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Graziano Fabris<br />
A <strong>SCUOLA</strong> <strong>DI</strong> <strong>FAUNA</strong><br />
Curiosità, modi di dire, proverbi, aneddoti, miti e leggende sugli animali<br />
Disegni di Tiziana Forese, Luca e Marialuisa Dal Poz
PREFAZIONE<br />
Un occhio laico capace di cogliere preziose notizie del mondo animale.<br />
Fabris è riuscito a capire con invidiabile eclettismo e curiosità le informazioni<br />
sugli animali, ovunque esse si siano esplicitate o si siano nascoste.<br />
Non importa che esse fossero celate nei suoi ricordi di ragazzo, o nella sua<br />
esperienza di allevatore; non importa che esse fossero espresse in testi scientifici<br />
o nei racconti di vecchi contadini o cacciatori; o che fossero nascoste<br />
tra le righe di una favola, nella mitologia o nella letteratura.<br />
L’autore, con abilità e passione, ha saputo scovare tutto quello che serve per<br />
incuriosirci ovunque abbia ritenuto di poter cogliere un particolare, una tradizione<br />
o un aneddoto.<br />
Ha saputo porsi come investigatore vivo e curioso per conoscere l’animale<br />
nelle sue interazioni con chi lo sta osservando.<br />
Auguro agli studenti di apprezzare questa raccolta per far luce sulla conoscenza<br />
del mondo degli animali e degli uomini che con essi condividono una<br />
nicchia ecologica.<br />
Agli insegnanti va il prezioso compito di aiutare i ragazzi a sistematizzare e<br />
organizzare i numerosi e variegati spunti contenuti in questo lavoro.<br />
Allo scrittore auguro che questa pubblicazione sia solo l’inizio e attendo con<br />
curiosità le sue prossime storie.<br />
Leonardo Muraro<br />
Presidente Vicario della Provincia di Treviso
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE<br />
Questo libro, è dedicato a tutti i ragazzi in età scolare che ho incontrato nell’ambito<br />
del progetto di educazione ambientale voluto dalla Provincia di Treviso.<br />
In esso, non sono presenti le solite monografie che si trovano nei vari libri di animali,<br />
ma una raccolta di esperienze, di curiosità, di particolarità, di leggende, di<br />
aneddoti e di proverbi, che per secoli sono stati vissuti, raccontati e tramandati,<br />
quando uomini e animali vivevano gli uni accanto agli altri in un habitat ormai del<br />
tutto scomparso.<br />
Cari ragazzi, queste mie conoscenze partono da molto lontano, da quando ero un<br />
ragazzino come voi e appena tornato da scuola e fatti i compiti, “scappavo” da<br />
casa e andavo “per campi” dove potevo incontrarmi con un mondo animale, che<br />
viveva in un habitat ideale, in perfetta simbiosi con l’uomo. E davanti ai miei occhi,<br />
di bambino innamorato degli animali e della natura, potevo osservare questo<br />
mondo fantastico, che con il passare degli anni ha finito con lasciarmi un segno<br />
profondo fatto di ricordi, di attese, di incontri, di sensazioni, le stesse che erano state<br />
di tanti altri bambini che le avevano vissute prima di me, ma che le mie generazioni<br />
purtroppo non hanno saputo tramandare e che voi oggi, purtroppo, potete soltanto<br />
ascoltare e rivivere con un po’di immaginazione come in una favola bella. E<br />
sì, scappavo proprio di casa ogni qualvolta riuscivo ad eludere la vigilanza di<br />
nonna Maria, che non poteva certo competere con la mia vivacità e doveva accontentarsi<br />
di seguirmi da lontano, timorosa, che andassi, come si soleva dire allora, a<br />
“pericolarmi”. Allora, erano i primi anni ‘50, la gente lavorava la terra con la<br />
forza delle braccia, e, per questo, la campagna era molto frequentata da un nugolo<br />
di bambini di tutte le età, da genitori, da nonni e da vicini di casa che prestavano<br />
la loro opera e che trascorrevano nei campi l’intera giornata. Il lavoro era così<br />
tanto, che, per non perdere troppo tempo, spesse volte il frugale pranzo veniva portato<br />
direttamente sul posto e i lavoranti si sedevano all’ombra di un albero per mangiare<br />
quel poco che era stato cucinato per loro. La vita era disciplinata dal sole e<br />
dal canto del gallo, che davano la sveglia e l’inizio al lavoro. Era poi scandita dalla<br />
5
campana che rintoccava il mezzogiorno, allora il lavoro s’interrompeva, e suonava<br />
la sera, quando il lavoro cessava. Ed era ancora la campana a suonare a festa,<br />
la domenica, quando lavorare era peccato, quando finalmente si poteva mettere il<br />
vestito buono e mangiare con tranquillità, magari un po’di pane, anziché la solita<br />
polenta. Nella campagna che si estendeva per qualche kilometro intorno a casa<br />
mia, mi conoscevano tutti e nonostante fossero molto gelosi del loro terreno, guai<br />
per esempio calpestare l’erba, quando mi<br />
vedevano comparire mi accettavano di buon<br />
grado, sapendo di questa mia grande passione.<br />
Sovente mi intrattenevo con i più vecchi<br />
e chiedevo di raccontarmi le loro esperienze,<br />
i loro fortuiti incontri con gli animali<br />
e, da essi, sapevo che in quel determinato<br />
luogo potevo vedere un nido di Fringuello o<br />
la tana di un Riccio.<br />
Raccoglievo tutte queste notizie e questi<br />
RAMARRO<br />
insegnamenti nel mio (tipico per quegli<br />
anni), quadernone con la copertina nera e i fogli bordati di rosso del quale ero gelosissimo.<br />
In esso, registravo pure i miei incontri e le mie esperienze. Ricordo ancora<br />
adesso quelli con il Ramarro (Boretoeon), un lucertolone lungo una trentina di centimetri<br />
che incuteva un certo timore anche agli adulti; mi sembra adesso quando lo<br />
vedevo attraversare velocissimo un viottolo per scomparire subito dopo nella fitta<br />
vegetazione di una siepe o in un campo coltivato. Era un lampo, una visione, che<br />
durava pochi secondi, ma mi riempiva il cuore di una gioia immensa che mi ripagava<br />
abbondantemente per la passione che nutrivo per questo mondo fantastico.<br />
Ricordo del Ramarro i suoi colori bellissimi, quel verde-giallo-azzurro, che ai raggi<br />
del sole assumevano dei riflessi intensi e particolari. Qualche volta sul ciglio del<br />
fossato quando si sentiva al sicuro, il “sauro”, si fermava e volgeva la testa verso<br />
di me, avevo così qualche attimo di più per ammirarlo in tutta la sua bellezza.<br />
Ricordo quando, al mattino, sentivo nonna Maria raccontare con partecipe dispia-<br />
6
cere, che la Donnola (el Puisatt), aveva<br />
distrutto il pollaio a “quella” famiglia; e<br />
allora correvo in quel luogo, perché sapevo<br />
che di lì a poco, sarebbe scattata la “caccia”<br />
ai piccoli terribili mustelidi artefici del<br />
“misfatto”, e allora volevo assistervi, anche<br />
se provavo un certo dispiacere per la loro<br />
uccisione. Proprio così, mi dispiaceva, per-<br />
RAGANELLA<br />
ché pur sapendo che quella disinfestazione<br />
era giustificata, la (Bea Donoea) (altro nome dialettale che indicava la Donnola),<br />
era così bella ed elegante nelle sue movenze, che mi piangeva il cuore vederla uccidere<br />
e quasi tifavo perché qualche esemplare riuscisse a fuggire. Ma la lotta era<br />
impari, e quando i mustelidi venivano stanati e uscivano dal loro rifugio, inseguiti<br />
dai cani e dagli uomini, pur dimostrando di possedere un’agilità e una vivacità<br />
incredibile (vendevano cara la pelle), finivano prima o dopo per cadere nelle fauci<br />
dei cani e molto più spesso sotto i randelli degli uomini. Scene cruente, scene che<br />
si ripetevano frequentemente nella quiete delle contrade dei nostri paesi, ma che<br />
purtroppo erano atti dovuti perché il danno arrecato all’economia della povera<br />
famiglia, era già molto grande e nessuno poteva permettersi il rischio che il misfatto<br />
si ripetesse dopo qualche giorno. Nel mio continuo peregrinare per la campagna<br />
m’imbattevo sovente con la Raganella verde (a Racoeta), che prendevo in mano e<br />
con la quale giocavo, divertendomi a farle<br />
fare dei saltelli per poi lasciarla libera, in<br />
mezzo al verde di un prato, non ancora<br />
avvelenato dall’uomo. Nelle ore del mezzogiorno,<br />
mi dilettavo ad ascoltare il frinire<br />
delle Cicale che cantavano in continuazione,<br />
così come la sera, me ne stavo seduto in<br />
silenzio in mezzo all’erba ad ascoltare il<br />
canto dei Grilli e il gracidare dei Rospi. Per<br />
CICALA<br />
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il gorgheggio dell’Usignolo poi, avevo una particolare predilezione, sapevo dove<br />
potevo incontrare e ascoltare questi splendidi cantori, e allora mi nascondevo<br />
all’interno della siepe e rimanevo rapito per ore, con la bocca aperta, trattenendo<br />
persino il respiro per poter godere intensamente la melodia del principe degli uccelli<br />
cantori. Nell’interno della siepe, ero solito trascorrere molto del mio tempo. La<br />
siepe, era un luogo dove crescevano alberi<br />
di diversi tipi, unitamente a cespugli e arbusti,<br />
e questo era l’habitat ideale dove trovavano<br />
protezione e cibo decine di specie di<br />
animali. Nelle siepi, tra gli altri, erano presenti<br />
due alberi entrambi tagliati a capitozza,<br />
un sistema di taglio questo che permetteva<br />
di ottenere dalla pianta dei pali dritti e<br />
vigorosi (atoe), molto utili nelle case per<br />
costruire dei recinti e in agricoltura per<br />
CINCIARELLA<br />
diversi impieghi. Questi alberi erano il<br />
Salice bianco (el Selgher), e il Pioppo (el Talpon), che raggiunta una certa età aprivano<br />
nei loro tronchi una grande quantità di anfratti e buchi diventando così dei<br />
veri e propri ricettacoli per mammiferi, uccelli e invertebrati. Su questi tronchi, in<br />
parte marcescenti, prosperava una vita che mi appassionava e dove trovavano ospitalità:<br />
la Cinciarella (Parussoea), il Picchio, la Passera mattugia, il Pipistrello<br />
(Notol), e poi la Donnola, il Topo di campagna, il Riccio, la Lucertola (Boretoea) e<br />
via via tanti altri, e proprio questi alberi rappresentavano per questi animali delle<br />
vere e proprie dispense, dove, senza tanta fatica, potevano trovare un’infinità di<br />
insetti, larve, tenebrioni, mosche, formiche, chioccioline ecc. ecc.. Bastava sostare<br />
in silenzio e nell’immobilità più assoluta, per poter assistere al via vai della vita frenetica<br />
di tutti questi animali specialmente quando arrivava la buona stagione. E’<br />
rimanendo nelle siepi, che ho imparato ad affinare la mia vista e il mio udito, è stato<br />
lì nelle siepi, che ho potuto assistere al dipanarsi della vita di tanti animali, ed è<br />
stato ancora lì nelle siepi, che ho imparato a conoscerli e a capire quanto essi fos-<br />
8
sero importanti per l’uomo. Sono ricordi molto nitidi, come quando ho avuto la fortuna<br />
di osservare nove “pullus” di Cinciarella, uscire dal nido per volare sui rami<br />
più alti, e, poi, piano piano allontanarsi seguiti dai genitori instancabili nel nutrirli;<br />
o come quando a non più di tre metri, ho potuto vedere una cucciolata di cinque<br />
Ricci, che in fila indiana, seguivano la propria madre, che vedendomi si fermò per<br />
un attimo per poi, come se non esistessi, attraversare il fosso con la stessa tranquillità<br />
con la quale era arrivata. Erano anni in cui le strade erano ancora in terra battuta,<br />
ed erano percorse da qualche carretto trainato dai buoi e solo raramente dalle<br />
poche automobili che le percorrevano sollevando polveroni incredibili, e, il silenzio,<br />
era ancora un pregio di cui godere; ecco che allora, si potevano udire suoni,<br />
voci, canti di una vita umana e animale che si spargeva nella campagna e nella<br />
campagna si propagava. L’inquinamento acustico provocato dai rombi dei motori<br />
delle vetture e dalle macchine industriali, era poca cosa, per questo, in primavera,<br />
potevo sentire provenire, anche dalle case più lontane, il canto delle galline dopo la<br />
deposizione dell’uovo, ed era questo un coro che si ripeteva in continuazione per<br />
ore e rappresentava una gradita “comunicazione”, perchè questi canti venivano<br />
addirittura contati dalle donne nei campi, le quali al ritorno, sapevano già quante<br />
uova potevano raccogliere nei vari covi sparsi nel pollaio e nell’aia. In estate poi,<br />
erano mille e mille, le voci che si potevano udire, perchè cantavano gli uomini nei<br />
campi, e cantavano gli uccelli nell’aria ed erano tutti inni alla vita e alla gioia. Con<br />
l’arrivo dell’inverno, i lavori diminuivano, la vita rallentava i suoi ritmi, ma il mese<br />
di dicembre era dedicato all’uccisione del Maiale, così mi capitava di sentire il suo<br />
grido di dolore e allora mi dirigevo verso quella casa, dove si stava compiendo<br />
quello che era quasi un “rito” e in ogni caso un momento importante che la famiglia<br />
attendeva, e, per il quale, fremevano già da giorni, attese e preparativi.<br />
Ricordo, quel pentolone fumante ricolmo di acqua bollente, attorno al quale si<br />
affaccendavano uomini e donne, e un gruppo di bambini di tutte le età un po’discosti<br />
che assistevano in silenzio, così, come ricordo quei visi paonazzi per il freddo,<br />
sui quali si vedeva disegnata una gioia immensa, che di certo non proveniva dal<br />
fatto che avevano ucciso un animale, ma perché sapevano che esso rappresentava<br />
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un “bene” immenso, un elemento essenziale per la loro sopravvivenza. Ed era<br />
grande la cura e la conoscenza con la quale trattavano quell’animale e le sue<br />
carni, dividendole, sezionandole, secondo la loro particolarità, perché ognuna era<br />
adatta ad un tipo di salume che successivamente veniva sapientemente lavorato,<br />
asciugato e conservato per tutto l’anno. Nell’occasione, non mancava il classico<br />
tradizionale, immancabile scherzo, che alla fine provocava risate e scherno da<br />
parte degli adulti, e un po’di rabbia da parte di chi lo aveva subito. E’toccato del<br />
resto a tutti i ragazzini, ed era un po’il pedaggio che ognuno doveva pagare prima<br />
di essere accettato nel mondo dei più grandi. Si soleva infatti dire che dopo questo<br />
scherzo: “ti saresti fatto uomo, ti saresti svegliato”. Accadeva, che ad un certo<br />
punto, si faceva avanti il salumiere e con fare deciso ti diceva: vai in quella casa<br />
e chiedi a “Piero”, che ti dia lo “stampo per i salami”. Sembrava quasi che “Il<br />
Piero” ti stesse aspettando, che fosse stato nel frattempo informato del tuo arrivo,<br />
eppure non c’era ancora il telefono e nessuno lo avrebbe potuto informare anche<br />
perché, quel tratto di strada tu lo avevi fatto correndo velocemente. Dopo qualche<br />
attimo di attesa, “Piero” ti consegnava un sacco pesantissimo, che con tutte le tue<br />
forze riuscivi a stento a trascinare fin da dove eri partito, e consegnarlo al salumiere.<br />
Arrivavi sfinito, ma anche felice perché pensavi di esserti reso utile. Una<br />
volta però aperto il sacco, vedevi che esso era pieno di mattoni, pezzi di ferro e<br />
altri materiali pesanti, che niente avevano a che fare con uno “stampo per i salami”,<br />
stampo, che in realtà non poteva esistere. Del resto a farti capire che c’eri<br />
“caduto dentro” erano le risate degli adulti, ma per fortuna come per “riparare”,<br />
provvedeva la nonna di casa (alla quale facevi pena). La nonna era una figura<br />
molto importante nella famiglia (a parona), essa ti faceva sedere attorno al tavolo<br />
e ti serviva un po’ di pasta fresca di salame, cotta sulla piastra della “cucina<br />
economica”, ed allora, anche per te, era un po’festa, tanto che dimenticavi anche<br />
lo scherzo e ci facevi insieme ai presenti una bella risata. Ecco, mi rendo conto di<br />
aver evocato momenti che non ritorneranno più, momenti, che sembrano d’altri<br />
tempi, tempi lontanissimi, ma che invece appartengono a ieri momenti di vita che<br />
io ho vissuto e che mi auguro di farvi rivivere attraverso questo libro.<br />
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“Le parole diventano piume e raccontano storie<br />
da me vissute, silenziose e timide, come speranze<br />
che ricamano giorni, che il tempo colora di<br />
malinconia e ripercorrono la mia favola bella<br />
Sono frammenti di ricordi che continuo a raccontare<br />
un po’ orgoglioso che altri non sappiano”.<br />
11<br />
Graziano Fabris
Graziano Fabris<br />
A <strong>SCUOLA</strong> <strong>DI</strong> <strong>FAUNA</strong><br />
Curiosità, modi di dire, proverbi,<br />
aneddoti, miti e leggende<br />
sugli animali<br />
Disegni di Tiziana Forese, Luca e Marialuisa Dal Poz
LA COLORAZIONE DEGLI UCCELLI<br />
………in precedenza, secondo il racconto biblico, Dio aveva creato la luce,<br />
le acque, gli alberi, il sole, la luna e le stelle, i pesci e gli uccelli. Il settimo<br />
giorno si riposò.<br />
Il giorno dopo Dio passeggiando fra le nuvole scorse che su una di esse erano<br />
riuniti in “assemblea”, tutti gli uccelli che aveva creato. Si avvicinò senza<br />
farsi scorgere e ascoltò i loro discorsi. Essi, si lamentavano perché erano sì<br />
diversi in quanto a forma, ma erano tutti del medesimo colore: bianco/ grigio<br />
e non avevano nemmeno un nome.<br />
Dio capì che con gli uccelli non aveva fatto cosa buona e giusta e allora, presa<br />
tavolozza e colori, si avvicinò ad essi, li chiamò presso di sé uno dopo l’altro<br />
e incominciò a colorarli e a battezzarli.<br />
Lavorò tutto il giorno finchè arrivò sera. Stava per andarsene quando guardando<br />
meglio in fondo alla nuvola si accorse che alcuni uccelli stavano ancora<br />
chiacchierando fra di essi e li sollecitò a presentarsi al suo cospetto per ricevere<br />
la loro colorazione. Arrivò quindi la prima coppia di questi ritardatari;<br />
Dio osservò la sua tavolozza dove i colori erano pressoché finiti, erano rimasti<br />
solo dei rimasugli. Raccolse allora con il pennello un po’ di nero, un po’ di<br />
rosso, un po’ di bianco, un po’ di giallo, un po’ di grigio e un po’ di bruno con<br />
i quali dipinse i nuovi arrivati; guardò il suo lavoro e rivolgendosi al maschio<br />
disse: “Scendi sulla terra; sei veramente<br />
bello, ti chiamerai Cardellino.”<br />
Subito dopo arrivò una nuova coppia.<br />
Dio si rese conto che nella sua tavolozza<br />
era rimasto solo un po’ di bruno e un po’<br />
di grigio, pennellò il dorso di bruno, il<br />
petto e il ventre di grigio agli uccelli che<br />
aveva davanti e disse loro: “figli miei ho<br />
esaurito i colori dovete accontentarvi di<br />
CARDELLINO<br />
14
quello che ho potuto fare per voi.<br />
Scendete sulla terra”. Ma il maschio protestò,<br />
si sentiva troppo brutto; allora Dio<br />
nella sua infinita bontà lo richiamò nuovamente<br />
presso di sé, con un dito toccò la<br />
sua gola e gli disse: “Vai adesso, tu sarai<br />
l’ Usignolo e sarai il più grande cantore”.<br />
E venne ancora una coppia e Dio raschiò<br />
USIGNOLO<br />
veramente il fondo della sua tavolozza<br />
tanto che a malapena riuscì a mettere insieme una pennellata di bruno, ancora<br />
più sbiadito del precedente, e un’altra di grigio e anche in questo caso ci<br />
furono proteste, ma Dio questa volta fu però irremovibile e disse: non posso<br />
proprio fare di meglio, ma abbiate fede, non preoccupatevi, sarà sulla terra<br />
che il figlio mio, terminerà la mia opera nei vostri confronti. Andate con<br />
fiducia.<br />
Arrivò infine l’ultima coppia, i due si presentarono tenendosi “sotto l’ala” al<br />
cospetto di Dio che non aveva più colori nella sua tavolozza. Aveva solamente<br />
un po’ di giallo rimasto su di un pennello, con il quale dipinse il becco del<br />
maschio. Li guardò e disse loro: “Siete dei Merli scendete sulla terra così<br />
come siete, non posso fare più niente per voi”. I due, intristiti e sempre tenendosi<br />
“sotto l’ala” percorsero il tragitto dal cielo alla terra e arrivarono a destinazione<br />
che era molto freddo; era infatti<br />
inverno inoltrato ed esattamente il 29 di<br />
gennaio. La femmina si guardò intorno e,<br />
scorto che da un camino usciva del fumo<br />
nero, pensò che se c’era del fumo, significava<br />
che c’era pure del fuoco e quindi<br />
del calore. Con un breve cenno del capo,<br />
indicò al proprio compagno quella fonte<br />
di calore e i due volarono insieme sul<br />
15<br />
COPPIA <strong>DI</strong> MERLI
tetto della casa avvicinandosi a quel camino dove rimasero per 3 giorni a<br />
riscaldarsi. Quando scesero, si accorsero con gioia di essere diventati neri, a<br />
causa del fumo che li aveva avvolti e il maschio era più nero della femmina<br />
perché, più freddoloso, era stato più vicino al fumo. Quei tre giorni il 29, 30<br />
e 31 di gennaio, solitamente i giorni più freddi dell’anno, sono da tempo<br />
immemore ricordati: come “i giorni della Merla”.<br />
C’era ancora un uccellino che girava per<br />
il mondo alla ricerca della sua colorazione.<br />
Dio, lassù su quella nuvola, qualche<br />
tempo prima, gli aveva promesso che il<br />
suo lavoro lo avrebbe terminato suo<br />
figlio. Così, nel suo girovagare per il<br />
mondo, questo uccellino volò un giorno<br />
sul monte Calvario dove vide un uomo in<br />
croce con una corona di spine attorno<br />
PETTIROSSO<br />
alla testa. Mosso da compassione egli<br />
volò sul capo del Crocefisso e con il becco<br />
tanto lavorò, che riuscì a togliere una spina che era profondamente conficcata<br />
sulla sua testa. A questo punto una goccia di sangue gli cadde sul petto.<br />
Sentì allora che con un filo di voce il Crocefisso, che era Gesù Cristo il Figlio<br />
di Dio, gli disse: “Sei stato buono e caritatevole, il rosso del mio sangue<br />
rimarrà per sempre sul tuo petto. Da oggi ti chiamerai “Pettirosso”.<br />
16
“Cos’è l’uomo senza gli animali? Se tutti gli animali<br />
scomparissero l’uomo morirebbe di una grande<br />
solitudine di spirito. Poiché qualunque cosa capiti<br />
agli animali, presto capiterà anche all’uomo”.<br />
Capo Pellerossa Sealt
I CHIO<strong>DI</strong> <strong>DI</strong> MIO NONNO<br />
Era il 28 agosto 1953. Allora poco più che decenne, convinsi mio padre ad<br />
accompagnarmi a Sacile dove avrei potuto vedere per la prima volta la grande<br />
fiera degli uccelli di cui tanto avevo sentito parlare. “Beppi”, mio padre, a differenza<br />
di suo padre, mio nonno, non c’era mai stato e conosceva a malapena<br />
la strada per arrivarci. Ricordava solamente che “nonno Nino” partiva da<br />
Varago, ovviamente a piedi, dopo la frugale cena del sabato sera, quando il sole<br />
non era ancora del tutto calato, attraversava la Piave fra Maserada e<br />
Cimadolmo, là dove il guado era più facile e con in tasca qualche “palanca”<br />
andava puntualmente ogni anno alla “Sagra<br />
dei Osei”. Nonno Nino amava gli animali,<br />
anche se aveva una particolare predilezione<br />
per gli uccelli, e, a ricordarlo anche dopo la<br />
sua morte, sono rimasti per anni conficcati<br />
sul muro davanti a casa i chiodi fatti a mano<br />
sui quali appendeva le gabbie con dentro<br />
Fringuelli e Tordine. Dalla fiera, egli tornava<br />
sempre con qualche esemplare che, con<br />
ORGANETTO<br />
infinito amore, deteneva allietandosi del<br />
loro canto. Quando nonno Nino morì, io non ero ancora nato; i suoi uccelli furono<br />
donati ad altri appassionati e, a testimoniare quella sua grande passione,<br />
rimasero per lunghi anni quei chiodi sul muro, che nonna Maria, non volle mai<br />
togliere. Ricordo, quella mia prima volta, dopo oltre cinquant’anni, come se<br />
fosse ieri. Andai a letto molto presto, perché la sveglia era prevista per l’una di<br />
notte, ma ovviamente non chiusi occhio; finalmente sarei andato alla fiera,<br />
finalmente avrei visto tanti uccelli tutti insieme e questo stato d’animo, non mi<br />
permetteva certo di addormentarmi. Mio padre, falegname provetto, mi aveva<br />
costruito tre bellissime gabbie, così avevo evitato di spendere dei soldi per il<br />
loro acquisto e potei conservare interamente quelle mille lire, frutto di tante pic-<br />
19
cole “mancette” per i vari lavoretti fatti in casa. Con quei soldi, avrei potuto<br />
acquistare (ma temevo tanto che non bastassero) un fringuello, un lucherino, un<br />
cardellino e magari anche qualche altro piccolo uccellino. Quando mio padre<br />
venne in camera per svegliarmi, mi trovò già in piedi, vestito e con una dose<br />
abbondante di brillantina sui capelli, ero già pronto per la partenza. Sistemate<br />
due gabbie sul portapacchi della bici di mio padre e una sulla mia (in realtà la<br />
bici, era di mia madre), partimmo per la “grande avventura”. Sulla Piave non<br />
c’era acqua e così, sia pure con qualche difficoltà di orientamento (era una<br />
notte senza luna), riuscimmo ad attraversare le Grave di Papadopoli, per proseguire<br />
“di là” della Piave alla volta di Sacile. Dopo Codognè fummo sorpassati<br />
e sorpassammo altri ciclisti e soprattutto pedoni, vecchi e giovani che si dirigevano<br />
sicuramente verso la stessa meta, trainando dei carrettini carichi di gabbie:<br />
seppi più tardi che erano i concorrenti ai concorsi canori, ma pure venditori<br />
e compratori che provenivano dalla sinistra Piave.<br />
Cento e più volte chiesi a mio padre quanta strada mancasse e che ora fosse,<br />
quando finalmente, comparve un cartello con la scritta “SACILE”, che la fioca<br />
luce dei fanali rischiarò per un attimo. Eravamo arrivati e, sulle strade, erano<br />
ormai le quattro del mattino, c’era già molta gente. Sistemate le bici in “custodia”,<br />
ci avviammo con le gabbie in mano verso quello che, lo comprendemmo<br />
fatti pochi passi, era il centro del paese, il cuore della fiera. Un forte e sgradevole<br />
odore di vischio e un vociare sempre più intenso, mi fece capire che eravamo<br />
davvero arrivati. Man mano che<br />
albeggiava, potei vedere quella gente: me<br />
la ricordo ancora con il cappello all’alpina<br />
e la piuma di fagiano sulla tesa, i pantaloni<br />
alla “zuava” (abbottonati appena sotto<br />
il ginocchio) e la giacca di velluto (ad<br />
agosto) “ciuciata” (strettissima) da non<br />
starci quasi dentro. Mi ricordo di tantissimi<br />
giovani, ragazzi e bambini di tutte le<br />
CIUFFOLOTTO<br />
20
età, con i pantaloni corti, con gli zoccoli, e con i capelli tagliati all’“umberta”<br />
(una moda di quei tempi che voleva i capelli tagliati cortissimi, come li portava<br />
il Re, ma in realtà per andare meno volte dal barbiere e quindi risparmiare<br />
dei soldi), o con la testa ricoperta da un<br />
berretto dalle fogge più svariate. E poi, le<br />
tante gabbie posate per terra, lunghe e<br />
basse e tutte piene di uccelli in vendita.<br />
Sopra queste gabbie su di un pezzo di<br />
carta gialla (fatta con la paglia) i vari prezzi:<br />
Lucherini 250£, Fringuelli 300£,<br />
Cardellini 280£. Con un rapido calcolo,<br />
capii che i soldi, che tenevo stretti nel<br />
pugno dentro la tasca, mi sarebbero basta-<br />
LUCHERINO<br />
ti e che, finalmente, avrei potuto avere i<br />
miei primi animaletti, nello specifico degli uccellini. Ripercorrendo a ritroso<br />
sotto il sole allo zenith, la stessa strada percorsa nel buio pesto della notte precedente,<br />
mi sembrò enormemente più lunga, interminabile. Tuttavia non senza<br />
qualche peripezia, giunsi nel tardo pomeriggio finalmente a casa con i miei piccoli<br />
Amici.<br />
Quei chiodi, piantati sul muro davanti a casa molti anni prima da mio nonno,<br />
ritornarono utili, perché vi appesi quelle mie prime gabbie. E qui, ricordo il<br />
volto di mia nonna, che, sorprendendomi davanti alle stesse con l’identica<br />
espressione negli occhi che per tanti anni aveva visto a mio nonno, pianse commossa.<br />
Ho desiderato raccontare quella mia prima volta, perchè penso a quanti<br />
altri bambini e ragazzi avranno iniziato prima di me proprio così, e a quanti<br />
altri, negli anni, animati dalla mia stessa passione rivivranno attimi e sensazioni<br />
come le mie. Sì, perché il rapporto uomo-animale, rimarrà tale, credo anzi<br />
che diventerà ancora più forte, perché mai come adesso, l’uomo ha tanto bisogno<br />
della compagnia di un animale da accarezzare, da sentire vicino, e al quale<br />
dedicare tutte le sue cure.<br />
21
PILLOLE <strong>DI</strong> SAPERE: GLI UCCELLI<br />
Sono animali vertebrati omeotermi, hanno il corpo ricoperto da piume e penne<br />
e con arti superiori trasformati in ali, nella maggior parte dei casi atte al volo. In<br />
fatto di lunghezza il più piccolo degli uccelli è una specie di Colibrì, l’Acestrura<br />
bombus, che non raggiunge i 6 cm, il Pavone raggiunge i 230 cm e una razza<br />
di Gallo giapponese, il Phoenix, prezioso<br />
per le sue penne, supera in qualche esemplare<br />
i 600 cm. Il più alto è lo Struzzo che<br />
raggiunge i 300 cm. Il primato dell’apertura<br />
alare spetta all’Albatros urlatore con i<br />
suoi 340 cm, superato sino ad una cinquantina<br />
di anni fa solo dall’Avvoltoio del<br />
Nevada con i suoi 5 m. Questo gigantesco<br />
uccello oggi è estinto. Il peso dei pullus al<br />
momento della schiusa varia dai 0,19 gr<br />
STRUZZO<br />
del Colibrì, ai 1000 gr dello Struzzo;<br />
anche se un suo consimile, lo Struzzo del Madagascar (oggi estinto anch’esso)<br />
raggiungeva i 6.500 gr. Il peso degli uccelli adulti varia dai 1,6 gr del Colibrì ai<br />
140kg dello Struzzo, ancora una volta superato finchè era presente sulla terra<br />
dalla varietà del Madagascar che raggiungeva lo straordinario peso di 450 kg.<br />
Le piccolissime ali del Colibrì battono in<br />
maniera vorticosa arrivando a 75-80 battiti<br />
al secondo, ciò consente a questo piccolo<br />
uccello di rimanere sospeso nell’aria<br />
mentre si nutre aspirando il nettare<br />
dai fiori. Un Rondone può compiere ogni<br />
giorno la straordinaria distanza di 7/800km<br />
alla ricerca del cibo, ma neppure la<br />
Cinciallegra scherza superando i 100 km.<br />
COLIBRI<br />
23
Sempre i Rondoni passano oltre 14 ore al giorno in volo mantenendo una velocità<br />
di 60-65 km orari. In quanto a velocità in volo, il Codirosso è il più lento<br />
con i suoi 30-35km orari, mentre il più veloce è il Rondone del Tibet che in<br />
picchiata può raggiungere e superare i 375. Per salire verso l’alto, il Passero lo<br />
fa in maniera quasi verticale, ma come tanti altri uccelli non va oltre 110 m, il<br />
record di altitudine appartiene ad un’Oca selvatica che può raggiungere gli<br />
8.800m. Durante le migrazioni, gli uccelli compiono migliaia di km. La<br />
Rondine di mare artica è l’uccello che percorre più strada arrivando a 40.000<br />
km, la Cicogna arriva a 23.000, il Rondone a 13.000. Nelle traversate dei mari<br />
gli uccelli in alcuni casi volano senza mai posarsi anche per 3.500 km, tuttavia<br />
la distanza media che percorrono giornalmente varia dai 300 ai 700 km. I più<br />
lenti nella migrazione, sono i Corvidi in genere, il Fringuello e le Rondini che<br />
hanno una velocità massima di 50/55 km orari, mentre i più veloci sono gli<br />
Anatidi che raggiungono e talvolta superano gli 80km orari.<br />
L’espirazione e l’inspirazione negli uccelli hanno una frequenza assai notevole.<br />
Nel Colibrì, per esempio, l’uccello a riposo ha una frequenza di circa 230 atti di<br />
respirazione al minuto e questi atti salgono fino a 3100 quando è in volo; nel<br />
Colombo questi atti scendono a 450 quando è in volo, a 200 quando si muove<br />
sul terreno e scendono a 30 quando è a riposo. Molto varia è la lunghezza della<br />
vita degli uccelli. I Pappagalli sono ritenuti i più longevi e alcuni esemplari di<br />
grande taglia come Cenerini, Are e Cacatua, possono arrivare anche a 80-85<br />
anni; qualche naturalista sostiene che certi esemplari di Cenerino siano arrivati<br />
al secolo di vita, anche i Gabbiani reali vivono a lungo con una aspettativa intorno<br />
ai 28 anni. Generalmente gli uccelli di piccola taglia come i fringillidi, allo<br />
stato libero, vivono mediamente dai 3 agli 8-9 anni. L’uovo più grande è quello<br />
dello Struzzo: esso è pari a circa 25-30 uova di Gallina e a 1 kg di peso; può essere<br />
conservato in frigorifero per un anno intero e per renderlo sodo sono necessarie<br />
2 ore di cottura. Sempre lo Struzzo è l’uccello più veloce; lanciato in corsa<br />
compie 3m ad ogni falcata e raggiunge una velocità di “crociera” di circa 50km<br />
orari con punte anche di 70-75. Un naturalista tedesco grande appassionato del<br />
24
Picchio in genere, ha analizzato 665 pasti del Picchio rosso. Ebbene contò che la<br />
sua dieta è composta in totale da 2347 animaletti diversi; fra essi vi erano molti<br />
parassiti di alberi e circa 2000 bruchi dello stesso genere (Limantria monaca). Un<br />
biologo finlandese ha invece osservato il Picchio rosso maggiore e ha cercato di<br />
valutare numericamente i pinoli consumati da questo uccello; ebbene, ha stabilito<br />
che in un’ora esso è capace di divorarne circa 165-170. Calcolando che la sua<br />
attività giornaliera si protrae per un massimo di 17 ore vorrà dire che questo uccello<br />
divorerà circa 2850 di questi semi. Il Torcicollo nutre i suoi piccoli prevalentemente<br />
con le ninfe di formica, ed una covata di piccoli abbisogna giornalmente<br />
di circa 11-12.000 di queste prede. Anch’esso possiede una lunga lingua<br />
vischiosa particolarmente adatta a catturare le formiche. Quando la introduce in<br />
un formicaio e la ritrae, ad essa rimangono attaccate larve, ninfe e insetti adulti<br />
che vengono successivamente inoltrati nel sacco della gola, il quale riesce a contenerne<br />
fino a 160. Aiutata da dispositivi particolari posti nel cranio, la lingua dei<br />
Picchi può uscire dal becco in maniera incredibile. Nel caso del Picchio verde<br />
fuoriesce per oltre 11cm. Diversi studiosi hanno inciso su nastri il rullio di diverse<br />
specie di Picchi; ebbene è risultato che il Picchio nero è il campione in assoluto<br />
con i suoi 39-45 colpi al minuto, il Picchio cenerino 28-31, seguono tutti gli<br />
altri con 12-18 colpi al minuto. L’Allodola è fra i piccoli uccelli quello che sulla<br />
terraferma riesce a muoversi più velocemente, infatti grazie alle sue grandi<br />
zampe raggiunge, e talvolta supera, una velocità di 8 km/h. Questo uccello non<br />
fa mai il bagno nell’acqua, ma si limita a<br />
strofinarsi su steli d’erba bagnati dalla<br />
rugiada e preferisce un bagno nella polvere<br />
in piccole fossette appositamente scavate<br />
per lo scopo. Il Tordo bottaccio è uno<br />
dei magnifici cantori che compongono il<br />
“coro delle fiere degli uccelli”. Il suo canto<br />
melodioso e variabile è composto da 3-4<br />
strofe, ognuna delle quali è costituita da<br />
TORDO BOTTACCIO<br />
25
varie sillabe che intercala a brevi pause riprendendo subito dopo con grande rapidità.<br />
Un alimento importante per la sua dieta estiva è costituito dagli acini dell’uva,<br />
da cui deriva la denominazione dialettale: “tordo da ua”. Un’altra preda di<br />
cui egli è ghiotto sono le lumache, il cui guscio viene infranto sbattendolo con<br />
forza contro un sasso (sempre lo stesso) che viene chiamato “fucina del Tordo”.<br />
Contrariamente agli altri uccelli che portano all’interno del loro nido materiale<br />
soffice, sul quale deporre le uova e far nascere i propri piccoli, il Tordo spalma<br />
il suo interno con una mistura di fango e legno marcito intriso di saliva che funziona<br />
da collante. Si ritiene che ciò sia dovuto al fatto che la schiusa delle uova<br />
abbisogna di un alto tasso di umidità, prerogativa, questa, che si ottiene proprio<br />
sostituendo piume e sottilissimi steli con questo rigido e impermeabile rivestimento.<br />
Fino ad una sessantina d’anni fa era d’uso raccogliere i nidi di Pendolino<br />
e conservarli per l’inverno quando venivano usati dai bambini piccoli come<br />
calde pantofole. Il primato per il maggior numero di uova deposte in una covata<br />
spetta alla Starna che ne può covare da 16 a 28.<br />
La fiaba<br />
“Il Gracchio e gli uccelli”<br />
Zeus volendo dare un Re agli Uccelli, fissò loro un appuntamento; essi dovevano<br />
presentarsi al suo cospetto affinché egli potesse scegliere il più bello di tutti<br />
per poterlo far regnare sopra di essi. Allora tutti gli uccelli incominciarono a<br />
lisciarsi le piume e le penne e a farsi più belli. Il Gracchio, nero e brutto resosi<br />
conto che non avrebbe mai potuto competere, pensò di raccogliere tutte le piume<br />
e le penne che erano cadute agli altri uccelli e di attaccarsele al proprio corpo.<br />
Con questo espediente, gli riuscì di essere il più bello di tutti. Il giorno stabilito<br />
tutti gli uccelli sfilarono davanti a Zeus, e fra di essi anche il Gracchio coperto<br />
di piume di ogni colore, e Zeus colpito da tanta bellezza stava già per designarlo<br />
Re. Ma gli altri uccelli si indignarono e gli strapparono ognuno le proprie<br />
piume e le proprie penne; spogliato di ciò che non era suo, il povero Gracchio<br />
ritornò ad essere quello che in realtà era. (Esopo)<br />
26
“Gli alberi sono il sostegno del mondo, se li tagliamo<br />
il firmamento cadrà sopra di noi.”<br />
…da un’antica leggenda Indios
IL CIGNO REALE<br />
Il Cigno reale con la sua maestosa bellezza dovuta all’armoniosa figura, nello<br />
stesso tempo fiera e dolce, rende nobile qualsiasi laghetto o corso d’acqua, che<br />
diversamente, sarebbe misero e squallido. Famosi sono i Cigni del Tamigi voluti<br />
dalla Regina Vittoria intorno al 1.850. Rispetto agli altri Cigni (quello minore,<br />
quello selvatico e quello nero) è decisamente più grande. Si caratterizza<br />
anche per il colore del becco giallo arancio con una protuberanza nera più marcata<br />
nel maschio. In acqua si distingue anche in lontananza per la caratteristica<br />
posizione a “S” del collo mentre negli altri cigni è eretta. I “pullus” nascono<br />
ricoperti da un piumino color beige-grigio che poi, alla prima “muta” diventa<br />
bianco, ma per una ragione sconosciuta, i “pullus” di Cigno che nascono in<br />
Polonia sono di color bianco come gli adulti. L’elegante bellezza e austerità di<br />
questo animale ha sempre stimolato la fantasia degli uomini, del resto quando<br />
