Progettare appassionatamente la civiltà - Cristina Campo
Progettare appassionatamente la civiltà - Cristina Campo
Progettare appassionatamente la civiltà - Cristina Campo
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
Studia Theologica V, 4/2007, 254 - 269<br />
<strong>Progettare</strong> <strong>appassionatamente</strong> <strong>la</strong> <strong>civiltà</strong>.<br />
Simone Weil: <strong>la</strong> politica tra verità, gratuità e giustizia.<br />
I<strong>la</strong>ria Vel<strong>la</strong>ni<br />
L’unica cosa che possiamo costruire<br />
è una <strong>civiltà</strong> nuova<br />
rispetto al caos spaventoso finito ora in un incubo.<br />
(S. Weil, Frammenti)<br />
Trentaquattro anni vissuti pericolosamente, in uno sforzo continuo di attenzione al<strong>la</strong> realtà<br />
e alle sue dinamiche, in una passione viscerale nei confronti degli oppressi e dei vinti del<strong>la</strong> storia<br />
che diventa compassione e compartecipazione, vera e gratuita assunzione su di sé delle<br />
sofferenze degli altri. Questa potrebbe essere <strong>la</strong> sintesi del percorso umano e intellettuale<br />
intrapreso da Simone Weil con ferrea decisione 1 . Una vita intensa a cui corrisponde una<br />
produzione filosofica e intellettuale altrettanto significativa e importante, generata da occasioni<br />
partico<strong>la</strong>ri, come le Leçons de philosophie, registrazione del corso di filosofia tenuto nell’anno<br />
sco<strong>la</strong>stico 1933-1934 al Lycée de Jeunes Filles di Roanne, o come gli Écrits historiques et<br />
politiques frutto del viaggio in Germania nell’agosto del 1932; generata anche da una lettura<br />
sapiente di quello che lei stessa stava vivendo: l’esperienza di fabbrica, raccolta nei quattro<br />
Cahiers o ancora nel saggio Reflexions sur le causes de <strong>la</strong> liberté et de l’oppression sociale o La<br />
condition ouvrieére, l’esperienza dell’incontro con Cristo, come ne l’Attente de Dieu, o ancora<br />
l’esperienza del<strong>la</strong> resistenza francese al nazismo (nel movimento di resistenza capeggiato da De<br />
Gaulle France Libre) a Londra, dal novembre del 1942 al giorno del<strong>la</strong> sua morte il 24 agosto del<br />
1943, come nel<strong>la</strong> sua ultima opera L’enracinement. Prélude à una déc<strong>la</strong>ration des devoirs envers<br />
l’être humain 2 .<br />
Data <strong>la</strong> vastità del<strong>la</strong> riflessione weiliana, data anche <strong>la</strong> pluralità dei temi e delle questioni da lei<br />
affrontate, vorremmo in questo saggio soffermarci in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> sua riflessione politica, con<br />
1<br />
Sono molte le biografie su Simone Weil, mi sono rifatta soprattutto a S. PÉTREMENT, La vie de Simone Weil, Fayard,<br />
Paris, 1978.<br />
2<br />
S. WEIL, Leçons de philosophie, Librairie Plon, Paris, 1959 ; S. WEIL, Écrits historiques et politiques, Gallimard, Paris,<br />
1960; S. WEIL, Cahier I, Librairie Plon, Paris, 1970; S. WEIL, Cahier II, Librairie Plon, Paris, 1972; S. WEIL, Cahier III,<br />
Librairie Plon, Paris, 1974; S. WEIL, Cahier IV, Gallimard, Paris, 1950; S. WEIL, Réflexions sur les causes de <strong>la</strong> liberté et<br />
de l’oppression sociale, Gallimard, Paris, 1955; S. WEIL, La condition ouvriere, Gallimard, Paris, 1951; S. WEIL, Attente<br />
de Dieu, Librairie Arthème Fayard, Paris, 1969 ; S. WEIL, L’enracinement. Prélude à una déc<strong>la</strong>ration des devoirs envers<br />
l’être humain, Gallimard, Paris, 1949.<br />
254
una attenzione privilegiata ai suoi ultimi anni di vita e di impegno. È infatti in questa fase, che trova<br />
espressione letteraria ne L’enracinement o, come lo ebbe a chiamare l’amico di Simone Albert<br />
Camus, La prima radice, che si può trovare un distil<strong>la</strong>to del<strong>la</strong> riflessione sociale e politica<br />
dell’autrice, in cui se ne possono scorgere le linee di tendenza, ma anche le linee di forza,<br />
ulteriormente rese solide dal confronto con il regime nazi-fascista, e ancor più con <strong>la</strong> necessaria<br />
volontà di ricostruzione del<strong>la</strong> Francia e dell’Europa. Vorremmo con Simone Weil penetrare dentro i<br />
meccanismi di progettazione sociale e civile, scorgere quelle dinamiche che permettono a una<br />
società di contribuire allo sviluppo del<strong>la</strong> pienezza di umanità dei suoi membri attraverso pratiche di<br />
vita giuste e gratuite. Simone Weil infatti, già nelle lezioni di filosofia del 1933-1934 era convinta<br />
che fosse «assurdo pretendere di riformare <strong>la</strong> società riformando gli individui», e che invece<br />
occorresse «trovare, in determinate condizioni, una forma di società che sia conforme alle<br />
esigenze del<strong>la</strong> ragione e che, allo stesso tempo, si fondi sulle necessità inferiori» 3 , cioè sulle<br />
necessità fondamentali degli uomini. Ed è proprio a queste necessità che guarda <strong>la</strong> Weil da<br />
Londra, necessità che sono i doveri verso ciascun uomo individuate a partire dai bisogni, doveri<br />
sui quali immaginare e progettare <strong>la</strong> Francia del futuro.<br />
Giustizia e gratuità ci sembrano le cifre sintetiche di questo approdo londinese, un approdo che<br />
rimane comunque inconcluso, così come lo è il libro L’enracinement, ma anche come <strong>la</strong> vita del<strong>la</strong><br />
Weil che non vedrà mai <strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> guerra né <strong>la</strong> ricostruzione del suo amato paese. Giustizia,<br />
cioè anelito fondativo dell’azione politica, arte del<strong>la</strong> risposta ai doveri verso gli uomini. Gratuità,<br />
cioè capacità di rinunciare ad occupare tutto lo spazio purchè l’altro ci sia, esista, capacità di<br />
possedere uno sguardo veritativo sul<strong>la</strong> realtà da cui <strong>la</strong>sciarsi toccare per mettere in gioco <strong>la</strong> vita<br />
fino in fondo pur di assolvere in pienezza di doveri verso gli altri: partecipazione.<br />
Simone Weil avrebbe voluto essere in prima linea nelle azioni resistenti di France Libre,<br />
invece, arrivata a Londra, le viene affidato un compito intellettuale: “pensare” <strong>la</strong> Francia del<br />
dopoguerra. Le è chiesto, infatti, di esaminare i documenti di carattere politico provenienti dal<strong>la</strong><br />
Francia, e<strong>la</strong>borati dai Comitati affiliati ai movimenti del<strong>la</strong> resistenza in vista del<strong>la</strong> riorganizzazione<br />
politica, sociale e civile del paese al termine del<strong>la</strong> guerra. Il suo doveva essere un semplice ruolo<br />
di redattrice: raccogliere, organizzare il materiale, annotarlo criticamente, selezionarlo. La<br />
passione di Simone però trasforma ben presto questo <strong>la</strong>voro istruttorio in veri e propri trattati sulle<br />
grandi questioni politiche che ci si trova ad affondare: dal<strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> sovranità nazionale, al<br />
ruolo dei partiti politici, al<strong>la</strong> riforma costituzionale, all’organizzazione del <strong>la</strong>voro agricolo e<br />
industriale.<br />
C’è una cifra resistente nel pensiero di Simone Weil, che si concretizza storicamente<br />
nell’esperienza londinese, ma che ha radici profonde anche nelle scelte compiute<br />
precedentemente. È questa cifra resistente, il non risparmiare nul<strong>la</strong> di sé pur di contrastare gli<br />
oppressori, che traduce nel<strong>la</strong> sua breve vita quel<strong>la</strong> gratuità che fonda <strong>la</strong> <strong>civiltà</strong>. In questo senso<br />
3 S. WEIL, Lecons de philosophie, Librairie Plon, Paris, 1959, tr. it. ID., Lezioni di filosofia, Adelphi, Mi<strong>la</strong>no, 1999, p. 144.<br />
255
occorre tenere presente anche tutta <strong>la</strong> vita di Simone Weil, anche l’esperienza nei sindacati e nel<br />
<strong>la</strong>voro in fabbrica (1934-1935). In essa <strong>la</strong> “resistenza” si configura come <strong>la</strong> ricerca di strumenti<br />
capaci di opporsi al<strong>la</strong> forza “cosificatrice” del potere a cui si è sottoposti nel <strong>la</strong>voro. È chiara però<br />
<strong>la</strong> differenza: una cosa è <strong>la</strong> resistenza al potere in fabbrica, altra cosa è <strong>la</strong> resistenza al regime<br />
totalitario. In entrambi i casi, però, Simone Weil riesce a dare vita e a progettare un modo tutto<br />
femminile di reagire al<strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> “forza” che intreccia fabbrica e nazismo. Un modo<br />
“femminile” per <strong>la</strong> sua carica generatrice e rigeneratrice. Il problema politico centrale per <strong>la</strong> Weil,<br />
che ritorna anche nelle pagine da Londra, è quello dell’efficacia. Nel pensare al<strong>la</strong> società del<br />
futuro occorre avere bene presente che cosa producono alcune scelte, cosa generano e,<br />
soprattutto, qual è <strong>la</strong> loro reale efficacia nel<strong>la</strong> vita delle persone, nel<strong>la</strong> loro libertà, nel<strong>la</strong> possibilità<br />
