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OMUNE DI OLBIA<br />
Provincia di Olbia-Tempio<br />
VARIANTE AL PIANO PARTICOLAREGGIATO DEL CENTRO STORICO DI OLBIA E SAN PANTALEO<br />
con verifica di conformità e adeguamento al PPR (art. 52 e segg. NTA)<br />
PIANO DEL COLORE<br />
(ELAB. <strong>5.2.0</strong>)<br />
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SOMMARIO<br />
Premessa .......................................................................................................................................................... 4<br />
Contenuti e finalità <strong>del</strong> piano <strong>del</strong> <strong>colore</strong> ....................................................................................................... 4<br />
Metodi di indagine ........................................................................................................................................... 5<br />
Analisi <strong>del</strong>lo stato di fatto ............................................................................................................................... 5<br />
Analisi degli elementi architettonici di facciata ........................................................................................... 6<br />
Scienza <strong>del</strong>la tutela e <strong>del</strong>la conservazione ................................................................................................. 16<br />
Le tipologie <strong>del</strong> degrado ............................................................................................................................... 18<br />
Norme per l’attuazione e la gestione <strong>del</strong> piano .......................................................................................... 19<br />
“Schede di valutazione” per la verifica <strong>del</strong>la conformità al piano <strong>del</strong> <strong>colore</strong> ......................................... 20<br />
Il <strong>colore</strong> ........................................................................................................................................................... 20<br />
Le prescrizioni e le “schede cromatiche” ................................................................................................... 21<br />
Bibliografia ..................................................................................................................................................... 49<br />
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Premessa<br />
Una seria ed attenta pianificazione <strong>del</strong>la riqualificazione urbana ed urbanistica non può esimersi dal comprendere, all’interno degli<br />
elaborati particolareggiati, uno strumento di fondamentale importanza come è il “<strong>Piano</strong> <strong>del</strong> <strong>colore</strong>”; inoltre, partendo dall’assunto che<br />
qualsivoglia intervento, sia esso sul costruito che di nuova edificazione, può potenzialmente alterare non solamente l’aspetto formale<br />
ma anche percettivo <strong>del</strong> tessuto storico – architettonico, si è deciso di stabilire una serie di prescrizioni riguardanti la scelta e l’utilizzo<br />
<strong>del</strong>le più idonee tecniche, materiali e certamente non meno importanti colori. Tali prescrizioni sono di fondamentale importanza; la<br />
definizione di una precisa gamma di <strong>colore</strong> si pone come efficiente strumento attuativo per regolare in maniera più snella il perfetto<br />
svolgimento <strong>del</strong>le operazioni di pulitura, restauro e coloritura <strong>del</strong>le facciate <strong>del</strong> centro storico.<br />
Il “piano <strong>del</strong> <strong>colore</strong>”, quindi, si pone come valevole strumento attuativo per l’armonico utilizzo <strong>del</strong>le corrette sequenze cromatiche. Si<br />
inizia dall’analisi storica <strong>del</strong>l’intera area comprendente il centro storico di Olbia e di San Pantaleo, si individuano dove possibile i<br />
cromatismi storicamente documentabili e si procede alla loro catalogazione così da generare degli utili accostamenti cromatici, univoci e<br />
non spaiabili nel loro insieme, utilizzabili per migliorare la qualità <strong>del</strong>l’immagine contestuale <strong>del</strong> centro storico stesso.<br />
Le prescrizioni relative al centro storico non fanno riferimento ai singoli fabbricati ma definiscono, in maniera <strong>del</strong> tutto più flessibile, le<br />
linee guida per gli interventi individuandone i caratteri ed i tratti significativi a cominciare dai “mo<strong>del</strong>li” che sono stati individuati tra gli<br />
edifici esistenti di maggior pregio e rilevanza storica.<br />
Conoscere le tradizioni cromatiche, i materiali e le tecniche che nel corso <strong>del</strong> tempo hanno formato e caratterizzato il nostro paesaggio<br />
urbano è stata l’azione propedeutica alla completa e coerente stesura di questo lavoro. Tuttavia è necessario rammentare le difficoltà<br />
riscontrate durante il rilievo cromatico che si è visto senz’altro ostacolato dall’ineducazione derivata da anni di impiego di materiali<br />
inappropriati in concomitanza con la sempre più scarsa manutenzione degli edifici storici che ha portato alla perdita parziale o totale dei<br />
tradizionali colori di facciata. L’analisi e la ricerca sono state integrate con la codificazione di norme certe di compatibilità,<br />
complementarietà e corretta armonia cromatica per regolamentare, o meglio accompagnare e supportare, le scelte progettuali e le<br />
diverse metodologie di intervento.<br />
Come si vedrà più avanti, i “codici” cromatici, saranno assolutamente univoci e, per agevolare chiunque, sono stati codificati in base alle<br />
tabelle colorimetriche internazionale RAL. La “filosofia” che ha guidato tale pianificazione mira ad una ridefinizione funzionale ed<br />
insieme ad una rivalutazione qualitativa (non solamente fisica) <strong>del</strong>l’insieme dei fabbricati che compongono gli insediamenti storici <strong>del</strong>la<br />
città di Olbia e <strong>del</strong>l’antico abitato di San Pantaleo.<br />
Ogni elemento dei fabbricati insistenti nella “zona A” contribuisce a generare un “unicum” che quasi magicamente fa scaturire<br />
l’ecosistema <strong>del</strong>la storicità stessa, facendone percepire le vetuste qualità dei segni che nel tempo hanno concorso alla generazione<br />
<strong>del</strong>l’attuale situazione; sia gli elementi lapidei, che lignei, che metallici, componenti davanzali, mensole, sbalzi, partecipano a formare<br />
quella percezione sensoriale complessiva <strong>del</strong> contesto storico. Tale “piano <strong>del</strong> <strong>colore</strong>” vuole proporsi come efficace mezzo per tutelare il<br />
paesaggio percepito in questi luoghi non “semplicemente” come gradazione cromatica fine a se stessa ma intervenendo anche sui<br />
rapporti tra pieni e vuoti.<br />
Tutti i soggetti, nessuno escluso, che dovranno intervenire in queste zone, a qualunque livello e anche al livello più blando come<br />
potrebbe essere erroneamente considerata la tinteggiatura di un fabbricato, dovranno conformarsi a tali linee guida che, è bene<br />
rammentarlo sin d’ora, sono sempre prescrittive (obbligatorie) e mai descrittive.<br />
Contenuti e finalità <strong>del</strong> piano <strong>del</strong> <strong>colore</strong><br />
