa dei consumatori<br />

meno abbienti. Tutta la legna prodotta<br />

nei territori della dominante doveva<br />

G. Zompini, Battellante, venditore di<br />

legna per uso domestico.<br />

essere dunque portata a Venezia salvo<br />

la parte stabilita per il consumo personale<br />

e locale. All’ingresso a Venezia la<br />

legna era soggetta, come tutte le altre<br />

merci, al pagamento di un dazio. Era vietato<br />

trasportare e vendere legna a stati<br />

esteri. Per evitare illeciti e incette, il trasporto<br />

ed il commercio della legna era<br />

esattamente regolamentato e doveva<br />

svolgersi con l’accompagnamento della<br />

precisa documentazione predisposta allo<br />

scopo. Per esempio, per evitare gli abusi<br />

dei burchieri da legna, tendenti a frodare<br />

sulla quantità e qualità della legna da trasportare<br />

e da vendere e a trasportarla e<br />

venderla fuori dalla Repubblica di<br />

Venezia, si ordinò che la legna dolce<br />

venisse tagliata nella lunghezza di 3<br />

piedi e quella forte di 2 e 1/2; che il trasporto<br />

fosse controllato per mezzo di bollette<br />

di carico rilasciate dai Rettori dopo<br />

aver verificato il carico; che l’imbarco<br />

della legna ai carradori (moli e pontili)<br />

avvenisse secondo l’ordine di arrivo dei<br />

battelli; che, all’arrivo a Venezia, a padroni,<br />

marinai e carradori (misuratori pubblici)<br />

fosse vietato di accantonare per sé<br />

una parte del carico.<br />

Il controllo di tutta questa materia era<br />

affidato dapprima alla Magistratura delle<br />

Rason Vecchie e, a partire dal 1500, a<br />

un Magistrato sopra legne e boschi, che<br />

rimase in funzione fino alla caduta della<br />

Repubblica. Egli era il responsabile di<br />

tutto quanto atteneva alla legna da ardere<br />

dal punto di vista giuridico, civile,<br />

penale e inerente il controllo dei mestieri<br />

collegati al commercio e alla vendita<br />

Comunità Chersina<br />

7<br />

della legna come quello dei Burchieri da<br />

legna, addetti al trasporto e alla vendita,<br />

e quello dei Biavaroli e dei Fruttaroli,<br />

addetti alla vendita della legna al minuto.<br />

Anticamente, per soddisfare il fabbisogno<br />

della città di Venezia erano sufficienti<br />

i boschi esistenti sulle coste adriatiche<br />

alle sue spalle ma, già nel 1500, si<br />

rese necessario importare legna da<br />

fuoco dall’Istria, dalla Dalmazia, dalle<br />

Isole del Quarnero e dall’entroterra friulano,<br />

padovano e trevigiano. L’isola di<br />

Cherso figura fin dal XVI secolo fra i<br />

principali fornitori di legna da ardere di<br />

Venezia, specie di “elese” (leccio), che<br />

veniva caricato quotidianamente nei cargadori<br />

posti in vari punti della costa. Per<br />

impedire lo sfruttamento dei boschi e la<br />

loro devastazione, Venezia regolamentò<br />

severamente il taglio dei boschi, sia<br />

della legna da ardere sia di quella da<br />

costruzione, con ordini di rimboschimento,<br />

proibizioni di taglio per un certo periodo,<br />

concessione di sola raccolta di rami<br />

secchi o caduti a terra, proibizione alle<br />

comunità locali di tagliare legna senza<br />

permesso, di distruggere i boschi per<br />

ricavare pascoli, di scavare le radici<br />

degli alberi.<br />

I navigli usati erano trabaccoli, brazzere,<br />

tartane, tartenelle, in gran parte di<br />

piccola portata e con equipaggi di pochi<br />

uomini, spesso tre soli più il patrone. Nei<br />

trasporti da Cherso e Lussino il patrone<br />

doveva darsi in nota alla Cancelleria di<br />

Ossero dichiarandosi pronto a caricare<br />

in un dato caricatore del circondario:<br />

Porto Viario (o Vier, presso Ossero), S.<br />

Andrea (o Jadrischizza) presso<br />

Puntacroce di Cherso, Porto Camisa<br />

(sotto Ustrine su Cherso), Porto Lovo (o<br />

Lischi su Lussino), Porto Gherbocca (o<br />

Galboca, sotto Verin su Cherso), Porto<br />

Pernata (presso l’imbocco sul Vallone di<br />

Cherso), S. Giovanni (sotto Caisole).<br />

Molto attivi in questo commercio erano i<br />

patroni di Lussinpiccolo e Lussingrande<br />

e, a partire dalla seconda metà del<br />

Settecento, quelli di Neresine.<br />

Commercio del bestiame<br />

La fornitura di animali da carne a<br />

Venezia era assicurata dalla Dalmazia<br />

perché i pochi allevamenti della terraferma<br />

veneta non erano in grado di assicurare<br />

il fabbisogno di carne alla popolosa<br />

città. Così pare che fin dal 1.500, se non<br />

prima, si fosse stabilito un regolare trasporto,<br />

chiamato traghetto di Zara, di<br />

bestiame bovino e ovino dal retroterra<br />

dalmato a Venezia, attraverso al porto


8 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

“Manzera” tipo di legno adibito al trasporto di bovini da Zara a Venezia.<br />

di Zara. Infatti, il trasporto del bestiame<br />

dalla Dalmazia a Venezia era riservato<br />

tradizionalmente ai patroni del<br />

distretto di Zara, e particolarmente di<br />

Selve, a cui in seguito si aggiunsero<br />

i patroni lussignani. Il punto d’imbarco<br />

del bestiame, a Zara, si trovava<br />

nell’insenatura a nord della città in<br />

una località che da questa funzione<br />

prese il nome, che conserva tuttora,<br />

di Barcagno, dove esisteva pure un<br />

lazzaretto, il lazzaretto S. Marco, e<br />

un apposito cargador, cioè un<br />

impianto per carcare gli animali sulle<br />

imbarcazioni.<br />

I legni adibiti al traffico del bestiame<br />

erano denominati manzere e<br />

castrere, capaci di trasportare,<br />

rispettivamente, 80 buoi o 400 pecore<br />

o castrati.<br />

Il reperimento degli animali era<br />

affidato dallo Stato, tramite appalto,<br />

ad un partitante, che doveva a sua<br />

volta procurarseli da singoli venditori,<br />

generalmente bosniaci. Una ditta di<br />

spedizionieri si occupava poi di trovare<br />

le imbarcazioni per il trasporto a<br />

Venezia. I manzi dovevano essere<br />

grassi e mercantili, esclusi li torri…di<br />

libbre 800 il paio e, prima dell’imbarco,<br />

potevano essere visitati dal partitane;<br />

il nolo del trasporto era a carico<br />

del mercante-venditore; il rischio di<br />

mare era condiviso fra partitante e<br />

venditore purché la manzera adibita<br />

al trasporto non fosse stata caricata<br />

oltre il limite di 75/82 animali, nel<br />

qual caso del rischio rispondeva<br />

esclusivamente il mercante. Le date<br />

di partenza da Zara venivano fissate<br />

in anticipo e potevano essere spostate<br />

solo per mancanza di bastimenti.<br />

Il governo degli animali durante<br />

il viaggio era affidato ai marinai<br />

dell’imbarcazione che, in cambio di<br />

questo servizio, ricevevano un premio<br />

fisso per ogni viaggio. Lo sbarco<br />

del bestiame avveniva al Lido, dove<br />

si effettuava pure il pagamento, in<br />

valuta veneta o in zecchini d’oro al<br />

valore corrente di piazza. Dei bovi<br />

periti durante il viaggio si recuperava<br />

di solito la pelle e il sevo. Se, allo<br />

sbarco, il peso di una coppia di buoi<br />

era inferiore alle 800 libbre, il mercante<br />

doveva pagare una penalità<br />

ma riceveva un premio se il loro<br />

peso era superiore a quello stabilito.<br />

I prezzi venivano stabiliti nel contratto<br />

e andavano dai 19 ai 14 e 1/2<br />

zecchini al paio, a seconda delle stagioni.<br />

Se, durante il viaggio del<br />

bestiame per la terraferma, qualche<br />

animale andava smarrito o rubato, il<br />

mercante aveva diritto ad un indennizzo.<br />

Sembra non fossero però rare<br />

anche le richieste di indennizzi indebiti<br />

per cui i Capitani degli abitati<br />

situati lungo il passaggio degli animali<br />

avevano l’obbligo di vigilare perché<br />

non avvenissero furti e i militari<br />

dovevano cooperare al recupero<br />

delle bestie sbandate. In tutti i paesi<br />

che si trovavano lungo il passaggio<br />

del bestiame veniva inoltre pubblicato<br />

un bando con il quale veniva fatto<br />

obbligo ai Capitani, Giudici e<br />

Vecchiardi di recarsi nel luogo di<br />

sosta degli animali per contarli alla<br />

presenza dei conducenti sicché, se<br />

al momento della partenza mancava<br />

qualche capo e non si trovava il colpevole<br />

dell’ammanco, il villaggio era<br />

tenuto a risarcire il danno.<br />

(continua)<br />

Carmen Palazzolo Debianchi<br />

Il mensile dell’A. N. V. G. D.<br />

“Difesa Adriatica”<br />

in omaggio ai lettori di<br />

“Comunità Chersina” per tutto il <strong>2005</strong><br />

“Difesa Adriatica” è il periodico dell’Associazione Nazionale<br />

Venezia Giulia e Dalmazia. Il mensile si rivolge non solo ai soci<br />

dell’ANVGD, ma all’intera platea degli Esuli giuliano-dalmati in<br />

Italia e nel mondo riportando le novità istituzionali e associative,<br />

gli approfondimenti storici e culturali, le notizie giuridiche e legislative.<br />

Nell’ottica di una maggiore diffusione dei periodici degli esuli,<br />

come elementi fondamentali di collegamento fra gli stessi, promossa<br />

dall’ANVGD, i lettori di “Comunità Chersina”, che non fossero<br />

già abbonati a “Difesa Adriatica”, potranno riceverlo in<br />

omaggio per tutto il <strong>2005</strong> spedendo semplicemente il proprio<br />

nominativo e indirizzo:<br />

Per posta a: Difesa Adriatica, Via Leopoldo Serra, 32 – 00153 Roma<br />

Per telefono e fax al n.: 06 5816852<br />

Per e-mail a: info@anvgd.it


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Quest’anno, il Giorno del Ricordo<br />

è stato commemorato in Italia, con<br />

grande solennità, in 176 manifestazioni,<br />

tenute in 84 località, come<br />

comunicato dal centro dell’ANVGD,<br />

curato dal nipote di Padre Rocchi,<br />

Fabio, che ha raccolto e diffuso le<br />

informazione sull’argomento. Si è<br />

trattato di conferenze, dibattiti, tavole<br />

rotonde, proiezione di filmati e documentari,<br />

mostre fotografiche, presentazione<br />

di libri significativi.<br />

A Roma, in Parlamento, ci sono<br />

stati i discorsi dei Presidenti delle due<br />

Camere, onorevoli Pera e Casini, e<br />

c’è stato il discorso del Presdente<br />

della Repubblica, Carlo Azelio<br />

Ciampi, che trascriviamo:<br />

“Ho accolto con soddisfazione la<br />

decisione con cui il Parlamento<br />

Italiano ha istituito la Giornata<br />

Nazionale del Ricordo. Essa consente<br />

di commemorare con continuità<br />

una grande tragedia della Seconda<br />

Guerra Mondiale.<br />

Il mio pensiero è rivolto con commozione<br />

a coloro che perirono in<br />

condizioni atroci nelle Foibe, nell’autunno<br />

del 1943 e nella primavera del<br />

1945; alle sofferenze di quanti si<br />

videro costretti ad abbandonare per<br />

sempre le loro case in Istria e in<br />

Dalmazia.<br />

Questi drammatici avvenimenti<br />

formano parte integrante della nostra<br />

vicenda nazionale; devono essere<br />

GIORNO DEL RICORDO <strong>2005</strong><br />

radicati nella nostra memoria; ricordati<br />

e spiegati alle nuove generazioni.<br />

Tanta efferatezza fu la tragica<br />

conseguenza delle ideologie nazionalistiche<br />

e razziste propagate dai<br />

regimi dittatoriali responsabili del<br />

secondo conflitto mondiale e dei<br />

drammi che ne seguirono.<br />

Tutti i popoli europei ne hanno<br />

pagato il prezzo.<br />

Da allora sono trascorsi sessant’anni<br />

e si sono avvicendate tre<br />

generazioni.<br />

E’ giunto il momento che i ricordi<br />

ragionati prendano il posto dei rancori<br />

esasperati.<br />

I principi di dignità della persona,<br />

di rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo<br />

e dei diritti delle minoranze<br />

sono il fondamento dell’Unione<br />

Europea. L’integrazione realizzata fra<br />

i nostri Paesi permette a tutti gli europei<br />

di condividere un unico spazio di<br />

democrazia e di libertà. In questa<br />

nuova realtà unitaria, contrassegnata<br />

dall’abolizione fisica delle frontiere,<br />

italiani, sloveni e croati possono guardare<br />

con fiducia ad un comune futuro,<br />

possono costruirlo insieme: consolidando<br />

innanzitutto una convivenza<br />

in cui la diversità è il fattore di<br />

arricchimento reciproco, in cui le radici<br />

e le tradizioni di ognuno vengono<br />

rispettate nella loro pari dignità.<br />

Auspico, in questo spirito, che la<br />

Giornata del 10 febbraio, ispirata a<br />

Comunità Chersina<br />

9<br />

sentimenti di riconciliazione e di dialogo,<br />

lasci un’impronta nella coscienza<br />

di tutti noi: italiani, europei, cittadini<br />

di un mondo che solo una rinnovata<br />

unità di ideali e di intenti democratici<br />

potrà rendere veramente migliore.”<br />

A Venezia la celebrazione del<br />

Giorno del ricordo si è svolta in tre<br />

giorni 9, 10, 11 febbraio sotto gli<br />

auspici dello stesso Comune, organizzata<br />

dall’A.N.V.G.D. provinciale<br />

della quale è presidente il comm.<br />

Tullio Vallery e vicepresidente Gigi<br />

Tomaz.<br />

Il giorno 10 nel duomo di Mestre,<br />

ESILIO<br />

Un freddo mattino<br />

spezzò le residue speranze.<br />

Sovvertita, sconvolta ne fu la sovranità<br />

di terre secolari istro-venete.<br />

La repressione, gli eccidi,<br />

l’impotenza, la rinuncia del paese<br />

consolida l’idea dell’abbandono.<br />

Partono silenziosi.<br />

Portano nel cuore ricordi<br />

ed il dolore<br />

di una profonda immensa ingiustizia.<br />

Portano l’illusione del ritorno<br />

che aiuta a sopportare la tristezza<br />

dei campi profughi.<br />

Assiomi ideologici irreali<br />

rendono estranee, solidarietà e calore<br />

[umano.<br />

Patiscono in silenzio<br />

con dignità, l’inospitalità<br />

che contrasta con il loro amore<br />

per la Patria.<br />

L’incredulità supera la comprensione<br />

verso racconti, sofferenze vissute.<br />

La verità emerge, prevale,<br />

sulle ipocrisie sulle opportunità.<br />

Inesorabile, il tempo<br />

non consente rinvii per atti di giustizia.<br />

Antonio Zett<br />

di Cherso, residente a Spinea di Venezia<br />

(Il componimento è stato letto dal Sindaco<br />

di Spinea durante la celebrazione in<br />

Consiglio Comunale del Giorno del<br />

Ricordo <strong>2005</strong>)


10 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

affollatissimo, è stata celebrata la<br />

messa solenne per i nostri martiri e<br />

per i morti in esilio. Hanno partecipato<br />

tutte le Autorità e le Associazioni,<br />

con labari, bandiere e gonfaloni, ed<br />

un nutrito numero di Chersini residenti<br />

nel Comune e nella Provincia.<br />

I temi del Ricordo sono stati trattati<br />

il giorno 9 dal Consiglio Comunale<br />

di Venezia, appositamente convocato<br />

in mattinata nel suo palazzo di Cà<br />

Farsetti sul Canal Grande, il 10<br />

pomeriggio nella sala del Consiglio<br />

comunale di Spinea, importante<br />

comune della cintura venezianomestrina,<br />

e l’11 nel salone gremito<br />

del Centro Culturale Candiani di<br />

Mestre.<br />

Gigi Tomaz è stato tra gli oratori<br />

ufficiali di tutte e tre le manifestazioni.<br />

Anche a Spinea c’era la rappresentanza<br />

dei chersini residenti nella<br />

zona, tra i quali il poeta Zett che ha<br />

portato una sua poesia letta dallo<br />

stesso Sindaco Claudio Tessari che<br />

ha presieduto l’incontro.<br />

Il grande tema della comune storia<br />

veneziano – istriano – dalmata era<br />

stato anticipato da Tomaz nell’Aula<br />

magna dell’Ateneo veneto il 16<br />

novembre – come abbiamo già riferito<br />

– e poi il 19 gennaio a Cà<br />

Rezzonico dove ha trattato della parlata<br />

veneziana in Istria e Dalmazia<br />

come evoluzione dal latino avvenuta<br />

contemporaneamente nelle tre regioni<br />

in costante scambio reciproco.<br />

Le due conferenze, organizzate<br />

dalla sezione veneziana del Circolo<br />

Europeo di Cultura sono in corso di<br />

stampa. Gli interventi al Consiglio<br />

comunale di Venezia e a Mestre<br />

sono stati già pubblicati in un opuscolo<br />

e noi l’abbiamo ristampato come<br />

inserto a questo numero del giornale<br />

per farne omaggio ai nostri lettori.<br />

Dal Comune di Chioggia Gigi<br />

Tomaz è stato invitato a tenere il<br />

prossimo 11 maggio alle 17,30, nel<br />

grande Auditorium in Corso del<br />

Popolo, una lezione a studenti, insegnanti<br />

e cittadini sui rapporti storico –<br />

economici tra Chioggia, Istria e<br />

Dalmazia dall’antichità all’esodo.<br />

Sta per uscire la rivista semestrale<br />

di studi storici Chioggia con la<br />

prima di due puntate dello studio<br />

chiesto a Gigi su Chioggia e l’Esodo<br />

del Giuliano-Dalmati. L’interessante<br />

capitolo sul primo esodo forzato dei<br />

regnicoli chioggiotti, del 1915, verrà<br />

da noi pubblicato in seguito.<br />

A Trieste la Comunità Chersina è<br />

stata presente col suo labaro il 10<br />

febbraio alla Foiba di Basovizza,<br />

all’alzabandiera in piazza dell’Unità<br />

d’Italia e alla successiva manifestazione<br />

al Teatro Verdi, alla presenza del<br />

Vicepresidente del Consiglio, on.<br />

Gianfranco Fini.<br />

Grande successo del “Ricordo” dunque!<br />

Ma ricordare, pur essendo importante,<br />

non basta. Bisogna anche chiedersi<br />

“Perché è potuto accadere?” ed<br />

analizzare gli eventi che hanno preceduto<br />

le foibe e l’esodo, non per scusarli<br />

ma per capire meglio e poi, soprattutto,<br />

educare le nuove generazioni alla convivenza<br />

democratica, all’accettazione<br />

della diversità come “fattore di arricchimento”,<br />

al rispetto per gli altri e per le<br />

loro idee.<br />

Dal settembre 1943 al maggio<br />

1945 l’Istria è stata teatro di una<br />

feroce guerriglia tra i tedeschi e i<br />

partigiani comunisti di Tito. Poi questi<br />

ultimi rimasero padroni del<br />

campo e ripresero una radicale<br />

“pulizia etnica” contro gli italiani,<br />

considerati “impurità etnica”.<br />

Approfittando della violenza bellica<br />

usarono le minacce, le deportazioni,<br />

le uccisioni, gli infoibamenti. Si<br />

calcolano in 12.000 le vittime civili.<br />

350.000, su 500.000, fuggirono<br />

profughi in Italia.<br />

Il giornale della diocesi di Trieste<br />

“Vita Nuova” scriveva che il comunismo<br />

balcanico “scatenò una lotta<br />

A Verona – scrive Meyra Moise –<br />

quest’anno, per la prima volta, il<br />

“Giorno del Ricordo” è stato solennemente<br />

celebrato attraverso una serie<br />

di manifestazioni culturali e artistiche:<br />

proiezione con dibattito del film<br />

“Portius”, trasmissione in teatro di<br />

ricordi dal vivo di persone che hanno<br />

sofferto e vissuto da vicino il dramma<br />

delle foibe, celebrazione di una S.<br />

Messa per i martiri istriani e inaugurazione<br />

di un cippo dedicato agli eroi<br />

giuliano-dalmati. La partecipazione è<br />

stata entusiasta e numerosa, anche<br />

perché l’invito è stato esteso a tutti i<br />

simpatizzanti veronesi sensibili al<br />

nostro problema.<br />

Da Ponte Sull’Ania (Lucca), Mons. Giuseppe Stagni, di Ustrine,<br />

così presenta l’esodo dei sacerdoti e suo dalle nostre terre:<br />

L’ESODO DEI SACERDOTI<br />

di Mons. Giuseppe Stagni<br />

senza quartiere contro il clero cattolico<br />

di cultura latino-veneta”.<br />

Carlo Sgorlon, scrittore friulano,<br />

ha scritto che una propaganda martellante<br />

ripeteva che “i preti erano<br />

parassiti, non producevano nulla,<br />

vendevano soltanto chiacchiere e<br />

superstizioni, non avevano diritti.<br />

Erano sospetti e carichi di ambiguità.<br />

Le sottane nere servivano a<br />

nascondere una natura di fannulloni<br />

e oziosi che si facevano mantenere<br />

dai fedeli. Si attribuivano loro<br />

amori disordinati con donne dal<br />

comportamento leggero e si cominciò<br />

a parlare del confessionale<br />

come di un luogo di complotti”.