di una vita giusta e gratuita. Già qui si incontra un primo aspetto: l’efficacia del pensiero. Nel<br />
percorso intellettuale del<strong>la</strong> Weil emerge come filo rosso <strong>la</strong> consapevolezza che pensare bene, con<br />
attenzione, è già di per sé stesso un’azione giusta e gratuita, perché capace di offrire uno sguardo<br />
veritativo sul<strong>la</strong> realtà che permette di cercare risposte altrettanto vere e efficaci. L’esercizio del<br />
pensiero diventa un compito politico perché <strong>la</strong> possibilità del suo artico<strong>la</strong>rsi risponde a due dei<br />
bisogni fondamentali dell’anima delineati ne L’enracinement: <strong>la</strong> libertà d’opinione e <strong>la</strong> verità. Scrive<br />
infatti: «è ancor più vero dire che quando il pensiero non esiste non è libero. Nel corso degli ultimi<br />
anni c’è stata molta libertà di pensiero, ma non c’era pensiero. È pressappoco <strong>la</strong> situazione del<br />
bambino che non avendo carne nel piatto, chiede il sale per sa<strong>la</strong>r<strong>la</strong>» 4 . Pensiero infaticabile,<br />
efficacia dell’azione, giustizia e gratuità sono le strade attraverso cui, secondo Simone Weil, è<br />
possibile cogliere <strong>la</strong> verità del<strong>la</strong> politica, <strong>la</strong> verità dell’azione e del pensiero politico, nel<strong>la</strong><br />
costrizione del<strong>la</strong> <strong>civiltà</strong>.<br />
La forza del pensiero.<br />
Simone Weil si diploma nel 1930 e un anno dopo, con rego<strong>la</strong>re concorso, le è assegnata <strong>la</strong><br />
cattedra di filosofia al liceo femminile, prima a Le Puy, nel<strong>la</strong> Loira, poi a Roanne - lei stessa, infatti,<br />
chiede di essere destinata in una città industriale o in un porto. Da questo momento fino al<br />
dicembre del 1934 Simone si dedica con passione all’insegnamento, affiancando all’attività<br />
educativa una tenace partecipazione nel<strong>la</strong> vita dei sindacati, col<strong>la</strong>borando e redigendo articoli per<br />
“L’Effort”, giornale del sindacato autonomo. È durante questo periodo che Simone trascorre il<br />
mese di agosto del 1932 in Germania. Un viaggio importante, desiderato da Weil per cogliere<br />
l’umore del<strong>la</strong> situazione tedesca. Nel saggio raccolto ne Écrits historiques et politiques Simone<br />
racconta di un paese in attesa. Una calma però che ha in sé il preannuncio del<strong>la</strong> tragicità, perché<br />
4 S. WEIL, L’enracinement. Prélude à una déc<strong>la</strong>ration des devoirs envers l’être humain, Gallimard, Paris, 1949, tr. it. ID.,<br />
La prima radice, SE, Mi<strong>la</strong>no, 1990, pp. 38-39.<br />
256
nel popolo tedesco manca completamente il pensiero del futuro: «il popolo tedesco non è né<br />
scoraggiato né addormentato; non si sottrae all’azione; e tuttavia non agisce; attende» 5 .<br />
L’esperienza del mese passato in Germania è utile per Simone perché le mostra l’incapacità di<br />
pensiero delle masse, ma soprattutto perché <strong>la</strong> aiuta a formu<strong>la</strong>re una domanda che<br />
l’accompagnerà negli anni successivi: come agire in modo efficace per mettere fine al regime e<br />
costruire una società giusta? La storia recente ha conosciuto, per Weil, tre modalità di azione che,<br />
però hanno storicamente fallito. Le insurrezioni del tipo del<strong>la</strong> Comune di Parigi, infatti, pur essendo<br />
ammirevoli sono fallite; quel<strong>la</strong> dell’ottobre del 1917 in Russia, sebbene non lo sia formalmente, ha<br />
comunque potenziato l’apparato burocratico, <strong>la</strong> polizia e i militari (<strong>la</strong> rivoluzione teorizzata da Lenin<br />
in Stato e Rivoluzione apparentemente riuscita ha dato vita a una rivoluzione che contraddice i<br />
principi lì sostenuti); infine <strong>la</strong> terza via del<strong>la</strong> non-violenza al<strong>la</strong> Gandhi appare a Weil «forma un po’<br />
ipocrita di riformismo» 6 . Nel<strong>la</strong> attesa di trovare un'altra possibile strada, di cui Simone inizia ad<br />
intuire <strong>la</strong> direzione proprio nel <strong>la</strong>voro a France Libre negli anni del<strong>la</strong> resistenza a Londra, il<br />
soggiorno in Germania e <strong>la</strong> riflessione sul<strong>la</strong> situazione tedesca diventano l’occasione per compiere<br />
una scelta decisiva: «sceglierò sempre, anche in caso di disfatta sicura, di condividere <strong>la</strong> disfatta<br />
degli operai piuttosto che <strong>la</strong> vittoria degli oppressori» 7 . È dal<strong>la</strong> parte degli oppressi che Simone<br />
sceglie di stare, è con loro che condivide gratuitamente <strong>la</strong> vita.<br />
La passione per gli operai, i vinti del<strong>la</strong> storia dell’inizio del XX secolo, il desiderio di comprendere<br />
le cause dell’oppressione sociale per riuscire a opporre azioni giuste spingono Simone Weil a<br />
desiderare ardentemente di <strong>la</strong>vorare in fabbrica: è nel <strong>la</strong>voro che l’uomo diventa creatore. La<br />
capacità dell’uomo di ricreare <strong>la</strong> vita avviene attraverso il <strong>la</strong>voro produttivo, un’azione che si fa<br />
tutt’uno col pensiero: un pensiero agente, un’azione pensante. In questo intreccio l’uomo ritrova il<br />
proprio equilibrio e crea l’universo attorno a sé. Se invece, come accade nell’esperienza di<br />
fabbrica, il <strong>la</strong>voro impedisce di pensare, non c’è più <strong>la</strong> possibilità per l’uomo di generare <strong>la</strong> realtà,<br />
si svuota il senso stesso del suo esistere. Quello che preme a Simone Weil, e che spiega anche <strong>la</strong><br />
sua passione il mondo del <strong>la</strong>voro, è ristabilire, o teorizzare, forme di organizzazione che<br />
permettano all’uomo di esprimersi in pienezza. Questo desiderio risponde da un <strong>la</strong>to ad<br />
un’esigenza, potremmo dire, razionale, di comprensione, esercizio puro di «attenzione», cioè<br />
sguardo capace di cogliere i nessi causali fra le situazioni; dall’altro <strong>la</strong>to risponde al<strong>la</strong> natura<br />
empatica di Weil, una volontà di condivisione, compartecipazione al<strong>la</strong> sofferenza altrui.<br />
Facendosi aiutare da alcuni amici sindacalisti, Simone riesce ad ottenere <strong>la</strong> sospensione<br />
dall’insegnamento per motivi di studio e, nel dicembre del 1934, comincia a fare l’operaia prima<br />
presso una delle officine del<strong>la</strong> Alsthom a Parigi, poi allo stabilimento del<strong>la</strong> Renault. La sua precaria<br />
salute fisica, aggravata dalle condizioni <strong>la</strong>vorative, <strong>la</strong> costringe a interrompere il <strong>la</strong>voro per brevi<br />
periodi, per poi concludere l’esperienza di fabbrica nell’agosto del 1935. Il bi<strong>la</strong>ncio che Simone<br />
Weil traccia è devastante, l’abbruttimento che ne ricava è tragico. Le Reflexions sur le causes de<br />
5 S. WEIL, Écrits historiques et politiques, Gallimard, Paris, 1960, tr. it. ID., Sul<strong>la</strong> Germania totalitaria, Adelphi, Mi<strong>la</strong>no,<br />
1990, p. 42 e poche pagine prima afferma che «il pensiero degli anni avvenire è privo di qualsiasi contenuto».<br />
6 Ivi., p. 36.<br />
7 Ivi., p. 37.<br />
257
<strong>la</strong> liberté et de l’oppression sociale o La condition ouvrieére, unitamente ai Cahiers, sono i luoghi<br />
in cui si può ritrovare con puntualità <strong>la</strong> riflessione dell’operaia Weil. Il primo aspetto di cui si<br />
accorge è che l’inscindibilità tra corpo e pensiero con il <strong>la</strong>voro di fabbrica è drammaticamente<br />
messo in evidenza, al punto da chiedersi se <strong>la</strong> salvezza dell’anima di un operaio non dipenda<br />
anzitutto dal<strong>la</strong> sua costituzione fisica 8 . Lo svilimento provocato sul corpo, il suo abbrutimento, si<br />
ripercuotono in modo spaventoso sul<strong>la</strong> sua capacità di pensare e di agire. Il non-pensare, <strong>la</strong><br />
rinuncia all’attività razionale appare come una tentazione al<strong>la</strong> Weil, tentazione cui gli operai<br />
cedono volentieri perché permette loro di soffrire meno. Ogni risveglio del pensiero è doloroso<br />
perché fa scorgere l’impossibilità del<strong>la</strong> rivolta. Contro chi insorgere se si è soli con <strong>la</strong> propria<br />
macchina? Di fronte a questa impossibilità d’azione, causata dall’impossibilità di pensiero, Weil si<br />
pone una domanda seria: «solo il sentimento del<strong>la</strong> fraternità, del<strong>la</strong> indignazione di fronte alle<br />
ingiustizie inflitte agli altri, rimangono intatti – ma fino a che punto ciò potrebbe resistere?» 9 .<br />
Pensare è soffrire, ecco perché l’azione del pensiero è un cardine del<strong>la</strong> gratuità, anche politica,<br />
perché pensare significa mettere a rischio <strong>la</strong> propria vita, e per farlo occorre non avere nul<strong>la</strong> da<br />