si pavoneggia gonfio e impettito specchiandosi sulla superficie dell’acqua,<br />
continua a stimolare sempre sensazioni estetiche che mai un corvo potrebbe<br />
suscitare. Un’antica leggenda lo fa nascere per mano di Apollo che avrebbe<br />
trasformato nel candido uccello il re dei Liguri Cinco, musico e cantore che<br />
disperato piangeva la morte dell’amato amico Fetonte con melodiosi lamenti.<br />
In seguito Apollo, non soddisfatto del pur grande privilegio accordato a Cinco,<br />
lo condusse in cielo e lo trasformò in una costellazione che ancora oggi dal<br />
Cigno prende il nome. Tanta è la leggiadria del Cigno, che il divino Giove, che<br />
non disdegnava gli inganni più astuti per far cadere nelle sue brame anche femmine<br />
note per la loro castità e molto fedeli ai propri compagni, avrebbe assunto<br />
le sue sembianze per affascinare e sedurre Leda che finì con l’accoppiarsi<br />
con il bellissimo pennuto. Quella stessa notte Leda, evidentemente non appagata<br />
dal rapporto divino, giacque anche con il marito Tindaro re di Sparta. Da<br />
questa tumultuosa attività amorosa, Leda generò un uovo da cui nacquero i due<br />
gemelli Castore e Polluce, uno figlio di “Zeus Cigno” e l’altro figlio del sovrano<br />
marito. Anche il colore bianco è stato motivo di lode e di infamia per que-<br />
29
sti poveri e inconsapevoli pennuti. Basti pensare alla celebre fiaba di<br />
Andersen in cui l’anatroccolo, brutto e grigio, si trasforma, dopo tutta una<br />
serie di incredibili peripezie, per la sua gioia e per quella degli altri animali<br />
dello stagno, in un regale bianco Cigno. E non va dimenticato come anche<br />
l’arte, attraverso la musica di Cajkovskij e il libretto di Begicev, sia stata affascinata<br />
da questo straordinario pennuto.<br />
La storia vuole che il principe Sigfrido si innamori di Odette, la regina dei<br />
Cigni, una donna che di giorno si trasforma in Cigno a causa di un incantesimo<br />
operato da uno stregone. Odette racconta che è destinata a rimanere nelle<br />
sembianze di questa creatura finchè non verrà salvata dal grande ed eterno<br />
amore di un uomo. Incantato dalla sua bellezza il principe le promette il suo<br />
eterno amore ottenendo così la fine dell’incantesimo. Ma in seguito, durante<br />
una festa, egli viene ingannato dallo stesso stregone che lo convince a dichiarare<br />
il suo amore a Odile, la malvagia sorella di Odette.<br />
Sigfrido invita Odile a ballare con lui, ma in quel momento una grande nuvola<br />
oscura per un attimo il cielo e il principe si accorge che Odette si è nuovamente<br />
trasformata in Cigno.<br />
Compreso il suo involontario tradimento egli si precipita al lago. Odette con<br />
il cuore spezzato per quello che considera un tradimento cerca conforto fra le<br />
sue compagne in riva al lago. Raggiuntala, Sigfrido ne scongiura il perdono,<br />
ma la fanciulla muore di crepacuore tra le sue braccia. Gli antichi credevano<br />
che il Cigno cantasse e che il suo canto<br />
più bello, fosse quello che precedeva la<br />
sua morte. Ha un’apertura alare di circa<br />
220 cm, una lunghezza di 150/155 cm,<br />
un peso corporeo intorno ai 12/16 kg e<br />
una aspettativa di vita di 12/15 anni.<br />
Depone da 5 a 8 uova, di color grigio<br />
verde brunastro, che cova per 35/37 giorni.<br />
Ha uno status esistenziale ottimo.<br />
CIGNO<br />
30
La Fiaba<br />
“Il Cigno preso per un’Oca”<br />
Un Uomo allevava nel medesimo cortile un Cigno ed un’Oca . Il Cigno per il<br />
canto e l’Oca per la sua prelibata carne. Venne il momento che l’Oca doveva<br />
fare la fine per la quale era stata allevata, quella notte era molto buio e<br />
l’uomo recatosi dove i due Uccelli dormivano non fu in grado di distinguere<br />
l’uno dall’altra, e così fu preso il Cigno al posto dell’Oca. Ma a questo punto<br />
ecco che esso intona un canto che prelude la morte; in questo modo rivela la<br />
sua identità e, grazie a ciò, evita di essere ucciso. (Esopo)<br />
L’ OCA SELVATICA<br />
Pur iniziando gli accoppiamenti già a 18/20 mesi di età, raggiunge la sua<br />
piena maturità sessuale solamente al quarto anno di vita. Il vincolo della coppia<br />
rimane tale fino alla morte di uno dei due partners. Grande volatrice,<br />
durante il periodo della muta perde in pochi giorni, e non gradatamente, le<br />
penne delle ali e della coda; per questo<br />
rimane, gioco forza, a terra dove riesce a<br />
spostarsi da un pascolo all’altro o sfuggire<br />
a qualche predatore, correndo molto<br />
velocemente. Riacquisterà però la padronanza<br />
del volo dopo solo quattro settimane.<br />
Durante questo periodo l’Oca è particolarmente<br />
sospettosa e timorosa. Si<br />
suole dire che coloro che hanno in casa<br />
delle Oche non abbisognano della guar-<br />
OCA SELVATICA<br />
dia di un Cane. Leggendarie rimangono<br />
infatti, le Oche del Campidoglio che con il loro schiamazzo misero in allerta<br />
i difensori che intervennero contro gli invasori. Molto apprezzato è il suo piumino<br />
con il quale si imbottiscono dei caldi piumoni e dei preziosi giubbotti.<br />
31
Nelle Oche non esiste un notevole dimorfismo sessuale in quanto maschi e<br />
femmine sono pressoché uguali; si possono tuttavia riconoscere a prima vista<br />
dalla taglia, che è molto più grande nei maschi. Un altro aspetto curioso e<br />
unico riguarda la disposizione delle piume nella parte alta del collo; esse assumono<br />
una singolare disposizione che le allinea in rilevate striature verticali, per<br />
cui il collo di questi uccelli assume un aspetto zigrinato. Vivono in branchi<br />
numerosissimi ed essendo volatili molto timorosi e prudenti, hanno l’abitudine<br />
di piazzare delle sentinelle incaricate di dare l’allarme in caso di pericolo.<br />
Un tempo si tendeva ad ingrassare forzatamente le Oche all’inverosimile.<br />
Questo risultato veniva ottenuto per mezzo dell’ingozzamento a forza, pratica<br />
questa in uso fin dai tempi più antichi. L’animale veniva immobilizzato,<br />
dopo di che si introduceva un imbuto nel suo esofago lungo il quale si faceva<br />
scendere una gran quantità di granoturco, sfarinati vari e, in tempi più antichi,<br />
anche fichi e noci, fino al totale riempimento del gozzo. Con questo sistema<br />
il peso delle povere Oche raddoppiava. L’ingozzamento veniva praticato<br />
per oltre un mese e richiedeva una notevole esperienza per non soffocare<br />
l’animale. In questo modo la sua carne diventava saporita e tenera, ma altrettanto<br />
prelibato era il suo grasso che fatto bollire con il latte, una volta raffreddato<br />
e conservato, veniva usato al posto del burro. Fra le tante razze d’Oca,<br />
molto celebre è l’Oca di Tolosa allevata in Francia per la produzione del<br />
“fegato grasso” dal quale si ricava il famoso “patè de foi gras”. Il peso del<br />
fegato di quest’Oca, sottoposta anch’essa all’ingrasso con gli stessi metodi<br />
dell’ingozzamento, aumenta a dismisura passando dai 3/400 grammi della<br />
norma, ai 2-3 kilogrammi.<br />
Ha un’apertura alare di circa 155 cm, una lunghezza di 75/80 cm, un peso corporeo<br />
di 4/6 kg e un’aspettativa di vita di 9/13 anni. Depone da 6/9 uova, di colore<br />
bianco grigio, che cova per 27/28 giorni. Ha uno status esistenziale ottimo.<br />
32
L’AIRONE CENERINO<br />
Fa parte della grande famiglia degli “Ardeidi” nella quale troviamo anche la<br />
Garzetta, tipica abitatrice di canali, piccoli corsi d’acqua e addirittura degli<br />
scoli in campo aperto. L’Airone ha abitudini gregarie e nidifica in numerose<br />
colonie note con il nome di “Garzaie”. Possiede un collo molto lungo, un<br />
becco anch’esso lungo e appuntito e gambe lunghissime che sembrano dei<br />
veri e propri trampoli. Molto allungate sono pure le quattro dita, mentre, fatto<br />
curioso è rappresentato dall’unghia del dito medio dotata di una dentellatura<br />
sul margine interno che viene usata per riassettare il piumaggio. Un’altra<br />
curiosità dell’Airone è la pressocché mancanza della coda. Ha abitudini diurne,<br />
ma nel periodo della riproduzione quando deve alimentare i suoi piccoli,<br />
esce anche di notte. Molto rumoroso durante il periodo della riproduzione,<br />
diventa estremamente silenzioso nei periodi di riposo. Una curiosa abitudine<br />
dei pullus nel nido, che è anche un efficace<br />
metodo di difesa, è quella di “vomitare”<br />
addosso ai disturbatori della colonia.<br />
La credenza popolare ritiene che<br />
questo comportamento sia dovuto al fatto<br />
che con lo stomaco vuoto sia più facile e<br />
veloce sfuggire alla cattura da parte dei<br />
loro consimili adulti, tutti potenziali predatori.<br />
Una singolare curiosità deriva dal<br />
fatto che in questo uccello, la ghiandola<br />
AIRONE<br />
dell’uropigio è atrofizzata. Ma tanto<br />
l’Airone Cenerino, quanto pure tutti gli altri componenti della sua famiglia,<br />
suppliscono la mancanza della secrezione protettiva per le piume e per le<br />
penne (indispensabile per gli altri uccelli), distribuendo sul suo piumaggio dei<br />
minutissimi frammenti della desquamazione, prodotti da particolari cuscinetti<br />
di piume situati nella zona inguinale e sul petto. In questi cuscinetti, le<br />
33
piume crescono in continuazione, e, disgregandosi alle estremità, producono<br />
una specie di cipria, che viene raccolta dal becco dell’uccello e cosparsa sul<br />
suo piumaggio rendendolo in tal modo impermeabile. Questa operazione,<br />
come del resto tutta la lisciatura del piumaggio viene facilitata dalla particolare<br />
conformazione del dito medio della zampa che, possiede come già detto,<br />
un bordo dentellato.<br />
Ha un’apertura alare di circa 185 cm, una lunghezza di 85/90 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 1800/2000 gr e un’aspettativa di vita di 11/20 anni. Depone<br />
4/6 uova, di color verde azzurrino, che cova per 25/27 giorni. Ha uno status<br />
esistenziale buono.<br />
IL GERMANO REALE<br />
E’ il più comune dei nostri uccelli acquatici ed è famoso per la sua peculiarità<br />
di sollevarsi in volo senza bisogno di prendere nessuna rincorsa, così come<br />
fa un elicottero. Un’altra curiosità deriva dal fatto che le due timoniere centrali<br />
non sono dritte e rigide, bensì dei morbidi ricci rivolti verso l’alto. Molto<br />
caratteristico è lo specchio alare, uguale sia nel maschio che nella femmina,<br />
di un bel colore viola/porporino delimitato da due barre bianche che si evidenzia<br />
quando il Germano è in volo. Il maschio assume il piumaggio completo<br />
da ottobre a maggio e va in eclisse, da giugno a settembre; in questo periodo<br />
il suo piumaggio perde le caratteristiche<br />
e i colori tipici, tanto da poter essere<br />
confuso con quello delle femmine se non<br />
fosse per la sua maggiore mole e per<br />
alcune parti del corpo dove il piumaggio<br />
è più scuro e rossiccio. Non è raro che il<br />
Germano reale nidifichi sopra la capitozza<br />
di qualche pianta anziché sul terreno<br />
in mezzo ai cespugli, come tendenzial-<br />
GERMANO REALE<br />
34
mente è portato a fare. In questo caso, quando i piccoli nasceranno, saranno<br />
portati a terra con il becco dai genitori che li reggeranno per le zampe; in altri<br />
casi i pullus si butteranno letteralmente al suolo o nell’acqua circostante. I<br />
Germani in cattività sono molto longevi e possono superare agevolmente i<br />
vent’anni di vita.<br />
Nei Germani reali è sempre la femmina a conquistare il maschio. Uno degli<br />
atteggiamenti al quale ricorre con maggiore frequenza è, ad esempio, il nuoto<br />
serpentino, una specie di parata nuziale al femminile, che si conclude davanti<br />
al maschio prescelto; se questi l’accetterà, incomincerà a nuotare dietro di<br />
lui in segno di sottomissione. Per secoli le sue soffici piume sono state utilizzate<br />
per cucire dei soffici e vaporosi piumoni da letto, le famose “colsare” che<br />
riparavano dal freddo pungente durante le notti.<br />
Ha un’apertura alare di circa 80/90 cm, una lunghezza di 55/58 cm, un peso<br />
corporeo intorno ai 900/1100 gr e una aspettativa di vita di 5/10 anni. Depone<br />
8/12 uova, di color oliva-beige, che cova per 28/29 giorni. Ha uno status di<br />
presenza ottimo.<br />
IL CORMORANO<br />
Uccello pescatore per antonomasia compie vere e proprie razzie in allevamenti<br />
ittici. Nei suoi luoghi originari in buona parte dell’Asia, l’uomo lo preleva<br />
dal suo nido subito dopo la schiusa dell’uovo e lo alleva “allo stecco”,<br />
sostituendosi quindi alla madre, in questo modo lo abitua alla sua presenza<br />
tanto che il piccolo, lo seguirà ovunque come se fosse proprio la madre.<br />
Appena svezzato egli sarà addestrato alla pesca e seguirà sul bordo della barca<br />
insieme ad altri suoi consimili, “l’uomo madre” che, giunto sul luogo di<br />
pesca, gli infilerà attorno al collo un anello e lo farà scendere in acqua per<br />
pescare. Il Cormorano, risalirà di lì a poco con il becco e il collo pieno di<br />
pesci che non potrà ingoiare a causa dell’anello che gli stringe la gola e che,<br />
rigurgiterà dopo una leggera pressione delle mani “dell’uomo madre” sul<br />
35
collo. Continuerà instancabile a fare questo<br />
“lavoro”, fino a che non avrà ottenuto<br />
una buona pesca e così giorno dopo<br />
giorno, in cambio di qualche pesciolino o<br />
di scarti di quel pesce più pregiato da lui<br />
stesso pescato. Quando è posato a terra,<br />
assume la caratteristica posa eretta che lo<br />
fa assomigliare ad un pinguino, ancora<br />
CORMORANO<br />
caratteristico è il suo atteggiamento ad<br />
ali aperte che assume frequentemente per accelerare i tempi di asciugatura del<br />
suo piumaggio.<br />
Ha un’apertura alare di circa 150 cm, una lunghezza di 85/95 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 2100/2400 gr ed un’aspettativa di vita di 13/15 anni. Depone<br />
da 3 a 5 uova di color bruno chiaro, che cova per 27/28 giorni. Ha uno status<br />
esistenziale molto buono.<br />
IL TUFFETTO<br />
Lo dice il suo nome: è un’Anatra tuffatrice ed è uno spettacolo osservare le<br />
sue esibizioni. Si tuffa in continuazione per cercare nel fondo del corso<br />
d’acqua insetti, lumache, crostacei e, d’inverno, anche piccoli pesci dei quali<br />
si nutre unitamente alle alghe più tenere.<br />
Rimane sott’acqua anche 35/40 secondi per riapparire nello stesso posto, ma<br />
molto più spesso anche molti metri più in là. Il Tuffetto non supera mai i sette<br />
metri di profondità. In genere vive in acque dolci e raggiunge il mare soltanto<br />
al termine del periodo riproduttivo.<br />
Il fittissimo rivestimento di piume, molto morbide e perfettamente impermeabilizzate,<br />
protegge durante le sue continue immersioni il corpo dall’acqua. In<br />
passato queste “piume-pelliccia” vennero impiegate nella fabbricazione di<br />
colletti e accessori, proprio in luogo delle vere pellicce. I piccoli sono rivesti-<br />
36
ti da un piumino variopinto e striato, e, non appena usciti dall’uovo, si raccolgono<br />
sotto le ali dei genitori e tra le folte piume che ne ricoprono il dorso; in<br />
questo modo, si immergono e nuotano insieme ad essi finchè, trascorse alcune<br />
settimane, imparano a nuotare e a tuffarsi<br />
da soli. In genere i Tuffetti raggiungono<br />
un aspetto simile a quello dei genitori<br />
solamente al loro secondo anno di<br />
vita. Il Tuffetto sa anche catturare insetti<br />
volanti compiendo un salto in alto fuori<br />
dall’acqua per afferrarli. Possiede ali<br />
molto corte e nuota anche sott’acqua,<br />
aiutandosi quasi esclusivamente con le<br />
zampe che hanno il tarso compresso late-<br />
TUFFETTO<br />
ralmente e le dita lobate. Considerata<br />
infine la sua spiccata abilità nel nuoto e nel tuffo, la natura per contro lo ha<br />
reso poco incline al volo.<br />
Ha un’apertura alare di circa 43 cm, una lunghezza di 26/28 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 100/120 gr e una aspettativa di vita di 8/13 anni. Depone da<br />
4 a 7 uova, di colore bianco brunastro, che cova per 20/22 giorni. Ha uno status<br />
esistenziale discreto.<br />
LO SVASSO MAGGIORE<br />
Lo Svasso, durante il periodo degli amori acquisisce sul capo vari ornamenti<br />
(sia nel maschio che nella femmina), che vengono usati nel corteggiamento e<br />
nel cerimoniale amoroso, ma che servono pure per “rinforzare”particolari<br />
atteggiamenti del comportamento sociale o di difesa del proprio territorio.<br />
Questi ornamenti, tra l’altro molto belli e caratteristici, con l’arrivo dell’autunno<br />
e dell’inverno cadranno per ricomparire d’incanto la primavera successiva.<br />
Curiosa e caratteristica è la struttura delle sue piume che hanno un aspet-<br />
37
to serico, ma anche “peloso”, a causa del rapido consumarsi delle barbule.<br />
Questa particolarità, unita alla distribuzione fitta e continua delle piume sulle<br />
parti inferiori, rende il piumaggio degli Svassi molto simile ad una pelliccia,<br />
tanto che fino a una cinquantina d’anni fa le “pelli di Svasso” erano usate per<br />
foderare cappotti e mantelli, per fabbricare dei caldi manicotti per proteggersi<br />
dal freddo e molto più spesso per fasciare le parti del corpo colpite da artrosi<br />
e artriti. Un’altra curiosità tipica degli Svassi (e anche del Tuffetto), è quella<br />
di ingerire abitualmente piume del<br />
proprio corpo. La funzione digestiva che<br />
ne deriva, pur non essendo chiara, deve<br />
essere molto importante dato che i piccoli<br />
vengono imbeccati dai genitori con una<br />
grande quantità di piume fin dalla loro<br />
nascita. A questo proposito esiste una<br />
credenza popolare che attribuisce alle<br />
piume nello stomaco la proprietà di trat-<br />
SVASSO MAGGIORE<br />
tenere le spine più grosse di alcuni pesci<br />
e le parti indigeribili di molti invertebrati<br />
acquatici. Come nei Rapaci anche lo Svasso (e il Tuffetto suo consimile pur<br />
se molto più piccolo) espelle queste sostanze attraverso le “borre”. I piccoli<br />
di Svasso, contrariamente ad altri uccelli acquatici, non nascono con il piumaggio<br />
impermeabile ma lo acquisiscono nel tempo, per questo si arrampicano<br />
da tergo sul dorso dei genitori e da essi si fanno trasportare. Anche quando<br />
gli adulti si tuffano loro rimangono attaccati al corpo dei genitori. Una<br />
volta però che saranno diventati indipendenti non saranno più tollerati sul<br />
dorso degli adulti che li scacceranno a colpi di becco.<br />
Ha un’apertura alare di circa 85 cm, una lunghezza di 45/48 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 800/900 gr ed un’aspettativa di vita di 8/14 anni. Depone da<br />
3 a 6 uova, biancastre con riflessi celesti, che cova per 27/29 giorni. Ha uno<br />
status esistenziale discreto.<br />
38
LA GALLINELLA D’ACQUA<br />
Pur essendo un uccello acquatico, non possiede le zampe palmate caratteristiche<br />
della specie. Riesce però a nuotare abbastanza agevolmente aiutandosi<br />
con movimenti ritmici, “avanti e indietro”, del capo e del collo. Un altro particolare<br />
che non sfugge all’occhio attento dell’osservatore, è che nuota mantenendo<br />
il corpo più emerso rispetto a quello di altri uccelli acquatici: sembra<br />
infatti che galleggi; ciò per avere un<br />
minore attrito con l’acqua e spostarsi<br />
così il più velocemente possibile. E’<br />
molto abile nel tuffarsi e nel nuotare sott’acqua<br />
dove può restare in apnea per<br />
oltre un minuto. Compie dei brevi voli<br />
tenendo le zampe pendenti. Quando<br />
decide di alzarsi in un volo medio lungo,<br />
ha bisogno di correre sul pelo dell’acqua<br />
per diverse decine di metri prima di<br />
GALLINELLA D’ACQUA<br />
potersi sollevare. Come la Folaga,<br />
costruisce quasi sempre un nido galleggiante che può spostarsi dal sito originario<br />
con l’alzarsi dell’acqua in seguito a temporali e con il perdurare del maltempo.<br />
Durante il periodo della muta questi uccelli, per la contemporanea<br />
caduta delle remiganti, divengono inetti al volo e di conseguenza sono molto<br />
vulnerabili. La loro carne tuttavia risulta pressoché immangiabile, sicché sono<br />
pochi i pericoli che essi corrono.<br />
Ha un’apertura alare di circa 53 cm, un peso corporeo intorno ai 190/250 gr<br />
ed un’aspettativa di vita di 11/13 anni. Depone da 6 a 10 uova di color beige<br />
giallastro punteggiate di marroncino che cova per 20/22 giorni. Ha uno status<br />
esistenziale ottimo.<br />
39
LA MARZAIOLA<br />
E’ una piccola e aggraziata anatra che prende il nome di Marzaiola perché la<br />
sua migrazione di ritorno si conclude nel mese di Marzo. E’ l’anatra che ha il<br />
più lungo periodo di eclisse del piumaggio. Il maschio perde i suoi colori in<br />
luglio e li riacquista solamente a febbraio, quando inizia il periodo della riproduzione.<br />
Nei mesi eclissali assomiglia molto alla femmina e si differenzia da essa unicamente<br />
perché mantiene la tinta grigio-bluastra delle copritrici alari.<br />
Caratteristica del maschio è una lunga e larga barra bianca che parte dall’occhio<br />
e finisce dietro la nuca. In un primo momento si potrebbe confondere con<br />
l’Alzavola, ma in pratica la distinzione avviene a prima vista, osservando la<br />
colorazione dello specchio alare che è di colore assai meno intenso nella<br />
Marzaiola.<br />
Come tutte le Anatre anche la Marzaiola ha le zampe molto spostate all’indietro,<br />
per questo si muove con grande difficoltà sulla terraferma; è infatti priva<br />
del lobo del dito posteriore, per questo motivo dondola lateralmente tanto da<br />
sembrare zoppicante.<br />
Ha ali lunghe e appuntite che le consentono di sollevarsi dall’acqua con una certa<br />
facilità, senza dover prendere un lungo slancio. Queste anatre, si tuffano assai di<br />
rado, preferiscono immergere il capo, il collo e la parte anteriore del corpo cercando<br />
accuratamente il cibo sul fondo,<br />
mentre la regione posteriore emerge completamente<br />
dall’acqua. Ha un’apertura<br />
alare di circa 55 cm, una lunghezza di<br />
35/37 cm, un peso corporeo intorno ai 250/<br />
350 gr ed un’aspettativa di vita di 8/10<br />
anni. Depone da 7 a 12 uova, di color<br />
bruno oliva chiaro, che cova per 22/23<br />
giorni. Ha uno status esistenziale precario.<br />
MARZAIOLA<br />
40
LA VOLPOCA<br />
E’ la più grande delle anatre ed è considerata,<br />
per la bellezza dei suoi colori, una<br />
delle più attraenti. La curiosità sta nel<br />
fatto che la colorazione del maschio e<br />
della femmina è pressoché uguale. Il<br />
maschio però si differenzia dalla femmina<br />
per il grosso tubercolo che gli orna il<br />
becco partendo dall’attaccatura dello<br />
stesso con la testa. Nel periodo della<br />
riproduzione, la colorazione del becco<br />
VOLPOCA<br />
tende ad essere di un bel colore rosso che<br />
sbiadisce nei mesi estivi fino a diventare arancio giallo. Vive e si alimenta nei<br />
corsi d’acqua, ma nidifica anche molto lontano dalla riva scegliendo tane<br />
abbandonate dai conigli selvatici o anfratti naturali. Covando in questi siti<br />
riparati, nascosta alla vista dei predatori, anche la femmina si può permettere<br />
un piumaggio intensamente colorato.<br />
Contrariamente, i piccoli quando nascono sono dotati invece di un piumaggio<br />
mimetico, e rimangono più a lungo di anatroccoli di altre specie in prossimità<br />
della “tana nido” prima di avventurarsi in acqua seguendo i genitori.<br />
Un’ultima curiosità di questa specie è rappresentata dalle sue uova, che tendono<br />
ad avere una forma stranamente arrotondata.<br />
Ha un’apertura alare di circa 125 cm, una lunghezza di 56/58 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 900/1350 gr ed un’aspettativa di vita di 6/13 anni. Depone da<br />
8 a 14 uova, di colore beige chiaro, che cova per 28/30 giorni. Ha uno status<br />
esistenziale buono.<br />
41
L’ANATRA MANDARINA<br />
E’ sicuramente la più famosa anatra nella letteratura e nell’arte sia giapponese<br />
che cinese. Simbolo della fedeltà coniugale, è stata addirittura considerata<br />
sacra in certi villaggi. Il ciuffo sul capo, la colorazione da “ stampa giapponese”,<br />
le sue vele che si uniscono tanto da<br />
sembrare il tetto di una pagoda, i suoi<br />
colori vivaci, la fanno apprezzare dagli<br />
appassionati. E’ considerata un’anatra di<br />
bosco in quanto nidifica nei vecchi tronchi<br />
d’albero; il nido rivestito di morbido<br />
piumino, viene sempre collocato anche a<br />
notevole altezza dal suolo. Quando i piccoli<br />
nascono, sono muniti di unghie affilatissime<br />
adatte ad arrampicarsi lungo il<br />
ANATRA MANDARINA<br />
tronco dell’albero per ritornare nel nido<br />
dal quale, per scendere, si lanciano letteralmente nel vuoto da qualunque<br />
altezza. Quasi mai avvengono incidenti in seguito a questi spericolati atterraggi,<br />
infatti lo scarso peso e le piccole “alucce” anche se ancora poco sviluppate,<br />
riescono in qualche modo ad attutire la caduta. Gli antichi Samurai hanno<br />
sicuramente copiato per foggia e colori i loro costumi da questa splendida<br />
anatra. Naturalmente anche il maschio di questa specie, va in eclisse di piumaggio<br />
e nei mesi estivi assomiglia molto alla femmina perdendo quasi totalmente<br />
il suo splendido e particolare apparato nuziale.<br />
Ha un’apertura alare di circa 70 cm, una lunghezza di 42/48 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 500/600 gr ed un’aspettativa di vita di 8/12 anni. Depone da<br />
9 a 10 uova, di color beige chiaro, che cova per 28/30 giorni. Ha uno staus<br />
esistenziale buono.<br />
42
IL MARTIN PESCATORE<br />
Da secoli il Martin pescatore, nonostante non sia un uccello tipico da compagnia<br />
o da canto, continua a richiamare l’attenzione dell’uomo eccitandone la<br />
fantasia. Secondo antiche leggende si dice che originariamente il suo piumaggio<br />
avesse una colorazione grigiastra e quindi insignificante. Narra una leggenda<br />
che Noè avesse comunque provveduto a caricare sulla sua arca anche<br />
una coppia di questi uccelli. Al termine del diluvio universale quando tutti gli<br />
animali abbandonarono l’arca per tornare sulla terraferma e nei cieli, il Martin<br />
pescatore lo fece con un tale impeto che andò a sbattere contro il sole al tramonto<br />
con la parte ventrale del suo corpo che divenne brunita, mentre il<br />
dorso, sbattuto dall’impatto con il sole, andò a cozzare contro il cielo prendendone<br />
il colore azzurro acciaio. Un’altra leggenda racconta che gli antichi<br />
Greci erano convinti che questo uccello deponesse e covasse in un nido<br />
costruito sopra le onde in mare aperto, da cui il nome greco “halkyon” (colui<br />
che concepisce sul mare). E si pensava che gli dèi fossero cosi propizi nei suoi<br />
confronti che durante il periodo riproduttivo spianassero le onde del mare per<br />
tutta la durata del ciclo riproduttivo. Un’altra leggenda mitologica narra che<br />
un Martin pescatore sposò Ceice figlia della stella della sera Espero. Quando<br />
l’uccello morì annegato, Ceice disperata si precipitò in mare a gridare tutta la<br />
sua disperazione, fu così che gli dèi, impietositi la tramutarono in Martin<br />
pescatore. Questo uccello si nutre di<br />
pesciolini scegliendo sempre i più piccoli<br />
del branco o esemplari malati e vecchi,<br />
per farlo usa una tecnica particolare: si<br />
posa su di un ramo che passa sopra un<br />
corso d’ acqua, per lo più sempre limpidissima,<br />
e quando avvista la preda prescelta<br />
si tuffa catturandola con il forte<br />
becco lungo un terzo del suo corpo. Una<br />
43<br />
MARTIN PESCATORE
volta portata la preda sul ramo prende a sbatacchiarla ripetutamente fino a che<br />
la lisca e le spine non si staccheranno dal corpo rimanendo conficcate nel<br />
legno del ramo, dopo di che porta la preda alla femmina in attesa accanto al<br />
nido, che successivamente alimenta i suoi piccoli. La razione giornaliera dei<br />
“pullus” di Martin pescatore è di 6-7 pesciolini, va da sé che una nidiata composta<br />
mediamente da 6 piccoli abbisogna di una quarantina di prede al giorno.<br />
Questo uccello ha un’altra particolarità, non si vede mai in branchi, ma sempre<br />
e solo in coppia e ha bisogno di un habitat abbastanza esteso di circa 150<br />
metri lungo un corso d’acqua, all’interno del quale non tollera la presenza di<br />
suoi consimili.<br />
Teme in modo particolare il freddo e in certi inverni molto rigidi la sua popolazione<br />
può ridursi anche del 70-80%.<br />
Ha un’apertura alare di circa 25 cm, una lunghezza di 14/16 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 35 gr ed un’aspettativa di vita di 6/9 anni. Depone in una<br />
cavità del terreno da 5 a 7 uova, di color bianco, che cova per 19/21 giorni.<br />
Ha uno status esistenziale preoccupante.<br />
44
“Dio si fa conoscere attraverso la maestosa<br />
bellezza della natura.”<br />
Galileo Galilei
LA RON<strong>DI</strong>NE<br />
Costruisce il suo nido in maniera molto singolare. Non sceglie né rami di<br />
alberi né cavità né anfratti, ma da provetto muratore qual è, la Rondine<br />
costruisce il suo nido sui muri sotto i tetti o sotto una trave sia in legno che in<br />
cemento. Per far ciò si posa al suolo e con il becco, appallottola la terra con<br />
degli steli d’erba mescolandoli con la saliva; ottiene così tanti piccoli mattoncini<br />
che attacca uno sotto l’altro, ottenendo una coppa semicircolare perfettamente<br />
attaccata al muro.<br />
All’interno però, il suo nido è foderato di materiale molto soffice costituito da<br />
sottili fili d’erba e piume di Gallina. Si ritiene che gli antichi, quando iniziarono<br />
a costruire i primi mattoni per edificare<br />
le loro case, si siano ispirati proprio al<br />
lavoro della Rondine impastando paglia e<br />
fango e pigiando il tutto con i piedi.<br />
Un tempo, quando non si sapeva che gli<br />
uccelli migravano verso i paesi più caldi,<br />
si pensava che la Rondine, che con il<br />
giungere del freddo scompariva, andasse<br />
in letargo o si ibernasse. Un’altra credenza<br />
popolare, del resto molto verosimile,<br />
RON<strong>DI</strong>NE<br />
diceva che quando la Rondine volava<br />
alta il tempo era buono, quando invece volava bassa sarebbe arrivata una perturbazione<br />
e quindi la pioggia. Ciò perché la Rondine, dovendo catturare gli<br />
insetti volatili di cui si nutre, era costretta a seguirli in alto o in basso a seconda<br />
delle condizioni atmosferiche in arrivo. E’ vero infine che la Rondine ritorna<br />
al suo nido. Lo si è scoperto spruzzando un po’ di vernice indelebile su<br />
diversi esemplari in partenza per la migrazione, alcuni dei quali, quelli<br />
sopravvissuti alla grande fatica, sono infatti tornati al loro nido lasciato l’anno<br />
precedente. In questo caso si limitano a riassettarlo e a ristrutturarlo, laddove<br />
47
necessita, per poter così accogliere una nuova covata.<br />
Ha un’apertura alare di circa 33 cm, una lunghezza di 16/18 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 20 gr ed un’aspettativa di vita di 3/5 anni. Depone da 4 a 6<br />
uova, di color bianco, picchiettate di marrone, che cova per 13/14 giorni. Ha<br />
uno status esistenziale preoccupante.<br />
La fiaba<br />
“L’Usignolo e la Rondine”<br />
Una Rondine molto amica di un Usignolo lo invitò a nidificare come lei, sotto<br />
il tetto delle case degli uomini e a condividere la loro dimora, ma quello<br />
rispose:“scusami ma non desidero rivivere le mie antiche sventure che ho<br />
subito vivendo accanto all’uomo; per questo voglio vivere in luoghi solitari”.<br />
(Esopo)<br />
IL RONDONE<br />
Costruisce il suo nido nelle cavità degli alberi e dei muri, sotto le tegole e non<br />
disdegna i “nidi artificiali”. Un tempo andato, i torrioni dei castelli, intere<br />
pareti di palazzi e di campanili presentavano dei fori collegati con l’interno e<br />
chiusi da uno sportellino. Su questi fori andavano a nidificare i Rondoni i cui<br />
pullus, una volta raggiunta la maturità e quindi poco prima dell’involo, venivano<br />
prelevati dalla servitù per arricchire le mense dei loro signori. Si diceva<br />
che fossero “el boccon dei siori e dei preti”. Questo uccello si accoppia più<br />
frequentemente in volo, non si posa al suolo per bere, ma lo fa rasentando il<br />
corso d’acqua; terminato il periodo della riproduzione trascorre tutto il giorno<br />
e anche la notte in volo. Non si posa mai per terra o su di un ramo, preferendo<br />
riposarsi per brevi periodi, aggrappato ad un tronco di un albero, su una<br />
parete verticale o su di una roccia.<br />
Il Rondone si nutre solo ed esclusivamente di insetti volanti catturati in volo;<br />
questi insetti sono abbondanti con il tempo buono e ovviamente scarseggiano<br />
48
con il perdurare delle cattive giornate, ed<br />
è ovvio che, in queste situazioni, egli sia<br />
costretto per sopravvivere a cercare il<br />
cibo a decine e decine, e talvolta anche a<br />
centinaia, di chilometri lontano dal suo<br />
nido. In questi periodi di magra, fatto<br />
davvero curioso ed inspiegabile, la femmina<br />
interromperà per alcuni giorni la<br />
RONDONE<br />
sua deposizione se questa fosse già iniziata,<br />
per riprenderla di lì a qualche giorno; ma nel caso stesse già covando<br />
abbandonerà le uova per alcuni giorni, senza che queste, pur raffreddandosi,<br />
rallentino il loro sviluppo embrionale. Anche i piccoli già nati possono rimanere<br />
a digiuno senza morire per diversi giorni, cadendo in uno stato di inedia<br />
durante il quale, per sopravvivere, attingeranno alle loro riserve di grasso. Se<br />
il digiuno perdurerà, i piccoli Rondoni perderanno il controllo della temperatura<br />
corporea, diventeranno cioè a “sangue freddo” cadendo in una specie di<br />
torpore che però consentirà loro di sopravvivere fino a quando non potranno<br />
essere nuovamente alimentati regolarmente. Fino a qualche anno fa era frequente<br />
ammirare il suo volo in stormo, molto bello e spettacolare, ad altissima<br />
velocità intorno a chiese e campanili. Al Rondone del Tibet, che del resto<br />
non si discosta molto da quello che conosciamo, spetta il primato della velocità<br />
in picchiata che raggiunge i 375 kilometri orari.<br />
Ha un’apertura alare di circa 45 cm, una lunghezza di 15/18 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 45/55 gr ed un’aspettativa di vita di 7/9 anni. Depone da 2 a<br />
5 uova, di colore bianco grigio, che cova per 13/14 giorni. Ha uno staus esistenziale<br />
preoccupante.<br />
49
IL CUCULO<br />
Si pensava un tempo che il suo canto portasse poco di buono. Va premesso<br />
che il Cuculo più che cantare, emette a brevi sequenze un suono un po’ lugubre;<br />
ebbene si pensava che a chi capitava di sentire questi versi, venissero<br />
comunicati gli anni che ancora aveva da vivere…e questi versi purtroppo per<br />
lui erano sempre pochi. Tutto ciò, per fortuna, non è affatto vero, ma in passato<br />
(ancora oggi nella zona del Cansiglio), qualcuno ci credeva. Piuttosto è<br />
vera, ed è da sempre confermata, la fama di parassita del Cuculo: infatti questo<br />
uccello, non ha voglia di fare niente, non vuole cercarsi il sito dove<br />
costruirsi il nido e ovviamente non lo costruisce, non vuole covare le proprie<br />
uova e men che mai intende allevare i suoi piccoli. Ecco che allora ha sviluppato<br />
alcune caratteristiche che gli consentono in ogni modo (pur fasendo el<br />
mestier del Miceasso, magnar e bevar e andar a spasso) senza fare nulla, di<br />
dare continuità alla sua specie. In una stagione riproduttiva una femmina di<br />
Cuculo deposita, a giorni alterni, fino ad una quindicina di uova, uno in ogni<br />
nido di specie anche diverse l’una dall’altra. Le sue uova inspiegabilmente si<br />
avvicinano alla colorazione di quelle deposte nel nido ospitante, pur essendo<br />
ovviamente più grandi. E qui, viene da chiedersi quali conoscenze di chimica<br />
esso abbia acquisito per ottenere questi risultati. Generalmente tutti gli uccelli<br />
depongono le loro uova nelle prime ore del mattino, contrariamente al<br />
Cuculo che invece le depone il pomeriggio. Dopo la deposizione del proprio<br />
uovo, questo autentico parassita provvede ad asportarne uno di quelli che già<br />
si trovano nel nido “ospitante” (a volte l’uovo viene mangiato, a volte viene<br />
buttato via), in modo che il numero rimanga invariato. Per la sua deposizione<br />
egli sceglie sempre nidi di piccolissimi insettivori con netta preferenza per<br />
Cannaiole, Pigliamosche, Magnanine e Capinere. E anche in questo caso si<br />
rimane colpiti da questa sua conoscenza, se infatti andasse a deporre in nidi<br />
di uccelli granivori la sua prole non vivrebbe. L’uovo del Cuculo, anche questo<br />
è straordinario, si schiude sempre un giorno prima degli altri; appena nato<br />
50
l’istinto del piccolo Cuculo lo porta a<br />
sospingere fuori dal nido le uova che ha<br />
intorno a sé e quasi sempre riesce a<br />
disfarsene, ma se non ce la facesse a fare<br />
piazza pulita e il giorno dopo dovesse<br />
nascere qualche piccolo, terminerebbe il<br />
suo “misfatto” buttando letteralmente<br />
fuori dal nido anche questo, in modo da<br />
CUCULO<br />
rimanere da solo. Questo perché il cibo<br />
che riusciranno a portare i suoi ignari genitori adottivi sarà sufficiente solamente<br />
per lui, che alla fine risulterà essere almeno venti volte più grande e<br />
grosso di essi. Il Cuculo adulto è un animale vorace che si nutre in prevalenza<br />
dei bruchi pelosi trascurati dagli altri volatili a causa delle sostanze urticanti<br />
in essi contenute. Esaminando l’interno dello stomaco del Cuculo, si è<br />
trovato la membrana gastrica ricoperta da “peletti” di questi bruchi tanto da<br />
apparire come un tessuto vellutato; l’eliminazione di queste sostanze indigeribili<br />
avviene periodicamente mediante la muta della stessa membrana gastrica.<br />
Non essendo animale commestibile, non viene né cacciato né predato.<br />
Ha un’apertura alare di circa 63 cm, una lunghezza di 30/33 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 110/125 gr ed un’aspettativa di vita di 8/10 anni.<br />
