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A.A. Quaderni habitat: Biocostruzioni 2009.pdf

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La capacità di alcuni organismi di costruire<br />

strutture permanenti (biocostruzioni) aumentando<br />

volume, complessità ed eterogeneità dell’<strong>habitat</strong>,<br />

caratterizzando così il paesaggio subacqueo,<br />

è un fenomeno di notevole importanza scientifica<br />

e pratica: le biocostruzioni coinvolgono, infatti,<br />

molteplici aspetti, da quelli biologici ed ecologici a<br />

quelli ambientali e climatici.<br />

Sono due le strategie fondamentali sulle quali si<br />

basa una biocostruzione: il gregarismo e la<br />

colonialità. Tra le biocostruzioni il coralligeno è<br />

senza dubbio tra le più interessanti e complesse:<br />

non è una vera e propria comunità ma un insieme<br />

di comunità, risultato dell’equilibrio dinamico tra<br />

gli organismi costruttori, fra i quali fondamentali<br />

sono le alghe calcaree, e quelli distruttori.<br />

Il coralligeno, oltre che nel suo aspetto primario<br />

con dominanza di alghe calcaree, può presentare<br />

facies con dominanza animale: grandi briozoi<br />

ramificati, madreporari coloniali, gorgonacei.<br />

In questo volume, oltre al coralligeno,<br />

vengono trattati le piattaforme a<br />

corallinacee e vermetidi, i banchi a<br />

Cladocora caespitosa e a policheti<br />

(Sabellaria e Ficopomatus), le facies a<br />

corallo rosso e briozoi, le associazioni a<br />

rodoliti, le biocenosi dei coralli profondi.<br />

Molteplici sono le tipologie delle biocostruzioni<br />

presenti nei mari italiani, tutte soggette ad una<br />

forte pressione soprattutto antropica, basti<br />

pensare alla raccolta indiscriminata<br />

del pregiato corallo rosso o<br />

ad alcune metodologie di pesca.<br />

Sono <strong>habitat</strong> che caratterizzano il<br />

paesaggio marino e necessitano di<br />

grande attenzione e tutela, per evitare<br />

la scomparsa di preziosi<br />

hot spot di biodiversità.<br />

<strong>Biocostruzioni</strong> marine<br />

Q U A D E R N I H A B I T A T<br />

22<br />

<strong>Biocostruzioni</strong> marine<br />

Q U A D E R N I H A B I T A T<br />

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare<br />

Museo Friulano di Storia Naturale<br />

22


QUADERNI HABITAT<br />

<strong>Biocostruzioni</strong> marine<br />

22


<strong>Quaderni</strong> <strong>habitat</strong><br />

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare<br />

Museo Friulano di Storia Naturale - Comune di Udine<br />

coordinatori scientifici<br />

Alessandro Minelli · Sandro Ruffo · Fabio Stoch<br />

comitato di redazione<br />

Aldo Cosentino · Alessandro La Posta · Carlo Morandini · Giuseppe Muscio<br />

“<strong>Biocostruzioni</strong> marine · Elementi di architettura naturale”<br />

a cura di Giulio Relini<br />

testi di<br />

Daniela Maria Basso · Guido Bressan · Carlo Cerrano · Renato Chemello · Francesco Cinelli ·<br />

Silvia Cocito · Maria Cristina Gambi · Giuseppe Giaccone · Thalassia Giaccone · Maria Flavia Gravina ·<br />

Paolo Guidetti · Maurizio Pansini · Andrea Peirano · Giulio Relini · Antonietta Rosso · Giovanni Santangelo ·<br />

Leonardo Tunesi · Angelo Tursi<br />

illustrazioni di<br />

Roberto Zanella<br />

progetto grafico di<br />

Furio Colman<br />

foto di<br />

Daniela Maria Basso 45 · Guido Bressan 89, 94, 147, 148, 149 · Frine Cardone 119 · Carlo Cerrano 128,<br />

141 · Renato Chemello 96 · Francesco Cinelli 11, 20, 28, 34, 38, 40, 42, 75/2, 114, 117, 124, 125, 126,<br />

135, 136, 138, 139, 142, 145/1, 145/2 · Silvia Cocito 60, 61, 62, 110 · Maria Cristina Gambi 105 ·<br />

Giuseppe Giaccone 31, 32, 33/1, 33/2, 35/1, 35/2, 37, 39, 43, 46, 47, 109, 116, 121, 133, 146 ·<br />

Jean Georges Harmelin 92· Maurizio Pansini 26 ,49, 52/2, 54/1, 69 · Roberto Pronzato 123 ·<br />

Giulio Relini 129 · Giovanni Santangelo 66, 67 · Egidio Trainito 6, 7, 8, 10, 12, 13, 15, 16, 17, 18, 19,<br />

21, 22, 23, 24, 27, 29, 30, 48, 50, 51, 52/1, 53, 54/2, 55, 56, 57, 58, 59, 63, 64/1, 64/2, 65, 68, 71,<br />

72, 73/1, 73/2, 74, 75/1, 76/1, 76/2, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 90, 95, 99, 100,<br />

101, 102, 106, 107, 108, 112, 113, 115, 120, 122, 130, 132, 134, 144 · Angelo Tursi 111, 143 ·<br />

Christian Vaglio 140<br />

Volume realizzato con la partecipazione della Società Italiana di Biologia Marina (SIBM)<br />

©2009 Museo Friulano di Storia Naturale · Udine<br />

Vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie.<br />

Tutti i diritti sono riservati.<br />

ISBN 88 88192 42 5<br />

ISSN 1724-7209<br />

In copertina: Parete di coralligeno con Paramuricea, Eunicella e Parazoanthus (foto E. Trainito)<br />

QUADERNI HABITAT<br />

<strong>Biocostruzioni</strong> marine<br />

Elementi di architettura naturale<br />

MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE<br />

MUSEO FRIULANO DI STORIA NATURALE · COMUNE DI UDINE


<strong>Quaderni</strong> <strong>habitat</strong><br />

1<br />

Grotte e<br />

fenomeno<br />

carsico<br />

7<br />

Coste marine<br />

rocciose<br />

13<br />

Ghiaioni e<br />

rupi di<br />

montagna<br />

19<br />

Praterie a<br />

fanerogame<br />

marine<br />

2<br />

Risorgive<br />

e fontanili<br />

8<br />

Laghi costieri<br />

e stagni<br />

salmastri<br />

14<br />

Laghetti<br />

d’alta quota<br />

20<br />

Le acque<br />

sotterranee<br />

3<br />

Le foreste<br />

della Pianura<br />

Padana<br />

9<br />

Le torbiere<br />

montane<br />

15<br />

Le faggete<br />

appenniniche<br />

21<br />

Fiumi e<br />

boschi ripari<br />

4<br />

Dune e<br />

spiagge<br />

sabbiose<br />

10<br />

Ambienti<br />

nivali<br />

16<br />

Dominio<br />

pelagico<br />

22<br />

<strong>Biocostruzioni</strong><br />

marine<br />

5<br />

Torrenti<br />

montani<br />

11<br />

Pozze, stagni<br />

e paludi<br />

17<br />

Laghi<br />

vulcanici<br />

23<br />

Lagune,<br />

estuari<br />

e delta<br />

6<br />

La macchia<br />

mediterranea<br />

12<br />

I prati aridi<br />

18<br />

I boschi<br />

montani di<br />

conifere<br />

24<br />

Gli <strong>habitat</strong><br />

italiani<br />

Indice<br />

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7<br />

Giulio Relini<br />

Il coralligeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13<br />

Francesco Cinelli · Leonardo Tunesi<br />

Le alghe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29<br />

Thalassia Giaccone · Giuseppe Giaccone · Daniela Maria Basso ·<br />

Guido Bressan<br />

La fauna: gli invertebrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49<br />

Maurizio Pansini · Carlo Cerrano · Silvia Cocito · Maria Cristina Gambi ·<br />

Antonietta Rosso<br />

La fauna: i vertebrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79<br />

Paolo Guidetti<br />

Altre principali biocostruzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89<br />

Guido Bressan · Renato Chemello · Maria Flavia Gravina · Maria Cristina<br />

Gambi · Andrea Peirano · Silvia Cocito · Antonietta Rosso · Angelo Tursi<br />

Aspetti di conservazione e gestione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115<br />

Francesco Cinelli · Giulio Relini · Leonardo Tunesi<br />

Proposte didattiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143<br />

Guido Bressan · Giuseppe Giaccone · Giulio Relini<br />

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151<br />

Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153<br />

Indice delle specie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155


Introduzione<br />

GIULIO RELINI<br />

■ Introduzione<br />

La capacità di alcuni organismi di<br />

costruire strutture permanenti (biocostruzioni)<br />

aumentando il volume e la<br />

complessità ed eterogeneità dell’<strong>habitat</strong><br />

e quindi caratterizzando il paesaggio<br />

subacqueo, è un fenomeno di<br />

notevole importanza scientifica e pratica.<br />

L’esempio più vistoso sono le barriere<br />

coralline tropicali che si possono<br />

estendere per migliaia di chilometri.<br />

Molteplici sono le tipologie delle biocostruzioni<br />

presenti nei mari italiani<br />

anche se di molto minore estensione.<br />

La biocostruzione può riguardare<br />

diversi aspetti: da quelli biologici ed<br />

ecologici (evoluzione, biodiversità, Coralligeno all’imbocco di una grotta marina<br />

strutturazione della comunità) a quelli<br />

ambientali e climatici (eterogeneità, complessità, ciclo della CO2 , cambiamenti<br />

climatici e del livello marino) e persino socio-economici (pesca, subacquea).<br />

Si tratta di un fenomeno altamente dinamico, risultato dell’equilibrio tra l’azione<br />

dei costruttori e quella dei demolitori e su scala temporale sufficientemente<br />

ampia e compatibile con la durata della vita di alcuni biocostruttori. Questi ultimi,<br />

secondo alcuni autori, sarebbero soltanto gli organismi capaci di formare<br />

strutture carbonatiche e quindi sarebbero compresi in questa categoria anche<br />

mitili, ostriche e balani, ma sarebbero escluse le scogliere a Sabellaria alveolata<br />

che sono costituite da sabbia agglutinata e le “matte” di Posidonia oceanica,<br />

struttura lignificata dei rizomi della fanerogama che può persistere per millenni<br />

e giungere anche alla superficie del mare (vedi il volume sulle Praterie a<br />

fanerogame marine, di questa stessa collana).<br />

La biocostruzione si basa fondamentalmente su due strategie vitali:<br />

● il gregarismo, cioè gli individui si insediano gli uni accanto agli altri come<br />

succede nei serpulidi e nei vermetidi;<br />

Paramuricee<br />

7


● la colonialità, che dipende dalla riproduzione asessuata (moltiplicazione<br />

vegetativa) come nei coralli.<br />

Tra le biocostruzioni il coralligeno è senza dubbio tra le più interessanti e complesse.<br />

È difficile dare una definizione univoca di coralligeno non essendo una<br />

comunità ma un insieme di comunità, risultato dell’equilibrio dinamico tra gli<br />

organismi costruttori e quelli distruttori, considerato da alcuni soprattutto<br />

come paesaggio sottomarino. Una recente definizione, concordata nell’ambito<br />

della Convenzione di Barcellona, è la seguente: “Il coralligeno è un complesso<br />

di biocenosi ricche in biodiversità che formano un paesaggio di organismi<br />

animali e vegetali sciafili e perennanti con un concrezionamento più o<br />

meno importante fatto di alghe calcaree”.<br />

Il nome è stato coniato nel 1883 dal francese Marion il quale, studiando le concrezioni<br />

calcaree del Golfo di Marsiglia, trovava nei campioni pezzi di corallo<br />

rosso e ha chiamato impropriamente tale formazione “coralligeno” cioè “generatore<br />

di corallo”. Tale errata definizione si trova ancora in qualche testo. Sappiamo<br />

oggi che il corallo rosso appartiene ad un <strong>habitat</strong> differente, caratterizzato<br />

da ambienti semioscuri spesso frammisti a coralligeno.<br />

Il coralligeno è caratterizzato da due aspetti deteminanti:<br />

● la biocostruzione è realizzata prevalentemente da alghe calcaree, in condizioni<br />

ambientali marcate da irradianza debole, ma sufficiente per la fotosintesi<br />

di alghe sciafile, da temperatura relativamente bassa e costante, da salinità<br />

uniforme, da acque pulite, da idrodinamismo debole;<br />

● la costruzione organogena si sviluppa sia sui substrati rocciosi (coralligeno<br />

dell’orizzonte inferiore della roccia litorale), sia sui substrati mobili del detritico<br />

costiero a partire generalmente da una formazione a grosse rodoliti, a ghiaie e<br />

sabbie organogene (coralligeno di piattaforma).<br />

In Mediterraneo il coralligeno, come accennato, non è una biocenosi singola,<br />

per l’assenza di un contingente di specie caratterizzanti esclusive e spesso<br />

anche preferenziali, ma è una formazione complessa, marcata da una biocostruzione<br />

con prevalenza di alghe calcaree e che si sviluppa sia nell’infralitorale<br />

(irradianza tra 10-20 e 1% di quella misurata in superficie) sia nel circalitorale<br />

(irradianza tra 0,1 e 0,02% di quella misurata in superficie), ma che costituisce<br />

uno straordinario paesaggio marino sommerso biocostruito del sistema<br />

fitale (che si estende dal sopralitorale all’inizio del batiale, vedi schema) di questo<br />

mare e uno dei suoi poli più ricchi di biodiversità.<br />

Nella regione di Marsiglia sono state descritte 124 specie animali che contribuiscono<br />

al concrezionamento e rappresentano circa il 19% delle specie<br />

descritte. I gruppi più numerosi sono quelli dei briozoi (62%) e dei policheti<br />

(23,4%), seguiti da cnidari (4%), spugne (4%), molluschi (4%), crostacei<br />

(1,6%), e dagli altri con valori inferiori. Queste percentuali variano se si prendono<br />

in esame tutte le specie finora descritte nel coralligeno mediteraneo che<br />

ammontano a 315 alghe, 61 protozoi e 1290 animali di cui 110 pesci.<br />

La luce è uno dei fattori determinanti per la crescita e lo sviluppo del coralligeno<br />

perché le macroalghe, che sono i principali macrocostruttori, necessitano<br />

8 9<br />

Coralligeno con, in primo piano, Axinella polypoides<br />

PROVINCIA<br />

NERITICA<br />

INFRALITORALE<br />

piattaforma<br />

CIRCALITORALE<br />

scarpata<br />

continentale<br />

ZONA LITORALE ZONA BATIALE<br />

LIVELLO SUPERIORE D’UMETTAZIONE<br />

ALTE MAREE NORMALI<br />

sopralitorale<br />

mesolitorale<br />

BASSE MAREE NORMALI<br />

BASSE MAREE ECCEZIONALI<br />

infralitorale<br />

PROVINCIA OCEANICA<br />

piana<br />

abissale<br />

ZONA PELAGICA<br />

ZONA MESOPELAGICA<br />

ZONA BATIPELAGICA<br />

ZONA ABISSOPELAGICA<br />

ZONA ABISSALE<br />

FOSSA OCEANICA<br />

Suddivisione degli ambienti marini rispetto alla profondità e al profilo del fondale<br />

0 m<br />

100 m<br />

200 m<br />

1000 m<br />

4000 m<br />

6000 m


10<br />

di un range ben preciso di irradianza con un’intensità né troppo alta né troppo<br />

bassa. Secondo alcuni studi spagnoli, l’irradiazione varierebbe da 1,3 MJ<br />

m 2 /anno a 50-100 MJ m 2 /anno. Quindi il coralligeno è caratterizzato dalla presenza<br />

di alghe calcaree, debole intensità luminosa, acque relativamente calme,<br />

temperature tra 10 e 23 °C, salinità 37-38‰, profondità da 20 a 120 m su<br />

substrato orizzontale; è presente in tutto il Mediterraneo anche se le maggiori<br />

conoscenze sono per il bacino nord-occidentale. È una formazione, come già<br />

detto, complessa con in superficie le alghe vive concrezionanti, i sospensivori<br />

sono alla base delle concrezioni e sulle pareti delle cavità, i perforanti sono<br />

all’interno delle concrezioni e non manca la fauna dei fondi mobili per la presenza<br />

di sedimento depositatosi nelle cavità e interstizi.<br />

In base a studi effettuati in Francia con il 14 C, l’accrescimento di alcune alghe<br />

calcaree, principali costruttori del coralligeno, è stato valutato tra 0,11 e 0,26<br />

mm/anno, mentre l’età in Mediterraneo nord-occidentale è stata stimata tra<br />

640±120 e 7760±80 anni BP.<br />

L’accrescimento della concrezione è basso (0,006-0,830 mm/anno) e varia<br />

moltissimo nel tempo ma soprattutto con la profondità. I valori più alti sono<br />

stati riscontrati nel coralligeno profondo (0,20-0,83 mm/anno) tra 8000 e 5000<br />

anni BP, quando il coralligeno profondo, con ogni probabilità, si trovava a circa<br />

15 m di profondità. A partire da 5000 BP solo il coralligeno poco profondo<br />

non al di là dei 35 m di profondità, presenta un accrescimento rilevabile tra<br />

0,11 e 0,42 mm/anno.<br />

Bioconcrezioni<br />

Per quanto riguarda la bioerosione<br />

sono tre le categorie di organismi: i brucatori,<br />

i macroperforanti, i microperforanti.<br />

Il 95% del calcare eroso, secondo<br />

alcune stime, è opera dei brucatori e il<br />

5% delle due altre categorie. Uno degli<br />

organismi brucatori più atttivi è il riccio<br />

viola con punte bianche degli aculei<br />

Sphaerechinus granularis, con una stima<br />

di prodotto eroso tra 16 e 210 g di<br />

CaCO3 /m2 /anno; i valori più alti sono<br />

stati misurati in acque meno profonde.<br />

Tra i macroperforanti si possono ricordare<br />

policheti (Polydora spp.), molluschi,<br />

spugne e sipunculidi. Secondo<br />

alcune stime la bioerosione totale si<br />

aggira tra 220 g CaCO3 /m2 /anno in<br />

acque poco profonde e 20 g verso i 60<br />

m di profondità.<br />

Il coralligeno oltre che nel suo aspetto primario con dominanza di alghe calcaree<br />

dell’associazione Lithophyllo-Halimedetum tunae, si può presentare con<br />

dominanza di animali biocostruttori e formare varie facies. Le specie algali<br />

maggiormente responsabili della biocostruzione appartengono ai generi<br />

Lithophyllum, Lithothamnion, Mesophyllum, Neogoniolithon, Peyssonnelia,<br />

Halimeda. Le principali facies con dominanza animale sono caratterizzate da:<br />

grandi briozoi ramificati (coralligeno di piattaforma); madreporari coloniali e<br />

zoantari (coralligeno della roccia inferiore del litorale); gorgonacei su formazioni<br />

rocciose con differente inclinazione, profondità e idrodinamismo.<br />

In questo volume, oltre al coralligeno, vengono trattati le piattaforme intertidali<br />

a corallinacee e a vermetidi, i banchi del madreporario Cladocora caespitosa,<br />

i banchi a policheti (Sabellaria e Ficopomatus), le facies a corallo rosso e briozoi,<br />

le associazioni a rodoliti, le biocenosi dei coralli bianchi profondi.<br />

Ci sono molti altri gruppi di organismi costruttori che qui non possono essere<br />

trattati per motivi di spazio, come i balani nella fascia intertidale superiore, i<br />

mitili e le ostriche che possono dar luogo anche ad imponenti banchi sui quali<br />

si insediano altri organismi. I mitili, in particolare, presentano dei ritmi di<br />

accrescimento notevoli in Adriatico: sono state segnalate in un anno formazioni<br />

che potevano superare i 100 kg/m2 Lithophyllum frondosum e Parazoanthus axinellae<br />

. Nell’Alto Adriatico si trovano interessanti<br />

formazioni organogene simili al coralligeno, chiamate trezze e/o tegnùe,<br />

che negli ultimi anni sono state oggetto di studio e pubblicazioni e alcune di<br />

queste aree godono di misure di protezione.<br />

11


Il coralligeno<br />

FRANCESCO CINELLI · LEONARDO TUNESI<br />

■ Coralligeno infra- e circalitorale<br />

Il coralligeno può essere considerato<br />

come un substrato duro di origine biologica,<br />

prodotto principalmente dall’accumulo<br />

di alghe calcaree incrostanti<br />

che vivono in condizioni di illuminazione<br />

ridotta. Queste alghe e gli<br />

invertebrati che vivono nelle stesse<br />

condizioni di limitata illuminazione Lo cnidario Alcyonium acaule<br />

sono specie sciafile, diverse da quelle<br />

fotofile, più superficiali, che per accrescersi necessitano di livelli maggiori di<br />

intensità luminosa. Considerando la successione dei piani bionomici che<br />

caratterizza i popolamenti bentonici del Mediterraneo, il passaggio dal piano<br />

infralitorale a quello circalitorale è strettamente legato alla riduzione dell’intensità<br />

luminosa che arriva sul fondo. Formalmente questa transizione si verifica<br />

in corrispondenza del limite inferiore della presenza di Posidonia oceanica o, in<br />

assenza di questa specie, alla profondità oltre la quale scompaiono le alghe<br />

fotofile. Quindi il limite tra infra e circalitorale non corrisponde ad una profondità<br />

costante, ma è variabile in funzione delle caratteristiche ambientali del<br />

singolo tratto costiero e si può assumere che il passaggio tra questi due piani<br />

si verifichi tra i -20 e i -45/50 metri, principalmente in funzione della trasparenza<br />

media delle acque.<br />

Alle profondità alle quali inizia il piano circalitorale la luce ambiente è quindi<br />

molto ridotta (0,1-0,02% dell’irradianza superficiale), e il colore dominante è<br />

l’azzurro, a causa dell’assorbimento selettivo che lo strato d’acqua soprastante<br />

compie sullo spettro luminoso. Un’altra peculiarità di questo piano è la temperatura,<br />

che presenta generalmente variazioni molto più ridotte rispetto a<br />

quanto avviene nelle acque soprastanti.<br />

In queste condizioni, scendendo in immersione lungo pareti rocciose, si incontra<br />

il coralligeno, popolamento caratterizzato da formazioni che presentano<br />

una straordinaria esuberanza di vita. Come abbiamo accennato, una prima<br />

caratteristica è l’importanza che in esso rivestono delle particolari alghe calcaree,<br />

le corallinacee.<br />

Savalia (=Gerardia) savaglia in mezzo a Paramuricea clavata<br />

13


14<br />

Questo popolamento, oltre a coprire i fondi duri posti al limite inferiore delle<br />

scogliere sommerse, è presente anche sulle pareti delle secche site alle<br />

profondità interessate dal circalitorale e si può sviluppare anche su fondali pianeggianti.<br />

Il coralligeno che caratterizza questo tipo di fondali in questo caso è<br />

detto di “piattaforma”; questo appellativo è strettamente limitato a quello che<br />

poggia su concrezioni calcaree di origine biologica, a loro volta poste su di un<br />

fondo mobile.<br />

Un altro aspetto che conviene rammentare è che per il coralligeno non è del<br />

tutto corretto utilizzare il termine di biocenosi, normalmente assegnato ad un<br />

popolamento la cui presenza è strettamente legata ad un solo piano bionomico.<br />

Infatti le formazioni coralligene non sono esclusive del circalitorale poiché<br />

possono essere rinvenute anche nell’infralitorale, ovviamente in siti dove le<br />

condizioni di luce, temperatura e concentrazione di materia in sospensione<br />

siano ad esse congeniali.<br />

Quando presente nell’infralitorale questo popolamento, seppure generalmente<br />

caratterizzato da alghe non calcificate, presenta concrezioni che concorrono a<br />

costituire strutture stabili simili a quelle presenti nel circalitorale, alla cui creazione<br />

concorrono anche specie vistose e molto note ai subacquei come la<br />

gorgonia candelabro (Eunicella singularis) e la gorgonia gialla (Eunicella cavolinii).<br />

Alcuni autori in passato hanno utilizzato per questo tipo di popolamento il<br />

nome di “pre-coralligeno”, con il quale indicare da un parte la forte affinità con<br />

i popolamenti del circalitorale e, nel contempo evidenziarne la presenza nel<br />

più superficiale piano infralitorale. Altri autori hanno invece preferito considerare<br />

il coralligeno una biocenosi (quindi strettamente legata ad un piano, quello<br />

circalitorale), caratterizzata però dalla capacità di presentare delle “enclaves”,<br />

cioè delle isole anche nel soprastante piano infralitorale.<br />

Questa difficoltà a “catalogare” il coralligeno nell’ambito della classificazione<br />

bionomica del Mediterraneo in passato ha in parte nuociuto alla rilevanza che<br />

il coralligeno avrebbe meritato dal punto di vista biologico ed ecologico rispetto<br />

ad altri popolamenti meglio valorizzati come, ad esempio, quelli associati<br />

alle praterie di Posidonia oceanica.<br />

Negli ultimi anni anche per il coralligeno ha prevalso un approccio di tipo conservazionistico<br />

che, indipendentemente dalla “collocazione concettuale” di<br />

questo popolamento, ha evidenziato l’importanza di focalizzare l’attenzione<br />

sulle caratteristiche comuni delle diverse realtà che lo possono comporre, al<br />

fine di identificare specifici strumenti gestionali atti a salvaguardarne la particolare<br />

valenza ambientale. Per questi motivi attualmente la definizione di<br />

coralligeno quale “popolamento in grado di costruire substrato duro di origine<br />

biologica mediante l’accumulo di strutture calcaree (bioconcrezionamenti),<br />

costituite in gran parte dalle alghe incrostanti che vivono in condizioni di illuminazione<br />

ridotta” può essere considerata la più opportuna.<br />

■ Descrizione ed ecologia<br />

Le alghe calcaree più rappresentate nel coralligeno sono le rodoficee (alghe rosse)<br />

corallinacee come Lithophyllum stictaeforme, Neogoniolithon mamillosum e<br />

Mesophyllum lichenoides, e le peissonneliacee, come Peyssonnelia rubra, e<br />

altre, tutte caratterizzate dal possesso di un tallo impregnato di carbonato di<br />

calcio. Queste svolgono un’attività costruttrice, ricoprendo e saldando mediante<br />

una sorta di cemento, detriti di roccia, resti animali e scorie di varia origine.<br />

Questi bioconcrezionamenti presentano una superficie rugosa, cavità e condotti,<br />

che costituiscono il substrato perfetto per l’insediamento di molte specie<br />

di invertebrati e organismi sessili, e forniscono rifugio anche a specie di elevato<br />

valore economico come l’aragosta (Palinurus elephas) e a specie ittiche che<br />

possono raggiungere anche notevoli dimensioni come murena (Muraena helena)<br />

e grongo (Conger conger).<br />

Il coralligeno costituisce quindi una struttura particolarmente complessa che<br />

ospita molteplici micro<strong>habitat</strong>, sui quali i fattori ambientali (quali ad esempio<br />

luce, idrodinamismo e sedimentazione) sono in grado di agire in modo talmente<br />

diverso e marcato da determinare differenze notevoli nella composizione<br />

di popolamenti siti anche a meno di un metro di distanza l’uno dall’altro.<br />

Questa eccezionale eterogeneità ambientale consente a diversi popolamenti<br />

di coesistere in ambiti molto ridotti. Dal punto di vista spaziale, schematicamente<br />

si possono distinguere due tipi di coralligeno: quello di acque<br />

Aragosta (Palinurus elephas)<br />

15


16<br />

Margherita di mare (Parazoanthus axinellae)<br />

su Savalia (= Gerardia)<br />

aperte, che può popolare sia tratti pianeggianti<br />

che pareti verticali, e quello<br />

proprio di sporgenze o cavità.<br />

Il popolamento bentonico che concorre<br />

a caratterizzare un tratto di fondale sito<br />

in acque aperte interessato dal coralligeno<br />

è talmente ricco e diversificato<br />

che per descriverlo è necessario distinguere<br />

almeno quattro diversi strati:<br />

● strato superiore, più appariscente,<br />

costituito da esemplari di dimensioni<br />

notevoli quali gorgonie, grosse spugne<br />

erette, briozoi coloniali, che a loro volta fungono da supporto per specie epibionti,<br />

che possono essere vagili, come ad esempio il giglio di mare (Antedon<br />

mediterranea), o sessili come ad esempio lo cnidario Parazoanthus axinellae<br />

(meglio noto come margherita di mare), i cui esemplari possono ricoprire quasi<br />

completamente la parte distale delle spugne gialle Axinella damicornis;<br />

● strato intermedio, caratterizzato dalle alghe calcaree non ancora coperte da<br />

epibionti, spugne, cnidari (di dimensioni più ridotte rispetto a quelli costituenti<br />

lo strato superiore come, ad esempio, la mano di morto Alcyonium acaule),<br />

tunicati (i più comuni sono Halocynthia papillosa e Microcosmus sulcatus),<br />

policheti (ad esempio Filograna implexa) e briozoi (come Pentapora fascialis);<br />

● strato basale, costituito da numerosissime specie di dimensioni molto ridotte,<br />

di frequente più sciafile di quelle degli strati superiori, che costituiscono per<br />

esse un riparo;<br />

● strato sottobasale, caratterizzato da una ricca fauna interstiziale con specie<br />

in grado di spostarsi e trovare rifugio nelle cavità offerte dal substrato, come i<br />

crostacei decapodi dei generi Alpheus e Athanas, e da specie capaci di perforare<br />

sia il substrato duro organogeno, sia la roccia in posto.<br />

I popolamenti coralligeni di sporgenze e cavità, anche ampie come le grotte,<br />

sono caratterizzati da specie diverse rispetto a quelle delle acque aperte. Le<br />

alghe sono spesso assenti a causa dell’intensità luminosa molto ridotta, anche<br />

se si possono incontrare occasionalmente esemplari di Peyssonnelia e Palmophyllum.<br />

Una facies particolare delle grotte semi-oscure è quella dominata<br />

dal corallo rosso (Corallium rubrum), specie alla quale si accompagnano generalmente<br />

i madreporari Caryophyllia smithi e Leptopsammia pruvoti, le spugne<br />

Petrosia ficiformis e Aplysina cavernicola, e il briozoo Celleporina caminata.<br />

Le relazioni biotiche costituiscono una delle forzanti principali nella strutturazione<br />

di tutti gli ecosistemi. Nello specifico l’opera di biocostruzione propria del<br />

coralligeno, che porta alla formazione di fondo duro di natura organogena, può<br />

essere considerata, in estrema sintesi, come il frutto delle relazioni che intercor-<br />

rono da una parte tra le alghe corallinali<br />

e gli altri invertebrati costruttori, contrapposto<br />

all’opera delle specie scavatrici<br />

e/o demolitrici, in grado di modificare<br />

anche in modo rilevante l’operato<br />

delle prime. Inoltre, va considerato che<br />

la maggior parte degli invertebrati sessili<br />

costituenti il coralligeno non si alimentano<br />

direttamente di vegetali o animali<br />

propri di questo popolamento, ma<br />

piuttosto di nutrimento proveniente dal<br />

comparto pelagico. Non bisogna infatti<br />

Il tunicato Halocynthia papillosa, circondato da<br />

altri ascidiacei e da spugne<br />

dimenticare che, nonostante erbivori e carnivori rappresentino importanti componenti<br />

del coralligeno, le due maggiori costituenti della biomassa vivente del<br />

coralligeno appartengono al comparto algale e a quello dei sospensivori.<br />

Un aspetto che svolge un ruolo molto importante per la strutturazione del coralligeno<br />

è la produzione di sostanze attive chimicamente. Queste possono essere<br />

sintetizzate per difendersi dall’attacco diretto di predatori e/o consumatori,<br />

oppure nella competizione per lo spazio, mediando le interazioni tra specie.<br />

Proprio questo secondo ambito può essere considerato quello più tipico dell’ecologia<br />

chimica del coralligeno e caratterizza sia le specie di grandi dimensioni<br />

come spugne, briozoi e tunicati, sia soprattutto quelle che vivono nello strato<br />

basale e sottobasale, per le quali vi sono indicazioni che proprio la produzione<br />

di queste sostanze gioca un ruolo chiave nella competizione spaziale.<br />

Focalizzando l’attenzione sulle relazioni che legano le specie, il coralligeno fornisce<br />

numerosi esempi di associazioni. Il più eclatante può essere considerato<br />

proprio quello dell’epibiosi non-selettiva perché è chiaramente comprensibile il<br />

ruolo giocato da questo tipo di associazione in un popolamento bentonico<br />

caratterizzato dalla sovrapposizione di numerosissime specie in spazi anche<br />

estremamente limitati. Vale la pena ricordare alcuni esempi di epibiosi selettiva<br />

perché motivo di interesse e bellezza scenografica: la gialla margherita di mare<br />

Parazoanthus axinellae, in grado di vivere su spugne del genere Axinella, trasformandone<br />

la silouette in quella di una gorgonia, o Parerythropodium coralloides,<br />

antozoo rosso porpora con polipi bianchi, che generalmente si accresce<br />

sui rami delle gorgonie Eunicella singularis e E. cavolinii.<br />

Anche il commensalismo è un tipo di relazione particolarmente comune nel<br />

coralligeno. Un esempio ben noto è quello che lega la spugna Cliona viridis e il<br />

polichete Dipolydora rogeri che fruisce della protezione e del nutrimento assicuratogli<br />

dal flusso inalante della spugna nella quale vive, ripagandola con<br />

un’azione di ripulitura dell’area circostante la papilla inalante, evitandone il collasso<br />

degli orifizi e consentendo una più efficace azione inalante.<br />

17


Nel coralligeno sono stati descritti anche esempi di mutualismo, come quello<br />

tra lo scifozoo Nausithoe punctata e alcune specie di spugne dei generi Cacospongia<br />

e Dysidea. Queste ultime utilizzano la teca dello scifozoo come sostituto<br />

delle fibre scheletriche, probabilmente per ridurre i costi metabolici legati<br />

alla produzione di nuove fibre scheletriche. A sua volta l’esemplare vivente di<br />

Nausithoe punctata ospitato all’interno della spugna si trova in una situazione<br />

di particolare protezione (in un porifero in grado di produrre sostanze efficaci a<br />

scoraggiare i predatori), con la possibilità di alimentarsi catturando le particelle<br />

presenti nel flusso inalante della spugna ospite. Non mancano anche i casi<br />

di parassitismo come quello descritto per il balano Acasta spongites che si<br />

insedia nell’osculo di una spugna (ad esempio Ircinia variabilis), rendendolo<br />

con il tempo inutilizzabile.<br />

Il coralligeno è considerato il secondo più importante hot spot per la diversità<br />

specifica del Mediterraneo dopo la prateria di Posidonia oceanica e, al contrario<br />

di questa ultima, costituisce una delle mete di maggior interesse per la<br />

subacquea sportiva in Mediterraneo proprio perché caratterizzato da popolamenti<br />

altamente scenografici per i colori e per le forme delle specie che li contraddistinguono.<br />

Proprio la ricchezza faunistica e floristica, la complessità della struttura e il<br />

numero relativamente ridotto di ricerche specificatamente dedicate allo studio<br />

della biodiversità lasciano ipotizzare che il coralligeno sia in realtà il popolamento<br />

più ricco in specie dell’intero bacino del Mediterraneo.<br />

■ Struttura e funzionamento<br />

18 19<br />

Polipi di Nausithoe punctata su una spugna cornea<br />

La notevole mole di dati che riguardano<br />

la diversità dei popolamenti del<br />

mare e specialmente la sorprendente<br />

alta diversità riscontrata nelle biocenosi<br />

di mare profondo, ha portato, alcuni<br />

decenni fa, alla formulazione del concetto<br />

che un ambiente ecologicamente<br />

vecchio e stabile sia caratterizzato da<br />

La complessa biodiversità del coralligeno<br />

un’alta biodiversità e che una biocenosi<br />

giovane e instabile, al contrario, da una bassa biodiversità. Il concetto è<br />

conosciuto in genere come “ipotesi tempo-stabilità”, distinguendo tra comunità<br />

vecchie e ad alta diversità come “adattate biologicamente” e comunità<br />

giovani e a bassa diversità come “controllate fisicamente”. La complessa geomorfologia<br />

delle comunità del coralligeno ha dato origine a una grandissima<br />

varietà di micro<strong>habitat</strong> e, con essi, una moltitudine di opportunità di suddivisione<br />

dell’<strong>habitat</strong> in “nicchie ecologiche” molto specifiche.<br />

Altre ipotesi sono state formulate proponendo che la loro gran diversità sia da<br />

ricercare nelle conseguenze ecologiche del disturbo e dello sconvolgimento<br />

causato da cataclismi naturali come uragani, allagamenti, tsunami o dall’attacco<br />

da parte di predatori, piuttosto che nel rapporto tra stabilità e prevedibilità.<br />

Questa ipotesi, anche se altrettanto affascinante, si adatta forse meglio a<br />

sistemi ad accrescimento abbastanza rapido come le scogliere madreporiche,<br />

piuttosto che a sistemi a lenta crescita come quelli rappresentati dal coralligeno<br />

mediterraneo.<br />

Non c’è dubbio che la distinzione tra l’ipotesi “tempo-stabilità”, quella del<br />

“disturbo intermedio” e quella della dominanza delle specie a più alta velocità<br />

d’accrescimento, si fonda principalmente sull’efficienza dei processi d’esclusione<br />

competitiva e sui suoi effetti sulla diversità della comunità.<br />

Nel tempo sono state formulate anche altre ipotesi come quella che affermava<br />

che le fluttuazioni dei fattori ambientali impediscono alle popolazioni o alle<br />

comunità di raggiungere un equilibrio di dimensioni e di taglie.<br />

Il problema che si pone a questo punto per la biocenosi coralligena è quello di<br />

stabilire se si tratta di una biocenosi antica oppure di recente formazione. Alcuni<br />

fanno pensare ad un sistema molto antico (Plio-Pleistocene) la cui elevata<br />

diversità è il risultato delle interazioni con molti fattori abiotici e biotici e provare<br />

di dimostrare che la loro importanza attuale è la medesima è molto arduo.<br />

I fattori ambientali favorevoli alla formazione e allo sviluppo del coralligeno<br />

consistono in un gruppo abbastanza ristretto di fattori ambientali di controllo<br />

(chimici, fisici, geologici e biologici). Il coralligeno è un sistema dinamico e,


20 attraverso il proprio accrescimento,<br />

soprattutto la produzione di O2 da par-<br />

modella il suo ambiente in modo da<br />

te della componente algale e la produ-<br />

farlo apparire unico e rendendolo ben<br />

zione di carbonato di calcio. Tenendo<br />

distinto dall’ambiente circostante.<br />

conto della biomassa e del rapporto<br />

Dato che l’aspetto più peculiare di un<br />

P/R (rapporto tra produzione e respira-<br />

coralligeno riguarda essenzialmente la<br />

zione) è stata stimata per una comunità<br />

sua struttura, questi ecosistemi sono<br />

di coralligeno di acque relativamente<br />

da considerare soprattutto fenomeni<br />

basse (con Mesophyllum alternans e<br />

biologici. Purtuttavia, qualora i fattori<br />

Halimeda tuna come alghe dominanti)<br />

abiotici si rivelino non ottimali, le strutture<br />

biologiche possono iniziare a per-<br />

una produzione di 465 g di CaCO3 /<br />

m<br />

dere le loro caratteristiche uniche. I fattori biotici che hanno contribuito,<br />

soprattutto in passato, al loro successo sono dati dal loro elevato metabolismo<br />

ed efficienza ecologica, espressi dalla loro elevata biomassa (struttura<br />

molto complessa e stratificata), ed elevato tasso di calcificazione. Gli scheletri<br />

della rete degli organismi si dimostrano larghi, coloniali e robusti atti a dare origine<br />

a strutture coloniali e rigide. La crescita e la distruzione periodica della<br />

rete sembrano modificare alcuni aspetti dell’insieme in modo da fornire nuovi<br />

<strong>habitat</strong> e nuove “nicchie” (cioè ruoli, funzioni) che portano successivamente<br />

ad una maggior diversità delle comunità coralligene rispetto a comunità di fondo<br />

o pelagiche degli stessi livelli batimetrici.<br />

■ Dinamica di costruzione e demolizione<br />

Questi due aspetti (costruttivi e distruttivi) possono essere presi in considerazione<br />

sia a livello di singoli organismi (accrescimento di cellule e tessuti) o di gruppi<br />

di organismi o della intera biocenosi coralligena (fotosintesi, biomassa, produttività)<br />

e dei fattori che maggiormente influenzano questi aspetti. Tuttavia,<br />

ogni organismo e l’intero ecosistema includono un importante aspetto distruttivo<br />

(la respirazione), che può essere misurato considerando la quantità di ossigeno<br />

consumato oppure la materia organica distrutta. Negli organismi viventi<br />

questo bilancio è, in genere, in pareggio e viene indicato più propriamente col<br />

termine di “metabolismo”. Questo concetto generale e il termine metabolismo<br />

possono essere estesi anche ai livelli più elevati dell’organizzazione ecologica<br />

(popolazioni, comunità, biocenosi) e quindi adoperati in tutti i processi biochimici<br />

che nelle biocenosi coralligene coinvolgono sia i processi di costruzione (fotosintesi,<br />

calcificazione), sia quelli di distruzione (respirazione e bioerosione).<br />

La biogeochimica di una porzione del coralligeno o del suo insieme può essere<br />

determinato sia misurando la produzione di O2 o di CO2 (per unità di superficie<br />

o di biomassa), oppure come carbonio organico sotto forma di C6H12O6 . Per le<br />

formazioni coralligene molti degli studi sul metabolismo hanno riguardato<br />

2 /anno. Mentre per un coralligeno più<br />

profondo dominato da Lithophyllum stictaeforme è stata stimata una produzione<br />

molto più bassa (circa 170 g di CaCO3 /m2 L’alga corallinacea Mesophyllum alternans Il polichete Protula<br />

/anno). Valori comunque sempre<br />

più alti di quelli calcolati per l’intera piattaforma delle Baleari che si aggira attorno<br />

ad un valore di 100 g. Molto maggiore sembra il valore riscontrato per la<br />

zona del mare di Alboran, dove il popolamento profondo (25-50 m) di substrato<br />

roccioso dominato da organismi sospensivori a scheletro calcareo come Dendrophyllia<br />

ramea, Pentapora fascialis, Myriapora truncata, Smittina cervicornis,<br />

Salmacina dysteri, Protula sp. e altri, ha dato valori di circa 660 g. In molte formazioni<br />

coralligene, la maggior influenza sul tasso di calcificazione è data dal<br />

tasso di precipitazione della CaCO3 nello scheletro delle specie dominanti nella<br />

comunità presa in considerazione. Numerosi fattori, sia fisici che biologici,<br />

influenzano il tasso di crescita degli scheletri ed è ancora abbastanza sconosciuto<br />

quale di essi sia il più importante. Dato che molti di questi fattori variano<br />

con la stagione o annualmente o sono irregolari, le misure di accrescimento<br />

basate su brevi periodi hanno un valore molto approssimativo.<br />

Se prendiamo poi in considerazione gli aspetti distruttivi, questi ultimi debbono<br />

essere suddivisi in quelli che sono di origine fisica e quelli che sono di origine<br />

biologica. Va tenuto in debito conto anche che molti degli impatti che il<br />

coralligeno sta affrontando attualmente derivano sia da varie attività antropiche<br />

che da invasione di specie aliene (vedi a pag. 133).<br />

Un altro fenomeno importante, ancora poco conosciuto, è quello rappresentato<br />

dalla progressiva acidificazione delle acque di tutti gli oceani.<br />

È chiaro che le distruzioni di origine fisica sono, in molti casi, gravi ed immediatamente<br />

evidenti, soprattutto in caso di grandi fenomeni metereologici o di<br />

grandi disastri ambientali. Al contrario, le distruzioni di origine biologica sono<br />

più sottili, metodiche e molto più lente, ma i loro risultati e gli effetti a lungo termine<br />

possono dimostrarsi molto più gravi degli effetti di origine fisica.<br />

Tra i processi fisici possiamo includere: distruzione meccanica, rotture dovute a<br />

mareggiate, cambiamenti nella salinità o nella temperatura, aumento della sedimentazione<br />

che può portare ad una diminuzione dell’irraggiamento e quindi alla<br />

21


22<br />

Stylocidaris affinis<br />

morte o alla diminuzione della componente<br />

fotosintetica o al soffocamento<br />

degli organismi. Lo spostamento di<br />

grandi masse di sedimento può anche<br />

avere effetti abrasivi sugli organismi<br />

costruttori. Ma anche le attività di eruzione<br />

vulcanica sia primaria che secondarie<br />

(come l’apertura di bocche con<br />

fuoriuscita di acque calde o ricche di<br />

gas, fenomeni affatto rari in molte zone<br />

Sphaerechinus granularis<br />

del Mediterraneo) hanno una rilevanza<br />

notevole sia sulle formazioni coralligene che su altre biocenosi bentoniche.<br />

I processi biologici che portano allo scalzamento, alla perforazione o alla<br />

caduta di porzioni del substrato biogeno sono chiamati bioerosioni. È anche<br />

stato dimostrato come l’attività di bioerosione sia più facile su strutture morte<br />

che su quelle coperte da organismi viventi. Alcuni echinodermi come Sphaerechinus<br />

granularis o, in parte minore anche perché più rari, Echinus melo, Stylocidaris<br />

affinis o Centrosthephanus longispinus possono avere un certo impatto<br />

soprattutto sul coralligeno di profondità. Sembra comunque che la bioerosione<br />

sia inversamente proporzionale alla profondità anche se l’azione di molte<br />

spugne, come quelle del genere Cliona o molluschi come Lithophaga<br />

lithophaga, si esplica in maniera molto evidente anche a più basse profondità.<br />

I pescatori di datteri di mare delle coste napoletane o del Salento hanno trovato<br />

nel coralligeno di falesia una fonte quasi inesauribile di datteri. La loro azione<br />

è stata, ed è tutt’ora, una delle attività antropiche più distruttive a cui queste<br />

biocostruzioni costiere siano andate incontro.<br />

Anche se difficilmente quantificabile, l’azione di alcuni molluschi nudibranchi<br />

come Discodoris atromaculata su spugne del genere Petrosia, che ne rappresentano<br />

la preda d’elezione, può avere un’importanza di tutto rilievo tra le attività<br />

di bioerosione. Le perforazioni vere e proprie sono effettuate da organismi<br />

che variano nelle loro dimensioni da alcuni millimetri a qualche centimetro di<br />

diametro e sono da attribuire a una larga varietà di organismi diversi. Perforazioni<br />

ripetute, riempimento da parte del sedimento, cementificazione dei sedimenti<br />

e riperforazioni sembra che siano in grado di rimpiazzare, in tempi molto<br />

lenti, più del 50% della struttura di partenza. Mentre nelle scogliere coralline<br />

questi processi sembrano avere una rilevanza notevole nella dinamica naturale<br />

facilitandone il collasso fino al crollo sotto lo stesso loro peso; nei sistemi<br />

coralligeni mediterranei non sembrano avere la stessa rilevanza e soprattutto<br />

la stessa intensità. Questi fenomeni contribuiscono spesso alla formazione di<br />

materiale sciolto che può contribuire alla costituzione di strati importanti di<br />

sedimenti alla base delle falesie o attorno alle formazioni di piattaforma che, a<br />