difendere, nemmeno <strong>la</strong> vita stessa. Simone scopre che «un’oppressione evidentemente<br />
inesorabile ed invincibile non genera come reazione immediata <strong>la</strong> rivolta, bensì <strong>la</strong><br />
sottomissione» 10 . A causa di questa inevitabile docilità <strong>la</strong> prospettiva rivoluzionaria appare<br />
decisamente impossibile. Il progresso scientifico, applicato al campo delle tecnologie del <strong>la</strong>voro,<br />
non ha prodotto emancipazione sociale, ma ha rafforzato lo stato di schiavitù dell’uomo 11 . C’è chi<br />
ha accusato <strong>la</strong> Weil, sul<strong>la</strong> base di queste sue considerazioni, di un pregiudizio antimoderno e<br />
reazionario, di aver e<strong>la</strong>borato un pensiero tradizionalista 12 . Non ci sembra che questa posizione<br />
possa essere sostenuta. L’oppressione sociale che Weil individua nel progresso tecnico in realtà è<br />
presente anche nelle situazioni in cui l’uomo è sottoposto alle sole condizioni di natura: <strong>la</strong> schiavitù<br />
sembra essere una condizione antropologica essenziale. L’oppressione, sia essa “naturale” o<br />
sociale, è frutto del<strong>la</strong> “forza” che si abbatte sull’uomo, <strong>la</strong> cui origine è nel<strong>la</strong> natura. La storia non<br />
conosce forme di organizzazione sociale prive di oppressione. La critica che Weil muove a Marx si<br />
incardina proprio su questo punto, perché a suo modo di vedere il marxismo non spiega come si<br />
possa uscire da questa situazione. Il punto centrale non è organizzare una rivoluzione, ma provare<br />
a capire se è possibile concepire un’organizzazione del <strong>la</strong>voro e del<strong>la</strong> società che, pur nei limiti<br />
del<strong>la</strong> intrinseca oppressività del<strong>la</strong> natura e dei rapporti sociali, non schiacci gli spiriti e i corpi degli<br />
uomini. Occorre pertanto comprendere quali strumenti possa attuare una <strong>civiltà</strong> per rendere gli<br />
uomini meno asserviti al dominio del<strong>la</strong> natura e del<strong>la</strong> società, perché, sebbene si possa dire che<br />
«l’uomo nasca schiavo e <strong>la</strong> servitù sia <strong>la</strong> condizione che gli è propria», occorre parimenti<br />
8<br />
S. WEIL, La condition ouvriere, Gallimard, Paris, 1951, tr. it., ID, La condizione operaia, SE, Mi<strong>la</strong>no, 1994, p. 35.<br />
9<br />
Ibid.<br />
10<br />
Ivi., p. 95.<br />
11<br />
«il progresso tecnico sembra aver fatto fallimento, poiché ha apportato alle masse, in luogo del benessere, <strong>la</strong> miseria<br />
fisica e morale» in S. WEIL, Réflexions sur les causes de <strong>la</strong> liberté et de l’oppression sociale, Gallimard, Paris, 1955, tr.<br />
it. ID, Riflessioni sulle cause del<strong>la</strong> libertà e dell’oppressione sociale, Adelphi, Mi<strong>la</strong>no, 1983, p. 11.<br />
12 P. DUJARDIN, Simone Weil, ideologie et politique, Grenoble, Paris, 1975.<br />
258
affermare che «tuttavia nul<strong>la</strong> al mondo può impedire all’uomo di sentirsi nato per <strong>la</strong> libertà» 13 . Una<br />
libertà che Weil associa al<strong>la</strong> facoltà creatrice dell’uomo e che nel<strong>la</strong> fabbrica è mortificata<br />
soprattutto dall’alienazione tra pensiero e azione, a causa dello squilibrato rapporto tra l’operaio, <strong>la</strong><br />
macchina produttrice e i materiali prodotti. L’operaio non sa nul<strong>la</strong> del<strong>la</strong> macchina cui è addetto:<br />
esegue ordini, compie mansioni, ma nel momento in cui <strong>la</strong> macchina dovesse rompersi l’unica<br />
affermazione che Weil sente pronunciare è «non vuole andare!», quasi che <strong>la</strong> macchina fosse<br />
qualcosa di animato, con una volontà di funzionamento. Nel <strong>la</strong>voro al<strong>la</strong> catena di montaggio<br />
l’operaio non ha <strong>la</strong> percezione dell’insieme, non sa quali sono i passaggi di <strong>la</strong>vorazione del<br />
prodotto e, di conseguenza, non conosce il ruolo del suo <strong>la</strong>voro all’interno del<strong>la</strong> sessione<br />
produttiva stessa. Criticando il modello fordista Weil asserisce che esso «finisce con il togliere<br />
all’operaio <strong>la</strong> scelta del suo metodo e l’intelligenza del <strong>la</strong>voro, per consegnar<strong>la</strong> all’Ufficio studi»: <strong>la</strong><br />
qualifica di «razionale» a questo tipo di organizzazione del <strong>la</strong>voro le appare «applicato<br />
impropriamente» 14 . Quello che viene smarrito è dunque il senso e <strong>la</strong> finalità del <strong>la</strong>voro, l’impiego<br />
del<strong>la</strong> personale intelligenza di ciascun <strong>la</strong>voratore. L’operaio non ha <strong>la</strong> percezione del fine cui sta<br />
col<strong>la</strong>borando, non si percepisce come creatore, ma il più delle volte si sente soggiogato al<strong>la</strong><br />
macchina stessa: non si serve del<strong>la</strong> macchina, ma <strong>la</strong> serve. «Gli operai non devono più ignorare<br />
quello che fabbricano, <strong>la</strong>vorare un pezzo senza sapere dove andrà, occorre dar loro il senso di<br />
col<strong>la</strong>borare a un’opera» 15 . Occorrerebbe, per Weil, immaginare con creatività modi e strategie per<br />
perseguire un tale fine: ad esempio investire nel<strong>la</strong> formazione professionale od organizzare visite<br />
guidate nelle fabbriche per gli operai e le loro famiglie. Weil è preoccupata dello smarrimento del<br />
senso delle proprie azioni, del<strong>la</strong> frattura tra pensiero e azione. Una preoccupazione che pian piano<br />
estenderà all’intera condizione esistenziale degli uomini e definendo<strong>la</strong> come “sradicamento”. Una<br />
condizione culturale, prima ancora che politica, che è perdita di senso di una <strong>civiltà</strong>, dispersione,<br />
individualizzazione e specializzazione, perdita del tempo e dello spazio, perdita del<strong>la</strong> storia e del<strong>la</strong><br />
memoria 16 .<br />
La cifra del<strong>la</strong> resistenza nell’esperienza di fabbrica si configura attraverso azioni che<br />
ristabiliscano il pensiero. Riuscire a trovare quegli spazi, quei luoghi, quegli strumenti che<br />
permettano agli uomini e alle donne di pensare, di usare <strong>la</strong> propria intelligenza, di comprendere<br />
quello che stanno facendo: usando <strong>la</strong> terminologia dell’ultima Weil di radicarsi. La consapevolezza<br />
del<strong>la</strong> forza del pensiero si traduce, nell’esperienza <strong>la</strong>vorativa, nell’ideazione di Università popo<strong>la</strong>ri,<br />
nel<strong>la</strong> scrittura di articoli, nel<strong>la</strong> promozione di giornali di fabbrica. Esempio paradigmatico è il <strong>la</strong>voro<br />
al<strong>la</strong> rivista di fabbrica “Entre Nous”. In una lettera del 1936 Simone Weil invita gli operai a<br />
prendere carta e penna e a scrivere che cosa è per loro il proprio <strong>la</strong>voro: «dite se il <strong>la</strong>voro vi fa<br />
13 Ivi., p. 74.<br />
14 S. WEIL, La condizione operaia, cit., p. 242.<br />
15 Ivi., p. 229 e ancora in una lettera aperta a Jules Romains, raccolta ne La condizione operaia, con il titolo Esperienza<br />
del<strong>la</strong> vita di fabbrica: «i pezzi hanno una loro storia; passano da una fase del<strong>la</strong> <strong>la</strong>vorazione all’altra; egli non entra per<br />
nul<strong>la</strong> in questa storia, non vi <strong>la</strong>scia il suo segno, non ne sa nul<strong>la</strong>. Se fosse curioso <strong>la</strong> sua curiosità non sarebbe<br />
incoraggiata […]. L’operaio non sa quel che produce e quindi non ha <strong>la</strong> coscienza di aver prodotto, ma di essersi sfinito<br />
a vuoto. […] La sua vita stessa esce da lui senza <strong>la</strong>sciargli intorno alcun segno» p. 269.<br />
16 In questo, Simone Weil, sembra anticipare di mezzo secolo le contemporanee riflessioni sul<strong>la</strong> liquidità del<strong>la</strong> società<br />
avanzate dal sociologo Zigmunt Bauman.<br />
259
soffrire, raccontate quelle sofferenze e siano tanto quelle morali quanto quelle fisiche» 17 . Sarà un<br />
sollievo poter dire <strong>la</strong> verità. In certo senso Weil invita a un uso terapeutico del<strong>la</strong> scrittura: aiuterà a<br />
sentirsi liberi, ma soprattutto aiuterà a far nascere empatia fra colleghi, e dall’empatia può nascere<br />
una nuova qualità morale per gli operai stessi. Weil non si preoccupa solo di far maturare<br />
l’autocoscienza degli operai, ma anche di condurli al “pensiero del<strong>la</strong> bellezza”: unica arma contro<br />
<strong>la</strong> docilità a cui conduce <strong>la</strong> vita di fabbrica. Il pensiero del<strong>la</strong> bellezza è il pensiero gratuito per<br />
eccellenza, è l’espressione di quel<strong>la</strong> gratuità che diventa azione efficacemente politica, politica<br />
efficacemente creativa. La bellezza non chiede altro che essere accolta, custodita, rigenerata. Per<br />
educare a questo pensiero Weil progetta di rendere accessibili alle masse popo<strong>la</strong>ri i capo<strong>la</strong>vori<br />