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Le feste religiose, compreso il S.<br />

Natale, furono abolite perché ricordavano<br />

leggende e miti. Furono<br />

uccisi 35 sacerdoti. Cito tre soli<br />

esempi. La salma di don Angelo<br />

Tarticchio fu estratta da una foiba<br />

(voragine), nuda, con una corona di<br />

spine calcata sulla testa.<br />

Don Federico Vecchiet si era<br />

laureato in ingegneria; era un parroco<br />

straordinario. I partigiani nascosero<br />

quattro bombe nell’orto della<br />

sua canonica e poi lo accusarono ai<br />

tedeschi di tenere le bombe nascoste<br />

contro di loro. Interrogato, negò.<br />

Fu deportato a Dachau, dove morì il<br />

20 febbraio 1944.<br />

Don Miro Bulesich, il 24 agosto<br />

1947 fu sgozzato con due coltellate<br />

alla gola a Lanischie perché<br />

- avendo studiato alla Gregoriana<br />

a Roma, era falso come un<br />

Gesuita;<br />

- aveva celebrato una certa festa<br />

chiamata Pasqua;<br />

- aveva liberato una quarantina<br />

di croati, già destinati alla deportazione<br />

in Germania ma, se i tedeschi<br />

lo avevano ascoltato, voleva dire<br />

che era loro amico. Aveva 27 anni.<br />

La Chiesa ha avviato la sua causa<br />

di beatificazione.<br />

Perché don Giuseppe Stagni è<br />

andato profugo in Toscana<br />

In questo dramma si inserisce<br />

l’ordinazione sacerdotale del giovane<br />

seminarista Don Giuseppe. Si<br />

trovava sull’isola di Lussino. Non<br />

poteva raggiungere il suo arcivescovo<br />

a Zara perché la città era sotto i<br />

paratigiani titini; la cattedrale era<br />

stata sfondata da bombardamenti e<br />

l’Arcivescovo lavorava nella cappella<br />

mortuaria del cimitero. Don<br />

Stagni sentiva che Gesù lo chiamava<br />

al suo altare. Si recò a Fiume,<br />

dove il vescovo Ugo Camozzo lo<br />

ordinò sacerdote domenica 5<br />

novembre 1944. L’ordinazione<br />

avvenne nella chiesa del SS.<br />

Redentore, che lo stesso vescovo<br />

volle come una preghiera, affinché<br />

la città venisse risparmiata dalla<br />

guerra. Durante l’ordinazione si scatenò<br />

un bombardamento sulla città.<br />

Il Vescovo pensò di sospendere la<br />

cerimonia, ma il giovane Don Stagni<br />

lo implorò di continuare: “Altrimenti,<br />

quando potrò essere ordinato<br />

sacerdote?” Uscirono in fretta dalla<br />

chiesa e raggiunsero il rifugio del<br />

vescovado tra le macerie ed evitando<br />

i cadaveri. Gesù aveva detto:<br />

“Se siete perseguitati fuggite in<br />

un’altra città”. Lui stesso, perseguitato<br />

da Erode, fuggì profugo in<br />

Egitto.<br />

Così fecero i tre Vescovi.<br />

Mons. Ugo Camozzo, vescovo di<br />

Fiume, nel 1947 ammainò il tricolore<br />

del vescovado e lo tagliò in tre<br />

pezzi che nascose in tre valigie<br />

affinché non glielo sequestrassero<br />

alla frontiera. Con quel tricolore<br />

riposa ora ai piedi dell’altare della<br />

Madonna, sotto l’organo della<br />

Primaziale di Pisa.<br />

Mons. Pietro Doimo Munzani,<br />

arcivescovo di Zara, fu deportato<br />

prigioniero nell’isola di Lagosta. Da<br />

qui esulò a Roma. Rifiutò una<br />

nuova sede: “Voglio morire come<br />

Vescovo della mia Zara!” diceva.<br />

Mons. Raffaele Radossi, vescovo<br />

di Pola, andò per benedire alcune<br />

salme, esumate da una foiba.<br />

Fecero saltare la sua “Topolino”.<br />

Adagiato sul prato con una grossa<br />

lacerazione sulla testa, disse in dialetto<br />

al segretario che gli asciugava<br />

il sangue: “No te preocupar perché<br />

mia mama me dixeva che el bacalà,<br />

più che se lo bate, più bon el diventa”.<br />

Anche lui dovette fuggire in<br />

Italia e divenne Arcivescovo di<br />

Spoleto. Così sono fuggiti 250<br />

sacerdoti e una ventina di Comunità<br />

Religiose, tra le quali due di suore<br />

benedettine di vita contemplativa.<br />

Il giovane sacerdote Don<br />

Giuseppe Stagni raggiunse la sua<br />

isola di Cherso nascosto sotto un<br />

telone su una barca militare. Nella<br />

cittadina di Cherso, mentre cercava<br />

rifugio nel Convento di S. Francesco,<br />

sentì sopra alla testa il sibilo di<br />

una pallottola che gli era stata indirizzata.<br />

La mattina dopo vide un<br />

camion carico di tedeschi. Non c’era<br />

posto per lui. Montò sul predellino,<br />

accanto all’autista. Quando arrivò al<br />

suo paese di Ustrine aveva la veste<br />

talare piena di polvere e le mani rattrappite:<br />

sembrava Babbo Natale!<br />

Il 12 novembre 1944 tutti i 250<br />

abitanti di Ustrine erano in festa.<br />

Riuscirono a stendere perfino un<br />

gran pavese di bandierine dal campanile<br />

alla casa del festeggiato.<br />

Comunità Chersina<br />

11<br />

Durante il corteo verso la chiesa,<br />

nel cielo apparve un aereo. La<br />

gente abbandonò la strada e si rifugiò<br />

nelle case. I piloti si abbassarono,<br />

virarono due volte, s’accorsero<br />

della festa… e scomparvero. Una<br />

festa povera ma ricca di emozioni e<br />

di gioia. A Don Stagni sarebbe piaciuto<br />

esercitare il suo sacerdozio fra<br />

la sua gente ma, nell’agosto 1945,<br />

l’Arcivescovo lo chiamò a Zara. La<br />

città era stata distrutta per il 90 %<br />

da 54 bombardamenti. Don Stagni<br />

passava tra le rovine recitando il S.<br />

Rosario.<br />

Il 28 settembre 1948 anch’egli<br />

dovette strappare le radici della sua<br />

vita e del suo sacerdozio dalla sua<br />

terra. Fu accolto nel Campo profughi<br />

di Udine e quindi nel Collegio<br />

Vescovile Pio X di Treviso.<br />

Un giorno ricevette il seguente<br />

messaggio di Mons. Ugo Camozzo,<br />

arcivescovo di Pisa: “Il 5 novembre<br />

1944, quando ti ordinai sacerdote a<br />

Fiume, sotto i bombardamenti, ti<br />

dissi che ti saresti ricordato di quella<br />

tua straordinaria ordinazione sacerdotale.<br />

Ora ho bisogno di te. A<br />

Ponte All’Ania non hanno né una<br />

chiesa né un sacerdote”. Così Don<br />

Giuseppe Stagni è venuto profugo a<br />

Ponte All’Ania. E’ venuto da una<br />

vigna del Signore che una guerra e<br />

una politica cattiva avevano devastato.<br />

Con questa eccezionale ed<br />

avventurosa esperienza sacerdotale<br />

Don Stagni ha iniziato a Ponte<br />

All’Ania una nuova vita.<br />

L’articolo fu spedito a Padre<br />

Flaminio Rocchi che, il 27 agosto<br />

1994, così gli rispose da Roma:<br />

“Caro Don Giuseppe,<br />

ho letto e meditato la bellissima<br />

relazione sulla tua giovanile avventura<br />

sacerdotale. La fuga dei sacerdoti,<br />

anche autoctoni, costituisce un<br />

fatto di grave importanza storica<br />

anche perché gli stessi preti croati<br />

ci vanno accusando che abbiamo<br />

avuto paura, nutrivamo una incapacità<br />

testarda di colloquiare con i<br />

croati e che il nostro esodo è stato<br />

un errore. Per questo mi sono soffermato<br />

a giustificarlo. Tu, comunque,<br />

puoi correggere, tagliare,<br />

modificare a tuo piacimento.<br />

Il titolo di “Monsignore” te lo sei


12 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

meritato pienamente. A Roma bastano<br />

cinque anni di servizio presso il<br />

Vaticano o presso il Vicariato per<br />

maturare il titolo.<br />

Ogni anno, già dai primi giorni di<br />

agosto, a Cherso, ci si preparava al<br />

consueto pellegrinaggio verso un<br />

affascinante santuario, pieno di ex<br />

voto, posto su un colle, sopra un<br />

mare spesso burrascoso e di un blu<br />

cupo e profondo, dedicato alla<br />

Madonna di S. Salvador. Io cercavo<br />

già di procurarmi 3 sassolini lisci e<br />

rotondi da inserire nella “scarpetta<br />

della Madonna”, una piccola cavità a<br />

forma di scarpa che si trova lungo il<br />

sentiero che conduce alla chiesetta.<br />

Quell’anno, era il 1948, nella mia<br />

famiglia avvertivo una forte tensione.<br />

I miei genitori parlottavano tra di loro<br />

continuamente, spesso nervosamente,<br />

la nonna aveva gli occhi arrossati,<br />

la mamma le guance cadenti e si<br />

alternavano momenti di mutismo<br />

assoluto a discussioni e alterchi più<br />

vivaci. Anche i pasti erano frettolosi e<br />

poco curati.<br />

Io giocavo in Pra’, davanti a casa,<br />

cercando di catturare le imprevidenti<br />

cicale che si avventuravano a frinire<br />

nelle parti basse dei tronchi dei lodogni.<br />

Ero turbata. Il clima familiare<br />

cominciava ad angosciarmi. Eppure il<br />

ricordo della mitragliatrice piantata<br />

davanti a casa, il terrore delle pallottole<br />

che sibilavano verso la soffitta, le<br />

fughe all’alba per rifugiarci nella cantina<br />

più sicura di zio Mate, l’ orrore<br />

dei corpi distesi sotto il volto e nelle<br />

canisele, l’ acquattarsi fulmineo sotto<br />

il figher per non essere individuati dai<br />

cupi e rombanti aerei che passavano<br />

bassi sulle nostre teste, stavano, se<br />

pur lentamente, sfumando. Non capivo,<br />

e i miei perché restavano senza<br />

risposta.<br />

Un mattino vidi arrivare mio padre<br />

con delle assi di legno e cominciò a<br />

inchiodarle e ad ingabbiare la vetrina,<br />

intanto mia madre avvolgeva nelle<br />

intimele alcuni degli oggetti più fragili,<br />

riponendoli con cura nel baule. Ogni<br />

martellata era come una ferita; anche<br />

le cicale smettevano di frinire, mia<br />

sorella tremava e io avrei voluto,<br />

come aveva fatto il gatto, spaventato,<br />

rifugiarmi nel sottoscala, chiudere gli<br />

occhi e tapparmi gli orecchi.<br />

All’alba del 14 agosto il vaporetto<br />

In campagna e nelle montagne ci<br />

sono sacerdoti che lavorano per 40 –<br />

50 anni come santi apostoli e rimangono<br />

sacerdoti nella loro umiltà.<br />

IL MIO ESODO<br />

di Annamaria Zennaro Marsi<br />

si staccò dal molo. La nonna non<br />

aveva voluto venire con noi, non ce<br />

la faceva a lasciare la sua casa e la<br />

sua terra.<br />

Le case diventavano sempre più<br />

piccole, la nonna... un punto nero;<br />

scorgevo solo le strisce irregolari<br />

delle masiere sulle colline. Poi,<br />

quando il vaporetto ebbe virato a<br />

destra dopo la lanterna, Cherso<br />

venne inghiottita, con tutto il suo<br />

porticciolo e la sua baia e con “Lei”,<br />

il mio nido divelto, abbattuto, frantumato<br />

per sempre. Passando davanti<br />

alle chiesette di S. Nicolò, sotto<br />

San Salvador e S. Biagio, mia<br />

madre si fece il segno della croce e<br />

noi la imitammo automaticamente.<br />

Il cielo era limpidissimo, soffiava<br />

un borino che si faceva sempre più<br />

gagliardo, le ombre scure sulla<br />

costa dell’isola contrastavano con il<br />

bagliore rosato, accecante della<br />

sponda opposta. Il mare era di un<br />

blu intenso e molto agitato, profondo<br />

e cupo. Immaginavo feroci<br />

pescecani e vortici tumultuosi che<br />

inghiottivano pescherecci e pescatori,<br />

come avevo visto nei dipinti<br />

degli ex voto a San Salvador.<br />

Giungemmo a Fiume intorno a<br />

mezzogiorno. Mi accolse un odore<br />

sgradevole e nauseante di ferro<br />

arrugginito, di carbone misto ad<br />

asfalto rovente, vidi alte e grigie<br />

case allineate, con tante finestre<br />

tutte uguali e, solo allora, mi accorsi<br />

dei bagagli. Mio padre s’incamminò<br />

reggendo sulla spalla sinistra una<br />

valigia legata con dello spago e sul<br />

braccio destro un sacco. Lo seguiva<br />

mia sorella, segaligna e in piena<br />

crisi adolescenziale, con un fagotto<br />

che alternava da uno all’altro braccio,<br />

poi mia madre con una grande<br />

borsa e ... io, che cercavo di ripararmi<br />

dalla calura dietro ad un muro, a<br />

quell’ora, avaro d’ombra. Una<br />

mesta processione nell’afa agostana<br />

per raggiungere la stazione ferroviaria.<br />

Avvertivo un senso di nausea,<br />

sbocconcellai il panino che mia<br />

madre aveva portato e una pesca<br />

che, generosamente, il piccolo<br />

Farò il possibile per esserti vicino<br />

a Ponte All’Ania e a Ustrine.<br />

Ti abbraccio<br />

Tuo P. Flaminio Rocchi”<br />

pesco dietro la porta dell’orto ci<br />

aveva regalato, solo quell’estate.<br />

Il treno giunse dopo parecchie ore<br />

e credo di essermi addormentata sul<br />

sedile lucido e consunto, perché ad<br />

un certo momento mi sentii trascinare<br />

giù. Eravamo giunti a Divaccia.<br />

Il buio fitto della notte ventosa era<br />

rischiarato solo dalla luna e dalle stelle.<br />

Tremavo dal freddo, nonostante<br />

indossassi il bel golfino bianco di<br />

lana caprina, molto pruriginosa, con i<br />

bottoncini a forma di cappellino, di<br />

cui andavo fiera. Cominciai a lacrimare,<br />

ma nessuno era in grado di<br />

consolarmi. Solo mio padre, forte e<br />

temprato da una vita durissima e da<br />

un precedente e ben più tragico esilio,<br />

cercava di rincuorarmi con il suo<br />

dolce sorriso.<br />

Arrivammo a Trieste il 15 di agosto,<br />

prima che albeggiasse. Ci<br />

avviammo in un silenzio amaro e<br />

opprimente lungo il viale Miramare.<br />

Le nostre ombre scure e disperate<br />

spezzavano quelle degli alberi che<br />

scorrevano lungo il muro della ferrovia,<br />

fino a raggiungere il giardinetto<br />

da dove si potevano scorgere le finestre<br />

degli zii, a me sconosciuti, che si<br />

erano offerti di ospitarci, prima di<br />

essere accolti al SILOS. Mia madre<br />

mi aggiustò i capelli e mi rifece la<br />

“banana” per rendermi presentabile<br />

al loro risveglio. La zia salutò per<br />

primo suo fratello, poi mia madre,<br />

mia sorella e, rivolta a me, chiese:<br />

“Perché piange questa bambina?”<br />

Ah, quanto avrei preferito percorrere<br />

il sentiero ripido, sassoso, assolato<br />

affiancato dai rovi e arrivare<br />

accaldata e stanca, magari scalza, a<br />

S. Salvador !!!<br />

Lassù sarei stata accolta dal refrigerio<br />

dell’ombra profumata di pini, di<br />

salvia e di salsedine, dall’ abbagliante<br />

trasparenza della luce e della speranza,<br />

dall’abbraccio consolatorio<br />

della preghiera. Qui, mi sentivo sull’orlo<br />

di un burrone tetro e vorticoso,<br />

nel buio più cupo, sgomento e<br />

disperato, nell’ignoto più sconfortante<br />

e imperscrutabile.<br />

Mi chiedevo angosciata: “Perché<br />

tutto questo? Perché ???”


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

CRONACHE<br />

Comunità Chersina<br />

A TRIESTE LA FESTA DEL PATRONO DI CHERSO, S. ISIDORO<br />

Riuscitissima celebrazione grazie alla collaborazione di tanti<br />

Nelle fotografie, una visione della sala dell’Associazione delle Comunità Istriane in cui si è tenuto l’incontro della festa del Patrono,<br />

a Trieste, con parte dei tanti partecipanti.<br />

E’ consuetudine che le informazioni<br />

sulla festa del Patrono vengano<br />

date tramite il nostro giornale ma,<br />

dal momento che, a causa di difficoltà<br />

tecniche, quest’anno il nostro<br />

foglio non è uscito in tempo utile, è<br />

stato spedito un certo numero di<br />

inviti personali con la frase “Vieni e<br />

porta un amico”. La cosa ha fatto<br />

piacere e molti hanno risposto alla<br />

chiamata. Fra essi ricorderò, in particolare,<br />

il nostro Vicepresidente<br />

Mauro Peruzzi, che è venuto da<br />

Montecchio Maggiore, alle porte di<br />

Vicenza, con alcuni familiari.<br />

Numerosa è stata pure la partecipazione<br />

degli amici lussignani, fra i<br />

quali c’erano, come tutti gli anni, i<br />

Segretari delle Comunità di<br />

Lussinpiccolo e di Lussingrande,<br />

Giuseppe Favrini e Stefano<br />

Stuparich.<br />

Non c’era l’arcivescovo Bommarco,<br />

ormai unito a noi per sempre<br />

dall’Aldilà.<br />

La cerimonia religiosa, affidata<br />

dalla Presidente ai due sacerdoti<br />

dell’isola residenti a Trieste, è stata<br />

magistralmente organizzata da don<br />

Simeone Musich di Aquilonia, che<br />

ha concelebrato la S. Messa assieme<br />

a don Dario Pavlovich di Vallon.<br />

Quest’ultimo, che il 4 luglio 2004 ha<br />

festeggiato il 50° anniversario della<br />

sua ordinazione sacerdotale, ha<br />

voluto ricordare l’avvenimento coi<br />

13<br />

suoi conterranei e, a fine Messa, ha<br />

distribuito ai presenti un’immaginetta-ricordo.<br />

La Comunità Chersina ha<br />

ricambiato il pensiero offrendogli<br />

alcuni libri su Cherso.<br />

Dopo la Messa e le brevi parole<br />

della presidente dell’Associazione<br />

Francesco Patrizio e del presidente<br />

dell’Associazione delle Comunità<br />

Istriane, c’è stata la proiezione delle<br />

diapositive della gita di settembre a<br />

Cherso e nei suoi villaggi di Corrado<br />

Ballarin. Questa gita ha avuto un<br />

crescente successo per cui, a richiesta<br />

di quanti vi hanno preso parte, di<br />

amici e simpatizzanti, verrà ripetuta<br />

anche nel <strong>2005</strong>. Gli organizzatori -<br />

segue a pag. 18


14 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Festa del Patrono di Caisole S. Antonio Abate<br />

