Fedro, Marziale, Giovenale
Fedro, Marziale, Giovenale
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Exemplaria<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
Giulia Colomba Sannia S192<br />
Collana di autori e testi latini<br />
<strong>Fedro</strong>, <strong>Marziale</strong>, <strong>Giovenale</strong><br />
La critica della<br />
corruzione sociale<br />
®<br />
Estratto della pubblicazione
Exemplaria<br />
Giulia Colomba Sannia<br />
Collana di autori e testi latini<br />
<strong>Fedro</strong>, <strong>Marziale</strong>, <strong>Giovenale</strong><br />
La critica della<br />
corruzione sociale<br />
®<br />
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet<br />
Estratto della pubblicazione
Estratto della pubblicazione<br />
A Piero,<br />
Leonardo e Ugo
Copyright © 2006 Esselibri S.p.A.<br />
Via F. Russo 33/D<br />
80123 Napoli<br />
Azienda certificata dal 2003 con sistema qualità certificato ISO 14001: 2004<br />
Tutti i diritti riservati<br />
È vietata la riproduzione anche parziale<br />
e con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione<br />
scritta dell’editore.<br />
Per citazioni e illustrazioni di competenza altrui, riprodotte in questo libro,<br />
l’editore è a disposizione degli aventi diritto. L’editore provvederà, altresì, alle<br />
opportune correzioni nel caso di errori e/o omissioni a seguito della segnalazione<br />
degli interessati.<br />
Prima edizione: febbraio 2006<br />
S192<br />
ISBN 88-244-7987-1<br />
Ristampe<br />
8 7 6 5 4 3 2 1 2006 2007 2008 2009<br />
Questo volume è stato stampato presso<br />
Arti Grafiche Italo Cernia<br />
Via Capri, n. 67 - Casoria (NA)<br />
Coordinamento redazionale: Grazia Sammartino<br />
Grafica e copertina:<br />
Impaginazione: Grafica Elettronica<br />
Estratto della pubblicazione
Premessa<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
In un bell’articolo del 1983, intitolato Il Latino che serve, attualissimo nella disarmante sincerità<br />
con cui è scritto, lo scrittore Luigi Compagnone affermava: «Io ho amato e amo il Latino…Se<br />
ho amato e amo il Latino non è per merito mio. Il merito è della fortuna che come primo<br />
insegnante di materie letterarie mi dette un professore che si chiamava Raffaele Martini… La<br />
sua lezione era un colloquio vivo, un modo chiaro e aperto di farci capire il Latino che per<br />
noi non fu mai una lingua morta. Perché lui sapeva rendere vivo tutto il vivo che è nel Latino.<br />
E nessuno non può non amare le cose vive che recarono luce alla sua adolescenza […]. In<br />
una società in cui le parole di maggior consumo sono immediatezza, praticità, concretezza,<br />
utilitarismo, la caratteristica del Latino è costituita dal “non servire” a nessunissima applicazione<br />
immediata, pratica, concreta, utilitaria… [Il Latino] fa intravedere che al di là delle<br />
nozioni utili c’è il mondo delle idee e delle immagini. Fa intuire che al di là della tecnica<br />
e della scienza applicata, c’è la sapienza che conta molto di più perché insegna l’armonia del<br />
vivere e del morire. È una disciplina dell’intelligenza, che direttamente non serve a nulla, ma<br />
aiuta a capire tutte le cose che servono e a dominarle e a non lasciarsi mai asservire ad esse<br />
[…]. La disgrazia più inqualificabile [per gli studenti] è essere stati inclusi negli studi classici<br />
senza averne tratto nessun vantaggio intellettuale, la vera disgrazia è aver fatto gli studi<br />
classici ritenendoli e mal sopportandoli come il più grave dei pesi… [perché] al tempo della<br />
scuola tutto si è odiato, […] tutto è stato condanna e sbadiglio».<br />
Come dare, dunque, ai ragazzi un Latino che serve ed evitare che il suo studio sia noia<br />
e peso, un esercizio poco proficuo, un bagaglio di conoscenze sterili, di cui liberarsi presto,<br />
non appena si lascia la scuola, se non addirittura, subito dopo la valutazione?<br />
C’è una sola via che conduce all’amore per il Latino e quella via è costituita dalla lettura<br />
dei testi in lingua originale, ma di quei testi che nei secoli hanno resistito alla selezione<br />
e in tutte le epoche sono apparsi imprescindibili. Non possiamo illuderci che la biografia<br />
di un autore, un contesto storico, una pagina critica, un frammento di Nevio, un brano di<br />
Ammiano Marcellino possano avere lo stesso valore e la stessa funzione di una pagina di<br />
Lucrezio o di Tacito, di Catullo o di Cicerone. Quella sapienza che insegna l’armonia del<br />
vivere e del morire, la quale costituisce il portato più alto della cultura classica, passa<br />
d’obbligo attraverso la lettura di testi di altissima qualità. È la lingua latina, con la<br />
perfezione geometrica della sua struttura, con l’armonia delle sue assonanze, con la<br />
raffinatezza dei suoi accorgimenti retorici, a comunicare emozione e rigore logico, senso<br />
del bello e razionalità, accendendo l’interesse dell’adolescente posto di fronte ai grandi<br />
interrogativi della vita.<br />
Aver studiato il Latino, significherà, perciò, per i ragazzi, non tanto aver imparato la<br />
biografia di Cicerone o di Plauto o di Ovidio, o il contesto storico in cui essi hanno vissuto,<br />
ma aver meditato sulle loro parole. In tutte le epoche le loro opere sono state lette e rilette,<br />
Estratto della pubblicazione<br />
5
icercate dagli umanisti in tutte le biblioteche d’Europa, riportate all’esatta lectio filologica,<br />
preservate dall’oblio dai monaci medioevali perché ricopiate con amore.<br />
Ci sono saperi che soltanto la scuola può dare, chiavi di lettura che solo da adolescenti<br />
si ricevono e che, una volta perduti o ignorati, non si recupereranno mai più. Uno studente,<br />
che non abbia letto nella lingua originale Virgilio o Lucrezio o Agostino o Tacito (come<br />
se non avrà letto Dante, Boccaccio e Ariosto), che non abbia acquisito sensibilità di lettore<br />
attraverso la consuetudine con le analisi testuali, mai più potrà provare il brivido di<br />
emozione che la parola poetica comunica. Forse nel tempo, se e quando un’arricchita<br />
sensibilità adulta gli farà avvertire il bisogno di tornare al passato, ricercherà in traduzione<br />
italiana qualche autore particolarmente amato, come Seneca o Catullo. Ma, perché si<br />
manifesti questo desiderio, la scuola dovrà aver trasmesso almeno il senso dello studio del<br />
latino, focalizzando l’attenzione su quello che è grande ed essenziale, evitando di far<br />
disperdere energie ed interesse sull’inutile.<br />
Ci piace citare, a sostegno di quanto si è detto, le parole di Nuccio Ordine.<br />
Nel Convegno tenutosi a Roma dal 17 al 19 marzo 2005 sul tema «Il liceo per l’Europa della<br />
conoscenza», promosso da EWHUM (European Humanism in the World), Nuccio Ordine ha<br />
usato parole che confermano, senza saperlo, quanto andiamo sostenendo da anni sulla<br />
didattica del Latino e che sentiamo il dovere di riportare per la profondità e la chiarezza del<br />
pensiero espresso:<br />
«Conoscere significa “imparare con il cuore”. E ha ragione Steiner a ricordarci che […]<br />
presuppone un coinvolgimento molto forte della nostra interiorità. In assenza del testo,<br />
nessuna pagina critica potrà suscitarci quell’emozione necessaria che solo può scaturire<br />
dall’incontro diretto con l’opera. […]. Nel Rinascimento (i professori) si chiamavano “lettori”,<br />
[…] perché il loro compito era soprattutto quello di leggere e spiegare i classici. […] Chi<br />
ricorderà a professori e studenti che la conoscenza va perseguita di per sé, in maniera gratuita<br />
e indipendentemente da illusori profitti? Che qualsiasi atto cognitivo presuppone uno sforzo<br />
e proprio questo sforzo che compiamo è il prezzo da pagare per il diritto alla parola? Che<br />
senza i classici sarà difficile rispondere ai grandi interrogativi che danno senso alla vita<br />
umana? […]. Non è improbabile che le stesse biblioteche – quei grandi “granai pubblici”, come<br />
ricordava l’Adriano della Yourcenar, in grado di “ammassare riserve contro un inverno dello<br />
spirito che da molti indizi mio malgrado vedo venire”, – finiranno a poco a poco, per<br />
trasformarsi in polverosi musei. E lungo questa strada in discesa, chi sarà più in grado di<br />
accogliere l’invito di Rilke a “sentire le cose cantare, nella speranza di non farle diventare<br />