del<strong>la</strong> poesia greca, partendo dalle tragedie. Simone scrive, infatti, un articolo sull’Antigone e uno<br />
sull’Elettra, di cui però solo il primo è pubblicato sull’“Entre Nous”, e progetta di continuare con<br />
altre tragedie di Sofocle e dall’Iliade. Si tratta di condurre gli operai dentro <strong>la</strong> pienezza di umanità<br />
di cui canta <strong>la</strong> letteratura greca. Non sono tragedie lontane, ma hanno <strong>la</strong> capacità di par<strong>la</strong>re nel<strong>la</strong><br />
contemporaneità perché toccano le dinamiche umane fondamentali, hanno <strong>la</strong> capacità di far<br />
sentire il soffio dell’eternità e «una so<strong>la</strong> cosa rende sopportabile <strong>la</strong> monotonia: una luce d’eternità.<br />
La bellezza» e «il popolo ha bisogno di poesia come di pane» 18 . Condurre gli operai attraverso i<br />
c<strong>la</strong>ssici del<strong>la</strong> letteratura greca, rendendoli popo<strong>la</strong>ri, significa per Weil guidarli all’eternità, educarli<br />
all’arte dell’attenzione, che «è <strong>la</strong> so<strong>la</strong> facoltà dell’anima che dia accesso a Dio» 19 . Non è un<br />
palliativo, un nuovo oppio dei popoli; quello del<strong>la</strong> poesia e del<strong>la</strong> bellezza è uno strumento per<br />
al<strong>la</strong>rgare gli orizzonti, perché «non basta evitare le loro sofferenze, bisognerebbe volere <strong>la</strong> loro<br />
gioia»: se gli operai già hanno <strong>la</strong> sofferenza, <strong>la</strong> porta per accedere con autenticità al<strong>la</strong> gioia pura,<br />
non può mancare loro <strong>la</strong> bellezza, <strong>la</strong> chiave per aprir<strong>la</strong>.<br />
Quello del pensiero è una responsabilità che si gioca in ambito sociale, pur provenendo dal centro<br />
dell’uomo, è sempre “per”. In questo se ne riconoscono i caratteri di gratuità e di giustizia: esso è<br />
utile perché può contribuire ad e<strong>la</strong>borazioni teoriche, ma anche nelle fasi esecutive, a progettare e<br />
realizzare una società meno oppressiva partendo da uno sguardo veritativo sul<strong>la</strong> realtà. Simone si<br />
accorge che <strong>la</strong> fase del<strong>la</strong> storia in cui si trova a vivere è il tempo meno sensibile al dispiegamento<br />
del pensiero e all’intelligenza. I totalitarismi nascono e prendono piede perché opinioni<br />
irragionevoli hanno preso il posto delle idee. I totalitarismi crescono nel<strong>la</strong> menzogna, nel<strong>la</strong><br />
stupidità generale e contribuiscono ad accrescer<strong>la</strong>. Cosa rimane dunque da fare? «Niente, se non<br />
sforzarsi di allentare un poco gli ingranaggi del<strong>la</strong> macchina che ci strito<strong>la</strong>; cogliere tutte le<br />
occasioni per risvegliare un poco il pensiero» 20 . Queste parole di Simone sembrerebbero tradire<br />
una sorta di resa, ma è solo apparente. El<strong>la</strong> si rende conto benissimo che al<strong>la</strong> sua generazione<br />
sono date le maggiori responsabilità progettuali, alle generazioni che verranno saranno date le<br />
responsabilità reali. In questo sforzo di immaginazione e progettazione si può leggere l’intera<br />
parabo<strong>la</strong> esistenziale Weil.<br />
17<br />
S. WEIL, La condizione operaia, cit., p. 141.<br />
18<br />
Ivi., p. 285.<br />
19<br />
Ivi., p. 290.<br />
20<br />
S. WEIL, Riflessioni sulle cause del<strong>la</strong> libertà e dell’oppressione sociale, cit., p. 126.<br />
260
La forza e <strong>la</strong> violenza.<br />
L’esperienza progettuale che <strong>la</strong> Weil mette in campo negli anni Trenta testimonia una<br />
dimensione culturale che sostanzia l’azione politica. Ogni scelta politica, infatti, deve preoccuparsi<br />
del suo spessore culturale, del<strong>la</strong> sua capacità cioè di dare forma al pensiero, di orientarlo al<strong>la</strong><br />
bellezza. La scelta di questa prospettiva culturale, perché ritenuta politicamente efficace,<br />
rappresenta una rinuncia esplicita anche all’ideale rivoluzionario e al<strong>la</strong> sua violenza. La “quarta<br />
via” dei cambiamenti sociali passa attraverso <strong>la</strong> forza non-violenta del pensiero. È una «politicità<br />
povera» quel<strong>la</strong> che prende forma in questi anni, caratterizzata dal<strong>la</strong> risposta ai disagi di limitati<br />
gruppi sociali, lontana dall’uso del potere e legata al significato cristologico del<strong>la</strong> sofferenza 21 . Ma<br />
certamente non si può passare troppo velocemente su questo punto. La scelta stessa di<br />
partecipare attivamente al<strong>la</strong> resistenza francese non è sicuramente <strong>la</strong> scelta di una non-violenza<br />
assoluta. Simone Weil di fronte al<strong>la</strong> violenza e al<strong>la</strong> brama di potere dei totalitarismi artico<strong>la</strong> in<br />
modo complesso il desiderio di progettazione del futuro, con <strong>la</strong> necessaria forza da opporre a chi<br />
cerca di strito<strong>la</strong>re gli uomini e <strong>la</strong> vita.<br />
Secondo Weil, <strong>la</strong> spiegazione filosofica del<strong>la</strong> nascita dei totalitarismi va ricercata nel fatto che <strong>la</strong><br />
coscienza europea non ha saputo reagire al<strong>la</strong> propria crisi e, piuttosto che accettare <strong>la</strong> verità del<strong>la</strong><br />
propria debolezza, ha preferito cercare certezze nel<strong>la</strong> forza e nell’illimitatezza del potere. Di fronte<br />
a questa interpretazione mistificatoria l’azione di resistenza che va attuata deve percorrere una via<br />
diversa da rassegnazione e vendetta. Questa via Simone <strong>la</strong> trova nel<strong>la</strong> condivisione volontaria<br />
del<strong>la</strong> sofferenza altrui, nel<strong>la</strong> condivisione, cioè, del<strong>la</strong> verità del<strong>la</strong> vita degli uomini.<br />
Nuovamente Weil individua il primo compito da attuare su di un piano culturale: occorre scardinare<br />
l’ideologia nazista e in partico<strong>la</strong>re l’idea di “grande uomo” che Hitler ha sostenuto 22 . Un’idea che<br />
allontana dal<strong>la</strong> reale condizione di sofferenza presente in ogni uomo. A questa “grandiosità” Weil<br />
contrappone <strong>la</strong> compassione, <strong>la</strong> quale non manca di avere un significato politico nel<strong>la</strong> misura in<br />
cui, di fronte al<strong>la</strong> consapevolezza del<strong>la</strong> sofferenza degli uomini, cerca di ripristinare <strong>la</strong> giustizia. La<br />
compassione è il frutto di uno sguardo vero sul<strong>la</strong> realtà, ed è gratuita perché non chiede nul<strong>la</strong> in<br />
cambio, ma anzi essa è il movimento di chi rinuncia al<strong>la</strong> propria forza, rinuncia al proprio spazio<br />
per permettere che l’altro si dispieghi. Il carattere politico del<strong>la</strong> giustizia pone, però, al<strong>la</strong> Weil il<br />
problema del quantum di violenza sia legittima per instaurar<strong>la</strong>. Simone Weil si chiede con<br />
schiettezza se il principio gandhiano del<strong>la</strong> non-violenza abbia senso, ma soprattutto efficacia. Weil<br />
giudica <strong>la</strong> proposta di Gandhi troppo debole, perché manca di efficacia pratica e «niente di ciò che<br />
21 G. FORNI ROSA, Simone Weil politica e mistica, Rosenberg & Sellier, Torino, 1996, p. 16.<br />
22 «qualunque cosa si infligga a Hitler, non gli impedirà di sentirsi un essere grandioso. Soprattutto non impedirà tra<br />
venti, cinquanta o cento anni a un ragazzo sognatore e solitario, tedesco o no, […] di desiderare con tutta l’anima un<br />
destino simile» in S. WEIL, La prima radice, cit., p. 204.<br />
261
è inefficace ha valore». La politica si gioca sul piano dell’efficacia ed è su questo parametro che<br />
anche <strong>la</strong> violenza misura <strong>la</strong> propria legittimità e <strong>la</strong> propria forza. Il punto, per Weil, è riuscire a<br />
trovare una non-violenza efficace. Gandhi stesso, rispondendo al giovane che lo interrogava a<br />
proposito del<strong>la</strong> sorel<strong>la</strong>, afferma: «usa <strong>la</strong> forza a meno che tu non sia in grado di difender<strong>la</strong>, con<br />
altrettanta probabilità di successo, senza violenza» 23 . La giustizia che si conforma al<strong>la</strong><br />
compassione, se vuole avere efficacia politica, deve misurarsi con <strong>la</strong> force.<br />
Tutto, per Simone Weil, nel mondo materiale è forza e tutto, anche ogni re<strong>la</strong>zione, può<br />
essere espresso secondo rapporti e equazioni di forza. La sua tesi è: sia produttore o vittima,<br />
comunque davanti al<strong>la</strong> force l’uomo si disumanizza. Simone Weil cerca allora un modello<br />
interpretativo adeguato, consapevole che il punto centrale è sempre, anzitutto, una questione di<br />
verità del<strong>la</strong> comprensione del<strong>la</strong> realtà. Questo modello lo trova nell’Iliade 24 . La verità è che l’anima<br />