L’unica ed inopinabile linea guida per la stesura <strong>del</strong> “piano <strong>del</strong> <strong>colore</strong>” è stata la necessità di estrapolare i possibili cromatismi originari<br />
<strong>del</strong>la città e <strong>del</strong>l’antico abitato. Tuttavia, spesso la realtà ha reso necessario un approccio differente obbligando a ponderare<br />
correttamente la ricerca storica, la ricostruzione filologica e/o tipologica (attraverso fotografie <strong>del</strong>l’epoca purtroppo quasi sempre in<br />
bianco e nero), la giustapposizione cromatica (in maniera che offrisse la necessaria cadenza di pieni e vuoti e l’intervallarsi degli<br />
avvenimenti); la selezione colorimetrica è fondamentale per il rapporto tra l’uomo e quel che è scaturito dalla sua attività, il costruito. Il<br />
<strong>colore</strong> è la prima percezione che permette il “giudizio” di primo acchito <strong>del</strong>l’osservatore. È lo stesso osservatore che ne subisce<br />
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inconsapevolmente il fascino e la potenzialità; la naturale incisività <strong>del</strong> <strong>colore</strong>, conferitagli dall’interazione con la luce, permette la<br />
migliore <strong>del</strong>le sintonie accompagnando e scandendo la frequenza <strong>del</strong> passo umano.<br />
Questo piano tiene conto sia <strong>del</strong>l’aspetto filologico che <strong>del</strong>le qualità compositive, cercando di rispondere alle specifiche esigenze che<br />
ogni architettura possiede. Il più <strong>del</strong>le volte è stato constatato che l’odierno risultato cromatico deriva da decisioni recenti, il tutto reso<br />
possibile grazie alla lacuna normativa specifica in merito; inoltre, spesso, la mancanza di documentazione iconografica a colori o<br />
l’affastellamento di più cromie sullo stesso paramento murario hanno reso impossibile l’estrapolazione <strong>del</strong> <strong>colore</strong> originario; in questi<br />
casi si è optato per un approccio metodologico rispettoso <strong>del</strong>le condizioni ambientali, formulando criteri compositivi di base. Uno<br />
strumento di questo genere, dunque, non vuole essere dispotico ma educativo proponendo una serie di abbinamenti cromatici possibili<br />
senza escludere l’apporto soggettivo che atavicamente ha comportato, comporta ed inevitabilmente comporterà, la generazione stessa<br />
<strong>del</strong> contesto storico, in maniera corretta ed anche democratica, nella speranza che mai più si assista all’incontrollata, e spesso<br />
opinabile, stridente colorimetria dei paramenti, <strong>del</strong>le decorazioni, degli aggetti.<br />
Metodi di indagine<br />
Le due fasi di ricerca che hanno condotto alla definizione <strong>del</strong> “piano <strong>del</strong> <strong>colore</strong>” sono la ricognizione diretta dei luoghi e l’analisi storica;<br />
la prima ha consentito il rilievo fotografico di ogni fabbricato, mentre la seconda ha permesso di redigere <strong>del</strong>le schede tecniche di<br />
intervento. Il rilievo fotografico è stato lo strumento principale per l’analisi di ogni edificio facente parte <strong>del</strong> centro storico.<br />
La documentazione fotografica raccolta è stata utilizzata per due diverse tipologie di elaborati, ossia: le schede di analisi e di intervento<br />
di ciascun edificio e i profili dei fronti di ogni isolato. Nel primo caso, il rilievo fotografico ha consentito di rappresentare lo “stato di fatto”<br />
<strong>del</strong>le singole unità edilizie (ripreso da differenti punti di vista ivi compresa, quando è stato possibile, la copertura) che sono oggetto <strong>del</strong>la<br />
scheda di indagine; nel secondo caso, invece,si è voluto rappresentare il profilo tecnico (vettoriale e non più fotografico) di tutti gli isolati<br />
<strong>del</strong> centro storico; il fronte – prospetto di ciascuna costruzione è stato dunque trasformato (nella restituzione) e accostato agli edifici<br />
adiacenti così da consentirne una comprensione contestuale, <strong>del</strong>l’intera cortina edilizia, non più asettica. Le tavole dei “profili” sono<br />
composte da due fasce: quella che sta in alto riporta la situazione fotografica <strong>del</strong>lo stato attuale aggiornato, quella che sta in basso<br />
riporta i su citati profili vettoriali che mostrano la situazione che scaturirà dalla messa in opera degli interventi ammissibili dal PP. Il<br />
rilievo fotografico, ai fini rappresentativi, è stato basilare per stabilire e predisporre i cromatismi e gli accostamenti. Tutte le altre<br />
informazioni sono contenute nelle “schede di indagine” che saranno il principale apporto per un’attenta e rigorosa verifica in fase di<br />
attuazione, <strong>del</strong> PP, da parte degli organismi preposti.<br />
L’iter che ha permesso la generazione <strong>del</strong> “piano <strong>del</strong> <strong>colore</strong>” è molto lineare. Queste le fasi:<br />
- ricerca di tutti i materiali disponibili ed utili;<br />
- analisi, osservazione e studio di tutti i materiali ritrovati;<br />
- studio di mo<strong>del</strong>li cromatici realmente presenti all’interno dei centri storici o ad essi limitrofi;<br />
- eventuale estrapolazione, dalla documentazione fotografica <strong>del</strong>l’epoca (dove possibile), di cromatismi di facciata;<br />
- rilievo <strong>del</strong>lo stato di fatto dei cromatismi <strong>del</strong>le unità edilizie;<br />
- generazione di una gamma cromatica utilizzabile su ogni unità edilizia al fine di adottare la più consona colorazione<br />
Analisi <strong>del</strong>lo stato di fatto<br />
che armonizzi ed evidenzi le “accidentalità” che si susseguono nella realtà <strong>del</strong> contesto storico.<br />
Ogni edificio <strong>del</strong> centro storico di Olbia e di San Pantaleo è stato schedato valutandone le proprie condizioni di degrado. Il più <strong>del</strong>le<br />
volte, il degrado, è scaturito dalla scadente qualità architettonica che è il risultato di scelte ed interventi recenti, come viene testimoniato<br />
dall’ottimale condizione materiale degli immobili (materiali nuovi), soprattutto quando si tratta di “restauri” sommari e poco meticolosi.<br />
Viceversa, spesso, dove si è riscontrato un degrado materiale, dunque dove non esistono tracce di interventi recenti, sono leggibili i<br />
valori e le peculiarità tipiche originarie <strong>del</strong>l’antica unità edilizia; infine, è stato riscontrato un considerevole numero di edifici che pur<br />
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ispettando il “piano <strong>del</strong> <strong>colore</strong>” dovranno essere riadattati rivedendone l’intero impianto distributivo planimetrico ed altimetrico, in<br />
maniera tale da occupare il volume tipico originario ed eliminandone l’attuale condizione antistorica, naturalmente nel pieno rispetto <strong>del</strong><br />
presente piano <strong>del</strong> <strong>colore</strong>.<br />
Analisi degli elementi architettonici di facciata<br />
Fondo: è la superficie murale ad esclusione di tutti gli elementi decorativi comprese le zoccolature, i basamenti, le lesene, le paraste, le<br />
modanature, le piattabande, le anteridi, le cornici, gli aggetti. Le realtà dei centri storici di Olbia e di San Pantaleo mostrano quasi<br />
sempre un cromatismo molto uniforme con tonalità che possono variare dal bianco, al grigio, ai rossi, azzurri, verdi e gialli. Spesso è<br />