Depone da 12 a 15 uova, di colore vario, su nidi di altri uccelli, che schiudono<br />
dopo 12 giorni di cova. Ha uno status esistenziale buono.<br />
51
IL PICCHIO<br />
Nel suo genere è un uccello dalle diverse curiosità. Possiede una coda molto<br />
rigida, infatti le sue timoniere servono da supporto quando si arrampica o<br />
rimane appeso per scavare il nido negli alberi o per cercare il cibo. Per il<br />
Picchio, la coda è talmente importante che nel periodo della muta le timoniere<br />
centrali cadono solamente quando quelle laterali sono già cresciute, in<br />
modo da non lasciarlo privo di questo prezioso sostegno. Il suo becco, molto<br />
forte a forma di punteruolo, gli permette di scavare nel tronco di un albero con<br />
una certa facilità. Le sue narici sono ricoperte di piume setolose che lo riparano<br />
dalla polvere quando scava nei tronchi. La sua particolare caratteristica<br />
è però rappresentata dalla sua lingua, incredibilmente lunga, che riesce a spingere<br />
fuori dal palato in maniera notevole,<br />
ciò grazie alla particolare struttura e<br />
dimensione delle ossa del cranio che la<br />
sostengono. La punta della lingua è rigida<br />
e orlata di setole e barbe uncinate. Ma<br />
non basta, perché questo organo è anche<br />
ricoperto da una sostanza collosa, prodotta<br />
da ghiandole secernenti muco<br />
vischioso, il tutto nel suo insieme costituisce<br />
un efficacissimo strumento per<br />
PICCHIO<br />
catturare le prede più ambite come larve,<br />
tenebrioni, insetti in genere e formiche, ma anche per succhiare la linfa degli<br />
alberi. Quando è spaventato, allunga a dismisura il collo e lo fa ondeggiare<br />
lateralmente imitando in tal modo il comportamento dei serpenti. I piccoli<br />
sono in grado di abbandonare il nido arrampicandosi sui tronchi e sui rami già<br />
prima di saper volare.<br />
Il Picchio, è stato considerato fin dall’antichità un uccello sacro e numerose<br />
sono le leggende e i simbolismi che lo accompagnano. In antichità secondo<br />
52
un mito, veniva considerato come un inviato sulla terra di Marte e Giove e<br />
dunque capace di trasmettere la loro volontà, per cui, un essere importantissimo<br />
al quale rivolgersi, per i buoni auspici nell’andamento delle guerre e delle<br />
pacifiche attività agricole e pastorali. Un Picchio appare anche nella leggenda<br />
della fondazione di Roma. Infatti, sotto l’ombra del fico, dove si sarebbe<br />
arenata la cesta con Remo e Romolo, giunsero una Lupa e un Picchio per<br />
nutrirli e allevarli. E Plutarco infatti scrive di quanto questi due animali furono<br />
ritenuti sacri e come i Latini abbiano sempre avuto per il Picchio una<br />
venerazione particolare. Il Picchio infine, nelle sembianze del re di Albalonga<br />
(che si chiamava Pico cioè Picchio), era non solo l’istitutore del matrimonio,<br />
il protettore delle nascite e il detentore del potere oracolare, ma, tramite il<br />
potere di intercessione su Giove, dominava sul fulmine, sul tuono, e sulle<br />
piogge benefiche che permettevano un buon raccolto. Questi forti simbolismi<br />
si ritroveranno poi sia nel Medioevo come nel Rinascimento, tanto che si arrivò<br />
a vedere nel Picchio predatore dei vermi nascosti che scova con il becco<br />
appuntito, un simbolo del Cristo che contrasta dappertutto il nemico.<br />
Ha un’apertura alare di circa 37 cm, una lunghezza di 21/22 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 75/90 gr ed un’aspettativa di vita di 5/9 anni. Depone da 4 a<br />
8 uova, di colore bianco grigiastro, che cova per 15/16 giorni. Ha uno status<br />
esistenziale buono.<br />
L’USIGNOLO<br />
E’ il re degli uccelli cantori. Il maschio si pone sulla cima di un albero della<br />
siepe nella quale ha il suo nido e, da quel sito, emette forte e melodioso il suo<br />
canto. Con il canto l’Usignolo intende soprattutto far capire ad eventuali<br />
intrusi che quello è il suo territorio e che non accetta vicini; è molto raro infatti,<br />
sentir cantare nei paraggi altri Usignoli. Racconta un chioccolatore (imitatore<br />
del canto degli uccelli), che un giorno volle “sfidare” un Usignolo per<br />
studiarne la reazione. Messosi un sacco di juta sopra la testa, entrò nella siepe<br />
53
dove, sopra un albero, un Usignolo stava<br />
cantando. Mimetizzandosi a dovere e<br />
coprendosi con il sacco e delle frasche,<br />
incominciò a cantare imitandolo, questi<br />
reagì alzando il tono della sua voce; il<br />
chioccolatore fece altrettanto e iniziò<br />
così la sfida fra i due. Ad un certo punto<br />
l’Usignolo si avvicinò all’uomo e gli si<br />
USIGNOLO<br />
pose sopra la testa mimetizzata con il<br />
sacco e cominciò a colpirlo con il becco; ma l’uomo imperterrito continuò a<br />
cantare e allora successe l’incredibile; il maschio, comprendendo di aver perduto<br />
il “confronto” volò via e la femmina, che stava covando poco più in là,<br />
abbandonò il nido e si avvicinò all’uomo con fare sottomesso: aveva accettato<br />
il nuovo maschio. L’uomo ad un certo punto smise e se ne andò e allora la<br />
femmina “scoperto il giochetto” ritornò nel suo nido, così come l’Usignolo<br />
ritornò a cantare sul suo albero.<br />
Ha un’apertura alare di circa 24 cm, una lunghezza di 15/16 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 22/25 gr ed un’aspettativa di vita di 3/4 anni. Depone da 4 a<br />
6 uova di color grigio piombo, che cova per 12/13 giorni. Ha uno status esistenziale<br />
preoccupante.<br />
LA CINCIALLEGRA<br />
La Cinciallegra è un bell’uccellino che costruisce il suo nido all’interno di un<br />
buco di un albero. Questo nido è il più soffice che esista in quanto internamente<br />
è tutto rivestito di lana vergine, infatti la Cinciallegra percorre chilometri<br />
e chilometri alla ricerca dei ciuffetti di lana lasciati negli arbusti e nei<br />
rami bassi degli alberi dalle pecore durante la loro transumanza.<br />
La femmina depone nove-dodici uova, una al giorno, e durante questo lasso<br />
di tempo non cova e si allontana dal nido. Prima di abbandonare le uova, le<br />
54
copre accuratamente nascondendole sotto lo stesso materiale con il quale ha<br />
costruito il nido. Nel corso di una stagione riproduttiva una Cinciallegra può<br />
dunque deporre in tre covate fino a trenta uova dalle quali nasceranno altrettanti<br />
pullus.<br />
Durante l’allevamento però circa un terzo dei nati muore per vari fattori, e se<br />
ciò non bastasse, la mortalità continuerà a colpire le giovani Cinciallegre<br />
anche in seguito, tanto che dei venti giovani che potrebbero essere mediamente<br />
svezzati, ben il 70/80% perirà entro i<br />
primi dieci mesi di vita, così che arriverà<br />
in età adulta e quindi all’attività produttiva<br />
un numero piuttosto esiguo di esemplari.<br />
Anche la vita media della<br />
Cinciallegra adulta è comunque molto<br />
bassa, essa può vivere in media dai due ai<br />
tre anni pur se alcuni esemplari, molto<br />
raramente però, possono arrivare anche a<br />
6-7. I suoi piccoli vengono alimentati in<br />
CINCIALLEGRA<br />
continuazione tant’è vero che si calcola<br />
che una coppia in allevamento porti l’imbeccata ai piccoli per oltre cinquantamila<br />
volte. Un detto popolare dice che la Cinciallegra porti la primavera: è<br />
infatti il primo uccello che si sente cantare e il suo verso sembra dire: “fuori<br />
tutti, fuori tutti fuori tutti”……che l’inverno è finito e la bella stagione sta per<br />
iniziare.<br />
Ha un’apertura alare di circa 24 cm, una lunghezza di 13/15 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 18/22 gr ed un’aspettativa di vita di 2/3 anni. Depone da 6 a<br />
12 uova di color bianco punteggiate di beige che cova per 12/13 giorni. Ha<br />
uno status esistenziale discreto. Nell’ambito del progetto di educazione<br />
ambientale della Provincia di Treviso, vengono inseriti nei cortili delle scuole<br />
delle cassette nido per la reintroduzione nel territorio di alcuni uccelli. La<br />
Cinciallegra fra gli altri è quella maggiormente presente.<br />
55
L’ AVERLA<br />
E’ tipico abitatore dei vigneti e di zone ricche di cespugli; se eccitato muove<br />
la coda in qua e in là. Non è un rapace pur avendo tante affinità con questa<br />
specie. E’ infatti dotato di un forte becco leggermente adunco e dentato e possiede<br />
dei veri e propri artigli al posto delle unghie.<br />
Ad accostarlo ancora di più ai falconidi è la sua alimentazione in quanto le<br />
sue prede preferite sono quelle tipiche degli uccelli predatori: arvicole, topolini,<br />
piccoli rettili, lucertole, anfibi e piccoli uccelli che dopo la cattura ama<br />
infilzare su spine e ramoscelli lasciandoli “appassire” per qualche giorno<br />
prima di nutrirsene. Svariate sono le interpretazioni per questo curioso e strano<br />
comportamento: per taluni sarebbe un modo più comodo per poter dilaniarne<br />
le carni, mentre la tradizione popolare ha sempre ritenuto che questo<br />
fosse un modo per poter contare su delle scorte alle quali ricorrere nei<br />
momenti di magra, dovuta magari a giornate piovose.<br />
Che il motivo di questo comportamento sia appunto quello di avere delle<br />
“dispense” di riserva, risulterebbe anche dal fatto che molte di queste prede<br />
vengono sapientemente infilzate sulle spine all’altezza delle prime vertebre,<br />
dietro l’articolazione del capo, così da rimanere paralizzate, ma ancora in vita<br />
e durare quindi più a lungo evitando la decomposizione anticipata.<br />
Anche nel caso si trattasse di insetti, l’Averla, prima di cibarsene, ha nei loro<br />
confronti un trattamento particolare:<br />
mantiene la preda ben stretta nel becco<br />
strappando con i piccoli, ma forti artigli<br />
le parti chitinose più ampie; se si tratta di<br />
bruchi, a colpi di becco ne estrae addirittura<br />
l’intestino e quando cattura un imenottero<br />
lo priva del suo pungiglione sfregandolo<br />
ad arte contro un ramo.<br />
E’ raro poter ascoltare il canto<br />
AVERLA PICCOLA<br />
56
dell’Averla e comunque, sempre e solo, dopo il suo immediato ritorno dai luoghi<br />
di svernamento. I fortunati fruitori del suo canto hanno così modo di<br />
apprezzare le sue qualità canore e di vivere un’esperienza particolare.<br />
Oltre al tipico verso della sua specie, questo uccello ha modo di farsi apprezzare<br />
per le varie imitazioni del canto di numerosi altri volatili, riunite in una<br />
armoniosa ed eccellente composizione, che esegue per lungo tempo.<br />
Ha un’apertura alare di circa 25 cm, una lunghezza di 16/17 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 23/28 gr ed un’aspettativa di vita di 2/4 anni. Depone da 4 a<br />
6 uova, di colore variabile verdino giallino e rossiccio picchiettate di bruno,<br />
che cova per 14/15 giorni. Ha uno status esistenziale preoccupante.<br />
IL CROCIERE<br />
La curiosità maggiore di questo uccello è quella di possedere un becco incrociato,<br />
forse unico nel mondo degli uccelli, che dà appunto origine al suo<br />
nome: Crociere. La sua dieta è composta quasi essenzialmente di semi di<br />
conifere, che estrae dalle squame legnose delle pigne, grazie alla conformazione<br />
incrociata delle punte di questo becco che funziona come un apriscatole.<br />
Un altro particolare significativo è dovuto all’abbondanza anche nei mesi<br />
freddi del cibo di cui si nutre, quindi è in grado di nidificare molto precocemente;<br />
si possono trovare nidi di Crociere infatti fin da gennaio. Per questo<br />
loro trafficare incessantemente con i frutti<br />
di conifere, i Crocieri hanno spesso il<br />
piumaggio ricoperto da un leggero strato<br />
di resina il che talvolta impedisce ai<br />
corpi dei volatili morti di decomporsi,<br />
restando soggetti ad un processo di<br />
mummificazione naturale. Questi uccelli<br />
sono anche famosi per i grandi stormi<br />
che formano durante le loro migrazioni<br />
57<br />
CROCIERE
provocate da sovrappopolamento o a scarsità di cibo. Spesso, a causa della<br />
loro entità numerica molto elevata, questi stormi destano un’attenzione notevole.<br />
Ricorda un cronista inglese che nel lontano 1251 un enorme stormo di<br />
Crocieri aveva letteralmente “sommerso” il suo paese.<br />
Ha un’apertura alare di circa 28 cm, una lunghezza di 15/16 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 36 gr ed un’aspettativa di vita di 2/4 anni. Depone da 3 a 4<br />
uova, di color beige chiaro con rare macchie brunastre, che cova per 14 /16<br />
giorni. Ha uno status esistenziale buono.<br />
IL FROSONE<br />
Questo uccello dalla struttura corporea corta e tozza, che lo rende un animale molto<br />
vigoroso, presenta una particolare curiosità: un becco talmente forte da diventare<br />
oggetto di studio e di approfondimento da parte di tanti studiosi e zoologi. Il Frosone<br />
è un uccello granivoro e per arrivare al seme della ciliegia, dell’oliva o del susino<br />
deve spolpare il frutto e arrivare al nocciolo che con estrema facilità riesce a rompere.<br />
Un noto studioso francese di Frosoni scrive in un suo testo: “Il loro cranio è<br />
stato ammirato da ingegneri meccanici come un esempio perfetto di adattamento a<br />
sollecitazioni particolarmente forti. In questo cranio ogni linea retta e curva è rinforzata,<br />
puntellata e ingrossata, in modo da aumentarne la robustezza. La forza necessaria<br />
per rompere tali semi è stata misurata per mezzo di speciali apparecchi costruiti<br />
a imitazione del becco di questi uccelli. In<br />
uno di questi congegni per rompere dei noccioli<br />
di ciliegia fu necessario esercitare una<br />
forza da 27,5 a 43,2 kg; mentre per rompere<br />
i noccioli di oliva decisamente più duri<br />
furono necessari da 45,8 a 68,3 kg”. Lo studioso<br />
in questione evidenzia il fatto che questi<br />
dati da capogiro devono essere confrontati<br />
con il peso corporeo dei Frosoni non<br />
FROSONE<br />
58
superiore ai 55 gr. Un’altra curiosità del Frosone è rappresentata dal fatto che, al<br />
contrario di altri uccelli, esso si presenta in grande quantità tra resti fossili; in uno<br />
di questi resti, scoperto in Polonia nel 1910 in un deposito dell’era glaciale, fu recuperato<br />
addirittura lo stomaco dell’uccello, all’interno del quale furono rinvenuti<br />
semi di ciliegie selvatiche, piante tuttora presenti nella stessa regione ed ancora<br />
predilette dai Frosoni presenti in quei luoghi. Ha un’apertura alare di circa 31<br />
cm, una lunghezza di 16/18 cm, un peso corporeo di circa 55 gr ed un’aspettativa<br />
di vita di circa 2/4 anni. Depone da 3 a 7 uova di color grigio azzurrastro con macchie<br />
bruno-oliva, che incuba per 12/14 giorni. Ha uno status esistenziale buono.<br />
IL RIGOGOLO<br />
È conosciuto con diversi nomi dialettali:<br />
“Compare Piero”, “Miglioro” e “Uccello<br />
della Pentecoste”. (Poichè ritorna nei<br />
luoghi di nidificazione piuttosto tardi a<br />
primavera inoltrata). Per costruire il suo<br />
nido sceglie sempre un grande albero con<br />
delle chiome molto frondose e nella parte<br />
alta ed esterna, da quel gran “artigiano”<br />
qual’è, intreccia in maniera perfetta e con<br />
grande maestria lunghi fili d’erba nella<br />
RIGOGOLO<br />
biforcazione orizzontale del ramo in<br />
modo che alla fine del suo lavoro il nido risulterà una specie di amaca sospesa<br />
nel vuoto. Particolare curioso: per far si che i fili d’erba non si sfilaccino e<br />
che il nido non cada, il Rigogolo, a opera conclusa, passa ogni stelo con la sua<br />
saliva che è un ottimo collante così da rendere i fili d’erba, che sostengono il<br />
nido, particolarmente resistenti. Nonostante i colori vistosi del maschio è difficile<br />
scorgerlo mimetizzato com’è nel folto del fogliame, la sua presenza si<br />
avverte soltanto in seguito al suo canto che difficilmente sfugge all’ascolto. Il<br />
59
dimorfismo (la differenza) sessuale tra il maschio e la femmina è notevole, e i<br />
giovani Rigogoli fino a muta conclusa hanno lo stesso piumaggio della madre.<br />
La femmina porta a termine una sola covata in quanto già ad agosto per questa<br />
specie inizia la grande avventura della migrazione; questi uccelli attraversano<br />
tutta l’Africa e svernano nella parte meridionale del continente nero. Ecco<br />
perché partono presto e arrivano tardi rispetto alle altre specie. Ha un’apertura<br />
alare di circa 35 cm, una lunghezza di 23/25 cm, un peso corporeo di 52/55 gr<br />
ed un’aspettativa di vita di 3/5 anni. Depone da 4 a 5 uova di colore biancastro,<br />
tendente al rosa, picchiettate di bruno violaceo e le cova per 14/15 giorni.<br />
Ha uno status esistenziale discreto.<br />
LA GAZZA<br />
In dialetto “Gaia” o “Checa”. Un tempo veniva allevata e addomesticata dall’uomo<br />
che la lasciava libera nel cortile della casa colonica unitamente agli<br />
altri volatili, come galline, colombi, tacchini e altri. È ovvio che non era detenuta<br />
per la sua carne (si dice non sia buona) bensì per compagnia.<br />
Obbediente, intelligente, per molti appassionati è pure stata una spalla ideale<br />
in spettacoli televisivi e teatrali. L’appellativo di “ladra” le è appropriato poichè<br />
è attratta da tutto ciò che luccica e quindi anche dai gioielli. Un tempo si<br />
cercavano i nidi di gazza proprio per ritrovare, la catenina o il braccialetto<br />
d’oro, improvvisamente scomparsi,<br />
molto spesso si aveva la bella sorpresa di<br />
ritrovarli proprio all’interno del nido,<br />
insieme a pezzettini di vetro, frammenti<br />
di specchio e altro ancora, tutti oggetti<br />
che la Gazza riteneva utili per adornare<br />
la sua “casa”. Volatile ciarliero e chiassoso<br />
(alcuni linguisti fanno derivare da<br />
Gazza il termine “gazzarra”), ha una<br />
60<br />
GAZZA LADRA
voce rauca e sgradevole che rivela chiaramente nelle varie intonazioni lo stato<br />
d’animo dell’animale. Si nutre di qualsiasi alimento: insetti, molluschi, piccoli<br />
invertebrati, granaglie, frutta e bacche, ma non disdegna nemmeno le carogne<br />
di animali morti pur se il suo cibo preferito è costituito da uova e da pullus<br />
di uccelli, che, famelica, preda dai loro nidi.<br />
Molti soggetti hanno l’abitudine di premunirsi contro periodi di carestia accumulando<br />
scorte di cibo e nascondendole nelle cavità degli alberi o in altri<br />
nascondigli. Gli antichi Romani usavano tenere presso la porta di casa una<br />
gabbia con dentro una Gazza addestrata a rivolgere il saluto ai visitatori.<br />
Ha un’apertura alare di circa 55 cm, una lunghezza di 43/45 cm, un peso corporeo<br />
di 220/250 gr ed un’aspettativa di vita di 12/13 anni. Depone 6/8 uova<br />
di colore grigio verde azzurrognolo con macchie olivastre, e le cova per 25/27<br />
giorni. Ha uno staus esistenziale in esasperato aumento.<br />
L’ UPUPA<br />
Presente in molti esemplari nel nostro territorio fino ad una quarantina d’anni<br />
fa, oggi sopravvive a stento in pochissimi esemplari a causa della scomparsa<br />
del suo habitat preferito: la siepe con i salici selvatici che, invecchiando,<br />
lasciavano degli anfratti sui quali, appunto, l’Upupa nidificava. Era molto<br />
facile pertanto trovare il suo nido, bastava visitare questi siti, attirati anche da<br />
un odore nauseabondo che si spargeva tutto intorno. Gli uccelli in genere,<br />
mantengono puliti i loro nidi dalle deiezioni dei piccoli, per evitare che il cattivo<br />
odore attiri i predatori; cosa questa che l’Upupa non fa lasciando tutte le<br />
feci intorno al nido. A difendere la sua nidiata ha però provveduto madre natura;<br />
i “pullus” infatti sono dotati di sostanze puzzolenti che in caso di pericolo<br />
vengono “spruzzate” dalla ghiandola uropigia contro il predatore che sarà<br />
così costretto ad abbandonare le potenziali prede. Questi schizzi sono preceduti<br />
da un primo avvertimento: un forte sibilo emesso, sia in coro che singolarmente,<br />
con l’intento di allontanare i predatori. Spesso questo sibilo intimo-<br />
61
iva anche l’uomo che, prima di introdurre<br />
la mano nell’anfratto, ci pensava due<br />
volte temendo la presenza, di qualche<br />
altro animale. A contribuire e ad aumentare<br />
il cattivo odore prodotto dalle deiezioni<br />
e dagli schizzi, è la stessa femmina<br />
in cova nel nido; essa secerne una sostanza<br />
maleodorante che impregna il nido<br />
UPUPA<br />
stesso e ovviamente i piccoli, ma non<br />
basta, perchè a completare il quadro anche i “pullus” producono la stessa<br />
sostanza puzzolente e maleodorante. L’Upupa possiede un’altra curiosità<br />
meritevole di essere segnalata: essa si nutre di vermi, grillotalpe, coleotteri e<br />
bruchi di ogni genere, cercati nel terreno, fra i sassi e nello sterco del bestiame.<br />
Prima di inghiottire le prede più grosse, le libera delle parti chitinose sbattendole<br />
più volte a terra fino a che le ali, la testa e le zampe non si staccano<br />
dal corpo riducendone in questo modo le dimensioni, ma l’Upupa ha un becco<br />
troppo sottile e la piccola lingua non riesce ancora a spingere all’interno del<br />
gozzo il prelibato “boccone”. Allora ricorre ad uno stratagemma tutto suo.<br />
Lancia in alto la preda e la afferra con il becco spalancato così da inghiottirla<br />
di colpo senza molta fatica. L’Upupa in volo sembra una grossa farfalla per<br />
il suo battito d’ali molto lento e per la traiettoria piuttosto ondulata.<br />
Ha un’apertura alare di circa 45 cm, una lunghezza di 25/27 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 65/70 gr ed un’aspettativa di vita di 8/9 anni. Depone da 6 a<br />
8 uova color bianco grigioverde, e le cova per 17/19 giorni. Ha uno status esistenziale<br />
preoccupante.<br />
62
“Con tutti gli esseri e tutte le cose noi saremo fratelli.”<br />
Proverbio Pellerossa
LA GRACULA<br />
La Gracula religiosa detta anche Maina o ancora Merlo indiano, è originaria<br />
dell’India anche se ormai fa parte degli uccelli frequentemente allevati e detenuti<br />
per affezione da parte di tanti appassionati.<br />
Allo stato selvatico nei luoghi d’origine è molto apprezzata dagli indigeni<br />
nonostante le dannose scorrerie nei campi coltivati. Sin dai tempi antichissimi<br />
era uso in India tenere questi volatili in cattività e bisogna dire che le<br />
Gracule per il bell’aspetto, la vivace intelligenza, la perfetta adattabilità alla<br />
vita captiva, risultano piacevolissimi pennuti ornamentali. Ma il pregio maggiore<br />
di questo volatile risiede nelle notevoli capacità mimiche che lo rendono<br />
capace non solo di riprodurre il canto di altri uccelli, il verso di altri animali<br />
e di apprendere a fischiettare semplici<br />
“ariette”, ma soprattutto di ripetere<br />
con estrema chiarezza alcune parole del<br />
linguaggio umano. A questo riguardo le<br />
Gracule superano di molto i Pappagalli,<br />
non solo perché riescono a ripetere un<br />
maggior numero di parole, ma per il tono<br />
della voce che assomiglia in modo sorprendente<br />
a quello umano. All’uso della<br />
“parola” anche le Gracule, come i<br />
GRACULA<br />
Pappagalli, vanno pazientemente addestrate.<br />
Un’altra particolarità curiosa è dovuta al fatto che questi uccelli, se particolarmente<br />
addestrati, sono capaci di seguire passo dopo passo il proprietario<br />
e di accorrere, con una prontezza incredibile, al suo richiamo.<br />
Ha un’apertura alare di circa 42 cm, una lunghezza di 28/32 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 130/140 gr e una aspettativa di vita di 15/20 anni. Depone da<br />
2 a 4 uova di colore biancastro e le cova per 27/29 giorni. Ha uno status esistenziale<br />
buono.<br />
65
I PAPPAGALLI<br />
Primo particolare curioso che riguarda questa specie è rappresentato dal fatto<br />
che è presente in tutti i continenti fatta eccezione per l’Europa, tuttavia grazie<br />
al ritrovamento di fossili di Pappagalli Cenerini africani, se n’é potuta dimostrare<br />
la presenza, risalente a circa 40-50 milioni di anni fa, anche nel nostro<br />
continente. Il Pappagallo è molto apprezzato per i suoi variopinti colori e per<br />
la sua particolare capacità di imitare le parole umane. Quasi tutti i Pappagalli<br />
usano il becco come se fosse la loro terza zampa, principalmente quando si<br />
arrampicano su di un albero. Già migliaia di anni fa l’uomo si interessò ai<br />
Pappagalli: fu un timoniere di una nave di Carlo Magno a portare in Europa i<br />
primi esemplari vivi. Nell’antica Roma già si allevavano Pappagalli, come<br />
ricorda Plinio il Vecchio dissertando, a proposito di questi uccelli, che sembravano<br />
capaci di parlare. Egli descrisse un singolare metodo per indurli a<br />
farlo: “si prenda un bastone duro quanto il becco dell’animale e con esso lo si<br />
picchi sul capo”. In una nota della Curia, che risale al quattordicesimo secolo<br />
e conservata negli archivi Vaticani, si cita un “custode dei Pappagalli”.<br />
Sempre in questo periodo l’imperatore tedesco Federico 2°, considerato il<br />
fondatore dell’ornitologia scientifica, possedeva un Cacatua Alba, donatogli<br />
dal sultano di Babilonia. Un’altra curiosità su questi volatili, vuole che abbiano<br />
contribuito alla scoperta dell’America. Uno stormo di questi uccelli,<br />
secondo certi racconti, avrebbe indotto Colombo a un decisivo mutamento di<br />
rotta per seguirlo; il celebre navigatore collegò la presenza dei Pappagalli alla<br />
vicinanza della terra ferma, intuizione felice che poi si realizzò. I Pappagalli<br />
sono molto longevi: gli Ondulati possono arrivare facilmente ai 13 anni, ma<br />
aumentando le dimensioni si sono avuti casi di Cacatua, Amazzoni e Are che<br />
hanno raggiunto gli 80 anni e talvolta superato anche il secolo di vita. Il più<br />
ciarliero dei pappagalli è il Cenerino; certi esemplari di questa specie<br />
Africana riescono a ripetere anche 90 parole. Un artista di un circo poneva al<br />
suo “pupillo” ben 30 domande in quattro diverse lingue, l’uccello dava le<br />
66
isposte imparate a memoria nella lingua<br />
giusta. Il celebre Perzina, riconosciuto<br />
come il padre dei Pappagalli, riusciva a<br />
far rappresentare dai suoi Uccelli una<br />
scena di addio alla stazione ferroviaria<br />
con le diverse parti perfettamente distribuite:<br />
“salire sulla carrozza e chiudere la<br />
porta”, “non sporgersi dai finestrini”;<br />
PAPPAGALLO CENERINO<br />
continuava poi con il fischio, il rumore<br />
del convoglio che partiva e concludeva con “arrivederci mamma”. Questi<br />
risultati si ottengono in quanto l’animale tende a creare un rapporto stretto<br />
con il suo tutore, che viene ad assumere il ruolo di compagno mancante.<br />
Tutti i Pappagalli hanno un comportamento sociale e farli vivere soli è per<br />
essi una grande sofferenza. Ecco perché l’uomo deve trascorrere molte delle<br />
sue ore creando questo rapporto sostitutivo. I grandi Pappagalli tenuti isolati<br />
purtroppo molto spesso si strappano da soli le penne delle ali e della coda. La<br />
causa di questo comportamento molto spiacevole va ricercata nella noia della<br />
solitudine.<br />
Sono molte le specie di Pappagalli ormai allevate dall’uomo e soprattutto<br />
sono molte diverse le loro dimensioni, il loro peso corporeo, il numero delle<br />
uova deposte e la loro longevità.<br />
67
L’ AQUILA REALE<br />
E’ indubbiamente uno degli uccelli più imponenti e maestosi. Per tale ragione sin<br />
dai tempi dell’antichità è assurta a simbolo di nobiltà e di fierezza, e la sua immagine<br />
è stata riprodotta su innumerevoli stemmi gentilizi. Leggermente più piccola<br />
solo dell’Aquila di mare, è comunque la più forte, grazie soprattutto alla potenza<br />
dei suoi artigli. Per avere ragione anche delle prede più combattive, l’Aquila<br />
reale gioca soprattutto sul fattore sorpresa: durante la caccia esamina infatti con<br />
molta attenzione il territorio, abbassandosi a breve distanza dalla terra, una volta<br />
individuata la preda anziché cacciarla con il rischio di vedersela sfuggire, preferisce<br />
“ allontanarsi” e risalire rapidamente a grandi altezze, per poi calare su di essa<br />
con una picchiata fulminea e inaspettata, atterrendo in tal senso la preda con la sua<br />
improvvisa apparizione, tanto che questa rimarrà immobile come pietrificata.<br />
Riuscirà così a ucciderla facilmente. Una volta affondati gli artigli sulla preda, se<br />
si tratta di un animale vigoroso, si lascerà trasportare anche per centinaia di metri<br />
senza mollare la presa, finchè la vittima cadrà sfinita per le profonde ferite e le<br />
abbondanti perdite di sangue. Le prede preferite vanno dai cuccioli di Camosci,<br />
Caprioli e Cervi, a Marmotte, Volpi, Conigli selvatici e Lepri, che vengono portati<br />
successivamente in un luogo aperto per venire dilaniati a colpi del suo possente<br />
becco adunco. Se si tratterà di uccelli, l’Aquila li ghermirà in volo e li ucciderà<br />
con un ben assestato colpo dell’unghia del dito posteriore prima di trasportarli<br />
nel suo nido. In certi paesi asiatici, è<br />
ancora attuale il mercato delle Aquile che<br />
vengono addestrate per la caccia in particolare<br />
a Volpi, Caprioli, e Lupi. Il loro prezzo<br />
è fissato in due o più Cavalli o in due o più<br />
Cammelli, a seconda della bontà dell’addestramento<br />
del rapace. L’Aquila ha bisogno<br />
di un habitat molto esteso (8.000/10.000<br />
ha) sul quale costruisce alcuni nidi che<br />
AQUILA<br />
68
sono usati alternativamente nel corso degli anni. L’Aquila depone generalmente<br />
due sole uova con un intervallo, tra il primo e il secondo, anche di quattro giorni;<br />
in qualche rara occasione può deporne anche tre. I pullus lasciano il nido dopo 70<br />
giorni circa e raggiungono la maturità sessuale solamente al quarto anno di età.<br />
Come gli altri rapaci, una volta compiuta la digestione anche l’Aquila rigurgita le<br />
cosiddette “borre piumate”, un ammasso di piume e ossa delle prede che non riesce<br />
a defecare. Ha un’apertura alare di circa 200 cm, una lunghezza di 78/83 cm,<br />
un peso corporeo di 4/6 kg ed un’aspettativa di vita di circa 25 anni. Depone generalmente<br />
2 uova di colore bianco con grandi chiazze color rosso-bruno e le cova<br />
per circa 45 giorni. Ha uno status esistenziale preoccupante.<br />
La fiaba<br />
“L Aquila e la Volpe”<br />
Un’Aquila e una Volpe divennero amiche e decisero di abitare una accanto all’altra,<br />
convinte di rafforzare il loro sentimento. Così l’Aquila volò sopra ad una rupe<br />
e vi costruì il suo nido dove nacquero i suoi piccoli, la Volpe scelse un cespuglio<br />
sotto la stessa rupe dove scavò la sua tana e partorì i suoi cuccioli. Un giorno,<br />
mentre mamma Volpe era a caccia di prede per nutrire i suoi cuccioli, l’Aquila<br />
osservandoli mentre giocherellavano al di fuori della tana, piombò su di essi e se<br />
li portò nel suo nido dove, insieme ai suoi piccoli, li divorò. Al ritorno dalla caccia,<br />
mamma Volpe scoprendo il misfatto fu colta da un grande sconforto, sia per la<br />
morte dei suoi cuccioli sia per il tradimento subito da parte dell’amica. Da allora,<br />
pur se impotente perché mai avrebbe potuto arrivare fin sopra la rupe, pensò solo<br />
alla vendetta. E non passò molto tempo. Un giorno l’Aquila osservò dall’alto della<br />
sua dimora, che a valle si stava offrendo in sacrificio una capra agli dèi, essa piombò<br />
giù e ghermì uno dei visceri dell’animale sacrificato senza accorgersi che stava<br />
prendendo fuoco; una volta tornata sul nido, lo depose fra la paglia e i rami secchi,<br />
ma una folata di vento accese una vivida fiammata che investi i suoi piccoli<br />
che in breve bruciarono e caddero al suolo. La Volpe allora accorse e se li divorò<br />
sotto gli occhi atterriti della madre che osservava dall’alto della rupe. (Esopo)<br />
69
FALCO PECCHIAIOLO<br />
La buona riuscita della sua covata dipende dalla quantità di vespe, api e calabroni<br />
allo stato larvale che riesce a trovare. E’ meno interessato agli insetti<br />
adulti dei quali tuttavia non teme le punture, protetto com’è, da un piumaggio<br />
forte e ispido disposto regolarmente tra il becco e gli occhi con il compito di<br />
proteggere la vista durante la cattura di<br />
questi insetti. Nello stomaco e nel gozzo<br />
di alcuni Pecchiaioli furono rinvenute<br />
vespe e api prive di pungiglione, e questo<br />
portò a ritenere che questo falconide<br />
provvedesse ad eliminare il pericoloso<br />
organo, prima di inghiottire gli insetti.<br />
Un Pecchiaiolo, intento a raspare sul terreno<br />
alla ricerca dei nidi di vespe è talmente<br />
preso da questo lavoro, che non si<br />
FALCO PECCHIAIOLO<br />
accorgerebbe nemmeno dell’avvicinarsi<br />
dell’uomo che lo potrebbe facilmente catturare con le mani, se esso non fosse<br />
circondato da un nugolo di insetti ronzanti. Alcuni anziani raccontano di aver<br />
osservato più volte che dei Pecchiaioli di fronte alla carcassa di animali morti<br />
da giorni, non si nutrivano della loro carne, bensì delle larve di mosconi che<br />
trovavano nelle carogne. Naturalmente questi rapaci si cibano anche di rettili,<br />
uccelli e piccoli mammiferi ma talvolta non disdegnano nemmeno frutta e<br />
bacche. Il Pecchiaiolo non si costruisce il nido da sé, ma opportunamente<br />
sfrutta un vecchio nido abbandonato di Astori o Poiane, restaurandolo.<br />
Generalmente nascono due pullus, solo raramente tre, ma quasi sempre sarà<br />
uno solo ad arrivare alla maturità. I piccoli depongono le loro deiezioni sul<br />
fondo del nido e non oltre il bordo del medesimo, come fanno generalmente<br />
gli uccelli; queste deiezioni, tra l’altro, molto dense e scure, imbrattano il nido<br />
e di conseguenza i genitori devono portare in continuazione del fogliame fre-<br />
70
sco per isolarle. Contrariamente alla maggior parte degli altri uccelli, i<br />
Pecchiaioli non provvedono ad eliminare i resti del pasto dal nido dopo aver<br />
nutrito i pullus, per cui con il trascorrere dei giorni i favi finiscono per accumularsi<br />
gli uni sugli altri sino a impedirne i movimenti. Un’altra curiosità,<br />
questa volta assurda, riguarda l’abbattimento sistematico di questo splendido<br />
rapace quando questi rientra in Italia dopo lo svernamento. I Pecchiaioli vengono<br />
abbattuti a centinaia ogni anno intorno allo stretto di Messina dall’uomo<br />
della strada, convinto che una volta abbattuto un Pecchiaiolo la propria<br />
moglie non lo tradirà mai….<br />
Ha un’apertura alare di circa 130 cm, una lunghezza di 50/55 cm, un peso corporeo<br />
di 750/1150 gr ed un’aspettativa di vita di 23 anni. Depone 2/3 uova di<br />
color biancastro picchiettate di porpora scuro e le cova per 33/35 giorni. Ha<br />
uno status esistenziale discreto.<br />
LA POIANA<br />
E’ sicuramente il rapace più diffuso e popolare nella nostra zona. Essa nidifica<br />
nelle foreste, mentre caccia in prevalenza nelle zone agricole aperte, che<br />
esplora dall’alto con volo planato, librandosi talvolta immobile nell’aria.<br />
Alcuni studiosi hanno dimostrato che la preda preferita dalla Poiana è il topo<br />
campagnolo; tale roditore costituisce circa il 40% delle sue prede; se si tiene<br />
poi conto delle altre specie di topi catturate,<br />
si raggiunge una percentuale di oltre<br />
il 50%. Questo rapace non disdegna<br />
cibarsi anche di uccelli, locuste, serpenti,<br />
coleotteri e lombrichi con i quali integra<br />
la propria dieta.<br />
Un tempo era considerato un grave pericolo<br />
per i pulcini di gallina o altri animali<br />
da cortile domestici. Il volteggiare in<br />
71<br />
POIANA
cielo della Poiana, metteva in allerta le donne delle campagne, che si passavano<br />
parola del pericolo incombente e correvano nei cortili e nei campi circostanti<br />
le abitazioni per portare al riparo nei recinti e nelle stalle i piccoli animali,<br />
preservandoli dall’attacco del predatore. Particolare curioso: chi percorre<br />
l’autostrada, che porta da Padova a Bologna (ma pure altrove), potrà osservare<br />
diverse Poiane appollaiate sulla rete di recinzione che delimita l’arteria<br />
stradale dall’aperta campagna. La scarsità di cibo e un habitat davvero stravolto,<br />
ha trasformato questi abili rapaci in veri e propri opportunisti; essi<br />
infatti attendono che qualche uccello o qualche mammifero venga travolto dal<br />
traffico per volare su di esso, ghermirlo dalla sede stradale e portarselo sul terreno<br />
aperto per potersene cibare. Ha un’apertura alare di circa 115 cm, una<br />
lunghezza di 52/55 cm, un peso corporeo di 700/1100 g ed un’aspettativa di<br />
vita di circa 20 anni. Depone 2/3 uova di color biancastro con macchie brunoruggine<br />
e le cova per 27/28 giorni. Ha uno status esistenziale buono.<br />
IL BARBAGIANNI<br />
E’ uno dei rapaci notturni più diffusi, tipico abitatore di campanili, granai, soffitte<br />
e anfratti di vecchie case. Una sua stranezza deriva dal fatto che inizia a<br />
covare dopo la deposizione del primo uovo; in questo modo i piccoli della sua<br />
covata avranno svariate dimensioni, i piccoli potranno avere cinque o anche<br />
sei giorni di differenza l’uno dall’altro.<br />
Come tutti i rapaci notturni, possiede un piumaggio molto folto e ciò gli consente<br />
un volo molto silenzioso grazie anche ad una particolare struttura pettinata<br />
della parte più esterna dell’ala, che impedisce la vibrazione dell’aria spostata.<br />
Ciò dà al Barbagianni un grande vantaggio all’atto della cattura della<br />
preda prescelta. Le zampe sono piuttosto lunghe e ricoperte di piume, gli artigli<br />
hanno un rado rivestimento di peli, l’artiglio esterno è reversibile, può, cioè,<br />
essere spostato sia lateralmente che all’indietro. Come altri predatori della<br />
notte possiede un udito molto sviluppato che gli permette di localizzare la<br />
72
preda anche nell’oscurità più profonda.<br />
Il Barbagianni non si spinge sulle montagne<br />
nemmeno per cacciare, in quanto è<br />
molto sensibile al freddo e non possiede<br />
la proprietà di poter immagazzinare, in<br />
autunno, grandi quantità di grasso. Negli<br />