23


24<br />

loro volta, possono essere trasportati e ricompattati all’interno delle stesse<br />

formazioni coralligene o andare a costituire parte dei sedimenti che si accumulano<br />

nelle matte morte di Posidonia oceanica.<br />

Anche gli sversamenti incontrollati di acque di scarico da parte degli impianti di<br />

depurazione concorrono alla degradazione delle biocostruzioni marine. Non<br />

solo c’è una consistente diminuzione della diversità specifica ma spesso, come<br />

in tutti i fenomeni d’inquinamento, alla diminuzione del numero di specie segue<br />

la proliferazione incontrollata di molti individui di poche specie più tolleranti. Nel<br />

caso del coralligeno molte di queste specie appartengono al gruppo dei “bioerosori”<br />

e ciò non fa altro che aumentare la degradazione delle strutture coralline.<br />

Inoltre la presenza di ioni ortofosfato sembra che impedisca la calcificazione<br />

così come la diminuzione di alghe a tallo calcareo a favore di alghe a tallo<br />

molle (Peyssonnelia spp. al posto di Mesophyllum alternans) determina una<br />

minore capacità di biocostruzione e di resistenza di queste strutture.<br />

Da non dimenticare anche che l’inquinamento determina spesso una forte diminuzione<br />

della trasparenza delle acque con conseguente drastica diminuzione<br />

della radiazione luminosa, causando spesso una sensibile diminuzione delle<br />

specie algali (da circa quaranta in aree non inquinate a meno di venti in aree<br />

soggette ad inquinamento). Il coralligeno di piattaforma della Puglia ha, negli<br />

anni recenti, cambiato completamente fisionomia passando da una formazione<br />

a prevalente componente vegetale a formazioni in cui la componente animale,<br />

costituita da filtratori, ha quasi completamente sostituito quella vegetale.<br />

Il mollusco nudibranco Discodoris atromaculata che pascola sulle spugne Petrosia ficiformis<br />

■ I fattori ecologici determinanti<br />

Lo sviluppo delle formazioni coralligene, così come succede per molte biocenosi<br />

marine, è regolato da un gruppo di fattori ambientali che possono essere<br />

distinti in tre categorie: due abiotiche (chimica e fisica), una biotica. In una biocenosi<br />

in equilibrio questi fattori fanno parte integrante o interagiscono con<br />

una coerente e autoregolante unità funzionale (la comunità) che resiste ai cambiamenti<br />

e ha una capacità molto marcata di riprendersi da eventuali stress.<br />

Ma il coralligeno rappresenta molto di più che una semplice enumerazione di<br />

un gruppo di fattori limitanti. È un sistema dinamico che non solo si accresce<br />

ma, con la sua crescita, modifica l’ambiente circostante in modo da acquistare<br />

un carattere di unicità che lo contraddistingue dalle altre biocenosi.<br />

Tra i fattori fisici che hanno maggiormente efficacia, ci sembra debba essere<br />

considerata la luce dato che la componente vegetale rappresenta la base<br />

strutturale di queste formazioni biogene. Alla disponibilità di luce è legato<br />

anche il rapporto tra produzione e respirazione e quindi la possibilità di concentrare<br />

parte della CO 2 emessa come gas sotto forma di carbonio organico.<br />

Naturalmente il rapporto tra produzione e respirazione dipende anche da altri<br />

fattori come la latitudine, la profondità e la torbidità dell’acqua. Nelle zone sottoposte<br />

a una certa turbolenza la CO 2 prodotta in eccesso per le necessità<br />

fotosintetiche della componente vegetale viene rimossa. In acque calme la<br />

rimozione della CO 2 per mezzo della fotosintesi induce il bicarbonato al rilascio<br />

di un’ulteriore quantità di CO 2 spostando l’equilibrio chimico verso un<br />

innalzamento del pH, i cui valori vengono ristabiliti durante la notte. La CO 2<br />

può essere rimossa anche dal sistema per un innalzamento della temperatura<br />

o per precipitazione di carbonato di calcio.<br />

Per quanto riguarda la temperatura sembra che le comunità coralligene sopportino<br />

molto agevolmente le normali variazioni di questo fattore nel Mediterraneo.<br />

Mentre alcuni ritengono che la maggior parte delle specie del coralligeno<br />

siano di tipo stenotermo, altri, più recentemente hanno dimostrato che<br />

essendoci una certa variabilità di questo fattore, molte specie del coralligeno si<br />

comportano come euriterme, anche se esistono specie, come l’alga bruna<br />

endemica del Mediterraneo Laminaria rodriguezii, che dimostra una spiccata<br />

stenotermia. Non c’è dubbio che le condizioni termiche cui sono sottoposte le<br />

comunità coralligene durante tutto l’anno variano meno di quelle che agiscono<br />

sulle comunità più superficiali. Si è visto infatti che durante l’anomalia termica<br />

degli anni 1999-2000, molte delle specie coralligene costituite da filter-feeders<br />

sono andate incontro a una forte moria, probabilmente dovuta al permanere di<br />

temperature elevate per un periodo troppo lungo. A questo forse si sono<br />

aggiunte altre cause come la poca disponibilità di cibo, agenti patogeni o<br />

stress fisiologici. Sembra comunque che la temperatura sia un fattore molto<br />

25


26<br />

Crellia mollior viene parzialmente ricoperta da<br />

un’altra spugna incrostante<br />

importante per quanto riguarda la<br />

riproduzione e che le forme larvali siano<br />

maggiormente sensibili agli stress<br />

termici rispetto alle forme adulte. Per<br />

quanto riguarda i nutrienti, la loro concentrazione<br />

è simile a quella che si<br />

riscontra in analoghe situazioni in tutto<br />

il Mediterraneo con una maggiore concentrazione<br />

durante l’inverno e una<br />

diminuzione durante l’estate, mantenendosi<br />

comunque su valori abbastanza<br />

bassi. Le comunità coralligene sem-<br />

bra che si adattino molto bene a questa situazione dato che un incremento di<br />

queste concentrazioni, come avviene a causa di scarichi ricchi di nutrienti,<br />

interferisce con la composizione delle specie, inibisce i processi di costruzione,<br />

accentua quelli di distruzione e facilita lo sviluppo di specie nitrofile.<br />

Come altre specie bentoniche anche le alghe e gli animali costruttori sono in<br />

gran parte specie stenoaline e variazioni anche modeste di salinità possono<br />

determinare estesi fenomeni di moria. Anche per queste specie vale il principio<br />

secondo il quale l’abbassamento della salinità è più efficace di un suo innalzamento<br />

(sempre che non si tratti di valori eccessivi) e anche in questo caso, come<br />

per la temperatura, conta soprattutto il tempo di esposizione ai valori alterati. Tra<br />

gli altri fattori abiotici il movimento dell’acqua (moto ondoso o correnti) ha una<br />

certa rilevanza. Le correnti presenti a livello delle formazioni coralligene sono<br />

generalmente di tipo unidirezionale e lungo la loro direzione sono spesso orientate<br />

le colonie di filtratori come le gorgonie o gli idrozoi. Non bisogna però sottovalutare<br />

l’effetto che ha comunque il moto ondoso anche a profondità rilevanti<br />

(oltre i 50 metri) quando le onde superino il metro di altezza.<br />

Per quanto concerne i fattori biotici, uno dei fattori più importanti è senza dubbio<br />

la competizione. Essa può avere due aspetti: intraspecifica e interspecifica,<br />

ma è comunque il fattore biotico che maggiormente influenza la composizione<br />

e la struttura delle comunità coralligene. Il suo effetto si esplica congiuntamente<br />

ai fattori abiotici già ricordati. Nel coralligeno, così come in molte altre biocenosi<br />

bentoniche, si manifesta sotto forma di competizione per lo spazio e per<br />

l’energia (luce, risorse alimentari). Il primo è molto più importante e porta ad un<br />

“successo” momentaneo molti organismi del coralligeno, ma la superficie<br />

estremamente irregolare della biostruttura (sporgenze, spaccature, cavità più o<br />

meno ampie) tende ad aumentare la superficie disponibile e di conseguenza a<br />

diminuire la competizione per lo spazio e a incrementare le opportunità per gli<br />

organismi di nutrirsi a differenti livelli in relazione al substrato e alla colonna<br />

d’acqua e questo tende a ridurre la competizione per il cibo. Comunque si pos-<br />

sono elencare alcune delle più comuni<br />

e “ingegnose” capacità di competizione<br />

degli organismi biocostruttori:<br />

● crescita diretta di un organismo al di<br />

sopra di un altro, particolarmente frequente<br />

tra specie incrostanti che crescono<br />

orizzontalmente (competizione<br />

“spalla a spalla”);<br />

● comportamento aggressivo tra vicini<br />

di casa, spesso molto evidente tra cnidari<br />

e pesci. Nei primi si tratta spesso<br />

di una interazione diretta tra i tentacoli<br />

dei polipi e i mesenteri (competizione “testa a testa”), nei secondi si assiste<br />

spesso ad una difesa aggressiva del territorio per limitare la competizione per<br />

lo spazio e per il cibo (murene, cernie, gronghi, ecc.);<br />

● ricoprimento indiretto da parte di una specie sull’altra. Spesso una forma di<br />

alga calcarea fogliacea ad accrescimento più rapido può “ombreggiare” una<br />

forma sottostante riducendone ancora la capacità di sviluppo senza entrare<br />

direttamente in contatto con essa.<br />

Per ridurre o quantomeno limitare le differenti forme di competizione o di predazione,<br />

numerose specie hanno sviluppato risposte immunologiche o allopatiche<br />

per respingere forme adulte aggressive o larve che tentano d’insediarsi.<br />

La produzione di sostanze allochimiche sembra infatti essere una delle strategie<br />

più remunerative per quanto riguarda la competizione per lo spazio da parte<br />

di molti organismi del coralligeno.<br />

Altri fattori biotici, non meno importanti, intervengono a regolare la vita delle<br />

formazioni coralligene. Dal colonialismo al gregarismo, all’epibiosi, al mutualismo,<br />

al commensalismo e al parassitismo. Ognuna di queste interazioni ha<br />

differenti motivazioni e differenti strategie di attuazione.<br />

■ Cenni agli aspetti geomorfologici<br />

La murena (Muraena helena) è particolarmente<br />

agressiva nella difesa del proprio territorio<br />

Il principale criterio di distinzione geomorfologica tra i vari tipi di coralligeno è<br />

basato sull’origine del loro sviluppo: a partire da un substrato mobile o da<br />

matrice rocciosa. Oltre a questi criteri si tiene conto, nella loro classificazione,<br />

della presenza, prossimità o assenza, di coste a forte antropizzazione, degli<br />

effetti dei cambiamenti climatici e di fattori biologici come la dominanza di<br />

certi organismi e la loro velocità di accrescimento. La loro prossimità alla terraferma<br />

o a piccole isole è molto variabile ma il loro sviluppo e la loro “potenza”<br />

geologica possono variare moltissimo a seconda della qualità, soprattutto<br />

la trasparenza, delle acque costiere.<br />

27


Le alghe<br />

THALASSIA GIACCONE · GIUSEPPE GIACCONE · DANIELA MARIA BASSO ·<br />

GUIDO BRESSAN<br />

■ Le alghe del coralligeno<br />

La biocenosi del coralligeno, originariamente<br />

descritta, è caratterizzata nel<br />

suo aspetto tipico dal prevalere delle<br />

alghe calcaree come agenti costruttori<br />

della formazione organogena.<br />

Queste specie sono chiamate “specie<br />

ingegneri” perché edificano la struttura<br />

biocenotica secondo un modello fun- Halimeda tuna<br />

zionale allo sviluppo di un popolamento<br />

variegato di specie vegetali e animali, anche se non coordinano tra di loro<br />

un progetto urbanistico come fanno i nostri ingegneri. Si tratta quindi di specie<br />

algali capaci di diventare fattori biotici importanti per fare nascere, evolvere e<br />

conservare nel tempo una complessa formazione che caratterizza allo stato<br />

vivente estesi paesaggi sommersi e allo stato fossile importanti rilievi montuosi<br />

e collinari dei paesaggi emersi nelle epoche geologiche.<br />

Le alghe calcaree che si trovano nel coralligeno sono una ventina di specie e<br />

dal punto di vista tassonomico appartengono non soltanto alle rodoficee o<br />

alghe rosse (con generi e specie delle famiglie corallinacee e peissonneliacee),<br />

ma anche alle cloroficee (con il genere Halimeda della famiglia udoteacee). Ma<br />

le alghe calcaree che con la loro crescita contribuiscono in maniera determinante<br />

alla costruzione organogena sono solo una dozzina.<br />

I differenti generi e le varie specie, per le quali esistono in letteratura dati certi<br />

sulla loro funzione costruttrice, non si trovano sempre e dovunque insieme.<br />

Ugualmente varia è la loro importanza nella dinamica evolutiva della formazione<br />

organogena, sia sulla base delle regioni biogeografiche, definite su basi<br />

climatiche, sia in funzione della zonazione bionomica, risultato del complesso<br />

sinergismo dei fattori biotici e abiotici di natura climatica (temperatura,<br />

luce, idrodinamismo, ecc.) ed edafica (salinità, sali nutritivi, tipologia del substrato,<br />

ecc.).<br />

La biodiversità algale del coralligeno del Mediterraneo è stata calcolata<br />

recentemente da uno studioso spagnolo in 316 specie; queste possono avere<br />

ruolo costruttore, strutturante in vari popolamenti o ruoli di specie demoli-<br />

Peyssonnelia bornetii<br />

29


30<br />

trici (soprattutto cloroficee e cianobatteri) o semplicemente ruoli poco definiti,<br />

come quello delle specie denominate accompagnatrici, trasgressive da<br />

altre cenosi, aliene, invasive, ecc.<br />

La capacità di costruire l’<strong>habitat</strong> in queste specie algali è conseguente al meccanismo<br />

di mineralizzazione della parete cellulare sotto forma di carbonato di<br />

calcio e di magnesio e con forme cristalline prevalentemente di natura calcitica<br />

nelle corallinacee e aragonitica nelle peissonneliacee e nelle udoteacee. Il<br />

meccanismo nelle alghe calcaree sembra originato da strutture vescicolari del<br />

citoplasma (reticolo endoplasmatico e apparato di Golgi).<br />

Si è accertato sperimentalmente che la mineralizzazione non è conseguente<br />

all’attività fotosintetica, essendo presente anche in specie parassite ed eterotrofe.<br />

Il fenomeno della calcificazione contribuisce ad equilibrare il deficit di<br />

anidride carbonica che accompagna la fotosintesi e a mantenere quindi il<br />

potenziale alcalino nell’acqua di mare.<br />

Dai dati sperimentali molto preliminari, riportati nello studio spagnolo sopra<br />

ricordato si ricava che sono state ottenute misure di produzione di calcare<br />

comprese tra 465 g di CaCO 3 /m 2 /anno in comunità infralitorali con dominanza<br />

di Halimeda tuna e di Mesophyllum alternans e 170 grammi in popolamenti<br />

circalitorali con dominanza di Lithophyllum stictaeforme. I tassi di maggiore<br />

accumulo (tra 0,006 e 0,83 mm/a) si sono misurati in ambienti del circalitorale<br />

superiore caratterizzati da fenomeni di risalita di acque profonde e limpide<br />

(up-welling).<br />

Halimeda tuna<br />

Parte tassonomica Thalassia Giaccone · Giuseppe Giaccone<br />

Le alghe costruttrici del coralligeno.<br />

Le alghe calcaree viventi in Mediterraneo<br />

e riportate anche in letteratura come<br />

costruttrici di <strong>habitat</strong> (bioconstructor o<br />

engineer species) nel coralligeno sono:<br />

Halimeda tuna, Lithophyllum<br />

stictaeforme, L. incrustans,<br />

L. (=Titanoderma) pustulatum,<br />

Lithothamnion philippii, Mesophyllum<br />

alternans, M. lichenoides, Neogoniolithon<br />

brassica-florida, Peyssonnelia<br />

polymorpha, P. rosa-marina, Spongites<br />

fruticulosus, Sporolithon ptichoides.<br />

Di queste specie Lithophyllum<br />

stictaeforme e Mesophyllum alternans<br />

svolgono la maggiore attività di<br />

costruzione della formazione coralligena<br />

sia vivente sia fossile (almeno dal<br />

Pliocene inferiore). Pertanto si riportano<br />

di seguito il portamento e l’ecologia delle<br />

specie più comuni, rinviando per le altre<br />

specie di alghe calcaree alle guide<br />

disponibili.<br />

Lithophyllum stictaeforme<br />

Le forme più sviluppate (oltre 5-10 cm di<br />

diametro) presentano una serie di lamelle<br />

semicircolari e lobate in palchi<br />

parzialmente sovrapposti. Lo spessore<br />

delle lamelle nella porzione centrale<br />

raggiunge i 2 mm, ma il bordo si presenta<br />

più sottile e quasi affilato. La superficie è<br />

ondulata e a volte anche accartocciata.<br />

Quando l’alga è in riproduzione la fascia<br />

prossimale al bordo appare coperta da<br />

minute protuberanze appuntite.<br />

L’adesione al substrato dell’intero<br />

individuo è soltanto per punti e ciò facilita<br />

il distacco manuale di grandi esemplari<br />

che si presentano relativamente<br />

consistenti e poco fragili. Il colore nei<br />

campioni freschi va dal violetto intenso al<br />

rosa fuxia: i campioni secchi perdono<br />

rapidamente il colore e diventano<br />

biancastri (bianco sporco).<br />

Lithophyllum stictaeforme<br />

Lo sviluppo ottimale della specie si ha su<br />

substrati suborizzontali nel circalitorale e<br />

nell’infralitorale inferiore. Forme<br />

incrostanti o laminari senza o con scarse<br />

lamelle sovrapposte, a volte a forma di<br />

specchio concavo, si possono trovare<br />

nelle grotte superficiali o in pareti rocciose<br />

dell’infralitorale superiore. Può svilupparsi<br />

anche come epifita attorno ai rizomi di<br />

Posidonia o ai cauloidi di fucali e inoltre<br />

può incrostare le rodoliti nelle formazioni<br />

ad alghe calcaree libere.<br />

Mesophyllum alternans e/o M. lichenoides<br />

Queste due specie non possono essere<br />

distinte sulla base del portamento; i<br />

caratteri distintivi, infatti, sono visibili<br />

soltanto nell’anatomia del tallo, dopo<br />

opportuna preparazione, con osservazioni<br />

al microsopio (ottico o elettronico). La<br />

differenza principale sta nelle cellule del<br />

cortex, cioè degli strati intermedi, che si<br />

presentano con una alternanza di cellule<br />

di diversa dimensione nella prima specie<br />

e della stessa dimensione nella seconda<br />

specie. I singoli talli non sono molto estesi<br />

31


32<br />

(2-5 cm) e possono sviluppare croste<br />

variamente corrugate o ondulate o lamelle<br />

fogliacee, molto fragili, con spessore<br />

inferiore al millimetro. Le lamelle<br />

presentano bordi lobati e i vari lobi<br />

possono presentare pieghe con parziale<br />

sovrapposizione di alcuni lobi.<br />

Mesophyllum lichenoides<br />

I talli sono aderenti al substrato nella<br />

parte centrale delle lamelle, ma possono<br />

avvolgerne la superficie adattandosi alla<br />

sua morfologia. Quando gli individui sono<br />

in riproduzione, a ridosso dell’area lobata<br />

si formano addensamenti irregolari di<br />

papille emisferiche che diventano cave e<br />

anulate dopo l’emissione delle spore<br />

(bispore, tetraspore, carpospore). Il colore<br />

sui campioni freschi va dal rosso corallo<br />

al rosso violaceo. Delle due specie<br />

M. alternans ha una più ampia valenza<br />

ecologica, una maggiore capacità di<br />

costruzione, collegate alla maggiore<br />

efficienza di un metabolismo facoltativo<br />

eterotrofo in ambienti instabili<br />

nell’idrodinamismo, nella temperatura e<br />

con acque torbide. Entrambe le specie<br />

possono vivere attaccate al substrato<br />

roccioso o vivere su altri organismi viventi<br />

o formare corallinali libere nella biocenosi<br />

del detritico costiero. La loro ripartizione<br />

batimetrica copre l’infralitorale e il<br />

circalitorale. Nella ripartizione geografica il<br />

primo è citato come più frequente sulle<br />

coste della Catalogna, il secondo nel<br />

Mediterraneo centrale, nell’Adriatico e<br />

nell’Egeo. Comunque le segnalazioni<br />

riportate in letteratura devono essere<br />

verificate, con uno studio accurato in<br />

laboratorio degli esemplari, con l’ausilio<br />

dell’osservazione microscopica<br />

dell’anatomia dei talli.<br />

Halimeda tuna<br />

Il portamento di questa alga verde<br />

calcarea ricorda quello di un fico d’India<br />

in miniatura. La base è formata da un<br />

intrigo di rizomi a struttura sifonale, cioè<br />

con un unico citoplasma non diviso da<br />

setti trasversali in cellule o articoli: da<br />

questi rizoidi nasce una fronda articolata<br />

in dischi semicircolari lunghi in media 35<br />

mm e larghi 22 mm, con spessore di 1<br />

mm. L’intera fronda si presenta ramificata<br />

sullo stesso piano e può essere formata<br />

da una decina fino ad alcune centinaia di<br />

articoli, con uno sviluppo in lunghezza di<br />

10-15 cm. Meinesz nel 1980 ha osservato<br />

che la vita di ogni articolo della fronda<br />

non dura oltre i 10 mesi e quindi vi è un<br />

continuo e veloce ricambio nell’arco<br />

dell’anno. Il ricambio avviene<br />

generalmente in occasione degli eventi di<br />

riproduzione. Questa avviene per<br />

olocarpia, cioè tutto il citoplasma<br />

dell’articolo svuota il proprio contenuto<br />

negli otricoli riproduttivi che si sviluppano<br />

sopra gli articoli fertili. I gameti dei due<br />

sessi sono portati da piante differenti<br />

unisessuate e quindi la specie è chiamata<br />

dioica (due case: una per ogni sesso). La<br />

distribuzione di questa specie è di tipo<br />

cosmopolita. Essendo una specie<br />

termofila vegeta nella fascia tropicale e<br />

subtropicale e in Mediterraneo è assente<br />

nei settori settentrionali a causa della<br />

bassa temperatura invernale. La sua<br />

distribuzione verticale è molto ampia e<br />

negli ambienti termofili del Mediterraneo<br />

si trova dalla frangia infralitorale fino a<br />

circa 70 metri di profondità nel<br />

circalitorale. In ambienti termofili e con<br />

luminosità ridotta gli articoli possono<br />

superare in lunghezza i 4 cm, mentre negli<br />

ambienti fotofili gli articoli sono più minuti.<br />

Per le forme con articoli più grandi è stata<br />

introdotta la forma H. tuna f. platydisca.<br />

Per l’ampia distribuzione batimetrica e il<br />

veloce turnover, questa specie è<br />

considerata non soltanto costruttrice<br />

delle formazioni organogene, ma anche<br />

una fonte importante nella genesi del<br />

sedimento organogeno dei fondali marini.<br />

Peyssonnelia polymorpha<br />

Forma incrostazioni ondulate, con pieghe<br />

generalmente parallele al bordo formato<br />

da lobi arrotondati. La superficie al tatto è<br />

percepita scorrevole e il colore cambia<br />

nello stesso individuo dal rosso carminio,<br />

con striature giallastre, al rosso porpora<br />

scuro. Le croste aderiscono al substrato<br />

con rizoidi pluricellulari, ma si staccano<br />

facilmente, sono molto fragili e friabili. La<br />

si trova con frequenza su tutti i substrati<br />

rocciosi nell’infralitorale sciafilo, ma può<br />

penetrare anche nel circalitorale.<br />

Peyssonnelia polymorpha<br />

Oltre ad incrostare la roccia, può formare<br />

manicotti sui rizomi di Posidonia e sui<br />

cauloidi eretti di alghe perennanti. Le<br />

strutture riproduttive formano macchie di<br />

colore più intenso sulle lamine, ma sono<br />

interne e non sono sporgenti sulla<br />

superficie. Il diametro delle croste su<br />

roccia può raggiungere anche 10-15 cm.<br />

Raramente può incrostare grosse rodoliti<br />

(boxwork) nella formazione a corallinali<br />

libere. La specie è subcosmopolita, quindi<br />

con ampia ripartizione geografica nelle<br />

fasce temperate e subtropicali.<br />

Peyssonnelia rosa-marina<br />

Questa specie forma generalmente<br />

rodoliti nel circalitorale caratterizzato da<br />

sedimenti con significativa componente<br />

fangosa e con acque torbide. I noduli si<br />

presentano con superficie ondulata,<br />

ripiegata a cartoccio, con cavità interne<br />

piene di sedimento. Il colore è rosso<br />

porpora scuro, tendente al vinaccia. In<br />

presenza di ghiaie e ciottoli la specie può<br />

aggregare i clasti e/o le rodoliti (boxwork)<br />

formando anche i primi nuclei organogeni<br />

del coralligeno di piattaforma.<br />

Peyssonnelia rosa-marina<br />

Questa forma aggregante è stata<br />

classificata come Peyssonnelia rosamarina<br />

f. saxicola e può crescere anche<br />

sui substrati rocciosi dell’infralitorale e del<br />

circalitorale. Le strutture riproduttive non<br />

emergono in superficie come in tutte le<br />

specie del genere. Il tallo nella porzione<br />

inferiore è fissato da rizoidi unicellulari.<br />

La specie è un endemita del Mediterraneo<br />

e si distingue da P. polymorpha anche<br />

per la sua più ampia valenza ecologica<br />

che ne consente lo sviluppo in ambienti<br />

instabili. Nel Mediterraneo è stata<br />

descritta in questi stessi ambienti un’altra<br />

specie: P. magna. I caratteri distintivi tra<br />

questa e P. rosa-marina sono osservabili<br />

solo al microscopio.<br />

33


34<br />

Le alghe che strutturano e/o<br />

caratterizzano le diverse associazioni o<br />

subassociazioni del coralligeno.<br />

Le alghe strutturanti costituiscono<br />

generalmente, in fitosociologia, il<br />

contingente delle specie preferenziali con<br />

buoni valori di abbondanza/dominanza.<br />

La biocenosi del coralligeno oltre ad avere<br />

una successione di strati organogeni, con<br />

prevalenza di alghe calcaree costruttrici,<br />

può presentare una stratificazione di<br />

specie che vivono nelle fessure della<br />

formazione calcarea o che la perforano<br />

contribuendo alla sua demolizione. Nei<br />

fondali con acque limpide si può avere<br />

anche una stratificazione di alghe molli<br />

che si attaccano sulle alghe calcaree. Tra<br />

le specie vegetali demolitrici del calcare<br />

ricordiamo le alghe azzurre (cianobatteri)<br />

dei generi Entophysalis (incluso Hyella,<br />

Stigonema, Mastigocoleus, Kyrtuthrix,<br />

ecc.), Schizothrix e le alghe verdi<br />

(chetoforacee) del genere Phaeophila.<br />

Tra gli animali che erodono o perforano il<br />

calcare prodotto dalle alghe si possono<br />

ricordare Sphaerechinus granularis (con<br />

un tasso di erosione tra 16 e 210 g<br />

di CaCO 3/m 2/anno), Echinus melo<br />

(echinodermi), Hiatella arctica,<br />

Lithophaga lithophaga (molluschi),<br />

Polydora spp. (policheti) e Cliona viridis<br />

(spugne).<br />

Lo strato in epibiosi è formato in<br />

prevalenza da alghe incrostanti, reptanti<br />

o vescicolose dei generi Codium,<br />

Codium bursa<br />

Palmophyllum, Valonia (alghe verdi),<br />

Cutleria, Lobophora, Zanardinia<br />

(alghe brune), Acrothamnion, Gelidium,<br />

Jania, Peyssonnelia, Polysiphonia,<br />

Womersleyella (alghe rosse), Calothrix,<br />

Microcoleus, Oscillatoria (alghe azzurre<br />

o cianobatteri).<br />

Vi si possono sviluppare anche specie a<br />

tallo eretto. Per alcune di esse,<br />

considerate specie guida per individuare<br />

associazioni e subassociazioni, si riporta<br />

di seguito una breve descrizione sulla<br />

base del portamento e dell’ecologia.<br />

Le alghe con tallo più grande<br />

appartengono in prevalenza alle alghe<br />

brune degli ordini fucali e laminariali.<br />

Le fucali, considerate specie guida o<br />

specie chiavi, appartengono ai generi<br />

Cystoseira e Sargassum.<br />

Tra i sargassi, che si distinguono dalle<br />

altre fucali per le vescicole aerifere<br />

portate all’apice di ramuli cresciuti tra<br />

il fusticino e le foglie, Sargassum<br />

hornschuchii e Sargassum trichocarpum<br />

formano popolamenti densi, il primo nel<br />

coralligeno del Mediterraneo occidentale<br />

e il secondo in quello del Mediterraneo<br />

orientale<br />

Le Cystoseira del coralligeno sono<br />

generalmente senza vescicole aerifere,<br />

che in altre specie sono comunque in<br />

serie intercalari e mai apicali nei ramuli.<br />

Le vescicole aerifere sono presenti<br />

raramente in individui adulti e in<br />

riproduzione di Cystoseira foeniculacea<br />

che si distingue dalle altre specie perchè<br />

ha innumerevoli e dense formazioni<br />

spiniformi sia su numerosi fusticini,<br />

detti cauloidi, sia sui rami primari.<br />

Sul coralligeno dell’infralitorale inferiore<br />

è comune Cystoseira spinosa che può<br />

presentarsi con alcune varietà che<br />

permettono la presenza della specie in<br />

differenti condizioni ambientali anche<br />

nel circalitorale superiore.<br />

Questa specie ha un solo fusticino o<br />

cauloide che porta lungo l’asse strutture<br />

di riserva di forma ovoidale e spinose,<br />

detti “tofuli”.<br />

Queste strutture si formano nella<br />

stagione estiva alla base dei rami primari<br />

che cadono in autunno.<br />

Nella primavera successiva dai tofuli<br />

si formano i nuovi germogli della fronda.<br />

Altre specie accompagnano C. spinosa<br />

Cystoseira spinosa<br />

solo in condizioni di idrodinamismo<br />

vorticoso e sono: C. funkii e C. jabukae,<br />

caratterizzate da fronde iridescenti.<br />

Altre due Cystoseira sono presenti nel<br />

coralligeno e formano associazioni<br />

vegetali: C. usneoides in ambienti con<br />

correnti pulsanti e C. zosteroides in<br />

ambienti con correnti laminari.<br />

Entrambe le specie portano sull’unico<br />

cauloide tofuli a superficie liscia, ma la<br />

forma di questi è rigonfia in basso e<br />

rastremata all’apice nella prima e invece<br />

tipicamente cilindrica nella seconda.<br />

Infine quando sul coralligeno si deposita<br />

un sottile strato di sedimento si<br />

sviluppano due altre Cystoseira<br />

caratterizzate da cauloidi striscianti e<br />

aderenti al substrato organogeno o<br />

roccioso con una specie di ventose<br />

sviluppate sulla porzione inferiore.<br />

Se l’ambiente è luminoso, cioè con<br />

acque limpide, domina C. corniculata.<br />

Questa specie è diffusa nell’infralitorale e<br />

nel circalitorale del Mare Egeo,<br />

dell’Adriatico e nella parte orientale del<br />

Mar Jonio; vive anche nell’Alto Oceano<br />

Indiano e ha una posizione strategica<br />

nell’evoluzione del genere perché ha<br />

differenziato per prima sostanze<br />

antierbivore formate da prodotti chimici<br />

del gruppo degli idrocarburi dette terpeni<br />

lineari.<br />

Cauloidi e rami primari sono coperti da<br />

formazioni spiniformi anche attorno agli<br />

ingrossamenti alla base dei rami<br />

chiamati emitofuli. In ambienti con acque<br />

di fondo torbide e luce debole nel<br />

circalitorale di tutto il Mediterraneo<br />

forma un’associazione C. dubia,<br />

caratterizzata da cauloidi striscianti lisci,<br />

da rami primari fogliosi che portano alla<br />

base emitofuli lisci. In condizioni di<br />

instabilità ambientale nell’infralitorale<br />

inferiore e nel circalitorale superiore può<br />

dominare una Cystoseira con tofuli ed<br />

emitofuli spinosi facoltativi:<br />

C. brachycarpa var. claudiae,<br />

Cystoseira brachycarpa var. claudiae<br />

caratterizzata da fronde con ramuli<br />

cilindrici coperti da formazioni spiniformi<br />

e da cauloidi spinosi nella porzione<br />

subapicale spesso ingrossata e con<br />

apice infossato e senza spine.<br />

35


36<br />

Altre alghe brune che formano in epibiosi<br />

sul coralligeno associazioni vegetali<br />

appartengono all’ordine laminariali.<br />

Laminaria rodriguezii è una specie<br />

endemica del circalitorale del<br />

Mediterraneo. Ha un asse prostrato<br />

stolonifero (come quello della gramigna)<br />

che striscia attaccandosi con apteri<br />

ventrali al substrato organogeno del<br />

coralligeno, ma anche ai noduli delle<br />

corallinali libere nel detrico costiero.<br />

Sugli stoloni si elevano fronde laminari<br />

larghe circa 10 cm e lunghe allo stato<br />

adulto circa 50 cm. Le lamine adulte<br />

sono strozzate all’apice dove possono<br />

trovarsi due lunghi contenitori, detti sori,<br />

di spore. L’accrescimento, come in tutte<br />

le laminarie, è alla base della lamina,<br />

immediatamente sopra il cauloide.<br />

Le spore germinano sulle alghe calcaree<br />

e formano piantine microscopiche che<br />

producono gameti che germinando<br />

penetrano attivamente con la base<br />

dentro l’alga causandone una parziale<br />

demolizione. I gameti fecondandosi<br />

ridanno le piante macroscopiche che<br />

maturano spore.<br />

Questo ciclo sulle alghe calcaree è<br />

comune a tutte le laminariali anche se<br />

cambia l’ospite di germinazione:<br />

Lithophyllum stictaeforme per Laminaria<br />

rodriguezii; Lithothamnion philippii per<br />

Laminaria ochroleuca, Mesophyllum<br />

alternans e Mesophyllum lichenoides<br />

rispettivamente per Phyllariopsis<br />

purpurascens e per Ph. brevipes.<br />

Laminaria ochroleuca è la più grande<br />

alga vivente nel Mediterraneo, ma è<br />

diffusa anche nell’Atlantico orientale<br />

sia dell’Africa sia dell’Europa.<br />

Forma piante grandi che maturano spore<br />

con un cauloide flessibile di 3-5 cm di<br />

diametro, fissato da una serie di “radici”<br />

dette ramponi sia sul substrato<br />

organogeno sia su grossi ciottoli rivestiti<br />

da alghe calcaree (detti coated grains).<br />

La fronda laminare è digitata e laciniata<br />

e la lunghezza totale della pianta<br />

può raggiungere oltre 4-5 m.<br />

Nel Mediterraneo è limitata nella sua<br />

distribuzione allo Stretto di Messina e al<br />

Mare di Alboran presso Gibilterra sia sulla<br />

costa della Spagna sia su quelle del<br />

Marocco e dell’Algeria.<br />

Tra le alghe rosse che strutturano<br />

associazioni vegetali nel coralligeno vi<br />

sono tre specie del genere Rodriguezella<br />

(famiglia rodomelacee).<br />

Le specie di questo genere vivono in<br />

prevalenza nel circalitorale o in ambienti<br />

molto sciafili dell’infralitorale (es. ingresso<br />

di grotte sommerse).<br />

Studi sulla loro ecologia hanno<br />

evidenziato che queste specie per la<br />

fotosintesi utilizzano soprattutto la luce<br />

blu dello spettro e quindi sono dette<br />

anche alghe cianofile.<br />

La specie più diffusa nel coralligeno e<br />

che conferisce il nome all’associazione<br />

sciafila, è Rodriguezella strafforelloi, una<br />

specie caratterizzata nella sua morfologia<br />

da un cauloide cilindrico eretto, lungo<br />

qualche decimetro e variamente<br />

ramificato. All’apice dei rami vi sono<br />

formazioni simili a foglie di colore rosso<br />

intenso, con contorno ellittico e con<br />

bordo ornato da lobi irregolari. Queste<br />

laminette hanno una tipica incisura<br />

apicale sul fondo della quale (come in<br />

tutte le rodomelacee) si trova la cellula<br />

apicale che con le sue divisioni<br />

costruisce tutta la fronda.<br />

Le specie di questo genere presenti nel<br />

Mediterraneo sono tutte specie<br />

endemiche di questo mare: R. bornetii<br />

ha sempre un cauloide cilindrico e<br />

ramificato, ma si distingue dalla prima<br />

per le formazioni simili a foglie più grandi,<br />

con un contorno apicale convesso e<br />

proliferazioni a forma di pinnule e dentelli;<br />

R. pinnata si distingue dalle altre due per<br />

la fronda compressa con ramificazione<br />

disposta in piani sovrapposti e ramuli<br />

■ Aspetti vegetazionali<br />

L’importanza degli aspetti vegetazionali, per definire la composizione e la<br />

struttura della biocenosi del coralligeno, si deduce dall’analisi dei due requisiti<br />

fondamentali che la caratterizzano:<br />

● la costruzione organogena è fatta prevalentemente da alghe calcaree, in condizioni<br />

ambientali caratterizzate da irradianza debole, temperatura relativamente<br />

bassa e stabile, salinità uniforme, acque limpide, idrodinamismo debole;<br />

● la biocostruzione si sviluppa sia sui substrati rocciosi (coralligeno della roccia<br />

inferiore del litorale, cioè dell’infralitorale inferiore e del circalitorale) sia sui<br />

substrati clastici o mobili del detritico costiero, a partire generalmente da una<br />

formazione a grosse rodoliti (boxwork), su sabbie grossolane e ghiaie fini<br />

(coralligeno di piattaforma).<br />

Sulla base delle regole condivise dalla fitosociologia, nel manto vegetale che si<br />

sviluppa all’interno della biocenosi del coralligeno in Mediterraneo, sono stati<br />

descritti due gruppi di associazioni e di facies vegetali: uno di base o epilitico,<br />

caratterizzato dalle alghe calcaree costruttrici (bioconstructor species), presentate<br />

nei paragrafi precedenti, e l’altro in epibiosi, formato dalle alghe a tallo molle<br />

(bioformer species), descritte anche queste nei paragrafi precedenti.<br />

Le alghe calcaree nella biocenosi del coralligeno formano l’associazione denominata<br />

Lithophyllo-Halimedetum tunae introdotta sulla base di una tabella di<br />

rilevamenti effettuati nei fondali di Capo Zafferano, in Sicilia presso Palermo.<br />

apicali e laterali mai a forma di foglie. Associazione ad alghe brune con castagnole (Chromis chromis)<br />

37


38<br />

Lithophyllum stictaeforme e Halimeda<br />

tuna sono le specie preferenziali ad alta<br />

fedeltà statistica, associate ad un corteo<br />

di una diecina di altre alghe calcaree<br />

descritte in precedenza. Nonostante<br />

l’attivo biocarsismo che rallenta l’accrescimento<br />

in spessore della biocostruzione,<br />

questa può raggiungere nel<br />

suo sviluppo plurisecolare qualche<br />

metro di altezza (in Puglia la formazione<br />

raggiunge nell’infralitorale anche 2,5 m<br />

in altezza per una diecina di metri in larghezza,<br />

per alcune centinaia di chilometri<br />

in lunghezza). L’associazione è<br />

diffusa in entrambi i tipi di substrato<br />

sopra indicati.<br />

Esempi di coralligeno (studiato anche<br />

Lithophyllum stictaeforme e Halimeda tuna<br />

nella componente vegetale) nell’infralitorale<br />

sono riportati per le coste della<br />

Liguria nel Mar Ligure (Portofino), per il Veneto nell’Alto Adriatico (le tegnúe),<br />

per la Puglia nel Basso Adriatico (coralligeno pugliese). Esempi di coralligeno<br />

del circalitorale, sviluppato sia su roccia sia su fondo mobile, sono stati studiati<br />

in molte località del Mediterraneo e in particolare delle coste italiane.<br />

L’associazione con dominanza di alghe rosse sciafile con tallo molle, esclusiva<br />

della biocenosi del coralligeno, è stata denominata Rodriguezelletum<br />

strafforelloi ed è diffusa in tutto il Mediterraneo anche se nel Mediterraneo<br />

orientale si inserisce, come elemento differenziale, la specie endemica Ptilophora<br />

mediterranea. Si sviluppa in epibiosi sulle alghe calcaree in ambiente<br />

con debole idrodinamismo laminare, con luce diffusa debole, con temperature<br />

stagionali che oscillano tra 14 e 16°C. Oltre alle tre specie del genere<br />

Rodriguezella sono fedeli a questa tipologia vegetazionale anche specie dei<br />

generi Spermothamnion, Ceramium, Polysiphonia, Peyssonnelia, Gracilaria,<br />

Kallymenia, Cryptonemia, Neurocaulon.<br />

Altre associazioni con alghe brune nello strato elevato si sviluppano in epibiosi<br />

sul coralligeno. Nell’infralitorale è diffusa l’associazione Cystoseiretum spinosae,<br />

descritta per le coste della Sicilia, ma diffusa in tutto il Mediterraneo anche<br />

su substrati rocciosi non di natura organogena.<br />

L’associazione di questo gruppo più diffusa in epibiosi nel coralligeno è il Cystoseiretum<br />

zosteroidis, descritta nei fondali delle Isole Eolie e presente in ambienti<br />

caratterizzati da risalita di acque profonde (up-welling). Il popolamento si presenta<br />

come un boschetto in miniatura nel quale Cystoseira zosteroides forma<br />

alberelli con fronde iridescenti ed è<br />

associata ad altre alghe reofile che possono<br />

con la loro abbondanza costituire<br />

facies vegetali, come Arthrocladia villosa<br />

e Sporochnus pedunculatus. Alcune<br />

specie a tallo molle incrostano il sottostrato<br />

(specie dei generi Zanardinia,<br />

Cutleria, Lobophora, Codium, Peyssonnelia,<br />

ecc.) o formano cespuglietti bassi<br />

(specie dei generi Zonaria, Phyllophora,<br />

Osmundaria, Polysiphonia, ecc.).<br />

In ambienti con correnti laminari costanti<br />

e temperature particolarmente stabili<br />

e basse, in banchi e isole lontane dall’influenza<br />

delle acque neritiche (di origine<br />

costiera), si sviluppa la subassociazione<br />

Laminarietosum rodriguezii,<br />

descritta sul Banco Apollo a ovest di Cystoseira zosteroides<br />

Ustica, ma diffusa ampiamente nel<br />

Mediterraneo sia sul coralligeno sia sulle corallinali libere del detrico costiero.<br />

In ambienti caratterizzati da instabilità nell’intensità luminosa e sedimentaria<br />

sulle alghe calcaree si sviluppano in epibiosi popolamenti dominati nel Mediterraneo<br />

occidentale da Sargassum hornschuchii e in Mediterraneo Orientale da<br />

Sargassum trichocarpum, associati rispettivamente il primo a Cystoseira brachycarpa<br />

var. claudiae e il secondo a Cystoseira corniculata. In entrambi i bacini,<br />

quando sul fondo organogeno si hanno apporti di sedimenti fini con componente<br />

fangosa (peliti), si sviluppa l’associazione Cystoseiretum dubiae, descritta<br />

in Sicilia orientale. Tra le specie preferenziali di questa associazione nella<br />

località siciliana abbonda l’alga rossa Nithophyllum tristromaticum, non presente<br />

in altre località del Mediterraneo dove l’associazione è stata rilevata.<br />

In ambienti con fondi coralligeni, caratterizzati da correnti di tipo pulsante, localizzati<br />

nel Mare di Alboran e nello Stretto di Messina si sviluppa sulle alghe calcaree<br />

l’associazione Cystoseiretum usneoidis. La specie preferenziale è stata<br />

ritrovata di recente anche sui fondali delle Bocche di Bonifacio insieme a Phyllariopsis<br />

purpurascens. La vegetazione si presenta stratificata con alcune Laminariales<br />

(Laminaria ochroleuca, Phyllariopsis purpurascens) in strato elevato e<br />

nel sottostrato con le specie a tallo molle: Phyllophora heredia, Callophyllis laciniata,<br />

Umbraulva olivascens, Zonaria tournefortii.<br />

A profondità maggiori di 50 metri e fino a circa 90 metri C. usneoides manca<br />

nell’associazione e acquista notevoli valori di ricoprimento Laminaria ochroleuca<br />

che caratterizza la subassociazione Laminarietosum ochroleucae.<br />

39


40<br />

La ricca biodiversità che caratterizza la biocostruzione coralligena (Oscarella lobularis, con altre spugne,<br />

briozoi, ecc.)<br />

■ Aspetti paesaggistici<br />

La Convenzione Europea del Paesaggio definisce il paesaggio terrestre o<br />

Landscape “…una determinata parte del territorio, così come percepita dalle<br />

popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle<br />

loro interrelazioni”. Con qualche precisazione questa definizione si può<br />

estendere anche al paesaggio marino o Seascape. Nella cultura anglosassone<br />

il concetto di marine landscape comporta, invece, un approccio ecosistemico<br />

allo studio di unità ambientali intermedie tra un “mare regionale” e un <strong>habitat</strong><br />

nel senso definito dall’omonima Direttiva.<br />

Nella definizione di paesaggio mediterraneo entrano sempre due componenti:<br />

quella fisica, formata prevalentemente dalla geomorfologia del territorio, e<br />

quella biotica, formata nei fondali marini prevalentemente dal benthos vegetale<br />

e animale e, nell’orizzonte dell’acqua, anche dal necton. Ma per la percezione<br />

del paesaggio è necessaria una terza componente: quella dell’osservatore.<br />

Nel paesaggio marino sommerso del Mediterraneo, accessibile con addestramento<br />

e attrezzature di medio livello, si percepiscono tre unità principali:<br />

● substrati rocciosi del sistema fitale coperti da un denso e articolato manto<br />

algale;<br />

● substrati clastici coperti dalle praterie a fanerogame (piante superiori viventi<br />

in mare) marine e/o dai prati di alghe verdi che hanno perduto nell’evoluzione<br />

l’organizzazione cellulare, ma anche da estese formazioni a rodoliti;<br />

● formazioni organogene con prevalenza di alghe calcaree del coralligeno che<br />

a volte, diminuendo l’irradianza, danno origine a paesaggi diversificati con<br />

dominanza di animali bentonici.<br />

Nel sistema afitale (caratterizzato dall’assenza di vegetali) si hanno formazioni<br />

organogene a grandi coralli bianchi e gialli, ma la loro percezione è possibile<br />

attualmente soltanto attraverso lo schermo collegato ad una telecamera filoguidata<br />

o utilizzando un sommergibile. Questo è anche un modo di percepire<br />

il paesaggio sommerso anche se lo spettatore utilizza uno strumento tecnologico.<br />