stato utilizzato un differente <strong>colore</strong> per evidenziare la presenza <strong>del</strong>lo zoccolo o <strong>del</strong>le cornici.<br />
Zoccolatura: è un elemento architettonico fondamentale per la salubrità dei locali interni alle costruzioni stesse. Si trova nella parte<br />
inferiore <strong>del</strong>la facciata e ha l’onere di proteggere l’unità edilizia dalla polvere (soprattutto quando le strade erano ancora sterrate), dalla<br />
sporcizia e dall’umidità. In genere venivano tinteggiate <strong>del</strong>lo stesso <strong>colore</strong> <strong>del</strong> fondo ma con tono più scuro o, nei casi dei proprietari più<br />
agiati, realizzato in lastre di materiale lapideo, più o meno nobile, a vista.<br />
Basamento: si intende l’intera porzione <strong>del</strong>la facciata comprendente l’intero piano terra. È stato concepito per fornire più solidità e<br />
protezione alla facciata vera e propria. Nel nostro caso, il basamento, si materializza con la presenza di intonaco in rilievo che emula il<br />
paramento murario (costituito da conci lapidei di forma regolare rettangolare); tale rilievo è chiamato “bugnato”. Tali geometrie risultano<br />
sempre separate, per riproporre una tessitura precisa ed ornamentale di facciata, da fughe <strong>del</strong>lo stesso materiale. Nelle casistiche in cui<br />
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i proprietari risultavano economicamente agiati, il basamento, poteva essere un motivo di ostentazione e talvolta era creato con conci<br />
lapidei perfettamente sbozzati e riposti in facciata per l’intero piano terra. Di particolare pregio, infine, risultano essere i basamenti che<br />
possiedono, per ogni concio e per tutto il suo perimetro rettangolare, la gola scolpita sempre in bassorilievo, generalmente sul granito o<br />
sul marmo locale.<br />
Fascia marcapiano: può essere in aggetto o semplicemente disegnata e/o tinteggiata, <strong>del</strong>lo stesso <strong>colore</strong> ma con tono differente, sulla<br />
facciata. Attraversano l’intero fronte <strong>del</strong>l’unità edilizia e lo ripartiscono orizzontalmente in corrispondenza dei solai interni. Talvolta sono<br />
state riscontrate <strong>del</strong>le fasce marcapiano con rilievo “curvilineo” con “tori” e “gole”, per gli edifici dei proprietari più economicamente<br />
agiati. Essa diviene interessante, soprattutto nelle architetture molto voluminose, perché “ridimensiona” l’imponenza, dunque l’impatto<br />
estetico, <strong>del</strong> costruito stesso.<br />
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Cornicione: è il coronamento superiore <strong>del</strong>la facciata. Anch’esso la attraversa in orizzontale e di norma segue sempre la “linea di<br />
gronda” <strong>del</strong>le coperture a falde inclinate oppure il perimetro dei solai piani. Anche per questo elemento, seppur in maniera molto<br />
sporadica, si sono riscontrati casi in cui è costituito da granito o altra pietra locale, con sagomature “curvilinee” di “tori” e “gole”. Sono<br />
rari gli esempi di buona manifattura che mostrano mensole granitiche e monolitiche aggettanti, impropriamente definiti “barbacane”.<br />
Cornice <strong>del</strong>le aperture: è la decorazione più utilizzata, soprattutto nel centro storico di Olbia. È di facile applicazione e rende un<br />
piacevole risultato. Generalmente possono essere di due tipologie: la prima che contorna tre lati <strong>del</strong>l’apertura (lato sinistro, lato alto, lato<br />
destro) e si appoggia alla soglia (generalmente di granito); la seconda, invece, che contorna l’apertura su tutti i quattro lati incorporando<br />
la soglia stessa. Ha grandezze variabili, da 3 a 15 centimetri circa, e può essere più o meno sagomata, ad esempio con bordature a<br />
sezione semicircolare. Può contenere, ma nelle sue forme più eleganti, aggetti soprattutto sulla parte centrale alta in corrispondenza<br />
<strong>del</strong>la mezzeria <strong>del</strong>l’apertura stessa.<br />
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Anteride: è un tipo di decorazione angolare (bugnato angolare) che tra l’altro aveva, ed ha, la funzione di proteggere gli spigoli degli<br />
edifici da colpi accidentali che avrebbero potuto inficiare, negativamente, sull’integrità <strong>del</strong>l’intera unità edilizia. Originariamente erano<br />
costruite in pietra proprio per conferire maggiore robustezza alla muratura in cantonetti granitici; in seguito sono divenuti puramente<br />
ornamentali create con intonaco tinteggiato, ma perdendo il loro scopo originario. Contrariamente alle lesene, che sono <strong>del</strong>le vere e<br />
proprie “paraste” non strutturali, le “anteridi” ripropongono, generalmente, il disegno <strong>del</strong>la muratura “faccia a vista” che compone il piano<br />
terra, anche se in maniera più nettamente sporgente.<br />
Lesena: si differenzia dalla “anteride” perché assolve esclusivamente ad un ruolo decorativo, senza alcuna funzione protettiva statica.<br />
Nel caso di Olbia è stato riscontrato che le “anteridi” si trovano nel piano terra (così da espletare la loro funzione protettiva degli spigoli),<br />
mentre le lesene soprattutto al piano primo. La “lesena” è una decorazione che imita la “parasta”, ma non è strutturale. Nella fotografia<br />
sinistra si può vedere la “anteride” al piano terra (che ripropone il bugnato) e la “lesena” al piano primo; nella fotografia destra, invece, si<br />
hanno due tipologie di “lesene”, una al piano terra e l’altra al piano primo.<br />
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Di seguito, sono riportate due soluzioni <strong>del</strong>l’accostamento tra unità edilizie: la fotografia di sinistra riporta la correttezza <strong>del</strong><br />
posizionamento <strong>del</strong>le decorazioni, infatti il prospetto è “guidato” dall’unità edilizia più alta; la seconda, invece, riporta <strong>del</strong>le condizioni<br />
costruttive ambigue, rendendo una scorretta percezione <strong>del</strong> contesto architettonico <strong>del</strong> profilo. Le fotografie sono state estrapolate dai<br />
lati dalla stessa unità edilizia.<br />
Parasta: è un elemento architettonico strutturale verticale. È una sorta di “pilastro decorato” che viene in parte inglobato all’interno <strong>del</strong>lo<br />
spessore <strong>del</strong> muro e in parte rimane a vista (parte decorativa).<br />
Balaustra: è il parapetto formato da una serie di caratteristici elementi a colonnetta uguali tra loro, detti balaustri, posti su un<br />
basamento continuo e sormontati da una cimasa (modanatura curva e sporgente, a forma di sguscio o di gola) anch’essa continua,<br />
spesso inframmezzati o conclusi da pilastrini. È una decorazione molto diffusa tra XVI ed il XVIII secolo ed ebbe forme diverse nella<br />
sagomatura dei balaustri, nei materiali, nelle soluzioni planimetriche e nelle applicazioni. È spesso utilizzata negli edifici sacri come<br />
recinto degli altari, nelle scale monumentali in sostituzione <strong>del</strong>la ringhiera, in balconi e terrazze come parapetto, come elemento<br />
decorativo (soprattutto nel barocco) a coronamento <strong>del</strong>le facciate di edifici:<br />
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Lastre e parapetti dei balconi: anticamente, le lastre di calpestio degli sbalzi, erano costituite da un monolite granitico “mensolato” alla<br />