umana è sempre sottoposta a rapporti di forza. Sono essi che <strong>la</strong> modificano profondamente e<br />
continuamente; chi è sottomesso al<strong>la</strong> forza è trasformato letteralmente in una cosa, perché essa<br />
trasforma gli uomini in cadaveri. Gli eroi che animano il poema di Omero sono l’esempio di questa<br />
trasformazione infatti, nel<strong>la</strong> prima pagina de L’Iliade o il poema del<strong>la</strong> forza, Simone Weil traduce<br />
un brano in cui si canta che «l’eroe è una cosa trascinata dietro un carro nel<strong>la</strong> polvere» 25 . La forza<br />
strito<strong>la</strong> e inebria, i ruoli (vincitori e vinti) si confondono e si mesco<strong>la</strong>no: infatti «tutti siamo destinati,<br />
nascendo, a subire violenza» 26 . Il modello che l’Iliade dispiega mette in luce come chi ha <strong>la</strong> forza<br />
crede che essa non abbia limiti, che il destino lo abbia reso superiore agli altri. «È proprio <strong>la</strong><br />
tentazione dell’eccesso ad essere irresistibile», e i protagonisti sembrano dimenticare<br />
continuamente che il vinto è causa di sventura per il vincitore e viceversa. Quello che Weil mette<br />
in luce è <strong>la</strong> «breve gioia» che producono le conquiste nate dal<strong>la</strong> veemenza del<strong>la</strong> forza. Due fattori<br />
contribuiscono a destare da questo sonno pietrificante l’anima perduta dei sottomessi al<strong>la</strong> forza: il<br />
pensiero del<strong>la</strong> morte, l’amicizia e l’ospitalità: «viene un giorno nel quale <strong>la</strong> paura, <strong>la</strong> sconfitta, <strong>la</strong><br />
morte dei compagni amati fa piegare l’anima del soldato sotto <strong>la</strong> necessità». È il giorno in cui il<br />
pensiero del<strong>la</strong> morte diventa reale, in cui ci si accorge che <strong>la</strong> guerra ha cancel<strong>la</strong>to il pensiero, e<br />
con esso l’idea dello scopo del<strong>la</strong> guerra: cioè di mettere fine al<strong>la</strong> guerra. Ci sono momenti rari e<br />
brevi, che Simone Weil chiama miracoli, in cui l’anima si desta pura e intatta, momenti luminosi,<br />
quasi divini in cui nell’anima degli uomini c’è posto solo per il coraggio e l’amore. È nell’amore dei<br />
rapporti famigliari che l’Iliade esprime questa capacità di uscire dal giogo del<strong>la</strong> forza. «Tali<br />
23 «<strong>la</strong> non violenza è buona solo se è efficace» in S. WEIL, Cahiers I, Libraierie Plon, Paris, 1970, tr. it. ID, Quaderni I,<br />
Adelphi, Mi<strong>la</strong>no, 1982, p. 334. Su Gandhi <strong>la</strong> posizione di Weil è molto decisa: «il pacifismo assoluto, secondo <strong>la</strong> dottrina<br />
di Gandhi, […] non è mai stato applicato; in partico<strong>la</strong>re non è stato applicato da Gandhi, che è fin troppo realista. […] Se<br />
una nazione, nel suo insieme, fosse tanto prossima al<strong>la</strong> perfezione da poterle proporre di imitare <strong>la</strong> passione di Cristo,<br />
varrebbe certo <strong>la</strong> pena di farlo. Quel<strong>la</strong> nazione scomparirebbe, ma <strong>la</strong> sua sparizione avrebbe un valore infinitamente più<br />
alto del<strong>la</strong> più gloriosa sopravvivenza. Ma non è così. Solo all’anima, nel segreto più intimo del<strong>la</strong> sua solitudine, è dato di<br />
orientarsi in una simile perfezione». Il problema dei pacifisti francesi è, secondo <strong>la</strong> Weil, che non provano ripugnanza a<br />
sparare bensì a morire e per questo al Francia è precipitata nel<strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione con <strong>la</strong> Germania nazista. In S. WEIL, La<br />
prima radice, cit., pp. 147-148.<br />
24 S. WEIL, L’«Iliade» ou le poème de <strong>la</strong> force – Dieu dans P<strong>la</strong>ton, in La source grecque, Gallimard, Paris, 1953 [tr. it. ID,<br />
La Grecia e le istituzioni precristiane, Bor<strong>la</strong>, Roma, 1999]. Un saggio interessante a questo proposito è quello di A.<br />
PUTINO, Il concetto di forza nel pensiero politico di Simone Weil, in AA. VV., Il pensiero politico di Simone Weil nel<strong>la</strong><br />
politica dei rapporti tra donne, Gasparoni, Venezia, pp. 42-62.<br />
25 S. WEIL, L’Iliade o il poema del<strong>la</strong> forza, cit., p. 9.<br />
26 Ivi., p. 17.<br />
262
momenti di grazia sono rari nell’Iliade ma bastano a far sentire con estremo rimpianto ciò che <strong>la</strong><br />
violenza fa e farà perire» 27 .<br />
La sua ermeneutica de l’Iliade <strong>la</strong> porta poi a comprendere, anche con maggiore profondità, il<br />
destino di sofferenza che appartiene ad ogni uomo. La gravità del<strong>la</strong> forza schiaccia ogni vita<br />
umana, ma c’è una force salvifica nel<strong>la</strong> bellezza delle re<strong>la</strong>zioni umane, per questo <strong>la</strong> più grande<br />
sventura che il poema di Omero evidenzia è <strong>la</strong> distruzione di una città. Non è possibile amare ed<br />
essere giusti senza conoscere e rispettare l’impeto del<strong>la</strong> forza: «nul<strong>la</strong> è al riparo del<strong>la</strong> sorte, quindi<br />
non ammirare mai <strong>la</strong> forza, non odiare i nemici, non disprezzare gli sventurati» 28 . È questa <strong>la</strong> verità<br />
che Simone apprende nell’ascolto di Omero: <strong>la</strong> reazione al<strong>la</strong> violenza è possibile solo nell’amore<br />
soprannaturale, sovrabbondante, nel consenso al bene che rende l’uomo giusto. Ma può capitare<br />
che si possa essere costretti, da un obbligo rigoroso, a trasmettere <strong>la</strong> violenza nel meccanismo di<br />
cui siamo ingranaggi per poterlo spezzare. Quando il contesto è <strong>la</strong> violenza assoluta, <strong>la</strong> barbarie<br />
del nazi-fascismo, l’umiliazione che esso produce, lo scialo di morte e sofferenza che<br />
deliberatamente afferma, <strong>la</strong> passione per il bene e l’amore del prossimo si realizzano nell’amare <strong>la</strong><br />
necessità, che insanguina <strong>la</strong> fragile umanità. La gratuità diventa <strong>la</strong> capacità di essere<br />
profondamente giusti e fedeli al<strong>la</strong> terra, è un amore fragile e impotente, ma paradossalmente più<br />
efficace del<strong>la</strong> violenza, perché vede più lontano e, proprio mentre usa <strong>la</strong> violenza per difendersi,<br />
contemp<strong>la</strong> già una terra nuova, dove <strong>la</strong> forza è sostituita dal pensiero e dal dono di sé all’altro. Il<br />
crinale su cui Simone Weil ci conduce è un terreno scivoloso, ma non privo di realismo. La difficile<br />
scelta tra violenza o non-violenza si gioca nei termini dell’efficacia del<strong>la</strong> propria azione in ordine<br />
al<strong>la</strong> compassione del<strong>la</strong> sofferenza degli uomini e al ripristino del<strong>la</strong> giustizia vio<strong>la</strong>ta. Il rapporto che<br />
Weil propone tra violenza e non-violenza non è in termini assoluti un aut aut, ma un et et. Solo<br />
dopo essere passati attraverso una riflessione di questo calibro sul<strong>la</strong> pervasività del<strong>la</strong> forza, solo<br />
dopo aver compreso <strong>la</strong> verità presente nel<strong>la</strong> passione per gli sventurati, si può comprendere che ci<br />
sono momenti del<strong>la</strong> storia in cui, al<strong>la</strong> sofferenza e al<strong>la</strong> morte, non si può non opporre forza e<br />
violenza perché esse sono indispensabili per attivare <strong>la</strong> giustizia.<br />
La politica come arte del<strong>la</strong> giustizia.<br />
La vita e <strong>la</strong> riflessione di Simone Weil mettono in luce, in modo esemp<strong>la</strong>re, alcuni tratti<br />
peculiari di un modo femminile di pensare politicamente. El<strong>la</strong> è espressione di quel «principio<br />
femminile» che il filosofo italiano Italo Mancini ravvisava come idea rigeneratrice per l’ethos<br />
27 Ivi., pp. 27-29 in cui Simone Weil esalta il valore dell’amicizia così come le parole dell’incontro tra Priamo e Achille<br />
fanno assaporare «Ma quando fu p<strong>la</strong>cato il bisogno di bere e di mangiare,/ prese allora il Dardànide Priamo ad<br />
ammirare Achille,/ com’era grande e bello; aveva il volto di un dio./ E a sua volta il Dardànide Priamo fu ammirato da<br />
Achille/ che gli guardava il bel volto e ascoltava <strong>la</strong> sua paro<strong>la</strong>./ E quando si furon saziati di contemp<strong>la</strong>rsi l’un l’altro…».<br />
28 Ivi., p. 34.<br />
263
dell’Occidente: «logica dell’interindividuale», «passione per <strong>la</strong> coesistenza dei volti […] esercizio<br />
dell’equità che tiene conto delle persone, delle loro debolezze e dei loro diritti e chiede<br />
l’applicazione non meccanica ma analoga dei principi» 29 . Un modo femminile che trova corpo<br />
nell’amore per l’altro, inteso come irriducibilmente diverso da sé e proprio per questo da amare<br />
con gratuità. È con tutta <strong>la</strong> sua vita e tutta <strong>la</strong> sua riflessione che Simone Weil si ritrova nel cuore<br />