Un modo scientificamente efficace per rappresentare i paesaggi emersi<br />

e sommersi è la cartografia che utilizza sia la visione satellitare sia la ricostruzione,<br />

con opportuni programmi informatici, delle informazioni raccolte da<br />

strumenti di emissione e di ricezione di segnali acustici.<br />

Lo studio di un paesaggio dal punto di vista scientifico deve essere effettuato<br />

con il metodo sistemico e con un approccio ecosistemico. Pertanto le analisi<br />

con il metodo scientifico, riduttivo delle componenti abiotiche e della biodiversità,<br />

non sono idonee all’approccio ecosistemico, anche se ne costituiscono<br />

elementi importanti per conoscere l’ecologia, la composizione, la genesi e la<br />

dinamica evolutiva della formazione organogena edificatrice del paesaggio. Lo<br />

strumento per l’approccio ecosistemico allo studio del coralligeno è fornito<br />

41


42<br />

dalla bionomia bentonica, in quanto la formazione risulta essere un complesso<br />

di biotopi e di biocenosi con costruttori, demolitori, filtratori, detritivori, ecc.<br />

che hanno in comune affinità ambientale e corologica e la compatibilità biotica.<br />

La fitosociologia è una scienza idonea allo studio del coralligeno nella sua<br />

dimensione paesaggistica, in quanto è il risultato dell’azione complessa di<br />

associazioni vegetali gerarchicamente strutturate in unità sinecologiche sufficientemente<br />

caratterizzabili con l’approccio quali-quantitativo.<br />

L’ambiente naturale biocostruito dagli organismi fissatori di calcare è il paesaggio<br />

maggiormente ripetitivo sia nei territori emersi (Landscape delle formazioni<br />

con rocce organogene calcaree) sia in quelli sommersi (Seascape delle<br />

biocostruzioni viventi e fossili) del Mediterraneo. Le scienze ecologiche in particolare<br />

studiano l’ambiente naturale biocostruito come un flusso di energia e<br />

di risorse (ambiente nella sua etimologia deriva dal verbo latino amb-ire, fluire<br />

intorno) attorno all’oikos che per i greci era lo spazio della vita domestica. L’analisi<br />

delle singole componenti della biosfera e dei suoi ecosistemi deve essere<br />

completata da una sintesi conoscitiva della natura relazionale dei processi<br />

naturali che si svolgono sia nella struttura della materia (microcosmo) sia tra le<br />

comunità viventi e nell’intero universo (macrocosmo).<br />

Il paesaggio è un bene comune dell’umanità tutelato dagli accordi internazionali.<br />

Quando la tutela e la fruizione del paesaggio entrano negli atti legislativi<br />

dei vari stati o di aggregazioni di stati, si inserisce nel concetto di paesaggio la<br />

relazionalità sociale.<br />

Fondo a rodoliti<br />

■ Associazione a rodoliti<br />

Il termine rodolite significa “pietra formata<br />

da rodoficee o alghe rosse calcaree”.<br />

Si parla correttamente di rodoliti<br />

qualora queste alghe, per lo più Corallinales<br />

o peissonneliacee, arrivano a<br />

costituire almeno il 50% del nodulo<br />

organogeno; se la componente del<br />

deposito algale è inferiore allora si è in<br />

Rodoliti a Lithothamnion valens e L. minervae<br />

presenza di “ciottoli rivestiti” o “coated<br />

grains”. Le comunità vegetali o associazioni da esse costituite danno origine in<br />

mare a “letti a rodoliti” (rhodolith beds) o “fondi a maërl” di natura organogena,<br />

cioè ad <strong>habitat</strong> intermedi tra le biocenosi organogene di fondo duro o roccioso<br />

(es. biocenosi del coralligeno) e le biocenosi dei fondi molli con sabbie grossolane<br />

e ghiaie. I loro popolamenti sono inseriti sia nella biocenosi dei fondi detritici<br />

costieri del circalitorale, sia nella biocenosi delle sabbie grossolane e ghiaie<br />

fini sotto l’influenza delle correnti di fondo del circalitorale e dell’infralitorale.<br />

Queste formazioni organogene costruiscono un <strong>habitat</strong>, articolato in numerosi<br />

micro<strong>habitat</strong>, che condiziona lo sviluppo di una ricca biodiversità (oltre 400 specie<br />

di animali e oltre 100 di vegetali) sia di substrato duro, sia di substrato molle,<br />

oltre che di specie demolitrici, fossorie e interstiziali. Il termine maërl deriva<br />

da una parola bretone che indica un accumulo di forme ramificate di corallinali,<br />

prive di apparente nucleo. Il termine rodolite, più usato nella letteratura anglosassone,<br />

ha invece un’accezione più generale, che comprende sia i noduli veri<br />

e propri, sia il maërl. L’equivalente termine francese per indicare le piccole rodoliti<br />

nucleate è “prâlines”. Le formazioni a rodoliti hanno un’ampia distribuzione<br />

geografica, dalle zone equatoriali a quelle polari, e batimetrica dall’infralitorale al<br />

circalitorale (da 20 a 100 m di profondità in Mediterraneo); inoltre sono ben<br />

documentate in paleontologia a partire dal Mesozoico.<br />

Molte specie costituenti rodoliti possono crescere anche fissate al substrato<br />

roccioso, altre come Lithothamnion corallioides e Phymatolithon calcareum<br />

sono note soltanto come rodoliti. I letti a rodoliti formano estese coperture<br />

vegetali paragonabili a quelle delle angiosperme marine nell’infralitorale e della<br />

biocenosi del coralligeno nel circalitorale. Si tratta di specie che: vivono a<br />

lungo (una rodolite di 15 cm è compatibile con un’età superiore al secolo),<br />

resistono alle perturbazioni ambientali moltiplicandosi per frammentazione,<br />

hanno un’alta resilienza, ricolonizzando rapidamente i fondali marini, costituiscono<br />

dei veri “reef mobili” e, con la loro lenta crescita (intorno a 0,6 mm per<br />

anno), evidenziata da strati sovrapposti di cellule, registrano anche i cambiamenti<br />

climatici e i tassi di carbonio dell’atmosfera e dell’idrosfera. La forma del<br />

43


44<br />

nodulo (discoidale, sferoidale, ellissoidale); la forma di crescita della pianta<br />

che lo costruisce (laminare, ramificata); lo spessore e la percentuale di ricoprimento<br />

degli eventuali nuclei interni; le associazioni di specie in funzione dell’idrodinamismo,<br />

del tasso di sedimentazione e della granulometria del sedimento,<br />

contribuiscono a rendere le rodoliti efficaci indicatori ambientali sia dei<br />

fondi marini attuali sia di quelli del passato geologico.<br />

Le rodoliti sono “specie costruttrici o ingegneri”, cioè costruiscono o modificano<br />

nuovi <strong>habitat</strong> che promuovono lo sviluppo e il mantenimento della biodiversità.<br />

La ricchezza di risorse di pesca (soprattutto crostacei e molluschi) presenti<br />

in queste formazioni organogene attirano gli operatori della pesca a strascico<br />

che causa gravi danni ai letti a rodoliti. Sulle coste italiane queste formazioni<br />

sono state studiate nel Mar Ligure, nel Mar Tirreno nel Mare Adriatico<br />

settentrionale e nello Stretto di Sicilia, ma è probabile che questi letti si trovino<br />

quasi ovunque lungo le coste sia dell’Italia sia del resto del Mediterraneo.<br />

■ Fitosociologia<br />

La vegetazione ad alghe calcaree libere (corallinali e peissonneliacee) del<br />

Mediterraneo è stata studiata anche con il metodo fitosociologico. Esso permette<br />

di individuare in determinati ambienti su basi statistiche di frequenze di<br />

specie, associazioni di organismi vegetali che vivono insieme perché hanno<br />

condiviso nel tempo gli stessi valori medi dei fattori ambientali (affinità ecologica),<br />

hanno avuto storie evolutive nella stessa area geografica (affinità biogeografica),<br />

hanno sviluppato nella produzione e nell’uso delle risorse energetiche,<br />

nutritive e dello spazio strategie di cooperazione e di condivisione e<br />

hanno minimizzato la competizione che porta all’esclusione finale dei competitori<br />

(compatibilità biotica). L’associazione è denominata con i nomi delle specie<br />

preferenziali “Phymatolitho-Lithothamnietum corallioidis” o associazione a<br />

Phymatolithon calcareum e Lithothamnion corallioides.<br />

Oltre a queste due specie, con alta fedeltà statistica nei rilevamenti, fanno parte<br />

del contingente preferenziale tutte le alghe calcaree del detritico costiero<br />

elencate in bionomia come caratteristiche di popolamenti caratterizzati dalla<br />

dominanza di alcune specie che determinano una fisionomia particolare al paesaggio<br />

sommerso, in rapporto anche con i valori dei fattori ambientali necessari<br />

allo sviluppo di queste specie che preferiscono ambienti con luce debole e<br />

con correnti. L’epiflora associata è generalmente considerata come aggruppamento<br />

di specie trasgressive dalle associazioni vegetali di substrato duro o roccioso<br />

del circalitorale (Cystoseiretum zosteroidis e la sua subassociazione<br />

Laminarietosum rodriguezii, Lithophyllo-Halimedetum tunae e Rodriguezelletum<br />

strafforelloi) e dell’infralitorale (Cystoseiretum spinosae, Peyssonnelietum<br />

squamariae e la sua subassociazione Osmundarietosum volubilis).<br />

Bionomia. La biocenosi delle sabbie<br />

grossolane e delle ghiaie fini, sotto<br />

l’influenza delle correnti di fondo (SGCF),<br />

è indipendente, nella sua distribuzione<br />

batimetrica, dalla zonazione bionomica;<br />

può sviluppare facies a rodoliti: sia<br />

nell’infralitorale, in rapporto ai valori dei<br />

due principali fattori ambientali<br />

(idrodinamismo e sedimentazione),<br />

soprattutto nei canali di “intermattes” dei<br />

posidonieti e nelle bocche delle lagune<br />

costiere, sia nel circalitorale fino a circa<br />

70 metri, ma allora in condizioni<br />

impoverite nella composizione faunistica<br />

e floristica. La biocenosi del detritico<br />

costiero (DC) è tipicamente distribuita nel<br />

circalitorale e in Mediterraneo orientale è<br />

stata trovata fino a circa 120 metri, ma in<br />

maniera impoverita può trovarsi anche<br />

nell’infralitorale inferiore.<br />

Le due biocenosi (DC e SGCF) possono<br />

differenziare facies nelle quali si<br />

sviluppano differenti popolamenti a<br />

Rodoliti: le principali facies con alghe<br />

SEDIMENTAZIONE<br />

Parte tassonomica T. Giaccone · G. Giaccone · D.M. Basso · G. Bressan<br />

Detrito infangato<br />

Coralligeno di piattaforma<br />

OCCASIONALE VORTICOSA LAMINARE TURBOLENTA<br />

STABILITA’ EDAFICA<br />

Detritico costiero<br />

calcaree libere, sono brevemente<br />

descritte in questo paragrafo. Queste<br />

articolazioni delle due biocenosi sono<br />

state rivisitate nell’ambito della<br />

Convenzione di Barcellona (per brevità<br />

non sono elencate le associazioni<br />

dell’epiflora con alghe molli sciafile e<br />

reofile):<br />

● Associazione a Rodoliti<br />

● Associazione a Lithothamnion<br />

corallioides e Phymatolithon calcareum o<br />

facies del maërl<br />

● Associazione a Peyssonnelia rosamarina<br />

Associazione a rodoliti (facies a<br />

prâlines). Il popolamento algale<br />

costituente le rodoliti è dominato dalla<br />

specie Lithophyllum racemus (spesso<br />

associata a Lithothamnion valens e ad<br />

altre rodoficee calcaree meno frequenti)<br />

che forma noduli sferoidali bossolati, con<br />

diametro di qualche centimetro. La facies<br />

è meglio sviluppata nella biocenosi delle<br />

Sabbie grossolane e ghiaie fini sotto<br />

l’influenza delle correnti di fondo<br />

Relazioni che legano le biocenosi caratterizzate da rodoliti con la corrente (sopra) e i fattori ambientali<br />

45


46<br />

SGCF, ma i suoi componenti biotici<br />

possono trovarsi sparsi anche nella<br />

biocenosi del DC. I noduli sono<br />

generalmente stratificati, più spesso<br />

monospecifici. Come le altre rodoliti in<br />

sezione trasversale equatoriale possono<br />

presentare un nucleo (granulo litico o<br />

organogeno) sul quale sono germinate<br />

all’inizio dello sviluppo cellule riproduttive<br />

dell’alga. Altri noduli non nucleati sono<br />

derivati dalla frammentazione di individui<br />

ad opera dei biodemolitori o di forti<br />

correnti. L’idrodinamismo, su fondi<br />

influenzati da acque del largo molto<br />

pulite, è caratterizzato da correnti di<br />

fondo laminari con occasionali picchi di<br />

correnti forti vorticose o turbolente. Sulle<br />

Rodoliti si impianta una ricca flora algale<br />

in epibiosi, di cui non si conosce però<br />

un’eventuale specie-specificità tra basifita<br />

ed epibionte e il valore, in termini<br />

fitosociologici, di compatibilità biotica. Il<br />

substrato è formato generalmente da<br />

sabbie grossolane e da ghiaie fini.<br />

Associazione a Rodoliti - Facies a<br />

Lithothamnion minervae (DC).<br />

Il popolamento è dominato da corallinali<br />

libere, caratterizzate da forme sferoidali o<br />

ellissoidali mammellonate, coperte cioè<br />

da corti rami cilindrici disposti a raggiera.<br />

Questa facies è la più diffusa nel<br />

Mediterraneo.<br />

“Lithothamnium fruticulosum”, spesso<br />

riportato in letteratura come preferenziale<br />

di facies nel DC, non è una sola specie,<br />

ma un insieme di generi e di specie (ben<br />

caratterizzati da caratteri anatomici e<br />

riproduttivi), in parte elencati in questo<br />

paragrafo.<br />

In condizioni di idrodinamismo<br />

occasionale o ridotto o a ridosso di<br />

ostacoli al movimento di frequente<br />

rotolamento, si sviluppano grosse rodoliti<br />

(diametro 10-15 cm) con composizione<br />

multispecifica, dette boxwork, a causa<br />

della struttura stratificata e cavernosa<br />

nella quale è registrata a volte una<br />

successione di generi e specie differenti.<br />

Vi si trovano con frequenza, oltre a<br />

Lithothamnion minervae, anche Spongites<br />

fruticulosus, Neogoniolithon brassicaflorida,<br />

L. valens, Mesophyllum alternans,<br />

Concrezione a Mesophyllum alternans<br />

M. lichenoides, Lithophyllum<br />

(=Titanoderma) pustulatum, altre specie di<br />

Lithophyllum (come L. stictaeforme),<br />

Lithothamnion (come L. philippii) e<br />

Peyssonnelia (P. harveyana, P. inamoena,<br />

ecc.) maggiormente sviluppate nei<br />

substrati rocciosi del circalitorale e<br />

dell’infralitorale sciafilo. L’idrodinamismo<br />

è più o meno forte con correnti pulsanti e<br />

oscillanti in ambienti di stretti e canali di<br />

comunicazione tra bacini. Semplificato<br />

nel contingente di specie preferenziali<br />

si può trovare anche nell’Infralitorale<br />

nei canali di “intermattes”dei posidonieti<br />

a cordoni o nelle bocche lagunari in<br />

comunicazione con il mare aperto e<br />

orientate in direzione dei venti dominanti<br />

e delle correnti di marea. La tipologia<br />

dell’idrodinamismo determina le forme<br />

sferoidali (correnti pulsanti) e le forme<br />

ellissoidali (correnti oscillanti).<br />

Il rotolamento può essere causato anche<br />

da bioturbazioni dovute a echinodermi,<br />

crostacei e pesci. I sedimenti sono<br />

costituiti da sabbie grossolane e ghiaie<br />

fini mescolate ad una variabile<br />

percentuale di fango, ma vi sono zone di<br />

transizione (ecotoni) con debole<br />

idrodinamismo ed elevata torbidità ove<br />

si trovano associate rodoliti costituite<br />

da peissonneliacee (specie calcaree<br />

del genere Peyssonnelia).<br />

Sulle forme boxwork (dette anche rodoidi)<br />

può impiantarsi un ricco popolamento<br />

in epibiosi sia di natura animale, sia<br />

vegetale. In acque più limpide, su queste<br />

forme di rodoliti si sviluppano specie<br />

vegetali favorite dalle correnti di fondo,<br />

sono principalmente alghe a tallo molle<br />

con dominanza di Arthrocladia villosa,<br />

Cryptonemia lomation, Kallymenia<br />

patens, K. spathulata, Laminaria<br />

rodriguezii, Osmundaria volubilis,<br />

Phyllophora crispa, Rythiphloea tinctoria,<br />

Sporochnus pedunculatus.<br />

Associazione a Lithothamnion<br />

corallioides e Phymatolithon<br />

calcareum - Facies del maërl (DC).<br />

Il popolamento è dominato da specie a<br />

tallo ramificato: Lithothamnion corallioides<br />

e Phymatolithon calcareum.<br />

Rodoliti con Lithothamnion corallioides e<br />

Phymatolithon calcareum.<br />

In Mediterraneo si sviluppa su fondi con<br />

sabbie grossolane e ghiaie fini, sottoposti<br />

all’azione di correnti forti e reversibili.<br />

Le corallinali libere sono con frequenza<br />

aggregate da feltri di alghe filiformi dei<br />

generi Jania e Gelidium. Su queste<br />

strutture aggregate si accumula detrito<br />

organico, derivato principalmente dai<br />

posidonieti dell’infralitorale, utilizzato da<br />

molti organismi detritivori e in particolare<br />

dall’echinoderma Spatangus purpureus.<br />

Questa facies è rara in Mediterraneo e<br />

limitata al circalitorale, dove le due<br />

specie preferenziali spesso si trovano<br />

insieme alle rodoliti della facies a<br />

Lithothamnion minervae.<br />

Associazione a Peyssonnelia rosamarina<br />

- Facies a peissonneliacee<br />

libere. Il popolamento è costituito<br />

prevalentemente da esemplari liberi, cioè<br />

non attaccati al substrato, di Peyssonnelia<br />

rosa-marina, di P. magna e più raramente<br />

di P. polymorpha che preferisce i substrati<br />

duri sciafili dell’infralitorale.<br />

Tutte queste specie sono calcaree e<br />

spesso sono associate anche a specie<br />

non calcaree dello stesso genere come<br />

P. harveyana e P. inamoena che, oltre a<br />

rivestire parzialmente rodoliti vive,<br />

possono con frequenza rivestire rodoliti<br />

morte e frammenti conchigliari anche<br />

nella facies precedente. Il substrato è<br />

formato da fango straordinariamente<br />

fluido e mobile in ambiente con correnti<br />

turbinose associate ad eventi di<br />

tempesta.<br />

La torbidità dell’acqua sopra il fondo<br />

riduce molto la luce, l’abbondanza di<br />

composti organici dell’azoto fa prevalere<br />

in queste specie un modello di<br />

metabolismo facoltativo che utilizza<br />

l’energia chimica e le sostanze organiche,<br />

su quello puramente autotrofo che<br />

utilizza i sali minerali e l’energia luminosa.<br />

Il movimento di queste rodoliti è<br />

basculante, favorito anche dall’ineguale<br />

attività di crescita del nodulo algale e dalla<br />

bioturbazione causata principalmente<br />

dall’ofiuroide Ophiopsila aranea.<br />

Le forme sono molto irregolari, con cavità<br />

interne a cartoccio con pareti irregolari e<br />

ripiene di sedimento fangoso. I frequenti<br />

movimenti e la secrezione di sostanze<br />

antigerminative, impediscono l’impianto<br />

degli epibionti animali e vegetali o il loro<br />

sviluppo su porzioni estese di rodoliti.<br />

47


La fauna: gli invertebrati<br />

MAURIZIO PANSINI · CARLO CERRANO · SILVIA COCITO · MARIA CRISTINA GAMBI ·<br />

ANTONIETTA ROSSO<br />

■ La fauna sessile<br />

L’<strong>habitat</strong> coralligeno rappresenta un<br />

hot spot di diversità biologica nel Mediterraneo.<br />

I suoi complessi, variegati e<br />

colorati paesaggi sottomarini, la straordinaria<br />

ricchezza di forme di vita, e la<br />

natura biogenica del substrato inducono<br />

a fare un paragone e una analogia<br />

ecologica tra il coralligeno dei nostri<br />

mari e le barriere coralline tropicali.<br />

La fauna associata a questo peculiare<br />

substrato duro secondario biogenico, ricco di microcavità, e con condizioni<br />

microclimatiche molto diverse anche a piccola-media scala (microambienti),<br />

presenta una elevata complessità e variabilità, in quanto raccoglie sia forme<br />

criptiche (legate alla presenza di microasperità del substrato), che forme legate<br />

al sedimento (accumulato nelle cavità), nonché moltissimi organismi più o<br />

meno strettamente associati ad altri organismi in rapporti molto frequenti e<br />

tipici di simbiosi, epibiosi, parassitismo, commensalismo, come alcuni molluschi<br />

e policheti specializzati che vivono su gorgonie e spugne, e alcuni crostacei<br />

decapodi strettamente associati al corallo rosso.<br />

Inoltre il coralligeno si sviluppa generalmente al di sotto dei 20-25 m di profondità,<br />

pur con qualche eccezione nel Nord Adriatico (tegnúe) e in Puglia (coralligeno<br />

di piattaforma) in cui si trova più in superficie, ma sempre in ambienti a<br />

luminosità ridotta, cioè sciafili. Nel coralligeno si rinvengono specie sciafile che<br />

non è raro incontrare anche in altri ambienti a ridotta luminosità, come i rizomi<br />

di Posidonia oceanica o le zone antistanti e di ingresso delle grotte sommerse,<br />

anche poco profonde, e semi-sommerse. Similmente, parte dell’endofauna,<br />

che si rinviene all’interno dello scheletro carbonatico formato dalle alghe strutturanti<br />

l’<strong>habitat</strong> coralligeno, può colonizzare anche altri ambienti simili, ma<br />

distribuiti molto più in superficie, come le cornici a Lithophyllum e Lithothamnion<br />

che si sviluppano nella zona di marea, o i fondi a rodoliti dell’infralitorale.<br />

Questo fa sì che molte specie, soprattutto quelle criptiche endobionti, non siano<br />

da considerarsi come caratteristiche esclusive del coralligeno. Il coralligeno<br />

Parete di coralligeno con Paramuricea, Eunicella e Parazoanthus<br />

Oscarella lobularis, spugna il cui scheletro è<br />

costituito da sole fibre di collagene<br />

49


50 rappresenta quindi per la fauna un “crocevia” ecologico in cui specie con differenti<br />

richieste ecologiche convivono, così come si riscontra anche per la fauna<br />

associata ai sistemi a Posidonia oceanica.<br />

Attualmente gli studi sul coralligeno hanno ritrovato un certo interesse, dati<br />

anche i problemi di conservazione e salvaguardia di questi sistemi minacciati<br />

anch’essi del crescente impatto umano sul litorale e sui fondali, nonché dal<br />

cambiamento climatico. Questi includono anche indagini sui fondi a rodoliti<br />

(corallinali), quali fondi a prâlines, maërl, boxwork, associazioni che possono<br />

essere considerate come una sorta di “coralligeno mobile” di piattaforma. Un<br />

<strong>habitat</strong> affine, ma con alcune unicità riguardo a distribuzione, origine e struttura<br />

è infine rappresentato dalle tegnúe o trezze, formazioni relativamente poco<br />

profonde tipiche del Nord Adriatico, che rappresentano una forma di coralligeno<br />

a complessità un po’ ridotta, ma che costituiscono comunque oasi di vita e<br />

hot spot di biodiversità nei fondi mobili nord-adriatici piuttosto monotoni e<br />

uniformi. Anche per le tegnúe, in recenti studi di sintesi, è stata comunque stimata<br />

una biodiversità di oltre 400 specie di invertebrati associati.<br />

Gli organismi animali sessili e quindi “strutturanti” il coralligeno, e cioè che<br />

contribuiscono in modo determinante, assieme alle alghe calcaree corallinali,<br />

alla biocostruzione e alla sua tipica “tridimensionalità”, sono soprattutto rappresentati<br />

da spugne, cnidari e briozoi, illustrati con maggiore dettaglio nella<br />

trattazione che segue. Partecipano in maniera minore altri gruppi come alcuni<br />