inverni più rigidi, quando la neve copre il<br />
terreno, molti barbagianni non riescono a<br />
BARBAGIANNI<br />
sopravvivere e muoiono. Anche i piccoli<br />
nel nido sono piuttosto freddolosi ed è sufficiente che la temperatura scenda<br />
di qualche grado perché si addossino l’uno all’altro per riscaldarsi, così come<br />
del resto fanno pure i mammiferi. Il Barbagianni è molto fedele al suo territorio,<br />
quindi nemmeno i giovani in età riproduttiva si allontanano di molto<br />
dall’habitat in cui sono nati. Le sue prede preferite sono quelle tipiche degli<br />
Stringiformi in genere: Topi, Topi campagnoli, Arvicole terrestri, Ratti, Talpe<br />
e piccoli Uccelli. Ma la preda preferita dal Barbagianni è costituita dai<br />
Pipistrelli che vengono catturati in volo quando escono dai loro antri emettendo<br />
i tipici squittii che richiamano l’attenzione del predatore. Per secoli è stato<br />
considerato il “marito” della Civetta. Effettivamente i due uccelli notturni frequentano<br />
spesso gli stessi ambienti, perciò vederli insieme nei casolari e nei<br />
fienili contribuì ad accomunarli in un modo tanto improprio.<br />
Ha un’apertura alare di circa 90 cm, una lunghezza di 33/37 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 350 gr e una aspettativa di vita di 7/9 anni.Depone da 4 a 7<br />
uova di color biancastro e le cova per 32/34 giorni. Ha uno status esistenziale<br />
molto precario.<br />
73
LA CIVETTA<br />
Tipica abitatrice delle vecchie case coloniche, trova tuttavia habitat ideale<br />
anche in buchi di alberi, anfratti e altre cavità. E’ il rapace notturno più conosciuto<br />
e popolare. Diverse sono le curiosità che riguardano la Civetta. Il suo<br />
canto, per chi avesse la sventura di sentirlo, sarebbe portatore di disgrazie, ma<br />
ciò non è certamente veritiero; contrariamente agli altri rapaci notturni la<br />
Civetta si può osservare, sia pure raramente, anche di giorno posata su pali,<br />
tetti e altri posatoi; caratteristici sono i suoi rapidi movimenti da destra a sinistra,<br />
in alto e in basso del capo e del corpo, conosciuti come delle “riverenze”<br />
che indicano la sua titubanza quando si sente scoperta; durante gli inverni più<br />
rigidi molti esemplari di Civetta muoiono di inedia. Come del resto per altri<br />
rapaci notturni, il numero di cellule visive nella retina è altissimo e abbondano<br />
soprattutto quelle che consentono la visione in “bianco e nero” anche di<br />
notte. La posizione frontale degli occhi non permette a questi rapaci una<br />
buona visione laterale, ciò significa che la loro vista sarà naturalmente precisa,<br />
ma solo in una ristretta zona del campo visivo, appunto quella frontale, ciò<br />
rende possibile una buona visione in profondità e quindi una sicura percezione<br />
delle distanze. Gli occhi della Civetta, come del resto quella di tutti i rapaci<br />
notturni, sono assai grandi e, come si è detto, immobili; di conseguenza gli<br />
uccelli devono volgere il capo ogni qualvolta vogliono mutare la direzione<br />
dello sguardo. Questo rapace come del<br />
resto gli altri della sua famiglia, è allora<br />
in grado di girare la testa fino a 270° (riesce<br />
in pratica a roteare il capo e a portare<br />
gli occhi dietro le spalle) e questa<br />
incredibile opportunità è necessaria per<br />
poter controllare tutto intorno alla ricerca<br />
delle prede in maniera silenziosa, senza<br />
doversi spostare sul ramo. Un udito finis-<br />
CIVETTA<br />
74
simo è infine il senso maggiormente sviluppato che aiuterà il rapace notturno<br />
nelle sue cacce. Nell’antica Grecia la Civetta era sacra e il suo nome scientifico,<br />
Athene noctua, ci ricorda che era associata ad Atena, la dèa della sapienza.<br />
Per gli indiani d’America le Civette rappresentano, ancora oggi,<br />
l’incarnazione del Grande Spirito che ammonisce gli uomini per la mancanza<br />
di rispetto verso gli animali; gli aborigeni australiani infine credono che le<br />
Civette racchiudano l’anima femminile. Una espressione assai comune e<br />
attuale, definisce la donna truccata ed elegante: un po’ “civettuola”.<br />
Ha un’apertura alare di circa 55 cm, una lunghezza di 20/22 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 180/190 gr ed una longevità di 6/10 anni. Depone da 4 a 8<br />
uova di colore bianco e le cova per 25/27 giorni. Ha uno status esistenziale<br />
molto precario.<br />
IL GUFO COMUNE E REALE<br />
E’ un rapace notturno, ma la sua prerogativa consiste nel cacciare già nel<br />
pomeriggio per alimentare i suoi piccoli sempre piuttosto numerosi e quindi<br />
sempre affamati. Abita boschi e boscaglie dove non costruisce il suo nido, ma<br />
utilizza quelli di Gazze e Cornacchie abbandonati. I piccoli, quando nascono,<br />
sono coperti da un piumino bianco rosato, mutato con il passare dei giorni con<br />
il piumaggio da adulti. Molto simile all’Assiolo, si differenzia dallo stesso per<br />
le dimensioni quasi doppie, per il colore del suo piumaggio di un caldo marrone,<br />
per i suoi occhi gialli e per due ciuffetti di penne poste sulla punta delle<br />
orecchie anch’essi molto più evidenti. La femmina generalmente è più grande<br />
del maschio.<br />
Accanto al Gufo comune si distingue il Gufo reale. Decisamente più grande<br />
e più grosso si differenzia anche per la posizione dei ciuffetti di penne posti<br />
sulle orecchie: anziché essere ben ritti verticalmente, sono spostati lateralmente.<br />
Il Gufo reale vive in particolari gole dalle pareti ripide che offrono la<br />
protezione di nicchie e caverne. Compare però anche in selve, foreste acqui-<br />
75
trinose e macchie di pini selvatici.<br />
Nidifica prevalentemente nei nidi abbandonati<br />
di Corvidi, di Colombacci e di<br />
Garzette; in alcuni casi sono state notate<br />
deposizioni sul terreno, fra i cespugli.<br />
Sono uccelli stanziali e rimangono fedeli<br />
al loro territorio personale ricco di quelle<br />
prede che maggiormente apprezzano<br />
GUFO COMUNE<br />
come Lepri, Conigli selvatici, Colombi,<br />
Ricci, Scoiattoli, e di altre meno gradite ma comunque ricercate come Ratti,<br />
Topi e Arvicole. Le “borre” vomitate dal Gufo reale sono estremamente lunghe<br />
(circa 10 cm x 3), nonostante questi rapaci siano portati a scuoiare e a<br />
spennare le prede più grosse, eliminando così quasi tutte le parti non commestibili.<br />
Sovente sono stati trovati sotto i fili dell’alta tensione dei Gufi reali<br />
morti perché fulminati dalla corrente elettrica; ciò è dovuto alla loro grande<br />
apertura alare che può arrivare sino ai 170 cm. di larghezza. Queste dimensioni<br />
impediscono al volatile di passare tra un cavo e l’altro della linea elettrica,<br />
andando ad urtare i due poli dell’alta tensione provocando il contatto che li<br />
uccide sul colpo. Le uova del Gufo reale hanno una insolita forma cilindrica<br />
e vengono deposte a intervalli irregolari, da 1 a 4 giorni di distanza uno dall’altro.<br />
La vita del Gufo reale è piuttosto lunga, dato che arrivano frequentemente<br />
ai 25 anni.<br />
Il Gufo Comune, ha un’apertura alare di circa 90 cm, una lunghezza di 35/37<br />
cm, un peso corporeo intorno ai 250/320 gr ed un’aspettativa di vita di 10/13<br />
anni. Depone 2/3 uova di color bianco e le cova per 34/35 giorni. Ha uno status<br />
esistenziale discreto.<br />
Il Gufo reale ha un’apertura alare di circa 160 cm, una lunghezza di 56/73<br />
cm, un peso corporeo intorno ai 2.800 g ed un’aspettativa di vita di 15/25<br />
anni. Depone da 2 a 5 uova di colore bianco grigio, covate per 33/35 giorni.<br />
Ha uno status esistenziale molto a rischio.<br />
76
IL PAVONE<br />
Originario dell’India, dove pare sia apparso circa 4.000 anni orsono, il Pavone<br />
è oggi diffuso in tutto il mondo come Uccello ornamentale, ma anche per le<br />
sue carni pregiate. I maschi possiedono le penne copritrici della coda molto<br />
allungate, dotate di una forte rachide e sfarzosamente colorate.<br />
Esse si prolungano sopra la coda formata da 20 penne e costituiscono lo strascico<br />
provvisto di tanti cerchietti che sembrano occhi; durante la parata nuziale<br />
questo strascico viene sollevato e allargato come una ruota, che viene sostenuta<br />
dalle timoniere che risultano molto più corte e quindi non si vedono. Fin<br />
da piccoli i giovani Pavoni si esercitano nell’arte del sollevare la coda, anche<br />
se questa non è ancora provvista delle penne per fare la ruota: infatti la loro<br />
crescita è piuttosto lenta e lo strascico si completerà solamente al terzo anno<br />
di vita anche se continuerà a crescere fino a raggiungere, in certi casi, la lunghezza<br />
di 150/160 centimetri. Secondo alcuni etologi, la magnifica e multicolore<br />
ruota del maschio è un segnale visibile da lontano dalle femmine pronte<br />
per l’accoppiamento; secondo altri invece<br />
la ruota serve per richiamare presso di<br />
sé la femmina ed offrirle del cibo. Il<br />
Pavone domestico curato dall’uomo e<br />
lontano dai predatori, è molto longevo e<br />
può arrivare con una certa facilità ai 30<br />
anni di vita. Nei luoghi di origine il<br />
Pavone è protetto dagli indù come simbolo<br />
di una loro divinità, il dio Krishna,<br />
in quanto svolge delle funzioni importantissime<br />
per quelle popolazioni: gode la<br />
fama di essere uno spietato sterminatore<br />
di cobra e di segnalare all’uomo con le<br />
sue forti grida la presenza di tigri nelle<br />
PAVONE<br />
77
vicinanze di villaggi. In realtà è il Pavone, più che l’uomo, ad essere predato<br />
dal felino. Il grido del Pavone è tradotto dagli indù con un “manhao” (assomiglia<br />
al miagolio del gatto a 100 decibel) che significa “arriva la pioggia”;<br />
effettivamente i Pavoni fanno sentire in continuazione questo grido prima dell’arrivo<br />
di forti temporali.<br />
Ha un’apertura alare di circa 110 cm, una lunghezza coda compresa di<br />
220/250 cm, un peso corporeo di circa 4/5 kg ed un’aspettativa di vita di 8/10<br />
anni. Depone da 3 a 5 uova di color bianco macchiate di bruno e le cova per<br />
27/28 giorni. Ha uno status esistenziale buono.<br />
La Fiaba<br />
“Il Pavone e la Gru”<br />
Il Pavone rideva della Gru e criticava il colore del suo piumaggio dicendo:<br />
”io sono vestito di porpora e di oro, mentre tu non hai nulla di bello ne sulle<br />
tue piume, ne sulle tue penne”, “ma io” rispose l’altra, “canto vicino alle<br />
stelle e volo nell’alto dei cieli, tu invece, giri per terra come un galletto in<br />
mezzo alle galline”. (Esopo)<br />
78
“Ci sono più cose in cielo e in terra Orazio, che<br />
non nella tua filosofia.”<br />
William Shakespeare
I FAGIANI<br />
Già Marco Polo, nel 13° secolo, ritornando dalla Cina (allora Catai) riferì<br />
notizie di uno splendido e grosso uccello. Si trattava del Fagiano Venerato<br />
dagli svariati colori e dalla lunga coda che può arrivare anche a 160 centimetri<br />
di lunghezza. Questa specie di Fagiano, per vivere bene, ha bisogno di<br />
grandi spazi e ha la sua caratteristica principale nella litigiosità sia con i propri<br />
simili, sia con altri fasianidi. I suoi pullus, ancora in tenera età, si esibiscono<br />
in rabbiose lotte tra fratelli che talvolta si concludono con la morte dei più<br />
deboli. Un Fagiano Venerato che fugge trascinando la lunghissima coda, offre<br />
un meraviglioso spettacolo. La coda del resto non lo ostacola affatto, anzi, se<br />
ne serve addirittura a guisa di timone o freno. Durante il corteggiamento<br />
arruffa il piumaggio, tiene il corpo inclinato verso la femmina e compie<br />
inspiegabilmente dei grandi salti verso di essa come se fosse un canguro,<br />
prima di effettuare l’accoppiamento. Allo stato domestico, ospitato in parchi<br />
o grandi voliere, se trattato bene il Venerato arriva all’età di 25 anni.<br />
Ancora più antico e noto è il Fagiano Comune. Della sua esistenza ne parlano<br />
già gli antichi Greci e sembrerebbe che Giasone, di ritorno dopo una battaglia<br />
vittoriosa in una terra che si estendeva vicino al Mar Nero, avesse portato<br />
come bottino di guerra, appunto, dei Fagiani. Ciò è confermato anche da<br />
Pericle, che parla già a quei tempi di allevamenti del gustoso pennuto. Ma il<br />
vocabolo “Fagiano” si riconduce al latino<br />
“phasianus” ed è allora ovvio pensare<br />
che anche gli antichi Romani conoscessero<br />
questo Fagiano; del resto si fatica a<br />
pensare ad un antico e sontuoso banchetto<br />
senza la presenza di questo prelibato<br />
volatile. Dell’esistenza del Fagiano<br />
comune fra gli antichi Romani ce ne dà<br />
infatti conferma la storia che racconta<br />
FAGIANO<br />
81
come lo sfrenato imperatore Eliogabalo,<br />
si divertisse a vedere sbranati questi<br />
Fagiani dai leoni nel loro serraglio. In<br />
Inghilterra attorno al 1050, un Abate<br />
ottenne il permesso di dar la caccia a<br />
questi Fagiani e fu da allora che questo<br />
fasianide viene considerato come selvaggina.<br />
Il Fagiano vive molto bene in<br />
FAGIANO DORATO<br />
comunità con i suoi simili, tanto che in<br />
un chilometro quadrato vi si possono contare oltre 20 coppie. Il Fagiano<br />
Dorato è sicuramente il più ammirato per la bellezza dei suoi colori. Esso riunisce<br />
in sé tutte le qualità per essere considerato un uccello ideale da ornamento.<br />
In Cina, suo paese d’origine, è ancora oggi preso a modello per essere<br />
riprodotto in opere d’arte. Molto timoroso, è piuttosto raro poterlo osservare<br />
in un terreno aperto; allo stato selvatico, infatti, vive in un ambiente dalla<br />
vegetazione intricata che lo protegge e lo nasconde; da questo fitto ricovero,<br />
esce raramente per ritornarvi assai velocemente. Nel mese di maggio, quando<br />
la sua livrea è al massimo del suo splendore, viene “bracconato” molto intensamente<br />
e offerto in vendita nei mercati di quei paesi. Per evitare che si rovini<br />
il piumaggio, ogni uccello di questa specie viene rinchiuso in una gabbia<br />
oblunga costruita con sottili canne di bambù, simile al rivestimento di paglia<br />
che fodera i nostri fiaschi, questo contenitore è così stretto, che il prigioniero<br />
non può né rizzarsi sulle gambe né rigirarsi. Tuttavia i Fagiani Dorati resistono<br />
anche per un mese in queste condizioni e quando vengono acquistati, e<br />
rimessi in libertà, sono così anchilosati che per una settimana non riescono a<br />
muoversi.<br />
Il Fagiano Comune ha un’apertura alare di circa 85 cm, una lunghezza di<br />
80/90 cm, un peso corporeo intorno ai 1150 gr ed un’aspettativa di vita di 6/7<br />
anni. Depone da 8 a 15 uova di color marrone olivastro, covate per 23/25 giorni.<br />
Ha uno status esistenziale ottimo, perché viene allevato.<br />
82
LA QUAGLIA<br />
La sua forma corta e tozza e le ali piuttosto piccole, non le consentono di essere<br />
una buona volatrice, ma essa ha bisogno di svernare in territori molto caldi<br />
e per questo si deve spingere fino al sud del Sahara. Nella grande trasvolata<br />
del mar Mediterraneo, dalla punta della Sicilia alle coste dell’Africa e viceversa<br />
al suo ritorno, questa specie perde un buon 75% della propria popolazione.<br />
Quando le Quaglie, dopo lo strenuo sforzo della trasvolata raggiungono<br />
le coste si buttano sfinite sulla spiaggia, dove ad attenderle ci sono gli indigeni,<br />
che muniti di cesti e sacchi le raccolgono ormai incapaci di opporre la<br />
benchè minima reazione.<br />
Un tempo essa viveva nelle vaste steppe erbose coperte da vegetazione bassa<br />
e varia, ma da qualche secolo si è avvicinata sempre di più all’ambiente agricolo<br />
creato dall’uomo, tanto da poterla incontrare sui campi di foraggio e dentro<br />
le piantagioni di cereali. Non disdegna nemmeno i terreni incolti e il limitare<br />
degli stessi in prossimità delle siepi. Soprattutto nelle ore notturne, si ha<br />
la possibilità di ascoltare il canto del maschio composto di poche note espresse<br />
in maniera forte e decisa. Con questo canto egli tende a far capire ad eventuali<br />
altri maschi che lui è presente su quel territorio con le sue femmine e non<br />
tollera la presenza di intrusi. Il canto viene un po’ addolcito con una specie di<br />
miagolio finale quando invece sta avvicinandosi una femmina. A questo punto<br />
il maschio, dopo il “richiamo canoro”,<br />
ricorre anche ad un altro stratagemma<br />
nell’intento di conquistare una nuova<br />
compagna; l’avvicina con il piumaggio<br />
arruffato tenendo nel becco del cibo<br />
quasi a farle notare quanta abbondanza ci<br />
sia nel suo territorio, la femmina accetta<br />
e a ciò segue subito dopo<br />
l’accoppiamento. I piccoli, dopo la<br />
83<br />
QUAGLIA
schiusa, sono già in grado di seguire la madre procurandosi il cibo da soli, e<br />
all’età di 13/14 giorni riescono a compiere dei brevi voli; saranno sufficienti<br />
altri 4/5 giorni, perché questi giovani siano in grado di volare perfettamente.<br />
Dovranno tuttavia rimanere ancora con la madre per alcune settimane, dopo<br />
di che saranno autosufficienti del tutto. Raggiungeranno la maturità sessuale<br />
solamente a 10/11 mesi di vita. La Quaglia è diventata da qualche decennio<br />
un animale domestico allevato in batteria, sia per la sua carne, sia per le uova.<br />
Dopo un mese dalla nascita, la giovane Quaglia può essere già macellata e<br />
venduta sui mercati, mentre le femmine destinate alla produzione di uova<br />
dopo 40/45 giorni avranno raggiunto la maturità sessuale e deporranno il loro<br />
primo uovo e continueranno così a intervalli di 18/24 ore l’uno dall’altro per<br />
10/11 mesi. Recentemente le Quaglie hanno anche acquisito una certa importanza<br />
come animali da esperimento.<br />
Ha un’apertura alare di circa 33 cm, una lunghezza di 15/17 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 100 gr ed un’aspettativa di vita di 6/7 anni. Depone da 8 a 12<br />
uova di color oliva chiaro picchiettate di bruno, e le cova per 15/16 giorni. Ha<br />
uno status esistenziale ottimo perché viene allevata.<br />
IL COLOMBO<br />
Si nutre generalmente di semi, sia coltivati che selvatici, per questo possiede<br />
un ventriglio robusto e muscoloso che contiene ghiaietta e altri materiali duri<br />
che servono per triturare appunto questi alimenti e un lungo intestino per<br />
digerirli meglio; caratteristica tipica del resto di tutti gli Uccelli granivori.<br />
Un’altra curiosità sta nel fatto che si nutre di piccole chiocciole e invertebrati,<br />
ma anche di frutta della quale inghiotte pure il nocciolo. Questo una volta<br />
evacuato, potrà cadere in un terreno adatto e dare vita ad una nuova pianta. I<br />
genitori, per i primi otto dieci giorni, nutrono i propri pullus con una sostanza<br />
biancastra prodotta dalle ghiandole del gozzo, nota con il nome di “latte di<br />
piccione”. Per nutrirsi di questa “pappa” i piccoli Colombi, introducono pro-<br />
84
fondamente il loro becco nell’angolo di quello dei genitori per ricevere direttamente<br />
questo prezioso alimento. Per non ostacolare questo tipo di alimentazione,<br />
che dura circa 10 giorni, nei giovani Colombi le piume della fronte e<br />
del collo spuntano per ultime. Dopo questo primo periodo, la produzione del<br />
“latte” cessa e i piccoli riceveranno dai genitori semi e frutta in quantità sempre<br />
maggiore.<br />
Sono note le grandi attitudini al volo dei Colombi: opportunamente addestrati,<br />
possono percorrere centinaia di chilometri a grande velocità ritrovando,<br />
grazie ad un infallibile senso dell’orientamento, il luogo della loro residenza.<br />
L’utilizzazione dei Colombi viaggiatori da parte dell’uomo, ha origini antichissime<br />
e la storia ricorda esempi singolari<br />
di importanti messaggi recapitati per<br />
mezzo di questi volatili anche in tempi di<br />
guerra. Certi esemplari riescono a percorrere<br />
anche mille chilometri al giorno.<br />
I Colombi venivano allevati con certezza<br />
in Egitto già nel quarto secolo avanti<br />
Cristo e in Asia centrale anche prima.<br />
Presso certi popoli era d’uso sacrificare<br />
agli dèi dei Colombi, infatti innumere-<br />
PICCIONE SELVATICO<br />
voli furono immolati per secoli nel tempio<br />
di Gerusalemme. Sul Monte degli Ulivi si tenevano a tale proposito delle<br />
colombaie, nelle quali venivano allevati migliaia di Colombi in attesa dei<br />
sacrifici. Attendibili testimonianze ricordano come presso i più antichi popoli<br />
dell’oriente i Colombi godessero di grande rispetto: potevano nidificare nei<br />
templi e non era permesso né disturbarli, nè tanto meno ucciderli. Fatto del<br />
tutto particolare e curioso: tutti i Columbiformi bevono immergendo il becco<br />
nell’acqua aspirandola, un modo quindi veramente insolito fra gli uccelli che<br />
raccolgono normalmente con il becco una sorsata d’acqua e sollevano la testa<br />
per deglutirla.<br />
85
L’accrescimento numerico dei Colombi cittadini è diventato un vero problema.<br />
Un tempo essi avevano numerosi nemici, per cui non si poteva certo parlare<br />
di una loro eccessiva moltiplicazione, rimanendo invariato l’equilibrio<br />
biologico. I principali nemici erano il Falco pellegrino, l’Astore, lo Sparviero,<br />
le Civette e tutti i Mustelidi, predatori questi che negli anni si sono sempre più<br />
rarefatti. I Colombi, oggi, sono portatori di numerosi parassiti come Acari,<br />
Cimici, Zecche e altri ancora che possono diffondersi nelle abitazioni dell’uomo.<br />
Una forte presenza di Colombi può portatore l’ornitosi, una malattia che<br />
talvolta colpisce anche l’uomo e non va neppure sottovalutato che la maggior<br />
parte dei Colombi di città è ammalato di salmonellosi, un germe patogeno che<br />
può portare il tifo.<br />
I Colombi provocano danni a monumenti e palazzi a causa dell’alto potere<br />
corrosivo dei loro escrementi, medesimi danni provocano su grondaie e cornicioni.<br />
In tante città sono in atto mezzi meccanici, acustici, chimici ed elettrici<br />
nell’intento di limitare questi danni; in altre ci sono dei tentativi di regolare<br />
la loro riproduzione ricorrendo all’uso di anticoncezionali.<br />
Parente stretta del Colombo è la Tortora comune, indubbiamente un animale<br />
molto grazioso sia per la forma che per i colori. E’ però un uccello timoroso<br />
e timidissimo, (sono davvero pochi gli esemplari che si possono contare nel<br />
nostro territorio) ragion per cui è stata scacciata dalla Tortora dal collare<br />
orientale più forte ed aggressiva impadronitasi del suo habitat. Questa Tortora<br />
è oggi presente in maniera abnorme e fa ormai parte della fauna cittadina nidificando<br />
un po’ ovunque.<br />
E’ arrivata da noi durante il periodo della seconda guerra mondiale intorno al<br />
1944, importata forse da qualche soldato alleato; in poco più di mezzo secolo<br />
è riuscita a insediarsi in maniera incredibile. Va ricordata, infine, la<br />
Colomba bianca che posandosi sull’arca di Noè con un ramoscello d’ulivo sul<br />
becco comunicò al patriarca la fine del diluvio universale.<br />
Il Colombo selvatico ha un’apertura alare di circa 70 cm, una lunghezza 30/34<br />
cm, un peso corporeo intorno ai 280/300 gr ed un’aspettativa di vita di 6/8<br />
86
anni. Depone 2 uova di color bianco grigio e le cova per 16/17 giorni. Ha uno<br />
status esistenziale ottimo, perché esistono molte razze diverse allevate in cattività.<br />
La fiaba<br />
“ Il Gracchio e i Colombi”<br />
Un Gracchio osservando che i Colombi in piccionaia mangiavano bene, si<br />
dipinse il corpo di bianco e volò in mezzo ad essi per avere lo stesso trattamento.<br />
I Colombi, credendolo uno di loro, lo accettarono e lo ammisero alla<br />
loro mensa. Ma un bel giorno il Gracchio aperse la bocca e incominciò a<br />
gracchiare, allora i Colombi riconoscendo l’intruso lo cacciarono via. Così<br />
allontanato dalla piccionaia il povero Gracchio ritornò tra i suoi. Ma dato il<br />
nuovo colore, questi non lo riconobbero e anch’ essi lo cacciarono dalla loro<br />
pastura. E così avendo voluto mangiare da due parti non mangiò più né da<br />
una né dall’altra. (Esopo)<br />
LA GALLINA<br />
Non si hanno dati precisi circa l’epoca in cui l’uomo incominciò ad allevare<br />
allo stato domestico questi uccelli, ma sembra che questo abbia avuto inizio<br />
oltre 5 mila anni fa presso alcuni popoli dell’India. In pochi secoli<br />
l’allevamento di questi galliformi si estese<br />
in tutto l’emisfero orientale, soprattutto<br />
nell’antica Persia e Mesopotamia (le<br />
attuali Iran e Iraq), ma fu in Egitto, a partire<br />
dalla quinta dinastia faraonica che,<br />
secondo Aristotele, iniziò l’incubazione<br />
artificiale e quindi i grandi allevamenti.<br />
Da antichi manoscritti, e soprattutto da<br />
Catone nel suo poema “de re rustica”, ci<br />
87<br />
GALLO
viene tramandato che gli antichi Romani avessero già allora selezionato ben<br />
6 razze diverse di questo pollame. Da sempre l’uomo si pone il dilemma: è<br />
nato prima l’uovo, o prima la gallina? E questo è un bel dilemma al quale non<br />
si sa ancora dare una spiegazione logica. La Gallina a causa del suo corpo<br />
pesante e delle ossa con il midollo (e quindi non cave) è inetta al volo. E’<br />
un’ottima chioccia che può covare senza scendere dal covo anche per due o<br />
tre covate consecutive, lasciando i pulcini alle cure dell’allevatore. Un tempo,<br />
quando si avevano uova fertili e ancora nessuna Gallina chiocciava, si provvedeva<br />
forzatamente. A tale scopo si faceva bere del vino all’animale; subito<br />
dopo lo si introduceva in un sacco e lo si faceva roteare con una certa forza<br />
in aria per qualche tempo. Quindi si estraeva la Gallina dal sacco per posarla<br />
sul covo dove erano state poste precedentemente le uova. La povera bestia<br />
stordita e “ubriaca” si accovacciava, abbassava la testa, chiudeva gli occhi e<br />
si abbandonava ad un leggero sonno. Quando lo stordimento unito alla sbornia<br />
passava, essa si era “innamorata” del covo e lì vi rimaneva.<br />
Terminate le covate, la chioccia non serviva più, ma se questa non intendeva<br />
abbandonare il covo anche in questo caso si provvedeva di “brutto” a schiocciarla.<br />
Si riprendeva il famoso sacco, vi si introduceva la chioccia e la si<br />
immergeva ripetutamente per alcuni istanti nell’acqua fredda. Aperto il sacco,<br />
la povera Gallina, ancora un po’ frastornata, si guardava intorno, si scuoteva<br />
(a se sveiava), e poi tranquillamente se ne tornava nel pollaio per riprendere<br />
a deporre di lì a qualche giorno. In dialetto<br />
trevigiano la Chioccia in cova, viene<br />
chiamata “Cioca”, come una persona<br />
ubriaca. Considerata infine la scarsa<br />
intelligenza di questo galliforme, va<br />
ricordato un altro detto popolare: “te ha<br />
na testa come na gaina”, (sei intelligente<br />
come una Gallina). I Galli cantano in<br />
maniera più spiccata al sorgere del sole e<br />
GALLINA<br />
88
questo per molti anni è stata la sveglia della gente che si avviava poi al lavoro<br />
nei campi; un vecchio detto soleva dire: “andar in letto coe gaine e vegner<br />
su col gaeo” (a letto molto presto e alzarsi altrettanto presto). Il canto e lo<br />
schiamazzo delle ali che battono assieme sul dorso testimoniano la possente<br />
attività del Gallo. Un altro vecchio detto recita così: “do gai in te un puner no<br />
i va d’accordo” infatti sono frequenti le liti nello stesso pollaio fra maschi che<br />
si combattono ferocemente. Da ciò la sadica e condannata selezione dei Galli<br />
da combattimento iniziata molti secoli orsono e ancora praticata, specie in<br />
Sud America e in Asia. Il curioso comportamento dei Polli è quello di fare<br />
ogni giorno il loro bagno di terra, necessario per eliminare i parassiti e gli<br />
acari che si annidano nel loro piumaggio; non amano invece l’acqua e quando<br />
piove cercano sempre riparo.<br />
La fiaba<br />
“La Donna e la gallina”<br />
Una Donna vedova aveva una Gallina, che tutti i giorni deponeva un uovo.<br />
Pensò che dandole forse del becchime in più la gallina ne avrebbe fatti due e<br />
così raddoppiò la razione giornaliera. E la Gallina mangiò con tanta avidità<br />
che ingrassò così tanto che non riuscì a deporne nemmeno più uno. (Esopo)<br />
IL GABBIANO<br />
E’ un uccello tipicamente marino, anche se da qualche tempo ama trascorrere<br />
dei periodi più o meno lunghi sia in campagna che in collina. Questo suo<br />
“migrare giornaliero” è dovuto alla continua ricerca di cibo che trova abbondante<br />
nelle discariche e nei campi arati. Tuttavia la sua vita si svolge maggiormente<br />
sulle coste, vicino al mare, è perciò facile scorgerlo all’interno dei porti<br />
e nei pressi dei centri abitati costieri dato che in tali zone questi volatili reperiscono<br />
rifiuti con cui nutrirsi. Infatti, pur cibandosi di preferenza con animaletti<br />
acquatici e pesci, questi volatili appetiscono ogni genere di rifiuto orga-<br />
89
nico, carogne comprese. Sono pertanto da considerarsi onnivori e svolgono<br />
un’utile azione da spazzini ripulendo porti e spiagge. I Gabbiani hanno carni<br />
non commestibili, né per l’uomo né per probabili predatori; tuttavia in molte<br />
zone vengono cacciati per le loro piume e in altre è attiva la raccolta delle<br />
uova utilizzate a scopo alimentare. Queste uova non sono appetibili se consumate<br />
crude perché hanno un forte sapore di pesce, che scompare del tutto<br />
dopo la cottura che le rende del tutto<br />
simili a quelle della gallina. Ma il particolare<br />
più curioso è rappresentato dal<br />
fatto che l’albume delle uova di<br />
Gabbiano rimane trasparente anche dopo<br />
la cottura. In certe nazioni dell’Europa<br />
settentrionale la raccolta e la vendita di<br />
queste uova è organizzata su vasta scala.<br />
Il Gabbiano comune in abito nuziale, sia<br />
maschio che femmina, presenta un cap-<br />
GABBIANO<br />
puccio di un bel colore bruno scuro su di<br />
un colore grigio perla. In periodo eclissale questo cappuccio sparisce lasciando<br />
al suo posto qualche leggera striatura bruna. A causa della loro leggerezza<br />
corporea, pur nuotando agilmente, i Gabbiani non sono abili tuffatori e possono<br />
pertanto nutrirsi solamente di ciò che si mantiene a galla. Le dure conchiglie<br />
dei molluschi non costituiscono un ostacolo per questi uccelli, che<br />
usano lasciarle cadere dall’alto, onde infrangerle sulle rocce, rendendo così<br />
accessibile il ghiotto contenuto.<br />
Ha un’apertura alare di circa 95 cm, una lunghezza di 33/36 cm, un peso corporeo<br />
intorno ai 250/280 gr, un’aspettativa di vita di 8/14 anni. Depone da 3<br />
a 5 uova color oliva-azzurognolo, e le cova per 23/25 giorni. Ha uno status<br />
esistenziale ottimo.<br />
90
“Sali sulla cima tra il cielo e la terra per raggiungere<br />
la costante armonia con una natura infinita.”<br />
Yi Un Sahg
MO<strong>DI</strong> <strong>DI</strong> <strong>DI</strong>RE (ACCOSTAMENTO UOMO/ANIMALE).<br />
Svelto- come un Gatto; va indietro- come un Gambero; cieco- come una<br />
Talpa; fedele- come un Cane; veloce- come una Lepre; lento- come una<br />
Lumaca; rude- come un Orso; vista- da Aquila; piomba- come un Falco;<br />
occhio- da Lince; furbo- come una Volpe; sporco- come un Maiale; viscidocome<br />
un Serpente; velenosa- come una Vipera; lavora- come un’Ape; previdente-<br />
come una Formica; canta- come un Usignolo; dorme- come un Ghiro;<br />
soffre- come un Cane; allegra- come una Cicala; mangia (poco)- come un<br />
Cardellino; irsuto- come un Porcospino; fame- da Lupo; timido- come un<br />
Coniglio; mangia (tanto)- come un Bue; esibizionista- come un Pavone; tubano-<br />
come Colombi; striscia- come un Verme; rinunciatario- come uno<br />
Struzzo; muto- come un Pesce; frenetico- come una Donnola; spinoso- come<br />
un Riccio; puzza- come una Capra; mansueto- come un Agnello; testardocome<br />
un Mulo; leggiadra- come una Farfalla; insistente- come un Tarlo; steso<br />
al sole- come una Lucertola; parassita- come un Cuculo; forte- come un Toro;<br />
ladro- come una Gazza; nero- come un Corvo; tenero- come un Pulcino; beffardo-<br />
come una Iena; fastidioso- come una Zanzara; lacrime- di Coccodrillo;<br />
porta male- come un Gufo; paziente- come un Ciuco; silenziosa- come una<br />
Mosca; stupida- come un’Oca; crudele- come una Tigre; resistente- come un<br />
Cammello; timoroso- come una Pecora; superbo- come un Cervo; schifosocome<br />
un Rospo; ignorante- come un Asino; pio- come un Bove; bizzosocome<br />
un Cavallo; grossa- come una Balena; magro- come uno Stambecco;<br />
agile- come una Gazzella; dopo tre giorni puzza- come il Pesce; scioccocome<br />
un Pollo; spietato- come un’Arpia; pesante- come un Elefante; piccolocome<br />
uno Scricciolo; cervello- da Gallina; regale- come un Leone; balzo- da<br />
Pantera; incantato - come una Marmotta; sguscia – come un’Anguilla; profuma-<br />
come una Puzzola; imbranato – come una Foca; iettatore – come un<br />
Corvo; giocherellone – come un Delfino.<br />
92
“O Dio perdonaci per gli animaletti che calpestiamo<br />
lungo il nostro cammino.”<br />
Massima Buddista
I MAMMIFERI<br />
La classe dei mammiferi, comprende oltre 4.000 specie di animali riconosciuti<br />
come i più evoluti del regno animale, presenti in tutti i tipi di habitat. Nel<br />
mare ci sono le foche, le balene e i delfini, nei corsi dei fiumi le lontre e i<br />
castori, sopra e sotto la terraferma, quando non addirittura sugli alberi, e infine<br />
i pipistrelli che con i loro patagi hanno conquistato l’aria. Sono animali<br />
vertebrati, provvisti, cioè, di colonna vertebrale, a sangue caldo, con quattro<br />
arti e con il corpo ricoperto di peli. Il feto si sviluppa nel corpo della madre<br />
che, dopo un periodo più o meno lungo di gestazione, partorisce. In alcuni<br />
casi, per esempio nei roditori e in alcuni carnivori, i cuccioli nascono ciechi e<br />
nudi e hanno bisogno di un certo periodo di tempo e di cure da parte della<br />
madre per poter completare la loro formazione. In altri casi, quando nascono<br />
essi sono perfettamente formati e i loro organi interamente funzionanti.<br />
L’alimentazione dei cuccioli avviene con l’allattamento. Oltre al loro complicato<br />
tipo di riproduzione, i mammiferi si distinguono per diversi altri elementi.<br />
Sono dotati di un cervello molto ben sviluppato, e dispongono di numerosi<br />
sistemi di comunicazione, che hanno permesso loro un’alta organizzazione<br />
sociale, basti pensare a quelli olfattivi, visivi e soprattutto, a quelli vocali. I<br />
peli, spesso molto fitti, ricoprono la pelle fungendo da strato isolante, contribuendo<br />
a mantenere il corpo a una temperatura costante, indipendentemente<br />
dalle condizioni atmosferiche. Lo strato di grasso che si trova sotto la pelle ha<br />
una doppia funzione: serve per proteggere dal freddo, ma funge anche da<br />
riserva calorica nei periodi di scarsità di cibo. Questa riserva di grasso, altamente<br />
ricca di calorie, viene distribuita a tutto l’organismo attraverso un sistema<br />
circolatorio che fa capo al cuore e quando questa regolazione diventa<br />
impossibile, per esempio nei mesi del grande freddo, certi mammiferi vanno<br />
in letargo e altri in ibernazione. Avviene così che la temperatura del loro corpo<br />
si abbassa notevolmente, il metabolismo riduce il suo ritmo al minimo così da<br />
consumare una minor quantità di energia possibile. Il letargo e l’ibernazione<br />
95
consentono a vari mammiferi di sopravvivere durante i mesi invernali, proprio<br />
sfruttando le loro riserve di grasso precedentemente accumulate. E’ pressoché<br />
impossibile stabilire le cause che hanno portato i mammiferi a una così<br />
grande evoluzione; si pensa che in parte ciò sia dovuto a un insieme di tanti<br />
fattori biologici, ma sicuramente in buona parte anche al caso. La comparsa<br />
poi dell’uomo sulla terra, soprattutto dell’uomo d’oggi, ha reso più rapida e<br />
drammatica la scomparsa di vari gruppi di animali, mentre altri, vedi i roditori,<br />
stanno occupando nuove nicchie ecologiche create proprio dall’attività<br />
umana. Oggi i mammiferi, grazie al loro rappresentante più evoluto che è<br />
l’uomo, sono l’incontrastato e predominante gruppo che domina il mondo ed<br />
è proprio nelle mani dell’uomo che sta il futuro del nostro pianeta.<br />
96
PILLOLE <strong>DI</strong> SAPERE: I MAMMIFERI<br />
Il Canguro rosso è il più grande dei marsupiali. Un maschio adulto arriva ad<br />
essere lungo oltre i 260 cm, dei quali 120 appartengono alla sua possente<br />
coda. La femmina è molto più piccola, talvolta anche la metà del maschio.<br />
Si sposta poggiando sugli arti posteriori compiendo grandi balzi, che arrivano<br />
anche a 10 metri, con i quali raggiunge una velocità di oltre 45 km orari, con<br />
un consumo di energia pari alla metà di un qualsiasi altro quadrupede. Questo<br />
grande risparmio di energia non è dovuto al caso, bensì al fatto che deve compiere<br />
grandi distanze e perciò questo risparmio diventa estremamente importante.<br />
Se il periodo di siccità dovesse perdurare a lungo e mamma canguro dovesse<br />
perdere il latte materno, il cucciolo verrà espulso dal marsupio e morirà. Con<br />
il ritorno delle piogge e delle provviste<br />
alimentari, un embrione di “riserva” il<br />
cui sviluppo era rimasto sospeso, si<br />
impianterà nuovamente nell’utero della<br />
femmina, dove si svilupperà, senza che<br />
ci sia stato bisognoso di un nuovo accoppiamento.<br />
Il cucciolo rimane per circa 250 giorni<br />
all’interno del marsupio della madre.<br />
CANGURO<br />
Considerato un animale nocivo, esso<br />
viene diffusamente ucciso sia per la<br />
carne che per la pelle. Recentemente è stato censito un numero ragguardevole<br />
di questi animali che si possono contare in oltre 12 milioni di esemplari.<br />
Per segnalare un pericolo, picchia con le zampe e con la coda violentemente<br />
il suolo, allertando in questo modo i compagni in pericolo.<br />
I Toporagno sono animali molto attivi e hanno bisogno di alimentarsi in continuazione<br />