muratura portante per una parte <strong>del</strong>la propria profondità. Generalmente il suo peso veniva portato da mensole metalliche in acciaio o in<br />
ghisa, oppure in granito o in calcestruzzo. Il parapetto, quasi tradizionalmente, era costituito da ghisa o acciaio; meno frequentemente si<br />
ritrovano parapetti in calcestruzzo, in materiale lapideo o laterizio. Nella fotografia sinistra viene riportato un esempio di “sbalzo”<br />
monolitico in granito portato da due mensole, monolitiche granitiche; nella fotografia destra, invece, viene riportato un esempio con una<br />
lastra di base (o sbalzo) monolitica marmorea sorretta da quattro mensole in acciaio; nelle fotografie in basso, invece, sono riportati altri<br />
peculiari esempi riscontrati nella frazione di San Pantaleo.<br />
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Inferriate: in entrambe le realtà (Olbia e San Pantaleo) è stato riscontrato l’utilizzo di materiali prevalentemente metallici, soprattutto di<br />
ferro verniciato. Il reperimento <strong>del</strong>la colorimetria originaria è molto difficoltoso perché l’umidità e la continua dilatazione termica, uniti con<br />
la vetustà, ne hanno logorato i pigmenti rendendoli irriconoscibili e lasciando spazio alla ruggine dopo il dilavamento degli strati<br />
protettivi. I colori che si è potuto riscontrare per le inferriate hanno evidenziato la prevalenza dei toni autunnali; inoltre, le geometrie<br />
sono indirizzate alla semplice linearità.<br />
Gli esempi riportati in questa pagina si riferiscono alla realtà <strong>del</strong> centro storico di Olbia, nella pagina seguente, invece, di San Pantaleo.<br />
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Frontone: è un elemento meramente decorativo e ha la funzione di essere il coronamento architettonico superiore <strong>del</strong>le porte e <strong>del</strong>le<br />
finestre. Può essere decorato con sculture, pitture o mosaici; inoltre, alla configurazione triangolare originaria (dei templi greci) possono<br />
sostituirsi, dall’epoca romana in poi, altre forme, come il frontone curvo, con un’unica linea arcuata al posto dei due lati inclinati, o il<br />
frontone spezzato (pseudo manierista), in cui si ha un’interruzione <strong>del</strong> coronamento. Alla fine <strong>del</strong>l’età romanica, in dimensioni ridotte, il<br />
frontone costituisce frequente motivo ornamentale sovrapposto a porte e finestre. Generalmente, viene riscontrato soprattutto nei<br />
palazzetti dei proprietari più abbienti. I materiali utilizzati vanno dal granito alla malta; per renderli più “scenografici” venivano fatti<br />
sporgere in aggetto.<br />
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Portale: si intende quell’elemento architettonico, generalmente in pietra locale granitica, che contorna l’ingresso <strong>del</strong>l’edificio. I portali più<br />
importanti hanno un’arcata superiore con rilievi più o meno complessi.<br />
Infissi: in questa categoria sono riportate tutte le possibili tipologie dei serramenti esterni. Come per la categoria <strong>del</strong>le inferriate, anche<br />
qui, è molto difficoltoso o a tratti impossibile, risalire ai colori originali degli infissi dei due centri storici. Tuttavia la moda statistica ha<br />
confermato che i colori più utilizzati sono le scale di marrone, bianco, grigio, verde scuro ed in generale i colori autunnali. Nel caso di<br />
San Pantaleo, anche se in maniera <strong>del</strong> tutto sporadica, sono stati riscontrati altri colori che hanno concorso ad esaltare le peculiarità di<br />
ogni unità edilizia, come l’azzurro ed il rosso. Il materiale utilizzato, questa è una certezza che interessa entrambe le realtà (Olbia e San<br />
Pantaleo), è il legno massello e più sporadicamente il metallo (inidoneo al confort tattile); altri materiali ad oggi utilizzati, per via dei<br />
prezzi concorrenziali di mercato (PVC, alluminio), non appartengono alla tradizione storica dei luoghi e ne alterano la positiva e corretta<br />
percezione architettonica e paesaggistica. Pertanto, l’utilizzo di tali materiali non sarà ammesso.<br />
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Scienza <strong>del</strong>la tutela e <strong>del</strong>la conservazione<br />
Su iniziativa <strong>del</strong>l’Istituto centrale <strong>del</strong> restauro (ICR), nell’anno 1979, venne istituita la “Commissione Normal”, acronimo che sintetizza la<br />
NORmativa dei MAteriali Lapidei, con lo scopo di redigere dei metodi unificati per lo studio <strong>del</strong>le alterazioni dei materiali lapidei e per il<br />
controllo <strong>del</strong>l’efficacia dei trattamenti conservativi di manufatti di interesse storico – artistico, dove per “materiale lapideo” si intende,<br />
oltre che marmi e pietre propriamente detti, anche stucchi, malte, intonaci e prodotti ceramici (laterizi e cotti) utilizzati in architettura.<br />
Tale normativa è stata chiarificatrice in tutto il suo insieme ed è rimasta incisiva fino all’anno 2006 quando è stata sostituita dalla Norma<br />
UNI 11182:2006 (sostituisce la NORMAL 1/88). Tale Norma acquisisce, e possibilmente migliora, quanto era stato affermato dalla<br />
vecchia normativa, confermando la distinzione tra materiali lapidei naturali (rocce) e materiali lapidei artificiali (malte, stucchi, prodotti<br />
ceramici, etc.). Lo scopo di tale studio, si legge nel testo, è di fornire “dei termini utili ad indicare le diverse forme di alterazione e gli<br />
organismi visibili macroscopicamente. Il documento permette, quindi, il rilevamento <strong>del</strong>lo stato di conservazione <strong>del</strong>la superficie lapidea,<br />
mentre la definizione <strong>del</strong>le cause e l’entità <strong>del</strong>la alterazione dovranno essere accertate successivamente dalla diagnostica”.<br />
Rilevante, ed illuminante, è certamente la distinzione dei termini e <strong>del</strong>le definizioni che si interessano <strong>del</strong>l’alterazione e <strong>del</strong> degrado. La<br />
prima è la ”modificazione di un materiale che non implica necessariamente un peggioramento <strong>del</strong>le sue caratteristiche sotto il<br />
profilo conservativo”, il secondo è la “modificazione di un materiale che comporta un peggioramento <strong>del</strong>le sue caratteristiche<br />
sotto il profilo conservativo”.<br />
Per una corretta comprensione si rimanda alla lettura <strong>del</strong>la normativa sin qui richiamata; a titolo esemplificativo, però, verranno di<br />
seguito riportate le definizioni <strong>del</strong>le alterazioni che interessano direttamente le unità edilizie, soprattutto nelle loro parti più esposte, le<br />
facciate.<br />
Alterazione cromatica Variazione naturale, a carico dei componenti dei materiali, dei parametri che definiscono il<br />
<strong>colore</strong>. E’ generalmente estesa a tutto il materiale interessato; nel caso l’alterazione si manifesti<br />
in modo localizzato è preferibile utilizzare il termine “macchia”<br />
Alveolizzazione Presenza di cavità di forma e dimensione variabili, dette alveoli, spesso interconnesse e con<br />
distribuzione non uniforme<br />
Colatura Traccia ad andamento verticale. Frequentemente se ne riscontrano numerose ad andamento<br />
parallelo<br />
Colonizzazione biologica Presenza riscontrabile macroscopicamente di micro e/o macro organismi (alghe, funghi, licheni,<br />
muschi, piante superiori)<br />