del<strong>la</strong> resistenza francese e si accorge che <strong>la</strong> questione più delicata che France libre si deve<br />
affrontare è quel<strong>la</strong> di come raggiungere il popolo francese, come scuoterlo dal torpore e dal<strong>la</strong><br />
indifferenza, come prepararlo al rinnovamento delle istituzioni e come coinvolgerlo in una guerra di<br />
liberazione e nel<strong>la</strong> conseguente ricostruzione del paese. Si è di fronte a un problema di metodo<br />
che chiede di pensare e verificare strumenti capaci di generare ethos, <strong>civiltà</strong> 30 . In questo senso <strong>la</strong><br />
riflessione del<strong>la</strong> Weil diventa interessante per il pensiero contemporaneo. In un momento in cui <strong>la</strong><br />
c<strong>la</strong>sh theory, pone l’accento sul<strong>la</strong> forza e <strong>la</strong> violenza che le <strong>civiltà</strong> hanno di distruggersi a vicenda,<br />
<strong>la</strong> Weil conduce ad andare alle radici del<strong>la</strong> formazione di una <strong>civiltà</strong>, e in questo senso costringe a<br />
verificare l’attendibilità e <strong>la</strong> reale efficacia di tale teoria.<br />
Simone Weil aiuta a operare uno spostamento di attenzione e a porre lo sguardo alle<br />
dinamiche fondative del vivere insieme degli uomini. Se nel tempo del <strong>la</strong>voro in fabbrica el<strong>la</strong> aveva<br />
assistito allo sradicamento esistenziale provocato dal<strong>la</strong> frattura tra pensiero e azione nell’operaio,<br />
ora Simone ritrova questa possibilità di sradicamento nel<strong>la</strong> condizione umana sottoposta al<strong>la</strong><br />
guerra, ma in senso più ampio, sottoposta alle dinamiche del<strong>la</strong> forza presenti in qualunque<br />
organizzazione umana. Una domanda guida <strong>la</strong> riflessione weiliana nel tempo londinese: qual è il<br />
senso che anima <strong>la</strong> <strong>civiltà</strong>, su cosa si dovrebbe radicare una <strong>civiltà</strong>, nel momento in cui <strong>la</strong> storia<br />
pone di fronte al<strong>la</strong> possibilità di rifondarsi. Al fondo del pensare del<strong>la</strong> Weil vi è <strong>la</strong> convinzione che<br />
<strong>la</strong> politica sia un’arte, anzi che <strong>la</strong> politica è l’arte che ha per suo oggetto <strong>la</strong> giustizia. In questo Weil<br />
anticipa anche <strong>la</strong> riflessione del secondo dopo guerra sul<strong>la</strong> giustizia, si pensi semplicemente al<strong>la</strong><br />
famosa opera di John Rawls A theory of justice 31 . La politica è un’arte come <strong>la</strong> poesia, <strong>la</strong> musica,<br />
l’architettura. Simone Weil ha un’idea strumentale del<strong>la</strong> politica, essa è un mezzo che deve trovare<br />
il modo di comporre insieme le diverse istanze per poter realizzare uno spazio di pieno<br />
dispiegamento del<strong>la</strong> giustizia per tutti gli uomini. Al<strong>la</strong> base dell’azione politica non vi è il bene in sé,<br />
ma piuttosto <strong>la</strong> costruzione di rapporti giusti tra gli uomini, <strong>la</strong> progettazione di azioni di pace, <strong>la</strong><br />
limitazione dell’oppressione. È un arte compositiva, sinfonica che per questo richiede attenzione e<br />
cura. Simone Weil individua a nostro modo di vedere quattro strumenti per l’arte del<strong>la</strong> politica:<br />
l’efficacia veritativa dei simboli, il primato dei doveri sui diritti, <strong>la</strong> compassione che genera fraternità<br />
giuste, l’amicizia che è espressione del<strong>la</strong> bellezza del<strong>la</strong> gratuità dei rapporti. Sono strumenti che<br />
el<strong>la</strong> stessa mette in campo per progettare <strong>la</strong> Francia e che quindi mette al<strong>la</strong> prova nell’ideazione<br />
del dopo-guerra europeo.<br />
29<br />
I. MANCINI, Scritti cristiani. Per una teologia del paradosso, Marietti, Genova, 1991, pp. 227-228. Sul principio femminile<br />
come idea rigeneratrice del diritto cfr. ID., Filosofia del<strong>la</strong> prassi, Morcelliana, Brescia, 1986, pp. 229-280.<br />
30<br />
«Il problema di un metodo capace di ispirare un popolo è un problema completamente nuovo» in S. WEIL, La prima<br />
radice, cit., p. 171.<br />
31<br />
J. RAWLS, A theory of justice, Harvard University Press, Cambridge, Mass, 1971.<br />
264
Il primo strumento è il valore veritativo dei simboli e delle azione simboliche. La<br />
preoccupazione di Simone, nel cercare un metodo capace di ispirare il popolo francese, è quel<strong>la</strong> di<br />
trovare una strada diversa da quel<strong>la</strong> utilizzata da Hitler per formare <strong>la</strong> coscienza del popolo<br />
attraverso <strong>la</strong> propaganda, le minacce e le promesse. Lo strumento che trova è quello<br />
dell’esempio. Nel tempo che precede l’arrivo a Londra Simone e<strong>la</strong>bora un progetto altamente<br />
simbolico: il progetto per le infermiere esposto nel Projet d’une formation d’infirmiéres de premiére<br />
ligne 32 . L’idea di Simone è quel<strong>la</strong> di costituire un gruppo di volontarie cui sia assegnato il compito<br />
umanitario di assistere i soldati direttamente sul campo di battaglia: una sfida c<strong>la</strong>morosa al<strong>la</strong><br />
ferocia e al<strong>la</strong> violenza del<strong>la</strong> guerra. Il progetto esprime <strong>la</strong> necessità di un salto qualitativo<br />
nell’azione di resistenza, mette in atto un modo-altro di combattere pur stando nel centro stesso<br />
del<strong>la</strong> battaglia, un modo-altro capace di sgorgare dal<strong>la</strong> compassione verso i feriti, verso il destino<br />
di morte che grava sui soldati. Come si può immaginare questo progetto viene bocciato e De<br />
Gaulle stesso lo definisce follia. Certamente è difficilmente praticabile, quello che però evidenzia è<br />
l’efficacia veritativa dell’azione simbolica: «Esse avrebbero dovuto sve<strong>la</strong>re con <strong>la</strong> loro so<strong>la</strong><br />
presenza il meccanismo del<strong>la</strong> forza, <strong>la</strong> sua logica perversa, e richiamare all’obbligo morale di farne<br />
uso esclusivamente finalizzato al<strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> pace» 33 . Il corpo delle infermiere sarebbe<br />
stato un modo per mostrare un altro tipo di forza qualitativamente diversa rispetto a quel<strong>la</strong> delle<br />
SS. La sua efficacia si misura nell’assistenza ai feriti e soprattutto nel carattere di provocazione<br />
morale nei confronti dell’esercito straniero. È una sorta di deterrente: sparare su di un campo in<br />
cui sono presenti anche donne avrebbe costituito una visibile riprova del<strong>la</strong> barbarie cui si era<br />
giunti. In greco il termine “simbolo”, deriva dal<strong>la</strong> composizione di sym con il verbo ballo, esso<br />
esprime dunque una realtà che è legata ad un’altra non presente. La capacità simbolica del corpo<br />
di infermiere porta al<strong>la</strong> luce da un <strong>la</strong>to quel<strong>la</strong> gratuità tipica femminile che è disposta a mettere in<br />
pericolo <strong>la</strong> propria vita pur di salvarne altre, dall’altro è capace di tirare fuori, dal cuore degli<br />
uomini, tutti quei desideri che similmente lo abitano: suscita imitazione, libera azioni ugualmente<br />
gratuite. L’efficacia veritativa rive<strong>la</strong> <strong>la</strong> crudezza del<strong>la</strong> realtà per contrasto, annuncia <strong>la</strong> possibilità di<br />
un’azione gratuita e in questo modo attiva e ri-attiva il pensiero e l’intelligenza nel desiderio di<br />
partecipazione e di trasformazione del<strong>la</strong> realtà.<br />
Il secondo strumento metodologico consiste nell’e<strong>la</strong>borazione di un elenco dei doveri verso<br />
gli uomini. Se <strong>la</strong> politica è l’arte del<strong>la</strong> giustizia, essa si realizza per <strong>la</strong> Weil in un primato dei doveri<br />
piuttosto che dei diritti, cui essi sono comunque corre<strong>la</strong>tivi. La questione del rapporto tra doveri e<br />
diritti si manifesta in modo cruciale nel<strong>la</strong> riflessione intorno al<strong>la</strong> Carta Costituzionale. Secondo<br />
Weil, infatti, il progetto costituzionale che circo<strong>la</strong> negli ambienti del<strong>la</strong> resistenza francese contiene<br />
un errore di fondo, quello cioè di essere pensato e model<strong>la</strong>to sul<strong>la</strong> scorta del<strong>la</strong> Dichiarazione<br />
universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. È un errore fondare una <strong>civiltà</strong> sui diritti<br />
meglio fondar<strong>la</strong> sui doveri verso l’uomo: su una giustizia di cui ciascuno è responsabile e non su<br />
una giustizia da rec<strong>la</strong>mare. I diritti, infatti, appartengono, secondo Simone Weil, all’ordine<br />
32 in S. WEIL, Écrits de Londres et derniéres letteres, Gallimard, Paris, 1957, pp. 187-195.<br />
33 G. GAETA, Il radicamento del<strong>la</strong> politica, in S. WEIL, La prima radice, cit., p. 272.<br />