Come di consueto anche quest’anno, per<br />

onorare la festività di Sant’Antonio Abate, patrono<br />

di Caisole, una folta rappresentanza della<br />

comunità dei Caisolani e loro discendenti residenti<br />

a Trieste, si è riunita domenica 16 gennaio<br />

<strong>2005</strong> nella chiesa di Santa Teresa in Trieste.<br />

Mons. Cosulich ha officiato la S. Messa<br />

ricordando nell’omelia i punti salienti della vita<br />

del Santo che si devono tradurre in un incita-<br />

Nella chiesa di Caisole, benché frequentata<br />

regolarmente ogni domenica dagli abitanti<br />

del paese, ed addirittura affollata nei mesi estivi,<br />

per evidenti ragioni demografiche non si<br />

celebrano più matrimoni di residenti nel paese.<br />

Nel 2004, però, si sono celebrate le nozze<br />

d’oro di ben due coppie, delle quali una stabilmente<br />

residente a Caisole, che hanno voluto<br />

riconfermare nella loro chiesa la promessa di<br />

matrimonio fatta 50 anni prima.<br />

Nella foto sono ritratti i coniugi Giovanni ed<br />

mento per ognuno di noi alla generosità e all’amore<br />

per il prossimo, ciascuno secondo le proprie<br />

disponibilità. E’ stata sottolineata, inoltre, la<br />

necessità di rimanere uniti, anche se solo idealmente,<br />

a quanti vivono tuttora a Caisole, sotto la<br />

guida spirituale di Mons. Giuseppe Bandera, cui<br />

è andato un profondo pensiero di riconoscenza<br />

per la sua lunga dedizione alla parrocchia.<br />

Come sempre in ogni bella ricorrenza, alla<br />

Anna Bortulin che 50 anni dopo la fatidica data<br />

del 25\11|1954 si sono riuniti a festeggiare le<br />

loro nozze d’oro circondati dai figli Dario,<br />

Sergio e Riccardo.<br />

Mentre nel mese di aprile erano stati Nada<br />

e Vincenzo Bandera (fotografia a sinistra) a<br />

tagliare il traguardo dei 50 anni di matrimonio,<br />

ma stavolta, a rendere ulteriormente suggestiva<br />

la cerimonia, è stata la contemporanea presenza<br />

della nipote Alessandra che con il marito<br />

Bruno Malisana festeggiava nello stesso gior-<br />

Messa è seguito un lauto pranzo, organizzato da<br />

Paolo Mohovich in un ristorante cittadino, che è<br />

servito a rinsaldare le amicizie e a mantenere<br />

saldi i legami fra 3 - 4 generazioni di Caisolani e<br />

discendenti, che hanno proprio in Caisole un<br />

forte vincolo che va oltre ogni barriera di età. Un<br />

pensiero commosso è anche andato a tutti i<br />

Caisolani, residenti e non, che purtroppo nel<br />

2004 ci hanno lasciato, ed infine si è discusso su<br />

quale possa essere il contributo che i Caisolani,<br />

benché residenti a Trieste, possono dare alla<br />

vita attuale e futura della loro cittadina evitando<br />

di limitarsi soltanto al ricordo del tempo che fu,<br />

che pure è necessario per tramandare tradizioni<br />

ed usi destinati altrimenti a disperdersi. Naturale<br />

epilogo alla riunione (favorito dai molti bicchieri<br />

che sembravano svuotarsi da soli tanto lo facevano<br />

in fretta...), è stato un bel coro di canzoni<br />

tradizionali accompagnato dal suono della fisarmonica<br />

di colui che risulta essere l’ultimo nato in<br />

una casa di Caisole e cioè Sergio Bortulin.<br />

Il prossimo appuntamento è stato fissato per<br />

domenica 15 gennaio del prossimo anno, e l’invito<br />

è esteso già da ora a tutti i Caisolani residente<br />

a Trieste che leggono questo giornale, e<br />

che per vari motivi quest’anno non hanno potuto<br />

partecipare.<br />

Bruno Malisana<br />

Nozze d’oro e d’argento<br />

no a sua volta un ambito traguardo:<br />

le nozze d’argento. Nella foto a<br />

destra sono riprese le due coppie<br />

davanti all’altare mentre ascoltano<br />

attentamente le parole di mons.<br />

Bandera.<br />

Sia per i coniugi Bortulin che<br />

Bandera e Malisana si è trattato di<br />

due momenti di gioia intensa e<br />

festa cui ha partecipato l’intero<br />

paese.<br />

L’augurio è che altre coppie<br />

raggiungano in serenità questi bei<br />

traguardi e soprattutto che nuove<br />

coppie decidano che è giunta l’ora<br />

del matrimonio, anche se questa<br />

sembra una parola a cui molti giovani<br />

d’oggi paiono essere sordi...<br />

Bruno Malisana<br />

NOZZE D’ORO<br />

MARIA PETRIS<br />

ANTONIO BUNICCI<br />

ad Arma di Taggia (Imperia).<br />

Parenti ed amici<br />

augurano loro ogni bene


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Comunità Chersina<br />

CHERSO, L’ISOLA CHE C’È<br />

Fotografia di Don Dario Pavlovich.<br />

E’ uscito, alle soglie dell’estate<br />

scorsa, il numero doppio 99/100<br />

della rivista di letteratura “Resini –<br />

Quaderni Liguri di Cultura” interamente<br />

dedicato alla cultura istriana<br />

e fiumana del Novecento. L’iniziativa<br />

ha riscosso vasta eco favorevole. Il<br />

chersino Luigi Surdich<br />

dell’Università di Genova ha contribuito<br />

con questo saggio, bello e<br />

interessantissimo.<br />

Josep e Irena si incontrano a<br />

Praga. Hanno abbandonato la città<br />

da molto tempo e, dopo venti anni di<br />

esilio, finalmente possono tornare<br />

liberi in patria. Una storia di amore,<br />

tra i due, venti anni prima, stava per<br />

nascere. Ora si rincontrano e quella<br />

storia di sentimenti e di affetti, così<br />

personale e privata, risulta impossibile<br />

riattivarla, rilanciarla. La Storia<br />

grande e maiuscola, con la sua crudeltà<br />

e la sua pena, ha strozzato fin<br />

dall’inizio il cammino della loro<br />

vicenda e adesso quanto più fortemente<br />

pesa e condiziona in negativo<br />

l’ipotesi di una ripresa di un legame<br />

appena avviato è una distanza che<br />

si è fatta abisso incolmabile.<br />

Incolmabile soprattutto per la separatezza<br />

dei ricordi.<br />

Josep e Irena sono i protagonisti<br />

del romanzo L’ignoranza di Milan<br />

Kundera, apparso in edizione italiana<br />

presso l’editore Adelphi nel 2001.<br />

Nel cuore dello sviluppo della trama<br />

una riflessione rende conto della<br />

sostanza di quanto, di che cosa<br />

rende irrapportabile un avvicinamento,<br />

un’unione, una sintonia:<br />

Immagino l’emozione di due esseri<br />

che si rivedono dopo anni. Un<br />

tempo si frequentavano e quindi<br />

pensano di essere legati dalla stessa<br />

esperienza, dagli stessi ricordi.<br />

Gli stessi ricordi? E’ qui che<br />

comincia il malinteso: non hanno<br />

gli stessi ricordi; del passato, a<br />

entrambi sono rimaste impresse<br />

due o tre situazioni particolari, ma<br />

non le stesse; i loro ricordi non si<br />

somigliano; non collimano; e<br />

anche dal punto di vista quantitativo<br />

non sono comparabili: l’uno si<br />

ricorda dell’altro più di quanto<br />

questi non si ricordi di lui; anzitut-<br />

15<br />

di Luigi Surdich<br />

to perché la capacità di memoria<br />

varia da individuo a individuo<br />

(spiegazione, questa, che sarebbe<br />

in fondo accettabile per entrambi),<br />

ma anche (e questo è più duro da<br />

ammettere) perché non hanno,<br />

l’uno per l’altro, la stessa importanza.<br />

Quando Irena vide Josep<br />

all’aeroporto, ricordava ogni particolare<br />

di quella loro lontana<br />

avventura; Josep non ricordava<br />

nulla. Sin dal primo istante, il loro<br />

incontro ebbe come fondamento<br />

un’ineguaglianza ingiusta e ripugnante.<br />

(p.121)<br />

Agosto 1972. Accompagno mio<br />

padre a Cherso, il paese suo e mio,<br />

il paese dove è nato lui nel 1914 e<br />

dove sono nato io nel 1946. Cherso<br />

è il capoluogo dell’isola che, di fronte<br />

a Fiume, si distende in lungo per<br />

circa sessanta chilometri e continua,<br />

si può dire (solo un esiguo canale,<br />

ovviamente sormontato da un ponte<br />

fa da separazione) nell’isola di<br />

Lussino. Nella primavera trascorsa è<br />

morta la zia di mio padre, quella che<br />

in realtà, per lui orfano di madre e


16 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

padre fin dall’età di un anno, è stata<br />

il naturale sostituto della figura<br />

materna. C’è qualche incombenza<br />

burocratica da disbrigare e io sono<br />

molto contento di fare un viaggio<br />

così lungo assieme a mio padre e<br />

sono emozionato di andare finalmente<br />

a vedere dove sono nato. Mi<br />

colpisce, del paese di Cherso, la<br />

sua calma, la sua quiete come da<br />

lago; mi colma di sensazioni perdute,<br />

forse mai provate così intensamente,<br />

quel forte odore di mare che<br />

penetra dappertutto; mi stupisce leggere<br />

dall’insegna posta all’esterno<br />

della bottega che il barbiere si chiama<br />

Surdic; mi incuriosisce e mi<br />

riempie di infantile allegria la sosta<br />

forzata della corriera per non scontrarsi<br />

con una capra che liberamente<br />

attraversa la strada; mi turba non<br />

poco la sosta al paesino di<br />

Dragosetti, quello della zia e dell’infanzia<br />

di mio padre, paesino dalla<br />

splendida vista sul Quarnaro (una<br />

specie di Ruta di Camogli, per intenderci),<br />

ma paesino arrivando al<br />

quale, provenendo da Cherso, sembra<br />

come di essere passati dalla<br />

povertà alla miseria: della luce elettrica,<br />

tanto per dirne una, non è<br />

nemmeno il caso di parlarne. Ma di<br />

quel viaggio soprattutto mi è rimasto<br />

impresso, osservando da vicino,<br />

spiando gesto dopo gesto, parola<br />

dopo parola, incontro dopo incontro,<br />

il comportamento di mio padre, il<br />

disagio e la difficoltà di rapporti che<br />

lui incontrava con persone che pure<br />

aveva conosciuto, a suo tempo, che<br />

pure aveva frequentato, a suo<br />

tempo. Ho percepito, allora, senza<br />

capire bene, quello che, molti, molti<br />

anni dopo, tramite la narrazione di<br />

Kundera, mi si è illuminato.<br />

***<br />

Il traghetto ci mette poco, bastano<br />

venti minuti, a trasferirci dall’isola<br />

alla terraferma, da Faresina a<br />

Brestova. Di qua, lungo i tornanti<br />

ripidi che ci porteranno a Laurana e<br />

Abbazia, serpeggia la lunga striscia<br />

delle auto degli estivanti, in attesa di<br />

traghettare e raggiungere l’isola, per<br />

poi sparpagliarsi nelle spiagge di<br />

Vallon o, più in giù ancora, di<br />

Lussinpiccolo. Di là resta l’isola, da<br />

cui ci si allontana, da cui si prende<br />

congedo. Ancora uno sguardo, quello<br />

con cui si vede “l’isola impiccolire,<br />

svanire all’orizzonte nell’immenso<br />

bagliore del mare” (come scrive,<br />

riferendosi a Lussino, nel racconto<br />

L’isola Giani Stuparich, a p. 81 della<br />

seconda edizione, Torino, Einaudi,<br />

1942). Per me è stata la prima volta<br />

che ho visitato l’isola, ed è la prima<br />

volta che la guardo da lontano,<br />

separandomene. Ma no, non è così.<br />

Se ci penso bene, è la seconda<br />

volta. La prima volta è stata quella,<br />

remotissima, immemore, di quando<br />

avevo sei mesi o poco più e i miei<br />

hanno lasciato casa, paese, isola.<br />

Profughi. Ma ci può essere stato<br />

uno sguardo mio allora? Impossibile.<br />

Un’impossibilità che fa tutt’uno<br />

con la diversità mia dell’essere<br />

esule rispetto a quella di Josep e<br />

Irena di Kundera, a quella di mio<br />

padre e di mia madre.<br />

Eppure… Eppure c’è un qualcosa<br />

che la legge ferma e severa del<br />

mare ci invita ad apprendere:<br />

Guardate il mare: un’onda segue<br />

all’altra, e non è la stessa onda,<br />

ma una è causa dell’altra e le trasmette<br />

forma e movimento. Così gli<br />

esseri che viaggiano attraverso il<br />

mondo non sono gli stessi oggi e<br />

domani, né in una vita gli stessi<br />

che in un’altra. Eppure è la spinta<br />

e la forma delle vite precedenti a<br />

determinare il carattere di quelle<br />

che seguono. Una credenza ragionevole,<br />

ma incredibile.<br />

(W. Somerset Maughan, Acque<br />

morte, Milano, Adelphi, 2001, pp.<br />

54-59).<br />

Un viaggio che non è propriamente<br />

un viaggio, ma un abbandono,<br />

una fuga, si incide inevitabilmente<br />

anche in chi, nell’inconsapevolezza,<br />

non ne ha avvertenza. Come a<br />

volte nel corpo rimane il segno di<br />

una cicatrice dovuta a un contrattempo<br />

del parto, così nel carattere,<br />

nella sensibilità, nell’anima può permanere<br />

la marcatura di un’esperienza<br />

di abbandono, di lacerazione, di<br />

distacco. Anche questa percezione<br />

rientra nella sindrome dell’esilio,<br />

così come nei suoi tratti salienti e<br />

decisivi l’ha analizzata e descritta<br />

Enzo Bettiza:<br />

L’eco delle sindromi, insomma, si<br />

prolunga vibrante al di là delle<br />

prime e dure sottrazioni che l’esodo<br />

impone all’esule: la rinuncia<br />

alla terra e all’identità, la dimenticanza<br />

della lingua natale, le privazioni<br />

materiali, il deperimento dei<br />

legami coniugali, la perdita del<br />

contatto fisico con la tomba dei<br />

propri defunti (ho potuto di persona<br />

constatare come l’allontanamento<br />

dai sepolcri, l’oblio dei<br />

morti di famiglia, acceleri nell’esilio<br />

il declino dei vincoli di parentela).<br />

Raramente si dà il caso di un<br />

recupero integrale dell’equilibrio<br />

perduto già nelle prime ore dello<br />

sradicamento. Anche quando l’esule<br />

riesce a rifarsi col tempo una<br />

vita, una famiglia, una prole, una<br />

patria, una nuova identità linguistica<br />

e culturale, egli non sfugge,<br />

non può mai sfuggire completamente<br />

al marchio del trauma iniziale.<br />

Può abituarsi a convivere<br />

con esso, può attutirlo, fingere di<br />

dimenticarlo, ma non potrà mai<br />

cancellarne del tutto il segno.<br />

Resterà sempre la cicatrice al<br />

posto della ferita. (Esilio, Milano,<br />

Mondadori, 1998 [1^ ed.1996], pp.<br />

379-80).<br />

Tutte le conseguenze che l’esilio<br />

produce, così come le ha censite<br />

Enzo Bettiza, la mia famiglia le ha<br />

provate: non, però, la perdita di beni<br />

materiali perché, non possedendo<br />

alcun bene, era anche impossibile<br />

perderlo! In modo inconscio, credo,<br />

il trauma del viaggio-fuga (come<br />

archetipo di tutti i viaggi possibili e<br />

come viaggio assoluto che tutti gli<br />

altri assorbe in sé e tutti gli altri<br />

rende superflui e inutili) si è fatto<br />

sensibile in me nel rifiuto di quello<br />

che può essere uno degli effetti dell’esilio,<br />

il nomadismo (“Un dì, s’io<br />

non andrò sempre fuggendo / di<br />

gente in gente”, appunto), e nella<br />

condivisione della scelta opposta,<br />

quella della stanzialità, della riluttanza<br />

al viaggiare: “Il viaggio è la ricerca<br />

di questo nulla, di questa piccola<br />

vertigine per coglioni…” (L.F. Céline,<br />

Viaggio al termine della notte,<br />

Milano, Dall’Oglio, 1980, p. 226).<br />

Poi, altro esito che ho potuto riscontrare,<br />

è stata la rimozione spontanea,<br />

istintiva, di qualsiasi inclinazione<br />

al vagheggiamento per “l’isola<br />

che non c’è”. Perché per me l’isola<br />

c’è sempre stata. Concreta anche<br />

se lontana per me Cherso è l’isola<br />

che c’è.<br />

***<br />

L’isola che c’è mi sta davanti, ora<br />

che al tavolino sto scrivendo questi<br />

pochi paragrafi, nell’immagine incorniciata<br />

di una stampa, raffigurante,<br />

come indica la didascalia, l’ “Isola di<br />

Cherso ed Ossero”. C’è un piccolo<br />

aneddoto che mi è caro raccontare,<br />

a proposito di questa stampa. Ero a<br />

cena a casa di amici, qualche anno<br />

fa e, nel dopo cena, mi sono soffer-


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

mato a osservare alcuni quadri<br />

appesi alle pareti del corridoio. Mi<br />

colpì una stampa che raffigurava,<br />

accostati e in parallelo, in senso<br />

orizzontale, due isolotti, uno più<br />

avanzato, più a sinistra rispetto<br />

all’altro e quello più avanzato giungeva<br />

quasi a lambire un altro spazio<br />

disegnato (sembrava anch’esso<br />

un’isola, perché si accampava sul<br />

bordo bianco dell’estremità sinistra<br />

del quadro). Ho fissato più attentamente<br />

il tutto e l’occhio è caduto<br />

sulla didascalia. La sorpresa è stata<br />

davvero grande. Non avevo riconosciuto<br />

la mia isola, ma c’era una<br />

ragione per non averla riconosciuta,<br />

e dipendeva dal fatto che la prospettiva<br />

era spostata, ruotata di 90 gradi,<br />

rispetto al modo legittimamente<br />

adottato nella cartografia che rappresenta<br />

l’Italia e l’annessa Istria.<br />

Se noi siamo abituati a vedere l’isola<br />

di Cherso allungarsi in verticale e<br />

puntare perpendicolare a Nord<br />

verso il porto di Fiume, nella stampa<br />

Cherso e, in parallelo, Lussino, sono<br />

disposti in orizzontale e il Nord che<br />

è la costa istriana risulta collocato in<br />

postazione parallela al bordo sinistro<br />

della cornice, come se fosse un<br />

Ovest: Una carta curiosa, che subito<br />

mi ha avvinto, emozionato, commosso.<br />

Il gentilissimo e generosissimo<br />

padrone di casa che mi aveva<br />

invitato per quella cena me ne ha<br />

fatto dono ed ora l’isola di Cherso,<br />

orizzontale e non verticale, è<br />

costantemente esposta al mio<br />

sguardo, davanti al tavolo di lavoro<br />

del mio studio.<br />

***<br />

Un quadro, una stampa e la<br />

distanza sembra come accorciarsi.<br />

E l’altro strumento con cui tento di<br />

colmare la lontananza è quello dei<br />

libri, della lettura. Di scorcio e per<br />

sommi capi (e, soprattutto, col gusto<br />

della bibliografia imperfetta e parziale<br />

che per indolenza e per abitudine<br />

mi appartiene) qualche passo letterario<br />

dove si fa menzione di Cherso,<br />

fra i molti che nel corso degli anni ho<br />

estrapolato dalle mie letture e ho<br />

trascritto in vari foglietti, ora vorrei<br />

riproporlo, in una antologia ristretta<br />

e inevitabilmente provvisoria. A volte<br />

è la suggestione o l’ipotesi, più che<br />

la certezza, a farmi intravedere<br />

Cherso dove forse Cherso non è. Mi<br />

piacerebbe che lo fosse (e verisimilmente<br />

non lo è) quell’isola di cui si<br />

fa cenno nell’incipit de La frontiera,<br />

romanzo di Franco Vegliani, del<br />

1964, ripubblicato dall’editore<br />

Sellerio nel 1996: “Nell’estate del<br />

1941, che fu una stagione calda ed<br />

afosa, carica di temporali, ma calda<br />

ed afosa, io passai più di un mese in<br />

un’isola della Dalmazia situata molto<br />

a nord nell’arcipelago, e patria<br />

remota, originaria, della mia famiglia”<br />

(p. 9). E anche se non si parla<br />

di Cherso, ma in generale dell’Istria,<br />

in un altro prezioso libretto pubblicato<br />

da Sellerio, mi è accaduto di leggere,<br />

trasferite in immagini narrative,<br />

considerazioni che, riferite a<br />

Cherso, erano costanti nel mio circuito<br />

familiare; e allora le voglio trascrivere<br />

ugualmente. Sono del bel<br />

libretto di Nelida Milani, Una valigia<br />

di cartone (Palermo, Sellerio, 1991,<br />

pp. 48-9):<br />

Povera Istria, sotto a chi tocca: ora<br />

slavi, ora italiani. I due mondi di<br />

questa terra hanno una storia<br />

intrecciata. A non cogliere l’intreccio<br />

della nostra vita si rischia di<br />

finire nelle righe di quel racconto<br />

in cui il narratore che sta descrivendo<br />

un incontro di boxe si attacca<br />

tanto a seguire uno solo dei due<br />

pugili che alla fine, quando il suo<br />

uomo viene buttato giù, non riesce<br />

a raccontare il K.O. perché l’avversario<br />

vittorioso non lo ha né<br />

mai seguito né visto in faccia.<br />

Nato a Lussinpiccolo, nel 1898,<br />

ma cresciuto a Cherso, prima di fare<br />

gli studi superiori a Trieste, per poi<br />

laurearsi in medicina all’Università di<br />

Padova e specializzarsi in Ostetricia<br />

e Ginecologia a Vienna, è Sisinio<br />

Zuech, il cui romanzo Suva, un’isola,<br />

un mondo (Roma, Editrice italiana,<br />

1966), è il momento di travaso<br />

nella narrativa di quanto aveva<br />

caratterizzato alcune raccolte di liriche<br />

(Dopo la tormenta, Poema<br />

cosmico, Frane dell’innocenza,<br />

L’arco della notte), vale a dire “la<br />

presenza ininterrotta di una tematica<br />

sopra ogni altra preminente, ossia il<br />

motivo-mito dell’isola di Cherso con<br />

tutte le sue vaste implicazioni affettive,<br />

politiche, morali, umane”. Il pertinente<br />

giudizio critico è di Bruno<br />

Maier e viene espresso (a p. 319)<br />

nell’ampio saggio, Caratteri, motivi,<br />

aspetti della letteratura triestina del<br />

Novecento, che fa da introduzione al<br />

volume Scrittori triestini del Novecento<br />

(Antologia a cura di O.H.<br />

Bianchi, M.Cecovini, M.Fraulini,<br />

B.Maier, B.Marin, F.Todeschini.<br />

Prefazione di Carlo Bo, Trieste,<br />

Edizioni LINT, 1968). E da tale anto-<br />

Comunità Chersina<br />

17<br />

logia, che riproduce il capitolo IX del<br />

romanzo di Zuech, recupero due<br />

passaggi. Il primo che offre, attraverso<br />

la narrazione indiretta del protagonista,<br />

una panoramica di alcuni<br />

luoghi dell’isola che io spesso sentivo<br />

menzionare, nella loro forma italiana<br />

(come fa Zuech) dai miei genitori;<br />

il secondo che, nella breve<br />

restituzione del parlato, menziona<br />

esplicitamente Cherso:<br />

Nelle serate d’inverno Suva mi raccontava<br />

lunghe storie di notti fantasiose<br />

passate alla pesca. Storie<br />

di sarde, di dentici e di tonni, storie<br />

di scorribande, di peregrinazioni,<br />

di temporali e di naufragi. La<br />

punta Pernata , Farasina, Caisole,<br />

Lubenizze, i macigni di Punta<br />

Grotta, passavano ingigantiti<br />

davanti alla mia fantasia. E il dentice<br />

di dodici chili, che Suva aveva<br />

preso all’amo sul moletto di<br />

Smergo e che lo aveva tenuto impegnato<br />

per qualche ora, e il grongo<br />

enorme che il “defonto pare”<br />

aveva preso al parancale sulle secche<br />

di Punta Cobij, del grongo che<br />

dal soffitto toccava il pavimento ed<br />

era grosso come una anaconda. (p.<br />

995)<br />

Quando i rintocchi della campana<br />

cominciarono a percuotere la grande<br />

volta del cielo, e la temuta nebbia<br />

serale sostò sui tetti e sulle<br />

altane, la compagnia si mosse, poi<br />

sempre più rapida, via via che i<br />

remi prendevano il giusto ritmo. Il<br />

porto, sepolto nel silenzio degli<br />

ulivi, sembrava un lago dolce e<br />

quieto, dove il tempo sostava eterno.<br />

Quando s’accesero le prime<br />

stelle, Suva le stette a rimirare pensoso,<br />

poi disse lentamente: - Ma<br />

chi questo impizza? Chi questo<br />

impizza?... Ogni sera… Ogni<br />

sera… E pò gnente più Cherso,<br />

gnente più Cherso. Addio, addio!<br />

(p. 997)<br />

La figura di Sisinio Zuech fa<br />

capolino tra le pagine del libro di<br />

Vittorio Vettori, Sulla via dell’arcangelo<br />

(Firenze, Franco Cesati<br />

Editore, 1993), che nel suo volumetto<br />

di memorie e aneddotica varia<br />

dedicato “Alla vivente memoria | di<br />

Piero Graverini, il Bersagliere, | aretino<br />

di stampo etrusco-romano, |<br />

valoroso avvocato e uomo di cuore,<br />

| soldato generosamente europeo e<br />

planetario | di una nuovissima Italia<br />

ancora tutta da fare”, intitola un intero<br />

capitolo Cherso (pp. 48-55):