molluschi, tunicati e vermi policheti quali sabellidi e serpulidi.<br />

Lo cnidaro Parazoanthus<br />

Parte tassonomica<br />

Spugne. Sono organismi pluricellulari<br />

sessili, senza una simmetria ben definita<br />

ma con forme estremamente varie, che<br />

vivono in mare e nelle acque dolci<br />

filtrando acqua per respirare e nutrirsi.<br />

Quest’acqua entra da pori disseminati<br />

sulla superficie della spugna (da qui il<br />

nome di poriferi, portatori di pori) e<br />

fuoriesce dagli osculi, aperture circolari<br />

più grandi. Delle cellule particolari, i<br />

coanociti, creano questo flusso d’acqua<br />

con il movimento continuo del loro flagello<br />

e catturano le particelle di cibo con un<br />

collare di minuscoli prolungamenti o<br />

“microvilli”. Dato che i coanociti sono<br />

proprio tanti (nelle spugne più complesse<br />

troviamo sino a 18.000 camere da loro<br />

rivestite per ogni mm 3) la filtrazione è<br />

particolarmente efficiente. Il cibo è<br />

straordinariamente abbondante perché è<br />

costituito da protozoi, alghe unicellulari,<br />

grandi molecole organiche libere e<br />

persino materiale organico disciolto.<br />

Questo è il segreto del successo delle<br />

spugne: sfruttare una risorsa praticamente<br />

illimitata senza entrare in competizione<br />

con altri organismi bentonici che<br />

consumano prede e particelle alimentari<br />

mediamente più grandi. Per cui, quando<br />

le condizioni sono minimamente<br />

favorevoli e il substrato è adatto al loro<br />

insediamento, troviamo ricche<br />

popolazioni di spugne in qualsiasi<br />

ambiente marino. Nelle acque dolci il<br />

discorso è un po’ diverso perché non<br />

sempre c’è abbastanza da mangiare.<br />

I poriferi sono “presenti” - anche se<br />

questo termine è riduttivo rispetto alle<br />

loro funzioni - sia nel coralligeno di<br />

piattaforma che in quello di falesia.<br />

In generale le spugne non amano la luce<br />

solare diretta ma le zone più ombreggiate<br />

e oscure e vengono quindi correttamente<br />

incluse tra gli organismi sciafili. Esse,<br />

tuttavia, hanno due mezzi per proteggersi<br />

dai raggi solari: l’elaborazione di pigmenti<br />

(carotenoidi, melanine) e la simbiosi con<br />

organismi fotosintetici unicellulari<br />

(cianobatteri e zooxantelle) che, oltre a<br />

ripararle dai raggi ultravioletti,<br />

contribuiscono anche al loro nutrimento.<br />

Un’altra condizione non favorevole alle<br />

spugne è la sedimentazione eccessiva,<br />

che tende ad occludere gli osti, i piccoli<br />

fori attraverso i quali l’acqua entra<br />

all’interno del corpo, e ad ostacolare,<br />

quindi, il processo di filtrazione. Alle<br />

profondità in cui si sviluppa il coralligeno<br />

l’idrodinamismo è piuttosto ridotto e ha<br />

l’energia necessaria a spazzar via il<br />

sedimento. Questo influenza la<br />

distribuzione delle spugne e di altri taxa.<br />

La bioconcrezione coralligena offre un<br />

substrato estremamente vario e<br />

irregolare, ricco di sporgenze, anfratti e<br />

microcavità che consente comunque alle<br />

varie specie di poriferi di trovare le<br />

condizioni ottimali per insediarsi.<br />

La distribuzione delle spugne, quindi, non<br />

è uniforme, ma decisamente stratificata.<br />

Alcune specie, come la spugna cornea<br />

Pleraplysilla spinifera, sono epibionti su<br />

Pleraplysilla spinifera<br />

51


52<br />

altri organismi, soprattutto le grandi<br />

gorgonie rosse Paramuricea clavata, i cui<br />

ventagli intercettano la corrente e quindi<br />

l’alimento in sospensione.<br />

Se la gorgonia presenta porzioni prive di<br />

tessuto, altre spugne come Mycale la<br />

possono rivestire completamente<br />

utilizzandola come supporto. Il fenomeno<br />

dell’epibiosi, nel coralligeno, è comune<br />

anche a livello del substrato, dove molti<br />

organismi, vegetali e animali, crescono<br />

uno sopra l’altro. Questa condizione è<br />

sopportata piuttosto bene dalle spugne,<br />

che riescono comunque ad inalare un<br />

quantitativo d’acqua sufficiente alla loro<br />

sopravvivenza.<br />

L’orientamento del substrato, che implica<br />

la variazione dei fattori sopra descritti,<br />

agisce direttamente sulla distribuzione<br />

dei poriferi. Poche specie, generalmente<br />

arborescenti o a sviluppo massivo, si<br />

insediano sui substrati orizzontali non<br />

ombreggiati. Qui la competizione con<br />

le alghe, che hanno più luce per la<br />

fotosintesi, è intensa, e il sedimento<br />

può ricoprire tutto con un velo sottile.<br />

Le specie erette, tuttavia, come le<br />

grandi Axinella polypoides e A. cannabina<br />

Axinella polypoides<br />

o come Dictyonella obtusa con le sue<br />

ramificazioni digitate, si elevano<br />

notevolmente dal substrato, intercettando<br />

i flussi di corrente che le tengono pulite e<br />

le nutrono. Anche le specie arborescenti<br />

più piccole come Axinella damicornis,<br />

A. verrucosa, la rara A. vaceleti e<br />

Acanthella acuta si possono<br />

occasionalmente trovare su questi<br />

substrati, ma prediligono le zone in cui<br />

si verificano rotture di pendenza e il<br />

substrato tende a diventare verticale.<br />

Alcune spugne, come Clathrina clathrus<br />

e Acanthella acuta, alternano fasi di<br />

contrazione del loro corpo a fasi di<br />

espansione, che possono durare qualche<br />

ora, e questo comportamento, oltre a<br />

regolare il flusso di acqua, può servire<br />

anche a liberare la superficie dal<br />

sedimento. Alcune spugne cornee (con<br />

scheletro proteico di fibre di spongina) a<br />

sviluppo massivo tollerano abbastanza<br />

bene il sedimento e sono frequenti su<br />

questi substrati orizzontali. Troviamo<br />

qualche esemplare di Spongia officinalis,<br />

le Cacospongia (C. mollior e C. scalaris),<br />

l’orecchia di elefante (Spongia lamella) a<br />

Spongia lamella<br />

forma di coppa o di sottile ventaglio.<br />

Quest’ultima specie, avendo gli osti<br />

concentrati sulla parte esterna, orientata<br />

verso il flusso di acqua, e gli osculi dalla<br />

parte opposta, ottimizza l’attività filtrante<br />

sfruttando al massimo la corrente. A più<br />

di 20 m di profondità, ma sempre su fondi<br />

orizzontali, ha il suo <strong>habitat</strong> preferito<br />

Sarcotragus foetidus, la spugna più<br />

grande, con i suoi 30-40 cm di diametro,<br />

tra quelle che abitano il coralligeno.<br />

Si distingue per il colore grigio scuro, la<br />

superficie disseminata di grandi conuli e<br />

gli osculi spesso concentrati in una<br />

fossetta centrale dove si accumula il<br />

detrito. Anche altre specie massive assai<br />

comuni, come Petrosia ficiformis,<br />

Chondrosia reniformis, Agelas oroides<br />

ecc., si possono trovare in posizione<br />

orizzontale esposta, ma sono assai più<br />

frequenti sugli strapiombi e nelle zone<br />

al riparo di bioconcrezioni sporgenti.<br />

Bisogna sempre tener presente, tuttavia,<br />

che le spugne sono animali filtratori che<br />

creano autonomamente un flusso<br />

d’acqua al loro interno, ma sono anche<br />

favoriti dal movimento dell’acqua (onde,<br />

correnti) che assicura un continuo<br />

apporto di alimento in sospensione.<br />

Le posizioni più esposte, quindi, sono<br />

quelle più adatte allo sviluppo di grandi<br />

esemplari di poriferi. Le specie di poriferi<br />

che prediligono la falesia sono molto<br />

numerose e ne possiamo citare solo<br />

alcune. Tra le aploscleridi a sviluppo<br />

tubolare, con digitazioni e sottili processi<br />

filiformi, le più comuni sono Haliclona<br />

mediterranea, con tutte le gradazioni dal<br />

Haliclona mediterranea<br />

rosa al viola, e Haliclona citrina e<br />

Haliclona mucosa che sono invece<br />

giallastre. Intorno ai 30 m di profondità,<br />

troviamo i grandi esemplari digitati della<br />

spugna cornea Aplysina cavernicola, color<br />

giallo pallido, che, come dice il suo nome,<br />

è comune anche in grotta. Una forma<br />

digitata è anche Crella elegans che si<br />

distingue per la superficie costellata di<br />

aree ostiolifere (inalanti) più scure e di<br />

canali esalanti che portano l’acqua agli<br />

osculi apicali. Alcune specie, come<br />

Phorbas tenacior sono normalmente<br />

incrostanti, ma spesso sfruttano come<br />

supporto colonie di polipi di idrozoi,<br />

riuscendo ad acquisire un habitus eretto.<br />

Forme più piccole, generalmente a<br />

cuscinetto, sono Dictyonella incisa e<br />

Hemimycale columella, che presenta una<br />

grande variabilità intraspecifica. Sempre<br />

su substrati più o meno verticali, ma in<br />

posizioni più riparate, hanno il loro <strong>habitat</strong><br />

preferenziale le spugne del genere<br />

Oscarella, riconoscibili per la loro forma<br />

mammellonata. La specie più comune è<br />

Oscarella lobularis, ma ne sono state<br />

descritte diverse altre in Mediterraneo<br />

e non sono facili da distinguere.<br />

Decisamente meno appariscenti, ma<br />

estremamente diversificate, sono le<br />

spugne incrostanti (spesse da meno<br />

di 1 mm ad un paio di centimetri) che<br />

prediligono gli anfratti, le spaccature nella<br />

roccia e ogni tipo di cavità, comprese<br />

ovviamente le grotte, in cui sia disponibile<br />

un substrato libero e riparato dal<br />

sedimento. Esse competono attivamente<br />

tra di loro e con altri organismi, come i<br />

briozoi, per assicurarsi lo spazio dove<br />

vivere e hanno generalmente un ottimo<br />

successo per due motivi: in primo luogo,<br />

come abbiamo già detto, tollerano molto<br />

bene le epibiosi, e in secondo luogo<br />

sono, come tutti i poriferi, estremamente<br />

plastiche. Questo vuol dire che si<br />

possono riorganizzare come vogliono:<br />

dividendosi in frammenti (con un<br />

processo riproduttivo asessuale) che poi<br />

si accrescono o si riuniscono nuovamente<br />

(se hanno lo stesso patrimonio genetico)<br />

formando nuovi esemplari più grandi,<br />

oppure possono degenerare.<br />

Tali caratteristiche permettono alle<br />

spugne incrostanti di occupare buona<br />

parte delle zone più oscure del<br />

coralligeno. La maggior parte di loro<br />

53


54<br />

appartiene all’ordine peciloscleridi, con i<br />

generi Crambe, Hymedesmia, Raspaciona,<br />

Lissodendoryx, Phorbas, ma non<br />

Phorbas tenacior<br />

mancano gli adromeridi, con Spirastrella,<br />

Diplastrella, Timea e le specie incrostanti<br />

di suberitidi. La descrizione delle specie è<br />

abbastanza inutile perché l’identificazione<br />

sulla base delle sole caratteristiche<br />

morfologiche è quasi impossibile: serve<br />

l’esame degli esemplari in laboratorio.<br />

La diversità dei poriferi in queste zone<br />

semi oscure è comunque molto alta.<br />

Il processo di formazione della<br />

bioconcrezione coralligena, con l’apporto<br />

graduale di organismi vegetali e animali,<br />

è particolarmente indicato per la<br />

costruzione di micro cavità. Esse<br />

rappresentano “micro ambienti”, oscuri<br />

e riparati, dove i comuni parametri<br />

ambientali possono assumere valori<br />

peculiari, creando “micro <strong>habitat</strong>”<br />

singolari, ideali per l’insediamento di<br />

piccoli esemplari di spugne. Questo<br />

fenomeno può spiegare la presenza, nel<br />

coralligeno, di specie tipiche di livelli più<br />

profondi. Si ripete, su scala ridotta, il<br />

fenomeno che avviene nelle grotte a<br />

profilo discendente, dove, grazie alla<br />

temperatura dell’acqua, fredda nel corso<br />

di tutto l’anno, riescono a vivere anche<br />

specie tipiche dell’ambiente batiale.<br />

Un contributo determinante alla<br />

formazione di micro cavità lo danno i<br />

poriferi che perforano tutti i tipi di substrati<br />

carbonatici e trovano nel coralligeno un<br />

ambiente ideale. La maggior parte di essi<br />

appartiene alla famiglia clionaidi, ma<br />

anche i generi Spyroxia, Aka e Thoosa<br />

sono importanti. Le cellule di queste<br />

spugne nel processo di perforazione sono<br />

in grado di scalzare - con un’azione<br />

combinata, chimica e meccanica - piccole<br />

schegge di substrato (chips) che vengono<br />

espulse con il flusso di acqua efferente e<br />

contribuiscono alla formazione dei<br />

sedimenti. La spugna abita le cavità che<br />

man mano scava e si mantiene in contatto<br />

con la superficie con delle papille, spesso<br />

di colori molto vivaci, che servono sia da<br />

osti che da osculi. Dopo aver bucherellato<br />

tutto il substrato con le loro gallerie i<br />

clionidi possono svilupparsi anche sulla<br />

sua superficie assumendo una forma<br />

massiva. Questo comportamento è più<br />

frequente alla base della falesia, dove si<br />

accumula il detrito formato dall’attività<br />

bio-erosiva degli organismi. Grandi<br />

esemplari di Cliona viridis, dal colore giallo<br />

Papille inalanti e osculari di Cliona viridis<br />

verdastro, studiati recentemente in<br />

Liguria, hanno mostrato la capacità di<br />

inglobare nel loro corpo importanti<br />

quantitativi di sedimento, stabilizzando<br />

così il fondo mobile e costituendo un<br />

cosiddetto fondo duro secondario.<br />

In pratica si vengono a formare delle<br />

isole di fondi duri che rappresentano un<br />

substrato idoneo a numerose altre<br />

specie tipiche del coralligeno.<br />

Anche le specie di Cliona sono numerose<br />

e non facili da distinguere. Oltre a C.<br />

viridis che ha grandi papille appiattite e<br />

irregolari, possiamo riconoscere C. celata<br />

e C. schmidti con le papille giallo limone e<br />

viola rispettivamente. Anche lo sclerasse<br />

calcareo del corallo rosso viene attaccato<br />

in maniera selettiva da una particolare<br />

spugna perforante, Cliona janitrix. Essa<br />

danneggia gravemente le colonie che<br />

- se oggetto di pesca - possono essere<br />

utilizzate solo per la preparazione di<br />

monili di corallo “camolato” con un valore<br />

decisamente più basso di quello non<br />

perforato. Il fenomeno della bioerosione<br />

non è in sé dannoso, purchè rimanga in<br />

equilibrio con l’attività degli organismi<br />

costruttori. È stato recentemente<br />

dimostrato, però, che la crescita e<br />

l’attività delle spugne perforanti è<br />

favorita dagli alti livelli di nutrienti legati<br />

all’inquinamento antropico.<br />

La storia delle piccole cavità biogeniche,<br />

tuttavia, non è finita, perché vengono<br />

occupate da specie che si insinuano<br />

all’interno del substrato permeandolo<br />

completamente. I generi più comuni sono<br />

Jaspis, Stoeba e Triptolemus. Hanno<br />

spesso colorazione smorta o biancastra<br />

perché non sono mai esposte alla luce.<br />

Pur se poco appariscenti, queste spugne<br />

hanno un’importanza ecologica notevole<br />

perché impediscono al substrato di<br />

disgregarsi e lo consolidano. Svolge la<br />

stessa azione anche una piccola spugna<br />

cornea molto abbondante nel coralligeno:<br />

Spongia virgultosa. Il consolidamento del<br />

substrato da parte dei poriferi non è un<br />

fenomeno esclusivo del coralligeno: sui<br />

fondali oggetto di pesca con esplosivi,<br />

le spugne sono i primi organismi che,<br />

insediandosi sui frammenti di calcare,<br />

contribuiscono ad aggregarli.<br />

Per comprendere il ruolo dei poriferi nel<br />

coralligeno non si può fare a meno di<br />

considerare i loro rapporti con gli altri<br />

organismi. Numerosissime sono le specie<br />

di spugne che ospitano simbionti che<br />

possono rappresentare una preziosa<br />

fonte di carbonio. I cianobatteri<br />

fotosintetici di Petrosia ficiformis ne<br />

influenzano colore, forma, distribuzione<br />

Petrosia ficiformis<br />

e contribuiscono alla nutrizione della<br />

spugna. Tra gli organismi unicellulari i<br />

dinoflagellati (zooxantelle), simbionti di<br />

varie specie di Cliona forniscono alle<br />

spugne i prodotti della fotosintesi e<br />

probabilmente facilitano l’attività di<br />

perforazione facendo variare il pH e<br />

quindi ostacolando la calcificazione.<br />

Le spugne producono una vasta gamma<br />

di composti chimici che possono avere<br />

un’azione diretta sugli altri organismi,<br />

sia come deterrenti della predazione,<br />

sia come inibitori nei confronti<br />

dell’insediamento di altre specie sulla<br />

superficie della spugna stessa, sia come<br />

strumenti per la competizione spaziale. La<br />

presenza di spugne incrostanti insediate<br />

sulle conchiglie dei bivalvi li protegge<br />

dall’attacco delle spugne perforanti.<br />

Non tutte le specie, tuttavia, hanno lo<br />

stesso comportamento: basti pensare a<br />

spugne, come Spongia e Ircinia, che<br />

ospitano, invece, migliaia di inquilini e<br />

commensali nei canali del loro sistema<br />

acquifero, rappresentando un vero micro<strong>habitat</strong><br />

per la fauna vagile. Diverse<br />

spugne cornee mediterranee ospitano i<br />

polipi dello scifozoo Nausithoe punctata<br />

nella fase sessile del suo ciclo vitale.<br />

55


56<br />

Nonostante le loro difese chimiche, le<br />

spugne del coralligeno sono esposte alla<br />

predazione, soprattutto da parte di<br />

molluschi nudibranchi doridacei, come,<br />

ad esempio, Discodoris atromaculata,<br />

la vacchetta di mare, che pascolando<br />

sulle spugne del genere Petrosia ne<br />

consuma le cellule e soprattutto le<br />

micro alghe simbionti. Questo fatto<br />

è stato documentato osservando il<br />

comportamento trofico di un altro<br />

nudibranco: Tylodina perversa, che,<br />

potendosi nutrire di due specie di spugne<br />

del genere Aplysina, tende a scegliere la<br />

specie più superficiale A. aerophoba che<br />

Aplysina aerophoba<br />

ha un numero di cianobatteri simbionti<br />

più elevato. Alcuni molluschi che si<br />

cibano di spugne, tra l’altro, sembra<br />

siano in grado di accumulare nel loro<br />

mantello i metaboliti secondari prodotti<br />

dalle spugne e di servirsene come difesa<br />

nei confronti dei loro predatori.<br />

I rapporti dei poriferi con gli altri<br />

organismi del coralligeno sono<br />

complessi, ma le spugne vanno<br />

considerate tra i competitori più efficaci<br />

nello zoobenthos sessile e formano<br />

comunità molto stabili e con un elevato<br />

grado di diversità. È impossibile dire<br />

quante specie di poriferi siano presenti<br />

nel coralligeno, ma buona parte delle<br />

calcisponge e demosponge mediterranee<br />

(che sono oltre 600) possono qui trovare<br />

un <strong>habitat</strong> favorevole al loro sviluppo.<br />

Cnidari. Sono molto importanti nel<br />

coralligeno perché presenti con<br />

numerose forme, erette, incrostanti o<br />

stoloniali e spesso sono in grado di<br />

caratterizzare facies anche molto estese,<br />

che presentano quella caratteristica<br />

tridimensionalità dell’<strong>habitat</strong>. In questo<br />

ambiente essi costituiscono la maggiore<br />

biomassa nell’ambito degli invertebrati<br />

anche se sono i poriferi a presentare la<br />

massima diversità. Gli cnidari sono<br />

suddivisi in diverse classi. Le principali<br />

presenti nel coralligeno sono gli idrozoi,<br />

gli antozoi (cui appartengono le ben<br />

conosciute gorgonie e il corallo rosso),<br />

e in misura molto inferiore gli scifozoi<br />

(le comuni meduse). Tutti possiedono un<br />

particolare ed esclusivo tipo di cellule<br />

dette cnidociti che contengono corpuscoli<br />

cellulari molto complessi e specializzati,<br />

detti cnidocisti. Le nematocisti hanno lo<br />

scopo principale di catturare le prede o<br />

difendere da eventuali predatori, e sono<br />

responsabili della caratteristica proprietà<br />

urticante che possiedono in misura più o<br />

meno forte tutti gli cnidari.<br />

La classe degli idrozoi è presente sia con<br />

colonie incrostanti che arborescenti.<br />

Gli idrozoi sono generalmente stagionali<br />

e sono presenti sia con specie estivanti<br />

sia ibernanti. Uno studio molto<br />

dettagliato condotto su talli dell’alga<br />

verde Halimeda tuna presenti su cornici<br />

coralligene ha evidenziato la presenza di<br />

una successione nella colonizzazione di<br />

questo substrato abbastanza instabile,<br />

con specie perenni e grandi presenti<br />

soprattutto sulla parte basale, talvolta<br />

con ricoprimenti monospecifici, e specie<br />

di piccole dimensioni tipicamente<br />

opportuniste ed effimere.<br />

Nel coralligeno, più in generale, la<br />

biomassa maggiore è prodotta dal<br />

genere Eudendrium, presente con grandi<br />

colonie (fino a 30 cm di altezza per<br />

alcune specie). Questo forma piccoli<br />

cespugli i cui rami alla base sono<br />

fortemente fascicolati, a costituire densi<br />

aggregati con numerose stolonizzazioni<br />

che si sviluppano anche all’interno delle<br />

microcavità del substrato. La presenza<br />

di tali colonie può essere più o meno<br />

evidente in relazione al periodo dell’anno<br />

e alla profondità. Entro i 50 m di<br />

profondità, per esempio, E. glomeratum<br />

è presente soprattutto da ottobre a<br />

febbraio ma a partire da 60-70 m di<br />

profondità la sua presenza è quasi<br />

costante, con gli stoloni fascicolati<br />

comunque sempre evidenti anche<br />

quando la colonia è in forte regressione.<br />

È interessante notare come questi soffici<br />

“cespugli” rappresentino un forte<br />

elemento aggregativo per numerose<br />

altre specie che all’interno dei rami<br />

della colonia trovano rifugio e alimento.<br />

Le colonie di Eudendrium producono dei<br />

filamenti mucosi che agglutinano grandi<br />

quantità di sedimento. Esso rappresenta<br />

una fonte di alimentazione per numerosi<br />

detritivori come copepodi arpacticoidi<br />

(presenti a migliaia), anfipodi, soprattutto<br />

caprellidi, stadi giovanili di molluschi,<br />

nematodi e policheti. La colonia stessa<br />

rappresenta invece un ottimo substrato<br />

per specie sessili come alghe coralline,<br />

diatomee, foraminiferi, briozoi e serpulidi<br />

e una fonte di nutrimento per alcuni<br />

gasteropodi nudibranchi e picnogonidi.<br />

Inoltre, i nudibranchi depongono le<br />

proprie uova sui rami della colonia<br />

e i picnogonidi collocano le proprie<br />

protoninfe nei polipi. È chiaro quindi<br />

come gli idrozoi, anche se stagionali,<br />

costituiscano elementi fondamentali<br />

per il mantenimento della diversità<br />

dell’<strong>habitat</strong> coralligeno, rappresentando<br />

delle vere e proprie specie chiave, su<br />

cui si basa la presenza e lo sviluppo di<br />

numerose altre forme di vita.<br />

Gli scifozoi sono noti nel coralligeno solo<br />

in seguito alla presenza di polipi di<br />

Nausithoe punctata, altri esempi sono in<br />

genere relegati all’ambiente di grotta.<br />

N. punctata è endobionte di spugne<br />

(generalmente cornee). Si accresce<br />

formando tubuli peridermici che le<br />

spugne usano come ulteriore supporto<br />

scheletrico e da cui, in inverno, si<br />

staccano piccole meduse.<br />

Gli antozoi sono la classe di cnidari più<br />

importante nel coralligeno, soprattutto<br />

riguardo alla biomassa che può<br />

raggiungere valori in peso secco di oltre<br />

1 Kg/m 2. Particolarmente importanti<br />

sono gli ottocoralli, facilmente<br />

riconoscibili perché formati da numerosi<br />

polipi aventi sempre otto tentacoli<br />

pinnati, che presentano cioè sui loro lati<br />

delle piccole digitazioni ricche di cellule<br />

urticanti (nematocisti). Avere dei tentacoli<br />

digitati permette di bilanciare il basso<br />

numero di tentacoli rispetto agli altri<br />

gruppi e migliorare l’efficienza nella<br />

cattura del cibo che può essere costituito<br />

sia da piccoli organismi planctonici sia<br />

da sostanza organica disciolta.<br />

Studi condotti negli anni ’70<br />

schematizzano nel coralligeno tre<br />

diverse comunità dominate da gorgonie<br />

(ottocoralli, alcionacei). Una più<br />

superficiale, dove Eunicella cavolinii<br />

Eunicella cavolinii<br />

rappresenta la specie più frequente. Le<br />

colonie possono arrivare a 30-40 cm di<br />

57


58<br />

altezza e si sviluppano spesso su pareti<br />

verticali, associate sempre a numerosi<br />

altri filtratori come spugne, briozoi,<br />

serpulidi e ascidiacei.<br />

Una seconda comunità è quella dominata<br />

da Paramuricea clavata (fino a oltre 30<br />

Paramuricea clavata<br />

colonie/m 2), presente su pareti poco<br />

illuminate, ospitante in genere anche<br />

alghe coralline, gli esacoralli Parazoanthus<br />

axinellae, Leptopsammia pruvoti,<br />

Caryophyllia smithi e Hoplangia durotrix<br />

e altri ottocoralli (Parerythropodium<br />

coralloides, Alcyonium acaule).<br />

Le colonie di P. clavata possono arrivare<br />

a superare il metro di altezza e<br />

raggiungere età di quasi 100 anni.<br />

Una terza comunità è dominata da<br />

Corallium rubrum (fino a oltre 500<br />

colonie/m 2), con numerose specie di<br />

spugne insinuanti (Spongia virgultosa),<br />

incrostanti (Haliclona sarai, H. fulva,<br />

H. mucosa) e massive (Sarcotragus<br />

foetidus, Ircinia variabilis, Aplysina<br />

cavernicola, Petrosia ficiformis).<br />

Per ulteriori informazioni su biologia<br />

ed ecologia di C. rubrum si veda la<br />

scheda di pagg. 66-69.<br />

Questa zonazione, considerata in genere<br />

abbastanza netta, in realtà presenta<br />

spesso ampie sovrapposizioni, soprattutto<br />

con l’aumento della profondità. Dove la<br />

luce diventa molto debole, e la<br />

temperatura e la sedimentazione di<br />

sostanza organica lungo la colonna<br />

d’acqua sono abbastanza costanti nel<br />

tempo, le gorgonie sopraelencate<br />

possono formare popolazioni molto<br />

dense che coesistono anche assieme a<br />

colonie di Eunicella verrucosa,<br />

E. singularis e Lophogorgia ceratophyta.<br />

Le gorgonie sono sospensivore, si<br />

nutrono cioè del materiale sospeso che<br />

trasportano le correnti. Per questo motivo<br />

prediligono ambienti interessati da<br />

importanti e costanti flussi d’acqua.<br />

Le loro forme di crescita suggeriscono<br />

chiaramente tipologia, energia e<br />

direzione delle correnti degli ambienti<br />

che occupano. Dove le correnti sono<br />

unidirezionali le colonie sono planari<br />

e crescono perpendicolarmente alla<br />

direzione prevalente, dove le correnti<br />

sono irregolari e tortuose le colonie<br />

possono sviluppare forme<br />

tridimensionali, più cespugliose.<br />

Le gorgonie non hanno predatori<br />

importanti: occasionalmente si possono<br />

incontrare esemplari del gasteropode<br />

ovulide Neosimnia spelta, possono<br />

ospitare coppie di un raro gamberetto<br />

(Balssia gasti) o, nel Mediterraneo<br />

meridionale, essere talvolta predate da un<br />

grande verme polichete (Hermodice<br />

carunculata). Il corallo molle Alcyonium<br />

coralloides ricopre spesso i rami delle<br />

gorgonie formando dei manicotti<br />

abbastanza spessi di colore variabile dal<br />

rosso al rosa/bianco. I polipi pinnati<br />

hanno la base di colore arancio.<br />

A. coralloides può essere presente anche<br />

in forma incrostante ma è in questo caso<br />

generalmente poco visibile. Anche lo<br />

zoanthideo Savalia (=Gerardia) savaglia,<br />

molto simile al più noto e comune<br />

Parazoanthus axinellae, può insediarsi<br />

sulle colonie e iniziare una rapida<br />

colonizzazione. Crescendo anche fino a<br />

10 cm/anno, S. savaglia può uccidere,<br />

ricoprendola, una gorgonia di 60 cm in<br />

poco più di cinque anni. Dopo di che, la<br />

sua crescita sarà molto lenta e potrebbe<br />

continuare anche per 3000 anni. Savalia è<br />

considerata un importante paleoindicatore<br />

e l’animale più longevo della Terra.<br />

Le gorgonie sono fra i principali organismi<br />

presenti nel coralligeno e le loro<br />

dinamiche sono regolate da temperatura<br />

e disponibilità trofica. Nel Mediterraneo i<br />

picchi di produttività sono in primavera e<br />

in autunno. L’estate è la stagione con la<br />

minore disponibilità trofica. Proprio per<br />

questo motivo l’accrescimento è in<br />

genere massimo durante la primavera e<br />

ridotto in estate, periodo in cui di solito si<br />

registra la riproduzione sessuale che<br />

avviene tramite la formazione di piccole<br />

larve chiamate planule. La maggior parte<br />

dei sospensivori riduce al massimo la<br />

propria attività metabolica durante il<br />

periodo estivo. Nelle gorgonie, per<br />

esempio, è facile incontrare i polipi<br />

chiusi soprattutto verso fine estate e non<br />

espansi come frequentemente capita<br />

nelle altre stagioni. Periodi prolungati di<br />

temperatura elevata e scarsità di cibo<br />

sono fattori che, soprattutto se<br />

concomitanti, possono innescare estesi<br />

fenomeni di mortalità massiva. Il<br />

coinvolgimento di possibili agenti<br />

patogeni resta per ora solo un’ipotesi.<br />

Briozoi. Anche i briozoi, comuni e<br />

spesso abbondanti nel benthos del<br />

Mediterraneo, sono costituenti importanti<br />

del coralligeno. Si tratta di organismi<br />

coloniali, generalmente sessili, che,<br />

grazie ad un’ampia gamma di<br />

adattamenti morfologici ed ecologici,<br />

sono in grado di colonizzare una grande<br />

varietà di substrati e ambienti a differenti<br />

profondità. I singoli individui (zooidi)<br />

constano di parti molli (polipidi) di<br />

dimensioni inferiori al millimetro, protetti<br />

da scheletri (zoeci) e collegati a formare la<br />

colonia (zoario). Le colonie sono spesso<br />

piccole e delicate, ma in alcune specie<br />

longeve possono talora svilupparsi<br />

formando costruzioni carbonatiche di<br />

notevoli dimensioni. Molte specie<br />

sviluppano colonie a morfologia eretta,<br />

spesso densamente ramificate, più o<br />

meno rigide in relazione al grado di<br />

calcificazione, fermamente attaccate al<br />

substrato attraverso una base incrostante<br />

più o meno sviluppata. Le forme erette<br />

rigide arborescenti hanno rami a sezione<br />

circolare o più o meno appiattita.<br />

Sono di taglia modesta, spesso epibionti<br />

su altri organismi (es. Idmidronea spp.,<br />

Entalophoroecia spp., Buskea spp.) o<br />

anche di taglia elevata, come il falso<br />

corallo Myriapora truncata, e anche<br />

Myriapora truncata<br />

Smittina cervicornis, Adeonella spp.,<br />

Pentapora spp., Hornera frondiculata,<br />

Schizotheca serratimargo. Il genere<br />

Reteporella, infine, ha numerose specie<br />

che formano delicate colonie simili a trine<br />

avvolte a formare le cosiddette rose di<br />

mare. Altre specie di briozoi hanno<br />

colonie flessibili perché composte da<br />

segmenti rigidi articolati da giunti<br />

chitinosi (es. Cellaria, Margaretta), o<br />

perché a calcificazione debole o assente<br />

(es. Chartella, Hincksinoflustra). Le forme<br />

incrostanti possono essere mono o<br />

pluristratificate, e colonizzano<br />

concrezioni organogene, organismi<br />

viventi, roccia e substrati di varia natura.<br />

59


60<br />

Su superfici piatte e levigate, come i talli<br />

algali o le foglie di Posidonia,<br />

generalmente si sviluppano colonie<br />

unilaminari molto piccole (Microporella<br />

spp., Callopora spp., Fenestrulina malusii,<br />

Electra posidoniae) o piccoli ciuffi flessibili<br />

(Crisia spp., Bugula spp., Scrupocellaria<br />

spp.). Su substrati più consistenti, altre<br />

specie incrostanti si accrescono in più<br />

strati ordinatamente sovrapposti, mentre<br />

specie massive a ramificazioni tozze<br />

risultanti dalla sovrapposizione<br />

disordinata di zooidi.<br />

Raramente i briozoi sono i costituenti<br />

principali o “costruttori primari” delle<br />

biocostruzioni del coralligeno. Tuttavia,<br />

essi rappresentano uno dei gruppi<br />

animali che maggiormente contribuisce<br />

alla sua edificazione con oltre 170 specie<br />

nel Mediterraneo e, solitamente, con<br />

numerose colonie. Il ruolo di<br />

biocostruttore primario è espletato solo<br />

da poche specie capaci di formare<br />

strutture erette relativamente grandi che,<br />

oltre a contribuire fattivamente alla<br />

biocostruzione con i loro consistenti<br />

scheletri carbonatici, si elevano rispetto<br />

al fondale circostante e riducono<br />

solitamente la corrente a livello locale.<br />

Reteporella<br />

Molti briozoi, tuttavia, svolgono il ruolo di<br />

“costruttori secondari” e “leganti”. I primi,<br />

come le alghe laminari, formano<br />

incrostazioni che coprono, avvolgono e<br />

consolidano altri organismi a scheletro<br />

rigido e anche a corpo molle. La<br />

temporanea incorporazione nella<br />

biocostruzione di questi ultimi organismi<br />

e la loro successiva decomposizione<br />

contribuisce alla creazione di cavità che<br />

potranno essere tappezzate e stabilizzate<br />

dai leganti che rivestono le pareti delle<br />

cavità interne riducendone i lumi,<br />

ispessendo e rinforzando quindi la<br />

struttura. Numerose specie criptiche di<br />

piccola taglia, sia incrostanti che erette,<br />

sfruttano proprio le microcavità e<br />

anfrattuosità create dall’accrescimento<br />

e dalla giustapposizione degli scheletri<br />

vivendo al loro interno e fungendo da<br />

“abitanti”. Alcuni taxa, infine, a colonie<br />

erette rigide e più spesso flessibili,<br />

fungono da “intrappolatori” contribuendo<br />

a smorzare l’idrodinamismo locale e<br />

favorendo conseguentemente la<br />

deposizione del sedimento, la cui<br />

successiva e spesso precoce litificazione<br />

contribuisce a irrobustire ulteriormente la<br />

biocostruzione. Anche gli scheletri delle<br />

colonie degli intrappolatori costituiscono<br />

una parte bioclastica spesso rilevante di<br />

questi sedimenti. Al contrario, sebbene<br />

alcuni briozoi sviluppino colonie<br />

perforanti, capaci di approfondirsi nel<br />

substrato carbonatico fino a 1-2 mm dalla<br />

superficie, non è mai stato descritto un<br />

ruolo distruttivo da parte della fauna a<br />

briozoi nelle biocostruzioni coralligene.<br />

Le colonie incrostanti, che spesso<br />

superano alcuni centimetri quadrati in<br />

estensione, si alternano alle lamine algali,<br />

che si accrescono non strettamente<br />

addossate le une alle altre ma lasciando<br />

cavità più o meno ampie, quasi sempre<br />

con polarità opposta all’alga per la natura<br />

sciafila dei briozoi che, ad eccezione di un<br />

limitato numero di specie, colonizzano di<br />

preferenza la pagina inferiore. Al<br />

contrario, le incrostazioni di briozoi sono<br />

del tutto subordinate o assenti quando le<br />

lamine algali sono fittamente addossate.<br />

Questa differente distribuzione è stata<br />

correlata con una maggiore predilezione<br />

dei briozoi per un idrodinamismo<br />

moderato e una loro esclusione dalle<br />

aree/fasi ad idrodinamismo<br />

particolarmente accentuato.<br />

Da sottolineare, inoltre, una marcata<br />

variabilità spaziale anche a scala di<br />

poche decine di centrimetri che ha<br />

un parallelismo, a scala diversa, nei<br />

popolamenti delle grotte.<br />

In termini di massa carbonatica prodotta<br />

alcune specie di briozoi, come Pentapora<br />

fascialis, Turbicellepora incrassata,<br />

Adeonella calveti, Celleporina<br />

mangnevillana, mostrano valori rilevanti<br />

(30-300 g/m 2 in peso secco e in<br />

condizioni eccezionali fino a 1240 g/m 2<br />

in peso secco per Pentapora fascialis)<br />

Pentapora fascialis<br />

e i briozoi rappresentano pertanto il<br />

phylum animale più importante in alcuni<br />

popolamenti del coralligeno e nelle<br />

facies di grotte semi-oscure.<br />

Analogamente, è di estrema rilevanza la<br />

produzione carbonatica annuale stimata<br />

per Pentapora fascialis (>1000 g<br />

CaCO 3/m 2), paragonabile a quella di<br />

alcuni coralli madreporari.<br />

Per quanto riguarda le interazioni trofiche,<br />

i briozoi che vivono nel coralligeno, come<br />

molti invertebrati bentonici, non utilizzano<br />

come fonte di cibo altri organismi del<br />

coralligeno, ma stabiliscono relazioni<br />

con il sistema pelagico. Si nutrono<br />

cioè di microplancton e particelle<br />

organiche presenti nella colonna<br />

d’acqua, filtrando attivamente l’acqua<br />

circostante la colonia. Vengono quindi<br />

definiti organismi sospensivori.<br />

Per quanto riguarda l’occupazione del<br />

substrato diverse strategie sono state<br />

descritte per i briozoi, dalla competizione<br />

diretta con altri organismi sessili fino<br />

alla produzione di prodotti chimici<br />

biologicamente attivi.<br />

Quando un briozoo incontra un altro<br />

organismo, può crescere parzialmente<br />

sopra l’altro senza necessariamente<br />

distruggerlo, oppure può ricoprirlo<br />

totalmente inducendone la morte,<br />

oppure entrambi gli organismi crescono<br />

ricoprendosi parzialmente lungo il<br />

margine di contatto. È tipico il caso di<br />

specie che fomano colonie planari<br />

estese e dei ciclostomi con colonie<br />

munite di estese lamine basali i cui bordi<br />

si accrescono molto rapidamente<br />

sollevandosi in modo da elevarsi al di<br />

sopra dei competitori e ricoprirli<br />

rapidamente. In alcuni casi, soprattutto<br />

in incontri fra colonie appartenenti a<br />

specie diverse di briozoi, la crescita può<br />

bloccarsi ad una certa distanza,<br />

probabilmente in seguito all’emissione di<br />

sostanze chimiche di riconoscimento o,<br />

molto più raramente e limitatamente a<br />

poche interazioni intraspecifiche, colonie<br />

originatesi da uno stesso clone possono<br />

coalescere continuando ad accrescersi<br />

in una direzione di crescita comune.<br />

Incrostanti pluristratificati possono<br />

utilizzare la gemmazione frontale per<br />

mantenere lo spazio precedentemente<br />

conquistato.<br />

Un’ulteriore strategia è quella delle<br />

specie erette che si sottraggono alla<br />

competizione per il substrato<br />

sollevandosi rapidamente e sviluppando<br />

61


62<br />

colonie arborescenti ramificate che<br />

consentono di accedere a fonti di cibo<br />

sospese in livelli più elevati nella colonna<br />

d’acqua. L’epibiosi è un fenomeno molto<br />

comune per i briozoi e nel coralligeno<br />

sono anche presenti casi in cui il briozoo<br />

può fungere da substrato (basibionte),<br />

può cioè ospitare sulla sua superficie altri<br />

organismi, inclusi altri briozoi, tollerando<br />

vari gradi di sovra-crescita o epibiosi.<br />

Tra alcune specie di briozoi e alcuni<br />

policheti è stato descritto un caso<br />

interessante di interazione: i vermi,<br />

appartenenti alla famiglia degli spionidi,<br />

producono gallerie nello scheletro di<br />

Schizomavella cornuta inducendo<br />

modifiche nella forma di crescita del<br />

briozoo. Analogamente alcuni idrozoi<br />

colonizzano la superficie frontale di<br />

briozoi le cui secrezioni carbonatiche<br />

ricoprono gli stoloni incrostanti formando<br />

una guaina protettiva; gli idranti, cioè la<br />

parte distale del polipo degli idrozoi, si<br />

nutrono di particelle prelevate dai lofofori<br />

dei briozoi in una relazione descritta<br />

come commensalistica. Briozoi epibionti<br />

che si sviluppano su altri organismi<br />

caratterizzanti facies peculiari del<br />

coralligeno si accrescono in colonie<br />

ramificate, oppure formano strutture a<br />

“manicotto” attraverso un’espansione<br />

concentrica e la sovrapposizione di strati<br />

attorno alle ramificazioni dell’organismo<br />

ospitante. Talvolta altri organismi possono<br />

essere inclusi tra gli strati formati dal<br />

briozoo, aumentando la taglia e il peso<br />

del concrezionamento, specialmente se<br />

gli organismi inclusi posseggono a loro<br />

volta uno scheletro carbonatico. Ad<br />

esempio, gli assi denudati delle gorgonie<br />

Paramuricea clavata, danneggiate dalle<br />

mortalità che hanno colpito negli ultimi<br />

decenni molte specie di invertebrati del<br />

coralligeno, hanno subito un deleterio<br />

processo di colonizzazione soprattutto da<br />

parte di briozoi a scheletro carbonatico.<br />

Varie specie incrostanti tra cui<br />

Rynchozoon spp., Schizobrachiella<br />

sanguinea, Schizomavella auriculata<br />

hirsuta, S. cornuta, Turbicellepora<br />

incrassata ed erette, quali Margaretta<br />

Alcuni briozoi sviluppano colonie incrostanti<br />

che possono coprire completamente altri<br />

organismi (Turbicellepora su Gorgonia)<br />

cereoides, Pentapora fascialis,<br />

Reteporella grimaldii, Smittina cervicornis,<br />

Cellaria salicornioides, colonizzano gli<br />

assi denudati di Paramuricea clavata.<br />

Le colonie incrostanti di briozoi rivestono<br />

prevalentemente le porzioni apicali,<br />

mentre le forme erette iniziano la<br />

colonizzazione delle porzioni basali<br />

e successivamente ricoprono<br />

indifferentemente tutto l’asse.<br />

Il peso degli epibionti può provocare<br />

la rottura delle ramificazioni delle<br />

gorgonie, in particolare delle porzioni<br />

apicali, riducendone notevolmente la<br />

taglia. Situazioni simili possono<br />

svilupparsi su altri organismi eretti del<br />

precoralligeno o della biocenosi delle<br />

grotte semioscure dove spesso anche<br />

colonie dell’ottocorallo Corallium rubrum<br />

possono essere rivestite da spessi<br />

rivestimenti di briozoi quali Turbicellepora<br />

incrassata. Interi rami spesso anche<br />

cariati dall’azione demolitrice delle<br />

spugne clionidi possono così<br />

frammentarsi molto facilmente.<br />

Tra gli invertebrati sessili del coralligeno<br />

vanno ricordati alcuni gruppi che, anche<br />

se meno diversificati e abbondanti,<br />

rispetto a spugne, cnidari e briozoi,<br />

sono comunque elementi caratteristici<br />

dell’<strong>habitat</strong>, e in molti casi rappresentano<br />

sia forme biocostruttrici o “leganti” la<br />

struttura portante del coralligeno, anche<br />

se con un minore potenziale rispetto ai<br />

gruppi sopra discussi, sia soprattutto<br />

forme biodistruttrici. Questi gruppi sono<br />

costituiti da policheti, molluschi, qualche<br />

raro crostaceo (cirripedi) e tunicati,<br />

rappresentati dalle sole ascidie.<br />

Policheti, o vermi segmentati. Sono<br />

molto diversificati e ben rappresentati<br />

nella fauna sia sessile che mobile<br />

associata al coralligeno, soprattutto nelle<br />

microcavità (come endobionti), dove<br />

costituiscono uno dei gruppi dominanti<br />

di invertebrati. I policheti presentano<br />

un’organizzazione del corpo di tipo<br />

“metamerico”, cioè una ripetizione<br />

seriale di segmenti lungo l’asse anteroposteriore,<br />

struttura che si osserva<br />

anche in alcuni artropodi; si differenziano<br />

morfologicamente il primo segmento<br />

cefalico (prostomio) e l’ultimo (pigidio) in<br />

cui si apre l’ano, e a volte si riscontra<br />

anche una variazione morfologica tra<br />

torace e addome (metameria eteronoma).<br />

Tra i policheti, le forme sessili del<br />

coralligeno sono rappresentate da<br />

numerose specie di serpulidi, vermi che<br />

possiedono un caratteristico tubo<br />

carbonatico in cui vivono, che è<br />

saldamente attaccato al substrato e da<br />

cui il verme fuoriesce solo con un ciuffo<br />

di tentacoli finemente pinnati (radioli<br />

principali e pinnule laterali) che serve per<br />

la respirazione e per l’alimentazione<br />

(filtrazione). Le specie più comuni sono<br />

Serpula vermicularis, Protula sp. (o verme<br />

intestino per la forma e grandezza del<br />

tubo, bianco e perfettamente cilindrico),<br />

Hydroides spp., Spirobranchus<br />

polytrema, Pomatoceros triqueter,<br />

Filograna sp. Gli esemplari di<br />

quest’ultimo genere, in particolare,<br />

formano caratteristici agglomerati di<br />

sottili tubicini carbonatici che si<br />

uniscono a formare ammassi globosi<br />

con struttura a “filigrana” e di vari<br />

centimetri di diametro, che colonizzano<br />

preferibilmente i rami delle grandi<br />

gorgonie rosse (Paramuricea clavata)<br />

prediligendo quindi condizioni di forte<br />

corrente e ricambio d’acqua. Altre forme<br />

sessili tubicole di policheti sono i<br />

sabellidi, simili ai serpulidi ma con tubo<br />

membranoso, tra cui la familiare Sabella<br />

spallanzanii, o spirografo, S. pavonina,<br />

Sabella spallanzanii<br />

Myxicola aestetica e Bispira mariae, che<br />

si vedono spesso spuntare con i loro tubi<br />

e i loro cospicui pennacchi branchiali da<br />

piccole tasche di sedimento accumulato<br />

dentro le microcavità del coralligeno.<br />

Molluschi. Rappresentano un phylum<br />

molto ampio di invertebrati e<br />

comprendono anche numerose specie<br />

terrestri e d’acqua dolce, sono<br />

caratterizzati nella maggioranza delle<br />

forme da un involucro carbonatico<br />

esterno, la conchiglia, che racchiude<br />

il corpo dell’animale e che può essere<br />

formato da un solo pezzo, spesso<br />

avvolto a spirale come in molti<br />

gasteropodi, o da due (bivalvi) o otto<br />

pezzi articolati (poliplacofori o chitoni).<br />

63


64<br />

La conchiglia è secreta da alcune<br />

ghiandole ed è spesso ricoperta da una<br />

espansione laterale del piede, detta<br />

mantello. Sono invece privi di conchiglia<br />

esterna i nudibranchi, tra i gasteropodi,<br />

e i cefalopodi (seppie, polpi e calamari)<br />

alcuni dei quali hanno però un sostegno<br />

interno (il famoso “osso di seppia”).<br />

Nell’<strong>habitat</strong> coralligeno sono<br />

particolarmente diversificati tra le forme<br />

sessili i bivalvi e tra quelle mobili e<br />

sedentarie i gasteropodi, inclusi diversi<br />

nudibranchi, e i chitoni.<br />

Alcuni bivalvi endobionti in particolare<br />

con la loro azione perforante<br />

rappresentano una delle componenti<br />

che maggiormente contribuisce alla<br />

demolizione della biocostruzione.<br />

Tra le forme epibentiche ricordiamo i<br />

gasteropodi Vermetus sp. e Serpulorbis<br />

arenaria, e tra i bivalvi soprattutto il<br />

caratteristico spondilo (Spondylus<br />

gaederopus), ma anche Anomia<br />

Spondylus gaederopus<br />

ephippium, Arca barbata, Chama<br />

gryphoides, nonché Pteria hirundo una<br />

specie che tipicamente vive attaccata<br />

con il bisso ai rami della gorgonia rossa<br />

Paramuricea clavata e ben documenta<br />

un ulteriore esempio di forma epibionte<br />

specializzata. Vale la pena menzionare<br />

anche Pinna rudis (= Pinna pernula) che<br />

si osserva spesso nelle tasche di<br />

sedimento accumulato tra le cavità e<br />

anfratti del substrato solido, e che come<br />

Pinna nobilis rappresenta una specie<br />

protetta. Tra le forme endobionti e<br />

perforanti, la più comune e conosciuta è<br />

senz’altro il dattero di mare, Lithophaga<br />

Lithophaga lithophaga<br />

lithophaga, che perfora il substrato<br />

formando caratteristici fori cilindrici,<br />

grazie sia ad una secrezione acida che<br />

all’azione meccanica delle valve. Altre<br />

forme perforanti, meno cospicue, sono<br />

Gastrochaena dubia, Petricola lithophaga<br />

e Hiatella arctica, che perforano in modo<br />

meccanico il substrato. H. artica in<br />

particolare rappresenta uno dei maggiori<br />

biodistruttori del coralligeno. Sono<br />

comuni inoltre alcune specie che<br />

utilizzano le microcavità naturali per<br />

insediarsi e accrescersi all’interno del<br />

substrato, quali Lima lima e Chlamys<br />

spp., e di cui spesso si vedono fuoriuscire<br />

dalle cavità i filamenti sfrangiati del<br />

mantello. Tutti questi bivalvi sono dei<br />

filtratori e inoltre, come altri organismi a<br />

scheletro carbonatico (echinodermi,<br />

briozoi), contribuiscono a formare con le<br />

loro valve/gusci una caratteristica<br />

tanatocenosi, e il tipico sedimento<br />

detritico biogenico presente quasi sempre<br />

ai piedi delle falesie con coralligeno.<br />

Crostacei. Appartengono al phylum degli<br />

Artropodi e rappresentano uno dei taxa<br />

più diversificati in ambiente marino, e<br />

possono essere considerati come<br />

l’equivalente a mare di quello che sono<br />

gli insetti negli ecosistemi terrestri.<br />

Presentano il tronco in genere distinto in<br />

due parti, torace e addome: l’addome<br />

anche nei crostacei presenta una chiara<br />

organizzazione metamerica, con<br />

segmenti ripetuti lungo l’asse anteroposteriore.<br />

Il corpo è ricoperto da un<br />

involucro proteico formato da chitina che<br />

in alcune forme si può impregnare di<br />

calcare e assumere una consistenza dura<br />

e coriacea. La maggioranza dei crostacei<br />

presenta un habitus mobile o sedentario,<br />

l’unico gruppo sessile, considerato anche<br />

per altri aspetti anatomici un gruppo<br />

aberrante, è rappresentato dai cirripedi,<br />

che possiedono un involucro esterno<br />

carbonatico formato da diversi pezzi fusi<br />

assieme. Le forme più popolari di<br />

cirripedi sono i balani o denti di cane,<br />

molto comuni nella zona di marea o<br />

sopra il carapace di altri organismi e tra<br />

le forme incrostanti più frequenti anche<br />

nei substrati artificiali (fouling).<br />

Nel coralligeno sono presenti alcune<br />

specie epibentiche di balani, quali<br />

Balanus perforatus e Verruca spengleri,<br />

mentre Acasta spongites vive all’interno<br />

di diverse spugne, dove si può rinvenire<br />

anche Balanus spongicola; Megabalanus<br />

tulipiformis è spesso associata a<br />

Dendrophyllia ramea, mentre Pyrgoma<br />

anglicum è associata ai madreporari<br />

Leptopammia pruvoti e Astroides<br />

calycularis, e Conopea calceola si<br />

osserva, lungo le coste meridionali<br />

dell’Italia, come epibionte su diversi<br />

gorgonacei.<br />

Tunicati. I tunicati rappresentano un<br />

phylum affine ai vertebrati in quanto<br />

posseggono, almeno in fase larvale, un<br />

accenno di “corda” (una struttura di<br />

sostegno che nello sviluppo formerà la<br />

colonna vertebrale dei cordati).<br />

Come ricorda il loro nome, posseggono<br />

un involucro esterno, detto tunica, che<br />

avvolge il corpo e che rappresenta uno<br />

dei caratteri distintivi del phylum. Le<br />

forme ad habitus bentonico dei tunicati<br />

sono rappresentate dalle ascidie che<br />

comprendono sia forme solitarie che<br />

forme coloniali in cui i singoli individui<br />

(ascidiozoidi) sono riuniti assieme in<br />

un’unica tunica. Le ascidie sono<br />

organismi filtratori e posseggono due<br />

caratteristici sifoni per l’entrata e l’uscita<br />

dell’acqua che viene filtrata attraverso un<br />

faringe molto sviluppato e con struttura a<br />

rete; colonizzano il coralligeno con una<br />

diversità notevole di specie, soprattutto<br />

se comparata ad altri ambienti, e sono<br />

rappresentate sia da forme coloniali sia<br />

solitarie caratteristiche, quali Cystodytes<br />

dellechiaje, Halocynthia papillosa e Ciona<br />

edwarsi, ma anche da altre specie che,<br />

anche se meno tipiche sono comunque<br />

frequenti. Tra esse le ben conosciute<br />

Clavelina spp., che formano spesso densi<br />

Clavelina<br />

agglomerati sopra i rami delle gorgonie<br />

sia rosse che gialle, alcune specie dei<br />

generi Microcosmus, Polycarpa e Pyura,<br />

e le forme coloniali di Aplidium spp.,<br />

Trididemnum spp. Per alcune specie di<br />

ascidie, inoltre, si osservano fenomeni<br />

di epibiosi a volte cospicui, come nel<br />

caso delle specie del genere<br />

Microcosmus, che deve il nome al fatto<br />

che l’animale è cosi colonizzato da<br />

epibionti (macroalghe, piccoli policheti e<br />

briozoi, ecc.) da rappresentare appunto<br />

un microcosmo.<br />

65


66 67<br />

Il corallo rosso<br />

Giovanni Santangelo<br />

Biologia. Il corallo rosso (Corallium<br />

rubrum), è la specie marina di maggior<br />

valore economico; per questo motivo la<br />

maggior parte dei suoi popolamenti sono<br />

stati sovrasfruttati. Quest’importante e<br />

bella componente del coralligeno (esclusiva<br />

del Mediterraneo e del vicino Atlantico)<br />

fa parte della classe degli antozoi,<br />

dell’ordine degli ottocoralli (o alcionari) e<br />

della famiglia dei gorgonacei.<br />

Il corallo rosso è un sospensivoro che si<br />

nutre prevalentemente di micro e nano<br />

plancton e di sostanza organica particolata<br />

che, trasportati (o risospesi coi sedimenti<br />

del fondo) dalle correnti, vengono<br />

catturati dai tentacoli pinnati dei numerosi<br />

polipi da cui la colonia è composta.<br />

Lo scheletro interno delle colonie, di un<br />

rosso brillante, è costituito da carbonato<br />

di calcio ("calcite magnesifera") arricchito<br />

da silicio, stronzio, ferro e manganese. La<br />

colorazione, insieme alla durezza dello<br />

scheletro interno (che, a differenza di<br />

quello delle altre gorgonie, è lavorabile)<br />

rende questa specie particolarmente<br />

adatta alla produzione di gioielli e oggetti<br />

Popolamento superficiale di corallo rosso<br />

caratterizzato da numerose ma piccole colonie<br />

artistici di vario tipo. Il valore del corallo<br />

finemente lavorato può superare quello<br />

dell’oro.<br />

Il corallo rosso è una specie a sessi<br />

separati (gonocorica): le uova vengono<br />

fecondate dagli spermatozoi prodotti<br />

dalle colonie maschili che raggiungono<br />

la cavità interna dei polipi delle colonie<br />

femminili e le larve (planule) vengono<br />

rilasciate da quest’ultime nel corso dell’estate.<br />

Le planule, che hanno una vita<br />

relativamente breve e sono dotate di<br />

limitate capacità di dispersione, si insediano<br />

vicino agli adulti. A causa di queste<br />

limitate capacità di dispersione, la<br />

specie tende a frammentarsi in subunità,<br />

parzialmente isolate da un punto<br />

di vista riproduttivo, geneticamente<br />

distinte tra loro. Si tratta di una specie<br />

molto longeva (le colonie possono superare<br />

i 100 anni di età), a crescita molto<br />

lenta (tra 0.24 e 0.62 mm/anno in diametro<br />

e pochi mm/anno in altezza); di queste<br />

caratteristiche sarebbe necessario<br />

tenere conto nell’impostare progetti di<br />

tutela e di sfruttamento razionale.<br />

Il corallo rosso vive su fondali rocciosi<br />

tra i 20 e i 350 metri; nella parte superiore<br />

di questa fascia di profondità è insediato<br />

nelle cavità meno illuminate (è una<br />

specie moderatamente sciafila); in<br />

ambiente di grotta si trova anche a<br />

profondità minori. Oltre alla luce, un altro<br />

fattore che influenza la sua distribuzione<br />

verticale è la temperatura; questa specie<br />

vive al di sotto del termoclino estivo, a<br />

profondità alle quali la temperatura non<br />

supera normalmente i 21-22°C.<br />

Vive in associazione con alghe rosse dei<br />

generi Peyssonnelia, Lithophyllum e<br />

Mesophyllum; spugne tra cui Petrosia<br />

ficiformis, Dysidea avara, Phorbas tenacior,<br />

Oscarella lobularis, Ircina variabilis,<br />

Axinella damicornis, Agelas oroides e<br />

molte altre; con esacoralli (il più frequente<br />

è Leptopsammia pruvoti che sembra<br />

entri in competizione con il corallo rosso);<br />

con molluschi, soprattutto bivalvi<br />

(Anomia ephyppium, Pholas dactylus);<br />

con anellidi serpulidi (Spirorbis, Protula,<br />

Filograna spp.), briozoi (Reteporella septentrionalis,<br />

Smittina cervicornis e numerose<br />

specie incrostanti). Il gasteropode<br />

(ovulide) Pseudosimnia carnea e il crostaceo<br />

(palemonide) Balssia gasti stabiliscono<br />

con le colonie di corallo una relazione<br />

di ectoparassitismo.<br />

Nell’ambito dell’ampio intervallo di profondità<br />

in cui la specie vive è possibile<br />

distinguere due tipi di popolamenti:<br />

quelli più superficiali (tra i 20-50 metri di<br />

profondità), caratterizzati da colonie piccole<br />

e molto dense, il cui scheletro interno<br />

presenta spesso cavità dovute all’azione<br />

delle spugne perforanti (clionidi) e<br />

quelli che vivono più profondi, caratterizzati<br />

da colonie di taglia maggiore, meno<br />

dense. Soltanto le colonie di quest’ultimi<br />

popolamenti presentano un elevato<br />

valore economico.<br />

I popolamenti meno profondi, pur avendo<br />

un limitato valore commerciale, sono<br />

d’altra parte molto importanti perché<br />

assicurano la sopravvivenza della specie<br />

e, a causa della loro accessibilità, costituiscono<br />

una forte attrazione turistica<br />

per le aree marine in cui sono presenti,<br />

permettendo la realizzazione di studi e<br />

sperimentazioni scientifiche in situ.<br />

La storia del corallo rosso. L’interazione<br />

tra corallo rosso e cultura umana è<br />

molto antica; questo gorgonaceo è stato<br />

utilizzato per millenni per la produzione<br />

di monili, portafortuna, gioielli e oggetti<br />

artistici; i primi grani di corallo, rozzamente<br />

sbozzati, sono stati trovati in tombe<br />

del Mesolitico in Svizzera (risalenti a<br />

15-20.000 anni fa!).<br />

La storia dell’utilizzo e del commercio<br />

del corallo rosso è legata a quella delle<br />

principali civiltà; Egiziani, Fenici, Greci e<br />

Romani hanno diffuso il corallo in tutto il<br />

Mediterraneo e fuori, fino all’Estremo<br />

Oriente; gioielli e portafortuna di corallo<br />

rosso sono stati esportati dal Mediterraneo,<br />

lungo la via della seta, in Cina, Tibet<br />

e Mongolia dove venivano e vengono<br />

tuttora utilizzati.<br />

Nella cultura delle nazioni cristiane era, e<br />

in parte è ancora, diffusa la tradizione di<br />

regalare alle spose e ai neonati moniliportafortuna<br />

di corallo rosso; grandi pittori<br />

del Rinascimento quali Piero della<br />

Francesca e Andrea Mantegna hanno<br />

immortalato questa tradizione nei loro<br />

dipinti.<br />

Diverse città che si affacciano sul Mediterraneo<br />

tra cui Algeri, Genova, Marsiglia,<br />

Pisa, Livorno e, per ultima (dai primi<br />

dell’Ottocento), Torre del Greco<br />

(Napoli), si sono succedute nel controllare<br />

la lavorazione e il mercato del<br />

corallo rosso. La città campana, in cui<br />

arriva la maggior parte del corallo<br />

pescato e molte migliaia di abitanti<br />

sono coinvolti in attività legate a questa<br />

risorsa, viene attualmente considerata<br />

“la città del corallo” per eccellenza.<br />

Negli ultimi anni l’artigianato del corallo<br />

si è diffuso anche in altri paesi mediterranei<br />

e nell’Estremo Oriente, soprattutto<br />

in Cina e a Taiwan.<br />

Colonie di corallo rosso di queste dimensioni<br />

rivestono un notevole interesse commerciale


68<br />

Il corallo rosso<br />

La pesca. Negli ultimi 30 anni la produzione<br />

della pesca del corallo in tutto il<br />

Mediterraneo si è ridotta di 2/3. Questa<br />

riduzione è avvenuta nei primi anni<br />

Ottanta del secolo scorso. Fino all’inizio<br />

degli anni Novanta l’Italia è stato il primo<br />

paese nella pesca del corallo rosso; il<br />

corallo veniva e viene pescato soprattutto<br />

in Sardegna e, in misura minore, anche<br />

nel Lazio, Campania, Puglia e Sicilia.<br />

Accanto alla pesca "ufficiale", soggetta a<br />

regolamentazioni che variano da nazione<br />

a nazione, esiste una pesca illegale diffusa<br />

in tutto il Mediterraneo sulla cui incidenza<br />

si hanno poche informazioni.<br />

Nella pesca del corallo venivano utilizzati<br />

in passato strumenti altamente distruttivi<br />

(“ingegno” e ”croce di S. Andrea”; particolari<br />

tipi di draghe molto pesanti): venivano<br />

trascinati da un’imbarcazione sui<br />

banchi di corallo per strappare le colonie<br />

dal fondo roccioso, danneggiando sia il<br />

corallo che tutte le specie ad esso associate.<br />

Questi strumenti sono stati banditi<br />

dal Mediterraneo nel 1994.<br />

Corallo rosso<br />

In questa decisione l’intervento dei biologi<br />

Italiani che studiavano in quegli anni il<br />

corallo rosso è stato determinante.<br />

In conseguenza della riduzione della<br />

pesca del corallo rosso mediterraneo viene<br />

importata in Italia (a Torre del Greco)<br />

una quantità progressivamente maggiore<br />

di corallo del Pacifico (appartenente ad<br />

altre specie del genere Corallium) che<br />

presenta un valore economico minore. Il<br />

corallo rosso mediterraneo costituisce<br />

attualmente soltanto il 30% di tutto il<br />

corallo lavorato a Torre del Greco.<br />

Una considerazione generale è che la<br />

taglia media delle colonie pescate si è<br />

notevolmente ridotta nel tempo. La pesca<br />

commerciale del corallo è oggi indirizzata<br />

prevalentemente verso le popolazioni<br />

profonde, che contengono gli individui di<br />

taglia maggiore e quelli che presentano<br />

meno perforazioni; anche le popolazioni<br />

superficiali, tuttavia, vengono periodicamente<br />

sottoposte ad un prelievo indiscriminato<br />

in alcune aree del Mediterraneo, in<br />

Spagna e in Italia in particolare.<br />

Conservazione, gestione e ricerca<br />

scientifica. Il corallo rosso costituisce<br />

uno degli esempi più eclatanti di risorsa<br />

marina sovrasfruttata, senza alcun criterio<br />

razionale di gestione del prelievo. È<br />

negli ultimi decenni in particolare, che lo<br />

sfruttamento di questa specie è diventato<br />

più intenso ed è stato reso ancora più<br />

dannoso dal miglioramento delle tecnologie<br />

di pesca.<br />

Negli ultimi anni una nuova fonte di mortalità<br />

si è aggiunta a quella legata alla<br />

pesca: a causa dei cambiamenti climatici<br />

in atto, nel settembre 1999 nel Mar<br />

Ligure si è diffusa una massa d’acqua<br />

particolarmente calda che è giunta fino<br />

a 30-35 metri di profondità causando<br />

un’aumento della mortalità di diversi<br />

suspensivori, tra cui corallo rosso e altri<br />

gorgonacei. La causa potrebbe essere<br />

legata a batteri patogeni che diventano<br />

particolarmente attivi con l’aumento<br />

della temperatura.<br />

Per una specie che, come il corallo rosso,<br />

è caratterizzata da tassi di riproduzione<br />

relativamente elevati e ampia distribuzione<br />

geografica e batimetrica, il rischio<br />

di un’estinzione globale nel prossimo<br />

futuro non è realistico; solo un drammatico<br />

cambiamento dell’ambiente mediterraneo<br />

potrebbe estinguere totalmente<br />

questa specie insieme a molte altre. Reale<br />

è invece il rischio dell’estinzione economica<br />

(scomparsa di popolazioni con<br />

colonie sufficientemente grandi e numerose<br />

da rendere economicamente vantaggioso<br />

il loro sfruttamento) o dell’estinzione<br />

di alcune popolazioni locali poco<br />

profonde. La ricerca può fornire indicazioni<br />

e modelli di sfruttamento utili alla<br />

tutela e gestione di questa risorsa.<br />

Le differenti popolazioni di corallo rosso<br />

hanno conosciuto differenti vicende e<br />

presentano, quindi, strutture differenti.<br />

Le popolazioni inoltre vivono in ambienti<br />

diversi tra loro per l’intensità delle correnti<br />

e l’apporto di plancton. Per tutti<br />

questi motivi popolazioni di differenti<br />

aree geografiche presentano tassi di crescita<br />

e di riproduzione diversi. Tutte le<br />

conoscenze relative alla struttura, la<br />

mortalità e la riproduzione di una popolazione<br />

permettono di costruire la sua<br />

tabella demografica. I dati raccolti rendono<br />

possibile simulare, con una buona<br />

attendibilità, i cambiamenti di una popolazione<br />

nel tempo e le risposte ad<br />

aumenti della mortalità (dovuti alla pesca<br />

o ai cambiamenti climatici). Il ruolo della<br />

ricerca scientifica dovrebbe essere quello<br />

di indicare strategie per una gestione<br />

razionale di quest’importante risorsa<br />

mediterranea impostate su basi demografiche.<br />

Sono attualmente in corso<br />

esperimenti volti a favorire la crescita<br />

delle colonie di corallo su particolari<br />

substrati semi-naturali.<br />

Il ruolo delle Aree Marine Protette.<br />

Come abbiamo visto una distribuzione<br />

geografica e batimetrica molto ampia<br />

mette al riparo questa specie da rischi di<br />

Giovanni Santangelo<br />

estinzione globale; tuttavia l’estinzione da<br />

alcune aree limitate è già avvenuta ed è<br />

sempre possibile che, a causa della riduzione<br />

della taglia delle colonie, non esistano<br />

più popolazioni sfruttabili dal punto<br />

di vista commerciale. È molto importante<br />

pertanto, che, accanto a nuove regole per<br />

una pesca controllata, si stabilisca anche<br />

la tutela delle popolazioni che vivono a<br />

bassa profondità. Queste popolazioni,<br />

pur avendo un valore economico ridotto<br />

(le colonie di corallo sono piccole e spesso<br />

perforate), sono importanti perché, se<br />

protette, assicurano un gruppo di sicuri<br />

riproduttori per la specie.<br />

Alcune aree marine protette, ad esempio<br />

Portofino, l’Arcipelago Toscano, Punta<br />

Campanella in Campania e Capo Caccia<br />

in Sardegna, ospitano popolazioni poco<br />

profonde di questa specie. I dati relativi<br />

alle Isole Medas, Area Marina Protetta da<br />

circa vent’anni, sono confortanti in questo<br />

senso perché indicano un netto,<br />

anche se lento, recupero della popolazione<br />

locale di corallo.<br />

Pleraplysilla spinifera, spugna associata al corallo<br />

69


70<br />

■ La fauna vagile<br />

La complessità strutturale del coralligeno dovuta essenzialmente, come già<br />

evidenziato, alla biocostruzione da parte di numerose forme vegetali e animali e<br />

al suo equilibrio dinamico con la bioerosione, è alla base anche della elevata<br />

diversità di forme mobili che è possibile osservare in questo ambiente.<br />

Per fauna mobile si intende l’insieme delle forme animali vagili, capaci cioè di<br />

attivi spostamenti volontari e autonomi, e sedentarie capaci comunque di<br />

movimento anche se piuttosto limitato nello spazio o nel tempo. La fauna vagile<br />

raggruppa un ampio spettro di organismi appartenenti a diversi phyla con<br />

caratteristiche, richieste ecologiche e ruolo funzionale molto diversi tra loro.<br />