pari a quattro volte il loro peso ogni giorno. Si cibano di inverte-<br />
97
ati, insetti, carogne e spesso anche delle loro stesse feci e di quelle di altri<br />
animali. Le pulsazioni del cuore possono arrivare a oltre 1.200 battiti al minuto.<br />
Vengono predati da vari rapaci sia diurni che notturni, ma possedendo<br />
delle ghiandole cutanee che emettono un odore repellente, una volta uccisi,<br />
non vengono quasi mai divorati.<br />
Il Gorilla non marca il proprio territorio con le urine o con le feci, ma lo delimita<br />
“tambureggiando” il terreno a distanza e i vecchi maschi dominanti<br />
minacciano i rivali, stando ritti sulle zampe posteriori, battendosi il petto e<br />
gridando. I piccoli Gorilla stanno sempre aggrappati al pelo della madre e<br />
solo a 3 mesi incominciano a sedersi, mentre a 5 riescono a camminare e ad<br />
arrampicarsi. Vengono allattati per oltre un anno e mezzo e rimangono<br />
comunque con la madre, fino a 3 anni, quando vengono bruscamente allontanati.<br />
La famiglia dei Canidi è molto numerosa e conta circa 35 specie presenti su<br />
tutta la terra, essi sono assenti solamente in Nuova Zelanda, Nuova Guinea e<br />
Madagascar, e in qualche altra isola minore. Fatta eccezione per la Volpe, che<br />
caccia solitaria, tutti gli altri lo fanno in branco.<br />
La Lontra marina si nutre di ricci di mare e altri molluschi, che raccoglie in<br />
fondo al mare e mangia mentre è in acqua. Per rompere il guscio delle dure<br />
conchiglie, essa ha scoperto come usare i sassi.<br />
Quando infatti si tuffa, oltre alle prede, prende dal fondale un sasso, se lo<br />
mette sul petto, e, galleggiando sul dorso, sbatte il mollusco contro di esso,<br />
finchè ne rompe il guscio, dopodiché si ciba del gradito contenuto.<br />
Possiede dei polmoni molto sviluppati, il doppio di quelli di qualsiasi altro<br />
animale di taglia simile, che le consentono di immergersi fino a 30 metri. La<br />
Iena possiede le più forti mascelle di un qualsiasi altro mammifero. Esse sono<br />
in grado di frantumare le ossa più grosse della preda per estrarne il midollo.<br />
Raramente questi animali cacciano, preferendo cibarsi di carogne uccise da<br />
altri predatori.<br />
Quando nascono, i cuccioli sono di colore nero e solamente dopo alcuni mesi<br />
98
acquisiscono il colore marrone striato o macchiato degli adulti.<br />
E’ la femmina ad essere più grande del maschio e a dominare il clan. Tutti<br />
insieme, i componenti difendono il territorio che costituisce il loro habitat e<br />
che può arrivare addirittura a 70/80 km quadrati, continuamente marchiati tramite<br />
ripetuti richiami e sostanze organiche. Il Ghepardo è il più veloce animale<br />
terrestre e può raggiungere e superare<br />
con uno scatto di 10 secondi, una velocità<br />
di 110 km orari.<br />
Velocità che può però mantenere solamente<br />
per un tratto breve, dopodiché<br />
dovrà abbandonare la preda qualora non<br />
l’avesse catturata. La femmina può partorire<br />
anche 6/7 cuccioli, dopo circa 3<br />
mesi di gestazione.<br />
Le Foche sono dotate di sofisticati mec-<br />
FOCA CUMUNE<br />
canismi che permettono loro di potersi<br />
cercare il cibo anche a una certa profondità rimanendo immerse per lungo<br />
tempo e in questo caso, l’adattamento più importante riguarda la circolazione<br />
del sangue. Durante l’immersione in profondità, il suo normale ritmo cardiaco<br />
passa dagli abituali 120 a solo 4 battiti al minuto, senza avvertire una corrispondente<br />
caduta di pressione.<br />
La Foca ha il corpo coperto da una pelliccia che subisce una muta annuale. In<br />
questo mammifero la riproduzione è accompagnata da un fenomeno particolare:<br />
“l’annidamento differito” per cui, gli embrioni cominciano a svilupparsi<br />
dopo un certo periodo dell’avvenuta fecondazione.<br />
I piccoli sono in grado di strisciare e di nuotare dopo meno di un’ora dalla<br />
nascita. Una specie, la Foca di Wenddell, compie le immersioni più lunghe e<br />
più profonde, raggiungendo i 600 m dove può rimanere per oltre 70 minuti e<br />
quando raggiunge queste profondità, il ritmo cardiaco si abbassa del 75%,<br />
scende cioè a poco più di un battito al minuto.<br />
99
La Balenottera azzurra, è il più grande mammifero esistente. E’ lunga oltre 30<br />
metri e può pesare fino a 1.500 quintali. Malgrado questa mole impressionante,<br />
grazie al suo corpo affusolato, riesce a muoversi con molta agilità.<br />
Soprattutto in estate, si nutre incessantemente e, pur essendo molto selettiva,<br />
è capace di mangiare oltre 55 quintali di plancton (piccoli crostacei di crill)<br />
ogni giorno.<br />
La Balenottera azzurra possiede un altro primato, ha infatti la più lunga gestazione<br />
di tutti i mammiferi marini: si prolunga per oltre 11 mesi. Grugnisce e<br />
ronza emettendo lamenti a volte superiori a 180 decibel, che sono i suoni più<br />
forti fra tutti i versi degli animali e che possono essere uditi da altre balene<br />
consorelle a oltre 1.000 km di distanza.<br />
L’Elefante è il più grande mammifero terrestre; alcuni esemplari sono alti 4<br />
metri e raggiungono facilmente i 60 quintali di peso.<br />
Possiede delle grandissime orecchie che hanno una funzione molto importante,<br />
sono infatti delle enormi ventole che il pachiderma muove continuamente<br />
avanti e indietro per “farsi vento” e diminuire così, l’eccesso del calore corporeo.<br />
Molto curiosa è anche la proboscide formata dalla fusione del naso e<br />
del labbro superiore, essa è molto flessibile e termina con due appendici sensibilissime,<br />
che servono per afferrare il cibo, bere, lottare, lavorare e fiutare.<br />
Gli incisivi superiori crescono a dismisura fino a diventare delle grandi zanne<br />
d’avorio, per questa particolarità è sempre stato molto abbattuto tanto da<br />
diventare in diverse zone, assai raro.<br />
Può mangiare per 20 ore e per più di 200 kg al giorno di sostanze vegetali<br />
costituite da foglie, germogli, rametti e frutti di varie piante.<br />
La femmina di Elefante detiene il primato per la gestazione più lunga nel<br />
regno dei mammiferi: arriva a 22 mesi, ed il piccolo viene allattato per oltre<br />
2 anni.<br />
Negli Elefanti è sempre la femmina più anziana, (la matriarca) a capeggiare<br />
il branco e a condurlo sovente alla ricerca dell’acqua che riesce a localizzare<br />
sotto terra.<br />
100
Il Cammello, unitamente al Dromedario, al Guanaco e al Vigogna rappresentano<br />
la famiglia dei Camelidi, considerati i più primitivi fra i ruminanti.<br />
Gli antichi Incas circa 6.000 anni fa, hanno selezionato dall’accoppiamento<br />
del Guanaco con il Vigogna (entrambi, in grave crisi esistenziale), il Lama,<br />
oggi da considerarsi un animale domestico, da soma, tipico della zona delle<br />
Ande. Esso viene allevato sia per la sua carne, che per la sua lana anche al di<br />
fuori dell’America del Sud.<br />
Il Cammello è caratterizzato da due gobbe poste sopra il dorso, queste gibbosità<br />
servono come riserve di grasso per i tempi in cui il cibo scarseggia.<br />
Questo mammifero ha il corpo ricoperto di lunghi peli irsuti che lo proteggono<br />
dal freddo durante l’inverno, e cadono<br />
d’estate lasciandolo quasi nudo.<br />
Possiede degli arti ”altamente specializzati”,<br />
con sole due dita per piede, munite<br />
di unghia superiormente, le cui ossa si<br />
sono allargate lateralmente per dare<br />
impianto a due ampi cuscinetti callosi.<br />
Questi cuscinetti elastici permettono<br />
all’animale di spostarsi agevolmente<br />
sulla sabbia mobile, dove degli zoccoli<br />
CAMMELLO<br />
rigidi affonderebbero. Il Dromedario a<br />
differenza del Cammello, possiede una sola gobba e si dice sia stato addomesticato<br />
molto prima, attorno al 4.000 a.C. Un po’ più piccolo del Cammello<br />
può immagazzinare nel suo stomaco delle grandi riserve d’acqua permettendogli<br />
di rimanere per molto tempo senza bere.<br />
La sua gobba (del resto come le due del Cammello), oltre ad accumulare il<br />
grasso necessario per i periodi di carestia, serve anche come protezione contro<br />
il sole in quanto ne assorbe il calore.<br />
I reni possono concentrare l’urina per evitare al massimo le perdite d’acqua e,<br />
in caso di bisogno, l’organismo può assorbire l’umidità contenuta nelle feci.<br />
101
Infine la temperatura dell’animale scende abbondantemente nelle ore notturne<br />
per aumentare progressivamente durante il giorno, ciò per evitare all’animale<br />
di traspirare troppo per raffreddarsi.<br />
Il Dromedario, come il Cammello, può perdere durante i periodi di siccità<br />
fino al 30% del proprio peso, scendendo dai 600 ai 400 kg circa, senza risentirne,<br />
sarà però sufficiente incontrare un’oasi e poter bere, che in dieci minuti<br />
riacquisterà tutto il peso perduto.<br />
Dopo diversi controlli effettuati si può affermare che questi animali assetati<br />
sono in grado di bere in pochi minuti oltre 110 litri di acqua.<br />
La fiaba<br />
“ Il Leone, la Volpe e il Cervo”<br />
Un Leone che giaceva ammalato nella sua tana, disse alla Volpe che gli era<br />
affezionata e spesso veniva a trovarlo: “Se tu vuoi che io guarisca e che continui<br />
a vivere e a regnare, devi con la tua furbizia convincere quel grande<br />
Cervo che abita nel bosco a venirmi a trovare così da spingerlo fra le mie<br />
zampe, ho una gran voglia delle sue viscere e ancora di più del suo cuore”.<br />
La Volpe andò e trovò il Cervo che scorazzava nei boschi e tutta complimentosa<br />
gli disse: “Sono venuta a portarti una bella notizia.<br />
Il Leone nostro Re, che come sai è mio vicino di casa, è molto malato ed è sul<br />
punto di morire. Egli ha pensato a quale delle bestie dovrà succedergli nel<br />
regno.<br />
Il Cinghiale, diceva, è uno stupido, l’ Orso è balordo, la Pantera è collerica,<br />
la Tigre è superba, per me, il più adatto a fare il Re è il Cervo, che ha una<br />
bella statura, vive molti anni e con le sue corna fa paura anche ai Serpenti.<br />
In conclusione il Leone ti ha scelto come suo successore, diventerai Re.<br />
Ti ho portato il suo messaggio e adesso ho fretta perché devo rientrare in casa<br />
e recarmi dal Leone che già mi starà facendo cercare, in quanto lui non fa più<br />
niente senza i miei consigli; piuttosto se anche tu ne vuoi uno, vieni con me a<br />
fargli visita e a stargli vicino fino a che, non morirà”. Così disse la Volpe.<br />
102
A queste lusinghe il Cervo si montò la testa, e, ignaro di quel che l’aspettava,<br />
si avviò seguendo la Volpe verso la caverna del Leone.<br />
Questi, vedendoselo davanti, gli balzò addosso, ma riuscì soltanto a lacerargli<br />
le orecchie con gli artigli, perché il Cervo con un veloce scatto scappò<br />
rientrando nel bosco. La Volpe si rammaricò molto per aver visto vanamente<br />
sprecate le sue fatiche, e il Leone ruggiva a gran voce, vinto dalla fame e dal<br />
dolore e scongiurò nuovamente la furba Volpe di fare un’altra prova, escogitando<br />
un altro stratagemma per portargli nuovamente il Cervo.<br />
La Volpe ripartì alla ricerca del Cervo e quando lo incontrò, questi stava<br />
ancora leccandosi le ferite; vedendosela davanti pieno d’ira e con il pelo<br />
arruffato gridò: “non mi ingannerai più brutta bestiaccia, se ti avvicinerai a<br />
me ti infilzerò con le mie corna.<br />
Va a “incantare” quelli che ancora non ti conoscono, vai a sceglier qualcun<br />
altro al quale montargli la testa per farlo diventare Re”. E la Volpe rispose:<br />
“Ma perché sei così vile e pauroso? Perché sospetti di noi, tuoi amici? Il<br />
Leone ti aveva afferrato gli orecchi perchè voleva darti dei consigli e delle<br />
istruzioni sulla tua importante funzione di Re prima di morire.<br />
E tu non sei stato capace di sopportare il graffio di una zampa di un povero<br />
ammalato. Ora egli è più adirato di te e vuole lasciare il regno al Lupo e allora<br />
quando questi regnerà te ne accorgerai.<br />
Ma se tu vieni nuovamente a fargli visita senza paura e senza comportarti<br />
come una Pecora ti assicuro che il Leone non ti farà niente di male e in quanto<br />
a me sarò sempre ai tuoi servizi. Ingannando nuovamente il disgraziato<br />
Cervo, lo convinse nuovamente a seguirlo nella tana del Leone.<br />
E questa volta il Re degli animali non se lo fece scappare ed ebbe il suo desiderato<br />
pranzo.<br />
Ma mentre il Leone banchettava con le ossa e le viscere della sua preda, il<br />
cuore del Cervo cadde a terra e la Volpe che stava osservando la scena<br />
l’afferrò e se lo mangiò come compenso per le sue fatiche.<br />
Il Leone intanto stava cercando fra i pezzi di carne del povero Cervo dilania-<br />
103
ti dai suoi artigli proprio il cuore, motivo del suo principale desiderio. La<br />
Volpe, fermatasi un po’ lontano osservandolo gli disse: ”Ma quello di cuore<br />
non ne aveva, inutile cercarlo; che cuore vuoi che avesse uno che per due<br />
volte è venuto nella tua tana, anzi proprio tra le tue zampe?”. (Esopo)<br />
104
“Il futuro sarà una gara tra l’educazione e la catastrofe.”<br />
Henrj George Welles
PILLOLE <strong>DI</strong> SAPERE: I MUSTELI<strong>DI</strong><br />
Fanno parte di questa famiglia oltre 65 specie di carnivori, ma in questo caso<br />
ne esamineremo soltanto alcune. In genere i Mustelidi presentano tutti le<br />
medesime caratteristiche: corpo lungo e sinuoso, arti corti, una dentatura sviluppata,<br />
occhi piuttosto piccoli e luccicanti, orecchie piccole, ma proporzionate.<br />
Hanno prevalentemente un comportamento solitario. Insolitamente, essendo<br />
dei carnivori al posto degli artigli posseggono 5 dita unghiate non retrattili.<br />
Le ghiandole anali producono cattivi odori e spesso diventano un’arma di difesa.<br />
Tutti i mustelidi uccidono le loro prede, non tanto per cibarsene, quanto<br />
perché il movimento delle stesse scatena in questi animali l’atto predatorio<br />
vero e proprio e fintanto che il movimento permane, il mustelide è stimolato<br />
ad uccidere. Tale particolare comportamento può essere facilmente notato<br />
quando questi predatori entrano in un pollaio dove le galline volano impaurite<br />
qua e là rafforzando in tal modo l’istinto del predatore, che finirà per ucciderle<br />
tutte.<br />
L’Ermellino è diffuso anche sulle nostre Alpi sia pure a notevole altezza. Dalla<br />
notte dei tempi questo Mustelide è stato il simbolo della regalità e della sovranità<br />
intellettuale, in quanto la sua pelliccia ha ornato i mantelli di principi e<br />
sovrani, ma pure toghe e cappe di magistrati e uomini di scienza. E’ da considerarsi<br />
una piccola vera belva dall’indicibile voracità in grado di attaccare<br />
prede anche molto più grosse di lui, dalle<br />
quali ama suggere il sangue. Particolare e<br />
stupefacente è l’eclisse che subisce il suo<br />
mantello, che passa dal color rosso giallastro<br />
dell’estate, al bianco immacolato dell’inverno,<br />
periodo che lo rende tanto prezioso<br />
e ricercato per la sua pelliccia.<br />
L’Ermellino è un predatore che caccia<br />
prevalentemente Conigli selvatici,<br />
107<br />
ERMELLINO
Starne, Pernici, Fagiani e altri animali, oggetto di caccia anche da parte dell’uomo.<br />
E’ stato importato massicciamente in Nuova Zelanda per riequilibrare<br />
la presenza in quel territorio del Coniglio selvatico presente in maniera abnorme.<br />
Una curiosità vuole che il celebre quadro di Leonardo da Vinci arrivato<br />
sino ai giorni nostri con la denominazione di ”La dama dell’Ermellino” in realtà<br />
non rappresenti un Ermellino, bensì un Furetto albino; animale abbastanza<br />
simile, tuttavia diverso.<br />
La Donnola, il più piccolo dei Mustelidi, è tra l’altro l’unico della famiglia a<br />
cacciare il Toporagno evitato da tutti gli altri suoi ”parenti” a causa dell’insipienza<br />
delle sue carni e del cattivo odore che emana.<br />
Lo Zibellino è onnivoro in quanto, oltre che di carne, si nutre anche di bacche.<br />
Questo animaletto è stato cacciato con trappole e trabocchetti per secoli a<br />
causa della sua pelliccia particolarmente pregiata, ma l’astuzia dello Zibellino<br />
è tale che molto spesso riesce ad impadronirsi delle esche senza far scattare le<br />
trappole. Un tempo era presente un po’ ovunque, compreso nelle nostre montagne,<br />
ma a causa di una caccia spietata per la sua pelliccia, oggi la continuità<br />
della sua specie è messa fortemente in pericolo. Lo si può trovare con una certa<br />
frequenza solamente nella parte alta della Siberia, mentre nel resto dell’Europa<br />
manca da circa 80 anni. Anche la Faina e la Martora, oltre che di prede abituali,<br />
si nutrono, specie nel periodo autunnale, di frutta e bacche.<br />
Le Martore, a dispetto degli Zibellini, sono abbastanza rappresentate in tutto il<br />
mondo. Sono animali molto crudeli, uccidono per diletto, e senza nessuna<br />
ragione le vittime che poi abbandonano sul posto senza più toccarle. Spesso si<br />
riuniscono in vere e proprie “bande” e invadono nuove zone della foresta compiendo<br />
inspiegabili migrazioni che lasciano tracce sanguinose.<br />
Le Lontre si cibano prevalentemente di prede anfibie che individuano sott’acqua<br />
con l’aiuto delle loro vibrisse rigide e sensibili adatte a captare le correnti<br />
provocate dai movimenti delle prede. La Lontra comunica con i suoi simili<br />
mediante numerosi suoni e odori emessi dalle ghiandole che hanno un particolare<br />
significato di status. Nei paesi asiatici le Lontre particolarmente addestra-<br />
108
te, vengono impegnate dai pescatori per<br />
dirigere il pesce verso le reti, infatti allo<br />
stato libero le Lontre hanno la tendenza a<br />
convogliare il pesce verso un’insenatura<br />
dove diventa più facile catturarlo. Le<br />
Lontre cacciano generalmente di notte,<br />
preferendo quelle rischiarate dalla luna<br />
piena. Questa specie possiede un gran<br />
LONTRA<br />
numero di tane, ripari e rifugi temporanei<br />
che costantemente ispeziona e mantiene idonei ed efficienti.<br />
Anche il Tasso è un Mustelide anche se non possiede le stesse caratteristiche<br />
dei suoi parenti stretti. Il suo corpo è piuttosto tozzo, vive in piccoli branchi ed<br />
ha quindi un comportamento sociale. E’ onnivoro, ma si nutre prevalentemente<br />
di lombrichi che “aspira” nella notte umida dal terreno con il suo naso. La<br />
vista è piuttosto scarsa per cui, per cacciare le sue prede, ricorre all’olfatto e<br />
all’udito che invece sono molto sviluppati. Ha bisogno di un ampio territorio<br />
che può arrivare anche a un centinaio di ettari di terreno.<br />
La Puzzola possiede delle dita lunghe e forti adatte a scavare le tane in cui<br />
l’animale trascorre gran parte della sua vita sotterranea. Anch’ essa è una grande<br />
predatrice di roditori e piccoli mammiferi, ma non disdegna rettili e Vipere<br />
delle quali non teme affatto il veleno. Deve il suo nome al fortissimo e repulsivo<br />
odore che impregna di continuo il corpo e quindi il suo pelo. Per questo<br />
la sua pelliccia non è assolutamente apprezzata anche perché dopo innumerevoli<br />
e particolari trattamenti ancora nessun pellicciaio è riuscito a renderla inodore.<br />
Questa sgradevole peculiarità è dovuta ad alcune ghiandole secernenti<br />
una sostanza nauseabonda, che ha un doppio scopo: quello di far volgere in<br />
precipitosa fuga gli avversari e di richiamare gli individui della stessa specie.<br />
109
LA DONNOLA<br />
E’ un attivissimo predatore che caccia sia di giorno che di notte preferendo<br />
Topi e Arvicole, ma non disdegnando uova e piccoli uccelli.<br />
Molte sono le credenze popolari su questo mustelide, un tempo grande frequentatore<br />
delle case coloniche dove spesso entrava in conflitto con l’uomo.<br />
Come quasi tutti i mustelidi essa possiede, tra le altre, la proprietà di allungare<br />
a dismisura il suo corpo. Ricordano i più vecchi come la Donnola, fosse in<br />
grado di entrare in un piccolo pertugio allungandosi di quasi la metà della lunghezza<br />
del suo corpo. Una volta entrata nel pollaio la Donnola, che è un animaletto<br />
lungo poco più di 22-23 cm e del peso di 2-300 gr, durante la notte riusciva<br />
a sgozzare tutti gli animali che vi erano rinchiusi: triste era il mattino<br />
quando solitamente la nonna che si alzava per prima, si accorgeva della strage<br />
fatta. Nei tempi più lontani si pensava che a compiere il misfatto fossero i vampiri,<br />
considerati i due classici forellini lasciati nel collo delle vittime.<br />
Successivamente si scoprì invece che l’autore era la Donnola, qualche altra<br />
volta (ma più raramente) potevano essere anche le sue “compagne e vicine di<br />
tana” vale a dire la Faina, la Martora e la Puzzola.<br />
Le case coloniche erano un ricettacolo molto gradito da questo mustelide: i<br />
pagliai, i fienili e soprattutto le cataste di fasci di legna erano i suoi habitat preferiti<br />
e quando accadeva che un pollaio venisse distrutto, arrecando un grave<br />
danno alla già povera famiglia, allora<br />
scattava la rabbia e si procedeva con spietatezza<br />
alla caccia. L’uomo sapeva dove<br />
le Donnole avevano le loro tane e allora<br />
disfaceva la catasta di fasci di legna,<br />
poneva gli stessi sulla terra uno sopra<br />
l’altro in maniera da ottenere una piccola<br />
arena e quando tutti i fasci erano rimossi,<br />
110<br />
DONNOLA
sul terreno sottostante apparivano decine di buchi, una vera e propria gruviera:<br />
erano le tane delle Donnole, o in qualche caso anche di altri Mustelidi. A<br />
questo punto entravano in scena dei Cani (molto abili e particolarmente addestrati<br />
nel cacciare i Ratti), che azzannavano le “povere bestie” appena queste<br />
sporgevano con il loro musetto dalla tana tentando la fuga. Se qualcuna sfuggiva<br />
alle fauci dei Cani, andava a sbattere contro i fasci di legna e in questo<br />
caso erano gli uomini dentro il recinto, a finirle con dei bastoni o delle forche.<br />
La voce della distruzione del pollaio da parte della Donnola e della sua caccia<br />
si spargeva per il paese e tutti correvano ad assistere al triste, ma “necessario<br />
spettacolo”. Poi una volta conclusa l’opera di “bonifica”, si potevano osservare<br />
sul selciato davanti la casa colonica le Donnole uccise e fra di esse, quasi<br />
sempre c’erano anche le sue “compagne e vicine di tana” Martore, Faine e<br />
Puzzole. Si procedeva dunque a scuoiare gli animali e ad inchiodare ben tese<br />
le loro pelli su delle tavole che venivano poi esposte al sole affinché si potessero<br />
asciugare. Successivamente venivano vendute allo straccivendolo (strassariol)<br />
che settimanalmente passava per le case a raccogliere le “robe vece”, le<br />
ossa, il ferro vecchio e, appunto, le pelli degli animali. Si poteva raccogliere<br />
così un po’ di denaro che in qualche modo ripagava la sfortunata famiglia per<br />
il danno del pollaio distrutto. Le pelli venivano successivamente portate in<br />
conceria e finivano per abbellire polsini e colletti dei cappotti delle signore.<br />
Va pure ricordato come qualche famiglia, nell’intento di prevenire la strage nel<br />
pollaio, saltuariamente usasse raccogliere del cuoio proveniente dalle tomaie<br />
degli zoccoli e delle scarpe vecchie e lo bruciasse in prossimità delle tane con<br />
la speranza che l’odore, davvero cattivo, emanato dal cuoio bruciato, scacciasse<br />
i terribili mustelidi. Ma era una prevenzione che non portava a nessun risultato,<br />
e la Donnola se ne stava tranquilla nella sua tana; da qui il vecchio detto:<br />
“Non a va via gnanca se te brusa curame”.<br />
Nei tempi andati, la Donnola era conosciuta come un animaletto molto dispettoso,<br />
e si diceva che si divertisse proprio a procurare guai all’uomo e che poi<br />
per sfuggire alla sua ira, usasse arrampicarsi velocemente sull’albero più alto<br />
111
anche per evitare la cattura da parte dei cani. Nella bassa Trevigiana, essa veniva<br />
anche individuata con i nomi dialettali di: “puissat”, e “bea donoea”. E tanti<br />
sono gli aneddoti raccontati. Frequentemente infastidiva le vacche durante la<br />
mungitura tanto che queste, con uno scarto improvviso rovesciavano il secchio<br />
del latte e il mungitore stesso. Molto spesso tormentava con la sua presenza le<br />
chiocce che covavano, e le molestava al tal punto che queste lasciavano il covo<br />
e allora predava uova e pulcini. Ancora più spesso entrava nelle case e con la<br />
frenesia che la contraddistingueva metteva tutto sottosopra e talvolta rubava<br />
quel poco che c’era da mangiare. La Donnola ha dunque una vita molto frenetica,<br />
in continuo movimento, dorme pochissimo, la sua alimentazione giornaliera<br />
deve essere pari ad un terzo del suo peso, ha una vita brevissima che può<br />
durare non più di 12/15 mesi. Ha un comportamento solitario, una gestazione<br />
di 35/37 giorni e può partorire fino a 9 cuccioli.<br />
La fiaba<br />
“La Donnola e il Gallo”<br />
Una Donnola aveva catturato un Gallo e avrebbe voluto un pretesto plausibile<br />
per poterlo uccidere. Iniziò ad accusarlo perché cantando di notte non permetteva<br />
all’uomo di riposare. Il Gallo però si difese sostenendo che il suo<br />
canto consentiva all’uomo di svegliarsi presto e di poter lavorare. Allora la<br />
Donnola accusò il Gallo di violare le leggi della natura accoppiandosi nel pollaio<br />
con la madre e con le sorelle. E poiché il gallo anche in questo asserì che<br />
tutto ciò era nell’interesse dell’uomo, poiché le galline facevano molte uova,<br />
la Donnola esclamò: “ va bene vedo che non ti mancano delle buone giustificazioni;<br />
ma io per questo non voglio rinunciare al mio buon pasto” e se lo<br />
divorò. (Esopo)<br />
112
IL TASSO<br />
E’ un animale che ha sempre dovuto fare “i conti” con l’uomo. Sebbene la sua<br />
pelliccia non abbia il valore di quelle della Lontra, dell’Ermellino o dello<br />
Zibellino, è tuttavia molto ricercata perché se una volta serviva a foderare bauli e<br />
valigie, il suo pelo ancora oggi viene usato per fabbricare i migliori pennelli da<br />
barba, quelli per il trucco e ancora, spazzolini da denti per gengive delicate; la<br />
pelle invece è adoperata dai sellai per ricoprire le più eleganti e preziose selle da<br />
equitazione. Anche la sua carne è considerata molto pregiata. Il Tasso ha abitudini<br />
notturne e teme pertanto la luce del giorno, durante il quale se ne sta rintanato<br />
nelle sue inaccessibili tane dalle quali esce solo all’imbrunire per cercarsi il cibo.<br />
Questo mustelide è, per sua natura, scontroso, diffidente, poco socievole ed<br />
aggressivo. Durante la stagione fredda cade in letargo, ma, a differenza di molti<br />
suoi congeneri, si sveglia ripetutamente e per sgranchirsi compie pur brevi movimenti,<br />
talvolta arrischiandosi ad uscire anche fuori della tana. E’ piuttosto lento e<br />
impacciato nei movimenti, tuttavia sa arrampicarsi sugli alberi con una certa facilità<br />
ed è pure un abile saltatore. Di regola è carnivoro, si nutre infatti di Insetti,<br />
Larve sotterranee, Lombrichi, Topi, Molluschi che costituiscono con piccoli<br />
Conigli e leprotti il suo cibo più gradito; ma all’occorrenza si nutre anche di frutta,<br />
tuberi e radici, non disdegnando neppure le carogne di altri animali. Per questo<br />
si può affermare che il Tasso è in definitiva un animale onnivoro. Questo<br />
Mustelide ha bisogno di alimentarsi in continuazione,<br />
ma nonostante sia veramente<br />
insaziabile, può sopportare lunghi periodi<br />
di digiuno senza soffrirne eccessivamente;<br />
questa scoperta, è dovuta ad alcuni naturalisti<br />
che hanno tenuto dei Tassi a digiuno<br />
per oltre quaranta giorni senza che gli animali<br />
ne risentissero minimamente. Il Tasso<br />
è ritenuto un animale che in fatto di astuzia<br />
113<br />
TASSO
supera anche la Volpe e grazie a questa sua particolarità, raramente cade nelle<br />
trappole tese dall’uomo; è quindi un animale difficilissimo da cacciare. Solo dei<br />
cani bene addestrati riescono a stanarlo dalla sua tana, ma prima di farsi sopraffare,<br />
ingaggia con questi una lotta furibonda: si sdraia sul dorso e lotta ferocemente,<br />
tanto che prima di soccombere riesce a metterne fuori combattimento almeno<br />
tre o quattro. Come si è detto, il Tasso è aggressivo, ma anche coraggioso. Si racconta<br />
che molti anni fa, una femmina, alla quale era stata affumicata la tana per<br />
catturare i suoi cuccioli, si avventò contro una contadina e continuò a morderla<br />
finchè la donna fu soccorsa e l’animale fu ucciso. Ma anche la povera donna morì<br />
di lì a pochi giorni per idrofobia. Degna della massima attenzione per le sue curiosità<br />
è la tana del Tasso. Esso sceglie sempre dei siti esposti a mezzogiorno preoccupandosi<br />
che ci sia sempre un grande masso ben ancorato al suolo o un grosso<br />
tronco d’albero nelle vicinanze. Allora scaverà un lungo corridoio in fondo al<br />
quale costruirà una grande camera che tappezzerà di erba, muschio e foglie secche;<br />
sarà il soggiorno della famiglia in cui regnerà un’estrema pulizia. Dalla<br />
camera dipartiranno diversi corridoi che funzioneranno sia da vie d’uscita che da<br />
bocche d’aria. Nella camera del Tasso, come detto, regna dunque una grande pulizia,<br />
questo animale è veramente un igienista, infatti, nelle immediate vicinanze,<br />
ma talvolta sul finire del corridoio d’uscita, si costruisce delle lettiere che mantiene<br />
pulite portando periodicamente i “rifiuti”, molto lontano. Non è raro che altri<br />
animali quali Lepri, Conigli o Topi, utilizzino soprattutto i corridoi d’uscita dalla<br />
tana dove spesso vi costruiscono la loro “cuccia”. Ebbene, pur essendo questi dei<br />
bocconi prelibati, pare che il Tasso abbia un grande rispetto per i suoi ospiti. Infatti<br />
questi roditori che coabitano nelle sue tane, si sentono tranquilli e protetti poichè<br />
non si sa per quale stranezza, il padrone di casa li accoglie senza far loro del male.<br />
Un tempo era d’uso catturare dei Tassi molto giovani per poterli addomesticare,<br />
ed era frequente osservare questi animali vivere nelle case dell’uomo come se fossero<br />
dei gatti o dei cani. Sempre nei tempi andati, il grasso del Tasso veniva usato<br />
per curare artrosi e reumatismi. Ha un comportamento sociale, una gestazione di<br />
40/42 giorni e può partorire da 4 a 5 cuccioli.<br />
114
LA MARMOTTA<br />
È tutta avvolta da una calda e folta pelliccia bruna, leggermente rossiccia sul<br />
ventre e terminante con un bel ciuffo nero sulla coda. La testa è piuttosto massiccia<br />
coronata da orecchie piuttosto piccole. Ma la cosa che maggiormente<br />
spicca in questo animale sono gli occhi neri e rotondi, vivaci e brillanti che<br />
sembrano animati da una luce maliziosa. Fu a lungo allevata dalle popolazioni<br />
alpine per avere a buon mercato delle pellicce, ma anche perché da alcuni<br />
organi e dal suo grasso, si sono ricavati per secoli farmaci e unguenti “miracolosi”<br />
per curare diversi malanni. La Marmotta è pure stata considerata un animale<br />
da compagnia che spesso sostituiva il Cane, perché di carattere giocherellone<br />
e domestico. È ritenuto, a dovere, l’animale selvatico più pulito. Non<br />
c’è un centimetro quadrato del suo corpo che non lavi e pulisca con meticolosa<br />
attenzione. La Marmotta ha un comportamento assai sociale vivendo in<br />
gruppi numerosi che trascorrono la giornata giocando a rincorrersi e nutrendosi<br />
di erbe aromatiche. Vive in prevalenza anche oltre i 3000 metri di altezza,<br />
ma non appena le prime brume avvolgono la montagna, ridiscende verso i luoghi<br />
più caldi. Possiede due tane: una estiva con una camera non molto profonda<br />
di media ampiezza in nuda terra e con una via d’uscita per la fuga. Quella<br />
invernale sarà invece più profonda anche 4-5 metri con una grande camera<br />
centrale che riempie di erba, foglie e felci e che diventerà il luogo dove trascorrerà<br />
l’inverno in uno stato di ibernazione,<br />
ma la cosa strana è che la Marmotta si<br />
risveglia ogni 20-25 giorni per andare a<br />
deporre i propri escrementi all’estremità<br />
del corridoio d’accesso, mantenendo in<br />
questo modo la camera sempre pulita e<br />
inodore. Un altro particolare curioso va<br />
individuato nel fatto che in questa grande<br />
camera trascorreranno l’inverno molti<br />
115<br />
MARMOTTA
individui appoggiati gli uni agli altri e tutti legati da stretti vincoli di parentela.<br />
Il periodo che la Marmotta passa in questo stato di ibernazione particolare,<br />
dura sei lunghi mesi ed è più lungo di qualsiasi altro animale. Nel corso di questo<br />
periodo perde circa il 60% del suo peso corporeo. Per segnalare pericoli<br />
incombenti le marmotte di sentinella emettono un caratteristico segnale, il<br />
famoso “fischio delle Marmotte”. Questo fischio opportunamente modulato e<br />
protratto, va diversamente inteso come una conversazione oppure come<br />
l’espressione di uno stato d’animo particolare.<br />
Ha un comportamento sociale, una gestazione di circa 30 giorni e può partorire<br />
da 4 a 8 piccoli.<br />
116
“Non siamo i padroni della natura, ma i suoi custodi.”<br />
Henrj David Thoreau
LA TALPA<br />
Vive sottoterra, è cieca, è priva d’olfatto, non ha un udito particolarmente sviluppato,<br />
ha invece nel tatto, il senso nel quale può maggiormente contare. Ed<br />
è infatti con il tatto che riesce ad individuare le sue prede che incontra scavando<br />
nel terreno. La Talpa deve alimentarsi ogni giorno per circa la metà del suo<br />
peso corporeo, pertanto è innato in questo animale l’istinto della continua ricerca;<br />
ecco perché scava senza interruzioni. Anche sazia, incontrando nuovi<br />
Lombrichi e nuovi Vermi essa li morderà; nella sua saliva sono presenti delle<br />
sostanze paralizzanti che agiranno sulla preda immobilizzandola per alcune ore;<br />
la Talpa, appena il cibo scarseggerà, ritornerà sui suoi passi e si ciberà di queste<br />
riserve. Contrariamente ad altri mammiferi, il pelo della Talpa alla carezza non<br />
si rovescia ma rimane dritto e morbido. La Talpa viene cacciata in diversi modi<br />
(molti di essi inefficaci) ma il più praticato e sicuro rimane sempre quello di<br />
attendere con pazienza la ripresa del suo lavoro, laddove è affiorata in superficie<br />
la sua piccola ultima duna. Sarà sempre al mattino presto, o alla sera al crepuscolo,<br />
che essa si rifarà viva e incomincerà a portare in superficie con i forti arti<br />
posteriori, la terra che scaverà con quelli anteriori, a questo punto basterà calcolare<br />
il ritmo con il quale il piccolo cumulo salirà, e con un colpo netto del badile,<br />
sollevare da sotto il cumulo intero, all’interno del quale quasi sempre ci sarà<br />
la Talpa. Un tempo la pelliccia di questo animale era molto preziosa e valeva<br />
veramente la pena cacciarla, infatti al passaggio<br />
dello straccivendolo che raccoglieva<br />
tutto, la pelle della Talpa, pur essendo piccola<br />
(un rettangolino di circa 12cm per 10),<br />
veniva pagata almeno 20 volte quella di un<br />
Coniglio che era molto, ma molto più grande.<br />
Ha un comportamento solitario, una<br />
gestazione di circa 28 giorni e partorisce<br />
da 3 a 5 cuccioli.<br />
TALPA EUROPEA<br />
119
La fiaba<br />
“ La Talpa e sua Madre”<br />
Una Talpa, animale cieco per natura, un bel giorno comunicò a sua madre<br />
che ci vedeva. La madre per verificare se fosse vero le diede un granello di<br />
incenso chiedendole cosa fosse. Essa allora dichiarò che era un sassolino.<br />
“Figlia mia” esclamò allora la madre, “tu non solo sei cieca, ma hai pure<br />
perduto il senso dell’olfatto”. (Esopo)<br />
IL CRICETO<br />
Le curiosità del Criceto incominciano da come costruisce la sua tana, sempre e<br />
comunque dotata di un’entrata e di un’uscita. Nel profondo della medesima si<br />
costruisce più camere.<br />
La prima, quella principale, solitamente la più grande, diventa il luogo di soggiorno.<br />
Sarà “arredata” con tenere foglie e sottili fili d’erba che diventeranno un<br />
morbido giaciglio anche per i piccoli che<br />
nasceranno. Seguiranno dei magazzini nei<br />
quali saranno accumulate, durante la stagione<br />
propizia, molte riserve di cibo per<br />
l’inverno; si calcola che ogni Criceto<br />
possa approvvigionarsi dai 13 ai 16 kg di<br />
vegetali tra i quali tarassaco, piantaggine,<br />
piccoli frutti, tuberi, radici e altro ancora.<br />
Ma il Criceto dopo il soggiorno e i magaz-<br />
CRICETO<br />
zini scaverà altri recessi, le così dette latrine,<br />
dove tutta la famigliola andrà a defecare<br />
lasciando pulito tutto il resto della tana. Un ultimo particolare curioso deriva<br />
dal fatto che il Criceto alle prime avvisaglie dell’inverno, chiude gli sbocchi<br />
esterni delle sue gallerie proteggendosi così dal freddo e dai predatori.<br />
Il suo letargo sarà piuttosto vigile perché fino all’arrivo della primavera alterne-<br />
120
à stati di breve letargia ad altrettanti brevi risvegli durante i quali consumerà<br />
piccole parti delle sue abbondanti scorte di cibo.<br />
Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 20 giorni e partorisce<br />
da 4 a 14 cuccioli.<br />
IL GHIRO<br />
Se non fosse per la sua lunga coda pelosa potrebbe essere scambiato per un<br />
Ratto considerate anche le pressoché identiche dimensioni. E’ un animale prevalentemente<br />
arboricolo, che occupa con successo una nicchia rimasta libera<br />
fra quella degli Scoiattoli e quella dei Ratti e dei Topi. Ha un mantello folto e<br />
lanuginoso e una coda interamente rivestita di pelo piuttosto lungo.<br />
Caratteristici sono i suoi grandi occhi sporgenti e la rotondità dei padiglioni<br />
auricolari, mentre i suoi sensi maggiormente sviluppati sono l’olfatto e<br />
l’udito. Vive costantemente fra i rami degli alberi, ma anche tra i cespugli<br />
scendendo sul terreno solo raramente. E’ maggiormente attivo nelle ore notturne<br />
durante le quali cerca frutta, semi e tenere cortecce, ma non disdegna di<br />
predare insetti, uova e piccoli nidiacei di uccelli. All’inizio dell’autunno, il<br />