18 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong> 18<br />

L’incontro con la studentessa fu<br />

fissato per la tarda mattinata al<br />

Caffè degli Specchi.<br />

La studentessa però non si presentò<br />

sola. Era accompagnata da<br />

un anziano amico e conoscente,<br />

ben noto al Bersagliere che aveva<br />

avuto modo di incontrarlo più di<br />

una volta nella Libreria antiquaria<br />

di Umberto Saba ai tempi<br />

ormai lontani di Pola: il dott.<br />

Sisinio Zuech di Cherso.<br />

La studentessa stava per fare<br />

doverosamente da tramite fra i<br />

due uomini, ma non ne ebbe il<br />

tempo perché entrambi si salutarono<br />

festosamente per proprio<br />

conto, manifestando insieme la<br />

sorpresa e la gioia di essersi ritrovati,<br />

per effetto di una così gradevole<br />

ed acculturata conoscenza<br />

comune.<br />

“Deve sapere – disse il<br />

Bersagliere alla studentessa, una<br />

volta sistemato con gli altri attorno<br />

a un tavolo del Caffè – che l’illustre<br />

dott. Zuech e l’umile sottoscritto<br />

si sono frequentati e<br />

apprezzati assai prima che Lei<br />

diventasse quella splendida ragazza<br />

che è ora e che grazie al dottor<br />

Zuech io praticamente so tutto (o<br />

quasi) quel che riguarda Cherso e<br />

la sua storia, a cominciare da<br />

quella grande figura filosoficoreligiosa<br />

del pieno Rinascimento<br />

che è stato Francesco Patrizio. Lei<br />

naturalmente, cara signorina,<br />

stando e studiando a Trieste, non<br />

ignora quanto grande sia stata<br />

l’importanza storico-mondiale dell’opera<br />

di Francesco Patrizio (o<br />

Patrizi) da Cherso…”.(pp. 48-9)<br />

Ecco menzionato il nome della<br />

grande gloria locale, il cittadino nei<br />

secoli più illustre: quel Francesco<br />

Patrizi da Cherso (1529-1597) che<br />

mi ha portato una bella fortuna, ai<br />

tempi in cui ero studente universitario,<br />

perché al professore di<br />

Filosofia che, aperto il mio libretto,<br />

aveva visto che ero nato a Cherso<br />

e subito mi aveva chiesto quale<br />

filosofo illustre fosse nato a<br />

Cherso, subito risposi: Francesco<br />

Patrizi da Cherso: Trenta e lode!!<br />

La dominante attenzione alla<br />

figura del Patrizi è intervallata, nel<br />

capitolo del Vettori, da alcune<br />

divagazioni, fra cui quella susseguente<br />

a una malinconica constatazione<br />

di Zuech (“Ormai la mia<br />

Cherso è tutta nel Carso”), che dà<br />

spazio a dei giochi verbali:<br />

“Non sorridevo di Lei – tenne subito<br />

a precisare il Bersagliere -: sorridevo<br />

semmai di me stesso e della<br />

particolare fonetica praticata a<br />

livello popolare nella mia città,<br />

dove per dire ‘pane’ si dice ‘pene’,<br />

per dire ‘mangiare’ si dice ‘mangere’<br />

e quindi per dire ‘Carso’ si<br />

dovrebbe dire ‘Cherso’.<br />

Carso=Cherso, dunque: ecco perché<br />

sorridevo…”. (p. 50)<br />

So poco, anzi, francamente, non<br />

so nulla del dialetto aretino e della<br />

sua fonetica e, a una prima, sintomatica<br />

impressione, le deformazioni<br />

vocaliche or ora registrate mi richiamano<br />

alla memoria, più che una<br />

parlata aretina, la pronuncia pugliese<br />

di molti film del vetero Lino Banfi.<br />

Ma da una parte quella combinazione<br />

“pane-pene”, dall’altra l’attenzione<br />

alla toponomastica, per peregrina,<br />

ma forse non del tutto insensata<br />

associazione con la sagoma oblunga<br />

della fisionomia esterna dell’isola<br />

di Cherso, mi hanno spinto a<br />

recuperare dall’ammasso informe<br />

delle fotocopie un documentatissimo<br />

e rigorosissimo saggio di Enzo<br />

Mattesini, apparso nella rivista<br />

scientifica per eccellenza della lingua<br />

italiana, “Lingua Nostra” (XLIX,<br />

1, marzo 1988, pp. 4-10). Il saggio si<br />

intitola Per l’origine di “cerso”: per<br />

incompetenza, per ristrettezza di<br />

spazio e soprattutto per pudore non<br />

sto a raccontarlo. Ma chi abbia<br />

curiosità etimologiche lo vada a leggere<br />

e forse qualche elemento utile<br />

per il toponimo “Cherso” lo ricaverà.<br />

Di curiosità etimologica si alimenta<br />

anche l’ampio spazio che<br />

Claudio Magris, col nutrimento della<br />

sua sterminata cultura e con il fascino<br />

della sua accattivante scrittura,<br />

dedica a Cherso in Microcosmi<br />

(Milano, Garzanti, 1997):<br />

Cherso, Crespa, Crexa, Chersimium,<br />

Kres, Cres – nomi latini, illiri,<br />

slavi, italiani. La vana ricerca<br />

di purezza etnica scende alle radici<br />

più antiche, si accapiglia per etimologie<br />

e grafie, nella smania di<br />

appurare di quale stirpe fosse il<br />

piede che per primo ha calcato le<br />

spiagge bianche e si è graffiato sui<br />

rovi della fitta macchia mediterranea,<br />

come se ciò attestasse maggiore<br />

autenticità e diritto di possesso<br />

di queste acque turchesi e di<br />

questi aromi nel vento. (pp. 156-7)<br />

L’affascinante cammino tra geografia<br />

e storia, entrambe estrema-<br />

mente accidentate, iscrive immediatamente,<br />

nel suo passo inaugurale,<br />

quali figure-guida i nomi del “classico”<br />

Plinio e del “moderno” Alberto<br />

Fortis, che aveva pubblicato nel<br />

1771 il Saggio d’osservazione sopra<br />

l’isola di Cherso ed Osero:<br />

Cherso è una delle mille isole<br />

dell’Adriatico orientale, contate<br />

scrupolosamente da Plinio. Ancora<br />

nel 1771 l’abate Fortis, viaggiatore<br />

illuminista che crede nel progresso<br />

non senza riserve, la considera<br />

un’unica isola insieme a Lussino,<br />

nonostante lo stretto canale che le<br />

divide a Ossero, aperto ai tempi<br />

remoti dei primi insediamenti protostorici.<br />

Cherso e Lussino tagliano<br />

verticalmente il Quarnero e ne<br />

sono il cuore. (p. 154)<br />

L’ampia escursione di Magris<br />

retrocede fino a uscire dalla storia e<br />

attingere al mito (“Cherso e Lussino,<br />

con il loro arcipelago, si chiamavano<br />

anche Absirtides o Apsirtides, dal<br />

nome del fratello di Medea che la<br />

maga, per amore di Giasone, aveva<br />

attirato in un tranello mortale su<br />

queste acque; dal suo corpo gettato<br />

a pezzi in mare nacquero le isole”,<br />

p.166), per poi, con volo rapido,<br />

transitare dalle vicende degli<br />

Argonauti alla attualità dell’ultimo<br />

decennio del ventesimo secolo (“Nei<br />

diversi secoli e sotto i diversi domini<br />

– da Venezia all’Austria, dall’Italia<br />

alla Jugoslavia di Tito – le due isole<br />

hanno mantenuto la propria peculiare<br />

identità plurima e i legami con<br />

l’Istria. Il regime di Tudjman cerca di<br />

spezzare quest’identità e questi<br />

legami, creando vincoli amministrativi<br />

fra le isole e varie province della<br />

terraferma, a esse storicamente e<br />

culturalmente estranee, per fiaccare<br />

l’autonomismo democratico adriatico<br />

che rilutta all’autoritario e oppressivo<br />

centralismo del governo croato”,<br />

p.156), e consegnarsi, infine, al vissuto<br />

personale, alla tenerezza degli<br />

affetti privati:<br />

basta alzare gli occhi e il mare è lì<br />

davanti, inesauribile e inesplicabile.<br />

Marisa esce dall’acqua – la<br />

prima volta, la centesima: ogni<br />

estate è unica e irripetibile, una<br />

dopo l’altra sfilano come i grani di<br />

un rosario, il tempo li arrotonda<br />

come sassi sulla spiaggia, fra l’uno<br />

e l’altro si apre un infinito. (p. 155)<br />

Marisa che esce dalle acque del<br />

mare (del mare più limpido del


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

mondo, di quel “mare dove ti perdi”,<br />

come ha detto Claudio Magrini nell’intervista<br />

a Stella Pende, apparsa<br />

sotto il titolo La stagione del mio<br />

disincanto in “Panorama”, XXXVIII,<br />

49 [1809], 7 dicembre 2000, p.258),<br />

dopo un bagno, è Marisa Madieri, la<br />

moglie di Claudio Magris, precocemente<br />

scomparsa qualche anno fa.<br />

Ha lasciato, a chi come me solo<br />

fugacemente una volta l’ha incontrata,<br />

la memoria della sua bellezza e<br />

ha lasciato un libro altrettanto bello<br />

quanto bella era lei, Verde acqua<br />

(Torino, Einaudi, 1987). Sotto forma<br />

di diario redatto nella prima parte<br />

degli anni Ottanta scorre la memoria<br />

dolente dell’esodo da Fiume nell’immediato<br />

secondo dopoguerra,<br />

intrecciandosi con la registrazione<br />

del presente. E’ in questa area che<br />

affiora la menzione di Cherso, come<br />

quel luogo di vacanze, di bagni, di<br />

tuffi, di riemersioni dall’acqua del<br />

mare che l’osservazione di Claudio<br />

Magris ha reso disponibile anche a<br />

noi lettori. Porta la data “13 febbraio<br />

1982” l’appunto relativo alla prenotazione<br />

della casa per il soggiorno<br />

estivo:<br />

Siamo stati a Cherso in giornata e<br />

abbiamo confermato per l’estate<br />

le stanze dell’anno scorso, proprio<br />

a due passi dalla spiaggia.<br />

Il tenero riverbero del mare e l’aria<br />

diafana profumata d’alghe<br />

erano pieni di acerbe promesse. Il<br />

rosmarino era già in fiore.<br />

MiholaϾica, luglio 1981; Cantico<br />

dei Cantici 7, 12. (p. 34).<br />

E poi ecco la vigilia della partenza<br />

per le vacanze (“10 luglio 1983”).<br />

Ma domani partiremo tutti assieme<br />

per le nostre isole abitate dagli dèi,<br />

Cherso, Unie, Canicole, Oriule, la<br />

Levrera. Per dodici giorni sarò<br />

anch’io immortale. (p. 88).<br />

Infine, dell’anno successivo,<br />

ancora un ritorno a Cherso, con l’immaginazione<br />

che, nel quadro del<br />

panorama ritagliato dalla prospettiva<br />

del traghetto, accompagna il<br />

vagheggiamento, da lontano, dei<br />

luoghi dell’infanzia di Fiume:<br />

5 agosto 1984.<br />

L’estate è una stagione buona,<br />

amica, che invita alla pausa e<br />

all’abbandono.<br />

Anche quest’anno siamo ritornati a<br />

Cherso, nel ricordo più un sentimento<br />

luminoso che un luogo concreto.<br />

C’è un momento che mi è<br />

particolarmente caro sull’isola, la<br />

sera, quando il sole naufraga all’orizzonte.<br />

Il mare si fa d’oro, le<br />

cicale tacciono d’improvviso e i<br />

gabbiani non volano più. I sassi<br />

della spiaggia, nell’aria subito fresca,<br />

cominciano a restituire lentamente<br />

l’ardore del giorno e nell’immobile<br />

silenzio solo la risacca<br />

ansima sommessa e pare il respiro<br />

del cielo, che trascolora in un cavo<br />

pallore. Allora i pensieri si fanno<br />

giovani e trasparenti e fluttuano<br />

lievi sull’acqua e nell’aria.<br />

Il traghetto che unisce Cherso alla<br />

terraferma, da Porozine a<br />

Brestova, attraversa un tratto del<br />

Quarnaro, alla fine del quale si<br />

scorge lontana Fiume. Se chiudo<br />

gli occhi posso immaginare la mia<br />

vecchia casa vicino al porto<br />

Baross, e quella della nonna<br />

Quarantotto vicina a piazza Dante.<br />

Non so invece in quale parte della<br />

città collocare la casa della nonna<br />

Madieri, col suo atrio chiaro e la<br />

stanza misteriosa. Non riuscirei<br />

più a trovarla. Essa è solo un<br />

punto sospeso e irrelato nella<br />

memoria, un piccolo universo che<br />

contiene e non è contenuto. Così<br />

Atlantide rimane perduta in fondo<br />

al mare, coperta d’alghe e di conchiglie,<br />

lucenti come frutti di vetro<br />

colorato. (p. 130)<br />

***<br />

Al di là della nominazione, per<br />

me sempre dotata di particolare<br />

forza attrattiva, di Cherso, il libro di<br />

Marisa Madieri mi ha aiutato e continua<br />

ad aiutarmi a meglio capire<br />

quale sia stato il dramma di una collettività<br />

e, dentro a quel dramma, il<br />

dramma della mia famiglia, inclusa<br />

nell’”esodo dei trecentomila italiani<br />

che, alla fine della Seconda guerra<br />

mondiale, hanno abbandonato<br />

l’Istria”, come ha scritto Claudio<br />

Magris, che così poi delinea il quadro<br />

storico e fornisce le motivazioni<br />

dell’esodo e le sue conseguenze<br />

(nel libro Utopia e disincanto,<br />

Milano, Garzanti, 1999, p. 57):<br />

La Jugoslavia di Tito, dopo essersi<br />

liberata con la sua straordinaria<br />

guerra di resistenza, non si era soltanto<br />

ripresa terre slave, ma si era<br />

annessa, con l’Istria e Fiume,<br />

anche terre italiane. Negli anni<br />

precedenti c’era stata l’oppressio-<br />

Comunità Chersina<br />

ne fascista degli slavi, e la sottovalutazione<br />

dei loro diritti anche da<br />

parte di molti italiani non esplicitamente<br />

fascisti ma nazionalisti. La<br />

riscossa jugoslava, all’insegna del<br />

totalitarismo, fu violenta e indifferenziata.<br />

In quegli anni segnati<br />

dalla paura, dall’intimidazione e<br />

dal delitto, circa trecentomila italiani<br />

lasciarono, in momenti diversi,<br />

le loro terre e le loro case, per<br />

errare nel mondo e vivere, anche<br />

per molti anni, in campi profughi.<br />

Questa gente, che aveva perso<br />

tutto, veniva spesso incompresa e<br />

ignorata nel suo dramma e perciò<br />

spesso si rinchiudeva a sua volta in<br />

altre frontiere che si rizzavano nei<br />

cuori, le frontiere dell’amarezza e<br />

del risentimento che isolavano questi<br />

esuli non soltanto dalla loro<br />

terra perduta, ma anche, spesso, da<br />

quella in cui venivano a inserirsi e<br />

che li ignorava o li faceva sentire<br />

parzialmente stranieri.<br />

19<br />

Profughi. Anche noi profughi. Per<br />

riservatezza, per pudore, ben poco di<br />

quello che era accaduto ho chiesto in<br />

casa. E se la lucida analisi di Magris<br />

mi ha chiarito la situazione storica e<br />

ne ha motivato le conseguenze, attraverso<br />

il filo della memoria di Marisa<br />

Madieri e la forza rappresentativa del<br />

suo vissuto, ho potuto ricostruire<br />

anche il tessuto di una mia privata<br />

memoria, ipotizzando con buona<br />

dose di probabilità la coincidenza, il<br />

raddoppiamento della vicissitudine<br />

della sua famiglia con quella della<br />

mia. Ho acquisito dalle pagine del suo<br />

libro (in aggiunta alle pagine di altri<br />

libri, di altra letteratura che parlasse<br />

dell’Istria, di Fiume, di Cherso) una<br />

particolare forma di memoria che surrogasse<br />

quella che, per ragioni naturali<br />

(avevo sei mesi quando siamo<br />

andati via da Cherso…), non avevo<br />

potuto costruire e che mi ha privato,<br />

ad esempio, delle sensazioni e delle<br />

emozioni del rito del ritorno-pellegrinaggio<br />

che tanto bene, in un libro a<br />

due voci, quelle di Anna Maria Mori e<br />

di Nelida Milani, Bora, Piacenza,<br />

Frassinelli, 2000, pp.189-90), vengono<br />

espresse:<br />

…E chissà perché adesso, dopo<br />

tanti anni, succede ancora che ogni<br />

viaggio a Trieste, e tanto più a<br />

Pola, Portorose, Pirano, Parenzo,<br />

Cherso o Lussino, diventa inevitabilmente<br />

un pellegrinaggio.<br />

Comincia col riuso del dialetto mai<br />

dimenticato anche se mai più praticato.<br />

E poi continua.


20 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Continua con una mitologia fatta<br />

di vento, di bacche di ginepro, di<br />

scoiattoli che ancora ti attraversano<br />

la strada. Di salvia: non ce n’è<br />

uguale al mondo. Anche il rosmarino<br />

è più profumato: così vuole<br />

appunto la mitologia. E gli istriani<br />

che ritornano, si portano a Roma,<br />

a Brindisi o a Mestre, radici di<br />

rosmarino e di salvia: il gusto e il<br />

profumo della memoria, da piantare<br />

in giardino o sul balcone.<br />

Continua, al ristorante, con il rito<br />

del risotto agli scampi, e il radicchio<br />

piccolissimo, “di primo<br />

taglio”, che non ha fatto ancora in<br />

tempo a diventare amaro.<br />

Ma, a risarcimento di quanto mi è<br />

stato tolto, mi accompagna una singolare<br />

memoria, una “memoria<br />

immemore”, vorrei definirla, che mi<br />

apparenta comunque all’immagine<br />

dell’esule, così come l’ha delineata,<br />

ad epilogo del suo già citato libro,<br />

Enzo Bettiza:<br />

Ecco perché ritrovare il filo della<br />

memoria è, per un esule, un’operazione<br />

molto più importante che per<br />

un individuo nato e cresciuto e<br />

rimasto, senza strappi, nel proprio<br />

ambiente naturale. Per l’esule,<br />

immerso troppo a lungo nella malsana<br />

palude dell’oblio, ricordare è<br />

guarire. Ricordare è come ritrovare,<br />

dopo il coma della memoria,<br />

una prima vita perduta. E’ come<br />

riesumare la salute dalla tomba del<br />

proprio passato. (pp. 443-4)<br />

segue da pag. 11<br />

Francesco Moise e Corrado Ballarin<br />

- cercano di inserire nell’itinerario<br />

ogni anno qualcosa di nuovo. Nel<br />

2004 lungo il viaggio di andata è<br />

stata visitata Fianona, lungo quello<br />

di ritorno Veglia.<br />

Sull’isola di Cherso – per me –<br />

c’è stata quest’anno la visita fuori<br />

programma a Caisole, grazie a<br />

Corrado e a sua moglie Silvana che<br />

mi hanno gentilmente accompagnata<br />

e mi hanno fatto da guida.<br />

A Caisole bisogna andarci e<br />

basta!<br />

Quelle ripidissime strade acciottolate,<br />

il mare azzurrissimo che si<br />

scorge ad una profondità abissale<br />

dalla terrazza della piazza antistante<br />

Viene in soccorso alla sorprendente<br />

memoria di una stagione immemore<br />

anche la poesia. Soprattutto i<br />

versi di un poeta, Adriano Sansa,<br />

che, nato a Pola, ha attraversato<br />

esperienze assai simili a quella dei<br />

miei cari e mie, e che ora, come me,<br />

abita a Genova. Lui, poi, magistrato di<br />

professione, della città di Genova è<br />

stato anche assai valente e stimato<br />

sindaco. Ma io guardo al poeta, che<br />

ha da poco pubblicato un volumetto<br />

di versi, Il dono dell’inquietudine<br />

(Genova, il melangolo, 2003), dove è<br />

inclusa una poesia, Esuli, i cui incipit<br />

ed explcit rispettivamente così recitano:<br />

“Non erano di qui, fu di passaggio<br />

/ che vennero a morire”: “Fu per caso<br />

/ che morendo da antichi cavalieri /<br />

passarono i miei vecchi, qui, da voi”<br />

(p. 105). Ma Esuli è anche il titolo<br />

della poesia che chiude la raccolta<br />

Affetti e indignazione. Poesie scelte<br />

1967-1995 (Milano, All’Insegna del<br />

Pesce d’Oro di Vanni Scheiwiller,<br />

1995, pp. 151-56). E’ un lungo componimento,<br />

di cinque strofe asimmetriche,<br />

che è scritto in dialetto. Mi succede<br />

di leggerlo spesso, perché mi<br />

viene spesso la voglia di leggerlo. E<br />

mi viene la voglia di leggerlo perché<br />

ci ritrovo Cherso, nella seconda strofa<br />

che ora per concludere trascriverò<br />

per intero, e ci ritrovo la voce, ormai<br />

da troppo tempo scomparsa, di mia<br />

mamma, che l’italiano non lo sapeva<br />

o lo sapeva poco, ma quel bel dialetto<br />

lo pronunciava e lo faceva scivolare<br />

con ineguagliabile cadenza:<br />

El vento quela note fredo e forte<br />

più della bora nera ve butava<br />

za via de tuto e dentro ve zigava<br />

esuli come se fossi una parola<br />

e invece iera polvere che ‘ndava<br />

ai contoni del mondo e la sonava<br />

fis’ciando tra le sarte dove tese<br />

iera man che cercava de salvarse<br />

taiade de una parte e screpolade<br />

col sal dentro le piaghe: ve spacava<br />

quel mar de tante estati, la matina<br />

iera un profumo de salvia e ginepro<br />

e de sangrego sul colme de Cherso<br />

che l’acqua lo tegniva e lo lassava<br />

tornar de sera dentro le case.<br />

Ve ricordavi, co ‘l vapor tocava<br />

la salveza dei moli novi e fredi<br />

parole de la Bibia: compatidi<br />

più dei maladi e i poveri, ma forsi<br />

de nessun mai capidi, ‘ncora el vento<br />

ve sbregava per tuto e no savevi<br />

se iera vecie carte, vele, o i cuori.<br />

Luigi Surdich<br />

Luigi Surdich è nato a Cherso il 14 febbraio 1946. E’ professore ordinario di<br />

Letteratura Italiana all’Università di Genova. Si è occupato di Dante, del<br />

romanzo italiano nel Medioevo e in particolare dell’opera di Giovanni<br />

Boccaccio; di autori del secondo Ottocento; di Giovanni Caproni. E’ il responsabile<br />