265
oggettivo e quindi dipendono dall’esistenza e dal<strong>la</strong> realtà, sono sempre legati a condizioni; i doveri<br />
invece appartengono all’incondizionato. Gli obblighi attingono al<strong>la</strong> parte più segreta dell’anima<br />
umana, e riguardano ogni uomo in qualsiasi circostanza. «C’è un obbligo verso ogni essere<br />
umano, per il solo fatto che è un essere umano» e, qualche riga sopra, «un diritto non è efficace di<br />
per sé, ma solo attraverso l’obbligo cui esso corrisponde; […] un diritto che non è riconosciuto da<br />
nessuno non vale molto» 34 . Partire dai doveri significa toccare nel suo centro vitale <strong>la</strong> questione<br />
del<strong>la</strong> giustizia che è incancel<strong>la</strong>bile nel cuore dell’uomo. Simone Weil parte proprio da qui. Nel<br />
progettare un metodo per dare un’anima al<strong>la</strong> Francia e al futuro è convinta che occorra ancorarsi<br />
a una certa idea di perfezione umana, e al<strong>la</strong> realtà del cuore dell’uomo, nel quale alberga <strong>la</strong><br />
giustizia. A partire da questo anelito Weil ritrova i doveri fondamentali verso ogni uomo di fronte a<br />
cui obbligarsi personalmente ma di fronte a cui obbligare anche lo stato. Sono le collettività umane<br />
infatti che assicurano l’adempimento di questi obblighi, sono le <strong>civiltà</strong> che animano i diversi paesi a<br />
dovere e potere assicurare ad ogni uomo questi obblighi. Simone in questo modo cerca di<br />
rispondere a quel<strong>la</strong> forza di rivendicazione che accompagna il riconoscimento dei diritti. Una forza<br />
che può essere pericolosa. I diritti infatti diventano effettivi solo quando sono riconosciuti, se vi è<br />
volontà di assolverli, e per ottenere questo si possono generare azioni violente e distruttrici. I<br />
doveri invece, essendo legati al<strong>la</strong> condizione umana, sono sempre presenti anche se non vengono<br />
riconosciuti. Il problema dunque si sposta sul ruolo delle collettività e su come comportarsi nel<br />
caso in cui non assolvano né pienamente né parzialmente al rispetto dei doveri. Può capitare per<br />
esempio che «certe collettività divorano le anime invece di nutrirle», in questo caso occorre una<br />
cura e, in certi casi, occorre ispirarsi ai «metodi chirurgici», anche se poi Simone non esplicita con<br />
esempi questa operazione; può capitare poi che una collettività fornisca nutrimento insufficiente e<br />
in questo caso occorre migliorar<strong>la</strong>; può infine accadere che ci siano collettività morte, che pur<br />
senza divorare le anime non le nutrono più, in questo caso occorre «annientarle» 35 . Sotteso a tutti<br />
tre i casi c’è anche <strong>la</strong> consapevolezza che può accadere che l’obbligo di protezione verso una<br />
collettività in pericolo conduca fino al sacrificio totale di sé: <strong>la</strong> resistenza si colloca allora come uno<br />
strumento necessario, a costo del<strong>la</strong> vita, con cui assicurare <strong>la</strong> pienezza di umanità a tutti gli uomini<br />
e le donne, non si tratta di un diritto ma di un dovere, in questo senso se ne comprende <strong>la</strong><br />
strutturalità nel pensiero del<strong>la</strong> Weil.<br />
La capacità di riconoscere <strong>la</strong> presenza di doveri fondamentali nei confronti di tutti gli uomini<br />
dipende anche dal<strong>la</strong> capacità di avere uno sguardo attento alle dinamiche di giustizia e attento<br />
nell’osservazione del<strong>la</strong> vita degli uomini. Secondo Weil per educarsi a questo sguardo occorre<br />
educarsi al<strong>la</strong> compassione. Una compassione che el<strong>la</strong> riserva sia agli uomini sia al suo paese.<br />
Simone Weil è convinta che sia necessario, per il bene del<strong>la</strong> Francia, educare gli uomini e le<br />
donne a un sano senso di amor di patria. Il governo che sorgerà in Francia si troverà davanti,<br />
infatti, il desiderio di sangue e di vendetta, si troverà di fronte lo sfascio morale ed etico degli anni<br />
del<strong>la</strong> guerra e dei mal governi che l’anno condotta prima nel cuore del<strong>la</strong> battaglia, poi in una<br />
34 Ivi., pp. 13-14.<br />
35 Ivi., pp. 17-18.<br />
266
«strana» col<strong>la</strong>borazione con il governo nazista. È importante allora far amare <strong>la</strong> Francia ai francesi<br />
nel<strong>la</strong> verità. Il modello di “amor di patria” che l’Europa ha conosciuto negli anni recenti è il modello<br />
utilizzato da Hitler, caratterizzato da minacce e promesse, da suggestione e costrizione. Per<br />
Simone Weil un modello nuovo va’ ricercato innanzitutto nel linguaggio, in parole capaci di dare<br />
forma al pensiero e dunque all’azione creativa. Torna quel<strong>la</strong> dimensione culturale che avevamo<br />
visto essere all’opera nel<strong>la</strong> riflessione sul<strong>la</strong> fabbrica, una dimensione culturale che tocca le<br />
dinamiche generatrici del<strong>la</strong> società. Occorre infatti trovare quelle parole che parlino al cuore dei<br />
francesi, che, orientandoli al bene e mostrandosi utili per <strong>la</strong> sua ricerca, siano capaci di ridestare<br />
l’interesse appassionato per gli esseri umani, chiunque essi siano. Parole e naturalmente azioni di<br />
qualità: «<strong>la</strong> vera missione del movimento francese a Londra è, proprio in ragione delle circostanze<br />
politiche e militari, una missione spirituale prima ancora che una missione politica e militare» e<br />
occorre «farlo immediatamente; quando <strong>la</strong> sciagura ci piega ancora». Si tratta di attuare una<br />
«direzione di coscienza al livello di una nazione» 36 . L’incapacità di pensiero delle masse, già<br />
riscontrata negli anni Trenta, <strong>la</strong> porta dunque a configurare <strong>la</strong> formazione del<strong>la</strong> coscienza non<br />
tanto in chiave collettiva, ma piuttosto in modo da toccare <strong>la</strong> coscienza di ciascun francese. Si<br />
tratta di riattivare il pensiero, ed esso è <strong>la</strong> cosa più profonda e più personale che ogni uomo e ogni<br />
donna possiedono.<br />
La compassione per l’altro è capacità di patire-con. È una necessità che si dispiega a partire dal<strong>la</strong><br />
consapevolezza che «<strong>la</strong> sofferenza» che accompagna ogni vita umana «non ha significato. È<br />
l’essenza stessa del<strong>la</strong> sua realtà. La si deve amare nel<strong>la</strong> sua realtà che è assenza di significato» 37 .<br />
Ma questo amore per <strong>la</strong> verità del<strong>la</strong> condizione umana si può imparare solo attraverso <strong>la</strong><br />
compassione per l’altro. Non esiste per Simone Weil l’amore per <strong>la</strong> verità, perché <strong>la</strong> verità non è<br />
un oggetto. Si ama invece qualcosa che esiste: si ama <strong>la</strong> realtà in modo vero. Desiderare <strong>la</strong> verità<br />
significa desiderare un contatto diretto con <strong>la</strong> realtà, e questo contatto con <strong>la</strong> realtà, riferito al<strong>la</strong><br />
situazione degli uomini, significa amare, com-patire <strong>la</strong> loro condizione che è una condizione di<br />
sofferenza radicale. Ma «<strong>la</strong> compassione è ostaco<strong>la</strong>ta dal rifiuto di accettare per sé <strong>la</strong> possibilità di<br />
soffrire. È il rifiuto di riconoscersi nel<strong>la</strong> miseria altrui, che è brutta» 38 . Essa cioè implica<br />
l’accettazione del nostro limite, del<strong>la</strong> nostra fragilità e il fatto che l’altro diventi uno specchio in cui<br />
vedere <strong>la</strong> nostra stessa sventura: in questo <strong>la</strong> compassione è espressione di gratuità perché<br />
accoglie <strong>la</strong> verità del<strong>la</strong> vita senza mistificar<strong>la</strong>. Il valore del<strong>la</strong> compassione, sia essa rivolta ai singoli<br />
uomini, sia essa rivolta al<strong>la</strong> nazione francese, si comprende proprio nello sve<strong>la</strong>mento del<strong>la</strong> verità<br />
che essa manifesta. Non solo una verità sull’uomo per <strong>la</strong> Weil, ma anche su Dio, colui che per<br />
primo ha avuto compassione del<strong>la</strong> nostra miseria, morendo gratuitamente da giusto sul<strong>la</strong> croce. Il<br />
patire-con non è una sofferenza fine a sé stessa, secondo il gusto decadente, ma è un movimento<br />
che permette di identificarsi con l’altro, e quindi, di compiere quel<strong>la</strong> discesa che Dio stesso compie<br />
nei confronti degli uomini e delle donne. Simone Weil pensa che Dio abbia creato il mondo<br />
36 Ivi., p. 195.<br />
37 S. WEIL, Cahier III, Librairie Plon, Paris, 1974, tr. it. ID, Quaderni III, Adelphi, Mi<strong>la</strong>no, 1988, p. 112.<br />
38 S. WEIL, Cahier II, Librairie Plon, Paris, 1972, tr. it. ID, Quaderni II, Adelphi, Mi<strong>la</strong>no, 1985, p. 229.<br />
267
itirandosi da esso, <strong>la</strong>sciando <strong>la</strong> possibilità di esistere a qualcosa di diverso da lui. Piegarsi verso<br />