Crosta Modificazione <strong>del</strong>lo strato superficiale <strong>del</strong>lo strato lapideo. Di spessore variabile, generalmente<br />
dura, la crosta è distinguibile dalle parti sottostanti per le caratteristiche morfologiche e spesso<br />
per il <strong>colore</strong>. Può distaccarsi anche spontaneamente dal substrato che, in genere, si presenta<br />
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disgregato e/o polverulento<br />
Deformazione Variazione <strong>del</strong>la sagoma o <strong>del</strong>la forma che interessa l’intero spessore <strong>del</strong> materiale<br />
Degradazione differenziale Perdita di materiale dalla superficie che evidenzia l’eterogeneità <strong>del</strong>la tessitura e <strong>del</strong>la struttura.<br />
(Malta). Nel caso degli intonaci può assumere una caratteristica forma “a rosetta”<br />
Deposito superficiale Accumulo di materiali estranei di varia natura, quali polvere, terriccio, guano, ecc. Ha spessore<br />
variabile, generalmente scarsa coerenza e scarsa aderenza al materiale sottostante<br />
Disgregazione Decoesione con caduta <strong>del</strong> materiale sotto forma di polvere o minutissimi frammenti. Talvolta<br />
viene utilizzato il termine “polverizzazione”<br />
Distacco (Malta). Soluzione di continuità tra strati di un intonaco, sia tra loro che rispetto al substrato,<br />
che prelude, in genere, alla caduta degli strati stessi.<br />
(Ceramica). Soluzione di continuità tra rivestimento ed impasto o tra due rivestimenti<br />
Efflorescenza Formazione superficiale di aspetto cristallino o polverulento o filamentoso, generalmente di<br />
<strong>colore</strong> biancastro<br />
Erosione Asportazione di materiale dalla superficie che nella maggior parte dei casi si presenta compatta<br />
Esfoliazione Formazione di una o più porzioni laminari, di spessore molto ridotto e subparallele tra loro,<br />
dette “sfoglie”<br />
Fratturazione o fessurazione Soluzione di continuità nel materiale che implica lo spostamento reciproco <strong>del</strong>le parti.<br />
(Ceramica). Nel caso di fratturazione incompleta e senza frammentazione <strong>del</strong> manufatto si<br />
utilizza il termine “cricca” o, nel rivestimento vetroso, il termine “cavillo”<br />
Fronte di risalita Limite di migrazione <strong>del</strong>l’acqua che si manifesta con la formazione di efflorescenze e/o perdita<br />
di materiale. E’ generalmente accompagnato da variazioni <strong>del</strong>la saturazione <strong>del</strong> <strong>colore</strong> nella<br />
zona sottostante<br />
Graffito vandalico Apposizione indesiderata sulla superficie di vernici colorate<br />
Incrostazione Deposito stratiforme compatto e generalmente aderente al substrato. Si definisce “concrezione”<br />
quando il deposito è sviluppato preferenzialmente in una sola direzione non coincidente con la<br />
superficie lapidea e assume forma stalattitica o stalagmitica<br />
Lacuna Perdita di continuità di superfici (parte di un intonaco e di un dipinto, porzione di impasto o di<br />
rivestimento ceramico, tessere di mosaico, ecc.)<br />
Macchia Variazione cromatica localizzata <strong>del</strong>la superficie, correlata sia alla presenza di determinati<br />
componenti naturali <strong>del</strong> materiale (concentrazione di pirite nei marmi) sia alla presenza di<br />
materiali estranei (acqua, prodotti di ossidazione di materiali metallici, sostanze organiche,<br />
vernici, microrganismi per esempio).<br />
Nota. Pirite: Minerale molto diffuso, di <strong>colore</strong> giallo chiaro con lucentezza metallica; è solfuro di<br />
ferro, FeS2, monometrico, contenente talvolta piccole quantità di nichel, cobalto, selenio, rame,<br />
oro, arsenico<br />
Vedi la differenza con la “alterazione cromatica”<br />
Mancanza Perdita di elementi tridimensionali (braccio di una statua, ansa di un’anfora, brano di una<br />
decorazione a rilievo, ecc)<br />
Patina Modificazione naturale <strong>del</strong>la superficie non collegabile a fenomeni di degrado e percepibile<br />
come una variazione <strong>del</strong> <strong>colore</strong> originario <strong>del</strong> materiale<br />
Patina biologica Strato sottile ed omogeneo, costituito prevalentemente da microrganismi, variabile per<br />
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consistenza, <strong>colore</strong> e adesione al substrato<br />
Pellicola Strato superficiale trasparente o semitrasparente di sostanze coerenti fra loro ed estranee al<br />
materiale lapideo (pellicola protettiva, pellicola con funzioni estetiche, pellicola ad ossalati, ecc.)<br />
Pitting Formazione di fori ciechi, numerosi e ravvicinati. I fori hanno forma tendenzialmente emisferica<br />
con diametro massimo di pochi millimetri<br />
Presenza di vegetazione Presenza di individui erbacei, arbustivi o arborei<br />
Le tipologie <strong>del</strong> degrado<br />
Come avviene in ogni campo <strong>del</strong>la scienza, prima <strong>del</strong>l’intervento è necessaria, ed assolutamente propedeutica, una attenta analisi<br />
<strong>del</strong>l’intera unità edilizia così da trarre le più incisive, necessarie e corrette decisioni che innescheranno il risultato <strong>del</strong>l’intera operazione<br />
di restauro. L’analisi <strong>del</strong> degrado di un manufatto consiste nel rilievo <strong>del</strong>le diverse patologie che lo aggrediscono. Occorre accertare lo<br />
stato conservativo di tutti i materiali attraverso la tavola tematica appena vista, così da rendere possibile l’identificazione, puntuale e per<br />
ogni materiale, di tutti i fenomeni di degradazione, o alterazione, che si manifestano. È importante anche la comprensione di tutti quegli<br />
elementi che possono avere generato o accelerato il degrado stesso, come ad esempio la passata presenza di chiodi, <strong>del</strong>le staffe in<br />
ferro, di eventuali tubazioni soprattutto se non completamente stagne, etc. Le cause ed i fenomeni <strong>del</strong> degrado possono essere di due<br />
principali insiemi: cause intrinseche e cause estrinseche. Le prime, sono direttamente ricollegabili al sito che supporta il manufatto<br />
stesso, agli eventuali difetti <strong>del</strong>la progettazione, alla scarsa perizia <strong>del</strong> cantiere di costruzione, ai materiali ed alle tecnologie utilizzati,<br />
alle destinazioni d’uso. Le seconde, invece, sono imputabili all’ecosistema che interagisce con l’unità edilizia stessa, come l’umidità, i<br />
fattori meteorologici dunque climatici, all’inquinamento naturale, all’aggressione biologica, agli agenti geologici ed idrogeologici, ai<br />
terremoti, agli incendi.<br />
Le cause, naturalmente, innescano quei meccanismi principali che portano al degrado naturale e che nel tempo fanno scaturire un<br />
inesorabile danneggiamento <strong>del</strong>le murature degli edifici storici.<br />
La scienza <strong>del</strong> restauro, in quanto scienza, conosce esclusivamente un percorso di evoluzione migliorativa grazie alle nuove tecniche,<br />
tecnologie, materiali che vengono scoperti ed utilizzati dagli stessi restauratori. Inoltre, sempre grazie alla ricerca, si è potuto<br />
suddividere il degrado in varie sfumature, molto precise e ben individuate; il degrado può essere fisico, chimico, biologico,<br />
antropologico.<br />
Il degrado fisico, tratta <strong>del</strong>la composizione mineralogica <strong>del</strong>la struttura granulare che direttamente costituisce il materiale stesso. Le<br />