rigide e mute”? “Io temo tanto la parola degli uomini./Dicono sempre tutto così chiaro:/ questo<br />
si chiama cane e quello casa,/ e qui è l’inizio e là è la fine/ […] Vorrei ammonirli: state<br />
lontani./ A me piace sentire le cose cantare./Voi le toccate: diventano rigide e mute./ Voi mi<br />
uccidete le cose”».<br />
Sulla base di questi presupposti teorici nasce l’antologia latina in fascicoli della collana<br />
Exemplaria che comprende autori e temi di tutta la letteratura latina. Ogni singolo volume<br />
costituisce l’ossatura della storia letteraria e al tempo stesso una sorta di passaggio obbligato<br />
della cultura, perché tutta la letteratura posteriore e tutta la cultura occidentale hanno avuto<br />
come fermo punto di riferimento questi autori. Ed essi sono diventati exemplaria appunto<br />
(da cui il titolo della collana), perché modelli da accettare o rifiutare, ma comunque con<br />
i quali necessariamente confrontarsi per capire il presente.<br />
La scelta dei testi è stata guidata, quindi, dall’esigenza di focalizzare l’attenzione degli<br />
studenti sia sulla personalità dell’autore, sulla sua poetica, sul genere letterario privilegiato<br />
6 Premessa<br />
Estratto distribuito da Biblet
Estratto distribuito da Biblet<br />
e sia, soprattutto, dal desiderio di suscitare l’amore per una lettura che aiuti a capire se<br />
stessi e la vita.<br />
È importante capire bene la struttura dei volumetti per poterla utilizzare al meglio. Ogni<br />
autore è introdotto dal paragrafo Perché leggerlo?, che consiste nella spiegazione, in<br />
sintesi, delle qualità per le quali quell’autore è diventato famoso e merita lo studio.<br />
La vita e il contenuto delle opere hanno, poi, un piccolo spazio in quanto sono solo<br />
funzionali alla migliore ricezione dei testi. Non manca un paragrafo sul genere di appartenenza<br />
o sul tema topico relativo.<br />
Ogni singolo brano quindi è introdotto da una presentazione più o meno breve, per<br />
fornire immediatamente agli studenti le informazioni sul contenuto, seguito dalle note al<br />
testo, che propongono sempre la traduzione e commenti di carattere morfosintattico,<br />
mitologico e storico-culturale, e dall’analisi testuale che permette di cogliere il messaggio<br />
poetico dell’autore, attraverso le strutture formali, stilistiche e letterarie, sia in rapporto ai<br />
generi che alle connessioni intertestuali e intersegniche.<br />
A conclusione di ogni percorso didattico i Laboratori prevedono prove di verifica delle<br />
abilità e delle competenze acquisite sul modello della tipologia A (Analisi testuale) della<br />
prima prova (italiano) all’Esame di Stato, con la scansione consueta del Ministero, in<br />
comprensione, analisi, approfondimento. Poiché si tratta di lingua latina, l’analisi si divide<br />
in analisi morfosintattica sulle concordanze, sui casi ecc. e analisi semantica, sullo stile<br />
e sul linguaggio. L’approfondimento, talvolta, fa riferimento anche alla tipologia B o D<br />
dell’Esame di Stato (saggio breve o trattazione generale). Lo scopo è stato quello di abituare<br />
gli studenti a un metodo che sappia distinguere le fasi del lavoro: comprendere, analizzare,<br />
sintetizzare, approfondire ecc. Non si è voluto rinunciare a momenti di creatività: si vedano<br />
gli esercizi “dare un titolo”, o “creare uno schema”, i confronti “intersegnici” ecc. Questo<br />
tipo di esercizi nella prassi didattica si è sempre rilevato molto gradito agli studenti e<br />
utilissimo a stimolare la loro capacità di osservazione e la loro creatività.<br />
Una coppa circondata da una coroncina di alloro contraddistingue alcuni testi e<br />
prove di verifica di particolare complessità, che possono essere riservati a quegli alunni che<br />
mostrano il desiderio di approfondire o ampliare lo studio dell’argomento e vogliano<br />
perseguire l’eccellenza.<br />
Non mancano le Pagine critiche che offrono le interpretazioni di noti studiosi su aspetti<br />
e tematiche riguardanti l’autore e la sua opera.<br />
I brani antologici sono accompagnati talvolta dai confronti intertestuali e intersegnici e dalla<br />
rubrica Incontro tra autori in cui si confrontano due autori su differenti versioni di un<br />
mito o differenti interpretazioni di un personaggio storico. Personaggi storici, come Cesare,<br />
Bruto, Catilina, o mitici, come Orfeo, Medea, Cassandra, tanto per fare solo qualche nome<br />
molto noto, oppure alcuni episodi famosi, ritornano nelle opere di autori diversi ed ogni<br />
autore li “legge” differentemente, secondo la sua sensibilità e il suo intento poetico. Il titolo<br />
della rubrica richiama una terminologia che si dice ucronica, da oúk + krónos («senza<br />
tempo»), cioè come se essi potessero, per assurdo, incontrarsi al di là delle loro epoche<br />
storiche e del contesto in cui vissero, per esprimere ciascuno di loro, nell’opera letteraria,<br />
il proprio pensiero sullo stesso tema.<br />
Chiude ogni singolo fascicolo il Vocabolario dei termini tecnici.<br />
Estratto della pubblicazione<br />
Premessa<br />
7
Estratto distribuito da Biblet
Indice<br />
Premessa p. 5<br />
Introduzione » 12<br />
Pagine critiche: Favola, epigramma e satira: espressioni del disagio sociale (A. Roncoroni) » 12<br />
<strong>Fedro</strong><br />
1. Perché leggerlo? » 14<br />
2. Il genere letterario di appartenenza: la favola » 15<br />
3. La vita » 16<br />
T1 Fabulae I: Prologo » 17<br />
T2 Fabulae I, 1: Il lupo e l’agnello » 18<br />
T3 Fabulae I, 24: La rana scoppiata e il bue » 20<br />
T4 Fabulae IV, 3: La volpe e l’uva » 22<br />
T5 Fabulae IV, 10: I difetti degli uomini » 23<br />
Pagine critiche: La favola: un’arma contro i prepotenti (L. Perelli) » 24<br />
Gli animali di <strong>Fedro</strong> (E. Diletti) » 25<br />
Animali in sentenze e proverbi (L. Grossi - R. Rossi) » 27<br />
Laboratorio » 28<br />
Prova di verifica 1 - Fabulae: I, 4; I, 7; I, 8; I, 12; III, 8; III, 9; IV, 20 » 28<br />
Prova di verifica 2 - Fabulae: I 1; I 13; I 26; App. Perrottina 16 » 30<br />
<strong>Marziale</strong><br />
1. Perché leggerlo? » 35<br />
2. Il genere letterario di appartenenza: l’epigramma » 36<br />
3. La vita » 36<br />
T1 Epigramma XII, 57: La vita della città » 37<br />
T2 Epigramma X, 74: Preghiera a Roma » 40<br />
Pagine critiche: <strong>Marziale</strong> a Roma (U.E. Paoli) » 42<br />
T3 Epigramma III, 8: Chi è più cieco » 43<br />
T4 Epigramma IV, 44: Ercolano e Pompei » 43<br />
Incontro tra autori: Plinio il Giovane e <strong>Marziale</strong>: L’eruzione del Vesuvio (Epistularum<br />
VI, 16, 4-20) » 45<br />
Pagine critiche: La poetica degli oggetti (C. Salemme) » 49<br />
Il gusto per la rappresentazione realistica (M. Citroni) » 50<br />
L’attualità di <strong>Marziale</strong> (F. Zagato) » 51<br />
Estratto della pubblicazione<br />
9
Laboratorio p. 53<br />
Prova di verifica 1 - Epigramma II, 38 » 53<br />
Prova di verifica 2 - Epigramma IV, 4 » 53<br />
Prova di verifica 3 - Epigramma V, 34 » 55<br />
Prova di verifica 4 - Epigramma VII, 94 » 60<br />
Prova di verifica 5 - Epigramma VIII, 79 » 60<br />
Prova di verifica 6 - Epigramma VIII, 73 » 61<br />
Prova di verifica 7 - Epigramma XII, 31 » 62<br />
Prova di verifica 8 - Epigramma XII, 58 » 64<br />
Prova di verifica 9 - Confronto intertestuale e intersegnico: La città in <strong>Marziale</strong>, in Michele<br />
Sovente e in Camille Pisarro » 64<br />
Prova di verifica 10 - Scrittura creativa » 66<br />
<strong>Giovenale</strong><br />
1. Perché leggerlo? » 68<br />
2. Il genere letterario di appartenenza: la satira » 69<br />
3. La vita » 70<br />
T1 Satira III, 1-9, 20-29, 40-50, 229-36: Roma, città invivibile » 71<br />
Pagine critiche: <strong>Giovenale</strong> contro i ricchi (L. Perelli) » 74<br />
Meditazioni giovenaliane (G. Ceronetti) » 76<br />
T2 Satira IV, 130-54: Un affare di Stato: come cucinare un gigantesco rombo » 77<br />
C1 Confronto intertestuale tra Satira VI, 115-132, e Annales XI, 32-38, di Tacito:<br />
Messalina » 80<br />
Incontro tra autori: Cicerone e <strong>Giovenale</strong>: Donne di cattiva fama (Pro Caelio 49) » 87<br />
T3 Satira XV, 75-92: I cannibali » 88<br />
Pagine critiche: Il concetto di cultura e di “frontiera” in senso antropologico (a cura dell’autrice) » 91<br />
Incontro tra autori: Quintiliano e <strong>Giovenale</strong>: Il rispetto verso i bambini (Institutio<br />