della rassegna bibliografica della sezione “Origini e Duecento” della<br />

rivista “La Rassegna della Letteratura Italiana”.<br />

la chiesa, e tutte quelle pietre…. E’<br />

un luogo in cui il tempo si è fermato,<br />

che bisogna vedere, perché le parole<br />

non riescono a descrivere efficacemente<br />

la realtà. E poi c’è stata la<br />

visita a Mons. Bandera, un novantenne<br />

in linea coi tempi, capace di<br />

passare dall’italiano al croato e<br />

all’inglese a seconda dei visitatori<br />

che, numerosi, vengono a salutarlo<br />

da ogni parte del mondo in cui i caisolani<br />

si sono stabiliti dopo l’ultimo<br />

conflitto e da cui ritornano o spediscono<br />

figli e nipoti per riverirlo. Egli<br />

conosce tutti e sa tutto, è un amabile<br />

conversatore e il tempo a disposizione<br />

non è sufficiente per dire tutto<br />

ciò che si vorrebbe dire, sentire…<br />

Tornando alla festa del Patrono,<br />

alla riuscita della parte conviviale<br />

hanno collaborato tanti, senza mettersi<br />

particolarmente d’accordo, ma<br />

come in un’orchestra ben affiatata in<br />

cui ognuno conosce la sua parte e<br />

la suona al meglio senza tante<br />

prove; c’è dunque stato chi ha ordinato<br />

vini e tartine, chi si è occupato<br />

delle chiavi, le signore che hanno<br />

preparato dolcetti e torte, chi ha raccolto<br />

le offerte, chi ha montato per<br />

farlo vedere a tutti il nuovo splendido<br />

labaro di Cherso, …<br />

GRAZIE A TUTTI!<br />

Carmen Palazzolo Debianchi


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Comunità Chersina<br />

Tre giornate a Smergo disturbati dalla bora<br />

Tonin “Resia” e Tonin de Lovrana.<br />

Agli inizi di febbraio, poiché mio<br />

nipote Davide, di 10 anni, aveva alcuni<br />

giorni di vacanza, suo papà, Mauro mio<br />

figlio, appassionato di pesca, ha voluto<br />

donargli un fine settimana speciale<br />

facendomi partecipe della loro avventura.<br />

Partenza il sabato mattina con la<br />

macchina colma di attrezzi da pesca;<br />

passiamo i vari confini e, giunti a<br />

Mattuglie, deviamo per Spalato costeggiando<br />

la periferia alta di Fiume.<br />

Sosta a Buccari per una saporita<br />

colazione; la cittadina è percorsa da<br />

gruppi di macchine sgangherate stracolme<br />

di giovani mascherati in cerca di<br />

baldoria. Attraversiamo il ponte di<br />

Veglia e prima del tramonto prendiamo<br />

il traghetto che ci porta a Cherso.<br />

La giornata è splendida ma il freddo<br />

pungente ed un leggero borino ci<br />

costringono a rimanere nella sala interna<br />

fino all’approdo al molo di Smergo.<br />

Dieci casette e qualche villino scaglionati<br />

sulla costa scoscesa, con il tramonto<br />

del sole a far capolino dietro le<br />

alte scogliere. Nel piccolo “mandracio”<br />

spazzato dalla bora sono sistemate<br />

alcune passere e qualche guzzo; il<br />

paese è vuoto e silenzioso.<br />

Arriviamo alla casetta<br />

di Tonin, detto<br />

“Resia” che, assieme<br />

alla moglie Darinca e a<br />

una figlia, vive da solo<br />

nel paese. Dopo esserci<br />

sistemati al piano<br />

di sopra ci rechiamo in<br />

cucina, dove Tonin ci<br />

offre una grigliata di<br />

asinelli e barboni che,<br />

con il fiasco di Pinot<br />

portato da Padova, ci<br />

aiuta a riscaldare l’atmosfera<br />

allietata pure<br />

dalle vecchie canzoni<br />

di Cherso lontana.<br />

Domani, domenica,<br />

un prete, nativo di<br />

Smergo, ritiratosi in<br />

pensione nell’isola di<br />

Cherso dopo il suo<br />

lungo sacerdozio nella<br />

diocesi di Verona,<br />

verrà a celebrare la<br />

Santa Messa nella<br />

bella chiesetta del XIII<br />

secolo dedicata a S. Giovanni, alla presenza<br />

di gente venuta da fuori nonché<br />

dei proprietari delle case, che vengono<br />

a riaprirle nei giorni di festa. Facciamo<br />

conoscenza con un medico croato<br />

appassionato di caccia che trascorre il<br />

fine settimana nella sua casetta rimessa<br />

a nuovo facendo la posta ad un<br />

grosso cinghiale che la notte si avvicina<br />

all’abitato sedotto dalle manciate di granoturco<br />

che giornalmente Tonin cosparge<br />

sul terreno.<br />

Il vento continua a soffiare; il mattino<br />

seguente scendo nel moletto sottostante<br />

la casa e tento di pescare con la<br />

mia togna, ma il freddo pungente e gli<br />

spruzzi d’acqua mi rimandano al caldo<br />

in cucina. Mauro con Divide si sono<br />

appostati al riparo in una piccola baia<br />

ma pure loro tornano a casa con un<br />

magro bottino: una cantra ed un’oradella.<br />

Al pomeriggio, senza perderci d’animo,<br />

con la barca di Tonin andiamo a<br />

calar le reti poco lontano dalla riva,<br />

dove però il fondale scende oltre i quaranta<br />

metri.<br />

Lunedì mattina, essenso il mare<br />

ancora increspato, con la macchina<br />

facciamo una puntatina a Cherso.<br />

21<br />

Troviamo la riva e le piazze dissestate<br />

per la messa in opera di nuovi lastroni<br />

in pietra chiara d’Istria. Un gruppo di<br />

vecchiotti che si crogiolano al sole attira<br />

la mia attenzione:<br />

- Anche mi son mezo chersin, mia<br />

mama era una Tomaz<br />

- Chi, Rosina?<br />

- Come fa a conoscerla?<br />

- Go comprado un loto de tera a<br />

Santa Lucia intestado a suo nome.<br />

Quanti ricordi lontani: muleto assieme<br />

ad Emilio Bellemo portavamo in<br />

magazzino le casse vuote del negozio<br />

e poi nell’orto di dietro si raccoglieva i<br />

dolcissimi fighi, l’uvetta di San Giovanni<br />

e le variopinte bacche di graspini (questi<br />

ultimi mai più ritrovati). Una puntatine<br />

al vecchio negozio di famiglia divenuto<br />

“Market” e poi si torna a Smergo<br />

attraverso i campi pietrosi dove pecore<br />

solitarie, con accanto l’agnellino, brucano<br />

i radi ciuffi d’erba rinsecchita.<br />

Al pomeriggio, mentre io faccio il<br />

quotidiano sonnellino, Mauro e Davide<br />

sono andati a tirare su la rete; finalmente<br />

la fortuna ci arride. Causa il ritardo<br />

dell’alzata, parecchi pesci sono stati<br />

tagliuzzati dai granchi e dal grongo solitario,<br />

però a prua della passera troneggia<br />

una cassetta colma di splendidi asinei<br />

misti a barboni. Scendo estasiato a<br />

guardare Tonin che distriga dalla rete i<br />

pesci ancor vivi senza badare al freddo<br />

pungente che spazza la banchina;<br />

pago a caro prezzo questa leggerezza<br />

poiché alla sera un tremendo attacco di<br />

colica con vomito e diarrea mi colpisce<br />

all’intestino. Rimango a letto tutta la<br />

notte e la mattina successiva bevendo<br />

the e caraffe d’acqua.<br />

Al primo pomeriggio carichiamo<br />

tutto in macchina, pesce compreso, ed<br />

attraversiamo l’isola di Cherso diretti a<br />

Faresina, giusto in tempo per prendere<br />

il traghetto che ci porterà sulla costa<br />

istriana.<br />

Il mare è una macchia d’olio. A<br />

Laurana dicevano “Questa è pegola<br />

nera!”<br />

Eravamo partiti per trascorrere alcune<br />

serene giornate di pesca, per tre<br />

giorni ci ha tormentato la bora ed ora<br />

dobbiamo ripartire con l’addio del<br />

tempo propizio. Diciamo arrivederci,<br />

perché a Smergo torneremo ancora.<br />

Tonin de Laurana (Zmarich)


22 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

ANCORA «NO» AL LEONE SULLA TORRE<br />

Due grossi titoli de Il Piccolo (pagina:<br />

Istria, Litorale e Quarnero) ci<br />

hanno informato dell’ultimo capitolo<br />

della storia del Leone di Cherso.<br />

Cherso rivuole il leone marciano ci<br />

ha raccontato, prima di Natale, dell’iniziativa<br />

dell’ex Sindaco di Cherso<br />

Nivio Toich, presidente del Consiglio<br />

della Comunità italiana, che stava<br />

raccogliendo proseliti fra gli isolani e<br />

fra alcuni partiti che operano in città.<br />

La proposta di rimettere il leone sulla<br />

torre civica era stata presentata alla<br />

Giunta Comunale che l’aveva già sottoposta<br />

all’attenzione dell’Istituto per<br />

la Conservazione dei Beni Culturali di<br />

Fiume e del Ministero della Cultura.<br />

Il bravo dott. Toich precisava nell’intervista<br />

che l’iniziativa era nata<br />

dalla legge veneta per il finanziamento<br />

di restauri storico architettonici sul<br />

versante orientale dell’Adriatico e che<br />

la copia dell’originale (mandato in fregole<br />

a colpi di piccone una notte di<br />

coprifuoco da due guardie rosse nel<br />

settembre 1943) era pronta nella<br />

sede della Comunità degli Italiani, a<br />

qualche metro di distanza dalla torre.<br />

Il dott. Nivio Toich sperava nel clima<br />

che si respira a Cherso.<br />

Quando i chersini sono presi uno<br />

per uno, manifestano, tra di loro, un<br />

clima di speranza, ma quando sono<br />

riuniti ufficialmente, pur continuando a<br />

sperare, tengono la speranza per sé.<br />

Ne hanno provate tante che ritengono<br />

meglio demandare il giudizio ai competenti,<br />

o astenersi. Così infatti è successo<br />

tra i gruppi consiliari. Ci sono<br />

stati i favorevolissimi e gli indecisi ma,<br />

a quanto pare, almeno ufficialmente,<br />

nessun contrario. Ed è già molto!<br />

L’unica nota stonata era alla fine<br />

dell’articolo dove la responsabile delle<br />

attività museali dell’arcipelago<br />

di Luigi Tomaz<br />

Cherso-Lussigano non esprimeva il<br />

parere professionale di competenza<br />

del suo ufficio ma esprimeva il timore<br />

politico della riapertura dei contrasti<br />

sorti all’inizio del secolo. Se il giornale<br />

ha riportato bene, per lei è meglio<br />

rimanga sulla torre lo stemma che è il<br />

simbolo della continuità municipale.<br />

Noi, che stimiamo la valente responsabile<br />

delle attività museali, apprezziamo<br />

il fatto che non abbia rilasciato<br />

un giudizio estetico, cioè tecnico, che<br />

nel caso può essere vincolante, ma<br />

obiettiamo che non ci risultano contrasti<br />

sul Leone sorti un secolo fa, e<br />

purtroppo neanche ci risulta che lo<br />

stemma storico oggi rappresenti la<br />

continuità municipale. Sul timbro e<br />

sulle carte ufficiali del Comune –<br />

anche sugli auguri che riceviamo –<br />

troviamo uno stemma a scacchi, tale<br />

e quale quello dello Stato.<br />

Evidentemente la Croazia non ha una<br />

tradizione comunale come quella<br />

delle antiche Comunità costiere<br />

dell’Adriatico.<br />

Finite le feste, il 22 gennaio, un<br />

altro titolone de Il Piccolo ci ha servito<br />

la doccia fredda: «NO» al leone marciano<br />

a Cherso – bocciata da<br />

Zagabria la richiesta di ricollocare il<br />

simbolo sulla torre civica. La statua in<br />

attesa non è parte originale del monumento<br />

e non sarebbe neanche una<br />

copia fedele. È un parere opinabile,<br />

difficile perciò da contestare in quanto


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

è basato sul gusto soggettivo di chi<br />

ha il potere di applicarlo per giustificare<br />

il divieto. De gustibus non est<br />

disputandum, lo sapevano anche i<br />

Romani!<br />

Esprimiamo al dott. Toich la nostra<br />

solidarietà, e con lui a tutti i chersini.<br />

Egli ha detto: Sono amareggiato […]<br />

Noi andremo avanti con la nostra proposta,<br />

non abbiamo per il momento<br />

alcuna intenzione di arrenderci. È<br />

certo che ci faremo sentire…<br />

Che il signore gliela mandi buona!<br />

Non cessiamo di stupirci. Ma è<br />

possibile che a Zagabria si abbia<br />

paura che il Doge mandi una flotta a<br />

riprendersi l’isola? Ma i Croati credono<br />

di poter entrare in un’Europa che<br />

nella sua storia non abbia la storia di<br />

Venezia?<br />

La Storia! Non sarebbe male che,<br />

almeno su quella regionale, si aggiornasse<br />

anche Il Piccolo per non ripetere<br />

lo strafalcione storico stampato<br />

sopra lo stesso titolo del 22 gennaio:<br />

Il monumento della Serenissima<br />

venne buttato a mare la prima volta<br />

da Napoleone. Per farlo, Napoleone,<br />

o chi per lui, nel 1797 avrebbe dovuto<br />

arrivare a Cherso. Invece, col<br />

Preliminare di Leoben, già in aprile<br />

aveva venduto la Repubblica di<br />

A CHERSO<br />

Comunità Chersina<br />

I resti della chiesa di S. Giovanni di Piazza<br />

messi in luce dai lavori di ripavimentazione<br />

Nell’ambito di un progetto di rinnovo della<br />

vecchia pavimentazione, promosso dalle autorità<br />

cittadine l’inverno scorso e in via di realizzazione<br />

da parecchi mesi a questa parte, la<br />

piazza è oggetto di scavi che hanno riportato<br />

alla luce i resti di una chiesa. Non si tratta di<br />

una scoperta nuova. Ricercatori e archeologi<br />

già sapevano che sotto a quelle pietre si celavano<br />

dei preziosi reperti pertanto, gli scavi<br />

avviati dalla municipalità ora sono stata l’occasione<br />

buona per effettuare sondaggi e ricerche<br />

che non si erano potuti realizzare prima.<br />

La chiesa, le cui fondamenta sono state<br />

ricondotte alla luce è la chiesa di S. Giovanni,<br />

appartenente alla Confraternita di S. Giovanni<br />

di Piazza, soppressa negli anni del dominio<br />

francese, quando vennero abolite quasi tutte<br />

le congregazioni laiche. Si tratta di una costruzione<br />

medioevale, forse di epoca paleocristiana,<br />

eretta fuori dalle antiche mura della città,<br />

probabilmente sulle fondamenta di una costruzione<br />

più antica… e che deve essere stata<br />

abbattuta di certo dopo il 1821, perché nella<br />

pianta di Cherso di quell’anno figura ancora.<br />

Concluse le ricerche archeologiche, i lavori<br />

di ripavimentazione della piazza sono stati<br />

ripresi. Le rovine, protette da un telo di plastica,<br />

sono state ricoperte con uno strato di cemento in modo da assicurarne la conservazione e l’integrità,<br />

come è stato già fatto con la pavimentazione della via a sud del Duomo (antico mercato del pane). I contorni<br />

delle fondamenta della chiesa verranno chiaramente delineati con mattonelle di colore diverso dalle altre<br />

sulla nuova pavimentazione della piazza.<br />

23<br />

Venezia all’Austria che da Trieste<br />

aveva mandato il suo esercito in<br />

Istria, e da Fiume una nave a Cherso<br />

e poi ancora da Trieste le sue navi in<br />

Dalmazia. Il leone di Cherso è stato<br />

vittima di un capitano austriaco,<br />

arrabbiato perché i chersini lo avevano<br />

fatto attendere quattro giorni sotto<br />

il sole di giugno fuori del porto di<br />

Cherso non volendo ammainare il<br />

gonfalone di San Marco. Dopo il trattato<br />

di Campoformio l’Austria occuperà<br />

anche Venezia.<br />

Napoleone ha fatto abbattere i<br />

leoni di Venezia e Terraferma, non<br />

quelli di Cherso!


24 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Dalla Comunità di Lussinpiccolo<br />

Il Segretario Responsabile, dott. Giuseppe Favrini, il 9 gennaio <strong>2005</strong>, così scrive:<br />

Alla Presidente della Comunità Chersina<br />

c/o Associazione delle Comunità Istriane<br />

Gentilissima Presidente della Comunità<br />

Chersina<br />

Ho avuto l’onore di venir citato più volte<br />

negli ultimi numeri del Vostro bellissimo<br />

Foglio e di aver indotto, con un mio articolo<br />

sul Foglio ”Lussino” del febbraio 2004, Lei,<br />

gentilissima Presidente, ad aprire un dibattito<br />

su “Patria e Nazione” che, contrariamente<br />

alle Sue intenzioni è continuato anche sull’ultimo<br />

numero del Foglio chersino, arrivato<br />

la scorsa settimana. Il dibattito consiste<br />

soprattutto nel rispondere alla domanda: “Ci<br />

si continua a sentire italiani e quanto e fino a<br />

quando anche se non si vive in Italia da<br />

poco o da lungo tempo?”.<br />

In merito alla mia replica all’Assemblea<br />

chersina del 31 maggio 2004, riportata sul<br />

Foglio chersino di luglio, il Signor Francesco<br />

Moise, sul Foglio di dicembre, scrive una<br />

lettera della quale riporto e commento alcuni<br />

passi:<br />

Comincia il Signor Moise dicendo che la<br />

mia replica “è un’offesa all’intelligenza e alla<br />

responsabile azione di quanti, pur nel pericoloso<br />

rigurgito nazionalista, causa di tutte<br />

le nefandezze dei regimi totalitari, guardano<br />

con speranza alla concordia e alla convivenza<br />

pacifica dell’Europa e al suo futuro, disegnato<br />

dai grandi ideali di De Gasperi,<br />

Schuman e Adenauer......”<br />

Noto che io ho elencato alcuni (dei tanti)<br />

fatti storici a dimostrazione inequivocabile<br />

che, negli originari Italiani che non vivono in<br />

Italia, è venuto meno, con il tempo, il sentirsi<br />

italiani. Non mi sembra che ciò possa ritenersi<br />

offensivo.<br />

Prosegue il Signor Moise: “Leggere e<br />

trasmettere la triste storia del passato in<br />

chiave nazionalista e antieuropea, sottolineando<br />

episodi e cerimonie significative a<br />

Gorizia e a Trieste, paventando altresì la<br />

slavizzazione delle due città con argomentazioni<br />

non degne di commento e lettura,<br />

significa lasciare ancora spazio agli equivoci<br />

che lo stesso Segretario di Alleanza<br />

Nazionale Gianfranco Fini ha definito “pagine<br />

vergognose della storia del nostro passato,<br />

nonché infami leggi razziali volute dal<br />

fascismo.”<br />

Osservo che, secondo il Signor Moise,<br />

sarebbe nazionalismo citare, come io ho<br />

fatto, il tripudio di Trieste per il raduno 2004<br />

degli Alpini e paragonarlo all’entusiasmo<br />

della città per la sua riannessione all’Italia di<br />

cinquant’anni or sono. Sarebbero argomentazioni<br />

non degne di commento e lettura<br />

valutare con cifre alla mano la probabilità<br />

che Trieste diventi in pochissimo tempo una<br />

città a maggioranza slava e dire che ciò<br />

vanificherebbe le strenue lotte dei Triestini<br />

per la loro italianità e l’immane sacrificio<br />

degli Esuli che tutto hanno sacrificato perché<br />

almeno Trieste restasse italiana. Per<br />

quanto riguarda le affermazioni di Fini noto<br />

che si riferivano alle leggi razziali che non mi<br />

risulta si estendessero anche agli slavi.<br />

Continua il Signor Moise “..noi anziani<br />

che abbiamo involontariamente vissuto le tristi<br />

e vergognose pagine del nostro recente<br />

passato, abbiamo il dovere morale di trasmettere<br />

ai nostri figli e nipoti la verità storica<br />

senza sentimentalismi e falsificazioni,<br />

capovolgendo onestamente il giudizio su<br />

momenti fra loro connessi della storia fascista<br />

e dell’alleanza con Hitler: dalla dichiarazione<br />

di guerra, alle avventure nei Balcani,<br />

alla catastrofe greca”<br />

Non mi è chiaro se per tristi e vergognose<br />

pagine il Signor Moise intenda solo queste<br />

ultime tre e non anche altri momenti storici<br />

quali ad esempio l’Esodo del 97% dei<br />

Chersini, la concessione “fascista” a Cherso<br />

di usare il gonfalone di San Marco al posto<br />

della bandiera italiana, i tanti eroici Caduti<br />

chersini, le lotte dei Chersini per la loro<br />

venezianità. Sperando che si riferiscano<br />

solo alla dichiarazione di guerra del 1940,<br />

alle “avventure” nei Balcani e alla<br />

“catastrofe” greca vorrei chiedere al Signor<br />

Moise se il Suo giudizio andrebbe come Lui<br />

dice “capovolto” anche se la guerra fosse<br />

stata vinta.<br />

Il signor Moise scrive ancora “Non è sufficiente<br />

parlare dell’italianità di Trieste,<br />

dell’Istria e della Dalmazia senza dire chiaramente<br />

che la principale colpa di quanto<br />

successo nelle nostre terre, l’esodo e tutto il<br />

resto è unicamente del regime fascista e<br />

della sua megalomania imperiale.”<br />

Noto che il Signor Moise non è sfiorato<br />

da alcun dubbio nel dichiarare questa colpa<br />

“fascista”. Non lo neanche sfiora il sospetto<br />

che ci possano essere altre colpe. Non si<br />

domanda perché la Germania, che pure ha<br />

perso la guerra, sia riuscita quindici anni or<br />

sono a riunificarsi mentre per l’Italia ciò non<br />

solo non si è verificato ma il solo aspirarvi<br />

sarebbe “fascista” seguendo il pensiero<br />

dello stesso Signor Moise.<br />

E ancora dice Moise “E’ doveroso, inoltre,<br />

trasmettere chiaramente i fatti storici che<br />

hanno determinato la catastrofe del dopoguerra<br />

sottolineando che le nostre terre furo-<br />

no vendute integralmente, ancor prima della<br />

disfatta, alla Germania nazista.”<br />

Anche qui il Signor Moise è perentorio.<br />

Non lo sfiara in merito alcun dubbio. Io ero<br />

giovanissimo ed ero a Lussino. I Tedeschi<br />

sono arrivati il 13 novembre 1943. Cacciati i<br />

partigiani titini, che occupavano l’isola dal 25<br />

settembre, vi ripristinarono a tutti gli effetti<br />

l’autorità italiana. A Trieste mi risulta che<br />

l’autorità italiana durò fino all’arrivo dei Titini<br />

il 1° maggio 1945. Lo testimonia anche nel<br />

Suo libro “Arma e vai” il campione lussignano<br />

della vela Agostino Straulino recentemente<br />

scomparso.<br />

Per ultima riporto questa frase di Moise<br />

“Bisogna insegnare ai giovani che forse non<br />

eravamo un “popolo di eroi” ma un popolo<br />

sottomesso alla natura totalitaria del fascismo<br />

che mandava nelle patrie galere o,<br />

quando andava bene, lasciava senza posto<br />

di lavoro chi esprimeva opinioni diverse.”<br />

Anche su questo punto la mia esperienza<br />

è completamente diversa. Alla Nautica<br />

“Nazario Sauro” di Lussinpiccolo insegnavano<br />

professori confinati a Lussino perché<br />

antifascisti. Erano ottimi insegnanti liberissimi<br />

di dire tutto il Loro pensiero. La “ferocia<br />

fascista” consisteva nell’averli costretti a<br />

insegnare nella nostra Lussino. Mi risulta<br />

non sia stato molto diverso nelle altre parti<br />

d’Italia.<br />

Il Signor Moise, dell’antica e nobile famiglia<br />

Moise di Cherso, è componente del<br />

Consiglio direttivo della Comunità Chersina.<br />

Io vorrei ricordare, a questo punto, un<br />

altro Chersino, pure lui di antica e nobile<br />

famiglia di Cherso, Stefano Petris, che, il 9<br />

ottobre 1945 prima di venir fucilato, così<br />

scriveva “Non piangere per me, non mi sono<br />

mai sentito così forte come in questa notte<br />

d’attesa che è l’ultima della mia vita. Tu sai<br />

che io muoio per l’Italia. Siamo migliaia e<br />

migliaia di istriani gettati nelle Foibe, trucidati<br />

e massacrati, deportati in Croazia e falciati<br />

giornalmente dall’odio, dalla fame, dalle<br />

malattie, sgozzati iniquamente. Aprano gli<br />

occhi gli italiani e puntino i loro sguardi<br />

verso questa martoriata terra istriana che è<br />

e sarà italiana. Se il Tricolore d’Italia tornerà,<br />

come spero, a sventolare anche sulla mia<br />

Cherso, bacialo per me assieme ai miei figli.<br />

Domani mi uccideranno; non uccideranno il<br />

mio spirito, né la mia fede. Andrò alla morte<br />

serenamente e come il mio ultimo pensiero<br />

sarà rivolto a Dio che mi accoglierà e a voi<br />

che lascio, così il mio ultimo grido, fortissimo,<br />

più forte delle raffiche dei mitra, sarà:<br />

Viva l’Italia!”.