cause che ne possono incentivare la comparsa sono le azioni meccaniche (fatica, tensioni interne, usura, abrasioni), e/o i cambi di stato<br />
come l’evaporazione e la condensazione. Gli effetti sono talvolta devastanti come fratture più o meno serie, deformazioni e porosità,<br />
disgregazione dei materiali superficiali. E’ interessante comprenderne l’eventuale processo, ad esempio:<br />
- creazione <strong>del</strong> ghiaccio: quando la temperatura si abbassa oltre lo 0° C, l’acqua presente nei pori <strong>del</strong>le pietre, dei mattoni, <strong>del</strong>le malte,<br />
congela con un aumento <strong>del</strong> volume pari a circa il 9%. Il fenomeno <strong>del</strong> gelo e <strong>del</strong> disgelo è più pericoloso ed incisivo se aumenta la<br />
frequenza, soprattutto nei passaggi tra le stagioni calde e fredde e viceversa. Questa può portare <strong>del</strong>le sollecitazioni che possono<br />
provocare la rottura a “fatica” o comunque alla disgregazione <strong>del</strong>la struttura <strong>del</strong> materiale in questione.<br />
- dilavamento: è la tipica azione esercitata dall’acqua, soprattutto corrente, nei confronti dei leganti aerei (calce e gesso) che dopo<br />
l’indurimento possono mostrare parti idrosolubili che possono essere compromesse (malte e gli intonaci).<br />
- erosione: è l’azione esercitata dal vento.<br />
- cristallizzazione dei sali solubili: grazie all’evaporazione (fenomeno naturale) i sali vengono trasportati, dal vettore acqua,<br />
depositandosi all’interno dei pori <strong>del</strong> materiale originando <strong>del</strong>le “strutture cristalline” che agiscono meccanicamente generando pressioni<br />
dall’interno (dunque fratture) e creando efflorescenze e sub efflorescenze all’esterno.<br />
Il degrado chimico, è legato alla presenza di acqua nel materiale dovuta alla pioggia o alla risalita capillare dal terreno e dalle<br />
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fondazioni. Gli effetti si concretizzano nella variazione <strong>del</strong>la resistenza e <strong>del</strong> volume, nell’aumento <strong>del</strong>la solubilità, prima, e <strong>del</strong>la<br />
cristallizzazione, dopo. In questa casistica di degrado si hanno i seguenti processi:<br />
- presenza di acqua nelle murature: l’acqua, per effetto dei fenomeni di umidità, migra dalle zone più umide alle zone più asciutte; in<br />
particolar modo verso le pareti esterne che sono perennemente interessate da fenomeni di evaporazione. Il vettore acqua passando per<br />
i sali idrosolubili li scioglie, soprattutto i “solfati”. Questi, entrando in contatto con altri elementi come gli “alluminati” e i “silicati idrati”<br />
generano, in seguito alle reazioni chimiche, due sali particolarmente dannosi per le costruzioni: la “thaumasite” e la “ettringite”. Queste,<br />
agiscono all’interno <strong>del</strong>le porosità dei materiali provocando fessurazioni, rigonfiamenti e distacchi (soluzioni di continuità) indebolendo<br />
l’intonaco e rendendolo particolarmente incoerente e dilavabile dalle acque meteoriche.<br />
- piogge acide: l’anidride carbonica, presente nell’acqua meteorica, genera <strong>del</strong>le reazioni che portano alla perdita dei carbonati negli<br />
strati interni dei materiali e alla formazione di croste e patine superficiali.<br />
- inquinanti atmosferici: l’anidride solforosa, combinata con l’ossigeno, l’acqua e i carbonati di calcio presenti nel materiale, da vita al<br />
“solfato di calcio”. Il passaggio da uno stato all’altro genera una variazione di volume dando sfogo a pressioni e fratture interne.<br />
I marmi, i calcari, le arenarie, sono tra i materiali più colpiti. Un altro fenomeno da eliminare è quello <strong>del</strong>la “condensazione” che ha due<br />
fasi che scaturiscono dall’alternanza asciutto - bagnato: la prima è quella che riguarda la formazione di una pellicola che accelera<br />
l’accumulo di impurità, la seconda è data dalla cristallizzazione di queste impurità, generando <strong>del</strong>le croste nere.<br />
Il degrado biologico, è invece causato dall’azione di animali e/o piante. Tale degrado è presente soprattutto negli ambienti poco<br />
inquinati caratterizzati dalla presenza di alta umidità relativa e alta temperatura, associate ad una scarsa ventilazione e ad una rilevante<br />
presenza di fonti luminose.<br />
- alghe e i “cianobatteri”: si sviluppano in climi caldi. Le patine possono avere colori, spessori ed estensioni molto variabili. I colori<br />
variano dal verde all’arancio scuro per le alghe e dal grigio al nero per i “cianobatteri”.<br />
I batteri attecchiscono ovunque a differenza dei funghi che necessitano di alti tassi di umidità.<br />
- licheni: possiedono una forma rotondeggiante con un aspetto crostoso. Nascono dall’associazione di un “fungo microscopico +<br />
un’alga”. Si presentano in luoghi aperti, inquinati e mediamente umidi; attaccano materiali calcarei con un’azione corrosiva anche<br />
<strong>del</strong>l’interno.<br />
- muschi: si sviluppano dove si hanno depositi di “humus” o accumuli di residui organici generati da altri batteri o vegetali. Sono presenti<br />
sulle superfici alcaline. Hanno un <strong>colore</strong> verdastro, bruno o nero ed una consistenza stratiforme.<br />
- vegetazione superiore infestante: incentiva le fratture e le fessurazioni nel materiale; le radici vegetali penetrano fra i leganti e gli<br />
intonaci, o nelle fessurazioni già presenti; insinuatesi aumentano il loro diametro aumentando la forza fisica a cui le stesse murature<br />
devono rispondere.<br />
- azione degli uccelli: il guano rappresenta un pericoloso terreno di coltura per lo stabilirsi di microrganismi che innescano varie azioni di<br />
degrado sul materiale.<br />
Il degrado antropologico, è l’ultimo dei degradi descrivibili. Comprende ogni tipologia di alterazione o modificazione <strong>del</strong>lo stato di<br />
conservazione di un bene culturale, o <strong>del</strong> contesto in cui esso è inserito, quando l’azione è indotta dall’utilizzo improprio.<br />
Le cause possono essere diverse:<br />
- atti di vandalismo attraverso i graffiti<br />
- collocazione impropria degli elementi tecnologici (energia elettrica, telefono, etc)<br />
- uso improprio dei materiali edili<br />
- assenza di manutenzione.<br />
Norme per l’attuazione e la gestione <strong>del</strong> piano<br />
In seguito all’attuazione <strong>del</strong> “piano <strong>del</strong> <strong>colore</strong>” si potrà procedere all’archiviazione, in tempo reale, di qualsiasi richiesta di interventi,<br />
compresi i meno incisivi (ad esempio la manutenzione ordinaria). Questo sarà reso possibile grazie al concomitante aggiornamento dei<br />
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“Profili” vettoriali ricompresi, come elaborati ufficiali e prescrittivi, all’interno <strong>del</strong> PP (<strong>Piano</strong> Particolareggiato). L’aggiornamento si<br />
effettuerà ogni qualvolta verrà inoltrata la richiesta di Concessione, Autorizzazione o qualsivoglia Nullaosta, per procedere con gli<br />
interventi contemplati all’interno degli elaborati grafici e normativi <strong>del</strong> PP. Inoltre, grazie a questo prezioso strumento, sarà possibile un<br />
capillare controllo di vigilanza, onde evitare violazioni che comporterebbero un ulteriore degrado <strong>del</strong>l’intero contesto storico.<br />