Molte di queste specie presenti nel coralligeno si rinvengono spesso anche in<br />

altri <strong>habitat</strong>, quali quelli a macroalghe fotofile e sciafile dell’infralitorale o i sistemi<br />

a fanerogame, Posidonia oceanica in particolare. Tuttavia per la fauna vagile<br />

associata al coralligeno è riduttivo il paragone con i fondi duri più superficiali, se<br />

pure anche questi ultimi caratterizzati da dense coperture macroalgali o da<br />

cospicue concrezioni biogeniche (come le cornici a Lithophyllum).<br />

Da un punto di vista tassonomico i principali gruppi della fauna vagile associati<br />

all’<strong>habitat</strong> coralligeno appartengono soprattutto ad anellidi policheti, molluschi,<br />

crostacei ed echinodermi, e in misura minore a sipunculidi, nematodi,<br />

turbellari ed echiuridi. Turbellari, o vermi piatti, e nematodi, anche se presentano<br />

livelli elevati di diversità, sono incospicui: hanno infatti dimensioni molto<br />

ridotte e fanno parte di quella che è definita come “meiofauna” (animali sotto i<br />

0,5 mm di grandezza) e che anche nel coralligeno, così come in altri ambienti<br />

marini, vive nascosta tra i minuti interstizi formati da alghe e altri organismi.<br />

Policheti e molluschi sono stati già presentati nella parte dedicata alla fauna<br />

sessile; sipunculidi ed echiuridi sono invece phyla minori, poco diversificati;<br />

possiedono una struttura vermiforme del corpo non segmentata, relativamente<br />

semplice e caratterizzata da lunghe proboscidi retrattili.<br />

I crostacei sono uno dei taxa più diversificati anche nella fauna vagile associata<br />

al coralligeno, soprattutto con il gruppo dei peracaridi che comprende forme di<br />

piccole dimensioni (anfipodi, isopodi, tanaidacei, cumacei e misidacei) e con<br />

una morfologia peculiare dei pezzi boccali; sono inoltre tutti a sviluppo diretto<br />

(incubano le uova in sacche esterne, dette marsupi, da cui escono direttamente<br />

i piccoli). Molto diffusi, caratteristici e abbondanti in ambiente coralligeno anche<br />

i crostacei decapodi che presentano invece dimensioni più grandi, 5 paia di<br />

zampe ambulatorie (da cui il nome), e forme che sono sia natanti, quali gamberi<br />

e gamberetti, che reptanti sul substrato, quali granchi e i comuni paguri.<br />

Fanno infine parte della fauna vagile anche i crostacei copepodi arpacticoidi,<br />

appartenenti alla meiofauna e gli unici ad habitus bentonico, rispetto alla maggior<br />

parte degli altri copepodi che sono invece tipicamente planctonici.<br />

Gli echinodermi rappresentano infine un gruppo frequente con forme tipiche e<br />

piuttosto diversificate nell’<strong>habitat</strong> coralligeno. Fanno infatti parte di questo phylum<br />

le popolari stelle marine e i ricci, nonché le ofiure (o stelle serpentine), le<br />

oloturie e i crinoidi (gigli di mare). Nel complesso gli echinodermi possiedono<br />

una simmetria raggiata del corpo, uno scheletro carbonatico caratteristico, che<br />

nei ricci è il popolare guscio e che si riduce a piccole placche o scleriti nelle<br />

stelle marine e nelle oloturie, e un caratteristico apparato “idraulico” usato per<br />

la locomozione e la nutrizione, definito come sistema acquifero.<br />

Come già messo in evidenza, l’elevata complessità dell’<strong>habitat</strong> rende difficile<br />

poter trattare separatamente l’epifauna vivente sopra il substrato o in associazione<br />

con alcune delle forme sessili animali più cospicue del coralligeno (spugne,<br />

cnidari e briozoi), e la criptofauna o endofauna, che popola invece le<br />

numerose cavità e micro-asperità interne alla impalcatura carbonatica biogenica<br />

del coralligeno. Molte forme infatti non solo vivono in parte nascoste nel<br />

substrato e in parte sulla sua superficie (il caso dell’echiuride Bonellia viridis di<br />

seguito illustrato è emblematico in questo senso), ma altre vivono nascoste<br />

durante il giorno e di notte sciamano alla superficie per nutrirsi o riprodursi,<br />

come nel caso di molti crostacei, molluschi e anche policheti. Pertanto nella<br />

trattazione che segue si indicherà volta per volta la collocazione preferenziale<br />

delle diverse specie (epi- o endobionti), e si metterà anche in evidenza il loro<br />

ruolo come distruttori della biocostruzione carbonatica, come perforatori, o<br />

come pascolatori dello strato vegetato più superficiale.<br />

Ophioderma<br />

71


72<br />

Parte tassonomica<br />

Policheti. Rappresentano anche<br />

nell’ambito della fauna mobile uno dei<br />

gruppi più diversificati e abbondanti<br />

associati al coralligeno. Tra le forme<br />

epibionti dominano i rappresentanti della<br />

famiglia dei polinoidi, o “vermi a scaglie”,<br />

poiché presentano il dorso ricoperto da<br />

escrescenze piatte ed embricate, spesso<br />

ricoperte da papille e tubercoli, tali da<br />

dare l’impressione di una corazza.<br />

Tali forme, tra cui le più comuni<br />

appartengono ai generi Lepidonotus,<br />

Lepidasthenia e Harmothoe, sono<br />

predatrici e sono altamente mimetiche,<br />

con colorazioni scure e variegate.<br />

Sempre come epibionte è spesso<br />

comune osservare, anche se<br />

limitatamente alle porzioni più meridionali<br />

delle coste italiane, ad eccezione<br />

dell’Adriatico, il polichete anfinomide<br />

Hermodice carunculata, detto vermocane<br />

Hermodice carunculata<br />

o verme di fuoco (fire-worm) in quanto<br />

possiede ai lati degli organi deambulanti<br />

(parapodi) cospicui ciuffi di sottili setole<br />

bianche e cave, contenenti una sostanza<br />

irritante che provoca appunto la<br />

sensazione e gli effetti di una bruciatura.<br />

Il ruolo di predatore di questo verme nei<br />

riguardi dei polipi di gorgonie e<br />

madreporari è già stato menzionato. Un<br />

interessante caso di commensalismo<br />

specializzato, molto frequente nel<br />

coralligeno, è dato dal sillide Haplosyllis<br />

depressa chameleon, che vive simbionte<br />

con Paramuricea clavata.<br />

È però come endobionti che i policheti<br />

sono presenti con una maggiore varietà di<br />

specie, soprattutto sillidi, piccoli vermi sia<br />

carnivori che erbivori, ma anche numerosi<br />

nereididi, lumbrineridi, fillodocidi ed<br />

eunicidi. Molti rappresentanti di queste<br />

famiglie comprendono anche forme che<br />

tipicamente colonizzano l’interno delle<br />

spugne e vi abitano come commensali,<br />

come Haplosyllis spongicola, o altre forme<br />

più specializzate come Eunice siciliensis,<br />

o Dipolydora rogeri più strettamente<br />

associate alla spugna Cliona viridis.<br />

Altre forme di policheti perforano gli<br />

scheletri carbonatici di madreporari e<br />

coralli tropicali, come gli eunicidi dei<br />

generi Eunice, Lysidice e Marphysa, e<br />

che come Eunice norvegica, sono<br />

presenti anche in associazione con i<br />

coralli bianchi profondi del Mediterraneo.<br />

Tra queste forme si ricorda Lysidice<br />

ninetta, che è stata osservata scavare<br />

gallerie complesse anche all’interno di<br />

rodoliti con struttura a prâlines, e che<br />

rappresenta anche una delle rare specie<br />

perforanti le scaglie di Posidonia.<br />

Tra le forme perforanti i carbonati una<br />

menzione speciale meritano gli spionidi<br />

Dipolydora spp. e Polydora hoplura, e il<br />

cirratulide Dodecaceria concharum, che<br />

scavano minuscole gallerie all’interno sia<br />

del substrato che dello scheletro di altri<br />

organismi, soprattutto valve di molluschi<br />

bivalvi, ma anche numerosi briozoi e<br />

madreporari e contribuiscono, anche<br />

se subordinatamente, alla bioerosione<br />

del coralligeno. Nelle microcavità o<br />

negli anfratti del coralligeno, inoltre, si<br />

depositano sedimenti, favorendo la<br />

colonizzazione anche di molte specie<br />

sedentarie di vermi, con scarsa mobilità<br />

e quindi legate alla componente fangosa<br />

e fine del substrato, quali molte forme di<br />

spionidi, cirratulidi, terebellidi, dorvilleidi.<br />

Anche molte di queste specie più<br />

sedentarie vivono all’interno di spugne,<br />

che fungono da veri e propri “ostelli” per<br />

la quantità di endobionti che spesso<br />

ospitano. Tra i vermi non segmentati<br />

vanno ricordate alcune specie dai<br />

costumi criptici di sipunculidi, quali<br />

Phascolosoma strombii e Aspidosiphon<br />

muelleri. La prima possiede un’elevata<br />

azione perforante e bioerosiva della<br />

costruzione coralligena, mentre<br />

Aspidosiphon presenta un habitus molto<br />

peculiare in quanto vive con la parte<br />

posteriore del corpo all’interno della<br />

conchiglia di molluschi gasteropodi morti<br />

ed estromette all’esterno solo la lunga,<br />

caratteristica appendice anteriore.<br />

La specie è molto frequente anche nei<br />

fondi a rodoliti e nel detritico costiero in<br />

generale, ricco di resti di conchiglie.<br />

Tra i i vermi non segmentati, la specie più<br />

comune e tipica è senz’altro Bonellia<br />

viridis, echiuride di cui si osserva solo la<br />

Bonellia viridis<br />

lunga appendice anteriore verde scura<br />

terminante a T, che fuoriesce dal substrato<br />

e che non appena disturbata si ritrae nel<br />

corpo globoso che vive ben protetto<br />

all’interno della concrezione organogena.<br />

Bonellia è un organismo piuttosto<br />

complesso e interessante: le lunghe<br />

appendici anteriori che si osservano fuori<br />

dalla roccia indicano che ci troviamo in<br />

presenza di individui femmina; i maschi di<br />

questa specie sono ridotti infatti ad un<br />

piccolo e amorfo individuo vermiforme di<br />

pochi millimetri di lunghezza che vive da<br />

semi-parassita sulla appendice anteriore<br />

della femmina. La stranezza di questo<br />

animale non si limita però a questo, ma è<br />

ben più strabiliante. Le larve che derivano<br />

dalla schiusa delle uova fecondate di<br />

questa “strana coppia”, se si insediano<br />

sul substrato si trasformano a loro volta<br />

in femmine, se al momento della<br />

metamorfosi vanno ad insediarsi sulla<br />

appendice anteriore di una femmina<br />

adulta…si trasformano in maschi!<br />

È un caso inusuale di determinazione<br />

non genetica del sesso, ma indotta<br />

dall’ambiente, in questo caso l’incontro<br />

o meno con un individuo femmina della<br />

propria specie.<br />

Molluschi. Tra le forme più caratteristiche<br />

dell’epifauna mobile del coralligeno sono<br />

frequenti e abbondanti i molluschi, in<br />

particolare alcuni poliplacofori (chitoni),<br />

con specie tipiche come Chiton corallinus,<br />

Chiton corallinus<br />

73


74 Callochiton achatinus e Lepidopleurus Tra i gasteropodi inoltre non si possono 75<br />

cajetanus. La parte del leone tra i<br />

dimenticare alcuni nudibranchi e altri<br />

molluschi la fanno tuttavia i gasteropodi, opistobranchi che nel coralligeno sono<br />

alcuni con forme cospicue come i muricidi presenti spesso con forme<br />

Cymatium parthenopaeum, C. cutaceum, macroscopiche come Umbraculum<br />

Muricopsis cristata, forme carnivore mediterraneum, Discodoris atromaculata<br />

predatrici soprattutto di ricci, il turbinide frequente anche in ambienti sciafili più<br />

Bolma rugosa il cui opercolo, vistoso per superficiali (quali le grotte) e predatore<br />

colore e consistenza, è detto occhio di della spugna Petrosia, e le specie dei<br />

Santa Lucia, il buccinide Buccinulum generi Hypselodoris e Marionia, o con<br />

corneum, o i rari tritoni Charonia lampas e specie più minute dei generi Flabellina,<br />

Neosimnia spelta, gasteropode associato alle gorgonie<br />

Charonia lampas<br />

C. charonia, anche questi ultimi predatori<br />

che si rinvengono anche nel coralligeno<br />

profondo di piattaforma. Altri gasteropodi<br />

molto frequenti e caratteristici sono le<br />

specie dei generi Calliostoma e Clanculus<br />

che si nutrono di spugne, mentre<br />

Coralliophila, Simnia, Neosimnia e<br />

Pseudosimnia sono tipicamente associati<br />

ai gorgoniacei Eunicella spp., Paramuricea<br />

clavata e Corallium rubrum, dei quali<br />

predano i tessuti e che rappresentano<br />

alcuni dei soggetti maggiormente<br />

fotografati dai subacquei nel coralligeno.<br />

Non è raro incontrare anche alcune<br />

cipree, quali Luria lurida ed Erosaria<br />

spurca, fuori dai loro nascondigli<br />

all’interno delle micro-cavità.<br />

Molto ben rappresentate sono anche<br />

specie più minute di gasteropodi,<br />

associate a macroalghe sciafile a tallo<br />

molle o debolmente mineralizzato<br />

(Flabellia, Halimeda, Peyssonnelia), quali<br />

molti rissoidi, ceritidi, marginellidi.<br />

Flabellina<br />

Thuridilla, Coryphella, tutte legate alla<br />

presenza delle loro prede che sono in<br />

genere spugne, idroidi e gorgonie.<br />

Tra i cefalopodi si segnala, infine, il<br />

familiare polpo comune (Octopus<br />

vulgaris) che si rifugia di giorno negli<br />

anfratti del coralligeno, ed esce di notte<br />

in cerca di prede, soprattutto crostacei<br />

decapodi e molluschi.<br />

Crostacei. Una notevole parte della<br />

diversità degli organismi vagili del<br />

coralligeno è rappresentata dai crostacei,<br />

sia quelli più piccoli, come i peracaridi, sia<br />

i più macroscopici decapodi. Molti<br />

peracaridi, che comprendono soprattutto<br />

isopodi, anfipodi, e in misura minore<br />

tanaidacei e cumacei, sono associati<br />

soprattutto alle macroalghe sciafile a tallo<br />

molle che colonizzano il coralligeno,<br />

come nel caso degli anfipodi dei generi<br />

Liljeborgia, Leptocheirus, Gitana,<br />

Amphilochus, Colomastix, Iphimedia,


76<br />

Stenothoe, Cressa, Caprella, Dexamine,<br />

Elasmopus, Maera e Aora.<br />

Maera<br />

Alcune specie, tuttavia, sono più<br />

direttamente associate al coralligeno,<br />

come Harpinia ala, Tryphosella simillima<br />

e Uncionella lunata. Tra gli isopodi,<br />

le più comuni sono Cymodoce truncata,<br />

Jaeropsis brevicornis, Paranthura<br />

nigropunctata e Gnathia maxillaris,<br />

mentre tra i tanaidacei ricordiamo Tanais<br />

cavolini e Leptochelia savignyi.<br />

È tuttavia tra i crostacei decapodi che si<br />

osservano le forme più comuni e popolari<br />

di organismi associati al coralligeno.<br />

Tutti hanno familiarità con l’aragosta,<br />

Palinurus elephas, che di giorno è facile<br />

osservare all’interno degli anfratti da cui<br />

fa spuntare solo le tipiche lunghe antenne<br />

frontali. La specie è invece attiva di notte<br />

e costituisce una delle prede preferenziali<br />

del polpo. Molto comuni sono anche le<br />

cicale di mare (Scyllarus e Scyllarides),<br />

Scyllarus arctus<br />

l’astice (Homarus gammarus), la galatea<br />

(Galathea strigosa) e il parapandalo o<br />

gamberetto fantasma (Plesionika narval),<br />

tipico abitatore delle grotte, ma che si può<br />

spesso osservare in piccoli sciami nei<br />

grandi anfratti alla base delle falesie.<br />

Molto abbondanti anche i comuni paguri<br />

(Pagurus anachoretus) e i granchi dei<br />

generi Pilumnus, Inachus, Macropodia.<br />

Una menzione speciale richiedono però<br />

alcune specie strettamente associate sia<br />

ad alcune spugne, sia al corallo rosso e<br />

ad altre gorgonie, e che rappresentano un<br />

ulteriore emblematico caso di simbiosi<br />

specializzata. Tra le forme associate alla<br />

spugna Cliona viridis si ricordano Alpheus<br />

dentipes e Typton spongicola, mentre<br />

molto più numerose sono le specie<br />

associate al corallo rosso, quali Balssia<br />

gasti, B. noeli, Pandalina brevirostris,<br />

Periclimenes scriptus, P. sagittifer, Eualus<br />

occultus, Thoralus cranchii, Pagurus<br />

vreuxi, Nematopagurus longicornis,<br />

Galathea dispersa e G. nexa, Macropodia<br />

linaresi ed Euchirograpsus liguricus.<br />

Il ruolo che queste specie svolgono<br />

nel micro<strong>habitat</strong> formato dai rami delle<br />

colonie di corallo non è ancora ben<br />

chiaro, anche se si intuisce che la<br />

maggior parte delle specie potrebbe<br />

utilizzare la colonia come area di caccia e<br />

pabulum e/o come rifugio dai predatori, e<br />

anche come area riproduttiva. Quella più<br />

studiata e che presenta gli aspetti di<br />

simbiosi e adattamento più accentuati<br />

con il corallo è Balssia gasti, un<br />

rappresentante dei pontonini, gruppo che<br />

presenta evidenti tratti co-evolutivi e<br />

adattativi con gli cnidari. La specie<br />

possiede un cromatismo mimetico molto<br />

accentuato, e una morfologia che simula<br />

la forma dei polipi chiusi della gorgonia,<br />

evidente anche quando la specie<br />

colonizza altre forme arborescenti di<br />

gorgonie come Eunicella spp., Savalia<br />

savaglia e Paramuricea clavata, alle quali<br />

spesso si associa.<br />

Echinodermi. In questo ambiente<br />

presentano la diversità più elevata<br />

riscontrabile per questo phylum nei vari<br />

ambienti mediterranei. Gli echinodermi<br />

sono rappresentati nel coralligeno da<br />

tutte e cinque le classi, ricci, stelle, stelle<br />

serpentine o ofiure, oloturie e crinoidi. Tra<br />

i ricci le forme più tipiche del coralligeno<br />

sono il riccio diadema Centrostephanus<br />

longispinus, unico rappresentante<br />

Centrostephanus longispinus<br />

mediterraneo di una famiglia, i<br />

diadematidei, tipica delle aree tropicali e<br />

caratterizzata da lunghi aculei sottili e con<br />

notevole proprietà urticante. Le due<br />

specie di cidaridi o ricci matita, Cidaris<br />

cidaris e Stylocidaris affinis, sono comuni<br />

anche nel coralligeno di piattaforma o<br />

associate ai letti di rodoliti, così come<br />

il riccio melone, Echinus melo.<br />

A queste specie più tipiche si<br />

accompagna Sphaerechinus granularis,<br />

riccio comune anche su Posidonia, che<br />

nel coralligeno rappresenta il principale<br />

erbivoro pascolatore delle alghe calcaree,<br />

e quindi uno degli organismi biodistruttori<br />

più importanti per l’<strong>habitat</strong>.<br />

Tra le stelle marine, le grandi Ophidiaster<br />

ophidianus e Acelia attenuata o la stella<br />

cuscino Sphaeriodiscus placenta sono<br />

potenti predatori di altri ricci e di<br />

molluschi, e rappresentano anche belle<br />

note cromatiche rosso e arancione sul<br />

fondo. Le ofiure o stelle serpentine<br />

presentano invece un habitus più criptico,<br />

vivendo soprattutto all’interno delle<br />

microcavità e anfratti. Le specie più<br />

frequenti di questa classe sono<br />

Ophioderma longicaudum e Ophiotrix<br />

fragilis, mentre nelle porzioni più profonde<br />

delle falesie non è raro osservare,<br />

attaccata ai rami delle gorgonie,<br />

Astrospartus mediterraneus, di grandi<br />

dimensioni ed endemita del Mediterraneo,<br />

che distendendo le sue lunghe braccia<br />

pluriramificate soprattutto di notte ha un<br />

aspetto un po’… inquietante.<br />

Tra gli echinodermi sono anche molto<br />

comuni nel coralligeno le oloturie con<br />

Holoturia poli e H. forskalii e tra i crinoidi<br />

Antedon mediterranea.<br />

Rispetto al coralligeno di falesia e di<br />

piattaforma, i fondi a rodoliti ospitano una<br />

fauna mobile meno diversificata e con<br />

specie a diversa ecologia per la presenza<br />

di forme associate anche al detrito<br />

grossolano (come Hyalinoecia spp. e<br />

Ditrupa arietina tra i policheti), o nel caso<br />

di fondi infangati, al sedimento fine.<br />

In generale, poco si conosce degli aspetti<br />

quantitativi, e della dinamica di<br />

popolazione della maggior parte delle<br />

specie mobili sopra menzionate, così<br />

come della dinamica stagionale e a più<br />

lungo termine del sistema. La difficoltà<br />

di campionamento in questo delicato<br />

<strong>habitat</strong>, la sua elevata patchiness<br />

(distribuzione a macchie) e variabilità<br />

spaziale, e l’esigenza di contenere<br />

l’impatto anche dell’attività di ricerca e<br />

prelievo, hanno spesso limitato gli studi<br />

e quindi la disponibilità di dati e<br />

informazioni sulla maggior parte delle<br />

specie, se pur con qualche eccezione.<br />

Lo sviluppo, in anni più recenti, di<br />

tecniche non distruttive, sta contribuendo<br />

in maniera determinante alla conoscenza<br />

della dinamica di questo sistema anche<br />

se le osservazioni sono necessariamente<br />

limitate agli organismi più cospicui e<br />

facilmente riconoscibili (es. gorgonie,<br />

spugne, macroalghe ecc.).<br />

77


La fauna: i vertebrati<br />

PAOLO GUIDETTI<br />

Così come per altri ambienti marini<br />

costieri, l’associazione tra coralligeno e<br />

vertebrati corrisponde sostanzialmente<br />

a quella con i pesci. Di per sé altri vertebrati<br />

possono essere occasionalmente<br />

presenti (per esempio le tartarughe<br />

marine), ma non si può certamente parlare<br />

di associazione con il coralligeno.<br />

Da questa prospettiva va premesso<br />

che il termine “associato” sarà qui usa- Donzella (Coris julis)<br />

to per definire le specie della fauna ittica<br />

che si possono trovare, con maggiore o minore frequenza o in maggiore o<br />

minore abbondanza, in sistemi a coralligeno e che frequentano tali sistemi<br />

(occasionalmente o continuativamente) perché in essi trovano le condizioni<br />

ambientali più adatte e/o le risorse di cui hanno bisogno, per esempio in termini<br />

di cibo o rifugio dai predatori (inclusi i pescatori subacquei in apnea).<br />

Rispetto alla fauna ittica associata ad altri <strong>habitat</strong> (per esempio le praterie di<br />

Posidonia oceanica o i fondali rocciosi sublitorali) i pesci del coralligeno hanno<br />

ricevuto di gran lunga una minore attenzione da parte dei biologi marini. Le<br />

ragioni sono molteplici. A parte qualche eccezione (come per il coralligeno<br />

pugliese di piattaforma che si trova anche a bassa profondità) il coralligeno si<br />

sviluppa solitamente a profondità relativamente elevate e in ogni caso impegnative<br />

per l’immersione subacquea con autorespiratore. Questo ha certamente<br />

limitato il numero degli studi eseguiti utilizzando, per esempio, il visual census,<br />

cioè una serie di tecniche di censimento della fauna ittica eseguite in situ,<br />

in immersione con autorespiratore, direttamente dai biologi-ittiologi marini.<br />

Inoltre, i fondali a coralligeno sono spesso accidentati e complessi strutturalmente<br />

(per esempio sono presenti spuntoni di roccia o di biocostruzione). Ciò<br />

rende non molto agevole l’utilizzo di reti o altri sistemi derivati dalla pesca per<br />

campionare la fauna ittica dal momento che si può facilmente determinare il<br />

danneggiamento se non la perdita di attrezzi da pesca, come reti o nasse.<br />

Sotto il termine comune di coralligeno, come accennato in capitoli precedenti,<br />

ricadono comunità bentoniche molto differenti. È quindi intuitivo pensare che la<br />

profondità alla quale il coralligeno si sviluppa, la pendenza e la complessità tri-<br />

Corvina (Sciaena umbra)<br />

79


dimensionale influenzino la composizione<br />

e dinamica dei popolamenti ittici<br />

associati. Le condizioni ambientali fanno<br />

sì che la fauna ittica ad esso associata<br />

abbia una composizione in specie<br />

differente rispetto agli <strong>habitat</strong> sublitorali.<br />

Alcune specie ittiche, in particolare,<br />

si trovano associate quasi esclusivamente<br />

al coralligeno, alcune per altro<br />

nelle parti più profonde, come i labridi<br />

Castagnola rossa (Anthias anthias)<br />

Lappanella fasciata e Acantholabrus<br />

palloni. Tutto ciò implica che i sistemi a coralligeno possono contribuire in modo<br />

non trascurabile alla biodiversità ittica in ambiente costiero mediterraneo.<br />

In questi ambienti la fauna ittica presente si distribuisce nello spazio in modo<br />

differente in relazione all’ecologia tipica di ogni specie. Vi sono specie che<br />

sfruttano prevalentemente la colonna d’acqua al di sopra delle concrezioni del<br />

coralligeno, altre che nuotano nei pressi del fondo o degli organismi sessili e<br />

strutturanti (per esempio le gorgonie), altre ancora, infine, che hanno caratteristiche<br />

spiccatamente bentoniche e criptiche, le quali in alcuni casi sfruttano gli<br />

anfratti presenti nelle concrezioni del coralligeno.<br />

Tra le specie ittiche che comunemente occupano la colonna d’acqua al di<br />

sopra delle concrezioni a coralligeno si può certamente annoverare la castagnola<br />

(Chromis chromis), ma soprattutto la castagnola rossa (Anthias anthias).<br />

Si tratta di specie dalle dimensioni relativamente contenute (solitamente intorno<br />

ai 10-15 cm di lunghezza) e fortemente gregarie, che possono formare<br />

sciami molto numerosi. La castagnola è un piccolo pesce planctonofago,<br />

mentre la castagnola rossa ha una dieta basata su piccoli crostacei e forme<br />

giovanili di pesci. Durante la notte la castagnola scende sul fondo alla ricerca<br />

di anfratti in cui trovare rifugio, così come fa nelle praterie di P. oceanica o nel<br />

sublitorale roccioso. La castagnola rossa è, invece, specie sciafila e la si ritrova<br />

spesso in vicinanza di grotte, anfratti o, spesso, a partire dalla profondità<br />

alla quale si sviluppa il coralligeno.<br />

Oltre a queste due specie, altri pesci planctonofagi, come gli zerri (Spicara<br />

smaris), le menole (Spicara maena), le boghe (Boops boops) e le occhiate<br />

(Oblada melanura), a cui si possono occasionalmente aggiungere le sardine<br />

(Sardina pilchardus), possono essere presenti nella colonna d’acqua al di sopra<br />

delle concrezioni del coralligeno.<br />

Le specie ittiche planctonofaghe non sono certamente gli unici pesci presenti<br />

nella colonna d’acqua sovrastante gli ambienti a coralligeno. A queste, infatti,<br />

vanno aggiunte diverse specie predatrici piscivore (cioè che si nutrono prevalentemente<br />

di altri pesci) che compiono incursioni alla caccia di prede. Si tratta<br />

di specie come la ricciola (Seriola<br />

dumerili), il barracuda (Sphyraena viridensis)<br />

e il dentice (Dentex dentex), le<br />

quali possono raggiungere dimensioni<br />

ragguardevoli (190, 130 e 100 cm di<br />

lunghezza totale, rispettivamente) e<br />

che possono formare sciami molto<br />

numerosi, in particolare negli ambienti<br />

di secca rocciosa. Questi pesci predatori,<br />

quando non sono in caccia, pos- Tordo fischietto (Labrus mixtus)<br />

sono essere osservati nuotare molto<br />

tranquillamente, spesso in gruppi numerosi. Altre volte il loro arrivo è preceduto<br />

dall’agitazione spasmodica e successiva fuga in massa dei pesci più piccoli<br />

(come castagnole e boghe) che rappresentano le loro prede più comuni.<br />

Molte specie ittiche vivono più strettamente associate alle concrezioni del<br />

coralligeno. Si tratta di specie che nuotano poco al di sopra delle concrezioni,<br />

come molti pesci appartenenti alla famiglia dei labridi, degli sparidi e dei serranidi.<br />

Tra le specie di labridi più caratteristiche del coralligeno ricordiamo il tordo<br />

fischietto (Labrus mixtus, che presenta un dimorfismo sessuale molto marcato),<br />

il tordo canino (L. fasciata) e il tordo di fondale (Acantholabrus palloni).<br />

Queste due ultime specie sono piuttosto profonde in quanto si possono<br />

incontrare solitamente a partire dai 40 m in giù. Sono numerose, in ogni caso,<br />

le specie ittiche appartenenti alla famiglia dei labridi che possono essere<br />

incontrate sui fondali a coralligeno, ma presenti anche in altri <strong>habitat</strong> del sublitorale,<br />

come le praterie di fanerogame marine o i substrati rocciosi. Le specie<br />

appartenenti al genere Labrus includono il tordo nero (L. merula) e il tordo marvizzo<br />

(L.viridis), i quali possono assumere dimensioni relativamente cospicue<br />

(circa 45-50 cm di lunghezza massima) e livree variabili (rossastre, verdastre,<br />

marroni, con diverse punteggiature e/o striature). Sono specie che si cibano di<br />

invertebrati e, in minor misura, di piccoli pesci.<br />

A questi si aggiungono labridi appartenenti al genere Symphodus che risultano<br />

relativamente abbondanti nei fondali a coralligeno, come il tordo rosso (S.<br />

mediterraneus), e altri come il tordo pavone (S. tinca), il tordo fasciato (S.<br />

doderleini) e il tordo codanera (S. melanocercus) che tuttavia sono riscontrabili<br />

anche a profondità meno elevate e in altri <strong>habitat</strong> costieri. Il tordo codanera,<br />

in particolare, è un pesce di piccole dimensioni (lunghezza massima pari a 14<br />

cm) ben noto per essere un pesce pulitore. Si ciba, infatti, di ectoparassiti,<br />

muco, squame, tessuti infetti e residui di cibo che rimuove dal corpo di altri<br />

pesci e interagisce con tantissime altre specie ittiche, tra cui il tordo pavone,<br />

diversi saraghi (sparidi del genere Diplodus) e piccoli serranidi come lo sciarrano<br />

(Serranus scriba) e la perchia (S. cabrilla).<br />

80 81


82<br />

Un labride che mostra abbondanze molto elevate sul coralligeno è la donzella<br />

(Coris julis), mentre la donzella pavonina (Thalassoma pavo) è presente<br />

(soprattutto nelle aree più meridionali), ma scarsamente abbondante. Entrambe<br />

mostrano uno spiccato dimorfismo sessuale, il che consente di poter affermare<br />

che siano i maschi, cioè gli individui tendenzialmente più grandi e con<br />

una colorazione più vistosa, a frequentare con maggiore frequenza le acque<br />

più profonde (quindi più fredde e meno illuminate) in cui si sviluppa il coralligeno.<br />

I labridi sopramenzionati, tutti relativamente piccoli, sono essenzialmente<br />

carnivori e si cibano soprattutto di piccoli invertebrati vagili (come echinodermi,<br />

molluschi, policheti, crostacei).<br />

Molte sono le specie di sparidi che si possono trovare associate al coralligeno.<br />

Tra queste il già citato dentice, predatore gregario e piscivoro. Per quel che<br />

concerne gli sparidi del genere Diplodus, cioè il sarago maggiore (D. sargus<br />

sargus), il sarago pizzuto (D. puntazzo), il sarago fasciato (D. vulgaris) e lo sparaglione<br />

(D. annularis), pare che le loro abbondanze relative siano piuttosto<br />

variabili, forse in relazione alle specifiche tipologie dell’<strong>habitat</strong> in cui il coralligeno<br />

si sviluppa (falesia o piattaforma, copertura macrofito- e zoobenthos,<br />

disponibilità di anfratti).<br />

Lo sparaglione è il più piccolo tra i saraghi (ha una lunghezza massima pari a<br />

25 cm) e ha una colorazione argentea con sfumature giallo-verdastre. Si nutre<br />

essenzialmente di piccoli invertebrati sessili e vagili. Gli altri saraghi, cioè il<br />

sarago maggiore, il sarago pizzuto e il sarago fasciato, hanno un non trascura-<br />

Sarago pizzuto (Diplodus puntazzo)<br />

bile valore economico per la pesca e<br />

raggiungono taglie di gran lunga maggiori<br />

rispetto allo sparaglione: il sarago<br />

maggiore e il fasciato raggiungono i 45<br />

cm di taglia massima, mentre il sarago<br />

pizzuto può arrivare fino a 60 cm. Sebbene<br />

le loro diete non siano del tutto<br />

simili (soprattutto per il sarago pizzuto<br />

che si ciba anche di invertebrati sessili<br />

come le spugne), i tre saraghi più gran- Tanuta (Spondyliosoma cantharus)<br />

di si cibano di invertebrati in alcuni casi<br />

anche di dimensioni relativamente grandi, come i ricci di mare adulti. Un altro<br />

sparide che si trova tipicamente associato al coralligeno è la tanuta (Spondyliosoma<br />

cantharus): può raggiungere i 60 cm di lunghezza massima e si nutre<br />

di invertebrati e, quando presenti, di meduse. Soprattutto gli esemplari di grosse<br />

dimensioni sono presenti in ambiente roccioso (principalmente sulle secche<br />

profonde), mentre gli esemplari giovanili e di taglia media si incontrano più<br />

spesso in praterie di Posidonia oceanica o substrati rocciosi sublitorali.<br />

La salpa (Sarpa salpa), invece, quando osservata su fondali a coralligeno non<br />

risulta mai particolarmente abbondante (malgrado sia fortemente gregaria e<br />

formi sciami molto grandi in altri <strong>habitat</strong> più superficiali). Questa è la più importante<br />

specie ittica essenzialmente erbivora (almeno da adulta) del sistema litorale<br />

mediterraneo. Probabilmente la scarsa presenza delle alghe palatabili per<br />

le salpe alle profondità relativamente elevate dove si sviluppa il coralligeno<br />

determina la loro scarsa abbondanza. Altri sparidi che è possibile incontrare<br />

presso le concrezioni del coralligeno sono l’orata (Sparus aurata), il pagro<br />

(Pagrus pagrus) e il pagello fragolino (Pagellus erythrinus), sebbene i dati<br />

disponibili sembrano evidenziare una frequenza piuttosto bassa.<br />

Un’altra specie che si può incontrare in fondali a coralligeno, soprattutto in siti<br />

in cui vi è un’ampia disponibilità di rifugi e tane è la corvina (Sciaena umbra),<br />

appartenente alla famiglia degli sciaenidi. Può raggiungere dimensioni notevoli<br />

(circa 70 cm di lunghezza totale), è spesso gregaria e si ciba principalmente<br />

di invertebrati. Le corvine si ritrovano con facilità nei pressi dell’imboccatura<br />

delle tane in cui si rifugiano velocemente se vengono disturbate.<br />

Una specie che ha, per alcuni versi, caratteristiche simili alla corvina e che si<br />

può incontrare sul coralligeno è la mostella o pastenula bruna (Phycis phycis),<br />

appartenente alla famiglia dei gadidi. Non è esclusiva dei fondi duri, ma viene<br />

pescata anche su fondali sabbiosi e fangosi ad oltre 100 m di profondità.<br />

Nei pressi di anfratti e piccole grotte, così come per la corvina e la mostella, è<br />

comunemente incontrato anche il re di triglie (Apogon imberbis), un piccolo<br />

pesce sciafilo (i.e. attratto dagli ambienti bui) di colore rosso intenso.<br />

83


La cernia bruna (Epinephelus marginatus)<br />

è un grosso pesce predatore che<br />

frequenta abitualmente i fondali coralligeni,<br />

mostrando densità particolarmente<br />

elevate presso gli ambienti di<br />

secca rocciosa. È una specie stanziale<br />

e territoriale che può vivere fino a 50<br />

anni. Oltre alla cernia bruna, anche la<br />

cernia dorata (E. costae) e, più raramente,<br />

la cernia rossa (Mycteroperca<br />

Pesce San Pietro (Zeus faber)<br />

rubra) si possono incontrate sul coralligeno.<br />

Queste specie possono raggiungere dimensioni notevoli, fino a taglie<br />

massime di circa 140-150 cm. Le cernie, così come altre specie ittiche pregiate<br />

(per esempio i dentici) possono essere severamente impattate dalla pesca<br />

sportiva, sia quella subacquea, ma soprattutto quella effettuata con nuove<br />

tecniche e tecnologie, per esempio il cosiddetto vertical jigging. Questa tecnica<br />

di pesca, unita purtroppo alle diffuse (e illegali) abitudini dei pescatori sportivi<br />

di non rispettare le quote di prelievo (5 kg al giorno come quota massima)<br />

e di vendere il pescato, sta determinando un impatto drammatico sugli stock<br />

dei riproduttori i quali vengono insidiati anche in ambienti rocciosi o concrezionati<br />

in profondità (soprattutto sulle secche) dove, fino a poco tempo fa, trovavano<br />

rifugio. Questo potrebbe avere nel tempo conseguenze molto negative<br />

sulle capacità di rinnovamento delle popolazioni soggette a prelievo e dovrebbe<br />

essere oggetto di attenzione da parte del legislatore e delle autorità competenti<br />

per il controllo sulla pesca sportiva (o pseudo-sportiva quando è praticata<br />

illegalmente). Le cernie non sono, tuttavia, gli unici serranidi che possono<br />

essere associati al coralligeno. Altri due serranidi di dimensioni più piccole<br />

(intorno ai 35 cm di taglia massima), lo sciarrano (Serranus scriba) e la perchia<br />

(S. cabrilla), sono molto comuni su fondali a coralligeno. Si tratta di specie territoriali<br />

e piscivore (quindi predano specie ittiche di piccole dimensioni o, nella<br />

maggior parte dei casi, forme giovanili).<br />

Il pesce San Pietro (Zeus faber) è tipicamente associato ai fondi duri del coralligeno.<br />

Ha una forma del corpo molto caratteristica, molto alta e compressa, è<br />

dotato di una bocca protrattile, di lunghi e robusti raggi spinosi sulla pinna<br />

dorsale che si prolungano con filamenti e di una caratteristica macchia scura<br />

(cerchiata di bianco) su entrambi i lati del corpo.<br />

Per quel che concerne le specie maggiormente legate al substrato, nel coralligeno<br />

si possono incontrare frequentemente il grongo (Conger conger) e la<br />

murena (Muraena helena). Si tratta di predatori notturni che di giorno permangono<br />

all’interno degli anfratti dai quali fuoriesce spesso solo il capo. Durante la<br />

notte, tuttavia, questi voraci predatori escono dalle tane alla ricerca di prede.<br />

Appoggiati direttamente sulle concrezioni coralligene su cui si mimetizzano in<br />

maniera molto efficace si trovano spesso lo scorfano nero (Scorpaena porcus),<br />

ma soprattutto lo scorfano rosso (S. scrofa). Gli scorfani sono pesci predatori<br />

che attendono le prede appostandosi sul fondo.<br />

Per quel che concerne le piccole specie bentoniche e criptiche appartenenti<br />

alla famiglia dei gobidi (ghiozzi), la letteratura disponibile riporta la presenza di<br />

numerose specie come associate al coralligeno. Il ghiozzo dorato (Gobius auratus)<br />

e il ghiozzo bocca rossa (G. cruentatus) sono solitamente osservabili sulle<br />

concrezioni coralligene, insieme a più rari rappresentanti delle famiglie dei blennidi<br />

(bavose, come Parablennius rouxi) e tripterigidi (peperoncini, come Trypterigion<br />

delaisi). Altre specie come il ghiozzo gattopardo (Thorogobius macrolepis),<br />

il ghiozzo rasposo (Gobius bucchichi), il ghiozzo listato (G. vittatus) e il<br />

ghiozzo geniporo (G. geniporus) si trovano invece sulle sabbie organogene presenti<br />

alla base delle concrezioni coralligene, spesso in vicinanza di anfratti o<br />

piccole grotte in cui si rifugiano se vengono disturbati. Vi sono anche altre specie<br />

di ghiozzi riportate come presenti sui fondali a coralligeno, come il ghiozzo<br />

delle Baleari (Odondebuenia balearica), ma le loro ridotte dimensioni insieme<br />

alla colorazione mimetica ne rendono spesso difficile l’individuazione.<br />

Alcune specie ittiche, come la triglia di scoglio (Mullus surmuletus) e di fango<br />

(M. barbatus) o il cefalo dorato (Liza aurata) sono riportati come specie che è<br />

possibile ritrovare sul coralligeno sebbene la loro presenza sia legata alla<br />

disponibilità di chiazze di substrato incoerente. In aggiunta, nelle sabbie nei<br />

84 85<br />

Scorfano rosso (Scorpaena scrofa)


86<br />

pressi delle formazioni a coralligeno è<br />

possibile osservare altre specie ittiche<br />

come le tracine (Trachinus spp.), il<br />

pesce prete (Uranoscopus scaber), il<br />

pesce lucertola (Synodus saurus), le<br />

sogliole (Solea spp.) e altri pesci piatti,<br />

sebbene essi siano principalmente a<br />

contatto con il substrato sabbioso e<br />

stiano infossati, in attesa che le loro<br />

possibili prede passino nelle vicinanze.<br />

Ai fondali caratterizzati dalla presenza<br />

di concrezioni coralligene non sono<br />

associati solo pesci ossei, ma anche<br />

Pesce prete (Uranoscopus scaber)<br />

molte specie di pesci cartilaginei. Tra i<br />

principali ricordiamo alcuni piccoli squali, come il gattuccio (Scyliorhinus canicula),<br />

il gattopardo (S. stellaris), il palombo (Mustelus mustelus), così come alcune<br />

torpedini (come Torpedo nobiliana) e pastinache (come Dasyatis pastinaca).<br />

Per quel che concerne la dinamica temporale, sia su scala giornaliera che stagionale<br />

o pluriennale, i dati disponibili sono scarsissimi, per cui non è possibile<br />

trarre in merito alcuna conclusione o descrivere modalità di cambiamento nel<br />

tempo della fauna ittica associata al coralligeno. Va detto tuttavia, che in molti<br />

casi il coralligeno si sviluppa a profondità superiori rispetto alla collocazione del<br />

termoclino estivo. La sostanziale stabilità dei fattori chimico-fisici delle acque<br />

marine dove si sviluppa il coralligeno potrebbero determinare una dinamica temporale<br />

e stagionale della fauna ittica attenuata rispetto a ciò che avviene in altri<br />

<strong>habitat</strong> più superficiali. Allo stesso modo è presumibile che così come avviene<br />

per le praterie di Posidonia oceanica o i fondi rocciosi sublitorali, i predatori tipicamente<br />

notturni, come murene, gronghi e gadidi, fuoriescano dalle tane al tramonto<br />

per ritornarvi all’alba. Tuttavia, come già detto, i dati disponibili sono troppo<br />

scarsi per poter tracciare una dinamica temporale di qualsiasi sorta.<br />

Un dato di particolare rilevanza riguarda il coralligeno come <strong>habitat</strong> utilizzato<br />

dalle forme giovanili di specie ittiche durante le fasi più precoci del ciclo vitale<br />

(nursery). A parte la presenza ben nota delle uova bentoniche di gattuccio sulle<br />

gorgonie, pare che la presenza di forme giovanili di pesci sia limitata a pochi<br />

labridi. In particolare, sembra che solo i giovanili di donzella (quando hanno<br />

una taglia intorno ai 2-3 cm) possano essere presenti in densità elevate presso<br />

i fondali a coralligeno. Questo è stato osservato in particolare in piena estate<br />

presso alcune secche rocciose all’interno dell’Area Marina Protetta di Tavolara-Punta<br />

Coda Cavallo (Sardegna nord-orientale).<br />

Per quanto riguarda altri labridi i cui adulti sono frequenti sui fondali a coralligeno,<br />

va detto che individui di piccola taglia, per esempio di tordo fischietto o tor-<br />

do rosso, possono essere osservati,<br />

così come non si può escludere a priori<br />

che i giovanili di specie come la castagnola<br />

rossa usino particolari micro<strong>habitat</strong>,<br />

come gli anfratti più bui delle concrezioni,<br />

come siti per il reclutamento.<br />

Per quel che concerne la composizione<br />

in specie dei popolamenti ittici così<br />

come le abbondanze relative e la ricchezza<br />

specifica, le informazioni ad<br />

oggi disponibili riguardo il coralligeno<br />

sono piuttosto scarse e frammentarie.<br />

Considerando gli studi disponibili e<br />

Pastinaca (Dasyatis pastinaca)<br />

pubblicati sulla fauna ittica del coralligeno,<br />

il numero di specie riportato da varie località lungo le coste del Mediterraneo<br />

si aggira intorno alle 30-35 specie relativamente a studi che hanno<br />

impiegato tecniche di visual census in immersione con autorespiratore. Studi<br />

più datati e relativi all’uso di strumenti da pesca per il campionamento della<br />

fauna ittica (principalmente reti da posta) riportano per contro una ricchezza<br />

specifica maggiore, compresa tra 43 e 56 specie. In termini sia di ricchezza<br />

specifica, sia di composizione in specie le differenze tra gli studi sono attribuibili<br />

a diversi fattori. Non trascurabile è senza dubbio il bias relativo alle tecniche<br />

di campionamento utilizzate. Censimenti visivi e reti hanno sicuramente<br />

una selettività differente per le specie e le taglie. Non trascurabili, infine, sono<br />

le differenze attribuibili a fattori di tipo biogeografico. È evidente che la presenza<br />

di specie come il pesce scoiattolo (Sargocentron rubrum), la triglia dorata<br />