Oratoria I, 3, 14-17) » 92<br />
Pagine critiche: La reverentia per i bambini (G. Ceronetti) » 95<br />
Il rimpianto dell’Età dell’Oro (G. Bellardi) » 96<br />
Laboratorio » 98<br />
Prova di verifica 1 - Satira I, 22-39: Una città perversa » 98<br />
Prova di verifica 2 - Satira III, 60-85: Gli stranieri a Roma » 100<br />
Prova di verifica 3 - Confronto intertestuale: L’efficacia dell’educazione in <strong>Giovenale</strong> e in<br />
Quintiliano » 102<br />
Prova di verifica 4 - Confronto intertestuale: Annibale in <strong>Giovenale</strong> e in Petrarca » 104<br />
Prova di verifica 5 - Confronto intertestuale: Il personaggio della suocera in <strong>Giovenale</strong> e in<br />
Terenzio » 106<br />
Metrica » 110<br />
Vocabolario dei termini tecnici » 114<br />
Legenda:<br />
T = testo con analisi<br />
C = confronto intertestuale o intersegnico<br />
= testi o verifiche di particolare complessità per l’eccellenza<br />
10<br />
Estratto distribuito da Biblet
Estratto distribuito da Biblet<br />
•<strong>Fedro</strong><br />
•<strong>Marziale</strong><br />
•<strong>Giovenale</strong><br />
Estratto della pubblicazione
12<br />
La critica della corruzione<br />
sociale<br />
Introduzione<br />
È molto facile, quasi scontato, criticare, sempre e comunque, i difetti dell’uomo e i mali<br />
della società. Pessima è la natura umana – si sa – e sempre protesa verso il male. E il bene<br />
sembra destinato al silenzio o alla sconfitta.<br />
Ma è anche molto amaro porre l’attenzione esclusivamente sulla corruzione sociale e sulla<br />
depravazione del singolo. È amaro e doloroso, se non si possiede la pacatezza di Orazio<br />
e non si sa sorridere con la grazia delle sue Satire. <strong>Fedro</strong>, <strong>Marziale</strong>, <strong>Giovenale</strong>, infatti, non<br />
riescono a sorridere ed anche quando provocano il riso o sembra che essi stessi ridano<br />
del mondo, c’è come un’asperità di fondo, un ghigno grottesco che percorre il loro<br />
umorismo e, nella tonalità, fa pensare più a Pirandello che alla satira contemporanea a noi<br />
familiare.<br />
<strong>Fedro</strong>, <strong>Marziale</strong> e <strong>Giovenale</strong> non ci dicono nulla che possa troppo meravigliarci, nulla di<br />
nuovo sul disgustoso comportamento degli adulatori del potere, sulla prepotenza proterva<br />
che dilaga, sulla perfidia di alcune donne, sulla meschinità di alcuni uomini, sulla avidità<br />
diffusa di ricchezze, sulla banalità e la volgare superficialità di troppi.<br />
Ma è proprio questa possibilità di ritrovare nelle loro pagine tanti volti della nostra società<br />
attuale che ci consola e ci aiuta a capire: il degrado del presente, lo scardinarsi dei valori<br />
sociali e civili, l’appannarsi dell’etica di cui tutti giustamente ci lamentiamo, appartengono<br />
purtroppo alla storia dell’umanità, duemila anni fa come oggi. Anzi, oggi la volontà di<br />
realizzare un progresso morale, prima ancora che sociale, economico, scientifico e tecnologico,<br />
percorre le coscienze come mai era avvenuto in passato e l’attenzione ai valori<br />
dell’uomo ha nella cultura europea e occidentale un riconoscimento giuridico mai fin ora<br />
realizzatosi.<br />
Che venga, dunque, ben accolta, la critica della corruzione, ma che lasci una volontà<br />
propositiva, ferma, di migliorare, prima come singoli, poi nell’impegno verso la società,<br />
anche con uno slancio ottimistico che ci venga dalla lettura del passato.<br />
pagine critiche<br />
Favola, epigramma e satira: espressioni del disagio sociale<br />
Angelo Roncoroni tratta in queste pagine il tema del disagio sociale nei generi letterari di <strong>Fedro</strong>, <strong>Marziale</strong> e <strong>Giovenale</strong>.<br />
Favola, satira, epigramma sono tre<br />
generi che condividono un’istanza interessante<br />
quanto rara da cogliere<br />
La critica della corruzione sociale<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
nella produzione letteraria latina: la<br />
voce del malcontento sociale o meglio,<br />
secondo la felice formula di Italo<br />
Estratto della pubblicazione<br />
Lana, la «voce di chi non ha voce».<br />
La letteratura latina è frutto di un’arte<br />
dotta, espressione della sensibilità
colta di singole individualità poetiche<br />
o legata ai centri del potere, cosicché<br />
in essa raramente trova voce il mondo<br />
del quotidiano, con i problemi della<br />
gente umile e con le istanze dell’uomo<br />
comune. Eppure la morale<br />
popolare ha diritto di cittadinanza<br />
nella storia del pensiero al pari della<br />
morale dei filosofi e delle vedute dei<br />
potenti: sta a noi raccogliere con pazienza<br />
le voci dei deboli, se non vogliamo<br />
che la nostra conoscenza dell’antichità<br />
risulti falsata, sbilanciata<br />
in favore dei pochi che contavano,<br />
muta delle voci dei ceti subalterni.<br />
Non c’è però da illudersi di poter stabilire<br />
un contatto diretto con la mentalità<br />
dell’uomo comune: questa, anche<br />
quando ci giunga come voce autentica,<br />
è sempre filtrata dalla letteratura<br />
e dalle convenzioni artistiche.<br />
Senza dire che anche il concetto di<br />
‘uomo comune’ è un’astrazione che<br />
deve essere delimitata attraverso<br />
l’esclusione totale di certe categorie<br />
di uomini, come gli schiavi, i plebei<br />
del livello più basso, il sottoproletariato,<br />
gli stranieri, a cui nessun testo<br />
letterario avrebbe mai pensato di prestare<br />
voce, anche perché è assai dubbio<br />
che questi gruppi avessero qualcosa<br />
da dire, e certamente non avevano<br />
una coscienza comune.<br />
Un genere che prestò qualche attenzione<br />
al quotidiano fu il teatro comico,<br />
che però, oltre a fiorire in un’epoca<br />
ristretta della cultura romana, rappresentò<br />
tipi e situazioni tipiche piuttosto<br />
che fatti reali e concreti. Per il<br />
resto, possiamo solo cogliere un certo<br />
recupero di quotidianità in generi che<br />
non se ne prefiggono programmaticamente<br />
l’osservazione: è riscontrabile<br />
qualche traccia di quotidianità<br />
nell’epistolario di Plinio il Giovane e<br />
nelle Vite di Svetonio, ma si tratta<br />
pur sempre della quotidianità osservata<br />
con gli occhi di un ricco possidente<br />
letterato e di un biografo degli<br />
imperatori.<br />
Generi che, invece, programmaticamente<br />
anche se non esclusivamente,<br />
ci trasmettono la percezione della realtà<br />
osservata con gli occhi dei ceti<br />
subalterni sono i tre che qui si prenderanno<br />
in considerazione. Si tratta<br />
di generi nuovi, come la favola, che<br />
compare ora per la prima volta come<br />
genere autonomo, o che, pur essendo<br />
già stati usati, assumono una funzione<br />
rinnovata, come la satira e l’epigramma.<br />
Riprendendo un’espressione oraziana<br />
(satira II 6, 17), lo specialista di questo<br />
argomento Mario Citroni include<br />
nella caratterizzazione complessiva di<br />
La critica della corruzione sociale<br />
• Introduzione<br />
«Musa pedestre» la satira di <strong>Giovenale</strong><br />
e l’epigramma di <strong>Marziale</strong>,<br />
anche se con le dovute limitazioni<br />
circa la rappresentatività dei loro<br />
scritti, nei quali la dimensione umile<br />
e quotidiana non comporta necessariamente<br />
che il poeta si ponga dal<br />
punto di vista dei ceti umili:«In<br />
<strong>Giovenale</strong> ci sono spazi di larga comprensione<br />
della condizione del cittadino<br />
povero, ma schiavi, stranieri,<br />
emarginati, sono visti per lo più col<br />
pesante disprezzo proprio della mentalità<br />
tradizionale. […] In <strong>Marziale</strong> le<br />
note di ‘protesta sociale’ sono sostanzialmente<br />
limitate alla rivendicazione<br />
di maggiore spazio per gli intellettuali<br />
e per i ceti medi nei quadri superiori<br />
della società e di maggiore umanità<br />
nei rapporti sociali. Solo la favola<br />
esopica aveva espresso nella cultura<br />
antica l’ottica degli schiavi e degli<br />
emarginati sociali. E sarà un ex schiavo<br />
[cioè <strong>Fedro</strong>, liberto di Augusto] a<br />
dare per la prima volta dignità di<br />
genere poetico alla favola».<br />
(A. Roncoroni, Disagio e protesta<br />
sociale: <strong>Fedro</strong>, Persio, Petronio,<br />
<strong>Giovenale</strong>, <strong>Marziale</strong>,<br />