Ghiro si alimenta con una maggiore voracità tanto da ingrassare in maniera<br />
notevole in vista del periodo freddo e del lungo sonno invernale. Anche il<br />
Ghiro, come gli Scoiattoli, ama costruire il suo nido nelle cavità degli alberi.<br />
Infatti, il suo habitat si identifica con<br />
boschi di querce e frassini misti a pini,<br />
dove, ad un’abbondante fruttificazione di<br />
queste piante si accompagna un’ampia<br />
disponibilità di cavità naturali; a tale proposito<br />
si è notato che, in questo particolare<br />
habitat, viene riscontrata una maggiore<br />
densità di Ghiri. Tuttavia questo<br />
animale non disdegna soluzioni alternati-<br />
121<br />
GHIRO
ve e sa costruirsi, fra i rami di cespugli e arbusti molto fitti, un nido globoso<br />
fatto di fronde e di stecchi simile a quello degli uccelli, pur se vistosamente<br />
più grande rispetto alla sua mole. In questi suoi nidi, siano essi nelle cavità o<br />
nei cespugli, il Ghiro introduce delle riserve di cibo che consumerà subito<br />
dopo il suo risveglio dal lungo e ininterrotto letargo. Si è notata una particolarità<br />
molto curiosa: il Ghiro rifiuta le cavità degli alberi che non abbiano il<br />
foro di ingresso rivolto a sud o che comunque non sia ben protetto dagli agenti<br />
atmosferici. La prima scelta resta tuttavia un rifugio ipogeo (sottoterra) ricavato<br />
fra il groviglio di radici di un albero; si tratta sempre di una tana piuttosto<br />
grande dove più individui possono raccogliersi insieme. In questi rifugi,<br />
in caso di forti densità di popolazione, più femmine condividono la tana per<br />
partorire ed allevare insieme i loro figli. Fra gli antichi Romani era d’uso allevare<br />
questi animali, che venivano ingrassati al punto giusto per passare poi<br />
allo spiedo e finire con l’allietare i loro banchetti. Questa usanza è venuta<br />
meno con la fine dell’Impero Romano.<br />
Ha un comportamento sociale, una gestazione di circa 30 giorni e partorisce<br />
da 4 a 10 piccoli.<br />
IL MOSCAR<strong>DI</strong>NO<br />
Questo animale è un piccolo Ghiro ed è poco più grande di un topolino domestico<br />
dal quale si distingue per il colore bruno-arancio del suo mantello e per la<br />
coda rivestita di un pelo corto ma folto. Ha abitudini alimentari abbastanza<br />
simili al Ghiro pur avendo una particolare predilezione per le nocciole, di cui,<br />
con grande abilità, riesce a forare il guscio e ad estrarre il seme. Preferisce vivere<br />
e cacciare sulle sommità dei cespugli e costruisce il nido di soggiorno con<br />
erbe, foglie e lembi sottili di corteccia intrecciati fra di loro sempre in forma<br />
globosa, con foro di accesso laterale capace di contenere un solo individuo e ad<br />
una certa altezza dal suolo. Il nido, dove le femmine vanno a partorire, è più<br />
grande, più robusto e più vicino al suolo. Il ritrovamento di più nidi uno accan-<br />
122
to all’altro, sta ad indicare che il<br />
Moscardino ha un comportamento sociale.<br />
Il nido, dove trascorrerà l’inverno, sarà<br />
invece costruito con dei materiali più<br />
compatti, appoggiato al suolo e coperto da<br />
foglie e detriti del sottobosco. In questo<br />
rifugio, con l’approssimarsi della cattiva<br />
stagione e senza aver effettuato alcuna<br />
provvista per l’inverno, si rinchiuderà rag-<br />
MOSCAR<strong>DI</strong>NO<br />
gomitolandosi a palla con la coda che gli coprirà la testa e le spalle come una<br />
sciarpa. Cadrà quindi in un profondo letargo che durerà fino a primavera inoltrata,<br />
senza mai svegliarsi. In caso di pericolo il Moscardino ha affinato un<br />
modo straordinario per mimetizzarsi, riesce ad appiattirsi contro i tronchi degli<br />
alberi al punto da passare inosservato e da sembrare una piccola protuberanza<br />
della corteccia alla quale nessun predatore darà mai alcuna importanza.<br />
Ha un comportamento sociale, una gestazione di circa 23 giorni e partorisce da<br />
4 a 8 piccoli.<br />
LO SCOIATTOLO ROSSO EUROPEO<br />
La curiosità che contraddistingue questo animale è che ciascun sesso mantiene<br />
separatamente il proprio territorio per gran parte dell’anno. Solo nel periodo<br />
degli amori il maschio entra nel territorio della femmina e la segue con<br />
insistenza fino al momento dell’accoppiamento. Ma per entrare in contatto<br />
con la femmina il maschio emette dei richiami molto simili a quelli emessi dai<br />
giovani traendo così in inganno la stessa che finisce in ogni modo con<br />
l’accettarlo. La grande coda degli scoiattoli, oltre ad essere un ovvio abbellimento<br />
dell’animale, ha altre varie funzioni: regola l’equilibrio e funge da<br />
“timone” quanto compie dei salti acrobatici lanciandosi da un ramo all’altro,<br />
quando non addirittura da un albero all’altro e la utilizza anche come paraca-<br />
123
dute frenante qualora decidesse di lanciarsi<br />
nel vuoto per raggiungere il terreno<br />
sottostante. Ma sembra avere pure un<br />
altro ruolo importante, quello di comunicazione<br />
nei rapporti interindividuali, fatti<br />
di spostamenti, di sbandieramenti e<br />
mosse insolite e cerimoniose. Lo<br />
Scoiattolo trova il suo habitat nei buchi e<br />
SCOIATTOLO COMUNE<br />
negli anfratti degli alberi, ma se questi<br />
venissero a mancare esso si costruirà, nella parte alta di un grande albero, un<br />
nido del tutto simile a quello degli uccelli, ma decisamente più grande e sproporzionato<br />
rispetto alla sua mole: ciò perché dovrà contenere tutte le provviste<br />
per il freddo e lungo inverno, quando riduce la propria attività per entrare<br />
in un vigile letargo, fatto di continui risvegli, durante i quali si alimenterà e<br />
scenderà addirittura al suolo, sia pur per brevissimi periodi.<br />
Il simpatico roditore, possiede nei denti incisivi un elemento che caratterizza<br />
quest’ordine di mammiferi presentando aspetti particolari e unici. Questi<br />
denti sono privi della radice, e sono ridotti ad un solo paio in entrambe le<br />
mascelle, dove appaiono relativamente sviluppati e notevolmente ricurvi. La<br />
loro estremità basale è aperta e ripiena di una polpa vascolarizzata, che assicura<br />
il loro accrescimento continuo, compensando, in tal modo, l’estremità<br />
dei medesimi, che viene consumata nell’erosione continua provocata dall’incessante<br />
rodere dell’animale. Altro aspetto curioso dello Scoiattolo, è rappresentato<br />
dalle tipiche impronte lasciate sulla neve e sul terreno, infatti si può<br />
notare che le zampe anteriori sono provviste di quattro dita e che le loro<br />
impronte sono sempre precedute da quelle posteriori, maggiormente sviluppate<br />
e comprensive di cinque dita. E va ricordato pure un ultimo aspetto<br />
curioso dello Scoiattolo: in tempi lontani (ma in certi paesi dell’Asia ancora<br />
oggi), riconoscendo a questo animale delle straordinarie capacità funamboliche,<br />
si riteneva che cibarsi del suo cervello, una volta disseccato e polveriz-<br />
124
zato, preservasse saltimbanchi ed equilibristi da cadute ed infortuni.<br />
Merita una nota aggiuntiva la vicenda dello scoiattolo grigio, che intorno agli<br />
anni 50 è stato introdotto, provenendo dal Nord America, all’inizio in Gran<br />
Bretagna e successivamente nel resto del continente Europeo. Oggi, questo<br />
Scoiattolo, essendo decisamente più grande e più forte dello Scoiattolo rosso<br />
europeo (comune), si è rivelato perturbatore degli equilibri esistenti, entrando<br />
in competizione con il medesimo e scacciandolo dal suo habitat originale. In<br />
alcune regioni Italiane come la Liguria e il Piemonte, si può ormai “denunciare”<br />
la scomparsa dello Scoiattolo autoctono e l’insediamento al suo posto<br />
dello Scoiattolo grigio.<br />
Ha un comportamento variabile, una gestazione di circa 45 giorni e partorisce<br />
da 2 a 6 piccoli.<br />
.<br />
IL TOPORAGNO<br />
Numerose caratteristiche di questi animali sono legate alle loro piccole dimensioni;<br />
ciò vale soprattutto per il metabolismo, estremamente elevato in relazione<br />
alla legge secondo la quale diminuendo le dimensioni del corpo il metabolismo,<br />
o meglio il costo metabolico, aumenta progressivamente; ciò lo rende<br />
estremamente vorace per la continua necessità di ingerire fonti alimentari energetiche.<br />
Per vivere, il Toporagno deve continuamente nutrirsi, tanto da abbisognare<br />
di una quantità di cibo giornaliera<br />
davvero notevole pari a dieci volte il suo<br />
peso corporeo. Le necessità energetiche<br />
durante la gestazione aumentano maggiormente<br />
e la ricerca di cibo richiede uno<br />
sforzo notevole; perciò può succedere che<br />
in determinati periodi le femmine gravide<br />
non trovino nutrimento sufficiente e quindi<br />
siano costrette a interrompere la gesta-<br />
125<br />
TOPORAGNO
zione. In questi casi non si assiste ad un aborto come sarebbe naturale per gli<br />
altri mammiferi, bensì ad un riassorbimento degli embrioni. In parole povere<br />
succede che la madre, non riuscendo a trovare nutrimento per se stessa e conseguentemente<br />
per gli embrioni e trovandosi nella necessità di sopravvivere,<br />
si… “rimangia il tutto”.<br />
Le femmine di Toporagno riescono a partorire anche cinque volte l’anno.<br />
Considerando che la pressione predatoria limita la vita di questo animaletto a<br />
quindici-diciotto mesi, si capisce come l’alto tasso riproduttivo sia necessario<br />
per assicurare la conservazione della specie. Un altro comportamento degno di<br />
interesse è rappresentato da brevi momenti di pausa e sonno a causa della continua<br />
agitazione in cui versa il Toporagno; durante lo stesso periodo invernale,<br />
il Toporagno pur rimanendo a lungo nella tana non entra in letargo essendo di<br />
natura sempre agitato e incapace di prendere sonno. Viene predato assiduamente<br />
da Gatti, Volpi, Rapaci diurni e notturni, da Vipere, Gazze e altri ancora, ma<br />
a causa del suo sapore sgradevole e di una accertata tossicità della sua carne,<br />
dopo la predazione il suo corpo viene abbandonato senza essere divorato.<br />
Davvero curioso, infine, è il modo con il quale una famigliola di Toporagno si<br />
sposta da una zona all’altra: i cuccioli, tutti in fila indiana tenendo tra i denti uno<br />
la coda dell’altro, si lasceranno guidare dalla madre.<br />
Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 20 giorni e partorisce<br />
da 5 a 7 piccoli.<br />
126
IL RICCIO<br />
Il comportamento del Riccio presenta diversi particolari curiosi. Ad esempio<br />
quando caccia, soprattutto nelle ore notturne, i piccoli seguono la madre a<br />
poca distanza tutti in fila indiana e si avvicinano ad essa solamente quando<br />
questa ha catturato qualche preda e con i tipici richiami, che somigliano a dei<br />
timidi grugniti, li chiama presso di sé.<br />
Quando viene attaccato, il Riccio ritira sul ventre le zampe e gli arti e si appallottola<br />
su se stesso diventando inespugnabile. Questo metodo di difesa è possibile<br />
in quanto il Riccio possiede una muscolatura particolarmente robusta<br />
posta sotto gli aculei. È appunto la contrazione di questa “guaina” che lo fa<br />
appallottolare. Quando i cuccioli nascono, per circa due giorni sono vulnerabili<br />
in quanto il loro corpo è coperto solo<br />
da una leggera peluria, ma basteranno<br />
ancora poche ore perché questi peli si<br />
modifichino in aculei tanto resistenti<br />
quanto quelli degli adulti.<br />
La credenza popolare ritiene che il<br />
Riccio sia immune al veleno della<br />
Vipera. In realtà egli teme molto il morso<br />
del rettile il quale però non riesce a superare<br />
con i suoi denti veleniferi lo strato di<br />
RICCIO EUROPEO<br />
aculei e finisce, dopo una lunga lotta, per<br />
soccombere ai suoi continui morsi, con i quali riuscirà a spezzare la colonna<br />
vertebrale del rettile. Ci sono stati diversi esperimenti in laboratorio e da questi<br />
si è dedotto che, a parità di peso, il Riccio è in grado di sopportare, senza<br />
gravi danni, una quantità di veleno di Vipera quasi dieci volte superiore quella<br />
che potrebbero sopportare altri mammiferi e tra di essi anche l’uomo. Il<br />
Riccio riesce a nuotare e a cacciare Rane, piccoli Anfibi e invertebrati; ad<br />
arrampicarsi sugli alberi dove preda uova e piccoli Uccelli ed a camminare<br />
127
molto velocemente sul terreno dove si nutre particolarmente di insetti e<br />
Lucertole. Si nutre molto voracemente pure di Vespe, Api e Coleotteri, anche<br />
dei più tossici, come Meloe e Litta, che contengono una buona dose di cantaridina,<br />
non subendo danno alcuno. È un animale che possiede una grande<br />
energia che spesso rasenta la frenesia. Non solo nel periodo degli amori, ma<br />
anche in altre stagioni, egli ama correre freneticamente in cerchio apparentemente<br />
per divertimento, ma quasi sempre per scaricare l’eccesso di energie.<br />
Un ultimo fatto, considerato per anni credenza popolare, si è dimostrato, in<br />
realtà, assai veritiero. Il Riccio ha l’abitudine di cospargersi, con incredibili<br />
contorsioni, gli aculei con sostanze che emanano un forte e sgradevole odore.<br />
Poiché questo comportamento provoca un aumento della salivazione è stato<br />
anche definito “autosputo”.<br />
Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 35 giorni e partorisce<br />
da 3 a 7 piccoli.<br />
128
“Che Allah sia lodato per la varietà della sua creazione.”<br />
Proverbio Arabo
IL CERVO<br />
Il Cervo europeo è caratterizzato da: un accentuato sviluppo della parte anteriore<br />
del corpo; altezza (dalla spalla) che può arrivare a 2 m, zampe proporzionalmente<br />
alte, robuste ed agilissime e una dentatura completa (34 denti compresi i<br />
canini che mancano in altre specie).<br />
Osservato in libertà, il Cervo non sembra essere quello scellerato e balordo animale<br />
che i più ci descrivono. Questo ungulato sa opporre tattica a tattica e sa<br />
mettere a buon profitto tutti i suoi acutissimi sensi, che gli permettono di sentire<br />
la presenza dell’uomo fino a 600 m di distanza. La celerità dei suoi garretti<br />
d’acciaio, la resistenza al nuoto, la capacità di sopportare la fame e la sete rimanendo,<br />
per ore e ore, affondato fino alla testa nelle paludi e nei pantani, il saper<br />
trarre vantaggio dagli ostacoli naturali per ritardare l’inseguimento e far perdere<br />
le tracce ai suoi predatori, denotano, oltre che prestanza fisica, anche prudenza<br />
e intelligenza. Naturalmente come per ogni animale della foresta, la legge del<br />
più forte vale anche per il Cervo. L’egoismo si identifica con l’istinto di conservazione.<br />
Ciò è tanto più evidente nella femmina. Per natura la Cerva è dolce e<br />
timida ed è una madre affettuosa, ma quando i suoi cuccioli sono minacciati può<br />
diventare feroce. Per ogni figliata nasce un solo cucciolo, raramente due.<br />
Quindi questo “figlio unico” è coccolato e viziato dalla madre fino alla nascita<br />
del nuovo rampollo; allora il figlio ormai grande viene energicamente cacciato<br />
di casa e lasciato al suo destino. Solo all’inizio del sesto mese la distinzione fra<br />
i due sessi si rivela chiaramente. Non soltanto si diversificano nel mantello<br />
invernale, ma nel maschio comincia a formarsi, sia da un lato che dall’altro<br />
sulla parte anteriore della fronte, una prominenza arcuata: la rosa. Appena<br />
l’osso della rosa avrà raggiunto la debita altezza, nascerà su di esso una fitta<br />
peluria (il velluto). Sbucherà quindi un germoglio corneo che andrà via via sviluppandosi<br />
in un fuso robusto (asta). A questa fase del suo sviluppo il cerbiatto<br />
prende il nome di “fusone”. Quanto più il cerbiatto è robusto tanto più l’asta<br />
cornea è forte e massiccia. All’inizio essa è sempre ricoperta da una guaina vel-<br />
131
lutata la quale, a crescita ultimata, si lacererà e cadrà lasciandola nuda. All’inizio<br />
del secondo anno di vita, cioè la primavera successiva, quelle prime aste (palco)<br />
cadranno per rinascere più tardi, accresciute da un nuovo germoglio. Questa<br />
prima diramazione (occhiale) promuove il giovane “fusone “ al grado di “forcuto”.<br />
Nell’ anno successivo (il terzo), il palco accresciuto di un secondo germoglio,<br />
gli conferirà il titolo di “treppunte”. Il Cervo possiede dunque un palco<br />
massiccio e caduco. Accade infatti ogni anno, a fine marzo-aprile, che il palco<br />
si decalcifichi e cada. La cicatrice, dopo qualche giorno, verrà ricoperta dal<br />
“velluto” e il palco tornerà a riformarsi rapidamente per opera delle cellule<br />
costruttrici delle ossa e sarà, ogni volta, più saldo, più robusto e con un germoglio<br />
in più. Sempre per un periodo transitorio, la guaina vellutata ricopre esternamente<br />
le aste mentre all’interno una rete sempre più fitta di arterie sanguigne<br />
alimenta queste escrescenze che costituiscono, per il cervo, l’arma poderosa, il<br />
suo ornamento e il suo attributo di campione. Normalmente, se non avrà infortuni<br />
o malattie gravi, un Cervo adulto avrà fra i sette e i dieci anni, palchi (ripiani)<br />
costituiti da 12 e più punte i quali formano alla sommità una specie di “corona”<br />
che, per la forma, si diversifica da specie a specie ed anche talvolta da individuo<br />
a individuo. Scompariranno invece le punte infantili che costituivano il<br />
palco giovanile. In vecchiaia, e cioè dopo i 13/14 anni, la crescita delle punte si<br />
arresterà. La perdita del palco non produce sofferenza all’animale, ma sicuramente<br />
un po’ di fastidio, mentre un certo malessere lo produce la caduta del velluto<br />
che si distacca a brandelli e di cui il Cervo si libera strofinandosi selvaggiamente<br />
contro i tronchi degli alberi. Inoltre, poiché è difficile che i 2 fusti<br />
cadano nello stesso momento, quando il primo è caduto la sproporzione di peso<br />
costringe l’animale ad inclinare la testa da un lato e allora la scuote sovente<br />
come se volesse liberarsi al più presto anche dell’altro fusto. Per rinnovare il<br />
palco l’animale impiega da 3 a 4 mesi, e si arriva così a fine estate, epoca in cui<br />
i palchi saranno necessari al Cervo innamorato per affrontare i rivali. Se si considera<br />
che nel Cervo adulto la lunghezza media dei fusti che formano il palco è<br />
di circa 100 cm, che l’apertura tra le due estremità può arrivare ai 130 e che il<br />
132
numero dei pugnali va da 12 ad oltre 20,<br />
non è difficile pensare quanto siano poderose<br />
le armi di cui dispone. Un’altra caratteristica<br />
del Cervo è quella della “muta”.<br />
La lunghezza, la densità e il colore del<br />
pellame sono molto differenti nella stagione<br />
fredda e nella stagione calda. La muta,<br />
che inizia in primavera e termina in esta-<br />
CERVO<br />
te, conferisce al Cervo un abito estivo in<br />
cui prevalgono i colori ruggine rossastro, mentre in quello invernale domina<br />
una tinta grigio bruna. Le orme del Cervo si riconoscono facilmente; infatti il<br />
suo zoccolo è tipico: formato da 2 unghioni allungati neri e cornei riuniti fino a<br />
metà da un forte legamento formando nell’insieme una palma tenera a forma di<br />
cuore. Il Cervo che vive libero nel bosco si nutre di teneri rami, germogli,<br />
foglie, scorze d’albero, funghi e bacche. Ama anche scavare nel terreno con il<br />
suo muso appuntito alla ricerca di patate e altri tuberi, ma pure di radici mangerecce.<br />
Il Cervo è sempre stato cacciato sin dai tempi più lontani; tutte le epopee<br />
ne parlano ed è presente nelle tradizioni di tutti i popoli e di tutti i paesi. Nei<br />
miti delle divinità pagane la Cerva era sacra alla dèa Giunone, moglie del re<br />
dell’Olimpo Giove-Zeus, che con la sua arma terribile, la folgore, dominava<br />
uomini e dèi, e alla dèa della caccia Diana, che di giorno penetrava nelle selve<br />
e di notte saliva sul carro argenteo della luna. Nella cristianità il Cervo assume<br />
invece un significato metaforico nuovo, raffigurando il Cristo e successivamente<br />
gli Apostoli. Di conseguenza tutto il Medioevo è pieno di leggende che<br />
narrano di conversioni dovute ad apparizioni di Cervi bianchi, di Cervi fiammeggianti,<br />
di Cervi recanti fra le corna del palco croci abbaglianti, di Cervi<br />
alati. Il Bramito del Cervo viene emesso dal maschio nel periodo che precede<br />
l’amore quando tende a difendere il suo territorio e ad arricchire il suo harem<br />
di nuove femmine. Strenue e prolungate sono le lotte fra maschi per ottenere<br />
il predominio sul territorio, lotte che sempre finiscono con la prevalenza del<br />
133
maschio più forte che diventa così dominante. In questo periodo il Cervo,<br />
impegnato com’è a bramire, ad accoppiarsi, a lottare per la dominanza, a controllare<br />
territorio e femmine, non ha nemmeno il tempo per alimentarsi, tanto<br />
che in 25-30 giorni, tanto lungo è il periodo dell’estro, arriva a perdere anche<br />
55-60 kg del suo peso. Alla fine dell’inverno lungo le strade del loro habitat,<br />
ormai libere dalla neve, di sera e fino all’alba, è molto facile poter osservare le<br />
strade invase dai Cervi intenti a leccare l’asfalto reso salato dalla cosparsa da<br />
parte dell’uomo di sale per sciogliere la neve. E’ altrettanto interessante sapere<br />
come in certe località si possano osservare alcune rocce contenenti evidenti<br />
residui di sale rese perfettamente lisce, in quanto leccate per millenni dai<br />
Cervi. Un antico aforisma “maschilista” racconta, che quando due novelli<br />
sposi entravano nella loro casa, l’uomo rivolgendosi alla moglie dicesse: “o<br />
servi come una serva, o fuggi come una Cerva”. Ha un comportamento sociale,<br />
una gestazione di circa 250 giorni e partorisce un solo piccolo.<br />
La fiaba<br />
“Il Cervo alla fonte del Leone”<br />
Un Cervo assetato si recò presso la fonte: bevve e poi rimase a contemplare la<br />
sua immagine riflessa nell’acqua. Si sentì orgoglioso del suo bel palco e<br />
ammirò la sua grandezza e il suo disegno. Ma delle sue gambe non si sentì<br />
soddisfatto perché gli sembravano troppo fragili. Mentre stava ancora riflettendo<br />
su ciò, un Leone arrivò alla fonte e scorgendo il Cervo incominciò a<br />
inseguirlo, ma il Cervo con le sue gambe agili si diede alla fuga, attraversò<br />
tutta la pianura ed entrò nel bosco con un buon vantaggio sul felino che però<br />
continuò ad inseguirlo. Arrivato però nel bosco accadde che il suo maestoso<br />
e bellissimo palco si impigliò su degli arbusti, così che il Cervo non potè più<br />
correre e fu catturato dal Leone affamato. Allora mentre stava per morire<br />
esclamò: “ Me disgraziato quelle gambe in cui non avevo fiducia mi offrivano<br />
la salvezza e mi tocca morire proprio per colpa di quello in cui riponevo tutta<br />
la mia fiducia”. (Esopo)<br />
134
LA VOLPE<br />
E’ un animale che nasce carnivoro, ma che oggi deve essere considerato onnivoro.<br />
Tipico abitatore delle colline e delle montagne, dove con grande furbizia<br />
e poco dispendio di energie sa cacciare le sue prede, essendo molto intelligente<br />
e quindi opportunista, è ultimamente sceso a valle ed è arrivato sino al mare,<br />
incontrando sulla sua strada discariche e cassonetti delle immondizie dove si<br />
nutre dei rifiuti dell’uomo faticando ancora<br />
meno. E’ un animale dall’incedere<br />
molto elegante tanto che si ritiene che le<br />
indossatrici in passerella imitino il suo<br />
camminare, ponendo una gamba davanti<br />
l’altra e ancheggiando, proprio come fa la<br />
Volpe.<br />
Il suo territorio, fortemente “marcato” da<br />
urine e feci, varia dai 7 ai 10 kilometri<br />
quadrati, all’interno dei quali soprattutto il<br />
VOLPE<br />
maschio caccia in solitudine, preferibilmente<br />
di notte. Nelle tane della Volpe sono stati sovente trovati i resti delle<br />
prede più svariate, va riconosciuto pure che, all’occorrenza, si introduce in qualche<br />
pollaio dove comunque non fa razzie, ma si limita a predare un solo animale.<br />
E purtroppo entra ancora in conflitto con l’uomo anche quando preda con<br />
facilità la selvaggina che nidifica a terra. Tuttavia a conti fatti si è comunque<br />
potuto accertare che la Volpe preda prevalentemente vari piccoli roditori e non<br />
è quindi così dannosa all’uomo come si è portati a credere. Raramente il<br />
maschio divora le sue prede sul posto in quanto ama portare il bottino nella sua<br />
tana e consumarlo con la femmina e i cuccioli che lo attendono. I cuccioli non<br />
sono accuditi solo dalla madre naturale, ma molto frequentemente anche da<br />
altre femmine “aiutanti” che rimangono nella tana o nelle immediate vicinanze<br />
sino ad oltre tre mesi. Se le prede sono di grossa taglia o numerose, la Volpe<br />
135
scava un buco nel terreno e le seppellisce memorizzando il luogo e ritornandovi<br />
su di esso nei momenti di carestia. La Volpe è sempre stata vittima della caccia<br />
da parte dell’uomo, sia per la sua preziosa pelliccia, sia perché la sua esistenza<br />
ha colorito molte favole del passato e certamente ha dato così un tocco<br />
di mistero a tante tradizioni popolari. In questi ultimi anni la lotta contro questo<br />
astuto animale che, grazie proprio alla sua furbizia, riesce comunque a sopravvivere<br />
in gran numero, si è intensificata perché l’animale quando scende a valle<br />
e arriva sino al mare, essendo portatore e diffusore della “rabbia silvestre”, una<br />
forma di idrofobia che fa strage tra le popolazioni selvatiche di animali, potrebbe,<br />
mordendolo, trasmetterla anche all’uomo.<br />
Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 50 giorni e può partorire<br />
da 4 a 10 piccoli.<br />
La fiaba<br />
“La Volpe e l’uva”<br />
Una Volpe affamata notò dei bellissimi grappoli d’uva pendere da una pergola<br />
e tentò di mangiarli. I grappoli erano troppo in alto e nonostante vari tentativi<br />
non riuscì nel suo intento. Disse allora tra sé e sé “sono troppo acerbi non mi<br />
sarebbero piaciuti” e si allontanò (Esopo).<br />
LA LINCE<br />
E’ un superpredatore per eccellenza; possiede una vista acutissima e un udito<br />
altrettanto sviluppato. E’ dotata di artigli retrattili che usa per artigliare le<br />
prede o per salire sugli alberi e che ritira quando si sposta sul terreno. Questo<br />
felino è di maestosa bellezza, si muove con una rapidità assai maggiore dei<br />
suoi parenti dell’Asia e dell’Africa. Come del resto tutti i felini, la sua lingua<br />
presenta papille cornificate rivolte all’indietro, usate per raschiare la carne<br />
dalle ossa. Per la Lince, la digeribilità è facile e non implica particolari specializzazioni<br />
dell’apparato digerente. In genere la secrezione salivare è scar-<br />
136
sa e la struttura dello stomaco molto<br />
semplice. Il suo intestino breve non<br />
supera la lunghezza di 4 volte la dimensione<br />
del suo corpo. E’ curioso sapere a<br />
questo punto che quello di una Foca è di<br />
20 volte superiore, mentre quello del<br />
Leone marino arriva a 80 volte. La Lince<br />
come i suoi simili (predatori carnivori),<br />
LINCE<br />
presenta sul corpo ghiandole di diverso<br />
tipo. Alcune sono in funzione della termoregolazione, servono, cioè, a mantenere<br />
il pelo in buone condizioni e a renderlo isolante: è il caso delle ghiandole<br />
sebacee che (come negli uccelli) producono una secrezione che serve a<br />
lubrificare la pelliccia. Anche le ghiandole anali sono particolarmente sviluppate<br />
e producono una sostanza davvero nauseante.<br />
La Lince riesce a scorgere un piccolo Topo nascosto fra la vegetazione a 50<br />
metri di distanza; a 100 metri individua una Lepre e a 300 metri un piccolo di<br />
Capriolo nascosto in un prato. Si distingue dagli altri felini (a parte il<br />
“Caracal” che possiede anch’esso questa caratteristica pur se in proporzioni<br />
più ridotte), per i ciuffetti piuttosto lunghi posti sulla sommità delle orecchie<br />
appuntite che hanno una funzione auricolare aggiunta. Si evidenziano pure i<br />
suoi sviluppati e rigidi “baffi” bianchi o grigi che si allineano sul labbro superiore,<br />
conferendo al muso un aspetto fiero e particolare, ravvivato da un paio<br />
d’occhi dal freddo sguardo metallico. E’ un animale molto forte che riesce ad<br />
abbattere persino dei Caprioli e dei giovani Cervi, saltando sul dorso delle vittime<br />
e dilaniandole a colpi di artigli e di denti. E’ stato osservato che i giovani<br />
maschi hanno un alto tasso di mortalità, probabilmente per ragioni genetiche.<br />
Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 65 giorni e può partorire<br />
da 2 a 4 piccoli.<br />
137
L’ORSO BRUNO<br />
È tornato ad abitare (anche se solo di passaggio) la foresta del Cansiglio provenendo<br />
da est dopo alcuni decenni di totale assenza. È parente stretto del<br />
Grizzly, del Kodiac e di altri Orsi orientali. Contrariamente a quanto la gente<br />
è portata a credere, l’Orso bruno è un animale prevalentemente erbivoro. La<br />
sua alimentazione di base è infatti costituita da erba, radici, tuberi, funghi e<br />
frutta e solo saltuariamente si nutre di qualche carogna. Integra questa dieta<br />
con miele che ruba alle Api selvatiche, non disdegnando nemmeno gli stessi<br />
insetti. Nelle sue abitudini, niente giustifica l’aureola di terrore da cui è circondato;<br />
tanto più che, ignorando sovranamente l’uomo, si lascia avvicinare<br />
dallo stesso senza reagire, limitandosi a emettere dei sonori grugniti quando<br />
ritiene che si stia per sorpassare i limiti di una rispettosa familiarità. Soltanto<br />
il suo aspetto può spiegare la sua cattiva reputazione: infatti è grande e massiccio<br />
e tutto di lui è imponente soprattutto con l’avvicinarsi dell’inverno,<br />
quando il suo corpo si copre di grasso per proteggersi dal freddo. L’Orso<br />
bruno allora raddoppia il suo peso e diventa un mostro grottesco con la sua<br />
andatura pesante e faticosa. In realtà, il terribile protagonista di tante leggende<br />
ha solo la forza di raggiungere traballando la propria tana, dove rimarrà in<br />
letargo nei mesi invernali. Peso e dimensioni variano in base all’habitat e<br />
quindi al tipo di alimentazione; certi maschi adulti arrivano a pesare 5/7 quintali<br />
e, ritti sulle zampe, possono raggiungere<br />
e superare i 2 metri e mezzo di altezza.<br />
In oriente l’Orso Tibetano, che ha le<br />
medesime caratteristiche dell’Orso<br />
bruno, viene accusato dalle popolazioni<br />
locali di introdursi nottetempo nei villaggi<br />
e compiere razzie di animali domestici,<br />
tanto che molte leggende lo citano<br />
come responsabile di mille misfatti e per<br />
ORSO BRUNO<br />
138
questo è fatto oggetto di una caccia spietata. In realtà viene ucciso in quanto<br />
si crede che alcune parti del suo corpo, specialmente la cistifellea, servano a<br />
produrre farmaci che si rivelerebbero essere la panacea per guarire tutti i mali<br />
e queste medicine, soprattutto unguenti, vengono venduti sui mercati a prezzi<br />
davvero ragguardevoli.<br />
Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 65 giorni e può partorire<br />
da 1 a 3 piccoli.<br />
La fiaba<br />
“I viandanti e l’ Orso”<br />
Due amici viaggiavano insieme, quando si videro sbarrare la strada da un<br />
grande Orso. Uno dei due, più svelto, si arrampicò su un albero e vi restò<br />
nascosto, mentre l’altro, si gettò al suolo fingendosi morto. L’Orso si avvicinò<br />
e lo annusò e il povero uomo trattenne persino il respiro, perché a quel che<br />
si diceva l’Orso non avrebbe mai toccato un cadavere. E l’Orso dopo averlo<br />
nuovamente annusato si allontanò.<br />
Solo allora, quello che era sull’albero, ridiscese e chiese all’altro che cosa<br />
gli avesse detto nell’orecchio l’Orso: E quello gli rispose:” di non viaggiare<br />
più con dei compagni che nel pericolo non restano al tuo fianco”. (Esopo)<br />
IL LUPO<br />
Le disgrazie del Lupo non sono tutte imputabili a Cappuccetto rosso, alle favole<br />
di La Fontaine, a quelle di Esopo o ai racconti di Daudet, e nemmeno all’immaginario<br />
collettivo Cristiano, che durante il Medioevo vedeva nel Lupo<br />
l’incarnazione del demonio, delle forze oscure del male e del peccato. Della sua<br />
cattiva fama sono responsabili anche i contributi di importanti zoologi e di narratori.<br />
Nell’ottocento si leggono dei trattati che definiscono il Lupo: “il più cattivo<br />
degli animali feroci” e in altre occasioni lo si fa conoscere all’uomo attraverso<br />
comunicati e manifesti che insegnano : “i feroci costumi del Lupo, noci-<br />
139
vo da vivo e inutile da morto”. Per ribaltare<br />
le opinioni in favore del Lupo, bisogna<br />
attendere le esperienze dei ricercatori<br />
cresciuti alla scuola di K. Lorenz che lo<br />
hanno studiato a fondo. Oggi, alla luce<br />
delle ultime (tardive) esperienze, se potesse<br />
parlare, solo la Pecora potrebbe dire:<br />
“crepi il Lupo”. Il destino dell’Uomo e del<br />
LUPO<br />
Lupo si intrecciano sin dai tempi della<br />
preistoria. Essi hanno infatti gli stessi gusti e mirano entrambi alla stessa selvaggina.<br />
Ma è quando l’Uomo si dedica all’allevamento che la lotta si fa più<br />
spietata. La Pecora è una preda facile e abbondante, e il Lupo diventa un nemico<br />
pericoloso e organizzato. Più di tutti, i pastori ne conoscono la strategia, e le<br />
varie tattiche, soprattutto se il terreno è innevato, ma nonostante ciò, e pur con<br />
l’aiuto di Cani custodi, non riescono quasi mai a evitare che il Lupo faccia delle<br />
vittime. E l’Uomo capisce che non può sottrarsi alla forza e all’astuzia del Lupo<br />
e, se vuole salvare le sue greggi, deve attaccarlo e ucciderlo. Così, sempre nell’ottocento,<br />
viene decretata la fine di questo animale feroce. Si organizzano tre<br />
volte all’anno, delle battute di caccia, mentre trabocchetti, trappole e bocconi<br />
avvelenati vengono disseminati in continuazione sul terreno durante tutto<br />
l’anno. Lo combattono pastori, cacciatori, ma, per solidarietà, anche uomini del<br />
paese che compiono altri lavori, e i nobili. In Francia, per esempio, al tempo del<br />
suo regno, anche Luigi XV mandò a caccia del lupo i suoi luogotenenti e le sue<br />
particolarmente addestrate mute di cani. Oggi il Lupo è un animale che vive in<br />
piccoli branchi nei boschi più inaccessibili, e in tutto il mondo occidentale, la<br />
sua riabilitazione è in atto grazie anche ad un graduale mutamento di mentalità.<br />
Il Lupo rimane comunque un magnifico predatore da controllare, ma che di<br />
certo non è gratuitamente cattivo. Una delle tante caratteristiche tipiche del<br />
Lupo, come del resto di altri Canidi, è quella di possedere un muso appuntito,<br />
grandi orecchie erette, arti lunghi, muscolatura del corpo molto sviluppata, coda<br />
140
lunga e folta. Possiede cinque dita nelle zampe anteriori e quattro in quelle<br />
posteriori. Il Lupo non è particolarmente veloce, ma piuttosto resistente; può<br />
correre anche per trenta kilometri prima di arrendersi e letteralmente cadere a<br />
terra perché sfinito; nessuna preda è in grado di riuscire a reggere questo confronto.<br />
I Lupi, nella bella stagione, vivono isolati, nutrendosi di piccole prede<br />
come roditori e uccelli; d’inverno invece si riuniscono in branchi per cacciare<br />
animali molto più grandi come Cervi e Caprioli. I piccoli di Lupo nascono<br />
generalmente alla fine dell’inverno in una tana appositamente costruita dalla<br />
madre, ed è la stessa madre a liberarli dalla placenta, recidendo il cordone<br />
ombelicale con gli incisivi. I cuccioli hanno una crescita molto rapida e ben presto<br />
imparano a nutrirsi di carne rigurgitata dai genitori. All’età di 7/8 mesi, i giovani<br />
Lupi sono già in grado di accompagnare gli adulti nelle varie scorribande,<br />
pur limitandosi ad apprendere le tecniche di caccia usate, partecipano agli inseguimenti,<br />
si cimentano negli attimi finali della cattura, fino ad imparare, dopo<br />
un certo periodo di “apprendistato”, non solo i vari sistemi di caccia, ma ancora<br />
di più le abitudini delle prede. Queste “lezioni” talvolta li costringono a percorrere<br />
decine di chilometri; d’inverno, quando con le zampe affondano nella<br />
neve, per risparmiare preziose energie avanzano in fila indiana ricalcando esattamente<br />
le orme del primo e alternandosi poi alla guida. Un comportamento<br />
sociale va individuato nell’ululato con cui i Lupi si richiamano, mantenendosi<br />
in contatto anche se molto lontani. L’olfatto è probabilmente l’elemento fondamentale<br />
per il riconoscimento individuale e la coesione del branco. I Lupi oltre<br />
ai segnali odorosi emessi con l’urina e le feci, possiedono sopra la coda delle<br />
ghiandole rese visibili dalla presenza di peli più scuri, il cui secreto svolge una<br />
parte importante nel riconoscere i vari individui. I Lupi si riuniscono in branchi<br />
che possono arrivare anche a trenta unità. Le dimensioni di un branco sembrano<br />
condizionate almeno da due fattori: il numero minimo di componenti in<br />
grado di stanare e uccidere una preda, e il numero massimo per potersi nutrire<br />
sufficientemente della medesima. Per quanto riguarda l’aggressività del Lupo,<br />
per troppo tempo si è favoleggiato intorno ad una ferocia che nella realtà non è<br />
141
mai esistita. Molto raramente, e solo se riuniti in branco e spinti dalla fame, i<br />
Lupi attaccano l’Uomo, prima comunque, aggrediscono altri animali eliminando<br />
le bestie malate e vecchie, per questa selezione i Lupi possono essere considerati<br />
preziosi per l’Uomo stesso. Il Lupo è considerato l’antenato del Cane<br />
domestico che l’Uomo avrebbe selezionato partendo da una sottospecie: il Lupo<br />
asiatico. Incapace di “lappare” come i Cani, i Lupi aspirano l’acqua da bere producendo<br />
un sibilo molto caratteristico. Ha un comportamento sociale, una<br />
gestazione di circa 60 giorni e può partorire da 2 a 10 piccoli.<br />
La fiaba<br />
“Il Lupo e l’Airone”<br />
Anche sul Lupo esistono tantissime fiabe, segno evidente di quanto la storia di questo<br />