(Upeneus moluccensis) o il pesce coniglio scuro (Siganus luridus) presso<br />

formazioni coralligene situate lungo la costa settentrionale di Israele non può<br />

non essere connessa ai problemi legati all’introduzione di specie lessepsiane<br />

attraverso il canale di Suez, problema che evidentemente si manifesta in<br />

maniera più marcata nel bacino levantino del mar Mediterraneo.<br />

Dal punto di vista del popolamento complessivo, tuttavia, si può dire che sparidi<br />

e labridi sono le famiglie dominanti in termini di numero di specie. In termini<br />

di numero di individui, invece, sono le specie gregarie e planctonofaghe che<br />

occupano la colonna d’acqua (principalmente castagnole, castagnole rosse,<br />

menole e zerri) a risultare numericamente dominanti, fino a rappresentare oltre<br />

il 70% degli individui di specie ittiche associate al coralligeno.<br />

Particolari formazioni coralligene, chiamate tegnúe, sono presenti al largo delle<br />

coste nord-adriatiche. Queste formazioni possono essere considerate come<br />

“isole” di fondo duro in una matrice di fondali incoerenti: ospitano tra 30 e 40<br />

taxa della fauna ittica.<br />

87


Altre principali biocostruzioni<br />

GUIDO BRESSAN · RENATO CHEMELLO · MARIA FLAVIA GRAVINA · MARIA CRISTINA<br />

GAMBI · ANDREA PEIRANO · SILVIA COCITO · ANTONIETTA ROSSO · ANGELO TURSI<br />

■ Piattaforme a corallinacee<br />

Quando talli di alghe rosse calcaree<br />

(corallinacee, rodofite) o parte di essi,<br />

vengono a contatto tra di loro possono<br />

anastomizzarsi, fondendosi almeno<br />

apparentemente in ragione della loro<br />

mineralizzazione, oppure concrescere<br />

e persino sovrapporsi in modo occasionale<br />

o elettivo (specie-specificità Concrezionamenti a Lithophyllum<br />

che però è ancora poco indagata).<br />

Quando, in base ad un naturale sinergismo biotico tra le specie componenti,<br />

questi talli aderiscono ad un substrato duro, possono edificare, una roccia<br />

denominata “bio-construction”, ”bio-concrezionamento” o “formazione biocostruita”.<br />

Queste bio-costruzioni, per lo più plurispecifiche, sono dunque il<br />

risultato di una lenta crescita, sovrapposizione e successiva fossilizzazione dei<br />

talli almeno in alcune parti morte. I talli possono così occupare il più delle volte<br />

un volume cospicuo e attribuire caratteristiche morfologiche, biologiche e<br />

geologiche particolari all’ambiente colonizzato.<br />

Le formazioni a corallinacee possono essere presenti a livello di diversi piani<br />

bionomici e quando interessano i piani più superficiali, facilmente visibili (ad es.:<br />

“trottoir” o marciapiedi), questi bio-concrezionamenti possono assumere una<br />

notevole importanza paesaggistica come veri e propri “monumenti naturali”. Si<br />

può, quindi, ipotizzare che le piattaforme a vermetidi, i concrezionamenti a<br />

Lithophyllum e ogni altra bio-costruzione litorale funzionino come “dilatazioni<br />

spaziali orizzontali” delle zone superficiali, creando una maggiore disponibilità<br />

di nicchie per le specie preadattate a vivere in condizioni intertidali.<br />

La presenza di bio-costruzioni in un punto dato del litorale mediterraneo<br />

dipende dalle condizioni climatiche, idrologiche e sedimentarie come anche<br />

dall’incidenza della pressione antropica. Le specie che maggiormente concorrono<br />

alla costituzione di queste formazioni sono: Lithophyllum byssoides,<br />

Neogoniolithon brassica-florida, Corallina elongata tra le bio-costruzioni più o<br />

meno evidenti; Lithophyllum (Titanoderma) trochanter, Tenarea tortuosa,<br />

Lithophyllum (Goniolithon) papillosum tra le bio-costruzioni minori.<br />

Corallina elongata<br />

89


Lithophyllum byssoides (in passato citato come Tenarea tortuosa) è costituito<br />

da talli a forma di cuscinetto (pulvino) emisferico del diametro di 8-15 cm, con<br />

superficie alveolata per numerose lamelle avventizie più o meno erette e più o<br />

meno saldate tra loro. Il colore va dal rosa al grigio viola. Questi talli si sviluppano<br />

incrostando saldamente il substrato roccioso con cuscinetti che possono<br />

saldarsi tra loro. Quando l’acqua è calma queste bio-costruzioni possono<br />

emergere completamente, fino a 20-30 cm al di sopra del livello del mare.<br />

Neogoniolithon brassica-florida si presenta sotto forma di talli incrostanti, aderenti,<br />

semplici o mammellonari, con un diametro di 2-5 cm, talvolta provvisti di<br />

protuberanze verrucose. Il margine è ampiamente lobato, finemente striato con<br />

orlo sovente ispessito. Il colore varia dal rosa al violetto al grigio-malva, persino<br />

bianco avorio. È specie epilita, presente raramente su vecchie conchiglie,<br />

vive dal piano medio- all’infralitorale, ma è segnalata fino a 40 m di profondità,<br />

in siti sia riparati che esposti alle correnti. Relativamente euriecia, è in grado di<br />

sopportare cambiamenti di salinità, temperatura e luce: può così vivere anche<br />

in condizioni estreme come nel caso di pozze di marea, anche permanenti; mai<br />

epifita, è anche un componente importante dei “trottoir a vermetidi”.<br />

Corallina elongata presenta talli eretti, cespugliosi, alti 1.5-5 cm, articolati, con<br />

ramificazione pennata, regolare, abbondante. I rami giacciono su un piano,<br />

molto densi, più o meno regolari; gli articoli sono compressi. Il colore dei talli<br />

varia dal rosa pallido al grigio viola con margini più chiari su campioni freschi,<br />

dal grigio viola al bianco avorio su campioni secchi. Questa specie epilita, vive<br />

a livello del piano medio- infralitorale, su rocce battute e in pozze di marea dal-<br />

90 91<br />

la superficie fino a 3 m di profondità.<br />

Lithophyllum (Titanoderma) trochanter appare sotto forma di talli a cuscinetto<br />

emisferico, portamento cespuglioso, con diametro di 2-5 cm e altezza di 5 cm,<br />

formati da escrescenze più o meno cilindriche con strie anulari, poco marcate,<br />

talvolta ramificate dicotomicamente. Le escrescenze sono sottili, fragili, irte,<br />

orientate in tutte le direzioni, talvolta intrecciate. Il colore dei talli varia dal viola<br />

al grigio malva, persino al bianco. Vive a livello del piano mediolitorale,<br />

incrostante il substrato roccioso, verticale, esposto alle onde o alle correnti in<br />

stazioni ben illuminate; può essere presente persino nelle pozze permanenti<br />

del sopralitorale, ma anche nella frangia infralitorale. Di solito vive assieme con<br />

Lithophyllum byssoides, Tenarea tortuosa, Neogoniolithon brassica-florida.<br />

Tenarea tortuosa è costituita da talli a forma di cuscinetto emisferico, il cui diametro<br />

è di 20-25 (molto raramente 10) cm, e superficie alveolata per numerose<br />

lamelle avventizie, erette, fragili, più o meno anastomizzate, che si dipartono da<br />

una crosta basale incrostante il substrato solo in punti singoli, quindi facilmente<br />

staccabile. Il margine delle lamelle è sempre in parte più o meno accartocciato,<br />

talvolta appena ispessito; bordo biancastro, più chiaro del tallo. Il colore<br />

dei talli varia dal rosa pallido al grigio violetto fino al giallo avorio, persino bianco.<br />

Vive a livello del piano medio-infralitorale, sempre immersa. I numerosi<br />

alveoli della superficie sembrano garantire il mantenimento di un’umettazione<br />

necessaria per brevi periodi di emersione. Si trova occasionalmente presente in<br />

sottostrato a Cystoseira amentacea. Piccole specie di Ceramium, Polysiphonia<br />

e Laurencia si trovano spesso come epifiti sul tallo.<br />

Lithophyllum (Goniolithon) papillosum si presenta sotto forma di talli incrostanti<br />

il substrato roccioso, provvisti di protuberanze più o meno regolarmente<br />

emisferiche (diametro fino a 2 mm, altezza 3-5 mm). Questi talli si presentano<br />

con protuberanze o ben individualizzate (allora più alte che larghe ma fragili), o<br />

più o meno coalescenti (allora più larghe che alte, con superficie pisolitiforme<br />

o a cavolfiore, molto caratteristica).<br />

Dal punto di vista dell’impatto paesaggistico e dell’importanza geomorfologica<br />

delle corallinacee del mar Mediterraneo, si possono distinguere dal mediolitorale<br />

al circalitorale profondo:<br />

● biocostruzioni più o meno evidenti, talvolta generate da concrezioni persino<br />

monumentali per l’imponenza acquisita nel corso dei secoli durante le trasformazioni<br />

dell’ambiente marino;<br />

● biocostruzioni minori che, a fronte di un’importanza scientifica di un certo<br />

rilievo, non possono che essere considerate di secondo piano per il loro<br />

aspetto meno appariscente;<br />

● biocostruzioni di profondità (trattate altrove in questo volume) che sono<br />

Lithophyllum byssoides<br />

osservabili solo mediante l’esplorazione subacquea.


92 <strong>Biocostruzioni</strong> a corallinacee Guido Bressan<br />

cuscinetti di alghe viventi; non misura<br />

in generale che qualche centimetro di<br />

lichenoidis) con specie caratteristiche<br />

dell’associazione: L. byssoides,<br />

93<br />

spessore ed è soprattutto sviluppato Chaetomorpha mediterranea, Laurencia<br />

sulla parte più esterna della cornice, papillosa, Pterocladia melanoidea,<br />

senza deposito sedimentario tra le Lophosiphonia cristata e Taenioma<br />

Come detto le bio-costruzioni più o meno calcareo, vulcanico o cristallino, dove c’è<br />

ramificazioni.<br />

nanum. La fauna interstiziale è<br />

evidenti, persino monumentali si possono un sostanziale bilanciamento con l’azione<br />

La superficie della bio-concrezione rappresentata da diversi tipi di organismi<br />

distinguere come segue.<br />

delle maree; è quindi la costruzione<br />

può presentare alveoli originati<br />

demolitori (spugne del genere Cliona,<br />

biologica del dominio bentonico più<br />

dall’anastomosi di creste millimetriche, molluschi del genere Lithophaga ecc.)<br />

Cornice (o “encorbellement”) a<br />

elevata sul livello del mare.<br />

persino spinose, o da lamelle più o che perforano la roccia, creando delle<br />

Lithophyllum byssoides. Èla Quando l’acqua è calma questa sorta<br />

meno verticali e di altezza simile e, di cavità e indebolendo la costruzione.<br />

formazione più frequente del bacino di marciapiede (trottoir) emerge<br />

rado, può presentarsi incisa da solchi<br />

Mediterraneo occidentale e quella la cui completamente; il suo bordo esterno<br />

(in caso di erosione).<br />

Cornice a Corallina elongata. È una<br />

struttura e distribuzione sono state si trova così a 20-30 cm al di sopra<br />

Talvolta, sopra le bio-costruzioni<br />

biocostruzione molto diffusa che si<br />

meglio studiate da diversi ricercatori. dell’acqua. Questa condizione è resa<br />

principali, si distingue una placca<br />

sviluppa sulle pareti rocciose verticali,<br />

Questa formazione è stata designata possibile grazie a un’umettazione<br />

superiore di talli vivi, in colonia densa, spesso ombreggiate, con profondità<br />

nel tempo con diverse denominazioni, continua prodotta dalla combinazione<br />

in raccordo con il substrato roccioso. che vanno dalla superficie a qualche<br />

in rapporto alle variazioni nomenclaturali simultanea di due fattori: esposizione<br />

Questa placca superiore è caratterizzata metro. Si tratta dunque di una formazione<br />

della specie dominante: “trottoir a al moto ondoso e porosità della<br />

da una vitalità migliore del popolamento infralitorale legata alle pareti in ombra,<br />

Tenarea”, “trottoir a Lithothamnion”, formazione calcarea. L’altezza al disopra<br />

rispetto a quella della bio-costruzione vicine alla superficie ed esposte<br />

“trottoir a Lithophyllum tortuosum”, del livello medio del mare varia<br />

sottostante. Lo strato inferiore esterno all’azione del mare. Spesso la cornice<br />

“encorbellement a Lithophyllum<br />

localmente in funzione dell’importanza<br />

della cornice è morto e ricoperto da un superiore è situata immediatamente<br />

lichenoides” e finalmente<br />

del moto ondoso e/o della presenza di<br />

insieme di animali e vegetali sciafili. al di sotto e all’ombra della cornice<br />

“encorbellement a Lithophyllum<br />

fessure, di angoli, di calette aperte alle<br />

La struttura interna è costituita da una mediolitorale a Lithophyllum byssoides.<br />

byssoides”.<br />

mareggiate del largo. Questa bio-<br />

zona indurita di spessore variabile, Contrariamente alle formazioni<br />

Una cornice a L. byssoides si trova di costruzione raggiunge notevole<br />

quale risultato di un deposito di detriti superficiali, la cornice a Corallina non<br />

sviluppo in larghezza e in spessore.<br />

fini tra i rami dei talli stessi, fossilizzati in forma un corpo unico, ma una serie di<br />

Le cornici si presentano, nei casi più<br />

un fango micritico di calcite magnesiaca cornici parallele le une alle altre.<br />

semplici, come una densa copertura di<br />

con formazione di un cemento calcareo Le dimensioni raggiunte sono variabili:<br />

talli su un’altezza di 20-30 cm fino a<br />

microcristallino molto duro.<br />

più spesso si osservano delle cornici<br />

formare un cornicione aggettante persino<br />

Questa zona mostra una struttura a strati poco consolidate, di meno di 10 cm di<br />

di 1-2 m di larghezza. In questi casi la<br />

concentrici separati da discontinuità: diametro, ma in certi casi (calanchi stretti<br />

superficie superiore è per lo più<br />

è il cuore del trottoir, che ha l’aspetto e poco illuminati, inclusi nelle alte falesie<br />

largamente depressa in rapporto al bordo<br />

e la consistenza di una vera roccia. verticali) le cornici possono raggiungere<br />

esterno, dando origine talvolta a delle<br />

Se la cornice è molto aggettante, sulla quasi un metro di larghezza su 40-45 cm<br />

“pozze di marea”. Gli autori osservano<br />

superficie inferiore, nella massima zona di spessore (sono allora d’una durezza<br />

che lo sviluppo di queste bio-costruzioni<br />

d’ombra, si viene ad insediare una e di una resistenza estreme, molto<br />

è tale che due cornici opposte, da una<br />

biocenosi sciafila simile a quella delle difficili da attaccare con un martello). La<br />

parte e dall’altra di una caletta, possono<br />

grotte e delle spaccature, nota come struttura interna mostra un impilamento<br />

ricongiungersi e formare un ponte.<br />

“area corallina”, che ripropone la<br />

di strati sottili, molto serrati, di colore<br />

In sezione assiale, nelle cornici molto<br />

combinazione specifica delle biocenosi bianco puro, disseminati di numerosi<br />

Cornice a Lithophyllum byssoides<br />

sviluppate, si possono osservare<br />

di profondità.<br />

gusci rosa di Miniacina miniacea.<br />

fondamentalmente tre parti, variamente<br />

Si può affermare che le formazioni Si osservano anche balani, briozoi, ecc.<br />

solito leggermente al disopra del livello descritte da diversi studiosi, ma per lo<br />

organogene con dominanza di<br />

Alcune cornici a Corallina possiedono<br />

medio del mare, nella zona in cui<br />

più corrispondenti: lo strato superiore<br />

L. byssoides diano vita ad un’associazione come nucleo i resti cementati ed erosi di<br />

frangono le onde (piano mediolitorale); si esterno è poroso, di colore rosa violaceo<br />

vegetale autonoma denominata<br />

cornici più antiche di L. byssoides che si<br />

sviluppa su substrato roccioso, sia ma più spesso beige-malva, formato da<br />

Lithophylletum byssoidis (sub. nom. sono sviluppate quando il livello marino


94 era più basso, poi sono stati avvolti scompare però in quelle stazioni dove<br />

■ Piattaforme a vermetidi<br />

95<br />

e conservati dalle coralline quando il l’intensità luminosa è così forte da<br />

livello è salito.<br />

Spesso in questo ambiente s’instaura<br />

l’associazione Ceramio-Corallinetum<br />

elongatae che ha come specie<br />

caratteristiche Ceramium elongata,<br />

impedirne lo sviluppo assieme a<br />

N. brassica-florida con cui può essere<br />

di primo acchito confusa. Si trova<br />

spesso in combinazione specifica, oltre<br />

che con N. brassica-florida, anche con<br />

Le piattaforme - o reef - a vermetidi sono delle biocostruzioni edificate dal<br />

mollusco gasteropode vermetide Dendropoma (Novastoa) petraeum in associazione<br />

con alcune alghe rodoficee incrostanti, come Neogoniolithon brassica-florida.<br />

come anche C. ciliatum, C. rubrum L. byssoides e altre specie molli.<br />

Alla piattaforma si associa spesso un’altra specie di vermetide, Vermetus tri-<br />

var. barbatum, Gelidium pusillum, Secondo alcuni autori, Lithophyllum<br />

quetrus, che, sia in forma solitaria che gregaria, occupa le porzioni perenne-<br />

Anthithamnion cruciatum.<br />

Biocostruzione a Lithophyllum<br />

trochanter. Priva di una denominazione<br />

particolare, è presente solitamente a<br />

livello dell’Infralitorale (zona di risacca),<br />

papillosum, assieme a Polysiphonia<br />

opaca e P. sertularioides caratterizzano<br />

il Polysiphonio-Lithophylletum papillosi.<br />

Biocostruzione a Tenarea tortuosa.<br />

È solitamente presente fra i popolamenti<br />

mente immerse della struttura. Nel limite superiore del reef è spesso presente<br />

l’alga rodoficea Lithophyllum byssoides. Il vermeto biocostruttore è una specie<br />

fortemente gregaria che vive nel livello intermareale, al quale è particolarmente<br />

ben adattato grazie ad uno spesso opercolo corneo che chiude ermeticamente<br />

l’apertura della conchiglia. Questa strategia consente all’animale di<br />

su pareti rocciose generalmente poco superficiali dell’Infralitorale fotofilo,<br />

resistere alle periodiche emersioni durante l’alternanza dei cicli di marea. Lo<br />

inclinate, esposte all’azione moderata dal livello del mare sino a 4-5 metri di<br />

sviluppo diretto delle uova, incubate nella cavità del mantello e la schiusa di<br />

delle onde e in stazioni ben illuminate,<br />

più raramente anche a livello del<br />

mediolitorale<br />

La morfologia esterna è a placche estese<br />

costituite da piccoli pulvini emisferici,<br />

giovanili striscianti, capaci di insediarsi sulla conchiglia materna, conferiscono<br />

alla specie un vantaggio rispetto ai probabili competitori per lo spazio, consentendo<br />

una crescita continua della struttura.<br />

I reef a vermetidi si insediano nella fascia intermareale unicamente sulle coste<br />

che saldati al substrato solo in qualche<br />

rocciose, con formazioni sempre meno imponenti in funzione del tipo di roc-<br />

punto, possono essere staccati piuttosto<br />

cia: calcareniti, calcari, dolomie, basalti e flysch. La presenza di una piattafor-<br />

facilmente; questa specie, elegante<br />

nel suo aspetto esterno, può essere<br />

considerata a ragione tra le specie<br />

minacciate di estinzione.<br />

Secondo alcuni autori, Lithophyllum<br />

trochanter (sub. nom. byssoides) si<br />

presenta come specie differenziale nella<br />

subassociazione: Lithophylletosum<br />

ma di abrasione diventa, quindi, la condizione fondamentale per la formazione<br />

trochanteris (ex byssoidis).<br />

Biocostruzione a Tenarea tortuosa<br />

<strong>Biocostruzioni</strong> a Lithophyllum<br />

(Goniolithon) papillosum. Sono poco<br />

rilevanti dal punto di vista macroscopico,<br />

si presentano a livello del Mediolitorale<br />

inferiore sotto forma di incrostazioni<br />

compatte, rosa violacee su esemplari<br />

vivi, più o meno estese, ma di scarso<br />

spessore (da qualche millimetro fino<br />

a 2 cm circa). Questa specie è<br />

soprattutto presente nelle stazioni<br />

soleggiate, lungo le coste rocciose<br />

battute dalle onde (sembra che sopporti<br />

male un’immersione permanente);<br />

profondità. Anche questa biocostruzione<br />

è costituita da cuscinetti, a forma di<br />

pulvini emisferici, con un diametro di<br />

2-4 (10) cm, per lo più friabili, che si<br />

ancorano al substrato soltanto in<br />

alcunipunti del tallo (come L. byssoides),<br />

pertanto facili da staccare con le sole<br />

mani.<br />

Per la sua relativa rarità, fragilità ed<br />

eleganza anche questa specie può essere<br />

considerata tra quelle maggiormente<br />

minacciate d’estinzione, proprio perché<br />

anche oggetto di collezione.<br />

La corallinacea Neogoniolithon con il vermetide Dendropoma petraeum


di un reef. Un secondo fattore limitante la distribuzione e la dimensione delle<br />

strutture su piccola scala è l’idrodinamismo superficiale: risulta infatti assai<br />

difficile trovare delle piattaforme sviluppate in ambienti riparati in cui le acque<br />

sono poco mosse. In Sicilia, ad esempio, le piattaforme a vermeti sono presenti<br />

lungo tutte le coste esposte a Nord-Ovest e solo formazioni minori si<br />

hanno lungo le coste esposte a Nord-Est. Infine, anche l’inclinazione della<br />

costa regola la forma e la dimensione del reef. Le piattaforme di dimensioni<br />

maggiori si hanno con un profilo costiero con una pendenza compresa tra 15°<br />

e 40° rispetto alla linea di orizzonte.<br />

La distribuzione geografica in Mediterraneo mostra come i reef a vermeti si<br />

ritrovino prevalentemente in acque con temperature medie non inferiori ai<br />

24°C in estate e ai 14°C in inverno, con un limite settentrionale di distribuzione<br />

a cavallo del 38° parallelo Nord. I reef sono distribuiti, quindi, nella parte<br />

centro-meridionale del bacino, con le strutture di maggiori dimensioni segnalate<br />

con maggior frequenza lungo le coste israeliane e libanesi. Per quanto<br />

riguarda il settore occidentale del Mediterraneo, le piattaforme a vermeti sono<br />

state descritte solamente per l’Algeria, la Spagna e l’Italia insulare. Per l’Italia<br />

continentale non sono stati descritti dei veri reef a vermeti, sebbene siano<br />

note alcune strutture per l’isola di Licosa, in Campania, e la specie sia riportata<br />

fino a Ischia, la costiera del Golfo di Napoli e la Sardegna nord-orientale.<br />

Le strutture più imponenti si trovano, comunque, nella fascia costiera tirrenica<br />

della Sicilia.<br />

96 97<br />

Piattaforma a vermetidi emersa<br />

Schema morfologico di una piattaforma a vermetidi<br />

Uno schema morfologico generale. Dall’osservazione dei reef siciliani e dal<br />

materiale pubblicato, è possibile definire uno schema morfologico generale,<br />

rappresentabile secondo un transetto trasversale dalla costa verso il mare<br />

aperto lungo il quale sono presenti le seguenti componenti:<br />

● una cornice prossimale, di pochi centimetri di spessore, spesso assente, formata<br />

da incrostazioni di Neogoniolithon brassica-florida e da cuscini mammellonari<br />

di Lithophyllum byssoides, considerata un marcatore superiore del reef;<br />

● una incrostazione di Dendropoma petraeum, indicata come “margine interno”,<br />

spessa alcuni centimetri e ampia da pochi centimetri a meno di mezzo<br />

metro, in funzione dell’esposizione all’idrodinamismo;<br />

● una o più depressioni nella piattaforma, denominate cuvettes, dal diametro<br />

variabile da qualche decimetro ad oltre un metro e una profondità generalmente<br />

inferiore ai 50 cm; nei casi di maggiore estensione le cuvettes possono<br />

essere omologate a piccole lagune retrorecifali ed essere occupate anche da<br />

piccole chiazze di Posidonia oceanica o da alghe fotofile;<br />

● un bordo esterno, costituito da una spessa incrostazione di Dendropoma, a<br />

volte superiore ai 40 cm di ampiezza, articolata e fessurata, che rappresenta la<br />

vera porzione attiva della piattaforma, in espansione verso il largo e l’alto;<br />

● una cintura infralitorale a Cystoseira amentacea var. stricta (sinonimo di<br />

Cystoseira stricta), posta inferiormente al margine esterno della piattaforma.<br />

Quanti tipi di reef esistono? Il tipo più semplice di struttura a vermeti è l’incrostazione<br />

(ovvero uno strato mono- o paucistratificato di conchiglie di vermeto,<br />

di ridotto spessore), che rappresenta il tipo più elementare di formazione<br />

ed è distribuita lungo molte coste del Mediterraneo, anche dove le condizioni<br />

non consentono lo sviluppo di un vero e proprio reef. Le vere biocostru


98<br />

zioni a Dendropoma, nel Mediterraneo, si sviluppano secondo quattro morfologie<br />

principali: la cornice, che si presenta soprattutto lungo le coste, i promontori<br />

e le falesie molto esposte al moto ondoso o a pendenza accentuata.<br />

L’ampiezza della struttura è generalmente inferiore al metro, con 10-20 cm di<br />

spessore lungo il margine esterno. Sia le cornici che le più semplici incrostazioni<br />

sono le formazioni più comuni nelle coste soggette ad una colonizzazione<br />

primaria, come ad esempio le isole vulcaniche o i singoli massi di crollo. Le<br />

cornici sono anche presenti in aree colonizzate da tempo ma nelle quali lo sviluppo<br />

di un vero reef è limitato, in toto o solamente in parte, dalla morfologia<br />

costiera sfavorevole o dalla ridotta esposizione al moto ondoso.<br />

La seconda morfologia, in termini di complessità, è la piattaforma (il vero reef),<br />

molto simile ad un fringing reef (barriera frangente) edificato dai madreporari<br />

tropicali. Le piattaforme (a volte definite anche come trottoir) possono essere<br />

ampie anche 10 m e spesse, lungo il margine esterno, fino a 45 cm. La parte<br />

inferiore della struttura, sulla quale poggia il margine esterno, viene continuamente<br />

erosa e tende a formare un ripido gradino alto da 40 cm ad oltre 1<br />

metro. La morfologia a reef costituisce circa il 90% di tutte le strutture a vermeti<br />

siciliane e la maggior parte di quelle spagnole e israeliane.<br />

Una forma particolare è quella a “fungo” (mushroom-like pillars). Questa<br />

morfologia è probabilmente il prodotto di due differenti processi di formazione.<br />

La causa principale di sviluppo delle forme a “fungo” deriva dai diversi gradi di<br />

resistenza all’erosione meccanica (e, probabilmente, chimica) delle formazioni<br />

rocciose e delle sovrastanti strutture a vermeti. La roccia-madre viene erosa<br />

ad un ritmo più elevato rispetto alla biocostruzione, capace di compensare l’erosione<br />

attraverso la crescita continua di un margine esterno. Ad uno stadio<br />

maturo del processo, la morfologia della struttura è quella di un largo “cappello”<br />

che cresce sopra una base (il “gambo”) più sottile. Nel secondo caso, le<br />

cornici a vermeti crescono sui massi di abrasione caduti alla base della falesia.<br />

L’evoluzione della struttura porta, sempre per erosione differenziale tra il masso<br />

e la cornice, ad una forma a “fungo”. Le serie che portano, attraverso i due<br />

meccanismi, alla formazione di “funghi” sono osservabili lungo le coste rocciose<br />

della Sicilia nord-occidentale, mentre non sono ancora state descritte<br />

per altre aree mediterranee.<br />

L’ultima morfologia conosciuta è quella a microatollo: descritta per le coste<br />

israeliane, solo raramente è presente nelle coste del Mediterraneo occidentale,<br />

dove spesso è confusa con la morfologia a fungo.<br />

Il ruolo della piattaforma. Per capire realmente il ruolo ecologico di un reef a<br />

vermeti, bisognerebbe prima dare uno sguardo alle aree in cui questi non sono<br />

presenti. I popolamenti marini di coste rocciose prive di reef si distribuiscono<br />

ordinatamente lungo gradienti verticali, regolati dall’energia idrodinamica, dal-<br />

l’ampiezza dell’escursione di marea e<br />

dalla morfologia costiera. La composizione<br />

dei popolamenti è ripetibile, quasi<br />

prevedibile, ma è comunque limitata<br />

ad uno spazio approssimativamente a<br />

due dimensioni.<br />

Lungo le coste rocciose in cui la piattaforma<br />

a vermeti si sviluppa parallelamente<br />

alla superficie del mare, i popolamenti<br />

animali e vegetali si distribuiscono<br />

in uno spazio a tre dimensioni.<br />

La terza dimensione è, infatti, la larghezza<br />

del reef. In queste condizioni,<br />

Padina pavonica<br />

aumentano le ‘opportunità’ ecologiche<br />

per le specie animali e vegetali del piano mesolitorale e dell’infralitorale superiore<br />

e questo finisce col creare un complesso sistema a mosaico entro cui<br />

ritrovano cibo, riparo e rifugio dai predatori centinaia di specie di invertebrati e<br />

diverse decine di specie ittiche. Così, mentre nei margini esterni e interni le<br />

piattaforme ospitano popolamenti animali e vegetali tipicamente mesolitorali, i<br />

più diversificati popolamenti infralitorali occupano la zona di cuvette.<br />

Questa distribuzione articolata si riflette sui livelli di biodiversità. Sebbene non<br />

esistano ad oggi studi complessivi sulla biodiversità dei reef a vermeti, essa<br />

può essere tuttavia desunta dall’esame dei singoli gruppi censiti in diverse<br />

ricerche condotte in varie regioni del Mediterraneo.<br />

Partendo dai popolamenti algali, questi sono composti da oltre 100 specie<br />

che si distribuiscono nelle diverse porzioni della piattaforma. Tra le alghe presenti<br />

assumono una particolare rilevanza strutturale la rodoficea calcarea<br />

Neogoniolithon brassica-florida, che contribuisce al consolidamento della<br />

costruzione cementando tra loro i tubi di Dendropoma petraeum, e Lithophyllum<br />

byssoides, che può formare incrostazioni o cuscinetti alle due estremità<br />

della piattaforma. Il complesso di specie del gruppo “Laurencia” (appartenenti<br />

alla famiglia delle rodomelacee), Padina pavonica e alcune specie di<br />

Cystoseira e Dictyota occupano le basse pozze della cuvette. In condizioni di<br />

disturbo antropico queste specie vengono sostituite da corallinacee e ulvacee.<br />

Nei punti in cui la cuvette è più profonda (raramente al di sotto dei 50 cm<br />

di profondità in condizioni di bassa marea), compaiono le alghe rosse incrostanti<br />

e Halimeda tuna.<br />

La cintura a Cystoseira amentacea var. stricta si impianta immediatamente al<br />

di sotto del bordo esterno della piattaforma, a livello della frangia dell’infralitorale<br />

superiore, nel cui sottostrato si insediano popolamenti ricchi di specie<br />

adattate a livelli elevati di idrodinamismo.<br />

99


All’interno della piattaforma, ogni porzione del reef e ogni gruppo macroalgale<br />

ospita un peculiare popolamento animale associato. Guardando la piattaforma<br />

nel suo insieme sono, comunque, rappresentati tutti i principali gruppi animali<br />

legati al sistema fitale e ai popolamenti di roccia.<br />

Per la fauna a molluschi una stima in difetto riporta un popolamento composto<br />

da una cinquantina di specie. Quelle caratteristiche delle diverse porzioni del<br />

reef sono Mytilaster minimus, Cardita calyculata, Lepidochitona caprearum,<br />

Onchidella celtica e Patella ulyssiponensis nel margine interno, nel margine<br />

esterno e nelle creste, mentre Patella caerulea, Pisinna glabrata, Eatonina cossurae<br />

e Barleeia unifasciata prediligono le cuvettes. Lungo il margine interno<br />

viene rinvenuto sempre più frequentemente il bivalve alloctono Brachidontes<br />

pharaonis, che spesso tende a sostituire M. minimus.<br />

La polichetofauna delle piattaforme siciliane annovera circa 70 specie diverse,<br />

la cui distribuzione risente dell’estensione orizzontale dei reef. La maggior parte<br />

delle specie è criptica e trova rifugio sia nelle conchiglie vuote dei vermeti,<br />

sia nelle fessure e negli interstizi che si vengono a creare nella piattaforma,<br />

mentre un gruppo più ristretto si associa ai popolamenti algali delle pozze. Le<br />

specie dominanti sono i nereididi Perinereis cultrifera e Platynereis dumerilii,<br />

oltre a Palola siciliensis, numerose specie di Lumbrineris, Syllis e polinoidi.<br />

La carcinofauna è meno conosciuta, anche se recentemente sono state condotte<br />

alcune ricerche sulla ripartizione spaziale dei decapodi Pachygrapsus<br />

maurus, P. transversus, P. marmoratus e del loro predatore Eriphia verrucosa<br />

e della competizione con la specie<br />

alloctona Percnon gibbesi. Una specie<br />

caratteristica dei reef siciliani è il paguro<br />

Calcinus tubularis che occupa le<br />

conchiglie vuote di Dendropoma.<br />

Per la fauna ittica, una ricerca condotta<br />

lungo le coste israeliane ha permesso<br />

l’identificazione di 36 specie associate<br />

a piattaforme a Dendropoma<br />

petraeum, quattro delle quali di origine<br />

eritrea, sopraggiunte nel bacino levantino<br />

in seguito all’apertura del canale di<br />

Suez. La comunità ittica strettamente<br />

Patella ulyssiponensis<br />

bentonica è tipica del Mediterraneo ed<br />

è composta da 18 specie. Le famiglie più abbondanti sono i blennidi, i gobidi<br />

e i tripterigidi, rispettivamente con 9, 4 e 3 specie. I blennidi Parablennius zvonimiri<br />

e Scartella cristata, entrambi con abitudini criptiche, sono le specie più<br />

abbondanti assieme a Trypterigion tripteronotus, T. delaisi e T. melanurus. Viene<br />

riportata la presenza di altre 16 specie necto-bentoniche e addirittura di 2<br />

specie pelagiche.<br />

I risultati finora ottenuti dalle ricerche mostrano, quindi, l’esistenza di due<br />

diversi raggruppamenti biocenotici spazialmente separati tra loro: una componente<br />

“mesolitorale” e una “infralitorale”. La prima assume maggior importanza<br />

in punti ben precisi e definiti del reef e in particolare a livello dei margini<br />

esterni e interni della formazione e a livello delle creste, che si presentano più<br />

elevate rispetto alla piattaforma stessa. Le cuvettes della porzione interna del<br />

reef mostrano, invece, caratteri più spiccati di enclàve infralitorale, poiché riescono<br />

a trattenere un velo d’acqua durante le emersioni, riuscendo ad ospitare<br />

popolamenti provenienti dalla fascia superiore dell’infralitorale.<br />

In conclusione, l’aspetto più interessante del concrezionamento a vermetidi è<br />

la sua estensione orizzontale che crea un’ulteriore dimensione lungo la quale<br />

si distribuiscono i popolamenti, in funzione della distanza dal mare, dell’esposizione<br />

al moto ondoso e dell’altezza relativa sul livello del mare, tutti fattori<br />

che in definitiva condizionano l’umidificazione delle singole porzioni della piattaforma.<br />

Ciò accresce il carattere di originalità di tali formazioni, già evidenziato<br />

dalla distribuzione geografica puntiforme, che va considerata un compromesso<br />

fra le esigenze vitali dell’organismo costruttore e la competizione che si<br />

instaura con le specie proprie dei piani meso- e infralitorale.<br />

È possibile quindi ipotizzare che i trottoir funzionino come dilatazione spaziale<br />

dei piani superficiali creando un ampliamento di <strong>habitat</strong> per specie che riescono<br />

ad insediarsi lontano dal loro biotopo originario.<br />

100 101<br />

Cystoseira amentacea var. stricta


102<br />

Banchi a Ficopomatus enigmaticus<br />

■ Banchi a policheti<br />

Tra i numerosi organismi marini capaci di costruire le strutture note come biocostruzioni,<br />

vanno ricordati i policheti, che in particolare con le due specie,<br />

Ficopomatus enigmaticus e Sabellaria alveolata, sono in grado di edificare<br />

importanti biocostruzioni rispettivamente in ambienti salmastri e marini costieri.<br />

Anche se per molti aspetti il ruolo ecologico svolto dalle due specie è molto<br />

simile, essendo entrambe specie “ingegnere”, cioè strutturanti per l’ambiente<br />

marino, con evidenti parallelismi tra i due tipi di formazioni organogene, la loro<br />

diversa ecologia e distribuzione, e alcune caratteristiche dei banchi che formano,<br />

richiedono una trattazione separata.<br />

I banchi a Ficopomatus enigmaticus. I policheti appartenenti alla specie<br />

Ficopomatus enigmaticus, altrimenti nota come Mercierella enigmatica, sono<br />

vermi marini in grado di edificare estese biocostruzioni, formate dagli ammassi<br />

di tubi calcarei prodotti da loro stessi. Tali tubi, all’interno dei quali vivono i<br />

singoli individui, possono aderire, per tutta la loro lunghezza, ad un substrato<br />

duro, ma possono anche crescere verticalmente intrecciandosi gli uni con gli<br />

altri; grazie a questa caratteristica e al suo comportamento gregario, la specie<br />

è in grado di dare origine ad ammassi di tubi anche molto estesi.<br />

F. enigmaticus appartiene alla famiglia dei serpulidi. La specie è distribuita in<br />

tutto il mondo e considerata originaria delle coste australiane dell’Oceano<br />

Indiano, da dove si è diffusa in tutte le aree temperate, verosimilmente per trasporto<br />

passivo attaccata alle carene delle navi. Nel Mediterraneo è stata trovata<br />

per la prima volta nei primi anni ’20 e vi si è diffusa negli anni successivi.<br />

I tubi sono cilindrici, lunghi generalmente 20-25 mm, ma possono raggiungere<br />

i 30-50 mm, hanno un diametro di 1,5-2 mm circa e presentano, negli esemplari<br />

più grandi, tipiche svasature ad intervalli irregolari verso l’estremità distale.<br />

Aderiscono a vari substrati duri, come conchiglie, pali, canne, moli, banchine,<br />

carene di barche, dalla superficie del mare fino ad una profondità massima di<br />

1-2 m. Questa specie è particolarmente tollerante le variazioni di salinità, adattandosi<br />

ad acque da oligoaline (con bassi valori di salinità) ad iperaline (con elevati<br />

valori di salinità), e sopporta bene anche elevati tassi di eutrofizzazione,<br />

mentre è sensibile al moto ondoso e all’idrodinamismo intenso.<br />

I banchi a Ficopomatus si sviluppano esclusivamente negli ambienti salmastri,<br />

dove formano cinture, barriere, piattaforme spesse fino a 1 m circa e larghe da<br />

vari decimetri a qualche metro. Tali biocostruzioni possono essere edificate<br />

anche al centro dei bacini salmastri poco profondi e assumere la forma di grandi<br />

funghi, che aderiscono a qualche frammento di substrato duro (conchiglie,<br />

rami, sassi, canne palustri) e arrivano a sfiorare la superficie dell’acqua. L’ampiezza<br />

dei banchi può estendersi per centinaia di metri quadrati ed è il risultato<br />

103


dell’opera di numerose generazioni di vermi, che crescono gli uni attaccati agli<br />

altri. Il suo comportamento gregario è favorito dallo sviluppo di larve che vengono<br />

trattenute dai genitori, invece che essere rilasciate liberamente nell’acqua.<br />

La formazione del banco è un fenomeno molto veloce e la sua crescita<br />

può raggiungere i 30 mm al mese. Dopo una fase iniziale di rapido accrescimento,<br />

tuttavia, alcune porzioni esterne della struttura possono collassare sotto<br />

il peso eccessivo, ma questo momento di fragilità viene presto superato da<br />

una nuova veloce colonizzazione da parte di giovani individui che consolidano<br />

ulteriormente la parte basale della biocostruzione. Solo lo strato più superficiale,<br />

spesso circa 10 cm, infatti, risulta costituito da tubi che ospitano organismi<br />

vivi, mentre al di sotto i tubi, privi di vermi, sono riempiti da sedimento.<br />

Ficopomatus funge da costruttore primario perché i suoi tubi costituiscono la<br />

vera e propria impalcatura della biocostruzione, ma altri organismi contribuiscono<br />

alla sua formazione: numerosi balani (Balanus eburneus, B. improvisus, B.<br />

amphitrite) si cementano con le loro muraglie; molti individui di mitilidi (Mytilaster<br />

lineatus e M. marioni) si fissano con il loro bisso ai tubi aumentando la superficie<br />

della biocostruzione, sono i costruttori secondari; altri organismi concorrono a<br />

stabilizzare la struttura: il briozoo Conopeum seurati con le sue colonie incrostanti<br />

cementa efficacemente l’ammasso dei tubi del polichete aumentando la<br />

rigidità e la coesione della costruzione. Questa può ospitare numerosi crostacei<br />

isopodi, come Lekanesphaera hookeri, L. monodi, Sphaeroma serratum,<br />

Cyathura carinata, anfipodi, con varie specie di corofidi (Corophium insidiosum,<br />

C. acherusicum) e gammaridi (Gammarus aequicauda, G. insensibilis), altri policheti,<br />

come Hediste diversicolor, Neanthes succinea, Polydora ciliata, larve di<br />

ditteri chironomidi; anche altri organismi coloniali, che aderiscono ai substrati<br />

duri, colonizzano questi banchi, come l’idrozoo Cordylophora caspia, il briozoo<br />

Bowerbankia gracilis e il tunicato Botryllus schlosseri.<br />

Non esistono in questa biocostruzione veri e propri organismi distruttori, ma<br />

questo ruolo è svolto dai pesci, soprattutto mugilidi e gobidi, che mordono i bordi<br />

della concrezione per nutrirsi degli invertebrati che la popolano. Con la loro<br />

particolare tecnica di presa del cibo, tipica degli organismi filtratori, i milioni di<br />

individui per metro cubo di Ficopomatus del banco rimuovono dall’acqua le particelle<br />

di materia organica in essa presenti, condizionando la limpidezza e lo stato<br />

trofico delle acque lagunari. Ma l’impatto dei banchi si fa risentire a livello dell’intero<br />

ecosistema con l’evidente incremento apportato alla biodiversità, che<br />

non si realizza soltanto grazie all’insediamento di piccoli organismi invertebrati,<br />

ma anche alla frequentazione della laguna da parte di specie di pesci di elevato<br />

valore conservazionistico come il pesce ago (Syngnathus abaster), il nono<br />

(Aphanius fasciatus) e il caratteristico ghiozzetto di laguna (Knipowitschia panizzae,<br />

interessante specie endemica del Mediterraneo), che riescono a trovare tra<br />

questi banchi uno spazio per vivere e un’abbondante fonte di cibo.<br />

I banchi a Sabellaria alveolata. I policheti del genere Sabellaria appartengono<br />

alla famiglia sabellariidi, un gruppo peculiare di policheti tubicoli sessili che<br />

possiede la capacità di cementare saldamente la sabbia. Alcune specie in<br />

questo modo sono in grado di dare origine a biocostruzioni anche imponenti,<br />

vere e proprie “scogliere” organogene più o meno estese in aree costiere temperate<br />

e tropicali di tutto mondo. In Mediterraneo la specie Sabellaria alveolata<br />

è la sola in grado di costruire formazioni, anche di notevoli dimensioni, che<br />

potrebbero rientrare nella definizione di veri e propri reef. Altre due specie di<br />

Sabellaria, S. spinulosa e S. halcocki, sono segnalate nei mari Italiani: non<br />

costruiscono scogliere ma solo modesti aggregati.<br />

Sabellaria è un organismo gregario, come Ficopomatus, ed è proprio l’aggregazione<br />

di numerosi individui e dei loro tubi che costituisce le tipiche costruzioni<br />

massive di sabbia cementata. Queste presentano una struttura alveolare,<br />

che ricorda quella di un alveare e da cui deriva appunto il nome specifico. Presentano<br />

forma globosa massiva o sono anche più incrostanti e appiattite nel<br />

caso di forte idrodinamismo locale. Il tubo di un adulto di Sabellaria può raggiungere<br />

oltre i 30 cm di lunghezza e circa mezzo centimetro di diametro.<br />

Dai limitati dati a disposizione sembra che la dimensione dei tubi dipenda<br />

comunque dalla loro densità, con valori che variano da 53 a 475 individui/dm3 e che dipendono dall’orientamento della formazione stessa rispetto al substrato:<br />

se verticale presenta in genere densità maggiori, mentre in orizzontale<br />

le densità sono minori a causa probabilmente del disturbo provocato dalla<br />

104 105<br />

Banco a Sabellaria alveolata


sedimentazione e abrasione dovuta ai movimenti del sedimento stesso. I singoli<br />

tubi si accrescono in verticale e nuovi individui si aggiungono lateralmente<br />

o in strati sovrapposti in modo che la struttura si accresce in modo massivo.<br />

Questo processo è possibile grazie al fatto che i sabellaridi hanno escogitato<br />

un interessante sistema per garantire alle larve di insediarsi sui tubi degli<br />

adulti. Gli adulti infatti emettono particolari sostanze che stimolano e inducono<br />

l’attecchimento delle larve stesse in prossimità dell’adulto, un sistema efficace<br />

che è utilizzato anche da altri organismi gregari, come i balani.<br />

Per quanto riguarda le coste italiane, banchi a Sabellaria sono riportati in<br />

alcune aree costiere della Campania (Golfi di Napoli, Salerno e Policastro), in<br />