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Principale se non unico scopo della<br />

Comunità di Lussinpiccolo è adoperarsi in<br />

tutti i modi possibili per il rispetto in Italia<br />

della nostra storia. Perchè la nostra voce<br />

venga ascoltata. Perché non si presti fede in<br />

Italia a quanto divulgato oggi a Ossero ove<br />

in due grandi targhe bronzee si afferma<br />

che nel 1945 Ossero è ritornata nella madre<br />

patria croata e a Cherso ove in piazza è<br />

stato eretto un monumento dedicato a Frane<br />

Petric, definito il più grande filosofo croato<br />

mentre Francesco Patrizio era un grande<br />

letterato italiano, critico e filosofo dell’estetica<br />

letteraria, intimo dei due massimi della<br />

poesia italiana del suo secolo, Ariosto e<br />

Tasso.<br />

Per perseguire questo scopo il nostro<br />

statuto prevede anche una più stretta collaborazione<br />

con le Comunità di Cherso e di<br />

Lussingrande. La lettera del Signor Moise,<br />

autorevole componente del Direttivo di<br />

Cherso, ci lascia molto perplessi in merito a<br />

questa collaborazione che, forse ci illudevamo,<br />

sembrava quasi raggiunta.<br />

Ma anche la posizione in merito al concetto<br />

di Patria slegato dal territorio toglie al<br />

nostro Esodo tutto il Suo valore. Se, infatti,<br />

bastava sentirsi italiani anche senza palesarlo<br />

potevamo restare dov’eravamo. Per la<br />

Comunità che assume questa posizione, fa<br />

venir meno, a mio avviso, il primo requisito<br />

per l’appartenenza all’ Associazione delle<br />

Comunità Istriane, che ha lo scopo di conservare<br />

e sviluppare le tradizioni patriottiche<br />

delle Comunità associate perché il grande<br />

patrimonio di storia e civiltà italiana non<br />

venga disperso e obliato (articolo 2 dello<br />

Statuto). Nelle riunioni dei Chersini a Trieste<br />

il 2 gennaio scorso non ho inteso alcun<br />

accento patriottico e il 2 gennaio 2004 il mio<br />

intervento “patriottico” se non è stato proprio<br />

fischiato è stato fortemente contestato.<br />

Comunità Chersina<br />

25<br />

Vorrei tanto sperare che i Chersini nella<br />

diaspora saranno con noi alleati nel perseguire<br />

lo scopo primo della Comunità lussignana<br />

di lottare per la verità storica. E non<br />

antagonisti come sembra dalla lettera del<br />

Signor Moise e dalla posizione in merito al<br />

concetto di Patria. Noi Lussignani vedevamo<br />

e vediamo in Cherso, erede di Ossero e per<br />

quattro secoli nostra capitale, un faro di<br />

romanità, di venezianità e d’italianità.<br />

La prego, gentilissima Presidente, di<br />

pubblicare questa lettera nel prossimo<br />

numero del Foglio chersino.<br />

Prego anche l’Associazione delle<br />

Comunità Istriane, di pubblicare questa lettera<br />

nel Suo quindicinale “La nuova Voce<br />

Giuliana” che uscirà il prossimo 16 gennaio.<br />

Ringrazio e invio cordialissimi saluti<br />

IL PENSIERO SULL’ARGOMENTO DELLA PRESIDENTE<br />

dell’Associazione Francesco Patrizio della Comunità Chersina, Carmen Palazzolo Debianchi<br />

LIBERTA’ DI OPINIONE E PLURALISMO<br />

hanno diritto di cittadinanza nelle comunità degli esuli?<br />

La precedente lettera del dott. Favrini è stata pubblicata anche sul quadrimestrale della Comunità di Lussinpiccolo “Lussino”, n. 17, del<br />

febbraio <strong>2005</strong> e, a sua richiesta, anche sul n. 108 del 16 febbraio <strong>2005</strong> de “La Nuova Voce Giuliana”.<br />

Senza confutare passo per passo lo scritto, vorrei qui richiamare l’attenzione sulla parte finale della lettera del dott. Favrini, dove egli<br />

afferma: “La posizione in merito al concetto di Patria slegato dal territorio toglie al nostro Esodo tutto il Suo valore …” e “Per la Comunità<br />

che assume questa posizione fa venir meno, a mio avviso, il primo requisito per l’appartenenza all’Associazione delle Comunità Istriane…”<br />

Di solito, io mi rifiuto di lasciarmi invischiare nelle polemiche perché sono del parere che esse sono discorsi fra sordi in cui ognuna delle<br />

parti si trincera sulle sue posizioni senza nessuna apertura nei confronti delle idee degli altri per cui non portano a nessuna conclusione,<br />

sono sterili. Ne è una dimostrazione anche l’atteggiamento del dott. Favrini in merito all’idea di Patria scollegata dal territorio. Lungi dal<br />

rispettare quest’idea anche se non la condivide o dall’ammettere il fatto che, oggi, essa possa essere accettabile e condivisibile anche da<br />

altri esuli, egli ritiene che la Comunità Chersina, con una Presidente che ragiona in questa maniera, non abbia i requisiti per appartenere<br />

all’Associazione delle Comunità Istriane.<br />

Le gravi affermazioni del dott. Favrini mi inducono però, come Presidente della Comunità Chersina, a fare alcune considerazioni sperando<br />

che esse siano ritenute esaurienti e conclusive dalle parti interessate. Per quanto riguarda il signor Moise, ribadisco qui, dopo averglielo<br />

detto a voce assieme ad altri membri del consiglio direttivo, prima della pubblicazione del suo scritto, che sarebbe stato opportuno<br />

usare un tono meno diretto, più “morbido”.<br />

Confermo tutto quanto ho scritto, nel tempo, su “Comunità Chersina” e su altri giornali sul tema Patria e su altri argomenti, sono le idee<br />

che ho maturato nel corso della mia vita e di cui sono convinta, ma non so quanti membri della Comunità chersina le condividono, perché<br />

non ho fatto un sondaggio di opinioni sull’argomento; penso che la stessa cosa valga anche per le opinioni, soprariportate, del dott. Favrini.<br />

Naturalmente, quando parlo di sondaggio di opinioni mi riferisco ad un’indagine scientificamente condotta da professionisti su un campione<br />

significativo - in questo caso - di esuli chersini o lussignani e non le opinioni raccolte qua e là durante i nostri raduni o scritte ai nostri<br />

giornali, delle quali si possono riportare soltanto quelle a favore della nostra tesi e tralasciare le altre.<br />

Quello che intendo qui fermamente sostenere è il diritto alla libertà di opinioni e al pluralismo come principi basilari della democrazia e<br />

aventi pertanto “diritto di cittadinanza” anche all’interno di una stessa comunità di esuli e non discutere né contestare le idee di nessuno.<br />

Ribadisco inoltre, con forza, che le idee diverse dalle nostre non sono necessariamente sbagliate e vanno rispettate come le persone che le<br />

esprimono. Penso che confrontarsi, dialogando e conversando, con idee diverse dalle nostre aiuti a vedere le situazioni da altri punti di<br />

vista, stimoli la riflessione e pertanto favorisca la crescita personale e di gruppo, cioè arricchisca.<br />

Il tema non è nuovo e consiste, sostanzialmente, nel diverso modo di intendere, da parte degli esuli, l’idea di Patria, le ragioni dello<br />

scoppio della seconda guerra mondiale, l’ingresso in Europa, ecc. e si può riassumere nel quesito: “La diversità di idee può costituire motivo<br />

di esclusione da una comunità di esuli o di divisione della stessa?”<br />

Io penso che gli esuli, che sono sempre meno numerosi, oggi debbano ricercare anche più che nel passato ciò che li unisce, che è la<br />

condizione di esuli e le finalità da perseguire e che, all’interno di questo grande insieme, in un’ottica di apertura e di rispetto per gli altri e<br />

per le loro idee, si debba lasciare spazio ai diversi modi di intendere l’esodo e il non esodo, i rapporti coi rimasti, il discorso sui beni abbandonati<br />

e tutte le tematiche vecchie e nuove sulle quali il mondo della diaspora continua a spaccarsi.


26 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

del Direttore del giornale, Luigi Tomaz<br />

PATRIA NAZIONE… E CONFUSIONE<br />

L’ottobre scorso ho accettato la direzione<br />

di Comunità chersina con l’espressa<br />

intenzione di convincere il<br />

Comitato di redazione alla coerenza<br />

con la nostra tradizione civile di<br />

Chersini di dialetto, lingua e cultura italiana,<br />

esulati in massa negli anni che<br />

hanno preceduto o seguito il Trattato di<br />

Pace del 1947.<br />

Nella prima seduta del Comitato di<br />

redazione per il vaglio degli scritti pervenuti<br />

nei mesi precedenti, io osservai<br />

che la lettera indirizzata dal rag.<br />

Francesco Moise al dott. Giuseppe<br />

Favrini, era molto pesante sia nelle<br />

valutazioni (… un’offesa all’intelligenza<br />

… argomentazioni non degne di commento<br />

e lettura) sia nelle esemplificazioni<br />

storiche perentorie, radicalmente<br />

manichee e già da tempo notevolmente<br />

relativizzate dalla critica storica non<br />

ideologicamente militante.<br />

Successivamente inviai via fax a<br />

Trieste un elenco di titoli proposti per la<br />

pubblicazione. Sulla Replica a Favrini di<br />

F. Moise ho scritto di mio pugno, da<br />

una parte, Si? (Ma vi par proprio che<br />

vada pubblicata?) e dall’altra parte:<br />

Potrebbe (Moise) addolcire il tono?<br />

Tutto ciò specificato, ritenendomi<br />

responsabile di non aver deciso da<br />

solo, colgo l’invito espresso sull’ultimo<br />

numero di Lussino dal comandante<br />

Antonio Piccini, che conosco e stimo e<br />

dal quale so di essere stimato e, non<br />

facendolo altri, chiedo scusa al dott.<br />

Favrini del tono insolente della lettera<br />

che, pur perplesso, ho permesso venisse<br />

pubblicata.<br />

Compiuto quest’atto, con altrettanta<br />

sincerità devo dichiarare che non<br />

posso accodarmi ai cinque lettori che<br />

sul foglio Lussino si sono dichiarati<br />

d’accordo anche completamente o in<br />

toto con Favrini.<br />

Posso accodarmi soltanto al cap.<br />

Alvise Bommarco che si è limitato a<br />

dichiarare di non condividere la posizione<br />

di Moise. Punto e basta, in quanto<br />

neanche le affermazioni perentorie del<br />

dott. Favrini sono tutte condivisibili e<br />

storicamente sostenibili. Nell’intervento<br />

al Raduno dei Chersini pubblicato su<br />

Comunità Chersina del luglio 2004, che<br />

ha provocato la lettera del Moise, il dott.<br />

Favrini dice: Nel 1940 l’Italia, pur fascista<br />

e nazionalista non rivendicava più la<br />

Dalmazia […] (Non continuo per non<br />

ripetere il giudizio sugli italiani di<br />

Dalmazia incauto e utilissimo unicamente<br />

per la tesi dei nemici dell’italianità<br />

dalmata). La storia è tutta diversa<br />

perché l’Italia nel 1941 si è presa, d’accordo<br />

col Poglavik croato Ante Paveliæ,<br />

le seguenti località dalmate: Buccari,<br />

Veglia, Arbe, Zaravecchia, Scardona,<br />

Sebenico, Traù, Spalato, Isole davanti<br />

Zara, Solta, Lissa, Curzola, Meleda,<br />

Bocche di Cattaro e scogli vari.<br />

D’accordo con la Germania, l’Italia<br />

si è poi annessa Lubiana e ne ha fatto,<br />

con mezza Slovenia, non uno staterello<br />

autonomo della Corona, come allora<br />

era già l’Albania, ma la novantanovesima<br />

provincia del Regno d’Italia. Noi<br />

non possiamo pretendere credibilità se<br />

cancelliamo nella nostra memoria fatti<br />

storici così notori e importanti. Né possiamo<br />

ripetere per un anno l’argomento<br />

che nessun popolo è riuscito a mantenersi<br />

Nazione se dominato da sovranità<br />

straniera, dimenticando che i Croati<br />

hanno perso l’indipendenza nel XII<br />

secolo e son rimasti tali fino al 1918 e<br />

più o meno altrettanto gli Sloveni. E gli<br />

Armeni? e gli Ebrei? Nell’Impero<br />

d’Absburgo ogni suddito portava<br />

segnata sui documenti la sua<br />

Nazionalità cioè l’appartenenza alla sua<br />

Nazione e noi ben sappiamo che convivevano<br />

più Nazioni nella stessa città,<br />

senza morire se non per pulizia culturale,<br />

linguistica o etnica imposta con la<br />

violenza.<br />

Altra imprecisione, ovviamente scusabilissima,<br />

è l’esaltazione che il dott.<br />

Favrini fa della Nobiltà familiare del<br />

prof. Stefano Petris, comandante la<br />

compagnia che ha resistito ai Titini il 20<br />

aprile 1945 e che poi è stato fucilato.<br />

Stefano era Petris ma non de Petris,<br />

era di famiglia popolana di soprannome<br />

Passafora e se ne vantava. È molto<br />

importante poter obiettare che non<br />

apparteneva alla casta degli … sfruttatori<br />

del popolo, ma all’autentico popolo<br />

di onesti coltivatori, carpentieri, navigatori.<br />

Non è facile conoscerci a fondo tra<br />

Lussignani e Chersini!<br />

Potrei anche sentirmi offeso io dai<br />

giudizi del dott. Favrini sui Chersini i<br />

quali nei loro incontri del 2 gennaio per<br />

celebrare il patrono Sant’Isidoro, non<br />

parlano di Patriottismo e quasi hanno<br />

zittito lui nel 2004 quando s’era messo<br />

a parlare di Patria (in presenza, allora,<br />

del rimpianto padre Vitale Arcivescovo<br />

Emerito). Addirittura la Comunità<br />

Chersina dovrebbe essere espulsa<br />

dall’Associazione delle Comunità<br />

Istriane!<br />

I Chersini si trovano il 2 gennaio, al<br />

Raduno di maggio, e in ferie a Cherso<br />

durante tutta l’estate. Negli intervalli<br />

s’incontrano a gruppetti, a famiglie e tra<br />

amici d’infanzia. Ciascuno conosce tutti<br />

i sentimenti degli altri, germogliati sulle<br />

stesse radici. Cosa pretenderebbe il<br />

dott. Favrini, che si mettessero a cantare<br />

ogni volta l’inno di Mameli e “Il Piave<br />

mormorava…”?<br />

Non chi chiacchiera lavora per la<br />

nostra causa, ma chi opera con cautela<br />

e in profondità, meglio se in silenzio,<br />

anche assumendo rischi. Spesso con<br />

mezze parole e atti riservati si ottiene<br />

più che con tanti discorsi e sceneggiate.<br />

Possibile che di Comunità Chersina<br />

del dicembre scorso sia stata letta soltanto<br />

la letterina di una colonna e mezza<br />

del rag. Francesco Moise? Tutto il resto<br />

delle 36+16=52 pagine tratta di aria fritta?<br />

Il serrato colloquio con gli esuli<br />

dispersi tra i continenti, con i rimasti e<br />

con gli arrivati che in quelle pagine si<br />

svolge, non è stato capito? Ho ragione<br />

allora quando dico che nell’intimo ognuno<br />

può efficacemente intendesi soltanto<br />

con chi sa di cosa parla perché ha vissuto<br />

la stessa storia. Storia piccola<br />

ovviamente perché la dimensione in cui<br />

opera la Comunità è piccola, ma che<br />

compone la base della Storia grande.<br />

I libri che producono i Chersini e<br />

presentano in campo nazionale e le<br />

conferenze che vanno a pronunciare<br />

nelle varie città, per il dott. Favrini sono<br />

barzellette?<br />

Concludo impegnandomi a non<br />

riprendere la polemica su questo tema<br />

anche se altri volessero continuarla.<br />

Ogni impegno serio ha bisogno di un<br />

piano strategico da concordare e poi da<br />

realizzare con atti e tattiche ponderate.<br />

Esigenza fondamentale è tacere le proprie<br />

strategie e le eventuali debolezze e<br />

soprattutto non presentarci come<br />

un’accolita di prefiche lacrimanti in permanenza.<br />

Chi ha l’estro delle lacrime lo<br />

faccia per suo conto.<br />

Se tra Chersini e Lussignani e altri,<br />

vogliamo lavorare assieme, dobbiamo<br />

incontrarci e parlare per spiegarci tra<br />

persone responsabili e comunque animate<br />

di buona volontà e di buon senso.<br />

La buona volontà e la laboriosità possono<br />

diventare doti molto pericolose se<br />

non accompagnate dal buon senso.<br />

Dobbiamo pianificare, non imporre i<br />

nostri obiettivi, ed essere disposti a<br />

modificare anche qualche nostra idea.<br />

Soprattutto a moderare la fiducia in noi<br />

stessi che può non sempre essere del<br />

tutto meritata.


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Dagli Stati Uniti<br />

Comunità Chersina<br />

NOTIZIE DAI CHERSINI NEL MONDO<br />

Festa di San Nicolò<br />

12 dicembre 2004<br />

La consueta celebrazione di San<br />

Nicolò ha avuto luogo domenica 12<br />

dicembre scorso nella chiesa del<br />

monte Carmelo di Astoria. La Santa<br />

Messa è stata celebrata in italiano dal<br />

nostro sacerdote chersino don<br />

Roberto, e dedicata alla memoria del<br />

nostro Presidente onorario Padre<br />

Antonio Vitale Bommarco.<br />

Nell’omelia sono state ricordate le<br />

sue doti umane ed in particolare il contributo<br />

che egli ha sempre dato alla<br />

Chersinità durante i vari incontri con i<br />

diversi gruppi di chersini sparsi per il<br />

mondo. Dopo la Santa Messa i presenti<br />

si sono trasferiti all’Astoria World<br />

Mannor, che si trova molto vicino alla<br />

chiesa del Monte Carmelo.<br />

Qui ha avuto luogo la tradizionale<br />

festa annuale dedicata a Santa Claus,<br />

con una cena e l’immancabile intrattenimento<br />

danzante.<br />

Babbo Natale è arrivato sulla sua<br />

slitta con un sacco pieno di doni, che<br />

ha distribuito ai tanti bambini presenti<br />

facendoli felici e contenti.<br />

Tra gli invitati, anche i due novelli<br />

sposi Maver-Bacini (figli di chersini nati<br />

a Trieste dove risiedono), accolti con<br />

grande affetto da tutti noi che abbiamo<br />

loro dedicato la bella canzone “Co son<br />

lontan de ti Trieste (e Cherso!…) mia”,<br />

eseguita dall’orchestrina di Joe e<br />

Mario.<br />

Festa del Patrono<br />

S. Isidoro<br />

Sant’Isidoro è stato festeggiato<br />

anche quest’anno dai chersini della<br />

grande mela.<br />

Nel pomeriggio del 2 gennaio don<br />

Roberto Zubovich, figlio della chersina<br />

Laura Soldatich, ha celebrato una<br />

Santa Messa nella chiesa “The Most<br />

Precious Blood” di Astoria, in un’atmosfera<br />

di fratellanza e comunione.<br />

Preghiere e canti in tre diverse lingue<br />

hanno accomunato i cuori dei presenti.<br />

Rancori e differenze hanno<br />

lasciato posto al perdono nel ricordo<br />

delle Sante Messe celebrate nella<br />

nostra Cherso. Terminata la cerimonia<br />

religiosa, don Roberto ha voluto concludere<br />

la giornata in allegria. Infatti i<br />

partecipanti si sono riuniti nel refettorio<br />

della scuola adiacente per un appetitoso<br />

buffet condito con le note di un cantante<br />

ed un pianista croati. Canzonette<br />

nostrane e musiche dei vecchi tempi,<br />

eseguite magistralmente dal nostro<br />

musicologo Damir, hanno dato inizio<br />

ad un pomeriggio danzante che ha<br />

deliziato per parecchie ore chersini<br />

vecchi e giovani, ed anche lussignani<br />

e tutti coloro che hanno voluto onorare<br />

la festa del nostro Patrono.<br />

Don Roberto ha voluto devolvere il<br />

ricavato della serata alle vittime dello<br />

tsunami.<br />

Laura Cellani Fermeglia<br />

FRATELLI CHERSINI!<br />

Bel il paese dove siamo nati.<br />

I giorni sono passati<br />

senza rimpianti,<br />

son ben ricordati.<br />

Vogliamoci bene,<br />

tutti assieme siamo nati<br />

nel nostro bel paese.<br />

Come chersini ci onoriamo<br />

e con buon umor ce la passiamo.<br />

Se ben lontani dal nostro paese<br />

veniamo volentieri a trovarti<br />

senza badare alle spese,<br />

poi faremo un bon bicier de vin<br />

per essere un bon chersin.<br />

Tutti assieme in compagnia<br />

gridanto VIVA la Fratellanza<br />

Chersina, e così sia!<br />

27<br />

Antonio Coglievina


28 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Un gruppo di bambini con Babbo Natale.<br />

Daniele Velcich, come sempre<br />

solerte e puntuale, ci segnala<br />

che la vita della “Society” australiana<br />

ha avuto il consueto andamento,<br />

scandito dagli incontri<br />

nella sede dell’Associazione<br />

Dall’Australia<br />

25-11-04 Pic-nic dei chersini.<br />

Il Presidente dei Giuliani nel mondo, Dario Rinaldi, tra i Giuliani di Sydney nella nostra<br />

sede fra Egone Canevari e signora, Romeo Varagnolo, Giulio Virant e signora.<br />

La sede dell’Associazione Santa Maria di Cherso,<br />

punto di riferimento<br />

degli esuli giuliano-dalmati e fiumani<br />

Santa Maria di Cherso di<br />

Marsden Park che, nel tempo, è<br />

diventata un punto di riferimento<br />

per tutti gli esuli giuliano-dalmati<br />

e fiumani. L’Associazione riceve<br />

spesso visite di Autorità prove-<br />

nienti dall’Italia e da altre parti<br />

del mondo che, anche quando<br />

sono in Australia in forma privata,<br />

non mancano mai di recarsi<br />

nella sede dell’Associazione per<br />

salutare i connazionali residenti<br />

a Sydney. Così, per il pic nic di<br />

Natale, i chersini australiani<br />

hanno avuto il piacere di ospitare<br />

il dott. Dario Rinaldi, presidente<br />

dell’Associazione Giuliani nel<br />

Mondo. Accade spesso anche<br />

che qualche socio porti agli<br />

incontri della società qualche<br />

parente o amico venuto a fargli<br />

visita, e che costui riconosca fra i<br />

presenti persone che non vedeva<br />

da 30/40 anni.<br />

Alle feste dell’Associazione<br />

non manca mai la presenza della<br />

giovane chersina Carla Perovich,<br />

che fin da bambina allieta col<br />

suo canto i presenti. Per la sua<br />

bravura, la fanciulla sta riscuotendo<br />

sempre maggiore successo<br />

anche fuori dall’ambito degli<br />

esuli. Le auguriamo ogni bene!<br />

Delegazione di esuli<br />

chersini presente a Trieste<br />

per la celebrazione del<br />

Giorno del Ricordo<br />

Senza appuntamento, il gruppo<br />

degli “australiani” si è incontrato<br />

con la rappresentanza della<br />

Comunità Chersina che, col suo<br />

labaro, ha reso onore ai caduti<br />

nella Foiba di Basovizza la mattina<br />

del 10 febbraio. E’ stato proprio<br />

il labaro di Cherso a far avvicinare<br />

gli esuli australiani ai triestini<br />

per uno scambio veloce di<br />

saluti e ricordi, con piacere e<br />

commozione, per poi proseguire<br />

nell’itinerario delle manifestazioni<br />

della Giornata.