canide sia stata continuamente vicina all’uomo e agli altri animali. Si narra<br />
che un Lupo, dopo aver ingoiato un grande osso, se ne andasse dolorante in giro<br />
cercando qualcuno che lo liberasse. Incontrato un Airone, lo pregò di estrargli<br />
quell’osso che tanto dolore gli procurava, affermando che alla fine lo avrebbe<br />
ricompensato. L’Airone accettò e conficcata la sua testa munita di un lunghissimo<br />
becco nella gola del Lupo, estrasse l’osso e quindi reclamò il suo compenso. Ma<br />
il Lupo gli rispose: “caro mio, non sei contento di aver tirato fuori la tua testa<br />
dalla bocca di un Lupo? perché allora osi chiedere un compenso”. (Esopo)<br />
LA LEPRE<br />
Non sembrerebbero esserci grandi differenze fra la Lepre e il Coniglio selvatico,<br />
se non per le orecchie più grandi e per gli arti maggiormente sviluppati<br />
della prima. In realtà le diversità sono molte. La Lepre ha come suo habitat un<br />
avvallamento del terreno un po’ riparato (la sua cuccia) dove partorisce i suoi<br />
leprotti. Il Coniglio si scava invece una tana con più uscite, nella quale si<br />
costruisce un nido molto soffice costituito di fili d’erba, foglie e, soprattutto,<br />
molto pelo che la femmina si strappa dal corpo e sopra il quale partorirà i suoi<br />
142
piccoli. I cuccioli di Lepre vengono partoriti<br />
senza che la madre appronti per loro<br />
nemmeno un semplice giaciglio e nascono<br />
con gli occhi già aperti e con il corpo<br />
coperto di pelo. Saranno subito lasciati<br />
soli dalla madre che starà con essi solamente<br />
durante le ore notturne e per lo<br />
stretto tempo necessario ad allattarli.<br />
LEPRE<br />
Diversamente, i cuccioli di Coniglio<br />
nascono “nudi”, con gli occhi chiusi e avranno bisogno di molto tempo, prima<br />
di poter abbandonare la tana e seguire la madre. Alle prime ombre della sera,<br />
osservando con attenzione un campo di erba medica, terreno prediletto per<br />
“pascolare”, si possono osservare le Lepri, che, rizzate sugli arti posteriori,<br />
sembrano fare a pugni come se fossero dei veri pugili. Potrebbero essere due<br />
maschi che si affrontano per la difesa del territorio, ma molto più spesso si tratta<br />
di una femmina che intende tenere alla larga il maschio perché non ancora<br />
pronta per l’accoppiamento. La Lepre tende ad alzarsi in continuazione sulle<br />
zampe posteriori e da questa posizione, muovendo alternativamente in avanti<br />
e indietro le sue lunghe orecchie (l’udito, considerati i grandi padiglioni auricolari,<br />
è sicuramente il suo senso maggiormente sviluppato), controlla che<br />
nelle vicinanze del suo pascolo non ci siano predatori in agguato. Questo comportamento<br />
lo ripete ogni qualvolta percepisce un sia pur piccolo rumore. Un<br />
altro particolare curioso che riguarda la Lepre è la tattica che addotta per far<br />
perdere le proprie tracce ad eventuali predatori. Non è mai una corsa cieca<br />
bensì un capolavoro di astuzia, teso appunto a confondere il suo inseguitore.<br />
Non segue mai uno spostamento retto, ma compie delle traiettorie che la vedono<br />
spostarsi a destra e a sinistra, tornare sui propri passi e compiere dei grandi<br />
balzi; tutto questo confonde il predatore, se a questo uniamo la sua maggiore<br />
caratteristica, la velocità, la cattura della Lepre diventa difficoltosa per qualsiasi<br />
predatore.<br />
143
Fino a una quarantina d’anni fa, la consegna di un piccolo leprotto ai guardiacaccia,<br />
veniva compensata con una lauta “mancia”. Era pertanto naturale poter<br />
vedere per la campagna e nella golena del Piave gruppi di ragazzi a “caccia”<br />
di cuccioli. Particolare curioso, ma d’uso, era quello che al piccolo leprotto<br />
veniva tagliato un pezzetto di orecchio prima di rimetterlo in libertà; era questa<br />
sicuramente una forma piuttosto cruenta per “marchiarlo”.<br />
Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 40 giorni e può partorire<br />
da 4 a 10 piccoli.<br />
La fiaba<br />
“ Le Lepri e le Ranocchie”<br />
Un giorno le Lepri, riunite tutte insieme, stavano lamentandosi della loro vita,<br />
sempre di corsa, piena di insidie e di paure, essendo prede ambite da tanti predatori.<br />
Meglio dunque farla finita una volta per tutte, che vivere male tutta la<br />
vita. Presa questa decisione si lanciarono tutte verso lo stagno per buttarsi dentro<br />
e affogare. Le Ranocchie che sostavano tutto intorno all’acqua dello stagno,<br />
appena si accorsero del loro avvicinarsi si buttarono immediatamente in acqua.<br />
E allora una delle Lepri che sembrava capeggiare le altre disse: “fermiamoci<br />
amiche è meglio risparmiarci questo orribile passo, perché avete visto anche<br />
voi, che, in fatto di paura e di insidie c’è chi sta peggio di noi”. (Esopo)<br />
IL CONIGLIO<br />
Sin dai tempi più remoti, i Conigli godettero, presso gli uomini di molto interesse,<br />
e non solo per la bontà delle carni e l’utilità della loro pelliccia, ma<br />
anche per il grazioso aspetto e per l’indole dolce e sottomessa.<br />
Un’usanza gentile ad esempio, ancora in vigore nei paesi anglosassoni, ma<br />
che già era viva nell’antica Grecia, ha fatto di loro il simbolo dell’abbondanza,<br />
della fortuna, della felicità familiare e della figliolanza numerosa.<br />
La figura del coniglietto appare spesso nei biglietti di auguri che vengono<br />
144
scambiati specialmente durante le feste Pasquali fra amici e parenti.<br />
Famose sono ancora le “Conigliette” (in realtà delle bellissime ragazze) che<br />
appaiono in una nota rivista, e molto apprezzate sono le altrettanto bellissime<br />
cameriere di tanti ristoranti “in”, “vestite” appunto da conigliette.<br />
Altre prove dell’interesse che l’uomo ha sempre avuto nei confronti di questi<br />
animali possiamo trovarle nella letteratura popolare di ogni paese in quanto<br />
molto spesso essi sono stati scelti come protagonisti di fiabe e racconti,<br />
soprattutto quando si voleva indicare la timidezza, la mitezza e anche la<br />
paura.<br />
Il Coniglio, nella storia, ha rivestito un ruolo molto importante tanto da scomodare<br />
Plinio il Vecchio che nel primo secolo dopo Cristo, dà notizia dei<br />
mezzi escogitati per liberarsi dai Conigli<br />
che arrecavano danni ingenti alle coltivazioni,<br />
lodando le imprese dei Furetti che<br />
li spingevano fuori dalle tane per essere<br />
catturati.<br />
Plinio scrive ancora come i Romani si<br />
cibassero di “laurices”, una pietanza<br />
conosciuta dagli Spagnoli a base di neonati<br />
di Coniglio. Sull’abbondanza di questo<br />
roditore, e sull’importanza che ha<br />
CONIGLIO<br />
sempre avuto nella vita dell’uomo, si<br />
legge in un vecchio trattato che nel 1.337 in Sicilia un mercante richiese a dei<br />
cacciatori la fornitura di 10.000 pellicce di Coniglio e che costoro gliene consegnarono<br />
850 in poche settimane. I suoi resti fossili più antichi, comunque,<br />
sono stati trovati in Spagna e datano che la sua presenza risale a oltre 500.000<br />
anni or sono, mentre si ha notizia certa che nel 1.555 il Coniglio non era ancora<br />
addomesticato nè tanto meno selezionato.<br />
Lo si apprende in un trattato dell’epoca in cui lo zoologo in questione, scrive<br />
di conoscere solamente dei Conigli selvatici. E bisogna arrivare nella secon-<br />
145
da metà dell’Ottocento per avere notizie certe del suo allevamento, anche se<br />
molto recentemente, e solo intorno al 1950, si inizia ad allevarlo seguendo<br />
moderne tecnologie in maniera intensiva.<br />
Come del resto tutti i roditori, il Coniglio è molto prolifico: si pensi che una<br />
femmina è in grado di partorire anche 7/8 cucciolate di 5/10 piccoli l’una per<br />
ogni anno; a questo proposito va ricordato come nel 1859 gli Inglesi pensarono<br />
di introdurre 12 coppie di Coniglio in Australia.<br />
Ebbene in pochi anni divennero centinaia di milioni arrivando a distruggere<br />
fino alle radici alberi e coltivazioni, tanto che, per riportare un certo equilibrio,<br />
il governo di quel paese dovette promuovere una campagna di abbattimento<br />
di proporzioni gigantesche.<br />
Gli antichi Romani poi, avevano l’abitudine di introdurre una coppia di<br />
Conigli nelle varie isolette sparse nel loro impero. In tempi brevi, questi animali<br />
diventavano tanto numerosi da costituire una insostituibile fonte di cibo<br />
per eventuali approdi fortuiti in quelle terre diversamente inospitali.<br />
Quella di introdurre un animale nuovo in un territorio non suo, non è comunque<br />
una buona cosa, perché fa sì che egli, essendo sconosciuto e non facendo<br />
parte della catena alimentare dei predatori presenti, non venga da essi riconosciuto<br />
e quindi predato e possa così riprodursi in maniera abnorme causando<br />
alla fine dei guai e degli squilibri notevoli.<br />
Una espressione che si usava un tempo, parlando di una donna che aveva<br />
avuto molti figli (talvolta 15/20) era questa: “a Maria la e come na cunicia”<br />
(La Maria è prolifica come una coniglia che appunto alleva molti figli).<br />
Ha un comportamento sociale, una gestazione di circa 30 giorni e può partorire<br />
da 5 a 10 piccoli.<br />
146
“Per poter salvare la fauna selvatica bisogna<br />
riuscire a trovare il giusto compromesso tra il massacro brutale<br />
e insensato e lo sciocco sentimentalismo. Entrambi<br />
condurrebbero infatti alla perdita e all’estinzione totale<br />
degli animali.”<br />
Theodore Roosvelt
IL RATTO GRIGIO<br />
Ha raggiunto l’Europa sicuramente molto tempo dopo il Ratto nero, provenendo<br />
dalle regioni della Cina e della Mongolia. Egli sa adattarsi meglio di<br />
un qualsiasi altro animale negli ambienti che frequenta. In pratica si può trovarlo<br />
ovunque pur se predilige le zone umide. Rimane in ogni modo un tipico<br />
“commensale” dell’uomo del quale, oltre agli edifici destinati alle più varie<br />
attività, può, invadere anche le sue abitazioni. Vive soprattutto nelle fogne,<br />
nelle cantine e nei cortili, come nei villaggi e nelle aree rurali, ma anche nel<br />
cuore delle grandi metropoli. Il Ratto scava delle gallerie che hanno più di un<br />
ingresso e sono molto ramificate con camere adibite a soggiorno ed altre a<br />
ripostiglio, dove accumula grandi quantità di alimenti. Talvolta ama spingersi<br />
anche molto lontano alla ricerca di fonti di cibo particolarmente gradite: per<br />
esempio in particolari periodi dell’anno<br />
in cui sui campi avviene la maturazione<br />
del frumento e del mais, il Ratto è attratto<br />
irresistibilmente dall’improvvisa e<br />
abbondante disponibilità di questi alimenti<br />
molto appetitosi e, pur di raggiungerli,<br />
non esita a percorrere ogni notte<br />
diversi chilometri. Durante questi spostamenti,<br />
egli segue sempre lo stesso percorso<br />
lasciando dietro di sè delle tracce<br />
RATTO<br />
che non tardano ad essere scoperte dai<br />
predatori che spesso si appostano nelle vicinanze di questi “camminamenti” e<br />
lo catturano. I Ratti vivono in gruppi abbastanza numerosi i cui componenti<br />
discendono probabilmente da una sola femmina. Si tratta di gruppi familiari<br />
all’interno dei quali si stabilisce una certa gerarchia con uno o più maschi<br />
dominanti e altri subordinati. Secondo alcuni studiosi, la dominanza sembra<br />
essere in rapporto, non tanto all’età, quanto al peso corporeo dei maschi. Le<br />
149
stesse femmine non accetterebbero mai di essere coperte da maschi più leggeri<br />
di loro. I Ratti grigi sono animali notturni; tuttavia, in presenza di forti<br />
densità di popolazione, è possibile vedere qualche individuo anche durante il<br />
giorno: si tratta senza ombra di dubbio di esemplari di rango inferiore ai quali,<br />
durante le ore di attività notturna, gli individui dominanti precludono le vie<br />
d’accesso alle fonti di cibo. Diversamente dal Ratto nero, quello grigio tende<br />
ad essere anche carnivoro e spesso si ciba di insetti, crostacei, e piccoli di<br />
uccello nonché delle loro uova. Non disdegna neppure le carogne di altri animali<br />
e sostanze organiche in decomposizione frequentando discariche, fogne<br />
e mattatoi. Come altri roditori è un animale previdente che accumula riserve<br />
alimentari nel profondo delle sue tane. Quando nuota mantiene la coda, che è<br />
lunga quanto il suo corpo, fuori dall’acqua per bilanciarsi. L’uomo può<br />
ammalarsi di leptospirosi, una malattia letale, che potrebbe contrarre entrando<br />
in contatto con dell’acqua, di un fossato o di un canale, intrisa dall’urina<br />
di questi animali. E’ un abile nuotatore anche in apnea, ed è un altrettanto<br />
agile arrampicatore. Ha un comportamento sociale, una gestazione di circa 23<br />
giorni e può partorire da 5 a 10 piccoli.<br />
IL TOPOLINO<br />
Il Topolino, come il Ratto grigio, è anch’ esso specie molto vicina all’uomo e<br />
cosmopolita. Molto diffuso e abitatore delle nostre case, anche in appartamenti<br />
situati a diversi piani di altezza; può però anche vivere allo stato semiselvatico<br />
preferendo terreni lavorati, dove si scava delle tane in cui ricava una<br />
grande camera per abitazione e altre piccole celle dove poter immagazzinare<br />
delle provviste per i periodi di carestia. Si è accertato negli ultimi anni un evidente<br />
aumento della sua popolazione e ciò sembra sia da attribuire ad un notevole<br />
incremento di alcune colture cerealicole tipo mais, frumento e girasole e<br />
al contemporaneo impiego di mezzi meccanici per la loro raccolta. L’uso di<br />
questi mezzi comporta una maggiore “perdita” sul terreno del prodotto matu-<br />
150
o coperto, a trebbiatura avvenuta, da un alto strato di paglia. Pertanto, in questo<br />
ambiente ideale, egli può rimanere per qualche mese trovando cibo, un<br />
ottimo rifugio e motivazioni valide a stimolare gli accoppiamenti dando origine<br />
in tal modo a rapidi incrementi della popolazione. Anche il Topolino<br />
domestico vive in gruppi familiari, all’interno dei quali viene stabilita una<br />
certa gerarchia fra i maschi; questa dominanza<br />
serve soprattutto nel mantenere i<br />
territori acquisiti. Anche in questo caso<br />
gli individui subordinati tendono ad alimentarsi<br />
nei momenti in cui sono inattivi<br />
i maschi dominanti. L’urina di questi animali<br />
abbondantemente sparsa all’interno<br />
del territorio frequentato, dagli stessi<br />
produce il tipico “odore di topo” che<br />
immancabilmente determina la loro pre-<br />
TOPOLINO<br />
senza in quell’ambiente e ciò sembra<br />
giocare un ruolo determinante nella vita sociale del gruppo. Un’altra curiosità<br />
di questo animale è rappresentata dal fatto che ogni notte è solito percorrere<br />
il suo territorio, esaminando con cura ogni eventuale cambiamento o ogni<br />
nuovo oggetto che possa esservi stato introdotto di recente. La femmina è più<br />
grande e robusta del maschio. Come il Ratto, viene allevato come cavia per<br />
la ricerca scientifica; la sua coda ha la medesima lunghezza del suo corpo,<br />
costruisce il suo nido molto simile a quello degli uccelli, usando sovente<br />
anche gli stessi materiali. Ha un comportamento sociale e una gestazione di<br />
circa 21 giorni e può partorire da 4 a 9 piccoli.<br />
La fiaba<br />
“ I Topi e le Donnole”<br />
Topi e Donnole erano in guerra fra loro, e i Topi non facevano che perdere.<br />
Allora i Topi decisero di riunirsi in assemblea e discussero sul fatto che forse<br />
151
queste sconfitte avvenivano perché non avevano dei capi. Scelsero allora<br />
alcuni di loro e li nominarono capitani.<br />
Questi, una volta accettato l’incarico, volendo distinguersi dagli altri, si fecero<br />
costruire delle corna e se le fissarono sulla testa. Iniziò una nuova battaglia<br />
e l’esercito dei Topi, nonostante che a comandarli ci fossero questi<br />
comandanti, ebbe ancora una volta la peggio.<br />
Ma mentre i topi semplici soldati in fuga, si poterono infilare nelle loro tane<br />
e riuscirono a salvarsi, i capitani, non vi poterono entrare perché impediti<br />
dalle loro grandi corna, che portavano sulla testa e vennero così presi e divorati<br />
dalle Donnole. (Esopo)<br />
IL PIPISTRELLO O NOTTOLA<br />
La sua caratteristica principale è quella che, pur essendo un mammifero, riesce<br />
a volare. Non è dotato di ali vere e proprie bensì di “patagi”, ovvero di<br />
sottilissime membrane tese tra gli arti inferiori e anteriori che hanno comunque,<br />
per il Pipistrello (Nottol), la medesima<br />
funzione di un’ala per un uccello.<br />
A differenza di quest’ultima che riesce a<br />
portare molto in alto un uccello, il patagio<br />
del Pipistrello gli consente un volo a<br />
bassa quota, o comunque non più alto di<br />
una ventina di metri dal suolo. Gli arti<br />
posteriori, sono molto più sviluppati<br />
rispetto a quelli anteriori e le dita sono<br />
PIPISTRELLO<br />
munite di forti unghioni, che permettono<br />
ai Pipistrelli di appendersi ai rami degli<br />
alberi, a delle fenditure o a pareti di roccia con la testa all’ingiù durante il<br />
riposo. Il Pipistrello in riposo avvolge il patagio attorno al corpo, come se<br />
fosse un mantello. Conduce una intensa vita notturna alla continua ricerca di<br />
152
cibo che trova intorno ai lampioni, che con la loro luce attirano nugoli di<br />
Pappataci e Ditteri. Quello che colpisce maggiormente è il suo volo fatto di<br />
guizzi improvvisi, brevi picchiate, continue e rapidissime deviazioni. La spiegazione<br />
di tutto ciò sta nelle orecchie dotate di ampi padiglioni auricolari che<br />
funzionano come un diapason.<br />
Il Pipistrello emette dei suoni che colpiscono degli oggetti e da questi vengono<br />
riflessi in forma di eco e captati dalle sue strutture auricolari. Il tempo di<br />
ritorno dell’eco determina la distanza dell’oggetto colpito. Si consideri che il<br />
Pipistrello emette un numero ragguardevole di impulsi, anche 14/15 al secondo,<br />
ognuno dei quali della durata di 5 millesecondi.<br />
Emettendo questi ultrasuoni, i Pipistrelli contraggono un particolare muscolo<br />
che impedisce loro di percepire suoni a bassa e media frequenza, facilitando<br />
pertanto la percezione dell’eco proveniente dagli oggetti o dagli insetti volanti.<br />
Questi impulsi consistono in onde ad altissima frequenza non udibili da<br />
parte dell’orecchio umano e possono essere emessi sia dalla bocca che dalle<br />
narici.<br />
La frequenza del suo battito cardiaco raggiunge in momenti di grande stress,<br />
1200 pulsazioni al minuto.<br />
Può succedere che un grande spavento, come quello procurato da un forte<br />
tuono, ne provochi la morte.<br />
Raramente può fare la sua comparsa anche di giorno volando a bassa quota<br />
alla ricerca di insetti che sono il suo alimento base. Difficilmente esce dal suo<br />
rifugio quando piove.<br />
Una credenza popolare ancora molto attuale, vuole che il Pipistrello possa<br />
annidarsi fra i capelli delle donne, soprattutto se questi sono lunghi e ricci, e<br />
non se ne voglia più andare, tanto che la malcapitata oltre alla grande paura<br />
dovrà ricorrere alle forbici e perdere così la sua fluente chioma. Non si è mai<br />
assistito ad un fatto del genere, tuttavia la credenza è ben lungi dal venire<br />
meno. In realtà, la donna o l’uomo rappresentano per lui un ostacolo che grazie<br />
alla sua ecolocazione (il diapason) evita con certezza assoluta.<br />
153
Ha un comportamento sociale e una gestazione di circa 70 giorni e può partorire<br />
da 1 a 3 piccoli.<br />
La fiaba<br />
“Il Pipistrello, il rovo e il Gabbiano”<br />
Un Pipistrello, un rovo e un Gabbiano fecero società e decisero di darsi al<br />
commercio. Il Pipistrello si fece prestare del denaro e lo mise in comune; il<br />
rovo prese con sé delle stoffe; il Gabbiano, ci mise del rame, e tutti e tre si<br />
imbarcarono sulla nave per iniziare la loro attività commerciale. Durante la<br />
navigazione si scatenò una violenta tempesta, e la nave colò a picco. I tre riuscirono<br />
a mettersi in salvo ma perdettero tutto il loro carico. Da allora il<br />
Gabbiano è sempre in agguato sugli scogli, per vedere se il mare da una parte<br />
o dall’altra gli restituisce il suo rame; il Pipistrello, per paura dei suoi creditori<br />
di giorno non si fa vedere ed esce solo di notte per cercarsi da mangiare;<br />
il rovo, poi, si aggrappa ai vestiti dei passanti, per vedere se riconosce le<br />
sue stoffe. (Esopo)<br />
IL MAIALE<br />
E’, tra gli animali domestici, uno dei più preziosi. Per secoli ha rappresentato<br />
la ricchezza di milioni di famiglie; del Maiale si dice infatti che “non si<br />
butta via niente”. L’addomesticamento del Maiale, che discende sicuramente<br />
dal Cinghiale, risale a circa 6.000 anni fa e furono ancora una volta i Cinesi<br />
che compresero per primi l’importanza alimentare di questo animale. Dalla<br />
Cina si sarebbe poi diffuso verso i paesi occidentali. Greci, Romani ed<br />
Egiziani lo hanno raffigurato in opere e riproduzioni artistiche apprezzandolo<br />
per le sue carni molto tenere e saporite. Solo gli Ebrei e i Mussulmani, per<br />
loro motivi religiosi, ripudiano il Maiale ritenendolo un animale immondo. La<br />
pelle molto spessa e robusta viene chiamata “cotenna” ed è nella maggior<br />
parte delle razze ricoperta da setole più o meno dure. Sotto la cotenna, si trova<br />
154
uno strato di grasso che può arrivare anche a 8 cm chiamato “lardo”, molto<br />
apprezzato e considerato il “prosciutto bianco”. Curioso è il muso denominato<br />
“grugno” molto mobile e ricco di muscoli, con il quale i Maiali “grufolano”<br />
nel terreno alla ricerca continua di cibo, dissotterrando radici, tuberi, ma<br />
raccogliendo anche ghiande, castagne e frutta varia. Il Maiale non disdegna di<br />
nutrirsi neppure di qualche piccolo animale come Topi, Vermi e Chiocciole.<br />
Mangia infatti di tutto grazie anche alla sua particolare e robusta dentatura<br />
formata da 44 denti. I piccoli quando nascono (anche 12-13 per volta) pesano<br />
circa 1 kg, ma in 18 mesi arrivano facilmente a pesare più di 2 quintali. La<br />
sua carne si può mangiare sia fresca che conservata. In questo caso sono<br />
molto apprezzati i prosciutti, le mortadelle, le salsicce, gli zamponi e i salumi<br />
in genere. Anche il grasso viene utilizzato; per liquefarlo, viene fatto bollire a<br />
lungo, ottenendo in tal modo lo “strutto”<br />
che viene poi usato per friggere diverse<br />
pietanze e in particolar modo il pesce. Un<br />
tempo, per conservare a lungo lo strutto<br />
senza che potesse irrancidire (quando<br />
non c’erano i frigoriferi), dopo la bollitura<br />
e prima che si raffreddasse, e quindi<br />
che si rapprendesse, veniva introdotto<br />
nella vescica dello stesso animale ucciso,<br />
che veniva preventivamente allargata a<br />
MAIALE<br />
dismisura soffiandoci dentro e fatta<br />
essiccare. Dalla “sugna”, che è il grasso del ventre, si ottiene una sostanza<br />
grassa, bianca e inodore che è impiegata per la preparazione di creme e pomate.<br />
Neppure il sangue andava disperso; la morte del Maiale era piuttosto<br />
cruenta e per sgozzarlo veniva messo con il collo ad un livello più basso del<br />
resto del corpo, in modo che il sangue fuoriuscisse il più velocemente possibile<br />
così da lasciare le carni bianche; il sangue quindi veniva raccolto in una<br />
pentola. Una parte veniva lasciata raffreddare e conservata per mangiarla uni-<br />
155
tamente al fegato stufandola con pomodoro burro e cipolla, era questo un tipico<br />
e appetitoso piatto da consumarsi la sera stessa della macellazione con la<br />
polenta. L’altra metà del sangue invece, mentre ancora usciva dalla ferita<br />
della povera bestia, veniva mescolata in continuazione con un apposito<br />
mestolo di canna di bambù fatto a “croce”, perché non si rapprendesse e ancora<br />
calda veniva unita a zucchero, uvetta passa, pinoli, noci, fichi secchi, a<br />
seconda, delle abitudini della famiglia e successivamente prima che si raffreddasse<br />
del tutto, insaccata come se fosse un salame.<br />
Conservato in un luogo fresco, diventava un dolce prelibato (nel trevigiano è<br />
riconosciuto con il nome di “baldon”), che la famiglia si divedeva a piccole<br />
fette tutte uguali (a ogni un a so parte), che toccavano ad ogni membro della<br />
famiglia. Del Maiale tutto veniva utilizzato: con le setole si fabbricavano (e<br />
si fabbricano ancora oggi) spazzole e pennelli, mentre le unghie servivano per<br />
ottenere dei fertilizzanti.<br />
Non si buttava via nemmeno la mandibola inferiore; essa veniva raschiata a<br />
dovere e posta sul fondo del mastello in prossimità del foro di uscita della<br />
“lisciva”. La mandibola grazie alla sua particolare conformazione teneva sollevati<br />
i panni messi a lavare consentendo al tempo stesso la fuoriuscita del<br />
“detersivo”.<br />
Ha una gestazione di circa 125 giorni e può partorire da 6 a 12 piccoli.<br />
IL CAVALLO<br />
Anche oggi che il motore occupa una parte dominante nella vita dell’uomo, il<br />
Cavallo, intelligente generoso e nobile animale, continua ad essere un compagno<br />
di vita per l’Uomo nel suo lungo cammino in questa vita terrena. In<br />
Asia e successivamente in Europa, esso compare fin dalla più remota preistoria;<br />
in una grotta della Dordogna, in un dipinto che risale a 50.000 anni fa,<br />
appare un Cavallo al galoppo. Ma la storia “moderna” del Cavallo inizia con<br />
le civiltà degli Arii in India, per proseguire in Cina e in Giappone; mentre in<br />
156
Europa bisogna attendere quelle degli<br />
Ittiti e degli Assiri per vederlo protagonista<br />
in ogni fatto storico accanto<br />
all’Uomo.<br />
Greci e Romani lo adoperavano per le<br />
loro guerre, per i lavori dei campi, per i<br />
trasporti, nonchè per le loro corse dei<br />
cocchi e per l’equitazione. Avevano per<br />
CAVALLO<br />
questo animale una passione tale che<br />
rasentava il fanatismo. Caligola, l’imperatore pazzo, arrivò a nominare il suo<br />
Cavallo “Incitatus” Senatore, e a fargli costruire una scuderia in marmo pregiato<br />
con ricche rifiniture e accessori in argento. Dalle tribune del Colosseo,<br />
capace di oltre duecentomila spettatori, si udivano a distanze chilometriche le<br />
grida dei sostenitori che incitavano i Cavalli nelle corse delle quadriglie.<br />
Con la fine dell’impero Romano una delle cose che sopravvisse a tanto sfacelo,<br />
fu proprio l’arte equestre che si venne sempre più affermando come privilegio<br />
della nobiltà. Quando nel 1519 il piccolo drappello di soldati spagnoli<br />
capitanato da Cortez si inoltrò fra le gole e i deserti del Messico, suscitò straordinarie<br />
manifestazioni di rispetto e deferenza fra i sudditi di Montezuma.<br />
Gli Aztechi non avevano mai visto un Cavallo e credevano che gli uomini fossero,<br />
tutt’uno con l’animale come dei giganteschi centauri, tanto da venerarli<br />
ritenendoli i compagni del loro Dio, Signore del tuono e della folgore, dal<br />
torso d’Uomo e dal corpo belluino.<br />
Oggi con il Cavallo non si va più alla conquista di nuove terre, come non<br />
viene più adoperato nell’aratura della terra o nel traino di pesanti carri carichi<br />
di merci; oggi viene per lo più impegnato nelle corse ippiche, in battute di<br />
caccia, nei circhi, nel gioco del polo, ma ancora di più è diventato un animale<br />
di affezione con il quale compiere lunghe passeggiate in luoghi dove difficilmente<br />
l’uomo potrebbe arrivare da solo.<br />
Frutto del lavoro di selezione dell’uomo, esistono decine di razze equine spes-<br />
157
so assai diverse fra di loro e adatte ai più svariati compiti; ne vanno ricordate<br />
due su tutte, lo Schire, un mastodontico Cavallo da tiro dalle zampe larghe e<br />
pelose e pesante fino a dieci quintali e il Purosangue, frutto di incroci fra<br />
Cavalli arabi ed inglesi, un magnifico campione di velocità e resistenza diventato<br />
il dominatore degli ippodromi.<br />
L’Uomo, nei secoli, ha pure scoperto la interfecondità fra il Cavallo e l’Asino<br />
ottenendo dal maschio Cavallo e dalla femmina Asina il Bardotto, scarsamente<br />
impegnato perché non presenta evidenti vantaggi; mentre dall’accoppiamento<br />
inverso si è ottenuto il Mulo, che riunisce in sé le migliori caratteristiche<br />
dei parentali: dell’Asino, anche se più alto e pesante, conserva le doti di<br />
pazienza e di resistenza; della Cavalla la celerità e una indocilità proverbiale<br />
che lo ha reso famoso. Entrambi questi ibridi sono negati alla riproduzione e<br />
il Mulo nella maggior parte dei casi, è muto.<br />
Ha una gestazione di circa 360 giorni e partorisce di norma 1 piccolo.<br />
IL CANE<br />
Tante sono le storie vissute dal cane che raccontano la sua grande dedizione<br />
nei confronti non solo dell’Uomo, ma molto spesso anche delle sue cose.<br />
Omero racconta in uno dei più toccanti episodi dell’Odissea, la consacrazione<br />
della fedeltà canina, di quell’amicizia che non conosce oblio o tradimento.<br />
Il vecchio Argo se ne stava sdraiato al sole sopra un mucchio di rifiuti con gli<br />
occhi semichiusi.<br />
Nella sua casa, che era stata di Ulisse, nessuno da tempo si curava più di lui,<br />
e nessuno sperava più di vedere ritornare l’eroe della guerra di Troia. Il povero<br />
Cane, stanco, vecchio e malandato si era disteso come al solito nel suo<br />
angolo, forse “sognando” l’amato padrone.<br />
Ma ecco che una voce riconosciuta lo scuote dal suo torpore, un uomo curvo<br />
su se stesso, lacero e sporco appare sotto il porticato e lo chiama per nome.<br />
Argo non ha dubbi: l’odore, i gesti, ma soprattutto la voce dello straccione,<br />
158
fanno alzare sia pure a fatica il vecchio Cane che si trascina fino ai piedi del<br />
nuovo venuto fissandolo con tutto l’amore di cui è capace, dimenando debolmente<br />
la coda.<br />
È proprio lui. È Ulisse che ritorna dopo vent’anni di lontananza, irriconoscibile<br />
per tutti, anche per sua moglie e per suo figlio, ma non per il suo Cane.<br />
E mentre Ulisse commosso si china per accarezzarlo, il vecchio Argo, muore<br />
pago di gioia per aver rivisto il suo padrone per un’ultima volta e di saperlo<br />
ancora a casa. Tremila anni fa come oggi, l’uomo ha sempre trovato nel Cane<br />
un amico fedele, disposto a servirlo in ogni momento e spesso anche al costo<br />
del sacrificio della propria vita. Ma quando ha avuto inizio questa straordinaria<br />
amicizia tra l’Uomo e il Cane?<br />
Nessuno lo può dire con certezza, ma<br />
sicuramente in epoca lontana, e si ritiene<br />
che sia stato proprio il Cane circa 12.000<br />
anni or sono, ad iniziare con l’Uomo quel<br />
processo di addomesticazione che è poi<br />
continuato con tanti altri animali. Reperti<br />
fossili indicano con certezza che, già<br />
9.000 anni or sono, l’Uomo iniziò a operare<br />
le prime selezioni, anche se furono i<br />
CANE<br />
Romani ad accentuare l’impegno tanto<br />
da definire forme e taglie presenti ancora oggi nelle razze moderne.<br />
E sempre i Romani iniziarono ad impiegare i Cani sia per la caccia, sia per la<br />
guardia di altri animali che per la compagnia. Oggi si ha ragione di ritenere<br />
che tutte le razze di Cane, indipendentemente dalla diversa forma e taglia,<br />
discendano dal Lupo grigio. Un processo di selezione sviluppatosi in oltre<br />
4.400 generazioni, per passare dal progenitore citato, per esempio, al piccolo<br />
Cane da “grembo” il Chiuauha. Questo lungo lavoro ha portato alla creazione<br />
di animali assai diversi fra di loro sia per la diversa struttura fisica, sia per<br />
attitudini, ma tutti dotati di quelle particolari doti di fedeltà, di prontezza, e<br />
159
spesso di sacrificio, che hanno fatto preferire il Cane sopra ad ogni altro animale.<br />
Si ha ragione di ritenere che il primo impegno selettivo, da parte<br />
dell’Uomo, sia stato effettuato per ottenere dei buoni Cani da pastore ai quali<br />
affidare i greggi. Tipici, in questo caso sono il Pastore Maremmano e quello<br />
Bergamasco; soggetti molto forti e aggressivi, atti a rincorrere le pecore<br />
sbrancate e a dividere nel gregge i maschi che litigano, anche se il più noto è<br />
il Cane da pastore Tedesco apprezzato per la sua straordinaria intelligenza,<br />
per la sua forza e per la sua agilità.<br />
Questa razza è oggi particolarmente apprezzata come Cane poliziotto, come<br />
guida per i ciechi e come Cane da guerra. Molti lo chiamano “Cane Lupo”<br />
considerata la rassomiglianza con il suo feroce antenato. Ma le razze canine<br />
sono numerosissime, più di quanto ne possiamo elencare, come numerosi<br />
sono i compiti per cui sono state selezionate. Dopo i Cani da pastore, possiamo<br />
citare i Cani particolarmente selezionati per la guardia, e, fra di essi, il<br />
Molosso, il gigantesco Alano, il Boxer, il Mastino. Tutti dotati di una muscolatura<br />
straordinaria e di mascelle robustissime in grado di incutere timore a<br />
qualsiasi male intenzionato.<br />
Vanno ricordati poi i Cani da utilità: a tutti sono note le imprese di tanti salvataggi<br />
compiuti in montagna dal Gran San Bernardo, che viene considerato<br />
il gigante del mondo canino. Così come va ricordata l’abilità del nuoto dei<br />
grossi Terranova, anch’essi spesso impiegati nei salvataggi in acqua. Nel<br />
“profondo nord” sono stati selezionati per il traino delle slitte dei Cani che riescono<br />
a percorrere decine di chilometri ad una temperatura di 40° sotto zero<br />
come i Samoiedo, l’Alaskan Malamute, il Groelandese, il Siberian Huski.<br />
Questi animali, sono stati, prima dell’avvento della meccanizzazione, veramente<br />
insostituibili sia per il trasporto delle merci che dell’Uomo stesso, in<br />
ambienti e in condizioni metereologiche particolarmente difficili. Tantissime<br />
sono poi le razze dei Cani da caccia selezionate ognuna per un tipo di questa<br />
attività, e in questo caso, non va dimenticato come la caccia per secoli sia<br />
stata essenziale per la sopravvivenza dell’Uomo e allora vanno ricordati: i<br />
160
Setter, il Labrador, il Pointer, il Bracco, lo Spinone, il Bassotto, i Levrieri, i<br />
Segugi. Infine vanno ricordati i Cani da compagnia (pur se tutte le razze, a<br />
prescindere dalle loro particolari mansioni per le quali sono stati selezionati,<br />
sono comunque ottimi compagni del proprio padrone nella vita di tutti i giorni),<br />
il Chiuauha, gli Spitz, i Barboni, il Pechinese, il Maltese, tanto per citarne<br />
alcuni, che svolgono un ruolo importante nella vita di persone sole, anziani<br />
e handicappati. Oggi come gli Uccelli e i Gatti, anche i Cani, soprattutto<br />
quelli da compagnia, sono considerati molto utili nella pet terapy. Ha una<br />
gestazione di circa 62 giorni e può partorire da 4 a 10 piccoli.<br />
La fiaba<br />
“Il Cane, il Gallo e la Volpe”<br />
Un Cane e un Gallo erano diventati amici e decisero di fare un viaggio insieme.<br />
Giunta sera si fermarono per dormire. Il gallo salì sopra un albero e il<br />
cane si accomodò sotto il medesimo dove c’era una piccola buca. All’alba il<br />
Gallo, secondo le sue abitudini, incominciò a cantare. Da lontano, una Volpe<br />
lo udì; si avvicinò all’albero sopra il quale stava il Gallo e lo pregò di scendere<br />
in quanto voleva abbracciare un animale dotato di una voce così bella.<br />
Il Gallo rispose di svegliare il suo portinaio che stava dormendo ai piedi dell’albero,<br />
affinchè gli aprisse l’uscio, dopo di chè sarebbe sceso. Ma mentre la<br />
povera Volpe stava per rivolgersi al portinaio, questi le balzò addosso e la<br />
sbranò. (Esopo)<br />
IL GATTO<br />
“Nella giungla il viandante teme la Tigre, la Tigre teme l’Elefante del rajah;<br />
ma il Gatto selvatico appollaiato su un albero guarda passare il viandante, la<br />
Tigre e l’Elefante del rajah.” Così racconta un vecchio detto indiano. Ma il<br />
Gatto, anche quando scende dall’albero, è sempre il medesimo osservatore,<br />
attento e indifferente di quanto succede intorno a lui.<br />
161
Il Gatto è considerato il principe della casa, così vicino, e così distante, così<br />
familiare, e così misterioso, egli ha da sempre affascinato l’Uomo per questo<br />
suo comportamento, per questa sua imprevedibilità, che lo rendono al tempo<br />
stesso “coccolone” e sfuggente, “ruffiano” e ladro, tanto da rappresentare per<br />
l’Uomo uno degli animali dai quali è maggiormente conquistato. Del resto dal<br />
Gatto è stato impressionato, e lo ricorda con la sua celeberrima frase, lo stesso<br />
Leonardo da Vinci “il più piccolo dei piccoli felini è già lui stesso un vero<br />
capolavoro”. Anche pur essendo rimasti a lungo distanti, la coabitazione<br />
dell’Uomo con il Gatto, risale alla notte dei tempi. La qualità di cacciatore di<br />
questo piccolo felino, anche se addomesticato, ne ha fatto nei secoli un protettore<br />
naturale di granai e di cucine, tanto è risaputa la sua attitudine alla caccia<br />
di roditori nocivi come Topi e Ratti. Tuttavia la sua indipendenza, a volte<br />
vicina all’irriverenza, e le pratiche alle quali fu associato nel Medioevo, offuscarono<br />
a lungo la sua immagine. E’ solo più tardi, nel 1800, che il Gatto ritornerà<br />
di moda, comparendo soprattutto nei cosiddetti saloni letterari, sul grembo<br />
delle dame o accucciato accanto ai piedi dei signori di allora. Diversi artisti,<br />
in quel periodo, lo ritraggono nei loro dipinti quale simbolo ormai della<br />
sua addomesticazione acquisita. Ma proprio la sua addomesticazione, rimane<br />
molto misteriosa e non è ancora stata stabilita con certezza la data in cui è iniziata.<br />
In Egitto compaiono comunque le prime tracce risalenti al 4.000 a.C.,<br />
quando sembra che questa civiltà lo avesse già addomesticato trasformandolo<br />
da abile cacciatore a importante predatore di Ratti e Topi, veri flagelli dei<br />
raccolti. La civiltà egizia del resto gli riconobbe un posto fra gli dèi e si assistette<br />
così, sotto la XXII dinastia alla comparsa di Bastet, la dèa raffigurata<br />
con la testa di Gatta, simbolo della femminilità, della sensualità, della musica,<br />