Liguria e Toscana, in Sicilia, e nel Lazio. La specie colonizza aree molto<br />

superficiali della costa, dal livello della bassa marea fino a circa 3-5 m di<br />

profondità, dove l’energia del moto ondoso è la più elevata e permette la<br />

sospensione e mobilitazione delle particelle di sedimento, necessarie al verme<br />

per la costruzione del suo tubo, nonchè del materiale organico di cui la<br />

specie si ciba per filtrazione. In generale quindi le formazioni a Sabellaria<br />

sono comuni di fronte a coste sabbiose esposte, anche se i banchi a Sabellaria<br />

attecchiscono utilizzando come supporto iniziale una formazione rocciosa<br />

(anche artificiale, come massi foranei e banchine) o un piccolo sasso. Lungo<br />

le coste della Toscana e della Sicilia sono documentati alcuni reef a Sabellaria<br />

inseriti all’interno della prateria a Posidonia che danno luogo così ad un<br />

interessante mosaico ambientale.<br />

Tra gli organismi associati ai banchi di<br />

Sabellaria sono documentati sia forme<br />

sessili e sedentarie, quali alghe incrostanti,<br />

altri policheti, molluschi, briozoi<br />

e ascidiacei, sia forme vagili. Sono<br />

esempi di organismi sessili e sedentari<br />

le macroalghe Ulva sp. ed Enteromorpha<br />

spp., come invertebrati i policheti<br />

Sabellaria halcocki, Lanice conchilega,<br />

Terebella lapidaria, Cirriformia<br />

Il polichete Lanice conchilega<br />

filigera, Notomastus lineatus molti serpulidi<br />

come Pomatoceros lamarckii e specie del genere Hydroides, ma soprattutto<br />

i bivalvi Striarca lactea, Arca noae, Mytilus galloprovincialis e Mytilaster<br />

minimus. Molte di queste specie sono comuni nei substrati duri e trovano quindi<br />

in Sabellaria un supporto fisso. Contrariamente al caso dei banchi a Ficopomatus,<br />

sono scarsi gli organismi a loro volta biocostruttori e cementanti, poiché<br />

i tubi di sabbia agglutinata hanno una resistenza inferiore e caratteristiche tessiturali<br />

diverse da quelle di un substrato calcareo, anche se di tipo biogenico.<br />

Tra le forme vagili dominano i policheti, con molti sillidi, fillodocidi (Eulalia viridis,<br />

Eumida sanguinea) nereididi (Perinereis cultrifera, Nereis falsa), esionidi e<br />

lumbrineridi (Lumbrineris spp.), ma sono soprattutto i crostacei peracaridi ad<br />

essere particolarmente abbondanti, come i tanaidacei Apseudes latreilli e Leptochelia<br />

savignyi, l’isopode Gnathia phallonajopsis e soprattutto gli anfipodi<br />

Maera inaequipes, Jassa marmorata, J. ocia, Corophium sextonae, C. acherusicum<br />

e C. acutum. Queste specie rappresentano forme comuni nei fondi sabbiosi<br />

o misti e fortemente esposti al moto ondoso.<br />

È stata inoltre notata una relazione inversa tra la densità di Sabellaria e l’abbondanza<br />

e diversià della fauna associata ai suoi reef. Densità elevate di questi policheti,<br />

infatti, competono con gli altri organismi soprattutto per la filtrazione del<br />

cibo, mentre con densità più modeste si riduce la competizione, mentre la presenza<br />

di tubi vuoti favorisce la colonizzazione da parte di altri organismi. Non<br />

esistono infine organismi biodistruttori e i principali agenti distruttivi dei banchi a<br />

Sabellaria sono l’idrodinamismo eccessivo, l’azione abrasiva del sedimento<br />

stesso messo in sospensione dall’energia dinamica delle onde, o al contrario nel<br />

caso di un cambiamento di regine dinamico, l’eccessiva sedimentazione.<br />

Come è stato anche messo in evidenza riguardo ai banchi a Ficopomatus,<br />

anche per le formazioni a S. alveolata si possono riconoscere alcune funzioni<br />

importanti per l’ambiente marino, come la potenziale biorimediazione dell’acqua.<br />

Sabellaria infatti, essendo un organismo filtratore rimuove sedimento e<br />

particolato dell’acqua, anche se vivendo in ambiente molto dinamico questa<br />

capacità ha una ricaduta ecologica più limitata.<br />

106 107<br />

Mytilus galloprovincialis


■ I banchi a Cladocora caespitola<br />

corrispondenti ai ritmi di deposizione di<br />

carbonato di calcio da parte del polipo<br />

nelle varie stagioni dell’anno. Il polipo<br />

deposita la banda di carbonato di calcio<br />

più denso in autunno-inverno mentre<br />

quello meno denso viene deposto in<br />

primavera-estate, quindi ogni coppia di<br />

bande chiara e scura corrisponde a circa<br />

un anno di età.<br />

Cladocora caespitosa è uno dei coralli<br />

più antichi del Mediterraneo, i suoi resti<br />

si rinvengono nei depositi fossili a partire dal tardo Pliocene e costituisce un<br />

buon indicatore climatico caratterizzando le fasi più calde del Mediterraneo. Il<br />

più importante giacimento fossile di Cladocora in Italia è quello di Taranto, in<br />

località S. Teresiola dove, grazie anche a fenomeni geologici di sollevamento è<br />

possibile ammirare a cielo aperto una banco di Cladocora risalente a circa<br />

125.000 anni fa con una estensione di circa 0,6 Km2 . Oggi ritrovare banchi<br />

viventi di tale entità in Mediterraneo risulta molto raro. Il banco più studiato è in<br />

Croazia e ricopre un’area di 0,65 Km2 Cladocora caespitosa<br />

tra 6 e 18 metri di profondità ed è formato<br />

dalla fusione di numerose colonie di Cladocora alte circa mezzo metro che<br />

hanno dato origine ad un tavolato quasi ininterrotto di corallo. Oggi la sopravvivenza<br />

di questo banco, che può essere considerato come un vero monumento<br />

naturale, appare minacciata da due fattori legati al cambiamento climatico: il<br />

proliferare dell’alga verde Caulerpa racemosa che nei periodi estivi ricopre in<br />

sempre maggiore proporzione le colonie soffocandone i polipi, e l’innalzamento<br />

della temperatura che può raggiungere i 29°C causando sofferenza e morte<br />

dei polipi, con fenomeni simili allo “sbiancamento” dei coralli tropicali.<br />

108 109<br />

Cladocora caespitosa è un corallo coloniale e zooxantellato appartenente alla<br />

famiglia favide; è uno dei pochi madreporari ermatipici (capaci cioè di formare<br />

biocostruzioni cospicue o banchi) del Mediterraneo. Viene osservato frequentemente<br />

lungo le coste mediterranee tra pochi metri e 30-40 metri di profondità.<br />

Le sue colonie, normalmente di forma emisferica e di dimensioni variabili tra 10<br />

e 30 cm di diametro, si ritrovano su substrati solidi in ambienti molto vari: in vicinanza<br />

dell’imboccatura dei fiumi, nelle praterie di Posidonia oceanica e in<br />

ambienti coralligeni. Solitamente le colonie sono poche e isolate ma quando la<br />

loro densità e le loro dimensioni aumentano possono fondersi tra loro e generare<br />

delle formazioni molto estese chiamate banchi a Cladocora caespitosa.<br />

La forma di crescita del corallo è faceloide, cioè i singoli individui che compongono<br />

la colonia (polipi) non sono a contatto tra loro e sviluppano uno scheletro<br />

(corallite) di forma tubulare e con un diametro di circa mezzo centimetro che cresce<br />

verticalmente per la continua deposizione di carbonato di calcio. Le colonie<br />

di Cladocora caespitosa hanno ritmi di accrescimento molto lenti, da qualche<br />

millimetro a mezzo centimetro per anno, quindi colonie di 50 cm di altezza possono<br />

superare i 100-150 anni di età. L’età delle colonie è determinata per mezzo<br />

di una metodica chiamata sclerocronologia, una tecnica che consiste nel sottoporre<br />

ad analisi radiografica i coralliti di Cladocora caespitosa. Nelle radiografie<br />

il corallo mostra un’alternanza di bande più dense (scure) e meno dense (chiare)<br />

Biocostruzione con Cladocora caespitosa<br />

■ Le biocostruzioni a briozoi dell’infralitorale e del circalitorale<br />

Con circa 480 specie, i briozoi costituiscono un gruppo importante della fauna<br />

bentonica del Mediterraneo. Molte specie posseggono scheletri carbonatici più<br />

o meno mineralizzati e sviluppano colonie di taglia relativamente grande. Sono,<br />

pertanto, potenzialmente adatti a formare delle biocostruzioni sia come costruttori<br />

primari, costituenti da soli o con altri organismi fra cui principalmente le<br />

alghe, i serpulidi e i coralli, l’impalcatura (o frame) della struttura biocostruita, sia<br />

svolgendo dei ruoli subordinati che rientrano in differenti categorie funzionali.<br />

Le specie più importanti come costruttori primari sono quelle a scheletro eretto<br />

rigido (arborescenti) e quelle a scheletro incrostante plurilaminare che, ripiegando<br />

e sovrapponendo più strati e talora inglobando altri organismi, formano<br />

spesse incrostazioni adattandosi alle irregolarità del substrato. Tra queste


110<br />

ricordiamo alcune specie tendenzialmente<br />

perennanti, caratterizzate da<br />

crescita continua e rapida come Pentapora<br />

ottomülleriana, Schizoporella<br />

spp., Schizomavella spp., Schizobrachiella<br />

sanguinea, Parasmittina spp.,<br />

Rhynchozoon spp., Calpensia nobilis e<br />

Reptadeonella violacea. Nell’infralitorale<br />

queste specie incrostano organismi<br />

viventi, roccia, concrezioni organogene<br />

Colonia di briozoi del genere Pentapora<br />

e substrati di varia natura.<br />

Il genere Schizoporella produce biocostruzioni, sia fossili sia attuali, estese<br />

anche diversi metri e spesse qualche decimetro sia in zone calme a debole<br />

profondità arricchite in materia organica (come S. errata nelle aree portuali) sia in<br />

aree con un certo idrodinamismo. È stato osservato come la specie cambi le<br />

modalità di costruzione, passando da spesse incrostazioni a costruzioni erette<br />

ramificate in relazione al grado di idrodinamismo e alla presenza di altri organismi<br />

eretti carbonatici che vengono ricoperti. Analoga modalità di costruzione è<br />

quella di Calpensia nobilis, briozoo a crescita molto rapida (circa 8 cm all’anno in<br />

estensione lineare), che avvolge i rizomi di Posidonia formando spessi e consistenti<br />

“manicotti” alti fino a 13 cm e spessi qualche centimetro nelle praterie in<br />

corrente. La coalescenza successiva di “manicotti” limitrofi può dar origine a<br />

consistenti biocostruzioni. C. nobilis costituisce anche delle brioliti libere (analoghe<br />

alle rodoliti) accrescendo delle colonie attorno a nuclei organici e inorganici<br />

su fondali mobili sabbioso-ghiaiosi. Più in profondità concrezionamenti sono<br />

prodotti da specie del genere Parasmittina.<br />

<strong>Biocostruzioni</strong> particolarmente interessanti sono quelle formate da grandi briozoi<br />

eretti, quali Pentapora spp., Reteporella spp., Smittina cervicornis, Adeonella<br />

spp., Myriapora truncata, che possono accrescersi sia su fondi duri ombreggiati,<br />

sia su fondi mobili formando il cosiddetto “coralligeno di piattaforma”.<br />

In tutti i casi riportati, la presenza delle grandi costruzioni organogene prodotte<br />

dai briozoi aumenta la complessità dell’ambiente, consentendo un incremento<br />

delle nicchie e della diversità locale. Seppure di piccole dimensioni, infine, sono<br />

abbastanza interessanti i rilievi centimetrici nodulari o vermiformi formati sulle<br />

pareti delle grotte da Celleporina mangnevillana e dall’accrescimento di piccole<br />

colonie sovrapposte di diversi briozoi fra cui Puellina pedunculata, P. corbula,<br />

Plagioecia inoedificata, P. platydiscus e Setosella cavernicola.<br />

Attualmente le biocostruzioni costituite dai briozoi non sono oggetto di protezione<br />

nelle acque italiane e più in generale mediterranee. Tuttavia, la facies a<br />

grandi briozoi del detritico costiero (DC/b) è stata associata al coralligeno e fatta<br />

afferire, pertanto, alle iniziative per l’attuazione del Piano UNEP di azione per<br />

la protezione del coralligeno e delle altre biocostruzioni calcaree in Mediterraneo”,<br />

adottato dalle parti contraenti la Convenzione di Barcellona.<br />

È da sottolineare come alcune specie, e in particolare quelle erette arborescenti<br />

di taglia elevata presenti a profondità raggiungibili con l’immersione<br />

ricreazionistica, siano particolarmente vulnerabili e andrebbero appositamente<br />

protette, facendo anche seguito a quanto espresso dal “Programma<br />

di azione strategica per la conservazione della diversità biologica”.<br />

■ <strong>Biocostruzioni</strong> dei coralli profondi<br />

I coralli bianchi profondi, rappresentati<br />

soprattutto dalle specie Lophelia pertusa<br />

e Madrepora oculata, sono la<br />

complessa base strutturale di una biocenosi<br />

presente sui fondi fangosi<br />

batiali degli oceani e dello stesso<br />

Mediterraneo, rappresentando un hot<br />

spot di biodiversità, un biota insostituibile<br />

nonché molto vulnerabile di queste<br />

profondità. A differenza delle spe-<br />

Colonia di Madrepora oculata, ripresa a circa<br />

500 metri di profondità<br />

cie tropicali, i coralli bianchi si distribuiscono generalmente a elevate profondità<br />

e, pertanto, sono privi di alghe simbionti. Nel Mediterraneo, formano banchi<br />

a estensione variabile e con strutture tridimensionali in grado di ospitare un<br />

gran numero di specie sia di invertebrati che di vertebrati, molti dei quali di<br />

notevole interesse scientifico ed economico.<br />

La presenza dei coralli bianchi nel Mediterraneo è molto antica e può farsi risalire<br />

al Miocene. Alla fine di tale periodo, con l’inizio della crisi Messiniana, molte<br />

specie presenti nel bacino si estinsero. Successivamente, il ritorno del collegamento<br />

con l’Oceano Atlantico, nel Pliocene, vide anche il ripopolamento<br />

del Mediterraneo da parte di numerosissime specie atlantiche fra cui, quasi<br />

certamente, i coralli bianchi. È comunque durante le fasi glaciali del Pleistocene<br />

che i coralli bianchi si diffusero ed ebbero modo di svilupparsi nel Mar<br />

Mediterraneo. Attualmente, tranne poche eccezioni (come il banco di Santa<br />

Maria di Leuca), queste colonie di coralli bianchi sono estinte o in forte regressione.<br />

Delle tre specie che costituiscono il “core” della biocenosi, vale a dire<br />

Lophelia, Madrepora e Desmophyllum, è soprattutto Lophelia quella che<br />

mostra i segni di un maggior declino.<br />

La biocenosi a coralli bianchi profondi, caratterizzata dalla presenza delle tre<br />

specie precedentemente citate (Lophelia pertusa, Madrepora oculata e<br />

Desmophyllum dianthus) è molto diffusa in gran parte degli oceani. Nel Mediterraneo,<br />

sono conosciuti banchi fossili dal versante occidentale (Spagna) sino<br />

111


112<br />

a quello orientale (Isola di Rodi). Sebbene<br />

i resti fossili o sub-fossili di questi<br />

coralli siano quanto mai diffusi, non<br />

molto si conosce sui banchi attualmente<br />

viventi di Lophelia e Madrepora. Con<br />

molta probabilità le colonie viventi di<br />

queste specie sono molto più diffuse in<br />

Mediterraneo rispetto alle 2 stazioni<br />

riportate in letteratura. A fronte degli<br />

studi recenti, sono sicuramente da<br />

Il bivalve Spondylus gussonii<br />

aggiungere le aree di Santa Maria di<br />

Leuca e dello Stretto di Sicilia, dei mari di Toscana e del Golfo di Genova. Con<br />

ogni probabilità, la biocenosi a coralli bianchi profondi, sebbene in forte regressione,<br />

nel Mediterraneo è diffusa dai 250 m sino ai 2500 m, riducendosi man<br />

mano che ci si sposta da Occidente verso Oriente, laddove la temperatura più<br />

alta delle acque potrebbe rappresentare il fattore limitante.<br />

I banchi a coralli bianchi profondi sono, come detto, veri e propri hot spot di<br />

biodiversità del piano batiale del Mediterraneo, considerato per secoli un deserto<br />

di vita. Il solo banco di Santa Maria di Leuca (Mar Ionio), in un’area di circa<br />

mille chilometri quadrati compresi tra i 300 e i 1000 metri di profondità, ha consentito<br />

l’identificazione di oltre 220 specie viventi. Poriferi, molluschi e cnidari<br />

sono presenti con il numero più elevato di specie, seguiti da briozoi e anellidi<br />

che possono rappresentare fonte di nutrimento per i numerosi decapodi bentopelagici<br />

nonché per la fauna ittica frequentatrice di questa biocenosi.<br />

Fra le specie che più frequentemente si rinvengono all’interno in questa biocenosi,<br />

si possono ricordare i poriferi Desmacella inornata, Pachastrella<br />

monilifera, Poecillastra compressa, Spiroxya sp. e Cliona sp., gli cnidari<br />

Lophelia pertusa, Madrepora oculata, Desmophyllum dianthus (=cristagalli) e<br />

Stenocyathus vermiformis, gli anellidi Eunice norvegica, Filogranula gracilis, F.<br />

stellata, Harmothoe vesiculosa e Subadyte cfr. pellucida, i bivalvi Delectopecten<br />

vitreus e Spondylus gussonii, i decapodi Bathynectes maravigna, Munida<br />

intermedia, M. tenuimana, Rochinia rissoana. Fra i pesci cartilaginei sono<br />

comuni Chimaera monstrosa, Etmopterus spinax e Galeus melastomus, mentre<br />

fra quelli ossei Caelorynchus caelorhyncus, Helicolenus dactylopterus,<br />

Hoplostethus mediterraneus, Micromesistius poutassou, Pagellus bogaraveo<br />

e Phycis blennioides.<br />

C’è da evidenziare la difficoltà oggettiva di conoscere con precisione la struttura<br />

e la reale composizione specifica di questa biocenosi, a causa della sua<br />

elevata fragilità strutturale che mal sopporta tipologie di campionamento<br />

invasive. La biocenosi a coralli bianchi profondi del Mediterraneo funziona<br />

come un’oasi nel deserto. In effetti, la struttura tridimensionale delle colonie<br />

dei coralli offre una miriade di<br />

microambienti, favorendo l’insediamento<br />

di numerose specie endo- ed<br />

epibionti. Inoltre, l’impossibilità di<br />

effettuare la pesca a strascico in queste<br />

aree, pena la rottura della rete e la<br />

perdita delle attrezzature, elegge i<br />

banchi a coralli bianchi rifugio per molte<br />

specie vagili, comprese anche specie<br />

di interesse commerciale, come<br />

crostacei e numerosi pesci. Tali aree<br />

Il granchio Bathynectes maravigna<br />

funzionano pertanto come zone di rifugio e di spill-over per le aree circostanti.<br />

Saper distinguere coralli bianchi vivi da quelli fossili o sub-fossili risulta quanto<br />

mai complesso e difficile anche per gli stessi specialisti. Infatti, è molto<br />

comune che pezzi di coralli bianco risalenti al Pleistocene, essendo stati<br />

sepolti in strati di sedimenti fini, possano aver mantenuto la loro brillantezza e<br />

il loro colore bianco vivo. Viceversa in altre zone, gli stessi scheletri possono<br />

aver subito un ricoprimento, totale o parziale, da parte di un film di ferro e<br />

manganese, assumendo un colore grigiastro. Al fine di poter riconoscere un<br />

corallo bianco vivo occorre poter evidenziare la presenza del tessuto dei polipi.<br />

In alternativa, pezzi di corallo vivente, immersi subito dopo il loro campionamento<br />

a bordo, in un acquario con acqua di mare, eliminano quasi subito un<br />

particolare film mucoso che sale verso l’alto, segno questo inequivocabile della<br />

presenza di corallo vivo. In laboratorio è stato possibile mantenere in vita<br />

per oltre 3 mesi, alcuni pezzi di corallo bianco tenuti al buio e a temperatura<br />

termostatata di circa 13° C e nutriti con plancton liofilizzato.<br />

Una caratteristica ulteriore di questa biocenosi è rappresentata dalla presenza<br />

dell’anellide polichete Eunice norvegica, dotato di un tubo papiraceo che, con<br />

il tempo, viene completamente ricoperto dalle madrepore, sino a formare delle<br />

vere gallerie tubicole nella massa del corallo.<br />

I banchi a coralli bianchi profondi del Mediterraneo rivestono un’importanza<br />

considerevole sotto diversi aspetti:<br />

● paleontologico: la loro antichità dimostrata dal fatto che hanno attraversato<br />

varie epoche geologiche, ne fanno delle specie quanto mai interessanti,<br />

soprattutto da un punto di vista genetico;<br />

● ecologico: la ricchezza in specie di questa biocenosi è del tutto singolare sul<br />

piano batiale in cui essa è diffusa;<br />

● produttivo: il fatto che essa sia caratterizzata anche da specie ittiche di interesse<br />

commerciale, associato all’impossibilità di pescarci sopra, ne fa un’area<br />

di spill-over da cui fuoriescono esemplari nati e accresciutisi in questa zona<br />

(spawning e nursery area), con evidente beneficio per i pescatori.<br />

113


Aspetti di conservazione e gestione<br />

FRANCESCO CINELLI · GIULIO RELINI · LEONARDO TUNESI<br />

■ Norme di protezione<br />

La Direttiva Habitat, recepita dall’Italia<br />

con il “Regolamento recante attuazione<br />

della direttiva 92/43/CEE relativa<br />

alla conservazione degli <strong>habitat</strong> naturali<br />

e seminaturali, nonché della flora e<br />

della fauna selvatiche (DPR 357<br />

dell’8/09/1997, e successive integrazioni)”<br />

è la norma più importante e<br />

cogente per la protezione e conservazione<br />

della natura perché ha anche un<br />

vero potere sanzionatorio potendo<br />

Magnosa grande (Scyllarides latus)<br />

persino ricorrere alla procedura di<br />

infrazione. Questa Direttiva, però, pone maggiore attenzione agli <strong>habitat</strong> terrestri<br />

rispetto a quelli marini, basti rilevare che su 217 <strong>habitat</strong> di interesse comunitario<br />

solo 9 sono marini e 2 sono dei veri <strong>habitat</strong> nel senso di biotopi (luoghi<br />

ospitanti le biocenosi), la maggior parte sono delle entità geografiche e/o geologiche,<br />

come ad esempio lagune, estuari, baie, “banchi di sabbia, a debole<br />

copertura permanente di acqua marina” o le “scogliere”. Le comunità che si<br />

possono formare su queste ultime sono sostanzialmente differenti in relazione<br />

alla profondità, al tipo di roccia, all’esposizione, ecc.<br />

Nessuna delle formazioni organogene concrezionanti calcaree è menzionata<br />

nonostante la loro enorme importanza per la biodiversità del Mediterraneo. Lo<br />

stesso discorso vale per le specie. Nell’allegato B (II), in cui sono riportate le<br />

specie per la cui tutela è necessario creare delle zone di protezione, su 223<br />

specie animali solo 17 (di cui 12 presenti in Italia) sono marine mediterranee<br />

(nessun invertebrato) e su 370 specie vegetali nessuna marina. Sono quattro<br />

nell’allegato D (specie da proteggere) e due nell’allegato E (specie che potrebbero<br />

richiedere misure di gestione) ed esattamente il corallo rosso (Corallium<br />

rubrum) e la magnosa grande (Scyllarides latus). Stranamente (perché questo<br />

allegato si riferisce a specie sfruttate dall’uomo) sono elencate anche due<br />

corallinacee Lithothamnion corallioides e Phymatolithon calcareum (sinonimo<br />

di Lithothamnion calcareum).<br />

Cernia (Epinephelus marginatus)<br />

115


Poiché non ci sono <strong>habitat</strong> riguardanti le biocostruzioni calcaree nell’allegato<br />

A (I) della Direttiva, né specie appartenenti a tali biocostruzioni nell’allegato B<br />

(II) non è possibile creare SIC (Siti di Importanza Comunitaria) e quindi zone<br />

speciali di Conservazione (ZSC). Mancano pertanto gli strumenti giuridici per<br />

la protezione e conservazione di tali entità, a meno che queste non si trovino<br />

all’interno di un’area marina protetta. Comunque qualche spiraglio si sta<br />

aprendo con il nuovo manuale di interpretazione degli <strong>habitat</strong> con la possibilità<br />

di inserire molte biocostruzioni nell’<strong>habitat</strong> reef.<br />

La Convenzione di Berna del 1979 sulla “Conservazione della vita selvatica e<br />

dell’ambiente naturale in Europa” è stata ratificata dall’Italia nel 1981 (L. 503 del<br />

5/08/1981), ma soltanto dopo il 1996 i suoi allegati riguardanti le specie vegetali<br />

e animali da proteggere in modo rigoroso sono stati modificati e recepiti.<br />

Tra le macrofite (allegato I) che maggiormente interessano questo volume ci<br />

sono le alghe calcaree Goniolithon byssoides - ora Lithophyllum (Titanoderma)<br />

trochanter -e Lithophyllum lichenoides. Tra gli animali (allegato II) che si possono<br />

trovare nel coralligeno sono elencati alcuni molluschi, poriferi e celenterati,<br />

da ricordare in particolare Astroides calycularis e Savalia (= Gerardia)<br />

savaglia. Tra i molluschi è elencato Dendropoma petraeum, che è il principale<br />

costruttore di piattaforme a vermetidi. Da sottolineare che la protezione rigorosa<br />

delle specie elencate negli allegati I e II impone la protezione dell’<strong>habitat</strong><br />

in cui si trovano. Tuttavia questa convenzione non ha il potere impositivo della<br />

Direttiva Habitat.<br />

Un contributo fondamentale a superare le mancanze della Direttiva Habitat in<br />

ambiente marino, viene fornito dalla nuova Convenzione di Barcellona (1995)<br />

che ha diversi protocolli, tra cui il “Protocollo relativo alle aree specialmente<br />

protette e alla diversità biologica in Mediterraneo” (SPA/BIO), il quale non si<br />

limita alle acque territoriali, fatto del tutto innovativo. Ogni paese firmatario è<br />

invitato a creare zone specialmente protette per la conservazione degli <strong>habitat</strong><br />

e delle specie, mentre la creazione di una ASPIM (Area specialmente protetta<br />

di interesse mediterraneo) viene stabilita dalle Parti Contraenti.<br />

I criteri che concorrono a determinare l’inserimento di un’area nella lista<br />

ASPIM, sono relativi alla presenza di specie rare, endemiche o minacciate, alla<br />

rappresentatività ecologica, al grado di biodiversità, alla naturalità, alle peculiarità<br />

dell’<strong>habitat</strong>, all’importanza scientifica, alla rappresentatività culturale.<br />

Tutto il dominio bentonico è suddiviso in sette piani dalla zona degli spruzzi alle<br />

massime profondità. Ogni piano è stato suddiviso per tipologia del substrato<br />

(fanghi, sabbie, rocce, ecc.) e per ciascun substrato vengono elencate le biocenosi,<br />

le associazioni e le facies, ciascuna di queste è considerato un <strong>habitat</strong>.<br />

Nella lista di pagg. 118-119, vengono riportati soltanto gli <strong>habitat</strong> che interessano<br />

questo volume, per gli altri viene riportato solo il numero. Il numero posto<br />

accanto al substrato o alla biocenosi indica il numero di <strong>habitat</strong> allocati in<br />

quella categoria.<br />

Dei 161 <strong>habitat</strong> elencati, 61 sono stati ritenuti determinanti e, pertanto, la loro<br />

protezione è indispensabile per il mantenimento della biodiversità mediterra-<br />

116 117<br />

Bioconcrezione ad Astroides calycularis Lithophyllum lichenoides


118 119<br />

Classificazione di Barcellona: elenco ridotto degli <strong>habitat</strong> bentonici<br />

Giulio Relini<br />

I. SOPRALITORALE 11 <strong>habitat</strong><br />

II. MESOLITORALE<br />

II. 1. FANGHI 3 <strong>habitat</strong><br />

II. 2. SABBIE 2 <strong>habitat</strong><br />

II. 3. MASSI E CIOTTOLI 2 <strong>habitat</strong><br />

II. 4. FONDI DURI E ROCCIOSI<br />

II. 4. 1. Biocenosi della roccia mesolitorale superiore 5 <strong>habitat</strong> di cui<br />

II. 4. 1. 4. Associazione a Lithophyllum papillosum e Polysiphonia ssp.*<br />

II. 4. 2. Biocenosi della roccia mesolitorale inferiore 10 <strong>habitat</strong> di cui<br />

II. 4. 2. 1. Associazione a Lithophyllum byssoides [cornice e marciapiede a L. tortuosum] *<br />

II. 4. 2. 2. Associazione a Lithophyllum trochanter<br />

II. 4. 2. 3. Associazione a Tenarea undulosa<br />

II. 4. 2. 8. Concrezioni a Neogoniolithon brassica-florida *<br />

II. 4. 2. 10. Pozze e lagune talora associate a vermetidi (enclave infralitorale) *<br />

II. 4. 3. Grotte mesolitorali * 2 <strong>habitat</strong> di cui<br />

II. 4. 3. 1. Associazione a Phymatolithon lenormandii e Hildenbrandia rubra *<br />

III. INFRALITORALE<br />

III. 1. FANGHI SABBIOSI, SABBIE, GHIAIE E ROCCE<br />

III. 1. 1. Biocenosi lagunari eurialine ed euriterme 12 <strong>habitat</strong> di cui<br />

III. 1. 1. 2. Facies a Ficopomatus (= Mercierella) enigmaticus<br />

III. 2. SABBIE FINI PIU’ O MENO INFANGATE 13 <strong>habitat</strong><br />

III. 3. SABBIE GROSSOLANE PIU’ O MENO INFANGATE 2 <strong>habitat</strong> di cui<br />

III. 3. 1. Biocenosi delle sabbie grossolane e ghiaie fini rimaneggiate dalle onde<br />

III. 3. 1. 1. Associazione a rodoliti *<br />

III. 3. 2. Biocenosi delle sabbie grossolane e ghiaie fini sotto l’influenza di correnti di fondo<br />

(si può riscontrare anche nel circalitorale) 3 <strong>habitat</strong> di cui<br />

III. 3. 2. 1. Facies del mäerl (Associazione a Lithothamnion corallioides e Phymatolithon<br />

calcareum; può essere riscontrato anche come facies del detritico costiero) *<br />

III. 3. 2. 2. Associazione a rodoliti *<br />

III. 4. MASSI E CIOTTOLI 2 <strong>habitat</strong><br />

III. 5. PRATERIA A POSIDONIA OCEANICA 5 <strong>habitat</strong><br />

III. 6. FONDI DURI E ROCCIOSI<br />

III. 6. 1. Biocenosi delle alghe infralitorali 36 <strong>habitat</strong> di cui<br />

III. 6. 1. 3. Facies a Vermeti *<br />

III. 6. 1. 14. Facies a Cladocora caespitosa *<br />

III. 6. 1. 31. Facies a Astroides calycularis<br />

III. 6. 1. 35. Facies e Associazioni di biocenosi a coralligeno (in enclave) *<br />

IV. CIRCALITORALE<br />

IV. 1. FANGHI 4 <strong>habitat</strong><br />

IV. 2. SABBIE<br />

IV. 2. 1. Biocenosi dei fondi detritici infangati 2 <strong>habitat</strong><br />

IV. 2. 2. Biocenosi del detritico costiero 11 <strong>habitat</strong> di cui<br />

IV. 2. 2. 1. Associazione a rodoliti<br />

IV. 2. 2. 2. Facies del maërl (Associazione a Lithothamnion corallioides e<br />

Phymatholithon calcareum)<br />

IV. 2. 2. 10. Facies a grandi Briozoi ramificati *<br />

IV. 2. 3. Biocenosi dei fondi detritici del largo 3 <strong>habitat</strong> Banchi a Ficopomatus enigmaticus<br />

IV. 2. 4. Biocenosi delle sabbie grossolane e ghiaie fini sotto l’influenza di correnti di fondo<br />

(Biocenosi presente in località con particolari condizioni di idrodinamismo, come<br />

negli stretti; si ritrova anche nell’infralitorale) 1 <strong>habitat</strong><br />

IV. 3. FONDI DURI E ROCCIOSI<br />

IV. 3. 1. Biocenosi del coralligeno * 16 <strong>habitat</strong> di cui<br />

IV. 3. 1. 1. Associazione a Cystoseira zosteroides *<br />

IV. 3. 1. 2. Associazione a Cystoseira usneoides *<br />

IV. 3. 1. 3. Associazione a Cystoseira dubia *<br />

IV. 3. 1. 4. Associazione a Cystoseira corniculata *<br />

IV. 3. 1. 5. Associazione a Sargassum spp. (indigene) *<br />

IV. 3. 1. 6. Associazione a Mesophyllum lichenoides<br />

IV. 3. 1. 7. Associazione a Lithophyllum frondosum e Halimeda tuna<br />

IV. 3. 1. 8. Associazione a Laminaria ochroleuca *<br />

IV. 3. 1. 9. Associazione a Rodriguezella strafforelloi *<br />

IV. 3. 1. 10. Facies a Eunicella cavolinii *<br />

IV. 3. 1. 11. Facies a Eunicella singularis *<br />

IV. 3. 1. 12. Facies a Lophogorgia sarmentosa *<br />

IV. 3. 1. 13. Facies a Paramuricea clavata *<br />

IV. 3. 1. 14. Facies a Parazoanthus axinellae<br />

IV. 3. 1. 15. Piattaforme coralligene *<br />

IV.3. 2. Grotte semi-oscure (anche in enclave negli strati superiori) * 4 <strong>habitat</strong> di cui<br />

IV. 3. 2. 2. Facies a Corallium rubrum *<br />

IV. 3. 3. Biocenosi della roccia del largo 1 <strong>habitat</strong><br />

V. BATIALE<br />

V. 1. FANGHI 5 <strong>habitat</strong><br />

V. 2. SABBIE 1 <strong>habitat</strong><br />

V. 3. FONDI DURI E ROCCIOSI 2 <strong>habitat</strong><br />

V. 3. 1. Biocenosi dei coralli profondi *<br />

VI. ABISSALE<br />

VI. 1. FANGHI 1 <strong>habitat</strong><br />

*: l’asterisco evidenzia gli <strong>habitat</strong> prioritari


nea. La selezione è stata fatta applicando cinque criteri: vulnerabilità, valore<br />

naturalistico, rarità, valore estetico, valore economico e, in base ai punteggi<br />

ottenuti, gli <strong>habitat</strong> sono stati suddivisi in tre categorie:<br />

D - determinanti: protezione rigorosa;<br />

R - rimarchevoli: meritevoli di particolare attenzione e gestione;<br />

NR - non importanti.<br />

Per quanto riguarda gli <strong>habitat</strong> descritti in questo volume, 29 dei 38 riportati<br />

nell’elenco sono considerati determinanti o prioritari, cioè quasi la metà dei 60<br />

<strong>habitat</strong> prioritari per SPA/BIO presenti in Italia. Ciò conferma l’importanza di<br />

questi <strong>habitat</strong> per la biodiversità mediterranea e la gravità della loro mancanza<br />

nella Direttiva Habitat.<br />

Al fine di rafforzare le misure di protezione e di cooperazione tra i paesi della<br />

Convenzione di Barcellona vengono stabiliti dei piani di azione. Tra i vari piani<br />

ce n’è uno sulla vegetazione nel quale sono menzionate le biocostruzioni ad<br />

alghe calcaree. Di recente è stato approvato un piano di azione dedicato al<br />

coralligeno e alle altre biocostruzioni calcaree.<br />

Un primo aspetto sul quale vale la pena porre attenzione è l’oggetto di questo<br />

“strumento”: pur facendo riferimento alle bio-costruzioni calcaree, il piano d’azione<br />

è focalizzato sui popolamenti coralligeni e sui rodoliti. I popolamenti<br />

batiali dei coralli bianchi profondi, e quelli molto superficiali quali i trottoir a<br />

Dendropoma petreum e Lithophyllum byssoides non sono presi in carico da<br />

questo piano d’azione perché propri di ambienti completamente differenti da<br />

quelli del coralligeno, caratterizzati da<br />

specie e dinamiche diverse, e soggetti<br />

a cause di stress completamente differenti.<br />

Inoltre i trottoir sono già inclusi<br />

nel piano d’azione per la conservazione<br />

della vegetazione marina. Altrettanto<br />

accade per le specie profonde di<br />

Cystoseira, anche se in alcuni casi<br />

determinano facies del coralligeno.<br />

Quindi il piano d’azione per la protezione<br />

del coralligeno e altre bio-concre-<br />

120 121<br />

Biocostruzione<br />

Rodoliti raccolti con una bennata<br />

zioni calcaree in Mediterraneo (PA) considera il coralligeno come un Seascape<br />

tipico del Mediterraneo, comprendente strutture algali corallinali che si accrescono<br />

in condizioni di luce ridotta e acque relativamente calme. I fondi a rodoliti<br />

del Mediterraneo sono invece considerati come fondali sedimentari ricoperti<br />

da un tappeto di alghe calcaree libere (corallinali o peissonnelliacee), anch’esse<br />

viventi in condizioni di luce ridotta.<br />

Il piano d’azione per la protezione del coralligeno e altre bio-concrezioni calcaree<br />

in Mediterraneo si articola in 6 ambiti principali:<br />

1. stato attuale dei popolamenti coralligeni;<br />

2. raccolta dati e inventari;<br />

3. attività di monitoraggio;<br />

4. attività di ricerca;<br />

5. attività di conservazione;<br />

6. necessità di elaborare linee guida per valutare l’impatto ambientale sul<br />

coralligeno/maërl.<br />

Per l’identificazione di siti di particolare interesse, il piano d’azione prevede<br />

specifici criteri per la loro selezione, raccomandando in particolare che:<br />

● essi rivestano carattere di rappresentatività ad ampia scala geografica;<br />

● per essi esistano informazioni sufficienti e attività di controllo e/o gestione;<br />

● che siano caratterizzati da un elevato stato di salute (per divenire siti di riferimento)<br />

o che, se sottoposti ad attività di disturbo antropico, queste siano<br />

chiaramente identificabili, al fine di consentire la raccolta di informazioni utili a<br />

valutarne l’impatto.<br />

L’importanza delle attività di monitoraggio è stata ulteriormente evidenziata<br />

dalle morie che si sono verificate negli ultimi anni, che hanno mostrato la<br />

necessità di disporre di dati utili a comprendere le dinamiche delle comunità<br />

generalmente molto stabili, che quindi devono essere analizzate su scale<br />

temporali adeguate. Inoltre solo le attività di monitoraggio possono consentire<br />

di valutare l’eventuale successo dell’avvio di specifiche misure di conservazione.


Il PA, per quanto riguarda le attività di ricerca, identifica alcuni gruppi tassonomici<br />

(caratterizzati principalmente dall’essere composti da specie vagili e da<br />

esemplari di ridotte dimensioni) meritevoli di particolare impegno nel prossimo<br />

futuro, e individua due ambiti principali di attività: lo studio dell’evoluzione a<br />

lungo termine (perché l’evoluzione del coralligeno può essere compresa solo<br />

in questa prospettiva) e il funzionamento. La rilevanza di questo secondo campo<br />

di studio è chiaramente collegata alla necessità di conoscere in modo dettagliato<br />

l’accrescimento, i modelli demografici, la vulnerabilità al disturbo e la<br />

capacità di recupero delle specie costruttrici del coralligeno e dei fondi a rodoliti,<br />

per poter identificare specifiche misure conservazionistiche.<br />

Le misure di conservazione, trattate dal punto 5 del PA, sono prese in considerazione<br />

sinteticamente, sulla base delle principali categorie di minaccia per<br />

la biodiversità marina del Mediterraneo identificate con il “Programma di Azione<br />

Strategica per la conservazione della diversità Biologica” (PAS BIO). Le<br />

principali categorie di minaccia identificate risultano quindi: la pesca a strascico,<br />

la pesca artigianale e quella sportiva, l’ancoraggio, le specie aliene, il<br />

riscaldamento globale, le acque di scarico, l’acquacoltura. Il PA auspica anche<br />

la definizione di specifici strumenti legislativi e di regolamenti in grado di assicurare<br />

al coralligeno e ai fondi a rodoliti una protezione legale assimilabile a<br />

quella già prevista dall’Unione Europea per le praterie di Posidonia oceanica.<br />

In relazione alla proposta di linee guida per la valutazione dell’impatto ambientale<br />

su coralligeno e maërl, il Piano di Azione auspica la creazione di aree marine<br />

protette specificatamente finalizzate<br />

alla protezione di questi popolamenti,<br />

sulla scorta di quanto già realizzato in<br />

diversi Stati per proteggere P. oceanica.<br />

Il programma di lavoro previsto dal PA,<br />

come già ricordato, costituisce solo<br />

una parte del più ampio “Piano d’Azione<br />

per la Conservazione della Vegetazione<br />

Marina” al quale afferisce, anche<br />

se questo ultimo è focalizzato su popolamenti<br />

dominati da specie vegetali,<br />

perché esso non esclude quelli animali,<br />

122 123<br />

Spugne su una bioconcrezione coralligena<br />

Modello dell’“ingegno” che veniva utilizzato<br />

dalle navi per la pesca del corallo (coralline)<br />

considerando inoltre che le priorità nazionali e regionali sono in pratica le stesse.<br />

Diverse iniziative internazionali sono in corso per garantire una protezione legale<br />

al coralligeno e ai fondi a rodoliti, seguendo il positivo esempio dalle praterie<br />

di Posidonia oceanica. A livello dell’Unione Europea infatti, la Direttiva Habitat,<br />

prevede, come già detto, l’istituzione di siti di interesse comunitario (SIC), creati<br />

sulla base della presenza di <strong>habitat</strong> e specie di cui agli annessi I e II della Direttiva<br />

Habitat. È importante sottolineare che per quanto riguarda detti annessi,<br />

queste due liste contengono voci classificate come “prioritarie”, cioè <strong>habitat</strong> e<br />

specie che rischiano di scomparire dal territorio di applicazione della Direttiva, e<br />

per la cui conservazione l’Unione Europea e gli Stati Membri riconoscono di<br />

avere particolare responsabilità. La lista degli <strong>habitat</strong> meritevoli di protezione è,<br />

come già accennato, carente per quanto riguarda il Mediterraneo, mare per il<br />

quale sono considerate solo le praterie di posidonia, le lagune costiere e le grotte<br />

sommerse o semisommerse. Tuttavia negli ultimi anni l’<strong>habitat</strong> “Scogliere”,<br />

elencato dalla Direttiva 92/43/CEE è stato considerato come comprensivo, a<br />

livello mediterraneo, di quei popolamenti bentonici di fondo duro meritevoli di<br />

particolare attenzione conservazionistica, partendo dalle iniziative sviluppate<br />

nel contesto di altri accordi internazionali per la protezione della biodiversità e,<br />

in particolare, proprio dalla Convenzione di Barcellona.<br />

Oltre alle iniziative in corso per la protezione legale del coralligeno e dei fondi<br />

a rodoliti, le aree marine protette sono strumenti particolarmente efficaci per<br />

la salvaguardia dei siti di particolare rilevanza, come peraltro sottolineato dal<br />

piano d’azione per la protezione del coralligeno e altre bioconcrezioni calcaree<br />

in Mediterraneo. Questi <strong>habitat</strong> sono presenti in molte delle 25 AMP istituite<br />

(al giugno 2008) in Italia. Va inoltre ricordato che cinque AMP italiane<br />

(Portofino, Miramare, Plemmirio, Torre Guaceto e Tavolara) hanno ricevuto il<br />

riconoscimento ASPIM, cioè di aree specialmente protette di interesse mediterraneo,<br />

per il loro importante patrimonio di biodiversità, tra cui il coralligeno<br />

e le altre biocostruzioni.