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

ALTRE LETTERE ITALIANE<br />

è la nuova collana della EDIT<br />

Si tratta di una collana dedicata agli autori<br />

della Comunità Nazionale Italiana che vive in<br />

Croazia e Slovenia per diffondere le opere di<br />

una letteratura italiana che nella sua alterità,<br />

nella sua diversità italo - istriana e italo - fiumana<br />

rimane pur sempre letteratura italiana. Una<br />

collana che vuole promuovere una prosa e una<br />

poesia che nascono in un contesto sociale e<br />

linguistico non (più) italiano e che proprio per<br />

questa ragione sono state e sono espressione<br />

di identità, luogo della conservazione e del<br />

recupero della memoria, strumento con il quale<br />

tramandare un’eredità culturale intima ma allo<br />

stesso tempo di gruppo. Fare letteratura italiana<br />

in Istria e nel Quarnero oggi non è soltanto<br />

preoccupazione artistica: è un forte segnale di<br />

un’esistenza ancora pulsante, è desiderio di<br />

rendere gli “altri” partecipi di un’esperienza tipica<br />

da microcosmo e dalla cui particolarità scaturisce<br />

un’universalità irripetibilmente preziosa.<br />

Tiziana Dabovic, redattrice del Settore<br />

Editoriale EDIT, nel comunicarci la pubblicazione<br />

dei primi due volumi della collana, di<br />

cui segue la recensione, ci scrive:<br />

“Saremmo lieti che queste notizie venissero<br />

pubblicate nel V/s pregiato Giornale<br />

“Comunità Chersina”. Per ulteriori informazioni<br />

sull’attività della nostra Casa editrice è a vostra<br />

disposizione il sito internet www.edit.hr, nonché<br />

l’indirizzo di posta elettronica editoria@edit.Hr.<br />

RECENSIONI<br />

Comunità Chersina<br />

29<br />

Stemma e Santo Protettore della Magnifica Comunità di Cherso, di Luigi Tomaz, Quaderno<br />

n. 6 della Collana Storica della Comunità Chersina. L’opera - in 200 pagine di testo, corredato da<br />

183 note a pie’ di pagina e da una sessantina di illustrazioni, alcune a colori, in prevalenza disegnate<br />

dallo stesso Autore – affronta l’analisi complessa dello stemma civico di Cherso, Magnifica<br />

Comunità, dal 460 capoluogo della Contea-Capitanato veneziana di Cherso e Ossero. Anche lo<br />

stemma di Ossero è valutato nella sua evoluzione e nella reciproca influenza. La ricerca è condotta<br />

attraverso la Storia locale, adriatica, istriana, veneta, la Storia dell’Araldica e la Storia dell’Arte.<br />

Tratta, interpreta e segnala le riproduzioni e le alterazioni subite dallo Stemma negli esemplari pervenuti<br />

attraverso i secoli e nelle divulgazioni dei libri di Araldica a partire dall’opera del De Beatiano<br />

e dalle opere del Coronelli (XVII e XVIII secolo) fino ai giorni nostri. Elenca e presenta gli stemmari<br />

e i blasonari della Repubblica Serenissima di San Marco ripubblicati per tre secoli in Italia e in<br />

Europa, nonché i maggiori blasonari e stemmari austro-ungarici. L’Autore ha comparato dal punto<br />

di vista stilistico, formale e iconografico lo Stemma “prototipo” con gli stemmi che sembrano o sono<br />

similari dentro e fuori l’area di influenza veneziana.<br />

Il Santo Protettore e Patrono Civico S. Isidoro è esaminato nelle raffigurazioni esistenti e nella<br />

chiesa romano-gotica a lui dedicata. Viene condotta soprattutto un’indagine della più attendibile derivazione<br />

del Patrono chersino dagli omonimi santi vescovi e martiri di Alessandria, Antiochia e<br />

Chio. Il libro è di interesse fondamentale per il mantenimento dell’identità dei Chersini esuli e rimasti,<br />

uniti saldamente dall’attaccamento all’antico stemma dei Padri e dal culto religioso e civile al<br />

loro “Protector et Confalonier”.<br />

MARIO SCHIAVATO<br />

L’eredità della memoria<br />

MARIO SCHIAVATO,<br />

nato nel 1931 a<br />

Quinto di Treviso,<br />

è il primo di otto<br />

figli di una famiglia<br />

di contadini, che si<br />

trasferì nel 1943 a<br />

Dignano, dove lo<br />

scrittore crebbe e<br />

si formò considerandola oggi, con l’Istria in<br />

genere, sua patria d’adozione. Sinora ha<br />

pubblicato una quindicina di volumi di narrativa<br />

per i ragazzi, di prosa e di poesia, alcuni<br />

anche tradotti in lingua croata e macedone.<br />

Secondo Geno Pampaloni la sua è la<br />

prosa, chiara e monocorde, di stampo ottocentesco,<br />

di chi riferisce. Siamo accompagnati<br />

con grande naturalezza nel mondo<br />

contadino, con i suoi personaggi, i costumi,<br />

i riti, le colture, gli animali, il variare del paesaggio<br />

lungo l’arco delle stagioni, e il dolore.<br />

Il tema di fondo, anzi, si direbbe proprio<br />

la consapevolezza qui per metà esistenziale<br />

e per metà sociale, di uno sradicamento<br />

fatale dalla terra amata.<br />

EZIO MESTROVICH<br />

Foiba in autunno<br />

EZIO MESTRO-<br />

VICH (1941-2003)<br />

giornalista e saggista,<br />

ha ricoperto<br />

incarichi di dirigente<br />

nell’editoria della<br />

minoranza italiana e<br />

si è particolarmente<br />

interessato ai problemi<br />

della convivenza<br />

in un ambiente eterogeneo soggetto a<br />

forti sollecitazioni demografiche. Il suo impegno<br />

e la sua partecipazione sono legati alle<br />

vicende della minoranza italiana, fonte continua<br />

della sua attività giornalistica (premio<br />

Istria Nobilissima per l’opera omnia e Penna<br />

d’oro dell’ordine dei giornalisti della Croazia)<br />

e dei suoi lavori letterari.<br />

Ci troviamo - scrive Nelida Milani - di<br />

fronte ad una bella contaminazione letteraria,<br />

con spazi di alta letteratura in cui si inseriscono<br />

molti elementi strutturali del giallo.<br />

Dunque romanzo letterario, romanzo, semplicemente.<br />

Dopo A Fiume, un’estate, quello<br />

di Mestrovich è un ritorno alla letteratura che<br />

riesce a catturare nelle sue trame complesse<br />

una Fiume dura e contraddittoria, una<br />

terra di storie antiche e di nodi non sciolti e<br />

ancora tutti presenti contemporaneamente<br />

sotto la cenere alta mezzo secolo.


30 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Replica sull’argomento del 20.IV.1945.<br />

Io sono l’autrice dell’articolo «Chi ha incendiato...»<br />

Se la mia domanda era «chi ha incendiato...»<br />

vuol dire che aspettavo una risposta da<br />

qualche anziano che poteva sapere qualcosa.<br />

Mi scusi signor Tomaz, Lei non mi può dare<br />

la risposta, perché se io con i miei 10 anni di<br />

allora, lei crede, non posso certe cose ricordare<br />

anche se le ho subite, mentre Lei può sapere<br />

solo dai racconti degli altri. Ciò non mi persuade.<br />

Non mi si è data una risposta precisa.<br />

Perché intrecciare altre persone, contare la loro<br />

discendenza ecc. ecc. Lei insinua una probabilità<br />

(forse giusta). Io ho scritto quello che con le<br />

mie orecchie ho udito e quello che ho visto e<br />

Lei mi contraddice.<br />

Io ricordo bene quella mattina e ripeto che<br />

è vero quello che ho scritto.<br />

Io non ero a Cherso, e non sono quella<br />

mattina andata a Verpolaj da Cherso, bensì da<br />

Loznati (San Giovanni della Vigna) dove allora<br />

abitavo.<br />

Quella mattina di buonora a Loznati sono<br />

arrivati i partigiani. Nel cortile della scuola avevano<br />

la radiotrasmittente. Piano piano la gente<br />

si raccoglieva, per sentire informazioni e noi<br />

bambini eravamo anche curiosi. Tutti aspettavamo<br />

cosa succederà perché i partigiani ci<br />

spiegavano che stavano attendendo la risposta<br />

alla proposta fatta ai fascisti e tedeschi di<br />

arrendersi. Tutti eravamo in ansia perché ci dissero,<br />

se non si arrendono comincerà l’attacco,<br />

però a Cherso già bruciavano le case vicino la<br />

scuola.<br />

Ricordo che mio nonno mi prese per mano<br />

e mi ha mandato a prendere il suo cannocchiale.<br />

Poi con lui sono andata verso Verpolaj.<br />

Abbiamo ben visto cosa bruciava. Bruciavano<br />

le nostre case vicine all’asilo. Ad un tratto sono<br />

iniziate le cannonate che venivano da Grosuia<br />

(sotto Loznati al mare) in continuo. Fischiavano<br />

sopra Loznati. Ancora oggi sento quei fischi,<br />

spari in continuo. Il primo momento mi hanno<br />

fatto tanta paura. Ci siamo distesi a terra finchè<br />

non abbiamo capito che quelle cannonate passavano<br />

sopra di noi.<br />

Tornati a Loznati abbiamo saputo che è<br />

stato dato il comando d’attacco. Noi bambini<br />

più tardi, già abituati agli spari, eravamo perplessi<br />

e volevamo andare verso il mare a vedere<br />

le barche di guerra, ma gli adulti ci hanno<br />

impedito. Si attendevano anche gli aeroplani se<br />

la lotta a Cherso non finiva fino l’ora prescritta.<br />

Quella notte in ogni casa o stalla dormivano<br />

i partigiani e in Piazza c’erano tanti cavalli.<br />

Se la signora Mirjan era quel giorno a<br />

PAGINA DEI LETTORI<br />

Loznati doveva vedere i partigiani. Ha udito gli<br />

spari, ma da Loznati non poteva vedere il fumo<br />

delle case, bensì tante persone, dopo aver<br />

sentito da mio nonno cosa brucia, sono andati<br />

verso quella piccola pineta da dove si vede<br />

Cherso a vedere il fumo e le vampate.<br />

Probabilmente anche la signora Mirjam. Se io<br />

sapevo che la signora Mirjam ha certe informazioni<br />

le avrei domandato quando veniva a<br />

vedere mia mamma o mia zia. Io non sapevo<br />

che la signora era a Loznati, anche noi siamo<br />

evacuati il 10.VI.1944 come anche Lei.<br />

Quella mattina non solo è stata bombardata<br />

la casa in piazzetta, ma anche la nostra e la<br />

casa della signora Mirjam (precisa casa via<br />

Nascimben). Sono cadute due bombe nel<br />

nostro cortile sotto la terrazzetta della signora<br />

Mirjam. Hanno distrutto un pezzo di casa<br />

nostra portando via il camino. Io scappavo<br />

dalla camera saltando sopra i rottami. Ma le<br />

bombe sono esplose. Così tutti noi inquilini<br />

dovevamo evacuare.<br />

Da quel giorno la nostra famiglia e tante<br />

altre di quella vicinanza sono scappate nei villaggi<br />

o nelle casette di campagna. Da quel<br />

giorno io e mia nonna siamo rimaste a Loznati<br />

dove ho frequentato la scuola (la maestra<br />

Maria Bommarco).<br />

Mio nonno e la mamma andavano ogni<br />

giorno a Cherso per lavoro e per riparare la<br />

casa. Il nonno era perito giudiziario. Quella<br />

mattina del 20.IV.1945 non sono andati perché<br />

sono stati fermati dai partigiani che come formiche<br />

erano presenti nella collina.<br />

Il giorno seguente, finita la battaglia, il<br />

nonno si è messo in cammino verso Cherso,<br />

pensando di salvare qualche cosa.<br />

La prima grande ferita era, trovare morto,<br />

sulle porte del suo orto, dove andava ogni mattina,<br />

il suo consuocero, il padre di mio zio<br />

Giovannin. Il signor Duncovich Zaccaria è stato<br />

colpito dagli spari venuti da Pra mentre dava<br />

da bere a un partigiano (deposizione del testimone).<br />

Lo ha portato a casa. Poi, quando è<br />

arrivato a vedere la propria casa che ancora<br />

bruciava, che ancora bruciavano non aveva<br />

cosa salvare. Abbiamo perduto tutto.<br />

Dopo i giorni della tragedia, quando si è<br />

spento il fuoco, ricordo, tutti noi ex abitanti stavamo<br />

a scavare tra le macerie per trovare qualcosa...<br />

ma niente, un secchiello di rame, bartuelle,<br />

chiodi.<br />

Le case bruciate apparivano come fantasmi,<br />

dai muri, dai soffitti piccavano i famosi cavi<br />

e si dondolavamo (erano grigi e dentro perle<br />

color d’avorio). Vede. Perché anche se è passato<br />

mezzo secolo, anche se piccola questi<br />

eventi mi sono davanti gli occhi.<br />

Le ferite sono guarite ma i ricordi restano e<br />

se si può è bene tante cose sapere.<br />

Lei mi chiede.... come mai vengono chiesti<br />

lumi sul 20.IV agli «andati» senza aver mai<br />

chiesto ai «rimasti» che fra di loro ci sono<br />

ancora coloro che quella mattina indossavano<br />

la divisa fascista. Lei non sa se ai «rimasti» lo<br />

abbiamo chiesto. I «rimasti» ci hanno informato<br />

(ma ora sono morti) sul fatale cavo, come<br />

anche della benzina o nafta che si stava spargendo<br />

lungo le nostre case in quella via. Che<br />

cosa è la verità?<br />

Dunque se ancora ci sono dei volontari<br />

della compagnia Tramontana perché non ci<br />

darebbero delle informazioni. Io non le so. Se<br />

Lei li conosce mi faccia il favore di farmi conoscere<br />

qualcuno con cui possa parlare. Lei sa<br />

che anche i tedeschi avevano sede in quella<br />

via in casa Augustoni e in asilo?<br />

Dunque niente categoricamente si può<br />

confermare senza avere una vera risposta da<br />

coloro che hanno partecipato al fatto.<br />

Chiedo scusa ai lettori per aver sbagliato<br />

qualche cognome degli inquilini delle case bruciate.<br />

Ripeto abitavano le famiglie: Augustoni-<br />

Bacchiaz, Bravdica (kokica), Fucic (boxer)<br />

Tonin e Mirjam, Coglievina Attilio, Toich (Toini)<br />

Pietro e Zic (Ziz) Giovanna (Nina), Duilli (paron<br />

Nane).<br />

In quella schiera sono rimaste intatte la<br />

case Chialina e Minutti.<br />

Forse era il destino prima le bombe e poi<br />

la fiamme.<br />

Le guerre fanno errori. Lasciano traumi.<br />

Ognuno qualcosa subisce, perde.<br />

Ma dopo tanti anni la verità sarebbe bene<br />

sapere e no soli certe cose categoricamente<br />

confermare e così dare informazioni sbagliate.<br />

Infine, voglio fare una correzione. Non è<br />

vero che si cambia la storia se si dice TRA-<br />

VANJ invece di april perché il mese è uguale.<br />

Dunque 20 april è uguale 20 travanj. Ogni<br />

paese ha la sua lingua ufficiale e così in<br />

Croazia nei posti pubblici si scrive i nomi (in<br />

America Giovanni è John, in Croazia Ivan, in<br />

Istria Zvane, a Cherso Zuva). Il nostro Pra<br />

resta sempre per noi chersini Pra ma ha il suo<br />

nome 20 travnja.<br />

Senza nessun rancore, amici come prima.<br />

Voglio e vogliamo bene a Cherso e a tutti i<br />

Chersini andati e rimasti ed oggi anche i venuti<br />

perchè si sono assimilati e abbiamo famiglie<br />

miste come da per tutto.<br />

Spero che un giorno sarà qualcuno che si<br />

ricorderà e ci parlerà ancora qualcosa su questo<br />

argomento.<br />

Marija Zic in Rogic<br />

RISPOSTA ALLA PAGINA SEGUENTE


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Gentile Signora<br />

Alla Sua “lettera firmata”, pubblicata<br />

senza nome, ho risposto esaurientemente<br />

quale direttore del giornaletto nominato nel<br />

frattempo. Quanto da me scritto ha preciso<br />

riferimento alla Sua domanda che espressamente<br />

dichiarava di non volere la risposta<br />

che ho dato io. Lei comunque ha chiesto chi<br />

ha dato fuoco alle case che tutti sanno essere<br />

bruciate. La replica non aggiunge alcuna<br />

novità perché Lei insiste a dire che ha visto<br />

l’incendio, non che ha visto chi ha incendiato.<br />

Si sarebbe aspettata risposte di persone<br />

più anziane! Non Le è bastata la signora<br />

Miriam che ha una ventina di anni più di Lei e<br />

poco meno più di me?<br />

Sul consuocero di Suo nonno, che Lei ci<br />

tiene a precisare “colpito dagli spari venuti da<br />

Prà mentre dava da bere a un partigiano<br />

(deposizione del testimonio)” e che è un<br />

argomento nuovo, estraneo all’incendio delle<br />

case, non intendo trattare in pubblico perché<br />

è un fatto personale che oltretutto riguarda<br />

direttamente una famiglia alla quale mi legano<br />

rapporti fraterni da un quarantennio, come<br />

Lei ben sa.<br />

Dato che Lei ha voluto però essere particolarmente<br />

precisa anche nel dettaglio,<br />

posso anticiparLe, a puro titolo di Sua ulteriore<br />

informazione, che l’atto di morte è stato<br />

formulato proprio da mio padre, appositamente<br />

chiamato perché titolare dell’Ufficio<br />

La nostra Comunità ricorda chi ci ha lasciato<br />

Silvani P. Stefano a Camposanpiero il 23.05.04 a 90 anni<br />

Missinich Giuseppe a Montreal (Canada) il 21.12.04 a 92 anni<br />

Pavan Vittorio (Rino) in Australia il 06.03.05 a 82 anni<br />

Bunicci Giorgio a Brisbane (Australia) il 16.03.05 a 78 anni<br />

Gropuzzo Crivellari Concetta a Trieste il 03.04.05 a 85 anni<br />

Malusà Mary a Chioggia (VE) il 12.04.05 a 88 anni<br />

Chersini Cimegotto Annamaria a Venezia il 14.04.05 a 70 anni<br />

Ci giunge da Cherso segnalazione dei seguenti deceduti nell’ultimo semestre:<br />

Cucic Albina il 10 dicembre 2004 a 90 anni<br />

Toich in Duncovich Maria il 26 dicembre 2004 a 90 anni<br />

Muscardin in Negovetich Maria il 17 gennaio <strong>2005</strong> a 75 anni<br />

Ferlora in Rodinis Giannina il 2 febbraio <strong>2005</strong> a 56 anni<br />

Culjanic Ana il 8 febbraio <strong>2005</strong> a 74 anni<br />

Velcich Antonio il 16 febbraio <strong>2005</strong> a 79 anni<br />

Negovetich in Justin Marisa (Marcovunca) il 21 febbraio <strong>2005</strong> a 71 anni<br />

Comunità Chersina<br />

31<br />

Comunale d’Anagrafe e Stato Civile. Se lo<br />

vorrà potremo parlarne a Cherso fra qualche<br />

mese.<br />

Quanto al “20 aprile” cambiato in “20<br />

travnja”, mi stupisce che non abbia inteso l’ironia<br />

e si sia preoccupata di erudirmi come fa<br />

la maestra ad un bambino di prima elementare.<br />

Il problema è molto più complesso di<br />

quanto Lei creda perchè riguarda il fenomeno<br />

della pulizia etnica passato al suo secondo<br />

momento, quello della arbitraria purificazione<br />

linguistica operata dentro una stessa etnia.<br />

Ed è vero che gli Europei che prima capivamo,<br />

ora non capiscono più.<br />

Gigi Tomaz<br />

DUNCOVICH MARIA -<br />

ROSSA<br />

nel ricordo dei familiari<br />

e degli amici<br />

Il cammino della “Rossa” è giunto<br />

al termine il 26 dicembre 2004. E’<br />

mancata serenamente malgrado le<br />

sofferenze degli ultimi anni. Nata a<br />

Cherso il 12 settembre 1914, vi ha<br />

sempre vissuto, fortemente legata<br />

alle sue origini e tradizioni. Spettatrice<br />

e attrice della travagliata storia dell’isola<br />

per quasi un secolo, era punto di<br />

riferimento e memoria storica per<br />

quanti vi fossero tornati dopo periodi<br />

di esilio. Con il suo sorriso accogliente<br />

e una battuta in dialetto chersino, ti<br />

faceva sempre sentire a casa tua da<br />

qualunque parte arrivassi. Dedita alla<br />

famiglia per la quale ha vissuto, lascia<br />

un grande vuoto tra di noi mentre<br />

accolta dal cielo sempre ci proteggerà<br />

e ci guiderà.<br />

La figlia, Gianna Duncovich Giacometti,<br />

per la famiglia


32 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

GIORGIO BUNICCI<br />

Cherso 11.01.1927<br />

Brisbane (Australia)<br />

16.03.<strong>2005</strong><br />

Un altro figlio della<br />

nostra cara Cherso<br />

ci ha lasciati.<br />

Dopo un viaggio non<br />

sempre facile per le<br />

strade del mondo,<br />

ha raggiunto la pace eterna lasciando<br />

nel dolore l’affettuosissima figlia ed i<br />

famigliari tutti. Lo sradicamento dalla<br />

propria terra è sempre stato come una<br />

spina, che gli faceva male al cuore.<br />

Gli amici e quanti gli volevano bene,<br />

gli rivolgano un pensiero ed una preghiera.<br />

MERY MALUSÀ PENZO<br />

E’ passata a miglior vita a<br />

Chioggia, il 12 aprile <strong>2005</strong>, a 88 anni,<br />

la chersina Mary Malusà, maestra elementare<br />

in pensione, pittrice, vedova<br />

di un pittore. Prima dell’esodo viveva<br />

a Pola coi genitori, la sorella ed il fratello<br />

ingegner “Tono”.<br />

ANNAMARIA CHERSINI<br />

CIMEGOTTO<br />

Ci ha lasciato a Venezia Annamaria<br />

“Furlana” che aveva ereditato il<br />

soprannome dalla madre che tutti i<br />

vecchi chersini ricordano. Era una<br />

delle animatrici della classe 1935 e<br />

dei famosi incontri annuali. Laureata<br />

in psicologia aveva ricoperto importanti<br />

incarichi statali ed ha esercitato<br />

anche la libera professione.<br />

NORDIO ALBANO<br />

E’ deceduto in un incidente<br />

d’auto a Steinfurt<br />

(Germania), dove si era<br />

recato per trascorrere le<br />

feste natalizie col figlio e la<br />

sua famiglia, colà residente.<br />

Aveva 74 anni.<br />

C’eravamo visti<br />

l’ultima volta a<br />

Cherso ad agosto<br />

alla fine della sua villeggiatura. Nel salutarci<br />

gli avevo espresso l’augurio di rivederci<br />

alla prossima estate. Ed Albano,<br />

commosso con gli occhi lucidi come ad<br />

ogni sua partenza, aveva detto Che Dio<br />

ce la mandi bona. Purtroppo non è<br />

andata così.<br />

Albano Nordio nato e residente a<br />

Chioggia amava Cherso ed i chersini<br />

oltremodo e ne era altresì ricambiato; l’avevamo<br />

eletto nostro concittadino, era<br />

diventato, come diciamo noi, un comacese.<br />

Era il chersino-chioggiotto, o se<br />

vogliamo invertire i termini di cittadinanza,<br />

il chioggiotto-chersino più benvoluto<br />

dalla comunità. Persona generosamente<br />

capace di amicizia e simpatia faceva<br />

parte da tempo del nostro gruppo estivo;<br />

era il caratterista della compagnia. Noi<br />

con Albano e c’era l’allegria, la spensieratezza,<br />

la leggerezza delle cose semplici,<br />

lo stupore per l’incredibile stravaganza.<br />

Ora mi piace soffermarmi sull’argomento<br />

il più ricorrente nell’intrattenimento<br />

con Albano: la gastronomia. Ogni mattino,<br />

all’ora del caffé al solito bar sotto al<br />

campanile si teneva l’interrogazione ad<br />

Albano sul suo menù giornaliero, in quel<br />

momento già possibile perché egli aveva<br />

già predisposto ed in parte cucinato sia il<br />

pranzo che la cena. Albano, stimolato e<br />

gratificato dalle nostre domande, non si<br />

limitava ad un semplice elenco, ma con<br />

parole solo sue e tratteggi pittoreschi<br />

argomentava su alimenti, aromi, sapori e<br />

condimenti componendo un pezzo scenico<br />

fresco e croccante che andava a<br />

saziare, a noi digiuni, la voglia dell’iniziale<br />

allegria della giornata.<br />

La pasta alimentare, la bistecca volta<br />

e gira, il filetto in umido, i pomodori<br />

‘conzi’, i lovi lessati sono diventati ormai<br />

leggenda. Le sue tesi sulla cottura della<br />

pasta erano alquanto personali e stravaganti.<br />

Cucinava gli spaghetti per diciotto<br />

minuti. Usava pochissimo la pasta corta<br />

e grossa perché diceva che lo spazio tra<br />

il pranzo ed il suo andare ai bagni di<br />

Chimen era esiguo ed il tempo di cottura<br />

dei rigatoni, quaranta minuti, gli precludeva<br />

l’agio del sacro ed abituale riposo<br />

pomeridiano, preferendo lui senza alcun<br />

dubbio al gusto alimentare il ristoro sonnolento.<br />

Il suo provveditore del pesce<br />

era Nini Peranovich. Lo riforniva di freschezza,<br />

ma Albano molto spesso saltava<br />

questa qualità e conservava il pesce<br />

sino al limite della commestibilità, mosso<br />

non da negligenza, ma da sentimento<br />

perché desiderava assaporare il piacere<br />

del possesso ed allontanare il dispiacere<br />

della distruzione di quel bene pensiero<br />

del suo grande amico.<br />

Io, suo assiduo ed attento uditore<br />

delle cose culinarie, lo portavo spesso su<br />

un argomento il cui ascolto mi faceva<br />

provare sempre piacevoli emozioni; il<br />

tema era l’opera di bonifica dell’indigesto<br />

cetriolo. Sentenziava Albano che per<br />

rendere questo ortaggio appetibile bisognava,<br />

dopo averlo sbucciato, inciderlo<br />

con i rebbi di una forchetta in senso longitudinale<br />

ed in superficie in modo da<br />

provocare la fuoriuscita dell’ acido malsano.<br />

Così liberato il cetriolo era digeribile<br />

come una patata qualsiasi. La bellezza<br />

nell’esposizione di Albano stava nel<br />

fatto che lui per dare più potere alla parola<br />

accompagnava alla descrizione orale<br />

quella gestuale. Ed ecco allora che mentre<br />

parlava sollevava la mano sinistra,<br />

chiusa come a trattenere il cetriolo poi<br />

avvicinava al pugno l’altra mano, la muoveva<br />

con le dita, ossute ed inanellate,<br />

disposte come pronte a graffiare. Allo<br />

stesso tempo apriva bene la bocca, serrava<br />

i denti e li digrignava nervosamente<br />

così che la capsula incisiva nella sua<br />

bocca emanava una luce opaca non<br />

potente ed era la stessa luce metallica<br />

che mi sembrava di vedere erogata dai<br />

denti dell’immaginaria forchetta stretta<br />

nella sua mano destra.<br />

Le capacità culinarie di Albano erano<br />

alquanto modeste, ma ciò non ha importanza.<br />

Io lo vedo Albano d’estate, nella<br />

sua cucina, curvo, in posizione scomoda,<br />

sopra il suo piccolo fornello a bombola<br />

a due soli fuochi, grondante non sudore,<br />

ma amore e passione, intento a preparare<br />

il quotidiano che doveva andare a<br />

soddisfare in tutti i sensi, non solo quello<br />

gustativo, la sua adorata Carmen. E si<br />

può dire che nascean leccornie.<br />

Albano diceva sempre Cherso è il più<br />

bel paese del mondo, ma il clima è troppo<br />

freddo ed il mare è sempre ghiacciato;<br />

quel mare di Chimen che poteva<br />

bagnare le sue caviglie solamente nelle<br />

giornate più afose. Amava il caldo ed è<br />

andato a morire nella gelida Germania<br />

complice una lastra di ghiaccio.<br />

Spesso diceva Quando morirò voglio<br />

essere sepolto a Cherso e per il mio<br />

funerale voglio un carro tirato da quattro<br />

cavalli bianchi. Ed a noi che per canzonarlo<br />

gli ricordavamo che a Cherso c’era<br />

un solo cavallo, quello di Tonin<br />

Scalamera accudito da Balde e che tra<br />

l’altro non era nemmeno bianco, ribatteva<br />

con forza Magari con un caval solo<br />

ma sempre a Cherso voglio essere<br />

sepolto.<br />

Pino Donvio


<strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Comunità Chersina<br />

GRAZIE PER I VOSTRI CONTRIBUTI<br />

Dall’Italia: Conto Corrente Postale: 11338340, intestato a: Soc. Francesco Patrizio della Comunità Chersina - Via Belpoggio, 29/1 - 34123 Trieste<br />