l’altro è dunque un moto paradossale che mentre si identifica e si fa prossimo, rinuncia, sul<strong>la</strong> scia<br />
di Dio, ad occupare tutto lo spazio, rinuncia a sé 39 . È questa stessa compassione che ha guidato<br />
Simone Weil al<strong>la</strong> resistenza e al<strong>la</strong> consapevolezza delle proprie scelte. «Sono pronta ad accettare<br />
ogni tipo di rischio, compresa <strong>la</strong> morte sicura in vista di un obiettivo d’importanza adeguata» dirà a<br />
Maurice Schumann per convincerlo a chiamar<strong>la</strong> a Londra nel cuore del<strong>la</strong> resistenza francese.<br />
La compassione che si dispiega fra le pagine del<strong>la</strong> Weil non è un movimento so<strong>la</strong>mente etico, di<br />
empatia ma assume una forte valenza politica, da un <strong>la</strong>to perché spinge a generare giustizia fra gli<br />
uomini, dall’altro perché muove verso quell’amore per il proprio paese che genera partecipazione.<br />
Afferma infatti Simone che: «<strong>la</strong> compassione per <strong>la</strong> Francia è un movente almeno altrettanto<br />
energico per l’azione di resistenza». La via che Simone intravede per educare al<strong>la</strong> compassione<br />
verso <strong>la</strong> Francia è quel<strong>la</strong> di presentare al popolo <strong>la</strong> patria come una cosa bel<strong>la</strong> ma imperfetta,<br />
esposta continuamente alle sventure. Questo permetterà al popolo una sorta di identificazione<br />
perché esso conosce, meglio di ogni altra c<strong>la</strong>sse sociale, <strong>la</strong> realtà del<strong>la</strong> sventura; non sentirebbe<br />
più le proprie sofferenze come mancanze che <strong>la</strong> patria ha commesso contro di lui, ma come<br />
sofferenze che <strong>la</strong> patria ha sofferto in lui 40 . La compassione genera com-partecipazione al destino,<br />
apre all’eternità e al futuro anche l’azione politica, spinge al<strong>la</strong> progettualità.<br />
Il quarto strumento che Simone individua, e che si carica in questa fase di una valenza<br />
politica, è l’amicizia. Abbiamo già visto nel ripercorrere <strong>la</strong> lettura di Weil dell’Iliade come l’amicizia,<br />
l’amore, le re<strong>la</strong>zioni famigliari costituiscano <strong>la</strong> chiave di volta per uscire dal<strong>la</strong> cosificazione del<strong>la</strong><br />
forza. «L’amicizia non deve guarire le pene del<strong>la</strong> solitudine, ma decuplicarne le gioie. L’amicizia<br />
non si cerca, non si sogna, non si desidera; si esercita (è una virtù)» 41 . L’amicizia costituisce un<br />
miracolo, come <strong>la</strong> bellezza, perché nel confronto, nel dialogo costituisce uno spazio di riattivazione<br />
del pensiero. L’amicizia diventa uno stile di gratuità, un modo sano si costruzione dei rapporti,<br />
perché permette di limitare, di contenere <strong>la</strong> propria forza, di esercitare <strong>la</strong> discesa verso l’altro, ma<br />
anche perché apre al<strong>la</strong> verità. Scrive Simone, in partenza per l’America, nel suo testamento<br />
spirituale a Padre Perrein, che l’amicizia di cui si è sentita avvolgere è stata <strong>la</strong> «fonte di ispirazione<br />
più possente e più pura» perché «nessuna cosa umana, più dell’amicizia per gli amici di Dio può<br />
conservare il nostro sguardo fisso a Dio con intensità sempre crescente» 42 . La forza dell’amicizia<br />
si ritrova nelle pagine scritte da Londra in cui si legge che: «i sentimenti personali, nei grandi<br />
avvenimenti del mondo, hanno un’importanza che non viene mai valutata completamente. Il fatto<br />
che ci sia o non ci sia amicizia fra due uomini, fra due ambienti umani, può in certi casi essere<br />
39 «trattare il prossimo sventurato con amore è qualcosa come battezzarlo. Colui dal quale proviene l’atto di generosità<br />
non può agire così se non si è trasferito nell’altro con il pensiero. La generosità e <strong>la</strong> compassione sono inseparabili e<br />
hanno entrambe il loro modello in Dio, ossia <strong>la</strong> creazione e <strong>la</strong> Passione» in S. WEIL, Attente de Dieu, Fayard, Paris,<br />
1969, tr. it. ID., L’attesa di Dio, Rusconi, Mi<strong>la</strong>no, 1988.<br />
40 «La compassione verso <strong>la</strong> patria è l’unico sentimento che in questo momento non suoni falso [...] <strong>la</strong> compassione<br />
verso <strong>la</strong> Francia non è una compensazione ma una spiritualizzazione delle sofferenze subite; essa può trasfigurare<br />
anche le sofferenze più materiali» in S. WEIL, La prima radice, cit., p. 158.<br />
41 S. WEIL, Quaderni I, cit., p. 156.<br />
42 S. WEIL, Attente de Dieu, cit., p. 47.<br />
268
elemento decisivo per il destino del genere umano» 43 . Il punto nodale è come sempre una<br />
questione di verità. L’amicizia contribuisce a diffondere <strong>la</strong> verità, a confrontar<strong>la</strong>, a verificar<strong>la</strong><br />
perché «un uomo che abbia qualcosa da dire di nuovo può essere ascoltato, in un primo tempo<br />
solo da chi lo ami» 44 . La circo<strong>la</strong>zione del<strong>la</strong> verità è possibile solo in rapporti gratuitamente amicali<br />
e questo gioca un ruolo fondamentale nel<strong>la</strong> progettazione politica perché, per mettersi a <strong>la</strong>vorare<br />
per il futuro, per ragionare sulle diverse opzioni politiche, sulle strutture istituzionali da fondare in<br />
modo autentico, occorre nutrire sentimenti di amicizia reciprochi, in cui ciascuno è disposto a<br />
mettere a disposizione le proprie idee migliori nel<strong>la</strong> totale gratuità, senza avere nul<strong>la</strong> da difendere.<br />
«Appena finita <strong>la</strong> guerra, si comincerà a costruire nel senso letterale del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>. […] Se per caso<br />
ci sottraessimo a questa necessità per paura di possibili divisioni, ciò significherebbe<br />
semplicemente che non siamo qualificati per intervenire nel destino del<strong>la</strong> Francia» 45 .<br />
Il pensiero di Simone Weil è percorso da una passione profonda per <strong>la</strong> vita e per <strong>la</strong> sua<br />
progettazione. Il suo è un pensiero limpido, instancabile nel<strong>la</strong> ricerca del<strong>la</strong> comprensione, e nel<strong>la</strong><br />
ricerca di tutti quegli spazi di oppressione che schiacciano gli uomini. Il pensiero politico di Simone<br />
Weil nato e cresciuto in un periodo di forte coinvolgimento sociale e civile si ancora fortemente al<br />
problema del<strong>la</strong> verità. Una verità certamente pratica nel<strong>la</strong> misura in cui si trova stando dentro <strong>la</strong><br />
vita, sperimentando<strong>la</strong>, non una verità da contemp<strong>la</strong>re ma da intuire, da generare e da comunicare.<br />
Il senso di una <strong>civiltà</strong> si trova per <strong>la</strong> Weil nel<strong>la</strong> sua capacità di lettura autentica del<strong>la</strong> realtà degli<br />
uomini e nel<strong>la</strong> conseguente capacità di offrire risposte altrettanto autentiche. Il senso di una <strong>civiltà</strong><br />
si trova nel suo legame con <strong>la</strong> verità. Una verità che è solo nel pensiero appassionato e gratuito<br />
che si può intuire e costruire. Non un’idea di verità, non un’idea di uomo, ma <strong>la</strong> verità che afferma<br />
come <strong>la</strong> sofferenza degli uomini sia il dato di realtà da cui partire per pensare e progettare<br />
un’ethos capace di vera giustizia. In questo il pensiero del<strong>la</strong> Weil diventa importante nel quadro<br />
del<strong>la</strong> riflessione politica del Novecento europeo, per <strong>la</strong> sua capacità di anticipare alcune questioni<br />
che hanno poi trovato dispiegamento nel<strong>la</strong> contemporaneità (si pensi al<strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> giustizia,<br />
al rapporto tra diritti e doveri), per <strong>la</strong> critica feroce ad alcune linee del<strong>la</strong> riflessione filosofico-politica<br />
che pure hanno sostanziato il dibattito nel tempo del<strong>la</strong> ricostruzione del dopo-guerra (in partico<strong>la</strong>re<br />
è forte <strong>la</strong> critica al marxismo, ma anche al personalismo di Maritain e Mounier), ma anche per il<br />
legame tra verità e politica che el<strong>la</strong> stabilisce. La politica per <strong>la</strong> Weil è un’arte, uno strumento per<br />
radicare gli uomini nel<strong>la</strong> verità, e in questo modo aprirli al<strong>la</strong> giustizia e all’intelligenza. Di fronte al<strong>la</strong><br />
deriva proceduralista che troppo spesso ha sostanziato <strong>la</strong> filosofia politica contemporanea vi è<br />
nel<strong>la</strong> Weil il richiamo a un metodo di progettazione politica che parte dal<strong>la</strong> centralità del<strong>la</strong> vita vera<br />
di ciascun uomo e dei suoi più seri bisogni.<br />
43<br />
S. WEIL, La prima radice, cit., p. 188.<br />
44<br />
Ivi.<br />
45<br />
S. WEIL, La prima radice, cit., pp. 73-74.<br />
269