in «Studia Humanitatis», vol. 4,<br />
Signorelli, Milano, 2002)<br />
13
14<br />
La critica della corruzione sociale<br />
<strong>Fedro</strong><br />
1. Perché leggerlo?<br />
<strong>Fedro</strong> è lo scrittore di quelle favole che tutti conosciamo e abbiamo sentito raccontare, perfino<br />
rimaste in forme proverbiali (si pensi al modo di dire: «fai come la volpe e l’uva»), forse senza<br />
nemmeno saperne l’autore. Passate prevalentemente attraverso l’oralità, le sue favole hanno riempito<br />
il nostro immaginario di bambini, facendoci addirittura vedere gli animali secondo il suo<br />
modello.<br />
La favola di <strong>Fedro</strong> ha, quindi, per noi un duplice interesse: antropologico e storico-letterario.<br />
L’interesse antropologico nasce dalla considerazione che la favola, (componimento in cui sono<br />
protagonisti e parlano gli animali con intento didascalico, da distinguere dalla fiaba, genere di<br />
racconto fantastico con elementi magici), ha radici millenarie. Essa attinge dal mondo naturale la<br />
tipologia dei personaggi, gli animali appunto, fissati in schemi rigidi, stereotipati: la volpe = furbizia<br />
pericolosa, il lupo = arrogante violenza, l’agnello = mitezza indifesa, il cane = fedele aiuto ecc.<br />
Agli animali sono accostati, con palese allusione analogica, gli uomini. La favola, come la fiaba del<br />
resto, pur comunicando considerazioni generali e sempre valide sull’uomo, è espressione anche di<br />
un preciso contesto sociale di cui rappresenta i problemi e i valori. Si pensi ai numerosissimi Bestiari<br />
medioevali, ben diversi dalle favole di Esopo e di <strong>Fedro</strong>, poiché esprimono i valori cristiani ed<br />
escatologici del tempo.<br />
Raccontare favole significa, pertanto, educare alla prudenza, alla guardinga difesa nei confronti<br />
della società, sempre pericolosa e fondamentalmente crudele. Il destinatario del racconto orale è,<br />
perciò, il soggetto debole, il bambino, e colui che trasmette il messaggio attraverso la favola è di<br />
solito, l’anziano, depositario di saggezza e di esperienza, perché ha riportato ferite e sconfitte nel<br />
corso della vita. La favola si propone, quindi, l’umile e altissimo proposito di insegnare a vivere nel<br />
mondo, suggerendo la conoscenza degli uomini, senza alcuna pretesa di sacralità, né di approfondimento<br />
filosofico. In questo senso essa compie, a un livello più basso, la stessa funzione del mito.<br />
E, infatti la stessa parola miutos, fabula, significa «favola e mito», sia in greco che latino. Agli dei<br />
protagonisti dei miti subentrano gli animali che gli uomini conoscono bene e dai quali possono<br />
apprendere il comportamento più saggio da tenere.<br />
L’interesse storico-letterario è legato alle modalità di scrittura di <strong>Fedro</strong>. Dice Marchesi che <strong>Fedro</strong><br />
non osserva il reale, non ama le bestie e non le conosce, a differenza del suo illustre predecessore<br />
Esopo, perché è troppo preoccupato di manifestare attraverso di esse l’allegoria. È il mondo zoologico<br />
ad umanizzarsi non viceversa e non c’è scavo psicologico, perché le categorie umane<br />
appaiono rigidamente chiuse nei tipi dell’imbroglione, del superbo, del violento ecc. Vero, ma<br />
ugualmente interessante per noi, è il disincantato pessimismo dell’autore: i suoi personaggi trasmettono<br />
la sconsolata sicurezza che la società non cambierà mai e i prepotenti continueranno a<br />
La critica della corruzione sociale<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
Estratto della pubblicazione
La critica della corruzione sociale<br />
15<br />
• <strong>Fedro</strong><br />
conculcare i deboli: egoisti, malvagi, imbroglioni, spadroneggiano sugli inermi che devono imparare<br />
a difendersi. Sembra quasi che egli anticipi il principio di Torquato Accetto che nel 1600 suggeriva,<br />
con strano ossimoro «la dissimulazione onesta», per sopravvivere nella giungla sociale. Al senso di<br />
impotenza che avverte di fronte alla società, tuttavia, <strong>Fedro</strong> trova una compensazione consolante<br />
nella poesia: egli spera di aver costruito un’opera duratura nel tempo perché meritevole di stima.<br />
Di qui la grande qualità del suo stile, caratterizzato dalla brevitas, dalla sintesi. È uno stile di estrema<br />
leggibilità, nitido, semplice; ogni testo è organizzato in una struttura ordinata che presuppone, o<br />
all’incipit o alla conclusione, la formula fabula docet («la favola insegna»), che è la spiegazione<br />
analogica del raccontino, con la morale sottintesa. Anche l’uso dell’aggettivo o del sostantivo con<br />
valore di epiteto ha un rilievo semantico straordinario, poiché inchioda il personaggio su una<br />
particolarità che lo caratterizza, offrendo al lettore una ricezione immediata e facile. Perfino la<br />
scelta del metro, il senario giambico, è molto oculata, perché egli riesce, con esso, a conferire alle<br />
favole un ritmo uniforme, piano e pacato.<br />
2. Il genere letterario di appartenenza: la favola<br />
In origine si trasmise oralmente un repertorio favolistico a cui fanno riferimento gli autori greci e<br />
latini (Quintiliano accenna alle fabulis nutricularum I, 9, Inst. Or.). A una originaria fase popolare e<br />
orale, fa seguito, per la favola, la fase scritta letteraria, di cui <strong>Fedro</strong> ed Esopo sono gli autori antichi<br />
più famosi.<br />
Autore di favole, in Grecia, come si sa, si dice che fu appunto Esopo (V sec. a. C.). «Lógos di Esopo»<br />
fu definita la favola ed egli fu anche quello che ne fissò lo schema narrativo, quale ritorna in <strong>Fedro</strong>.<br />
Arricchendo il materiale esopico, <strong>Fedro</strong> ha voluto rendere godibile un genere letterario fino ad allora<br />
considerato minore. A Roma Orazio parla di fabellae aniles, confermando la presenza di una<br />
tradizione orale di tipo antropologico a cui abbiamo accennato. Egli stesso fu autore della bellissima<br />
favola-apologo del topo di campagna e del topo di città, nella Satira sesta del II libro.<br />
Nella favola, dunque, come nel testo narrativo occorre prendere in considerazione: la struttura, i<br />
personaggi, il tempo, lo spazio, la voce narrante, il narratario.<br />
• La struttura: la favola è divisa in due parti, il racconto o corpo e il commento o anima. Il<br />
commento si può trovare all’inizio del componimento, promizio, e/o alla fine, epimizio.<br />
• I personaggi: sono in numero limitato, quasi sempre due antitetici, protagonista e antagonista,<br />
animali, o qualche volta, piante, che rappresentano il male e il bene, un conflitto di forze opposte<br />
che si scontrano. Talvolta interviene un terzo personaggio che sopraggiunge e ha la funzione o<br />
di aiutante o di commentare la vicenda, esprimendo il pensiero dell’autore. Le azioni dei protagonisti<br />
possono essere verosimili o inverosimili, ma sempre rispettose delle leggi naturali: ad<br />
esempio, il lupo parla, ma non può mai avvenire che un agnello mangi un lupo. Le qualità<br />
attribuite in Esopo, non sono costanti, perché ogni animale, pur avendo una caratterizzazione<br />
topica, può comportarsi in modo difforme dalla sua natura, per conseguire altri scopi: per<br />
esempio, il cane, a volte, sciocco e ingordo, può altre volte essere fedele. In seguito, però si fissa<br />
un carattere predominante che fa dell’animale il simbolo di un comportamento umano. Lo<br />
scontro tra i due personaggi può essere verbale o fisico, e, quel che è più interessante, la vittoria<br />
non spetta sempre al più forte, ma a colui che ha meglio previsto il comportamento da tenere.<br />
Questo comportamento è detto in greco métis, prudentia (da prae+video): è un insieme di<br />
qualità, quali la sagacia, la velocità nel capire la situazione, il senso dell’opportunità, la duttilità,<br />
Estratto della pubblicazione
• <strong>Fedro</strong><br />
la finzione ecc. <strong>Fedro</strong> introduce anche personaggi storici, ma li prende sempre a modelli del<br />
conflitto umano.<br />
• Il tempo: non scorre né circolare, né rettilineo, ma è un eterno presente in cui tutto avviene hic<br />
et nunc, «ora e subito», quindi è una sorta di atemporalità nella quale si ritrovano in ogni tempo<br />
gli stessi difetti dell’uomo e gli stessi problemi di sempre. Solo raramente si prospetta una<br />