Dall’Estero: Bonifico bancario o postale, a seconda degli Stati, sul c/c 11338340, CAB 12400, ABI 07601,<br />

intestato a: Soc. Francesco Patrizio della Comunità Chersina - Via Belpoggio, 29/1 - 34123 Trieste<br />

Albano Giovanni e 10,00<br />

Anelli Carmen e 10,00<br />

Antonini Antonio e 20,00<br />

Asta Flavio e 15,00<br />

Baici Maria in memoria dei defunti delle famiglie Baici e Verbas e 15,00<br />

Baicich Atonia e Duilio in memoria di Saganich Antonio e<br />

Vitich Antonio, Velcich Antonio e 20,00<br />

Bandera Gianfranco e 15,00<br />

Bandera Gianni e 10,00<br />

Bandera Giorgio e 10,00<br />

Bandera Maria e 10,00<br />

Banic Franco e 20,00<br />

Barulich Rocconi Fabia in memoria dei propri defunti e 10,00<br />

Bassanese Rosa e 10,00<br />

Bellemo Maria Vittoria e 15,00<br />

Bellussi Arianna e 20,00<br />

Benussi Ilda e Giuliano e 20,00<br />

Benvin Giovanni e 30,00<br />

Benvin Nino Ivan e 20,00<br />

Bertotto Ancella in ricordo della mia infanzia nella amata Cherso e 20,00<br />

Bertotto Filardi Etta e 25,00<br />

Bertotto Iginia in memoria del marito Franco e<br />

della mamma Duornicich Antonia e 50,00<br />

Biaggini Francesco in ricordo di Aurelia Stefani e 50,00<br />

Biaggini Giuseppe e 20,00<br />

Biaggini Maria e 10,00<br />

Bommarco Francesco e 50,00<br />

Bommarco Gianna per ricordare i propri defunti e 50,00<br />

Bon Domenico e 50,00<br />

Bon Edi e 10,00<br />

Boni Domenico e 20,00<br />

Bortulin Giovanni e 10,00<br />

Bortulin Riccardo e 10,00<br />

Bortulin Sergio e 10,00<br />

Bossi Franco in memoria della mamma Nives e<br />

nonna Mercedes Borri e 30,00<br />

Bossi Rosa Mercedes in memoria della madre Nives Borri e<br />

della nonna Mercedes Borri e 30,00<br />

Bradizza Giacomina e Sablich Francesco e 10,00<br />

Bravuzzo Antonio in ricordo dei miei cari e 20,00<br />

Butkovich Bruna in memoria del marito Karl e 28,00<br />

Camali Antonio e 50,00<br />

Capitanio Arnaldo e 5,00<br />

Capitanio Luciano e 10,00<br />

Capitanio Paolino e 10,00<br />

Castellan Negovetti Maria a memoria e riconoscenza del<br />

Vescovo P.V. Bommarco e 30,00<br />

Castellan Piero e Meri e 20,00<br />

Castelli Fulvio e 20,00<br />

Ceglian Francesco e 30,00<br />

Chersi Adriana e 10,00<br />

Chersi Mariuccia in ricordo dei genitori e 15,00<br />

Coglievina Annamaria in memoria di Tonci e Tonina e 20,00<br />

Coglievina Antonio in memoria dei genitori e 30,00<br />

Coglievina DaSantis Gianninain memoria dei cugini Tonin,<br />

Nives, Uccio Borri e Nini Padovan e 20,00<br />

Colombis Glauco e 30,00<br />

Conte de Falco Ester e 20,00<br />

Craglietto Giuseppe e 30,00<br />

Crivellari Beatrice e 15,00<br />

Crivellari Nives in memoria del fratello Matteo Crivellari e 30,00<br />

Crivici Donato e 20,00<br />

Crusi Maria e Gianna pro stampa ed in memoria di<br />

33<br />

Mons. P. Vitale Bommarco e 100,00<br />

Crusi Meri in memoria di Domenico e 20,00<br />

De Petris Giannella e Mariuccia e 25,00<br />

De Petris Giovanni e 40,00<br />

Desco Francesco (Chicago) in memoria dei fratelli Miro e Rocco e 50,00<br />

Diacci Giovanni in memoria di Giovanna Diacci e 10,00<br />

Doimi Nicolò e 10,00<br />

Don Dario Pavlovich in memoria di Mons. Bommarco e 100,00<br />

Donaggio Antonio in memoria dei propri cari defunti e 50,00<br />

Donvio Antonia e 25,00<br />

Duncovich Gianna in memoria della mamma<br />

Maria Duncovich (Rossa) e 100,00<br />

Dvornicich Dino e 20,00<br />

Fattuta Sergio in memoria del papà e nonni Fattuta Nicolò e 20,00<br />

Filardi Nuccia e 20,00<br />

Filipas Giuseppe in memoria dei propri defunti e 100,00<br />

Filippas Maria e 30,00<br />

Filippas Stefano in memoria dei defunti e di Mons. Bommarco e 20,00<br />

Fillini Bruno e 50,00<br />

Fillini Don Antonio e 50,00<br />

Fillini Luigi e 30,00<br />

Fucci Miriam in memoria del marito Tonin e 50,00<br />

Fuccini Claudio e 20,00<br />

Fucich Elena e 15,00<br />

Gamba Eugenio in memoria dei propri defunti e 25,00<br />

Glavich Gina ricordando la cara mamma Smundin Giovanna e 15,00<br />

Glavina Pugiotto Antonia e 30,00<br />

Grisan Sciucca Corinna in memoria dei propri genitori e 15,00<br />

Grus Pia e 10,00<br />

Hovrich Corsano Rosa e 10,00<br />

Hovrich Giovanni e 10,00<br />

Ianotta Tullia e 20,00<br />

In memoria di Bellemo Laura il marito e 50,00<br />

Kolmann Nelli e 10,00<br />

Lemessi Maria Fiorenza e 100,00<br />

Lemessi Maria Luisa e 100,00<br />

Linardi Andrea e 30,00<br />

Malatestinic Edi e 10,00<br />

Manzardo Antonio e Luciana e 25.00<br />

Manzardo Mario e 20,00<br />

Maracich Renato e 30,00<br />

Mauri Lucia e 20,00<br />

Maver Guerrino ed Etta in ricordo dei propri defunti e 30,00<br />

Mazzoni Marzio in memoria di Padre Bommarco e 100,00<br />

Medarich Giuseppe in memoria della moglie Maria Jacuzzi e 50,00<br />

Merlin Maria Giustina in memoria della mamma Nina,<br />

di zia Sandra e dei defunti della famiglia Chersi e 30,00<br />

Mese Alice pro stampa a favore del fratello Pino Mese e 20,00<br />

Michicich Giorgio e 15,00<br />

Miletto Bracco Fulvia e 20,00<br />

Minutti Cesira e 20,00<br />

Mitis Mirella dalle sorelle Mitis pro stampa e 20,00<br />

Mitis Nives per ricordare Aurelia Stefani e 30,00<br />

Mocolo Anna Maria e 10,00<br />

Mocolo Benita in memoria dei propri defunti e 20,00<br />

Mocolo Bomitali Augusta in ricordo del marito Rino e 20,00<br />

Mocolo Bruna in memoria di Giacomo e 30,00<br />

Mocolo Devita Ettuccia e 20,00<br />

Mocolo Giuseppe (Pepi) e 20,00<br />

Mohovich Giovanni e 10,00<br />

Mohovich Romano e 10,00<br />

Moise Francesco e Carmen in memoria di Gian Virgilio Bommarco e 50,00<br />

Montanari Maria e 24,00


34 Comunità Chersina <strong>Aprile</strong> <strong>2005</strong> n. <strong>73</strong><br />

Moritz Gemma in memoria del padre Felice e<br />

dei fratelli Fausto e Antonio e 50,00<br />

Moritz Sauli Aurora in memoria del marito Felice e<br />

figli Fausto e Antonio improvvisamente<br />

mancato il 06-02-05 e 50,00<br />

Muscardin Piero e Ferlora Gina per il 30° anniversario della morte<br />

della madre Maria Ferlora e 30,00<br />

Muscardin Toich Emilia in memoria del marito Raffaele e 20,00<br />

Nalon Silvano e 20,00<br />

Negovetich Giorgio e 10,00<br />

Negovetti Maria e 20,00<br />

Negovetti Mario e 20,00<br />

Nevio Federico e 15,00<br />

Nuclich Nino e 25,00<br />

Orlich Nicolò ed Etta e 30,00<br />

Orlini Bonato Giannina e 50,00<br />

Ottoli Giovanni e 15,00<br />

Ottulich Maria Bolletti e 10,00<br />

Pavan Romano e 20,00<br />

Pellegrini Paolo e Anna in memoria dei genitori e 40,00<br />

Petrani Silvano e 50,00<br />

Petronio Malisana Alessandra e 20,00<br />

Piccini Pina e Antonio e 20,00<br />

Piovesan Andrea e 200,00<br />

Pittalis Marisa e Luciano in memoria dei propri cari e 50,00<br />

Poldrugo Etta ed Etto e 15,00<br />

Poldrugo Giovanni e 25,00<br />

Prettegiani Nancy e Nives in memoria dei propri defunti e 25,00<br />

Pugiotto Antonio e Liliana e 15,00<br />

Pussini Clara e<br />

Mariuccia Orlando in ricordo della carissima zia<br />

Lydia Capponi ved. Colombis e 50,00<br />

Qualizza Don Maurizio in memoria di P.V. Bommarco Arcivescovo e 100,00<br />

Rocchi Giuseppe e 25,00<br />

Roghich Francesco e 20,00<br />

Romanin Clappis Aida e 20,00<br />

Rossi Nini e Anna in memoria dei nostri cari e 20,00<br />

Rupnik Meri e 25,00<br />

Sablich Antonio e Gianpaolo e 30,00<br />

Sablich Tonina in memoria del marito Giacomo (Rosolio) e 20,00<br />

Saganich Sablich Maria e 10,00<br />

Santulin Tonina e 15,00<br />

Schelchter Anna Maria e 15,00<br />

Selva Carolina in memoria di Mario e Giuseppe Fatutta e 20,00<br />

Sepci Nives per onorare la memoria di S.E.Arc.Bommarco e 50,00<br />

Solis Cattich Marina in ricordo dei miei cari e 30,00<br />

Solis Vittorio in memoria dei propri defunti e 20,00<br />

Sorella e fratelli Bunicci in memoria del fratello Giorgio e 100,00<br />

Sovich Matteo e Luisella e 20,00<br />

Stagni Mons. Giuseppe e 25,00<br />

Stefani Antonella e 50,00<br />

Stefani Antonio in memoria di P.A.V.Bommarco e 50,00<br />

Stefani Giorgio e Fulvia in memoria della zia Aurelia e 100,00<br />

Stuparich Livio e 20,00<br />

Sucich Guido in memoria dei miei genitori e 25,00<br />

Suor Cuglianich Giannantonia e 20,00<br />

Suor Giuseppina Bacchia e 15,00<br />

Surdich Bruno e 30,00<br />

Surdich Bruno e 30,00<br />

Surdich Francesco e 25,00<br />

Suriani Antonia e 15,00<br />

Taborra Oscar e 10,00<br />

Terdossi Antonio in memoria dei propri cari e 50,00<br />

Toffani Giovanna ved.Viduli e 25,00<br />

Toich Meri e 15,00<br />

Torcolini Francesco e 50,00<br />

Trapani Nina e Maria Pia e 100,00<br />

Valentin Marcucci Giovanna in memoria del marito Franco Marcucci e 30,00<br />

Verani Leone Graziella in memoria della mamma Giovanna Tonetti e 30,00<br />

Verbas Elena offerta sorelle Verbas e 50,00<br />

Vezzani Ausilia – Beggio Emilia e 10,00<br />

Vidinich don Antonio e 20,00<br />

Vlacancich Florio e 20,00<br />

Vlacancich Tarcisia e 25,00<br />

Vodarich Antonio e 25,00<br />

Winter Stefani Nives in memoria della cognata Aurelia e 100,00<br />

Zaccaria Godina Laura in memoria dei propri defunti e 20,00<br />

Zar Antonio e 50,00<br />

Zennaro AnnaMaria e<br />

Concettina in ricordo di Solis Concetta e Zennaro Giuseppe e 20,00<br />

Zmarich Nori in ricordo di Giovanna Petrani e<br />

Aurelia Stefani, amiche carissime e 30,00<br />

Zorich Dora e 10,00<br />

Zucchi Dorita e 20,00<br />

Zulini Roberto e 15,00<br />

Bandera Domenico pro stampa $ USA 20,00<br />

Bandera Nick “ « 20,00<br />

Bandera Vittorino “ « 20,00<br />

Bassi Etta “ « 10,00<br />

Bassi Santo e Anna “ « 15,00<br />

Bon John “ « 20,00<br />

Bunicci John per ricordare i propri cari « 167,00<br />

Cacchioli Fornarich Atonia in memoria di Giuseppe « 20,00<br />

Castellan Piero pro stampa « 20,00<br />

Castellan Tonin e Nadia in memoria dei genitori « 42,00<br />

Coglievina Antonio pro stampa « 30,00<br />

Cralli Giuseppe “ « 20,00<br />

Cremeni Italo in memoria dei genitori « 20,00<br />

Cugliani Antonio “ « 50,00<br />

D’Antoni Claudio “ « 20,00<br />

Diacci Maria in memoria del marito Antonio « 30,00<br />

Dumicich Piero in memoria di Graziella « 15,00<br />

Fermeglia Cellani Laura pro stampa « 30,00<br />

Gallosich Vitich Laura in memoria dei propri cari « 30,00<br />

Jelencovich Bruno e Laura in memoria dei famigliari Nicola e Atonia Milusich « 20,00<br />

Jurasich Vito pro stampa « 20,00<br />

Jurassi Domenico “ « 20,00<br />

Kastellan Franco “ « 10,00<br />

Kucica Tony “ « 20,00<br />

Michicich Antonio “ « 20,00<br />

Miss Giusto e Maria “ « 20,00<br />

Mocolo Carmela “ « 10,00<br />

Negovetti Antonia “ « 20,00<br />

Padjen Petar “ « 20,00<br />

Perovich Fabiano “ « 20,00<br />

Pendivoi Anna “ « 20,00<br />

Purich Giuseppe “ « 100,00<br />

Romita Giorgio “ « 20,00<br />

Sabini Matteo e Vittoria “ « 20,00<br />

Sablich Giorgio “ « 10,00<br />

Sepci Matteo “ « 100,00<br />

Sintich Domenico “ « 20,00<br />

Spadoni Nicolò & Elisabetta “ « 20,00<br />

Sucich Maria “ « 20,00<br />

Vala Rosario “ « 30,00<br />

Velcic Dino “ « 20,00<br />

Velcich John “ « 20,00<br />

Verbas Maria “ « 20,00<br />

Verbora Giuseppe “ « 10,00<br />

Viti Stefano “ « 30,00<br />

Zorovich Nori e Jaco “ « 30,00<br />

Associazione S.Maria $ Australiani 50,00<br />

Battaia Giacomo “ « 30,00<br />

Bradizza Nello “ « 20,00<br />

Perovich Anna e Piero “ « 30,00<br />

Perovich Gino “ « 20,00<br />

Velcich Giovanni “ « 50,00<br />

Velcich Daniele “ “ « 30,00<br />

Zec Antonio “ « 50,00


Sintesi del verbale<br />

del Consiglio Direttivo dell’Associazione<br />

Cervignano, 5 febbraio <strong>2005</strong><br />

Sono presenti: Carmen Palazzolo Debianchi, Delia Bommarco, Luigi<br />

Tomaz, Francesco Moise, Luigi Bommarco in qualità di Tesoriere<br />

Viene letto ed approvato, con qualche leggera modifica, il verbale della<br />

seduta precedente.<br />

Viene discusso il bilancio preventivo <strong>2005</strong>, specificando il programma<br />

delle attività per l’anno <strong>2005</strong>, che prevede la pubblicazione di tre numeri<br />

di Comunità Chersina, l’organizzazione del Raduno annuale e della festa<br />

del Santo Patrono, la pubblicazione dell’opera omnia di Aldo Policek - di<br />

cui si occuperà Gigi Tomaz - e la pubblicazione di un libro di poesie di<br />

Meyra Moise.<br />

Il Raduno <strong>2005</strong> avrà luogo ad Aquileia domenica 29 maggio. Se ne discutono<br />

gli aspetti organizzativi. Nella medesima sede e data si terrà<br />

l’Assemblea Generale dei soci prevista dallo statuto della società<br />

“Francesco Patrizio della Comunità Chersina”, della quale viene predisposta<br />

la convocazione col relativo ordine del giorno.<br />

Gigi Tomaz sta ultimando le pratiche necessarie per diventare a tutti gli<br />

effetti Direttore responsabile della nostra pubblicazione.<br />

Vengono discusse le modalità di adesione a cui dobbiamo attenerci per<br />

entrare nell’Associazione delle Comunità Istriane, soffermandoci soprattutto<br />

sui cambiamenti che questo comporta per la nostra struttura organizzativa<br />

e statutaria.<br />

La copia integrale del verbale è depositata presso la sede della società; gli interessati possono prenderne<br />

visione previo appuntamento telefonico col Presidente o il Segretario.<br />

GITA A CHERSO E NEI SUOI VILLAGGI<br />

Giovedì 8 / lunedì 12 settembre o<br />

Giovedì, 22 settembre <strong>2005</strong><br />

Ore 09.15 – ritrovo davanti alla Stazione Centrale delle FF SS di Trieste<br />

Ore 09:30 – partenza<br />

In mattinata arrivo a Montona, visita del paese e pranzo<br />

Nel pomeriggio arrivo a Cherso, sistemazione e cena all’Hotel Kimen<br />

COMUNICAZIONI<br />

Il 15 maggio <strong>2005</strong> è il termine per l’invio di<br />

materiale per la pubblicazione sul prossimo<br />

numero del giornale, da spedire a Tomaz<br />

Luigi, viale Stazione, 23/b – 30015 Chioggia<br />

(VE) o a Bommarco Delia, via Giulio<br />

Camper-Barni, 14 – 34135 Trieste.<br />

XXIX RADUNO ANNUALE e ASSEMBLEA<br />

GENERALE: Aquileia, domenica 29 maggio<br />

<strong>2005</strong><br />

Programma in 1a pag. di copertina. Si raccomanda<br />

vivamente di prenotare l’eventuale<br />

pernottamento telefonando all’albergo;<br />

il pranzo telefonando a C. Palazzolo, tel. n.<br />

040 395942 / 339 6483874 o a D.<br />

Bommarco, tel. n. 040 412606 / 360 250611.<br />

GITA A CHERSO: Giovedì, 8.9 / lunedì,<br />

12.9.<strong>2005</strong> – Programma di massima in<br />

questa pagina<br />

AVVENIMENTI LIETI E TRISTI: Noi diamo<br />

notizia di quelli che veniamo a conoscenza<br />

attraverso parenti, amici, stampa ma i nostri<br />

lettori possono segnalarci quelli che ritengono<br />

degni di pubblicazione e – compatibilmente<br />

con lo spazio a disposizione –<br />

cercheremo di inserirli sul giornale.<br />

Si propone, facendo base a Cherso, una visita guidata della stessa ed escursioni giornaliere a<br />

Lubenizze, Caisole, Ossero, Santuario di Loze, Lussinpiccolo e Lussingrande - a seconda<br />

delle richieste e degli interessi dei partecipanti - per cui il programma verrà messo a punto<br />

assieme ad essi durante il viaggio di andata. Se il tempo lo consentirà, si potranno prevedere<br />

anche una o due mezze giornate per fare il bagno.<br />

Il viaggio si svolgerà in autocorriera; i pernottamenti, le cene e le prime colazioni si faranno<br />

all’Hotel Kimen di Cherso; il pranzo sarà consumato nel luogo prescelto per la gita giornaliera.<br />

Costo previsto: e 350,00 a persona in stanza doppia - e 390,00 a persona in stanza singola.<br />

Il pagamento sarà effettuato al capogita durante il viaggio di andata.<br />

Le prenotazioni devono essere effettuate entro il 31 agosto al n. di tel. 040 395942 – 339<br />

6483874<br />

La gita si effettuerà soltanto se ci saranno almeno 30 prenotazioni .


La fotografia, spedita da Tonina Santulin, documenta la Peschera col pontile, il Macello e un altro magazzino che non esistono più.<br />

Le persone nella barca sono, da sinistra: Etta Ossolgnak, Etta Ferrari, Ettuccia Moccolo e Licia Policek, Nicolò Orlich, Nicolò Spadoni, Marina Solis,<br />

Maria Fatutta, Annamaria Donvio.

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