L’Amministrazione vigilerà per mezzo degli uffici deputati al controllo. I trasgressori saranno soggetti al ripristino dei luoghi (compresi i<br />
colori) a proprie spese. Qualora, trascorsi 120 (centoventi) giorni dalla notifica di richiesta di ripristino, il proprietario sia<br />
inadempiente l’Amministrazione ha facoltà di procedere con il ripristino dei luoghi e dei fabbricati, addebitando al proprietario ogni onere<br />
ed ogni eventuale sanzione.<br />
Le sanzioni pecuniarie saranno pari a quelle contemplate dalle Normative e Leggi vigenti.<br />
“Schede di valutazione” per la verifica <strong>del</strong>la conformità al piano <strong>del</strong> <strong>colore</strong><br />
Per la richiesta di qualsiasi tipologia di intervento dovranno essere compilate le schede riportate nell’Allegato “A” <strong>del</strong>le Norme<br />
Tecniche di Attuazione (NTA). Tale compilazione è propedeutica, dunque assolutamente obbligatoria, al rilascio di qualunque<br />
Autorizzazione, Concessione, D.I.A. e qualsivoglia richiesta di nullaosta per qualsiasi intervento da attuare nelle unità edilizie, o parti di<br />
esse, ricomprese all’interno <strong>del</strong> centro storico di Olbia e di San Pantaleo. Tali schede dovranno fornire tutte le informazioni utili per la<br />
creazione di un database, <strong>del</strong> Comune di Olbia, inerente il centro storico (Olbia e San Pantaleo). Grazie a questo nuovo strumento<br />
potrà essere attuata una integrale, corretta e aggiornata visione d’insieme <strong>del</strong> contesto <strong>del</strong>le due realtà (Olbia e San Pantaleo), che si<br />
arricchirà ad ogni richiesta di intervento; di notevole importanza sarà la scelta <strong>del</strong>la “Scheda cromatica” da parte <strong>del</strong> proprietario, o<br />
avente titolo, che permetterà di arricchire, con l’ausilio <strong>del</strong>la gamma di <strong>colore</strong> prescelta, i “Profili vettoriali” con l’utilizzo <strong>del</strong> codice<br />
univoco internazionale RAL, riportato nelle stesse.<br />
Il <strong>colore</strong><br />
La prima formulazione scientifica <strong>del</strong>la relazione tra luce e <strong>colore</strong> è <strong>del</strong> 1666. Isaac Newton (1646-1727) spiega con un esperimento<br />
pratico che la luce è un insieme di raggi di colori diversi. L’occhio umano percepisce solamente una piccola parte <strong>del</strong>le onde luminose<br />
esistenti in natura; a queste corrisponde uno spettro di sette colori. Lo scienziato Newton dimostrò che la luce che noi percepiamo come<br />
bianca, in realtà porta una gamma di sette colori. Nel suo esperimento fece attraversare un prisma di cristallo da un raggio di luce; tale<br />
raggio si scompose elegantemente in sette colori. Aveva dimostrato che la luce “bianca” è tale solo perché si tratta <strong>del</strong>la sommatoria dei<br />
sette colori. Alla stessa stregua, in natura, tutto questo si palesa con l’arcobaleno dove la luce che passa attraverso le piccole gocce<br />
d’acqua, sospese nell’aria dopo una pioggia, si scompone nei sette colori <strong>del</strong>lo spettro portando con sé le relative gradazioni intermedie;<br />
in seguito a questo esperimento si è compreso che l’oggetto che riflette tutte le onde luminose appare bianco (il bianco è la somma di<br />
tutti i colori), l’oggetto che assorbe tutte le onde senza restituirle al nostro senso “vista” appare nero (il nero comporta l’assenza di<br />
<strong>colore</strong>), l’oggetto che assorbe tutte le onde e ne riflette soltanto uno, avrà il <strong>colore</strong> <strong>del</strong>l’onda riflessa. È per questo motivo che in alcuni<br />
ambienti artistici, il <strong>colore</strong> nero ed il bianco, vengono considerati come “non colori”, il primo perché assorbe tutte le onde ed il secondo<br />
perché le riflette tutte. Il <strong>colore</strong> è il coronamento di una unità edilizia, <strong>del</strong>le sue decorazioni, ed è il vettore di tutto l’insieme che l’occhio<br />
percepisce, per mezzo <strong>del</strong>la vista, <strong>del</strong> risultato <strong>del</strong> genio umano. Da qui si evince l’importanza <strong>del</strong> <strong>colore</strong>, <strong>del</strong>le problematiche che ne<br />
scaturiscono nel tutelarlo, nel definirlo, nel codificarlo per permettere a tutti gli abitanti <strong>del</strong> centro storico, di Olbia e di San Pantaleo, di<br />
poterlo fe<strong>del</strong>mente riproporre.<br />
Di seguito viene riportata una <strong>del</strong>le tante tipologie di “cerchio cromatico”; è quello prodotto da Johannes Itten, professore <strong>del</strong> Bauhaus,<br />
nel 1961.<br />
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L’area centrale è occupata dai tre colori “primari”, il giallo, il rosso ed il blu, cioè quelli non ottenibili dalla miscelazione degli altri colori.<br />
Invece, grazie alla miscelazione di questi colori “primari”, si ottengono i colori secondari: il verde, che deriva dalla miscelazione <strong>del</strong> blu e<br />
<strong>del</strong> giallo, l’arancio, che deriva dalla miscelazione <strong>del</strong> rosso e <strong>del</strong> giallo e il viola, che scaturisce dalla miscelazione <strong>del</strong> blu e <strong>del</strong> rosso.<br />
In seguito, e solo dopo tutte queste scoperte, il fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831-1879) studiò le onde elettromagnetiche è<br />
poté definire come le “impressioni visive dei colori” derivassero da onde di lunghezze diverse. In ambito architettonico Charles Edouard<br />
Jeanneret Gris, meglio noto con lo pseudonimo “Le Corbusier”, ha contemplato all’interno di un aforisma l’importanza <strong>del</strong>la luce per la<br />
vita, ma soprattutto per la percezione, <strong>del</strong>l’uomo; egli ammetteva che: “L’Architettura è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico dei volumi<br />
sotto la luce”. Tutto questo è quantomeno inopinabile. In fisica la luce si propaga grazie alle onde elettromagnetiche così che ogni<br />
oggetto da essa colpito sia in grado di respingerne una parte e di assorbirne un’altra. È grazie alla loro “lunghezza d’onda” che portano<br />
informazioni differenti, e dunque differenti colori; questi vanno a generare il cosiddetto “cerchio cromatico”. La vera percezione si ha in<br />
seguito all’elaborazione <strong>del</strong> cervello che decodifica le informazioni provenienti dall’iride <strong>del</strong>l’occhio umano componendo i volumi e le<br />
superfici e associando loro il <strong>colore</strong> naturale. È necessario che la realtà sia colpita dalla luce, se vogliamo interagire con le presenze<br />
che essa offre; la notte, ad esempio, non permette tale percezione e l’essere umano non riesce ad usufruire <strong>del</strong> suo “senso” più<br />
importante ed oneroso (in termini di energia impiegata), la vista. L’importanza <strong>del</strong> <strong>colore</strong> interessa ogni ambito <strong>del</strong>la vita umana.<br />
Le prescrizioni e le “schede cromatiche”<br />
Grazie alle seguenti norme, si vuole offrire degli strumenti razionali a tutti i proprietari che, possedendo un’unità edilizia ricadente nel<br />
centro storico di Olbia o di San Pantaleo, vogliano intervenire sulle stesse riportando in auge le peculiarità storiche che ne hanno<br />
permesso i trascorsi temporali.<br />
Le “schede cromatiche”, che seguono, propongono un ventaglio di opzioni colorimetriche che permetteranno, ad ogni proprietario, la<br />