possibilità che nel futuro non si ripetano.<br />
• Lo spazio: i luoghi in cui si svolgono le vicende sono quelli soliti della campagna o della città,<br />
ma del tutto stereotipati e privi di connotati specifici, perché funzionali alla narrazione. Sono la<br />
tana, la stalla, il bosco, la casa, il mare, il fiume ecc. con la loro simbologia letteraria topica che<br />
contrappone luogo aperto = rischio vs. luogo chiuso = protezione, alto = potere vs. basso =<br />
sottomissione ecc. È sempre nello spazio che esplode il conflitto tra i personaggi per il possesso<br />
del luogo o del bene ad esso relativo, come può essere l’acqua o il cibo.<br />
• La voce narrante: è quella del narratore onnisciente al di fuori della storia. Egli orienta il giudizio<br />
del lettore, quando spiega il senso della favola e la sua morale in modo esplicito, senza lasciare<br />
mai al giudizio altrui di trarre le conclusioni. Perfino l’uso dei diminutivi – asellus, bulpecula ecc.<br />
– è funzionale a chiarire verso quale personaggio si debba provare pietà e quale, invece, si debba<br />
condannare. <strong>Fedro</strong> considera, infatti, un exemplum la sua narrazione e vuole mostrare, senza<br />
possibilità di equivoco, da che parte stiano il male e il bene.<br />
• Il narratario: è il lettore al quale l’autore si rivolge in modo esplicito. Nelle favole il poeta parla<br />
con il suo pubblico per operare una distinzione molto acuta: vi sono coloro che non capiscono<br />
e sono la massa, e coloro che capiscono e sono pochi. Egli sa di rivolgersi ai suoi lettori<br />
intelligenti, per i quali ha scritto le favole allo scopo di ostendere («mostrare») la realtà dell’uomo.<br />
In tal modo noi posteri siamo indotti a condividere il punto di vista dell’autore, per sentirci<br />
automaticamente collocati tra gli intelligenti. Perfino la frequenza delle formule dicitur, traditur,<br />
fertur ecc. (= «si dice») dimostra la sua sagace volontà di deporre la responsabilità del racconto,<br />
per assumere quella della valutazione etica che affiderà come prezioso messaggio al suo narratario.<br />
A proposito della validità educativa della favola, il grande scrittore di fiabe Hans Christian Andersen<br />
(1805-1875) afferma: «I saggi dell’antichità erano stati furbi nel trovare il modo di dire la verità alla<br />
gente senza dirgliela in faccia in maniera sgarbata. Gli mettevano davanti agli occhi un singolare<br />
specchio che mostrava ogni tipo di animali e cose strane producendo una vista divertente quanto<br />
educativa. La chiamavano favola e quanto di sciocco o di intelligente facevano gli animali gli uomini<br />
dovevano riferirlo a se stessi e pensare: è di te che parla la favola! Così nessuno poteva prendersela».<br />
(È di te che parla la favola, in «MicroMega» 5, 2000).<br />
3. La vita<br />
Poche e incerte sono le notizie biografiche su<br />
<strong>Fedro</strong>. Per quanto riguarda la patria sappiamo<br />
che nacque intorno al 15 a.C. in Macedonia,<br />
forse fu portato a Roma come schiavo e liberato<br />
da Augusto. Da accenni nella sua stessa<br />
opera (prologo del III libro), si evince che Seiano,<br />
il potente e crudele collaboratore di Tiberio, lo<br />
fece condannare con l’accusa di aver colto nelle<br />
16<br />
La critica della corruzione sociale<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
Estratto della pubblicazione<br />
Favole delle allusioni contro di lui. Dopo la<br />
condanna il poeta soffrì la povertà e molte<br />
umiliazioni, cercando inutilmente, fino alla sua<br />
morte avvenuta forse nel 50 circa d.C., la protezione<br />
di liberti suoi amici diventati potenti.<br />
Scrisse le Favole in cinque libri sul modello di<br />
quelle famose di Esopo e di altre tratte da testi<br />
ellenistici. Non tutte ci sono giunte: 93 sono
state conservate dai codici medioevali e una<br />
parte fu scoperta nel Quattrocento dall’umanista<br />
Niccolò Perotti, ma pubblicata solo ad inizio<br />
T1<br />
Fabulae I: Prologo<br />
La critica della corruzione sociale<br />
17<br />
• <strong>Fedro</strong><br />
Ottocento col titolo di Appendix Perottina,<br />
quando in clima romantico nacque l’interesse<br />
per le fiabe e le favole.<br />
<strong>Fedro</strong> fissa qui il suo canone artistico e annuncia il contenuto allegorico delle favole che si propongono<br />
di muovere il riso (risum movet), di porgere agli uomini ammonimenti di prudenza e suggerire<br />
saggi precetti di vita (prudenti vitam consilio monet).<br />
Metro: senario giambico<br />
Aesopus auctor quam materiam repperit,<br />
hanc ego polivi versibus senariis.<br />
Duplex libelli dos est: quod risum movet,<br />
et quod prudentis vitam consilio monet.<br />
Calumniari si quis autem voluerit, 5<br />
quod arbores loquantur, non tantum ferae,<br />
fictis iocari nos meminerit fabulis.<br />
1-4. Aesopus…monet: «Quegli argomenti<br />
che Esopo inventò, io li elaborai in versi<br />
senari. Duplice è il merito di questo libretto:<br />
quello di far ridere e quello di<br />
dare consigli per vivere una vita saggia».<br />
Aesopus: in posizione di rilievo è il mitico<br />
inventore della favola, del VI sec. a.C., da<br />
lui le favole presero il nome di «esopiche».<br />
I moderni, a partire da Lutero (1500) e<br />
da Giovan Battista Vico (1700), dubitarono<br />
della sua esistenza. È questione discussa<br />
la sua identità di poeta.<br />
Hanc: sottinteso materiam e concordato<br />
con quam è pleonastico per sottolineare<br />
la linea di continuità tra sé ed Esopo;<br />
repperit: perfetto di reperio, letteralmente<br />
significa «trovare», perciò «inventare»;<br />
polivi: perfetto di polio-is, letteralmente<br />
«pulire», «levigare», «imbiancare», qui usato<br />
per esprimere la commutazione stilistica<br />
Analisi<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
da lui adoperata; senariis: verso formato<br />
da sei giambi, metro delle parti recitate<br />
del teatro latino arcaico, verso libero e<br />
vicino al ritmo del parlato, come osserva<br />
Cicerone nell’Orator 184: at comicorum<br />
senarii propter similitudinem sermonis sic<br />
saepe sunt abiecti ut nonnumquam vix<br />
in eis numerus et versus intellegi possit<br />
(«ma senari giambici dei comici per la<br />
loro somiglianza con il discorso parlato<br />
spesso sono così dimessi che talvolta non<br />
è possibile distinguere l’ondata del ritmo»).<br />
È un metro popolare, perciò che<br />
<strong>Fedro</strong> rende elegante (polivi). Quod…movet/<br />
quod…monet: i due versi in rima si<br />
chiamano versi leonini e sottolineano<br />
nella clausola così rilevata la duplice<br />
funzione del libro; libelli: genitivo di<br />
libellus è diminutivo affettuoso di liber-i;<br />
prudentis: genitivo dipendente da vitam;<br />
consilio: ablativo di mezzo; quod/quod:<br />
introducono due dichiarative.<br />
5-7. Calumniari si…fabulis: «Se qualcuno<br />
avesse da criticare perché parlano gli<br />
alberi, non soltanto gli animali, dovrebbe<br />
ricordare che noi scherziamo con storie<br />
immaginarie».<br />
Calumniari: in incipit rilevato, anche<br />
perché polisillabo esprime la convinzione<br />
di <strong>Fedro</strong> di essere facile bersaglio di polemiche;<br />
si quis: si aliquis; si voluerit…meminerit:<br />
periodo ipotetico della<br />
possibilità; quod loquantur: è una causale.<br />
È curioso che <strong>Fedro</strong> alluda ad alberi<br />
parlanti dal momento che nessuna favola<br />
sua ci è pervenuta in cui si dia la<br />
parola agli alberi. Fictis: separato da<br />
fabulis per iperbato, per porre in risalto<br />
entrambi i lessemi chiave; fabula: dalla<br />
radice for-faris, «ciò che viene detto».<br />
testuale T1 Fabulae I: Prologo<br />
Il testo costituisce una dichiarazione di poetica, poiché <strong>Fedro</strong> esprime in esso la<br />
sua visione dell’arte. Scorriamo i punti fondamentali che egli sostiene:<br />
• Esopo è l’inventore del genere che lui, <strong>Fedro</strong>, riprende. La posizione del nome in<br />
incipit dà il massimo rilievo possibile, come riconoscimento dovuto al suo modello.<br />
• <strong>Fedro</strong> ha usato il verso senario e ha rielaborato il materiale fornito da Esopo:<br />
quindi i suoi versi hanno il duplice merito dell’eleganza (= polivi) e della<br />
semplicità, data dalla scelta del metro (versibus senariis).