della danza e della maternità. Molto più tardi, nel XIX secolo, furono rinvenute<br />
numerose mummie conservate perfettamente in sarcofaghi di legno<br />
intagliati con la figura del piccolo felino. Fra gli egizi la sacralità del Gatto<br />
era così forte che un re persiano vinse addirittura una guerra con uno stratagemma:<br />
fece legare sugli scudi dei suoi soldati dei Gatti, convinto a ragione,<br />
162
che gli Egizi non avrebbero mai contrattaccato per timore di colpire gli animali.<br />
Alcuni Gatti, gelosamente allevati dagli Egizi, furono rubati dai Greci<br />
in occasione di scambi culturali e commerciali, e in seguito introdotti in<br />
Europa e conseguentemente a Roma. I Romani, secondo quanto afferma<br />
Plinio il Vecchio, hanno imparato successivamente ad apprezzare il Gatto non<br />
solo per le sue qualità di cacciatore, ma<br />
anche per la sua bellezza e per il suo spirito<br />
indipendente tanto da essere considerato<br />
il simbolo della libertà. Anche gli<br />
Arabi, consideravano il Gatto come<br />
un’anima pura, contrariamente all’immagine<br />
che avevano del Cane. Essi, già<br />
prima dell’avvento dell’Islam, adoravano<br />
il Gatto d’oro, e persino Maometto<br />
dimostrò di avere rispetto e riguardo per<br />
GATTO<br />
questo animale. Una leggenda narra<br />
come il profeta per non svegliare la sua Gatta preferita che stava dormendogli<br />
tra le braccia, fece tagliare le maniche del vestito che indossava, e, successivamente,<br />
di averle concesso, il privilegio di cadere da qualsiasi altezza,<br />
sempre sulle zampe senza procurarsi danni e di avere sette vite. In Europa,<br />
con l’avvento del Cristianesimo, il mito del Gatto iniziò a declinare ad eccezione<br />
dell’epoca delle crociate, durante le quali si ebbe una temibile diffusione<br />
di Ratti, per cui si dovette nuovamente ed interessantemente ricorrere al suo<br />
ausilio. La Chiesa per sradicare il mito del Gatto e i culti pagani ad esso legati,<br />
gli attribuì strani poteri malefici, e a centinaia di migliaia questi animali<br />
furono uccisi, crocifissi, e buttati nel fuoco purificatore perché considerati<br />
complici delle streghe e quindi portatori di malefici. L’inquisizione permise<br />
violenze incredibili nei confronti di questi animali tanto da rasentare la loro<br />
estinzione, così il Gatto divenne il simbolo del male e una emanazione di<br />
Satana. Ma nel 1799 fu ancora una volta un’invasione di Ratti che lo riportò<br />
163
in auge e da allora, con l’avvento dell’Illuminismo, vennero meno le superstizioni<br />
e le crudeltà. Si deve infine a Pasteur, nel 1885, la riabilitazione totale<br />
del Gatto; lo scienziato osservò che mentre tutti gli animali possono essere<br />
portatori di malattie attraverso i microbi, viene fatta eccezione per il Gatto,<br />
essendo questi amante della pulizia e dell’igiene. Da allora è storia contemporanea<br />
fatta di dipinti, racconti e favole su quello che va considerato uno dei<br />
più cari e preziosi amici dell’Uomo. Una delle credenze popolari assai diffuse<br />
fino a qualche anno fa (ma che vive in certe zone ancora oggi), voleva che<br />
chi si vedesse attraversare la strada da un Gatto nero, dovesse deviare su altre<br />
vie, perché, continuando a percorrere quella, avrebbe sicuramente incontrato<br />
pericoli e molto spesso la morte. Troppi Gatti neri (visti dall’immaginazione<br />
popolare come gli abiti delle streghe) hanno fatto così una brutta fine, vittime<br />
dell’ignoranza umana e di una sorte che li ha fatti nascere scuri come la notte,<br />
e come il buio dell’umana superstizione. Il 17 febbraio di ogni anno si celebra<br />
la giornata mondiale del Gatto. Ha una gestazione di circa 60 giorni e può<br />
partorire da 3 a 6 piccoli.<br />
La fiaba<br />
“La Gatta e Afrodite”<br />
Una Gatta che si era innamorata di un bel giovane, pregò Afrodite di trasformarla<br />
in Donna. La dèa, mossa da compassione per questo amore, la trasformò<br />
in una bella ragazza. Così, incontrandola, il giovane se ne innamorò e se<br />
la portò a casa. Un giorno, mentre i due innamorati se ne stavano sdraiati nel<br />
letto nuziale, ad Afrodite venne in mente di controllare se la ragazza pur cambiando<br />
corpo, non avesse ancora dentro di sè le attitudini della Gatta. Fece<br />
così cadere nel bel mezzo del letto un bel Topo che la ragazza inseguì e divorò.<br />
Allora la dèa indignata per questo comportamento, la ritrasformò in<br />
Gatta. (Esopo)<br />
164
IL BACO DA SETA<br />
Confucio narra in un suo libro che un’imperatrice cinese fu divinizzata e adorata<br />
come “dèa della seta” dal suo popolo riconoscente, perché insegnò loro<br />
ad allevare il Baco da seta e a tesserne la sua bava. Ciò avvenne ben 2.600<br />
anni prima di Cristo. La leggenda narra che questa imperatrice, passeggiando<br />
per i suoi giardini, notò strani minuscoli animali. Li osservò per diversi giorni<br />
e si accorse che uno di questi bruchi, si avvolgeva su se stesso, formando<br />
un bozzolo, con un filo lucente; aveva scoperto il Baco da seta. Il silenzio<br />
avvolse per molti secoli la scoperta gelosamente custodita dalla corte imperiale<br />
e solo nel IV secolo d.C., da principio l’India e poi il Giappone, ne vennero<br />
a conoscenza grazie ad un curioso stratagemma messo a punto da una<br />
principessa cinese andata sposa al re del Turkestan. Non volendo rinunciare<br />
ai suoi vestiti di seta, nascose fra i fluenti capelli alcune uova del prezioso<br />
bruco, e da allora il Baco da seta sia pur molto lentamente si diffuse in tutto<br />
l’oriente e molto più tardi nel resto del mondo. Sotto l’imperatore Augusto nel<br />
I secolo d.C., Roma iniziò i propri rapporti con il fastoso Oriente così che profumi,<br />
oro, e gioielli entrarono nelle abitazioni dei patrizi e la seta divenne il<br />
tessuto preferito dalle nobildonne Romane. I Romani appresero che la seta<br />
proveniva dalla Cina, ma non capirono da quali sostanze essa potesse derivare.<br />
Pensarono che si trattasse di un prodotto vegetale proveniente da piante<br />
non presenti in Europa. Passarono ancora<br />
molti secoli e furono due monaci,<br />
inviati dell’imperatore Giustiniano, a<br />
portare a Bisanzio, nascosti nelle cavità<br />
dei loro bastoni di viandanti alcuni bozzoli<br />
del Baco da seta. Fu così che nel giro<br />
di qualche decennio anche in Italia si diffuse<br />
l’allevamento del prezioso bruco.<br />
La Cina rimase tuttavia la maggiore pro-<br />
165<br />
BACO
duttrice tanto che l’itinerario percorso dai mercanti fu chiamato per lungo<br />
tempo “la via della seta”. La sericoltura si diffuse in tutta Europa grazie agli<br />
Italiani e in special modo per merito dei Genovesi che per primi trasferirono<br />
il commercio ad Avignone.<br />
A Firenze, a tutelare il diritto dei setaioli, esisteva la “corporazione della seta”<br />
e furono sempre gli Italiani ad allevare per primi il prezioso bruco sia in<br />
Svizzera che in Inghilterra. Il ciclo riproduttivo del Baco da seta inizia quando<br />
l’insetto perfetto esce dal bozzolo e depone le uova dette anche “seme da<br />
Bachi”. Queste uova un tempo si compravano a once e si ponevano sopra a<br />
dei fogli di carta fittamente bucherellati. Qui avveniva la nascita dei piccoli<br />
bruchi che incominciavano subito a nutrirsi di foglie di gelso finemente triturate.<br />
I Bachi crescevano e questo periodo era denominato “dormita”. Le dormite<br />
erano quattro. Più i bruchi crescevano e più le foglie venivano triturate<br />
grossolanamente, fino a venire “servite” intere.<br />
Alla fine della quarta “dormita”, il Baco si svegliava, cominciava a secernere<br />
un filamento che a contatto con l’aria si induriva rapidamente; a questo<br />
punto veniva aiutato a salire sul “bosco” che altro non era se non un intreccio<br />
di ramoscelli e sterpaglia messi appositamente dall’uomo. Qui, il Baco incominciava<br />
ad avvolgere intorno a sé, intrecciandolo a forma di arachide, il filamento<br />
serico per formare il bozzolo. I bozzoli venivano successivamente<br />
inviati alle filande dove delle donne molto esperte li sottoponevano a ebollizione<br />
e con le mani nude cercavano nell’acqua bollente i filamenti per poi<br />
avviarli a delle bobine rotanti che li riunivano in un unico filo. Alla fine della<br />
stagione di lavoro alla filanda, queste povere donne avevano le dita talmente<br />
rovinate (ridotte “in carne viva”) che abbisognavano di un anno intero prima<br />
di ricostruire la pelle, ma non facevano nemmeno in tempo a guarire che già<br />
incominciava la nuova stagione e con essa la nuova “tortura”. Per molti<br />
decenni, l’allevamento del Baco da seta ha fatto parte integrante di tanti magri<br />
bilanci familiari aiutando i poveri contadini a vivere un po’ meno faticosamente.<br />
Questa attività comportava però un notevole impegno sia in fatto di<br />
166
lavoro (bisognava alzarsi nel cuore della notte per alimentare i bruchi) che<br />
economico, in quanto gli ambienti dove venivano allevati i Bachi dovevano<br />
essere riscaldati; così, negli anni l’interesse è sempre venuto meno fino a<br />
scomparire del tutto. Cosa che invece continua a essere importante nei luoghi<br />
d’origine e nei paesi dell’Europa dell’est.<br />
LE FARFALLE<br />
Alle Farfalle la natura ha fornito il massimo della prodigalità in fatto di bellezza<br />
ed armonia di colori. La diversità e varietà delle tinte, le iridescenze, i<br />
riflessi metallici, la leggiadria del volo, fanno si che questi insetti sembrino<br />
creati per rappresentare la bellezza del<br />
regno animale. Nell’osservare la loro esistenza<br />
si rimane stupiti da tanta armonia.<br />
Le femmine muoiono subito dopo aver<br />
deposto le loro uova, la vita delle Farfalle<br />
è quindi relativamente breve e va da<br />
qualche giorno a due mesi. Dall’uovo<br />
deposto all’insetto perfetto passa circa un<br />
anno e precisamente da una primavera<br />
all’altra. Il periodo larvale, a seconda<br />
FARFALLE<br />
della specie, ha una durata varia, da<br />
poche settimane a parecchi mesi. In alcune specie la farfalla si “schiude” in<br />
meno di un mese, in altre lo stadio ninfale si prolunga per tutto l’inverno. Le<br />
Farfalle depongono uova piccolissime dalle quali nasce un bruco che cresce<br />
rapidamente, mutando quattro o cinque volte la propria pelle prima di diventare<br />
adulto. Nel frattempo si sarà nutrito di fiori, frutta e foglie, ma al raggiungimento<br />
del suo completo sviluppo non si nutrirà più e andrà a cercarsi un<br />
luogo adatto dove poter trasformarsi in ninfa. Per fare questo la larva si avvolge<br />
in un involucro tessuto con i fili che emette dalla bocca e si rinchiude nella<br />
167
sua crisalide.<br />
Mentre la ninfa sta rinchiusa nella sua crisalide avviene l’ultima trasformazione<br />
e dopo un tempo, più o meno lungo, uscirà da questo involucro la Farfalla<br />
vera propria, ovverosia l’”insetto perfetto”. La parte più interessante di questi<br />
insetti sono le ali, ricoperte su entrambe le facce da minuscole squame<br />
variamente colorate e facilmente distaccabili: sarà sufficiente prenderle in<br />
mano e ci accorgeremo che un pulviscolo variopinto rimarrà attaccato alle<br />
nostre dita. La Farfalla più grande è la varietà Pavonia, la sua apertura alare<br />
raggiunge i 15 cm e vive sugli alberi da frutta. La Testa di Morto è così chiamata<br />
per il disegno che ha sul torace assomigliante ad un teschio. Se viene<br />
molestata, emette un suono stridulo dovuto allo sfregamento del suo organo<br />
succhiatore. La Vanessa Pavone ha delle ali magnifiche che ricordano lo<br />
splendore delle penne del pavone ed è fra le più comuni. La Cavolaia è indubbiamente<br />
la più conosciuta e vive negli orti e nei giardini. Ha le ali di colore<br />
bianco o giallo con delle macchiette nere.<br />
IL MAGGIOLINO<br />
Alla fine di aprile e per tutto maggio, ma anche oltre, andando per la campagna<br />
si possono osservare dei grossi insetti dal volo pesante e rumoroso, volare<br />
bassi tra le erbe e posarsi sulle fronde degli alberi, sono i Maggiolini. Si<br />
possono prendere in mano senza paura e senza ribrezzo perché sono innocui<br />
e dall’aspetto gradevole. Questi coleotteri assai diffusi si possono trovare a<br />
nugoli tra il fogliame delle più comuni piante da frutto, intenti a divorare il<br />
tessuto delle loro foglie.<br />
I danni provocati dal Maggiolino adulto sono incalcolabili, ma ancora maggiori<br />
sono quelli provocati dalla sua larva. In maggio la femmina, prima di<br />
concludere la sua breve vita, scava una corta galleria nel terreno tenero e lavorato<br />
e in fondo ad essa depone diversi mucchietti di uova. Dopo<br />
un’incubazione di una quindicina di giorni nascono le piccole larve che già<br />
168
incominciano a divorare bulbi, radici, tuberi che trovano intorno alla galleria.<br />
All’inizio della cattiva stagione queste larve sprofondano nel terreno e rimangono<br />
a riposo fino all’inizio della primavera quando rincominciano nella loro<br />
opera distruttrice che continua per tutta l’estate e l’autunno fino a quando arriva<br />
il momento di nascondersi nuovamente in profondità in attesa ancora una<br />
volta della buona stagione.<br />
Durante la stagione successiva, la larva raggiunge il massimo delle sue<br />
dimensioni: si tratta di un bruco piuttosto tozzo lungo fino a 5 cm. In questa<br />
terza estate della sua vita la larva produce, viste le dimensioni raggiunte e la<br />
conseguente voracità, i maggiori danni alle coltivazioni. Raggiunto l’autunno,<br />
la larva si scaverà una galleria profonda anche 60-70 cm al termine della<br />
quale formerà una celletta tondeggiante,<br />
che sarà tappezzata con una sostanza<br />
cementante. In questa celletta si trasformerà<br />
in ninfa. Durante la stagione invernale<br />
nuova metamorfosi: da ninfa, si trasformerà<br />
in insetto perfetto che però<br />
rimarrà nel suo sito in attesa della primavera.<br />
Il ciclo evolutivo è durato 3 anni,<br />
ma nei paesi più freddi può arrivare<br />
anche a 5. L’insetto perfetto per contro<br />
MAGGIOLINO<br />
vivrà invece solamente un mese, nel<br />
corso del quale però arrecherà notevoli danni. Fino a una quarantina di anni<br />
fa, il Maggiolino era oggetto di un gioco “stupido” da parte dei ragazzi che lo<br />
catturavano facilmente. Si legava un sottile filo di cotone ad una zampetta e<br />
poi lo si faceva roteare per tutta la lunghezza del filo medesimo. Iniziava così<br />
una gara fra ragazzi per contendersi le figurine degli animali o dei calciatori,<br />
vinceva il proprietario del Maggiolino che volava più a lungo. Ma i ragazzi<br />
avevano anche un altro compito, comandato in questo caso dagli adulti: ogni<br />
giorno sul calar della sera, muniti di lunghe pertiche, percuotevano le fronde<br />
169
degli alberi dalle quali cadevano a terra grandi quantità di Maggiolini; questi,<br />
venivano messi dentro a dei sacchi e successivamente immersi nell’acqua di<br />
un canale per farli morire annegati.<br />
Successivamente venivano disposti sul selciato davanti a casa dove si facevano<br />
essiccare al sole per poi frantumarli calpestandoli con i piedi. Questo “sfarinato”<br />
era successivamente impiegato come concime per gli orti, ma molto<br />
più spesso ed in maggiore quantità, costituiva un ottimo mangime (forse il<br />
primo), che veniva dato in pasto ai maiali mescolato al siero del latte. Durante<br />
l’aratura in profondità della terra vengono riportate in superficie grandi quantità<br />
di larve di Maggiolino; un tempo i contadini prima di iniziare il lavoro<br />
liberavano nei campi i Polli che, molto ghiotti di queste larve, le divoravano<br />
tutte. Oggi a sostituire i Polli ci sono i Gabbiani che da grandi opportunisti,<br />
hanno scoperto il prelibato e gratuito banchetto e ne approfittano con grande<br />
sollievo da parte dell’Uomo.<br />
170
“La sopravvivenza della fauna selvatica è un problema<br />
di vitale importanza per tutti noi in Africa.”<br />
Julius Njerere
LE API<br />
Lotte spietate e imprese eroiche, in cui si alternano avventure drammatiche e<br />
misteriose, rappresentano la complessa vita e la storia delle Api.<br />
Immaginiamo la cavità di un grosso albero, nella quale uno sciame d’Api abbia<br />
fissato la propria dimora, cerchiamo allora di immaginare questa cavità come<br />
una città popolata da cinquantamila abitanti, dove la vita deve scorrere organizzata,<br />
disciplinata da regole e leggi e dove ogni cittadino ha un compito ben preciso.<br />
E allora cerchiamo di darci un’idea dell’architettura di questa città e di quello<br />
che potremmo definire la sua viabilità e le funzioni dei suoi abitanti. Le strettissime<br />
“stradine” ampie 3 millimetri sono fiancheggiate da tantissime casette (le<br />
cellette) a forma esagonale perfettamente equidistanti una dall’altra. Non tutte<br />
queste casette però sono uguali: il popolo infatti, abita in quelle più piccole, i<br />
fuchi (i cavalieri) abitano quelle di media grandezza, mentre in quelle più grandi<br />
vivono le principesse, una delle quali diventerà l’Ape regina. In questo grande<br />
agglomerato “urbano” vi sono pure dei grandi depositi. All’interno della città<br />
(alveare), l’aria che si respira è “condizionata” per ottenere ciò, appostate all’ingresso<br />
una dopo l’altra ci sono delle Api operaie addette alla ventilazione: esse<br />
fanno vibrare le loro ali così rapidamente che le stesse diventano invisibili.<br />
Molto accurato è il servizio di nettezza urbana e in questo caso le Api addette<br />
sono migliaia perché tutto deve essere spazzolato in continuazione con le loro<br />
zampette pelose affinché mai nessun rifiuto rimanga disperso. Le Api primeggiano<br />
in fatto di organizzazione anche nei trasporti: le scorte di propoli, di miele e<br />
di resina, sono assicurate alla comunità, non solo per i bisogni di ogni giorno, ma<br />
ancora di più per le riserve che vengono con grande previdenza immagazzinate.<br />
Dunque si capisce come in questa società basata sul lavoro la rappresentanza più<br />
numerosa sia quella del popolo cioè dalle Api operaie. In questo mondo tutte le<br />
femmine sono destinate a rimanere nubili e quindi a lavorare per tutta la loro vita.<br />
In un alveare come quello descritto comprensivo di 50 mila Api, circa 45 mila<br />
saranno operaie, i fuchi, che condurranno una vita agiata e oziosa, saranno qual-<br />
173
che centinaio, le rimanenti saranno le principesse,<br />
una sola delle quali sarà eletta<br />
Regina. Le operaie, quando nascono, sono<br />
provviste dei loro attrezzi da lavoro. Le<br />
mandibole e la lingua hanno le funzioni di<br />
sega, di uncino, di spatola, di tenaglia e di<br />
succhiello; hanno tre paia di zampe provviste<br />
di arpioni per rimanere appese, di<br />
API<br />
spazzola e di ceste che servono per il trasporto<br />
delle provviste. Nella parte posteriore del corpo le Api posseggono i pungiglioni.<br />
Tutto il lavoro delle Api operaie è rivolto alla regina che dopo le<br />
“nozze” deporrà un numero incredibile di uova (anche 2.500 al giorno) fecondate<br />
dal fuco prescelto e dalle quali nasceranno nuove operaie, nuovi fuchi e nuove<br />
principesse. La regina deporrà un uovo in ogni celletta e subito, le operaie lo<br />
copriranno di polline e miele in modo che quando la larva nascerà troverà subito<br />
di che alimentarsi. Dopo soli 3 giorni nasceranno le larve che a 6 saranno talmente<br />
sviluppate da occupare tutta la celletta. Allora smetteranno di alimentarsi<br />
e inizieranno a filare un piccolo bozzolo. Questo lavoro durerà alcuni giorni e<br />
quindi la metamorfosi si compirà; dal bozzolo uscirà una larva di Ape operaia<br />
che in una ventina di giorni diventerà insetto perfetto, ben 26 giorni impiegheranno<br />
invece i fuchi, mentre le principesse ne impiegheranno solamente 12. Ma<br />
queste non potranno uscire subito dalla celletta, saranno infatti trattenute prigioniere<br />
dalle nutrici ancora per 7 giorni. Operaie e fuchi, nasceranno senza fare<br />
nessun rumore, diversamente le principesse emetteranno un caratteristico rumore<br />
riassunto in un “cuac-cuac” che purtroppo per loro sarà letale e al quale la regina<br />
risponderà con un sibilo inquietante. Questo “dialogo fra le principesse e la<br />
regina, secondo, gli esperti esprime sospetto e timore ed è noto come “il canto<br />
delle regine”. Infatti in questo mondo così organizzato e operoso avvengono<br />
delle vere e proprie tragedie, una di queste è rappresentata appunto dal massacro<br />
delle principesse. La prima che uscirà dalla sua celletta sarà la nuova Ape regi-<br />
174
na, allora la vecchia madre abbandonerà, seguita da una parte numerosa della<br />
popolazione tra cui molte Api edili, la sua città per costruirsene una nuova. La<br />
nuova Ape regina dopo l’insediamento, si nutrirà notevolmente di miele e quindi<br />
inizierà a percorrere le strade che dividono le cellette soffermandosi allorché<br />
udirà il “cuac-cuac “ di una principessa che si appresta ad uscire. La primogenita<br />
già Regina, si avvicinerà aprirà i sigilli della celletta e strapperà la testa della<br />
sorella ancora viva e ripeterà il fratricidio ad ogni cripta regale, fino a che avrà<br />
sterminato tutte le principesse e rimarrà da sola. Quando arriverà il giorno delle<br />
nozze accadrà ancora qualche cosa di sorprendente e di tragico. L’Ape regina inizierà<br />
la sua danza nuziale lanciandosi verso l’alto e sarà imitata da tutti i fuchi<br />
che la seguiranno in cielo, molti periranno, uno solo sarà il prescelto, e quei<br />
pochi che ritorneranno, ritenuti ormai solo un peso per la comunità che non vorrà<br />
più mantenerli, verranno uccisi dalle Api operaie. All’inizio della primavera<br />
un’Ape prescelta dopo il riposo invernale uscirà dall’alveare per prima, ed ispezionerà<br />
con un lungo volo il terreno circostante finche non troverà il primo polline<br />
dei fiori, loro essenza naturale. Dopo aver riempito le cestelle delle zampette<br />
posteriori l’Ape, mandata in avanscoperta, ritornerà alla sua arnia, dove scaricherà<br />
il polline raccolto nel magazzino e subito, inebriata di felicità, inizierà una<br />
danza indiavolata, che verrà interpretata dalle altre Api come l’annuncio della<br />
primavera arrivata. Terminato questo rituale le compagne partiranno in sciame<br />
verso la campagna ormai coperta di fiori iniziando così una nuova stagione di<br />
lavoro, cerimoniali, sacrificio e morte.<br />
La fiaba<br />
“Le Api e Zeus”<br />
Le Api gelose perché gli uomini si servivano del loro miele, andarono da Zeus<br />
e lo pregarono di dar loro il potere di uccidere a colpi di pungiglione chiunque<br />
si avvicinasse ai loro alveari. Zeus sdegnato per tanta cattiveria fece sì<br />
che esse, non appena colpiscono qualcuno, perdano il pungiglione e, dopo di<br />
questo, anche la vita. (Esopo)<br />
175
LE VIPERE<br />
“…E io porrò inimicizia fra te e la donna e fra la tua progenie e la progenie<br />
di lei: essa ti calpesterà il capo e tu le ferirai il calcagno”.<br />
Le parole del Signore risuonano negli scarni versetti della Bibbia come una<br />
solenne maledizione per il serpente, che da allora diventa il simbolo del male.<br />
L’ira celeste è così forte che ci si può immaginare il rettile demoniaco torcersi<br />
sotto la voce tonante del Signore. Da allora esiste una grande ostilità da<br />
parte dell’uomo nei confronti di tutti i serpenti anche se molti di essi risultano<br />
essere innocui. Essi, sia per la tradizione cristiana che per quella ebraica<br />
rappresentano l’emblema dell’astuzia e dell’insidia rivolta al peccato.<br />
I serpenti come del resto tutti i rettili sono animali “eterotermi”, in grado cioè,<br />
di regolare la loro temperatura corporea su quella dell’ambiente in cui vivono;<br />
da ciò la loro abitudine di crogiolarsi al sole nelle belle giornate e di rintanarsi<br />
in anfratti o tane sotto terra nei mesi più freddi dove cadono in letargo.<br />
Scoperto il loro nascondiglio invernale, si potranno contare un ragguardevole<br />
numero di Vipere attorcigliate strettamente le une sulle altre con lo scopo<br />
di procurarsi quella minima quantità di calore che a loro necessita per continuare<br />
a vivere. Il veleno che con il loro morso inoculano ad altri animali, tra<br />
i quali l’Uomo, è uno dei motivi (in questo caso a ragione) che ha creato ai<br />
serpenti motivo di cattiva fama. Gli unici serpenti velenosi presenti nel territorio<br />
Veneto e quindi Trevigiano, sono le<br />
Vipere. Esse hanno una lunghezza di<br />
circa 55-60 cm, e la testa, dalla caratteristica<br />
forma triangolare, decorata da un<br />
disegno scuro a forma di V rovesciato. Si<br />
può incontrare la vipera un po’ ovunque,<br />
anche se predilige i luoghi aridi della<br />
montagna, dove è facile trovarla rimuovendo<br />
mucchi di vecchie ramaglie, o<br />
176<br />
VIPERA
sotto a delle pietraie. Molto simili alla Vipera e abitanti nello stesso territorio<br />
sono: la Vipera dal Corno, chiamata così per via di una piccola protuberanza<br />
che possiede all’altezza del naso, e il Marasso simile alla Vipera, ma più grosso<br />
e più lungo.<br />
Questi serpenti cacciano generalmente nelle ore notturne e prediligono topi,<br />
piccoli anfibi e altri animali. Come un qualsiasi altro serpente, le Vipere e il<br />
Marasso possiedono una lingua bifida e le mascelle disarticolate fra di loro in<br />
modo che possono aprirsi in maniera smisurata per inghiottire prede molto<br />
più grosse della loro apertura boccale. I due temuti denti veleniferi sono ricurvi<br />
e infissi verso l’interno del palato; sono percorsi da una scanalatura che<br />
comunica con una vescichetta (la ghiandola velenifera), dalla quale, dopo il<br />
morso, esce, attraverso proprio queste scanalature, come se si trattasse di una<br />
vera e propria iniezione ipodermica, il veleno. Veleno, che in poche ore diventa<br />
letale sia per l’Uomo, che per tutti gli animali a sangue caldo.<br />
La persona morsa da una Vipera, o da un Marasso, va soccorsa immediatamente:<br />
con l’aiuto di un legaccio va stretto energicamente l’arto sopra la parte<br />
morsicata, quindi bisogna procedere ad incidere con un coltellino la ferita in<br />
modo da far uscire il sangue, nel frattempo è soprattutto necessario trasportare<br />
la “vittima” al più vicino ospedale. Molto importante è anche il siero anti<br />
Vipera, ma anche in questo caso bisogna correre al più presto in un luogo di<br />
pronto soccorso.<br />
Fino alla fine degli anni 70, in occasione della Fiera agostana degli uccelli di<br />
Sacile, scendeva dal Cansiglio un ometto chiamato “Vipera”. Egli aveva ereditato<br />
da generazioni l’arte della cattura delle Vipere e, come il nonno e il<br />
padre, approfittava della grande sagra ornitologica per esibirsi con questo rettile.<br />
Sulla sua bici portava, una davanti e l’altra dietro, due cassette da frutta<br />
“foderate” di rete metallica, all’interno delle quali si trovavano diversi di questi<br />
rettili sia adulti che piccoli. Quando davanti al lui si formava un gruppetto<br />
di persone, arrotolava una striscia di tessuto fino ad ottenere un cilindretto<br />
del diametro di circa un cm e lo faceva mordere da una vipera, così facendo<br />
177
la privava momentaneamente del veleno e successivamente “giocava” con<br />
essa suscitando incredulità e attenzione da parte dei presenti che alla fine<br />
lasciavano cadere sul piattino alcune monetine. “Vipera” aveva la pelle del<br />
corpo molto spessa e dura, di colore scuro, che sembrava essere cuoio. Soleva<br />
ripetere di essere stato morso decine e decine di volte soprattutto alle mani,<br />
ma di essersi sempre salvato effettuando una veloce incisione con una lametta<br />
da barba sopra i due forellini e provvedendo subito dopo ad aspirare energicamente<br />
con la bocca il veleno, per poi sputarlo lontano.<br />
Effettivamente le sue dita e i suoi polsi erano pieni di piccole ferite. E<br />
“Vipera” ripeteva ancora: “se io dovessi mordere qualcuno è come se questi<br />
venisse morso da una Vipera vera”.<br />
La fiaba<br />
“La Vipera e la Biscia d’ acqua”<br />
Una Vipera andava tutti i giorni ad abbeverarsi ad una sorgente; e una Biscia<br />
che vi abitava voleva impedirglielo. Non bastava infatti alla Vipera avere un<br />
pascolo tutto per sè che veniva a invadere anche la sua casa. La contesa<br />
divenne sempre più aspra finchè non decisero di sfidarsi a duello. Le<br />
Ranocchie che abitavano vicino alla sorgente e che odiavano la Biscia andarono<br />
a trovare la Vipera promettendole che anch’esse avrebbero combattuto<br />
al suo fianco. Iniziò il duello e mentre le due contendenti stavano combattendo<br />
le Rane incominciarono a cantare con tutte le loro forze. Alla fine con<br />
molta fatica la Vipera vinse la battaglia e rivolgendosi alle Rane le accusò di<br />
non averla aiutata e di non essere state di parola, ma quelle risposero: devi<br />
sapere, cara mia che noi intendevamo aiutarti con una prestazione non di<br />
braccia, ma di voce. E la Vipera capì…… (Esopo)<br />
178
“Rammento la corsa della lepre che gli antichi chiamavano figlia della luna<br />
e ricordo, il canto dell’allodola in cui pagani e seguaci di Cristo vollero<br />
vedere la preghiera che sale in alto, e persino l’elevazione dell’ uomo”.<br />
Graziano Fabris
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE<br />
Robert Frèdèrik GLI ANIMALI Fratelli Fabbri Editori Milano 1966<br />
Gianfranco Bologna IL MONDO DEGLI UCCELLI Arnoldo Mondatori Editore<br />
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ottobre 1990.<br />
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Juliet Clutton Brock MAMMIFERI Fabbri Editori Edizione manuali Fabbri Milano<br />
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Zanetti M. IL FOSSO, IL SALICE, LA SIEPE Edizioni Nuova Dimensione P<br />
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ESOPO FAVOLE BUR Rizzoli Editore Milano maggio 1976.<br />
Autori Vari NATURA <strong>DI</strong> NOTTE Reverdito Editore Trento 1984.<br />
Autori Vari LE RIVE Edizioni Multigraf Spinea /Venezia 1989.<br />
181
IN<strong>DI</strong>CE<br />
La colorazione degli uccelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 14<br />
I chiodi di mio nonno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 19<br />
Pillole di sapere: gli Uccelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 23<br />
Il Cigno Reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 29<br />
L’Oca Selvatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 31<br />
L’Airone Cenerino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 33<br />
Il Germano Reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 34<br />
Il Cormorano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 35<br />
Il Tuffetto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 36<br />
Lo Svasso Maggiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 37<br />
La Gallinella d’acqua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 39<br />
La Marzaiola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 40<br />
La Volpoca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 41<br />
L’Anatra Mandarina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 42<br />
Il Martin Pescatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 43<br />
La Rondine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 47<br />
Il Rondone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 48<br />
Il Cuculo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 50<br />
Il Picchio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 52<br />
L’Usignolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 53<br />
La Cinciallegra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 54<br />
L’Averla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 56<br />
Il Crociere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 57<br />
Il Frosone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 58<br />
Il Rigogolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 59<br />
La Gazza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 60<br />
L’Upupa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 61<br />
La Gracula . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 65<br />
183
I Pappagalli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 66<br />
L’Aquila Reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 68<br />
Il Falco Pecchiaiolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 70<br />
La Poiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 71<br />
Il Barbagianni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 72<br />
La Civetta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 74<br />
Il Gufo Comune e Reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 75<br />
Il Pavone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 77<br />
I Fagiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 81<br />
La Quaglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 83<br />
Il Colombo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 84<br />
La Gallina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 87<br />
Il Gabbiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 89<br />
Modi di Dire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 92<br />
I Mammiferi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 95<br />
Pillole di sapere: i Mammiferi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 97<br />
Pillole di sapere: i Mustelidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 107<br />
La Donnola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 110<br />
Il Tasso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 113<br />
La Marmotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 115<br />
La Talpa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 119<br />
Il Criceto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 120<br />
Il Ghiro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 121<br />
Il Moscardino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 122<br />
La Scoiattolo rosso europeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 123<br />
Il Toporagno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 125<br />
Il Riccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 127<br />
Il Cervo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 131<br />
184
La Volpe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 135<br />
La Lince . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 136<br />
L’Orso Bruno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 138<br />
Il Lupo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 139<br />
La Lepre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 142<br />
Il Coniglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 144<br />
Il Ratto Grigio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 149<br />
Il Topolino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 150<br />
Il Pipistrello o Nottola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 152<br />
Il Maiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 154<br />
Il Cavallo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 156<br />
Il Cane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 158<br />
Il Gatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 161<br />
Il Baco da seta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 165<br />
Le Farfalle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 167<br />
Il Maggiolino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 168<br />
Le Api . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 173<br />
Le Vipere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 176<br />
185
RINGRAZIAMENTI<br />
Sarebbero troppe le persone che dovrei ringraziare per avermi dato modo di<br />
poter scrivere questo libro, ma esse non ci sono più. Erano già vecchi quando<br />
mi trasmettevano la passione per gli animali: vecchi contadini, vecchi cacciatori,<br />
persone vicine al mondo animale e che dell’animale sapevano tutto,<br />
persone dalle quali ho imparato tante cose, cose, che proprio attraverso questo<br />
libro saranno tramandate ai più giovani con il sorriso e la benedizione di<br />
questi vecchi: Nonno Elia, Erico, Arcangelo, Italo, Zio Beppin, Vittorio,<br />
Ernesto, Virginio, Gildo, Massimo, Francesco... Grazie.<br />
Un ringraziamento particolare lo rivolgo alla cara Amica Alessandra Gamba<br />
insegnante presso le scuole elementari di Olmi di San Biagio che ha corretto<br />
le bozze di questo libro.<br />
E non posso dimenticare di rivolgere un grazie di cuore al Presidente della<br />
Provincia di Treviso Luca Zaia e all’Assessore Stefano Busolin che hanno il<br />
grande merito di aver ideato e voluto il progetto di educazione ambientale<br />
nelle scuole della Provincia, motivo questo, che mi ha dato lo spunto per scrivere:<br />
“A Scuola di Fauna”. Ed infine un pensiero grato desidero rivolgerlo<br />
anche al dr. Mario Feltrin, un grande Amico sul quale durante questi tre anni<br />
ho sempre potuto contare.<br />
L’autore rivolge un pensiero grato anche alle insegnanti Maria Grazia<br />
Carrelli e Martinella Biscaro per aver seguito i disegni di Tiziana Forese, e<br />
Franca Borsoi per aver seguito quelli di Marialuisa e Luca Dal Poz.<br />
187
Gli autori dei disegni<br />
ai quali rivolgo un grazie grosso così…<br />
Luca Dal Poz<br />
Frequenta la terza elementare presso<br />
la Scuola di Mignagola di Carbonera,<br />
è nato il 12-5-1996.<br />
Marialuisa Dal Poz<br />
Frequenta la quinta elementare presso<br />
la Scuola di Mignagola di Carbonera,<br />
è nata il 18-9-1994.<br />
Tiziana Forese<br />
Frequenta la seconda media presso<br />
la Scuola “Arturo Martini” di San Biagio<br />
di Callalta, è nata il 22-5-1992.<br />
189
Finito di stampare<br />
nel mese di agosto 2005<br />
presso<br />
Arti Grafiche Conegliano SpA<br />
Susegana/Tv
Settore Gestione della Fauna<br />
Via Cesare Battisti, 30 - 31100 Treviso<br />
Tel. 0422.656.341 - Fax 0422 656.032