decisione finale riguardo l’aspetto cromatico che il proprio edificio dovrà offrire alla pubblica vista, dunque al contesto storico –<br />
architettonico.<br />
In riguardo si rammenta che:<br />
- per la richiesta di qualunque intervento (ivi compresa la tinteggiatura) è obbligatorio consegnare l’“Allegato A”, <strong>del</strong>le<br />
NTA, dove viene obbligatoriamente richiesta la scelta di una “scheda cromatica” da parte <strong>del</strong> proprietario che fa<br />
richiesta <strong>del</strong>l’intervento stesso;<br />
- i cromatismi riportati nella “scheda cromatica” devono essere estesi all’intera unità edilizia e mai in maniera parziale.<br />
In merito si ricorda che dovranno essere assoggettati alla stessa “scheda cromatica” anche i profili e le porzioni<br />
<strong>del</strong>le unità edilizie che non sono direttamente esposte alla pubblica vista;<br />
- i cromatismi prescelti dovranno considerare il valore <strong>del</strong> contesto, in cui andranno ad inserirsi, rispettandone le<br />
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peculiarità, le armonie e prestando particolare attenzione a non stravolgere l’attuale scenario, soprattutto se di<br />
particolare pregio storico – architettonico –artistico – ambientale, che si è generato nel corso <strong>del</strong>la storia;<br />
- tutti gli elementi che concorrono a formare l’aspetto finale <strong>del</strong>la “facciata” dovranno conformarsi alla “scheda<br />
cromatica” in base al materiale di cui si compongono: ferro o legno;<br />
- le “policromie” sono consentite, esclusivamente, se nel fabbricato vi è la presenza <strong>del</strong>l’elemento architettonico a cui<br />
si riferiscono le “schede cromatiche” stesse; in maniera esemplificativa: se nel fabbricato oggetto <strong>del</strong>la richiesta<br />
<strong>del</strong>l’intervento vi è il “basamento” o lo “zoccolo”, per tale elemento potrà essere utilizzato il <strong>colore</strong> proposto nella<br />
scheda prescelta, altrimenti, tale voce, non dovrà essere presa in considerazione per nessun altro elemento<br />
architettonico o artistico;<br />
- è assolutamente vietato l’utilizzo <strong>del</strong>la stessa “scheda cromatica” per due o più edifici limitrofi o anche parzialmente<br />
adiacenti; grazie a tale prescrizione sarà possibile porre in evidenza una lettura di ogni singola unità edilizia e <strong>del</strong><br />
rapporto tra pieni e vuoti che le stesse possiedono;<br />
- nei casi in cui l’unità edilizia oggetto <strong>del</strong>la richiesta di Autorizzazione, Concessione, D.I.A. o qualunque altro<br />
Nullaosta, sia interamente costituita da elementi in cantonetti di granito “faccia a vista”, o da altro materiale lapideo<br />
o laterizio sempre rigorosamente “a vista”, il <strong>colore</strong> inerente le parti in “ferro” e in “legno” potrà essere scelto tra<br />
l’intera gamma di colori proposta nelle “schede cromatiche”. In ogni caso, come per i casi precedentemente riportati,<br />
il <strong>colore</strong> <strong>del</strong>le parti in “ferro” e di quelle in “legno” dovranno derivare obbligatoriamente dalla stessa “scheda<br />
cromatica”;<br />
- tutte le parti non direttamente adiacenti all’unità edilizia, come ad esempio muri di recinzione, di confine, di<br />
contenimento e quant’altro, dovranno conformarsi alla stessa “scheda cromatica” prescelta per quello stesso<br />
fabbricato. Tali murature avranno lo stesso <strong>colore</strong> <strong>del</strong> “fondo”;<br />
- tutte le parti in “ferro” ed in “legno” non direttamente inserite nell’unità edilizia, come cancelli, ringhiere e quant’altro,<br />
dovranno conformarsi alla stessa “scheda cromatica” prescelta per lo stesso fabbricato;<br />
- la presentazione <strong>del</strong>la “scheda cromatica”, in ogni caso, è obbligatoria per la prima richiesta di intervento utile<br />
all’entrata in vigore <strong>del</strong> presente <strong>Piano</strong> Particolareggiato;<br />
- qualora si volesse “rinfrescare” i colori rispettando la precedente “scheda cromatica” debitamente presentata agli<br />
uffici comunali competenti, la presentazione di una nuova “scheda cromatica” non è obbligatoria;<br />
- la presentazione <strong>del</strong>la “scheda cromatica”, in ogni caso, è obbligatoria per qualsiasi richiesta di variazione cromatica<br />
esistente al momento <strong>del</strong>la richiesta <strong>del</strong>l’intervento stesso;<br />
- dovranno essere utilizzate “tinte” e “vernici” traspiranti e non aggressive per l’integrità complessiva <strong>del</strong>l’intera unità<br />
edilizia;<br />
- la tinteggiatura dovrà essere posta in opera in maniera unitaria e completa senza interruzione alcuna, al fine di<br />
evitare “differenti” risultati cromatici derivanti dalle diverse tempistiche;<br />
- le “tinte” e le “vernici”, una volta poste in opera, dovranno coprire, senza lasciarne intravedere traccia, qualunque<br />
tipologia di “graffito” (degrado antropologico);<br />
- il <strong>colore</strong> dovrà essere posto in opera in maniera assolutamente uniforme in tutta la sua estensione; non saranno mai<br />
concesse sfumature od elaborazioni <strong>del</strong> <strong>colore</strong> stesso (lavorazioni tipo “veneziano” o “spugnato” etc);<br />
Le seguenti “schede cromatiche” sono state estrapolate da edifici campione ricadenti nei centri storici di Olbia e di San Pantaleo, ma<br />
anche nelle aree talvolta ricadenti nei “Centri di antica e prima formazione” facenti parte <strong>del</strong>la sfera storica <strong>del</strong>la città di Olbia e<br />
<strong>del</strong>l’antico abitato di San Pantaleo.<br />
Esse vogliono proporre un ampio ventaglio di possibilità al fine di garantire un potenziale, ed irrinunciabile, apporto soggettivo da parte<br />
dei legittimi proprietari. Le seguenti venticinque “schede cromatiche” constano di 50 differenti proposte colorimetriche; è diritto di<br />
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qualsiasi proprietario selezionare quella ritenuta più soddisfacente da parte <strong>del</strong>lo stesso, è dovere, <strong>del</strong>lo stesso proprietario, rispettare<br />
integralmente l’intera “scheda cromatica” sapendo che non sarà mai possibile selezionare colori derivanti da diverse “schede<br />
cromatiche”stesse. Alla stessa stregua si spera di offrire <strong>del</strong>le regole eque e certe per tutti nella consapevolezza che il patrimonio<br />
edilizio storico lo si tutela, esclusivamente, se ogni persona interviene in merito, evitando personalismi talvolta bizzarri che poco hanno<br />
a che vedere con il contesto storico stesso.<br />
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Bibliografia<br />
- Norma UNI 11182:2006<br />
- Norma NORMAL 1/88<br />
- Luca Zevi, Il manuale <strong>del</strong> restauro architettonico, Mancosu editore, Roma, 2007<br />
- Roberto Cecchi, Il restauro, Spirali, Milano, 2008<br />
- Agostino Sica e Costabile Cerone, <strong>Piano</strong> <strong>del</strong> <strong>colore</strong> <strong>del</strong> Comune di Agropoli, Provincia di Salerno, 2008<br />
- Cesare Brandi, Teoria <strong>del</strong> restauro, Einaudi, Torino, 1963<br />
- Daniela Chiesi, Degrado e diagnostica, patologie e cause di degrado, Firenze, 2007<br />
- Giovanni Carbonara, Trattato di restauro architettonico, UTET, Torino, 1996<br />
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