• <strong>Fedro</strong><br />
18<br />
T2<br />
• Il duplice intento, far ridere ed educare (movet risum/monet vitam), si inserisce nel filone<br />
delle Satire oraziane con il castigare ridendo mores, insegnare col sorriso la saggezza<br />
di vita, che è la più esplicita sintesi della finalità moralistica sottesa al racconto. Il verso<br />
leonino, con la rima monet/movet, sottolinea lo stretto parallelismo tra i due intenti.<br />
• La consapevolezza di poter essere bersaglio di critiche malevole gli fa ribadire che<br />
il suo è un testo fiabesco e, perciò, libero da regole che lo condizionino: fictis<br />
fabulis. Necessita, quindi, più degli altri testi, di quel «patto narrativo» che Umberto<br />
Eco ritiene fondamentale tra lettore e narratore, nella logica del racconto. Il lettore<br />
non deve chiedere la verosimiglianza con la realtà, ma accettare come reali o<br />
possibili le vicende narrate, fossero anche «alberi che parlano».<br />
Anche qui la simmetria dei versi gioca un ruolo fondamentale nell’economia del<br />
discorso, 2 + 2 + 3: due versi dedicati al genere creato da Esopo e rivisitato da<br />
lui; due dedicati allo scopo dell’operetta, (libelli); tre, infine per la difesa da<br />
eventuali critiche. Il verso in più, con un lieve scarto rispetto agli altri due punti,<br />
sta ad indicare il peso che ha il giudizio del pubblico su di lui.<br />
Fabulae I, 1: Il lupo e l’agnello<br />
La favola è un classico esempio di retorica della prevaricazione: spesso chi prevarica cerca in qualche<br />
modo di legittimare il proprio gesto e perfino di ottenere consenso da parte di chi è stato vittima di<br />
quell’abuso di potere.<br />
Metro: senario giambico<br />
Ad rivum eundem lupus et agnus venerant,<br />
siti compulsi. Superior stabat lupus,<br />
longeque inferior agnus. Tunc fauce improba<br />
latro incitatus iurgii causam intulit;<br />
«Cur» inquit «turbulentam fecisti mihi 5<br />
aquam bibenti?» Laniger contra timens<br />
«Qui possum, quaeso, facere quod quereris, lupe?<br />
A te decurrit ad meos haustus liquor».<br />
Repulsus ille veritatis viribus<br />
«Ante hos sex menses male» ait «dixisti mihi». 10<br />
Respondit agnus «Equidem natus non eram».<br />
«Pater hercle tuus» ille inquit «male dixit mihi»;<br />
atque ita correptum lacerat iniusta nece.<br />
1-4. Ad rivum eundem…intulit: «Allo<br />
stesso ruscello erano arrivati un lupo e<br />
un agnello, spinti dalla sete; più in alto<br />
stava il lupo, molto più in basso l’agnello.<br />
Allora il farabutto, eccitato dalla<br />
voracità smodata accampò un pretesto<br />
di litigio».<br />
Siti: ablativo di causa. Notare i nessi<br />
sonori creati dalle allitterazioni della s:<br />
siti compulsi superior…lupus. La simmetria<br />
è costruita sulle coppie oppositive<br />
superior/inferior, lupus/agnus ed è rotta<br />
La critica della corruzione sociale<br />
da longe avverbio che rafforza inferior.<br />
Fauce improba: è ablativo di causa; fauce:<br />
è anche metonimia per indicare la fame;<br />
iurgii causam: è lessico giuridico per indicare<br />
il pretesto di lite; latro-onis: è<br />
letteralmente «il bandito».<br />
5-8. Cur, inquit…liquor: «”Perché”, disse,<br />
“mi hai intorbidito l’acqua mentre bevevo”?<br />
Il lanuto spaventato gli risponde:<br />
“Scusa, ma come potrei fare quello di cui<br />
ti lamenti o lupo? L’acqua scorre da te<br />
alle mie labbra”».<br />
Estratto della pubblicazione<br />
Bibenti: dativo singolare del participio<br />
presente di bibo- is concordato con mihi;<br />
contra: avverbio, «al contrario», si è tradotto<br />
«rispose»; qui: quomodo, «in che<br />
modo»; quaeso: è formula di cortesia;<br />
quereris: da queror, «lamentarsi», (da non<br />
confondere con quaero = «chiedo»); a te:<br />
moto da luogo; ad meos haustus: moto<br />
a luogo; haustus- us: l’atto del bere, qui<br />
si è tradotto «labbra».<br />
9-13. Repulsus ille…iniusta nece: «Quello<br />
rintuzzato dalla forza della verità,
La critica della corruzione sociale<br />
19<br />
• <strong>Fedro</strong><br />
Haec propter illos scripta est homines fabula<br />
qui fictis causis innocentes opprimunt. 15<br />
disse: “Sei mesi fa parlasti male di me”.<br />
Rispose l’agnello: “Io? Io non ero neppure<br />
nato”. “Tuo padre per Ercole, parlò male<br />
di me,” quello disse e così, afferratolo, lo<br />
sbrana, (dandogli) un’ingiusta morte».<br />
Viribus: ablativo plurale di mezzo, da<br />
vis (= «forza»), si è tradotto col singolare;<br />
male dixisti mihi: corrisponde in<br />
clausola al male dixit mihi del v. 12;<br />
Analisi<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
male dixisti: da maledico, «parlare male»,<br />
è costruito col dativo mihi al v. 10 e al<br />
v. 12; equidem: «io proprio», è rafforzativo<br />
di ego, ad esprimere la meraviglia e<br />
lo sdegno dell’agnello; correptum: participio<br />
congiunto da corripio (da cum+rapio),<br />
«afferrare con forza»; nece: ablativo di<br />
mezzo da nex-cis, «morte violenta», «uccisione».<br />
14-15. Haec propter…opprimunt: «Questa<br />
favola è stata scritta per quegli uomini<br />
che schiacciano gli innocenti con<br />
false accuse».<br />
Haec: staccato per iperbato da fabula in<br />
clausola; anche illos è separato dall’iperbato<br />
da homines.<br />
Opprimunt: il verbo in clausola, rilevato,<br />
è parola chiave.<br />
testuale T2 Fabulae I, 1: Il lupo e l’agnello<br />
Il racconto del lupo e dell’agnello è forse il più famoso di tutta la raccolta di<br />
favole. Non a caso <strong>Fedro</strong> lo ha collocato per primo. Antonio La Penna (in<br />
«Società» XVII, 1961), intitolando il suo saggio «La morale della favola esopica<br />
come morale delle classi subalterne nell’antichità», prende questa favola ad<br />
esempio della prevaricazione sistematica sul più debole da parte del più forte. E<br />
quel che colpisce nel testo è la volontà del più forte, il lupo, di avere una sorta<br />
di alibi legale prima di compiere la sua azione malvagia: non sbrana l’agnello e<br />
basta, cerca cavilli “giuridici”, per giustificare il suo gesto, mostrando un uso<br />
sconsolante e distorto della legge.<br />
In vero si tratta di un messaggio amaro di straordinaria attualità, perché sollecita<br />
il nostro risentimento nei confronti delle ingiustizie e delle prepotenze. La<br />
concezione dello “Stato di diritto”, che noi abbiamo ereditato dalla cultura<br />
illuminista, – per la quale i diritti dell’individuo, specialmente se soggetto più<br />
debole, sono sacri, e vanno tutelati, – ci fa avvertire con maggiore chiarezza il<br />
valore delle azioni violente.<br />
Consideriamo, dunque, il testo. “Ma come”, ci viene da pensare, “l’agnello gli<br />
risponde pure?” La sua ingenua logica gli fa credere che il lógos, la parola, valga<br />
più della protervia e serva al debole per difesa. Passa perfino una punta sottile<br />
di ironia, quasi un sollievo, nella seconda risposta, attraverso quell’equidem che<br />
è un capolavoro di meraviglia: «Io? Ma io proprio sono fuori delle tue accuse»,<br />
gli dice, rinfrancato, «non esistevo». Ma nemmeno il «non esserci stato» salva dalla<br />
determinazione brutale e ottusa del prepotente: il debole, l’innocente non ha<br />
scampo se su di lui si è fermata l’attenzione dell’arrogante. Siamo di fronte,<br />
quindi, a due logiche opposte, rappresentate, come sempre nella favola, da due<br />
animali stereotipati: l’agnello, simbolo della mitezza, degli “operatori di pace”, si<br />
direbbe con linguaggio evangelico, di tutti coloro che credono possibile risolvere<br />
i problemi con la pazienza e la ragione; il lupo, simbolo della prepotenza dei<br />
potenti che rifiutano il dialogo e colgono ogni pretesto per schiacciare i deboli.<br />
Sulle coppie oppositive del lessico si regge questo contrasto: lupus/agnus, fauce<br />
improba/laniger timens, superior/inferior, opprimunt/innocentes.<br />
E il luogo della prepotenza è un luogo della natura, un rivus, dove potrebbero<br />
tranquillamente convivere due animali, così come due uomini potrebbero fruire<br />
degli stessi vantaggi, se uno dei due non li volesse riservare, con spietato<br />
egoismo, tutti per sé, escludendo l’altro. È molto significativo, infatti, che per<br />
Estratto della pubblicazione
• <strong>Fedro</strong><br />
20<br />
T3<br />
indicare lo stato assoluto di benessere, l’età dell’oro, gli antichi abbiano rappresentato,<br />
come caratteristica emblematica l’immagine del lupo e dell’agnello che<br />
bevono insieme pacificamente alle stesse acque.<br />
La morale, che <strong>Fedro</strong> confina negli ultimi due versi appare, quindi, quasi come<br />
un’inutile appendice a quanto il lettore ha già ampiamente colto nel paradosso<br />
pseudolegale del dialogo tra i due personaggi. Questo dialogo si svolge, con un<br />
ritmo pacato, ma teso verso l’inesorabile conclusione, prevedibile fin dall’inizio: la<br />
verità purtroppo non ha potere contro la violenza, altro che veritatis viribus.<br />
Il periodare semplice, costituito dal prevalere della paratassi, fa rilevare l’aspetto<br />
dialogico che prevale nel testo, con un crescendo di illogicità da parte del lupo,<br />
quasi messo alle strette dalle risposte logiche dell’agnello.<br />
A connotare i due animali troviamo attributi, come di solito, che li umanizzano:<br />
agnus, l’agnello, è spaventato (laniger)…timens; lupus, il lupo è dotato di<br />
improba fauce, («voracità smodata»), da in, prefisso che nega e probus aggettivo<br />
connotante il mos maiorum), è latro, brigante, ladrone, è «respinto dalla forza<br />
della verità» (repulsus veritatis viribus).<br />
Il timbro fonico, con le marcate allitterazioni, asseconda il ritmo cantilenante della<br />
favola, in cui il lessico ampiamente ripetuto, per la sua stessa semplicità, le fa<br />
assumere quasi il tono di un ritornello:<br />
superior…inferior<br />
incitatus intulit<br />
siti compulsi<br />
mihi…mihi…mihi sempre in clausola<br />
qui quaeso quod quereris…liquor<br />
male dixisti mihi…male dixit mihi<br />
correptum lacerat opprimunt<br />
E questa favola che di solito gli studenti leggono appena iniziano lo studio del latino,<br />
si fissa nella memoria per sempre, proprio grazie a questi accorgimenti retorici.<br />
È curiosa la rilettura rovesciata che ne dà Carlo Emilio Gadda («Il primo libro delle<br />
favole», 1951): «L’agnello di Persia incontrò una gentildonna lombarda che prese<br />
a rimirarlo con l’occhialino. “<strong>Fedro</strong>, <strong>Fedro</strong>,” belava miseramente l’agnello, “prestami<br />
il tuo lupo”. Più pericolosa del lupo una gentildonna milanese!».<br />
Fabulae I, 24: La rana scoppiata e il bue<br />
La favola sembra dire «chi si contenta, gode»: una rana invidiosa per imitare un bue finisce per<br />
scoppiare.<br />
Metro: senario giambico<br />
Inops, potentem dum vult imitari, perit.<br />
In prato quondam rana conspexit bovem,<br />
et tacta invidia tantae magnitudinis<br />
rugosam inflavit pellem. Tum natos suos<br />
interrogavit an bove esset latior. 5<br />
1-5. Inops…latior: «Chi non ha le possibilità<br />
e vuole imitare il potente, finisce male.<br />
La critica della corruzione sociale<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
Una volta una rana su un prato osservò un<br />
bue e presa da invidia per così grande mole,<br />
gonfiò la sua pelle rugosa: poi chiese ai<br />
suoi figli se fosse più grossa del bue».
La critica della corruzione sociale<br />
21<br />
• <strong>Fedro</strong><br />
Illi negarunt. Rursus intendit cutem<br />
maiore nisu, et simili quaesivit modo,<br />
quis maior esset. Illi dixerunt «Bovem».<br />
Novissime indignata, dum vult validius<br />
inflare sese, rupto iacuit corpore. 10<br />
Quondam: è parola chiave del linguaggio<br />
affabulato, corrispondente al nostro «c’era<br />
una volta»; conspexit: perfetto di conspicio,<br />
è molto più di vidit, perché indica il «guardare<br />
con attenzione», «valutare»; tacta:<br />
participio passato di tango-is, letteralmente<br />
«toccata»; tantae magnitudinis: genitivo<br />
dipendente dall’ablativo invidia; an esset<br />
latior: interrogativa indiretta dipendente da<br />
interrogavit; latior: è comparativo femminile,<br />
da latus-a-um, riferito a rana; bove:<br />
è secondo termine di paragone.<br />
Analisi<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
6-10. Illi negarunt…corpore: «Quelli dissero<br />
di no. Tese di nuovo la pelle con un<br />
maggiore sforzo e allo stesso modo chiese<br />
chi fosse più grande. Quelli risposero: il<br />
bue. Alla fine esasperata, mentre cercava<br />
di gonfiare ancora con più forza tutta se<br />
stessa, si afflosciò col corpo scoppiato».<br />
Maiore nisu: ablativo di mezzo; negarunt:<br />
forma sincopata per negaverunt; quaesivit:<br />
corrisponde ad interrogavit del verso 5;<br />
quis maior esset: è interrogativa indiretta<br />
retta da quaesivit; novissime: avverbio, «alla<br />
fine»; dum vult: è temporale; indignita:<br />
participio perfetto del verbo deponente<br />
indignor, congiunto al soggetto sottinteso<br />
rana; il dum, quando significa «mentre», in<br />
latino si trova sempre accompagnato dal<br />
presente indicativo, ovviamente in italiano<br />
va tradotto in relazione agli altri tempi<br />
verbali; validius: comparativo dell’avverbio;<br />
iacuit: perfetto, da iaceo-es, letteralmente<br />
significa «giacere»; rupto corpore: ablativo<br />
assoluto con valore causale e temporale<br />
insieme.<br />
testuale T3 Fabulae I, 24: La rana scoppiata e il bue<br />
Questa favola ha un significato, per così dire speculare rispetto a quella della volpe<br />
e l’uva: lì c’è un tentativo fallito di raggiungere un obiettivo con la sdegnata riflessione<br />
da parte della protagonista, che l’obiettivo non meritava ulteriori sforzi; qui c’è<br />
un’ostinazione ottusa di perseguire un obiettivo impossibile fino a comportare<br />
l’autodistruzione. In verità, la volpe appare, a suo modo, ben più saggia della stupida<br />
rana, perché sa misurare le sue forze e giunge, perfino, a trovarsi la consolatoria<br />
certezza che «tanto non ne valeva la pena». La rana, al contrario, mostra una<br />
«deficienza di senso della realtà» direbbe Freud, perché non valuta concretamente la<br />
sua possibilità di assumere un’immagine che le è del tutto estranea.<br />
È interessante notare che i suoi sforzi consistano nel «gonfiarsi»: inflavit pellem,<br />
intendit cutem, vult validius inflare. I tre verbi sottolineano un crescendo di<br />
tentativi che sigla un crescendo di stupidità. E il «gonfiarsi» è verbo metaforico che<br />
si usa per indicare l’orgoglio, l’ira, l’arroganza, di chi esce fuori dalla misura e dai<br />
limiti dettati dal buon gusto e dall’intelligenza.<br />
Anche il «giacere a terra» (iacuit) col «corpo squarciato» (corpore rupto), esprime<br />
l’efficace metafora della persona mediocre che si fa «atterrare», «distruggere» dal<br />
vano tentativo di uguagliare un potente.<br />
La struttura della favola è tra le più lineari e ordinate, ben scandita nelle fasi<br />
temporali e nella distribuzione dei versi 1 + 4 + 4 + 1:<br />
• primo verso, per la morale della favola: il promizio;<br />
• quattro versi, per raccontare il suo iniziale tentativo e la richiesta di parere ai figli;<br />
• quattro versi, per raccontare ancora i suoi vani tentativi, sempre seguiti dalla<br />
richiesta ai figli;<br />
• un verso, per la conclusione con la sua morte.<br />
Anche il passaggio temporale è accuratamente segnato dai quattro avverbi di<br />
tempo: quondam (v. 2), tum (v. 4), rursus (v. 6), novissime (v. 9).<br />
Compaiono qui tre personaggi, il bue lontano e “solenne” come un monumento,<br />
direbbe il Carducci, del tutto indifferente alla tempesta di invidia che ha suscitato;
• <strong>Fedro</strong><br />
22<br />
T4<br />
la rana che è la protagonista, e i figli che hanno la solita funzione del terzo<br />
personaggio, di arbitri nel conflitto tra i due.<br />
Nell’uso prevalente delle coordinate e di un lessico molto semplice, il linguaggio<br />
ha un’immediatezza indiscussa, rilevata anche dalle ripetizioni dei sintagmi.<br />
E ritmiche, infatti, si susseguono le domande della rana e le risposte dei figli che<br />
a noi appaiono perfino un poco impietose, nella loro diretta sincerità:<br />
interrogavit an esset latior<br />
quaesivit quis maior esset<br />
illi negarunt/illi dixerunt.<br />
Ma ritmici sono anche gli enunciati iniziali e finali: dum vult imitari/dum vult<br />
inflari; perit/iacuit.<br />
In questa studiata regolarità si avverte come una punta di riflessione personale.<br />
<strong>Fedro</strong> nell’apologo ha pensato soprattutto al “potente”, come dichiara all’inizio e<br />
non a caso gli contrappone l’antonimo inops, colui che non ha ops-is, «potere»,<br />
«risorse». È tutto qui, dunque, il significato della favola: è pericoloso misurarsi con<br />
chi è «troppo» più grande di sé, meglio evitare l’invidia, perché mai si potrà<br />
arrivare alla magnitudo dell’altro. Una lezione di vita per se stesso?<br />
Fabulae IV, 3: La volpe e l'uva<br />
Dopo un’azione brevissima arriva in forma chiara ed esplicita la morale della favola.<br />
Metro: senario giambico<br />
Fame coacta vulpes alta in vinea<br />
uvam adpetebat, summis saliens viribus.<br />
Quam tangere ut non potuit, discedens ait:<br />
«Nondum matura es; nolo acerbam sumere.»<br />
Qui, facere quae non possunt, verbis elevant, 5<br />
adscribere hoc debebunt exemplum sibi.<br />
1-3. Fame coacta…ait: «Spinta dalla<br />
fame, una volpe cercava di prendere l’uva<br />
da un’alta vite, saltando con tutte le sue<br />
forze. Dopo che non riuscì a toccarla,<br />
andandosene disse:».<br />
Coacta: participio passato da cogo-is,<br />
nominativo concordato con vulpes; alta<br />
in vinea: marca spaziale che definisce il<br />
Analisi<br />
La critica della corruzione sociale<br />
luogo dell’apologo; summis…viribus:<br />
ablativo di strumento; ut non potuit: è<br />
temporale; quam = et eam, si riferisce<br />
all’uva; discedens: participio di discedo,<br />
«allontanarsi».<br />
4-6. Nondum matura…exemplum sibi:<br />
«”Non è ancora matura; non voglio prenderla<br />
acerba”. Coloro che disprezzano a<br />
parole quello che non possono fare, dovranno<br />
riferire questo esempio a se stessi».<br />
Quae non possunt: relativa dipendente<br />
dalla relativa qui elevant verbis, a sua<br />
volta dipendente dalla principale debebunt<br />
adcribere; verbis: ablativo di mezzo;<br />
hoc…exemplum: si riferisce alla favola<br />
stessa, che ha valore paradigmatico.<br />
testuale T4 Fabulae IV, 3: La volpe e l’uva<br />
La favola, talmente nota e così assunta nell’immaginario collettivo, da rivivere in<br />
forma ridotta nell’uso proverbiale di «far come la volpe e l’uva», risale a un’antica<br />
storia sumerica nella quale un cane, che non riesce a prendere i datteri, dice:<br />
«sono amari».<br />
La costruzione testuale è estremamente semplice con una perfetta simmetria tra<br />
le parti 2 + 2 + 2.
• Due versi dedicati allo sforzo di prendere l’uva;<br />
• due versi dedicati alla sua stizzosa rinuncia;<br />
• due versi per la riflessione: epimizio.<br />
La critica della corruzione sociale<br />
23<br />
• <strong>Fedro</strong><br />
Tuttavia nel profondo del comportamento della volpe c’è qualcosa molto interessante,<br />
che aveva suscitato l’ammirazione di La Fontaine e ci induce a riflettere.<br />
Tutto sommato questa rinuncia appare più saggia che stupida e il suo «disprezzo»<br />
è come un pensiero più rivolto a se stessa che agli altri.<br />
Nel testo infatti, si dice che ha impegnato, dapprima, «tutte le sue forze», summis<br />
viribus, e, dopo, solo quando se ne va, discedens, si consola quasi, con la sua<br />
dichiarazione di non volerla mangiare nondum matura, acerbam. È vero che l’ha<br />
disprezzata a parole (verbis), con la sua falsa valutazione, ma è anche vero che<br />
dietro le sue parole si può cogliere una capacità di rinuncia che non implica<br />
disistima di sé, ma che sa accontentarsi di trasferire sull’obiettivo mancato le ragioni<br />
del fallimento. È evidente che ci troviamo di fronte a una sorta di autoinganno,<br />
all’incapacità di autovalutarsi correttamente e di accettare con umiltà i propri limiti,<br />
a una rinuncia forzata e non chiarita. Tuttavia questa volpe, tra le altre volpi<br />
protagoniste astute delle favole di <strong>Fedro</strong>, è quella che fa più simpatia per la sua<br />
plateale ingenuità di fallita che, mentendo a se stessa, si risparmia un dolore.<br />
Fabulae IV, 10: I difetti degli uomini<br />
Gli uomini riescono a vedere con estrema chiarezza i difetti altrui e sono ciechi rispetto ai propri.<br />
Metro: Senario giambico<br />
Peras imposuit Iuppiter nobis duas:<br />
propriis repletam vitiis post tergum dedit,<br />
alienis ante pectus suspendit gravem.<br />
Hac re videre nostra mala non possumus;<br />
alii simul delinquunt, censores sumus. 5<br />
1-3. Peras…gravem: «Giove ci pose addosso<br />
due bisacce: quella ripiena dei nostri vizi<br />
la pose dietro le spalle, quella pesante dei<br />
vizi altrui l’appese davanti al petto».<br />
Peras: in incipit, in rilievo è la «borsa»,<br />
l’oggetto metaforico da cui dipende<br />
l’apologo; duas: in iperbato, concordato<br />
con peras; repletam: è sottinteso peram;<br />
dedit: ha come soggetto naturalmente<br />
Giove; alienis: sottintende vitiis; gravem:<br />
sottintende peram.<br />
Analisi<br />
T5<br />
4-5. Hac re videre…sumus: «Per questo<br />
motivo non possiamo vedere i nostri difetti;<br />
appena gli altri sbagliano, diventiamo<br />
censori».<br />
Hac re: ablativo di causa, si riferisce alla<br />
collocazione delle bisacce; videre: separato<br />
per iperbato da non possumus è posto<br />
in rilievo; simul: avverbio, «appena», introduce<br />
la temporale; alii simul: anastrofe<br />
per simul alii; censores: sottinteso nos,<br />
contrapposto ad alii. I censori erano i due<br />
magistrati romani, in origine patrizi che si<br />
occupavano del censo (averi, tributi, tasse<br />
ecc.). In seguito ebbero anche il compito<br />
di sorvegliare sul comportamento morale<br />
dei cittadini. Censore qui sta, per<br />
antonomasia, a rappresentare chiunque<br />
diventa un critico severo dei costumi.<br />
Famoso fu l’austero Catone (234-139 a.C.),<br />
detto appunto il Censore, per il suo estremo<br />
rigore morale. Notare la rima “a eco”:<br />
possumus…sumus.<br />
testuale T5 Fabulae IV, 10: I difetti degli uomini<br />
Priva di azioni e di personaggi, la brevissima favola, molto nota, e ripresa anche<br />
da Rabelais, esprime una verità assoluta, sulla quale si pronunzia anche Gesù nei<br />
Vangeli, quando dice che non vediamo la trave nei nostri occhi, ma la pagliuzza
• <strong>Fedro</strong><br />
24<br />
in quelli altrui: siamo tanto indulgenti verso i nostri difetti, quanto severi verso<br />
quelli degli altri. È, quindi, una favola eziologica, poiché spiega la causa dei<br />
comportamenti umani.<br />
La riflessione qui si cala in un’immagine in cui la contrapposizione tra noi e gli<br />
altri acquista forza semantica anche dall’uso del lessico:<br />
propriis alienis<br />
post ante<br />
repletam gravem<br />
Una bisaccia è dietro solo “piena”, l’altra è davanti e “trabocca” dei vizi altrui.<br />
Noi non “possiamo” vedere, dice <strong>Fedro</strong>, quasi a scusare la nostra severità nei<br />
confronti del mondo, perché è una volontà superiore che ci ha fatto così e ci ha<br />
fatto male, dandoci il “peso” delle bisacce, come qualcosa di connaturato col<br />
nostro corpo. Il nostro sguardo sull’altro sarà sempre viziato da questa<br />
predisposizione naturale e l’arcigno giudizio è, in fin dei conti, per così dire, la<br />
naturale conseguenza della nostra natura sbagliata.<br />
La stessa brevità del testo sembra voler indicare che non c’è nulla da aggiungere<br />
alla rappresentazione della creatura di Giove e la coordinazione per asindeto,<br />
nell’ultimo verso, sigla la lapidaria verità: è “colpa” del dio se siamo fatti male.<br />
pagine critiche<br />
La favola: un’arma contro i prepotenti<br />
Luciano Perelli ritiene le favole di <strong>Fedro</strong> più una testimonianza del contesto sociale che un’opera d’arte.<br />
<strong>Fedro</strong> riprende il genere della favola<br />
animalesca già trattato in Grecia da<br />
un altro schiavo, Esopo; questo genere<br />
sotto la veste degli animali rappresentava<br />
i costumi e i difetti degli uomini,<br />
ed era una tipica espressione dello<br />
spirito realistico e plebeo, contrapposto<br />
alla letteratura aristocratica. Ancor<br />
prima di Esopo, Esiodo con la favola<br />
dello sparviero e dell’usignolo aveva<br />
voluto colpire la rapacità dei potenti, e<br />
la favola rappresentava l’arma satirica<br />
degli umili contro la prepotenza dei<br />
forti. <strong>Fedro</strong> sviluppa ulteriormente questo<br />
significato di protesta sociale della<br />
favola, e lo adatta alle condizioni specifiche<br />
del suo tempo, sia pure con le<br />
indispensabili cautele, come fece<br />
Trilussa sotto il fascismo. Così <strong>Fedro</strong><br />
definisce la sua favola in rapporto con<br />
quella di Esopo: «Lo schiavo, esposto<br />
alle angherie, poiché quel che voleva<br />
La critica della corruzione sociale<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
non osava dire, i propri sentimenti tradusse<br />
nelle favole e la calunnia eluse<br />
con finti giochi. Io poi di quel suo sentiero<br />
feci una larga via, e più cose misi<br />
in versi di quante egli aveva insegnate,<br />
talune trascegliendone in mia malora».<br />
Infatti nonostante la prudente<br />
cura di non far nomi, e di limitarsi a<br />
rappresentare in forma generale «la<br />
vita e i costumi degli uomini» […], le<br />
allusioni satiriche contenute nelle favole<br />
gli attirarono delle noie e un processo<br />
da parte di Seiano, il potente e<br />
feroce ministro di Tiberio; forse egli<br />
riuscì a salvarsi solo grazie alla morte<br />
di Seiano. In <strong>Fedro</strong> uno degli accenti<br />
più sinceri ed accorati viene dalla coscienza<br />
rassegnata dell’umile che sa<br />
di non poter parlare apertamente contro<br />
i potenti […]. Del resto anche <strong>Fedro</strong><br />
fu costretto a barcamenarsi, a cercare<br />
protezione e appoggio in personaggi<br />
Estratto della pubblicazione<br />
influenti, poiché nel mondo in cui viveva<br />
senza queste protezioni non era possibile<br />
farsi avanti né essere sicuri.<br />
La valutazione dell’arte di <strong>Fedro</strong> è<br />
inscindibile dai temi della satira politica<br />
e sociale; le sue favole più vitali<br />
sono quelle dove si leva l’amara protesta<br />
dell’umile costretto a subire i<br />
soprusi dei potenti, camuffati da una<br />
maschera di legalità (come la favola<br />
del lupo e dell’agnello, che può essere<br />
presa a simbolo della sua poesia),<br />
dove si cela lo sdegno davanti all’eterno<br />
spettacolo degli ingenui beffati<br />
dai furbi, dei lestofanti e degli<br />
adulatori che si strisciano ai potenti<br />
per salire in alto. Non c’è bisogno di<br />
cercare allusioni e riferimenti precisi<br />
in ogni caso, poiché vi è la denunzia<br />
di un costume più che di singole persone.<br />
Meno felici sono altre favole dove<br />
vi è un moralismo generico, talora con