■ Cause del degrado e distruzione<br />

Molteplici sono le cause del disturbo, del degrado e persino della distruzione<br />

del coralligeno e delle altre formazioni organogene legate, direttamente o indirettamente,<br />

all’attività antropica. Esse possono agire su vasta scala, come l’innalzamento<br />

termico globale, o localmente, come un piccolo scarico inquinante,<br />

e ovviamente gli effetti saranno diversi in relazione a svariati fattori e<br />

soprattutto in relazione con la tipologia della formazione bioconcrezionante e<br />

la sua vulnerabilità, sensibilità, scarsa resistenza (capacità a non modificarsi in<br />

relazione ad uno stress) e scarsa resilienza (capacità di ritornare in termini<br />

temporali nelle condizioni antecedenti lo stress).<br />

Purtroppo la letteratura scientifica sugli effetti dei vari impatti sulle formazioni<br />

organogene è molto più ridotta rispetto a quella disponibile per le fanerogame<br />

marine. Inoltre, manca quasi del tutto una cartografia dettagliata, strumento<br />

indispensabile per seguire nel tempo le possibili modificazioni del coralligeno<br />

e delle altre comunità concrezionanti. Comunque molti dei cambiamenti avvenuti<br />

negli ultimi decenni sono documentati da serie storiche di foto fatte da<br />

subacquei scientifici.<br />

Cambiamenti climatici. Negli ultimi decenni, in più occasioni nel Mediterraneo<br />

nord-occidentale, sono state segnalate successive morie di organismi sospensivori,<br />

tra 10 e 40 metri di profondità, in particolare legate al coralligeno. Il feno-<br />

meno è stato ben seguito e studiato in<br />

Liguria, alle Baleari, sulla costa orientale<br />

di Marsiglia e nel Golfo di Napoli.<br />

L’ipotesi più accreditata dagli studiosi<br />

è che la massiva mortalità, manifestatasi<br />

in estate in un arco di diverse centinaia<br />

di chilometri e che ha distrutto<br />

vari organismi tra i più rappresentativi<br />

(gorgonie) delle comunità coralligene al<br />

di sopra dei 40 m di profondità, sia<br />

dovuta all’anomalo aumento della temperatura<br />

delle masse d’acqua superficiali<br />

con spostamento del termoclino<br />

Mucillagini bentoniche su Eunicella cavolinii<br />

a maggiori profondità, probabilmente<br />

in relazione con il riscaldamento globale (cambiamento climatico globale).<br />

In Mediterraneo in estate si verifica una marcata stratificazione termica con<br />

acque superficiali calde, che in Mar Ligure possono arrivare in superficie<br />

anche a valori di 25-26° C. Lungo la colonna d’acqua la temperatura scende<br />

lentamente fino al termoclino, intervallo nel quale per definizione la temperatura<br />

diminuisce di almeno un grado per metro di profondità. In realtà ad una piccola<br />

variazione di profondità (qualche metro) corrisponde un brusco abbassamento<br />

della temperatura (anche più di 10° C). Tutti gli organismi che non amano<br />

le acque calde limitano la loro distribuzione al di sotto del termoclino.<br />

Quando questo ultimo scende in modo anomalo a maggiori profondità, gli<br />

organismi sopra ricordati si trovano in condizione di stress che può portare alla<br />

loro morte se il fenomeno perdura per un certo tempo; la gravità di questo<br />

fenomeno è ulteriormente acutizzata dallo stato in cui versano in estate le specie<br />

sospensivore, che in questa stagione non dispongono di adeguate riserve<br />

nutritive per la scarsa disponibilità alimentare. Tuttavia la vera causa della<br />

scomparsa di un così elevato numero di esemplari di specie diverse non è<br />

ancora totalmente nota. Alcuni autori ritengono che lo stress fisiologico (termico<br />

e scarsa alimentazione) indebolisca gli organismi, consentendo lo sviluppo<br />

di agenti patogeni che in condizioni normali non presentano virulenza.<br />

Le morie registrate negli ultimi anni hanno riguardato organismi appartenenti a<br />

vari taxa, tra i più studiati sono i celenterati (le gorgonie, il corallo rosso in particolare)<br />

e i grandi poriferi. Il corallo rosso al di sopra dei 30 m di profondità è<br />

stato fortemente interessato dalla moria e le colonie della grande gorgonia<br />

rossa Paramuricea clavata sono morte in varie zone del Mediterraneo nordoccidentale<br />

al di sopra dei 40 m di profondità. A questo si è associata spesso<br />

la presenza di formazioni mucillaginose che si sviluppano nel periodo estivo e<br />

aumentano in maniera notevole il già grave stress termico.<br />

124 125<br />

Area denudata dalla raccolta di datteri di mare


126 Ricoprimento da parte di opere marittime, discariche e materiale sospeso.<br />

La notevole antropizzazione della costa, e in particolare il moltiplicarsi di porti<br />

turistici, di scarichi fognari e di discariche per il ripascimento delle spiagge e la<br />

formazione di terrapieni per recuperare nuovi spazi sul mare, sono la causa del<br />

degrado anche delle formazioni organogene per azione diretta o indiretta.<br />

La costruzione di opere marittime quali terrapieni, dighe e moli distrugge per<br />

ricoprimento le piattaforme ad alghe calacaree corallinacee, a vermetidi e<br />

anche le formazioni coralligene superficiali, come quelle a Cladocora, che<br />

scompaiono per effetto diretto. Vi sono anche effetti indiretti, quali le modifiche<br />

della dinamica delle correnti, del moto ondoso, della qualità delle acque e<br />

in particolare della torbidità. Nuove tecniche di costruzione delle dighe portuali<br />

consentono una maggiore circolazione delle acque all’interno del porto e<br />

quindi migliori condizioni.<br />

L’esperienza insegna che una parte significativa dei danni provocati dalle<br />

costruzioni è legata al periodo dei lavori e in particolare alle modalità tecniche<br />

seguite nel cantiere: è su queste che le autorità preposte devono insistere.<br />

Durante le attività di cantiere, e in particolare durante le operazioni di ripascimento<br />

delle spiagge, si assiste ad un forte intorbidamento delle acque (spesso<br />

vengono usati materiali inadatti con alta percentuale di limo) che ha conseguenze<br />

deleterie, dirette e indirette, quali ad esempio la sedimentazione sugli<br />

organismi e la riduzione della radiazione solare. Nei casi più gravi il fondale<br />

viene “infangato” con scomparsa delle biocenosi di substrato duro.<br />

Formazione a Cladocora caespitosa<br />

Scarichi di inquinanti, eutrofizzazione, impianti di acquacoltura. Gli scarichi<br />

di provenienza industriale, urbana o da natanti, possono causare danni diretti e<br />

indiretti al coralligeno e alle altre formazioni bioconcrezionate, modificando le<br />

caratteristiche chimiche e fisiche della colonna d’acqua apportando inquinanti<br />

o semplicemente nutrienti. In questa ultima situazione viene ad aumentare l’eutrofizzazione<br />

con le ben note conseguenze sulle comunità biotiche.<br />

Il crescente aumento dell’utilizzo delle gabbie galleggianti per allevamento di<br />

pesce lungo le coste mediterranee è un’altra minaccia per le biocenosi bentoniche.<br />

Vengono immesse enormi quantità di azoto e fosforo e, se non c’è sufficiente<br />

dispersione ad opera delle correnti, l’eutrofizzazione può essere molto<br />

grave. Vengono inoltre immesse varie sostanze xenobiotiche presenti nel mangime<br />

o nei vari prodotti utilizzati (medicinali, antifouling, ecc.). Anche gli scarichi<br />

da natanti possono essere deleteri, soprattutto se una zona è sottoposta ad<br />

un’intensa frequentazione. Attualmente in molti scarichi fluviali è stata riscontrata<br />

un’alta concentrazione di ormoni sessuali (derivanti dall’uso delle pillole<br />

anticoncezionali) con effetti marcati sui cicli sessuali di molti organismi marini.<br />

Inoltre molti grandi fiumi, quali il Po, mostrano un alto contenuto di sostanze<br />

stupefacenti (soprattutto cocaina) i cui effetti non sono stati ancora valutati.<br />

Infangamento e torbidità delle acque possono essere provocati dall’apporto di<br />

torrenti e fiumi, in particolare in occasione di intense e prolungate piogge sul bacino<br />

imbrifero. Il dilavamento delle terre coltivate porta in mare anche vari inquinanti,<br />

soprattutto collegati con i concimi e i pesticidi. I rifiuti solidi sono abbondanti<br />

sui fondali situati in corrispondenza delle zone di maggiore sosta della nautica da<br />

diporto, o in relazione con le principali rotte della navigazione commerciale. In<br />

questo ultimo caso possono essere interessati anche i fondi batiali.<br />

L’inquinamento da idrocarburi è particolarmente deleterio per gli organismi che<br />

vivono nella zona di marea, perché queste sostanze tendono a rimanere almeno<br />

per un certo periodo in superficie e con il movimento del mare vengono<br />

distribuite sugli organismi. Talora lo strato di idrocarburi è così spesso ed esteso<br />

da bloccare gli scambi tra organismi e ambiente e quindi causare la morte.<br />

L’inquinamento da acque reflue riduce sostanzialmente la ricchezza specifica;<br />

briozoi, crostacei ed echinodermi risentono molto di più rispetto ai molluschi e ai<br />

policheti. Si assiste ad un aumento sostanziale delle specie a larga ripartizione<br />

ecologica e all’eliminazione quasi totale di alcuni gruppi tassonomici. Diminuiscono<br />

anche il numero degli individui e la biomassa, in particolare degli esemplari più<br />

grandi dell’epifauna. Viene inibito il processo di costruzione del coralligeno e<br />

favorito il processo di distruzione con l’aumento degli organismi biodistruttori.<br />

È noto che la presenza di ioni di ortofosfati impedisce la calcificazione. Si è<br />

visto, inoltre, che con l’aumentare dell’inquinamento la corallinacea a grande<br />

tallo Mesophyllum alternans viene sostituita da peissonneliacee che hanno<br />

una capacità di costruzione inferiore.<br />

127


128<br />

Distruzione meccanica, ancoraggi,<br />

esplosioni, scavi, sub. Molteplici sono<br />

le attività che possono contribuire alla<br />

distruzione meccanica del coralligeno<br />

e delle altre formazioni. Tralasciando<br />

per il momento gli attrezzi da pesca, si<br />

può dire che l’ancoraggio è oggi una<br />

delle maggiori cause del degrado delle<br />

biocenosi, dato il notevole incremento<br />

della nautica da diporto e l’aumento<br />

Reti su corallinacee<br />

delle frequentazioni delle zone di maggior<br />

pregio naturalistico, non solo nel periodo estivo, come le secche al largo.<br />

Ancor più gravi sono i danni causati dall’ancoraggio di grandi navi da crociera,<br />

commerciali, da guerra, che talora stazionano in zone costiere su fondali con<br />

Posidonia oceanica e/o formazioni di coralligeno. È urgente vietare gli ancoraggi<br />

in queste zone, ma per farlo occorre prima di tutto avere la cartografia<br />

delle biocenosi sensibili da riportare sulle carte nautiche.<br />

Gli scavi necessari per far passare tubazioni (acqua, idrocarburi, fogne) e cavi<br />

elettrici e telefonici portano a completa distruzione delle formazioni coralligene<br />

per tutto il tratto interessato e per una larghezza superiore allo scavo stesso.<br />

Nel limite del possibile bisognerebbe studiare dei percorsi che evitino il passaggio<br />

in corrispondenza di formazioni coralligene. Anche in questo caso è<br />

prioritaria la disponibilità di una buona cartografia delle biocenosi bentoniche.<br />

Danni gravi vengono provocati dall’uso di esplosivi. Il loro utilizzo a scopi di<br />

pesca illegale fortunatamente è ormai molto ridotto. Altra forma di distruzione<br />

è quella operata dagli acquariofili che usano staccare, non solo gorgonie e altri<br />

organismi vistosi, ma anche pezzi più o meno grandi delle concrezioni per portarli<br />

negli acquari dove la maggior parte degli organismi non sopravvive a lungo<br />

e quindi i pezzi chiamati in Liguria “grotto” o “roccia viva” devono essere<br />

periodicamente sostituiti. Ovviamente si tratta di una pratica illegale da evitare<br />

nel modo più assoluto.<br />

La frequentazione da parte di turisti e sub può causare distruzione meccanica<br />

delle biocenosi. I bagnanti che camminano sulle piattaforme a vermetidi o a<br />

corallinaceae, con il semplice calpestio possono distruggere le parti più delicate<br />

di tali formazioni. L’abrasione provocata dai sub riduce la presenza di<br />

specie erette o ne limita le dimensioni, favorendo le forme incrostanti o massive<br />

che sostituiscono quelle erette, articolate, foliose. Ad esempio, è stato possibile<br />

rilevare che in una zona dove l’immersione è vietata le colonie del grande<br />

e fragile briozoo Pentapora fascialis sono presenti in tutte le esposizioni,<br />

mentre in un’area limitrofa in cui l’immersione è permessa le colonie del briozoo<br />

sono presenti solo nei punti più riparati.<br />

Pesca. Indubbiamente la pesca è una delle attività umane che, condotta in<br />

modo non corretto, può essere particolarmente dannosa per il coralligeno; lo<br />

strascico illegale in particolare può essere in assoluto l’attività di pesca più<br />

negativa perché oltre alla distruzione meccanica dei bioconcrezionamenti del<br />

coralligeno o lo stravolgimento dei fondi a rodoliti, contribuisce all’intorbidamento<br />

delle acque (vedi effetti torbidità) e alla dispersione di specie aliene<br />

come Caulerpa taxifolia e C. racemosa (vedi a pag. 133).<br />

Come noto in Italia lo strascico viene effettuato utilizzando una rete a sacco<br />

più o meno conica, la cui bocca è tenuta aperta lateralmente da due bracci<br />

collegati a due divergenti o porte, e verticalmente da una serie di galleggianti<br />

in alto e da piombi o catene in basso. Questi ultimi, che costituiscono “lima<br />

da piombi”, hanno la funzione di tenere la rete aderente al fondo o addirittura<br />

di farla penetrare un po’ nel sedimento. I due divergenti della rete sono collegati<br />

al motopesca con cavi di acciaio (12-18 mm diametro) di lunghezza<br />

variabile in relazione alla profondità alla quale deve operare la rete (tali cavi<br />

non toccano il fondo se le operazioni sono corrette e normali). Le parti gravemente<br />

impattanti oltre alla rete sono la “lima da piombi” e soprattutto i divergenti,<br />

due strutture che possono arrivare a 100 kg di peso l’una, trainate ad<br />

una velocità di almeno 1-2 nodi. Non è difficile immaginare l’impatto catastrofico<br />

causato dal passaggio dei divergenti su tutte le comunità, siano esse<br />

coralligeno, rodoliti, briozoi, Cladocora, coralli bianchi. Per questi ultimi lo<br />

strascico è la principale causa di distruzione perché i pescatori passano vici-<br />

L’uso del “divergente” nella pesca a strascico causa ingenti danni alle biocostruzioni<br />

129


130<br />

Sarago maggiore (Diplodus sargus sargus)<br />

no ai banchi nonostante il pericolo di “afferratura” con la conseguente perdita<br />

parziale o totale dell’attrezzo.<br />

In Italia e nella UE lo strascico è vietato fino a 50 m di profondità entro le tre<br />

miglia dalla costa. È vietato l’uso di grosse catene e di ruote da inserire sull’imboccatura<br />

della rete e le maglie al sacco devono essere di almeno 40 mm<br />

di apertura. Purtroppo spesso tali norme non vengono rispettate.<br />

Le draghe e il rapido (tutte strutture robuste in ferro) vengono usate soprattutto<br />

in Adriatico settentrionale per la pesca dei molluschi e di pesci bentonici<br />

come sogliole e ghiozzi. Esse sono fortemente impattanti sulle comunità in<br />

particolare sulle formazioni organogene insediate su beachrock e tegnúe sulle<br />

quali o intorno alle quali vengono trainati nonostante il concreto rischio di perdita<br />

dell’attrezzo a causa dell’afferratura. Diverso e molto meno rovinoso è il<br />

tipo di danno provocato dai palamiti, anche se ugualmente deleterio anche<br />

perché questi attrezzi da pesca vengono utilizzati in aree dove non opera o<br />

non può operare lo strascico o altri gli attrezzi trainati.<br />

I palamiti di profondità i cui ami e/o lenze si impigliano negli organismi del fondo<br />

possono arrecare danni rompendo le biocostruzioni dei coralli bianchi, dei<br />

briozoi del coralligeno di piattaforma e di scogliera, tanto più che questi attrezzi<br />

possono essere usati anche dalla pesca sportiva. Quest’ultima utilizza diffusamente<br />

la lenza a mano o con canna. Quando l’amo o il piombo o il filo di<br />

nylon si impigliano in una gorgonia o in altri organismi fissi bentonici, al recupero<br />

della lenza, o il nylon si spezza, o il suo recupero determina il distacco<br />

parziale o totale dell’esemplare bentonico “agguantato”. Inoltre le lenze perse<br />

sul fondo creano grovigli di fili di nylon, che danneggiano e in alcuni casi possono<br />

uccidere gli organismi bentonici. Andando sott’acqua è frequente il rinvenimento<br />

di pezzi di lenze attaccate agli organismi insieme a piombi e ami.<br />

Tutti gli attrezzi di pesca che vengono a contatto con il fondo possono risultare<br />

distruttivi, anche le nasse e le reti da posta. Tra queste ultime è il tramaglio<br />

ad essere particolarmente impattante soprattutto quando è appesantito per<br />

toccare bene il fondo, ad esempio per pescare le aragoste. Per avere un’idea<br />

dell’impatto di questo tipo di attrezzo è sufficiente osservare nei porti i pescatori<br />

intenti a ripulire le reti che sono state utilizzate sul coralligeno, sulle rodoliti<br />

o altre formazioni. Si possono raccogliere pezzi delle concrezioni calcaree,<br />

gorgonie, briozoi, alghe, oltre a vari organismi non sessili quali gasteropodi,<br />

bivalvi, granchi, echinodermi, ecc., materiale che può essere utilizzato per gli<br />

studi e per la didattica.<br />

Oltre all’impatto sulle specie bentoniche sessili erette, l’intensa pesca porta<br />

alla rarefazione di specie ittiche quali la cernia (Epinephelus marginatus), i<br />

saraghi maggiore e pizzuto (Diplodus sargus sargus, D. puntazzo), il dentice<br />

(Dentex dentex). La pesca sportiva ha un ruolo importante, e talora maggiore<br />

di quella professionale, nel depauperamento di queste specie e nell’alterazio-<br />

131


132<br />

ne della struttura di popolazione soprattutto a causa della cattura di esemplari<br />

grandi e quindi adulti, con il cambiamento del rapporto sessi nelle specie<br />

nelle quali gli esemplari dei due sessi hanno taglie massime differenti o, come<br />

nel caso della cernia, quelli grandi sono solo maschi, poiché questa specie è<br />

ermafrodita proteroginica. Infatti nella cernia lo stesso esemplare arriva alla<br />

maturità femminile a partire dal raggiungimento della lunghezza di 40 cm e<br />

quella maschile generalmente a partire dagli 80 cm.<br />

I pescatori sportivi subacquei sono considerati i maggiori responsabili del<br />

depauperamento delle specie sopra riportate anche perché spesso non<br />

rispettano le norme che impongono che la pesca sia fatta solo in apnea e che<br />

non venga superato il limite in peso della cattura giornaliera.<br />

Gli effetti particolarmente dannosi della pesca subacquea su determinate specie<br />

ittiche sono chiaramente dimostrati dal rapido recupero delle popolazioni<br />

delle specie sopra menzionate verificato in molte aree marine protette italiane<br />

dove questo tipo di pesca è l’unico vietato nelle zone B e C.<br />

La raccolta delle patelle e di altri molluschi nella zona di marea dove esistono<br />

piattaforme a vermetidi e/o corallinacee può danneggiare tali formazioni a<br />

causa del calpestio o di altra azione meccanica. Molti dei cosiddetti trottoir<br />

(marciapiedi) a Lithophyllum lichenoides sono stati completamente distrutti<br />

per il calpestio o per l’attracco da parte di piccole imbarcazioni.<br />

Occorre ricordare attrezzi fortemente distruttivi come la croce di Sant’Andrea<br />

e l’ingegno, inventati per raccogliere il corallo rosso.<br />

Dentice (Dentex dentex)<br />

Specie aliene invasive. Delle 170<br />

specie alloctone segnalate nei mari italiani<br />

di cui 35 macrofite, solo poche<br />

specie algali sono state segnalate nel<br />

coralligeno e almeno tre sono fortemente<br />

invasive.<br />

La più nota è l’alga verde Caulerpa<br />

taxifolia impropriamente chiamata alga<br />

killer e oggetto di vivaci discussioni e<br />

persino polemiche tra i ricercatori.<br />

Questa alga ha colonizzato ampi tratti<br />

dei fondali italiani destando serie<br />

preoccupazioni per la rapidità di<br />

espansione, tanto più che in Mediterraneo<br />

non si riproduce sessualmente.<br />

In alcune zone della Francia e dell’Italia<br />

ha invaso il coralligeno in modo consistente.<br />

Notevoli preoccupazioni desta Caulerpa racemosa var. cylindracea<br />

anche l’altra Caulerpa alloctona, C.<br />

racemosa var. cylindracea, che ha raggiunto capacità invasive molto maggiori<br />

di quelle di C. taxifolia e sono evidenti i suoi danni su molte formazioni del<br />

coralligeno.<br />

La specie più dannosa per il coralligeno è la piccola alga rossa Womersleyella<br />

(Polysiphonia) setacea ormai presente in gran parte del Mediterraneo<br />

e ben sviluppata nel coralligeno ove forma un fitto tappeto di 1-2 cm di<br />

spessore che copre gli organismi del coralligeno e le alghe concrezionanti in<br />

particolare (Mesophyllum alternans, Lithophyllum cabiochae e altre) danneggiando<br />

il loro metabolismo. Infatti il menzionato tappeto riduce la luce che<br />

arriva alle corallinacee le quali diminuiscono la fotosintesi e l’accrescimento.<br />

La ragnatela di filamenti dell’alga rossa alloctona contribuisce all’intrappolamento<br />

del sedimento coprendo ulteriormente gli organismi del coralligeno,<br />

esclude l’attecchimento di altre alghe e in particolare impedisce l’insediamento<br />

sia delle alghe calcaree che degli animali del coralligeno. Avendo la<br />

possibilità di permanere nel tempo, i danni provocati alla comunità del coralligeno<br />

sono enormi. Sarebbe necessario un vorace erbivoro che la tenesse<br />

sotto controllo.<br />

Nel coralligeno sono state trovate altre tre alghe alloctone che formano dei<br />

feltri insieme o senza Womersleyella. Tra queste Acrothamnion preissii che<br />

non ha finora creato problemi pur spingendosi in acque profonde. È stata trovata<br />

soprattutto sui fondi a maërl, ma anche sulle formazioni coralligene di<br />

piattaforma nell’Arcipelago toscano.<br />

133


134<br />

Gorgonie<br />

■ Distribuzione geografica<br />

La distribuzione nel Mediterraneo è<br />

abbastanza sconosciuta nel senso che<br />

ci sono aree in cui, soprattutto negli<br />

ultimi decenni, ci sono stati studi<br />

abbastanza diffusi, altre sono completamente<br />

sconosciute, anche se questo<br />

succede pure per molte altre biocenosi<br />

del Mediterraneo.<br />

Per l’Adriatico, esistono alcuni lavori<br />

per le coste dell’ex-Jugoslavia e di<br />

alcune isole del bacino meridionale,<br />

mentre un contributo abbastanza consistente<br />

è stato dato in anni passati e<br />

recentemente per quanto riguarda il<br />

coralligeno adriatico, dalla zona del<br />

Conero alla costa di fronte a Bari, alla Coralligeno al largo dell’Isola d’Elba (Toscana)<br />

penisola salentina.<br />

Diversi lavori hanno riguardato la Sicilia e gli arcipelaghi delle Eolie, Pelagie,<br />

Egadi e Ustica. Risalendo la penisola, mentre la Calabria e la Basilicata sono<br />

poco conosciute, la zona di Capo Palinuro, il Golfo di Napoli e le isole di Capri<br />

e Ischia e la penisola sorrentina, soprattutto per quanto riguarda il coralligeno<br />

di grotta semioscura, hanno avuto un interesse abbastanza approfondito.<br />

Conoscenze abbastanza ampie per quanto riguarda la flora e il corallo rosso,<br />

esistono lungo le coste e l’Arcipelago toscano. In Liguria i ricercatori hanno<br />

dato un contributo notevole per quanto riguarda la conoscenza delle frazione<br />

a briozoi, celenterati e spugne del Golfo di La Spezia e del promontorio di<br />

Portofino e di altre aree della Liguria.<br />

Per quel che riguarda il Mediterraneo in generale, Si conosce poi abbastanza<br />

bene il coralligeno sia della costa marsigliese che delle isole antistanti compreso<br />

il Parco Marino di Port Cros e alcune aree della Corsica. Il contributo<br />

spagnolo sia lungo la costa catalana, le Isole Medes, le Baleari ma anche il<br />

Mare di Alboran è stato molto approfondito. Non bisogna poi dimenticare il<br />

lavoro fondamentale fatto, in più tempi successivi, per la zona di Banyuls sur<br />

Mer (Pirenei Orientali).<br />

Importanza economica. Tutte le biocostruzioni, e in particolare il coralligeno,<br />

rivestono una enorme importanza in termini di biodiversità anche se ancora<br />

oggi risulta difficile fornire una quantificazione economica in termini monetari,<br />

a parte quanto già detto per lo sfruttamento del corallo rosso.<br />

135


136<br />

Metodi di rilevamento e cartografia<br />

Nei casi in cui è necessario un rilevamento<br />

rapido di un’ampia area della<br />

scogliera coralligena, come, ad esempio,<br />

per determinare i danni provocati da<br />

una tempesta, dall’attività umana o per<br />

stabilire i confini appropriati per un parco<br />

marino o nei rilevamenti preliminari per<br />

selezionare un’area di studio per programmi<br />

di monitoraggio a lungo termine,<br />

si possono utilizzare metodi indiretti<br />

come l’aerofotografia e i rilevamenti<br />

satellitari, a cui accenneremo successivamente<br />

o metodi di osservazione diretta<br />

come quelli qui di seguito elencati.<br />

Manta tow. Questa tecnica è molto utilizzata<br />

per monitorare i cambiamenti a<br />

grande scala nel ricoprimento delle scogliere<br />

provocati da cicloni, coral bleaching<br />

e attacchi di Acanthaster planci.<br />

Sebbene non esista una metodologia<br />

standard per questo metodo di rilevamento,<br />

in genere lo snorkeler effettua il<br />

rilevamento trainato sopra il reef agganciandosi<br />

con le mani ad una piccola<br />

tavola (40x60 cm) attaccata a una imbarcazione<br />

che si arresta ogni 2 minuti in<br />

modo da consentire all’osservatore di<br />

registrare i dati su una lavagnetta presen-<br />

Quadrettaura per il conteggio di individui<br />

te sulla tavola (solitamente si effettua una<br />

stima della percentuale di copertura del<br />

substrato). Questi metodi utilizzati spesso<br />

in acque tropicali, sono stati utilizzati<br />

anche in Mediterraneo per individuare<br />

aree da studiare successivamente in dettaglio<br />

o per localizzare secche o porzioni<br />

di fondale da indagare con metodi in<br />

immersione subacquea così come si è<br />

usato spesso lo scooter subacqueo.<br />

Quadrati. Sono usati per campionamenti<br />

in tutti i rami dell’ecologia e molti<br />

approcci sono possibili. Questo metodo<br />

consiste nel posizionare una cornice di<br />

forma quadrata sul substrato e nel rilevare<br />

gli organismi sessili che si vengono<br />

a trovare all’ interno.<br />

Con l’impiego del quadrato possono<br />

essere effettuati il conteggio degli individui<br />

(densità per m 2); la stima del ricoprimento<br />

percentuale; la valutazioni di frequenza<br />

o la presenza/assenza. La stima<br />

visiva di ricoprimento percentuale è un<br />

metodo molto utilizzato in ambiente<br />

marino e diversi studi hanno dimostrato<br />

che il campionamento visivo è molto<br />

robusto rispetto all’errore introdotto dall’operatore.<br />

In confronto alle altre tecni-<br />

che di campionamento quantitativo, i<br />

quadrati hanno il vantaggio che i dati<br />

vengono raccolti in modo relativamente<br />

rapido ed economico sul campo, e questo<br />

è importante nel caso si operi a<br />

profondità rilevante, mentre tra i principali<br />

svantaggi ci sono la difficoltà nel campionare<br />

strutture colonnari o dalla superficie<br />

particolarmente accidentata.<br />

Photo-quadrats. È una tecnica di rilevamento<br />

che consiste nel fotografare una<br />

superficie definita, solitamente delimitata<br />

da una cornice che funge da riquadratore.<br />

Oltre che allo scopo di documentazione,<br />

per lo studio di serie temporali, possono<br />

essere programmate serie cronofotografiche<br />

su postazioni fisse. È un<br />

buon metodo per i programmi di monitoraggio<br />

delle comunità bentoniche di substrato<br />

duro ma, sebbene fornisca informazioni<br />

accurate sulla copertura, l’analisi<br />

delle fotografie può richiedere molto tempo.<br />

Il metodo di campionamento fotografico<br />

presenta dei vantaggi (rapidità, mole<br />

di dati, metodo non distruttivo) e dei limiti<br />

(possibili inconvenienti tecnici, minore<br />

livello di risoluzione tassonomica, non<br />

consente l’analisi della componente criptica<br />

del popolamento).<br />

Transetti. Il transetto è una linea di riferimento<br />

di lunghezza definita che viene utilizzata<br />

come riferimento per effettuare il<br />

rilevamento visivo; nello studio del<br />

benthos marino la linea di riferimento<br />

consiste generalmente in una cima<br />

metrata posta sul fondo, lungo la quale si<br />

contano e/o misurano gli organismi al di<br />

sotto, o in una fascia di ampiezza definita<br />

ai due lati della linea stessa. I transetti<br />

perpendicolari alla costa (transetti di<br />

profondità) massimizzano la variabilità<br />

ambientale e sono adatti per studi bionomici<br />

mirati a descrivere la zonazione dei<br />

popolamenti, invece i transetti paralleli<br />

alla costa (a profondità costante) minimizzano<br />

la variabilità ambientale e consentono<br />

di studiare la composizione qualiquantitativa<br />

di un popolamento specifico.<br />

Francesco Cinelli<br />

Il metodo dei transetti ha il vantaggio di<br />

avere un basso costo e una buona rapidità<br />

di esecuzione, ma uno dei limiti dell’utilizzo<br />

sulle formazioni coralligene sta<br />

nel fatto che tendono a sottostimare il<br />

ricoprimento percentuale in aree eterogenee<br />

con scarsa copertura di organismi.<br />

Transetti video. Le tecniche di ripresa<br />

subacquea consentono di coprire velocemente<br />

ampie aree e i moderni sistemi<br />

di ripresa subacquea sono leggeri e<br />

compatti e possono essere gestiti anche<br />

da operatori senza bisogno di una<br />

eccessiva preparazione.<br />

In genere si usa una telecamera scafandrata<br />

montata su un supporto per mantenere<br />

l’angolo visivo perpendicolare al<br />

substrato e per facilitarne l’uso. L’obiettivo<br />

viene puntato direttamente sul fondale<br />

e mantenuto ad una distanza di 1-1,5<br />

m dal substrato mentre operatore e telecamera<br />

sono trainati lungo una linea di<br />

30 m da una imbarcazione alla velocità di<br />

circa 1 m/s. I dati vengono analizzati utilizzando<br />

il “VIPS” (Video Point Sampling)<br />

che permette all’operatore di fermare il<br />

nastro ad intervalli regolari o casuali ed è<br />

in grado di generare dei punti sul monitor<br />

in posizioni precise o casuali.<br />

Osservazione diretta in immersione. È<br />

un metodo sicuramente efficace e permette<br />

la realizzazione di mappe molto<br />

dettagliate (generalmente alla scala<br />

1:2000 o maggiore). È consigliabile per<br />

l’esame di aree ristrette; esso costituisce<br />

anche un valido e indispensabile aiuto<br />

nel caso di lavori di vaste proporzioni per<br />

“tarare” altri metodi come quello aerofotografico<br />

o ecografico, facendo ricorso a<br />

quelle che alcuni definiscono “immersioni<br />

di identificazione”.<br />

Nell’area da esaminare vengono effettuate<br />

osservazioni lungo diversi transetti<br />

più o meno distanziati tra loro. Il metodo<br />

dell’osservazione diretta da parte di operatori<br />

subacquei è sicuramente il più preciso<br />

in quanto non solo ogni biocenosi è<br />

identificata in situ, ma anche i più piccoli<br />

137


138<br />

Metodi di rilevamento e cartografia<br />

raggruppamenti di formazioni organogene<br />

possono essere rilevati e la loro localizzazione<br />

stimata con un errore dell’ordine<br />

di un metro.<br />

Infine l’immersione può essere effettuata<br />

a bordo di minisommergibili; questo<br />

mezzo è stato largamente utilizzato.<br />

Tra i metodi diretti sono da considerare<br />

anche quelli che si basano sull’utilizzo di<br />

strumenti ottici quali telecamere autopropulse,<br />

detti ROV (Remote operating<br />

vehicle). Questi sistemi comprendono<br />

un’unità subacquea che reca telecamera,<br />

illuminatori, sensori per rilevare<br />

profondità, temperatura, distanza dal<br />

fondo, una bussola e talvolta un sonar.<br />

L’unità subacquea è comandata in<br />

superficie da un natante di appoggio, sul<br />

quale un monitor consente la visione e la<br />

registrazione delle immagini riprese e il<br />

posizionamento. Anche in questo caso il<br />

sistema può sostituire i sommozzatori<br />

alle maggiori profondità. Molti dei “corallari”<br />

attualmente in attività in Sardegna<br />

adottano questo come sistema di localizzazione<br />

dei banchi di corallo rosso.<br />

ARV<br />

Tra i metodi indiretti si può citare soprattutto<br />

il sondaggio ecografico, la ripresa<br />

acustica e alcuni sistemi da aereo o da<br />

satellite che sono stati molto utilizzati<br />

soprattutto per lo studio dei limiti superiori<br />

delle praterie di Posidonia oceanica<br />

o di altre fanerogame marine, ma che<br />

possono trovare utile impiego anche per<br />

le concrezioni biogene superficiali come<br />

i trottoir a vermetidi o a Lithophyllum<br />

lichenoides.<br />

Metodi di sondaggio ecografico. Tali<br />

metodi utilizzano ecoscandagli ad alta o<br />

bassa frequenza del segnale. I primi<br />

sono quelli di uso comune che forniscono<br />

tracciati unidimensionali del fondo.<br />

L’ecografia a bassa frequenza si basa<br />

invece su ecoscandagli che emettono<br />

frequenze intorno ai 2,5 Khz.<br />

Metodi di ripresa acustica. Si basano<br />

sull’uso del sonar a scansione laterale<br />

(Side Scan Sonar). È il sistema di base<br />

della fisiografia acustica che viene definita<br />

come una tecnica che sostituisce la<br />

luce con il suono. Attraverso fonti acustiche<br />

appropriate si “illumina” il fondo<br />

obliquamente con impulsi sonori; questi<br />

vengono riflessi in modo diverso a<br />

seconda di ciò che colpiscono.<br />

Metodi di aerofotografia convenzionale.<br />

Le fotografie aeree permettono,<br />

con condizioni favorevoli del mare, una<br />

buona e rapida localizzazione per la<br />

mappatura delle biocenosi bentoniche.<br />

Adeguatamente utilizzato, permette di<br />

ottenere carte piuttosto precise che consentono<br />

un’efficace monitoraggio dell’evoluzione<br />

delle porzioni superficiali delle<br />

biocenosi, anche se non si annullano<br />

completamente i problemi di fotointerpretazione.<br />

Metodi di teledetezione aerotrasportata<br />

A.R.S. (Airborne Remote Sensing).<br />

La mappatura delle popolazioni<br />

bentoniche in aree con limitata profondità<br />

e sufficiente trasparenza, può avvalersi<br />

di sensori remoti trasportati su<br />

aereo e/o fotocamere analogiche o digi-<br />

tali. Nel caso in cui si voglia procedere<br />

alla sola determinazione delle concrezioni<br />

più superficiali, l’utilizzazione di una<br />

immagine fotografica, possibilmente a<br />

colori, e con risoluzione spaziale di qualche<br />

metro (2-4), è generalmente sufficiente<br />

allo scopo. Si tratterà di procedere<br />

all’applicazione di opportune tecniche<br />

di filtraggio numerico su base logaritmica,<br />

attraverso cui mettere in evidenza il<br />

limite superiore, da digitalizzare.<br />

GIS (Geographic Information System)<br />

o Sistema Informativo Geografico.<br />

Dato che l’espansione della popolazione<br />

umana ha come conseguenza un sempre<br />

maggiore incremento della pressione<br />

antropica sui sistemi naturali, sono<br />

necessari per una conservazione di questi<br />

sistemi dei mezzi sempre più avanzati<br />

e mirati. Le discipline biologiche e<br />

matematiche non sono in grado, da sole,<br />

di mettere insieme e verificare questi<br />

cambiamenti. Anche l’informatica non è<br />

in grado di risolvere, da sola, questi problemi.<br />

Quello che è necessario è un<br />

sistema integrato come appunto quello<br />

Operatori subacquei impegnati nel rilevamento di un trasnetto<br />

Francesco Cinelli<br />

che viene definito Sistema Informativo<br />

Geografico (GIS).<br />

Il sistema GIS è un sistema che permette<br />

di integrare, in una piattaforma informatica,<br />

tutta la mole di dati che provengono<br />

dai differenti sistemi di rilevamento<br />

elencati qui sopra. Ma non solo. Esso è<br />

un sistema combinato di teorie integrative,<br />

di procedure scientifiche e di mezzi<br />

informatici capaci di condurre la vasta<br />

diversità delle informazioni in una forma<br />

“maneggevole”. La tecnologia GIS fornisce<br />

una soluzione adeguata integrando<br />

approcci teorici dalla geografia e dall’ecologia<br />

con un potente “data base” spaziale<br />

e con funzioni statistiche. Nello<br />

stesso modo in cui la legge di Newton<br />

ha dato modo alla fisica meccanica classica<br />

di diventare più predittiva, si può<br />

ritenere che il GIS diventerà il sistema di<br />

rottura che permetterà alle scienze ecologiche<br />

di diventare più predittive, rigorose<br />

e direttamente integrate in tutte le<br />

decisioni che vengano prese a livello<br />

politico, sociale o della gestione delle<br />

risorse naturali.<br />

139


140<br />

■ Proposte gestionali<br />

Vista la straordinaria importanza di un simile ecosistema, è lecito chiedersi se<br />

non sia auspicabile mettere in atto sistemi di sorveglianza adeguati alla sua conservazione<br />

e tutela. Prima di tutto bisogna tener conto della relativa scarsità di<br />

conoscenze e dell’esistenza di un marcato gap conoscitivo tra il bacino occidentale<br />

e quello orientale del Mediterraneo. Su questa base è difficile poter suggerire<br />

specifiche tecniche di sorveglianza se non quelle che vengono adottate<br />

comunque nelle aree marine protette per quanto riguarda, ad esempio, le praterie<br />

di Posidonia oceanica o altri tipi di biocenosi di particolare pregio.<br />

Si è individuato in maniera abbastanza precisa quali siano i pericoli a cui questo<br />

tipo di <strong>habitat</strong> va incontro ed è pertanto relativamente semplice predisporre<br />

piani di sorveglianza che permettano il mantenimento di questo patrimonio<br />

sottomarino. È necessario infatti:<br />

1. evitare lo sversamento in aree adiacenti alle formazioni coralligene degli<br />

effluenti di sistemi di depurazione che possano incrementare la concentrazione<br />

di nutrienti, provocare variazione della torbidità e dissalazione delle acque;<br />

2. evitare la pesca con sistemi distruttivi come lo strascico sia sopra le formazioni<br />

coralligene che nelle immediate vicinanze: oltre al danno meccanico<br />

diretto vi è quello indiretto provocato dal sollevamento di sedimenti fini nella<br />

colonna d’acqua che determina danni secondari dovuti all’intorbidamento dell’acqua<br />

o all’intasamento dei sistemi di filtrazione di molti organismi filtratori<br />

Pesca subacqua<br />

attivi e passivi. In alcune aree del Mediterraneo sono stati messi in atto sistemi<br />

di protezione passiva, come le barriere artificiali per evitare il passaggio di<br />

questo tipo di rete sul fondo;<br />

3. evitare la pesca con reti da posta nelle immediate vicinanze di formazioni<br />

coralligene. Molto spesso lo spostamento di queste reti, dovuto alle correnti, fa<br />

sì che si incaglino attorno alle biocostruzioni non consentendone il recupero,<br />

creando un danno molto grave direttamente proporzionale al tempo di permanenza<br />

di questi sistemi sul coralligeno. Sono noti più casi di interventi da parte<br />

di sommozzatori per liberare falesie coralligene da questo tipo di “sudario”;<br />

4. evitare il ripascimento costiero in aree prossime a fondi coralligeni così<br />

come qualsiasi tipo di costruzione in mare (porti turistici, moli, dighe o impianti<br />

di rigassificazione di gas liquefatto);<br />

5. evitare la piccola pesca costiera e quella sportiva atta al prelievo di specie ad<br />

alto valore naturalistico o i cui stocks siano al limite delle possibilità di prelievo;<br />

6. evitare le attività subacquee indiscriminate senza le dovute cautele, tra l’altro<br />

ormai adottate nella maggior parte delle Riserve marine, e il prelievo di<br />

qualsiasi organismo vivo o morto: non toccare gli organismi e non disturbarli,<br />

non appoggiare mani o pinne sugli organismi, né sorreggersi agli organismi<br />

sessili come le grandi gorgonie;<br />

7. sensibilizzare con qualsiasi sistema sia il pubblico generico ma anche diving<br />

e studenti sull’importanza della conservazione di tale patrimonio;<br />

8. porre regole certe per introduzione e commercializzazione di specie aliene.<br />

Reti incagliate su biocostruzioni<br />

141


Proposte didattiche<br />

GUIDO BRESSAN · GIUSEPPE GIACCONE · GIULIO RELINI<br />

■ Schema sintetico<br />

● Obiettivi: acquisizione dei concetti di<br />

formazione organogena attraverso<br />

meccanismi di epibiosi, stratificazione,<br />

saldature, fusioni, gregarismo, colonialismo;<br />

di organismi biocostruttori, biodemolitori,<br />

filtratori, detritivori, strutturanti<br />

gli <strong>habitat</strong>; di fissazione del carbonio<br />

contenuto nell’atmosfera e<br />

disciolto nell’acqua di mare con effetti<br />

sulla concentrazione di anidride carbo-<br />

Briozoi e la spugna Clathrina coriacea<br />

Particolare del corallo bianco Madrepora oculta<br />

con l’anellide Eunice norvegica<br />

nica e sui cambiamenti climatici; di mineralizzazione della parete cellulare nei<br />

vegetali e/o dell’esoscheletro negli animali; di morte, frammentazione in granuli<br />

di sedimento e/o seppellimento e fossilizzazione dei resti calcarei più o<br />

meno completi; concetto di paesaggio marino biocostruito con conseguenze<br />

positive sulla biodiversità degli <strong>habitat</strong> e delle specie. Presentazione generale<br />

delle biocostruzioni monumentali del Mediterraneo: le piattaforme calcaree<br />

superficiali ad alghe rosse corallinacee e a molluschi sedentari vermetidi; le<br />

formazioni arancione del madreporario Astroides calycularis e le costruzioni<br />

monumentali del madreporario zooxantellato Cladocora caespitosa; le costruzioni<br />

in profondità di complesse e variegate biocenosi del coralligeno, dei letti<br />

a rodoliti, delle facies a gorgonie e a briozoi, dei grandi coralli bianchi.<br />

Nel trattare il tema delle biocostruzioni marine si suggerisce di introdurre preliminarmente<br />

l’argomento più generale sulla capacità degli organismi viventi di<br />

modificare o anche di costruire il proprio <strong>habitat</strong> sia per renderlo vivibile e abitabile<br />

per il popolamento della propria specie sia per contribuire con altre specie<br />

a formare comunità viventi, cioè biocenosi, per massimizzare l’uso condiviso<br />

delle risorse energetiche dell’ambiente chimico-fisico e delle catene trofiche<br />

delle componenti biologiche. Anche l’uomo costruisce le città e trasforma<br />

i territori per l’agricoltura, l’allevamento, l’industria, il trasporto. Tutte le costruzioni<br />

sia antropiche sia degli altri organismi tengono conto: dei fattori ambientali<br />

locali e si differenziano per rispondere alle loro facilitazioni, ma anche per<br />

resistere alla loro forza demolitrice; delle comunità di organismi che le utilizza-<br />

143


no e quindi possono trasformarle in senso positivo di sviluppo sostenibile, ma<br />

bordate da piattaforme ad alghe corallinacee<br />

e a molluschi vermetidi, facendo<br />

attenzione a non calpestare le formazioni<br />

e a non prelevare campioni<br />

per non distruggere la formazione e<br />

per non innescare fenomeni di instabilità<br />

nella biocostruzione; porti con barche<br />

dedite alla piccola pesca e che<br />

usano pulire sulle banchine le reti da<br />

posta nelle quali spesso si impigliano<br />

Il mollusco Platydoris argo<br />

pezzi di formazioni organogene o di<br />

organismi costruttori. Si può chiedere<br />

ai pescatori di mettere da parte in contenitori<br />

che si forniscono loro, questi<br />

eventuali reperti raccolti nella fase di<br />

salpare a bordo le reti, per poi andarli a<br />

riprendere nelle ore di ritorno dalla<br />

pesca, per fissarli freschi in alcool o in<br />

acqua di mare con il 4% di formalina,<br />

in vista di una loro osservazione al<br />

binoculare in laboratorio; acquari mari- Uova di Platydoris argo<br />

ni, musei del mare e/o di scienze naturali,<br />

di paleontologia, di botanica che espongano insiemi di organismi biocostruttori<br />

o esemplari di organismi marini calcarei; - chiedere ai circoli subacquei<br />

copie di foto o di filmati di ambienti marini biocostruiti da raccogliere in<br />

CD o in DVD.<br />

● Attrezzature: materiale bibliografico e iconografico (già reperibile nei capitoli<br />

precedenti), redazione in classe e in laboratorio di schede diagnostiche e<br />

illustrative preparate insieme agli alunni relative non soltanto alle specie di<br />

alghe rosse corallinacee (raffigurate alle pagg. 147-149), ma anche alle specie<br />

dei principali animali che costruiscono le formazioni organogene (molluschi,<br />

policheti, briozoi, antozoi). Proiezione di documentari sulle aree marine protette<br />

(disponibili presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del<br />

Mare) e consultazione di siti web come quello del Dipartimento di Botanica<br />

dell’Università di Catania, creato per <strong>habitat</strong> e paesaggi, caratterizzati da<br />

vegetazione marina: www.dipbot.unict.it/frame/vegetazionemarina.htm (sempre<br />

in questo sito, ma digitando: www.dipbot.unict.it/algologico/cercataxonp.aspx,<br />

si possono vedere gli esemplari, in fogli di erbario o in contenitori<br />

in plastica, presi allo scanner, delle alghe calcaree corallinacee, udoteacee e<br />

peissonneliacee che si vogliono consultare o mostrare agli alunni; si raccomanda,<br />

infine, di consultare per queste stesse specie di alghe calcaree il sito<br />

144 145<br />

anche in senso negativo di degrado, di sviluppo non sostenibile e di distruzione.<br />

Si faccia capire che le montagne e le colline con rocce calcaree che formano<br />

buona parte del paesaggio emerso sono state costruite dagli organismi<br />

marini biocostruttori o direttamente con i propri resti fossilizzati o indirettamente<br />

con i sedimenti da questi prodotti. Si consiglia di introdurre la realtà<br />

relazionale di paesaggio terrestre e marino e di spiegare che questo è il risultato<br />

di un equilibrio dinamico tra le varie componenti a partire dalla situazione<br />

iniziale (geologia, mineralogia, geomorfologia), dalla tipologia delle fasi e della<br />

durata delle biocostruzioni, dall’interferenza degli eventi geodinamici e climatologici,<br />

dagli effetti nel tempo e nello spazio dell’azione degli utilizzatori della<br />

biocostruzione.<br />

Tutte queste tematiche sono presentate nei capitoli precedenti, ai quali si<br />

rimanda per una lettura di approfondimento e per una sufficiente documentazione<br />

grafica e fotografica in vista del contenuto che si vuole dare alle lezioni<br />

da fare agli alunni.<br />

● Livello: alunni dell’ultimo anno delle Scuole Medie superiori; con semplificazione<br />

degli argomenti (biocostruzioni nelle piattaforme calcaree in ambienti<br />

marini superficiali, processo di mineralizzazione dei carbonati e di fossilizzazione<br />

delle biocostruzioni nelle formazioni calcaree del paesaggio emerso)<br />

anche alunni delle altre classi e dell’ultimo anno delle Scuole Medie inferiori.<br />

● Località da visitare e materiali da raccogliere: coste rocciose con scogliere<br />

Ficopomatus enigmaticus


146<br />

web dell’Erbario del Dipartimento di Biologia dell’Università di Trieste (http://<br />

dbiodbs.univ.trieste.it/Algario/algarit.html).<br />

Per le escursioni sulle banchine dei porti pescherecci o sulle coste, bisogna fornirsi<br />

di sacchetti di plastica trasparente e robusta per riporre i campioni di piante<br />

e di animali raccolti nelle maglie delle reti o sulla riva; per le forme più delicate<br />

si devono utilizzare barattoli di plastica o scatolette di cartone. Per documentare<br />

le piattaforme a corallinacee e a vermetidi è bene utilizzare una macchina<br />

fotografica digitale. In laboratorio è necessario fornirsi di scatole e/o barattoli di<br />

plastica trasparente di varie dimensioni per conservare, dopo un periodo di<br />

essiccazione all’aria sul davanzale di una finestra, le specie di alghe e di animali<br />

calcarei o comunque con esoscheletro: i campioni per alcune settimane hanno<br />

odore sgradevole e quindi si consiglia di tenerli all’aria aperta lontano dai<br />

luoghi frequentati e magari di spruzzarli con spray profumati. Tutti i campioni<br />

devono avere le etichette con il nome dell’organismo, la località e il giorno della<br />

raccolta. Per le escursioni è bene dotarsi di lenti di ingrandimento mentre per il<br />

laboratorio bisogna avere in dotazione alcuni microscopi binoculari a luce riflessa<br />

con la solita dotazione di pinzette e di aghi per microscopia ottica.<br />

● Collaborazioni: si consiglia di coinvolgere nell’attività didattica sulla costa il<br />

personale di una Area Marina Protetta, di associazioni ambientaliste che si<br />

occupano del mare, di fotografi e di documentaristi subacquei, di circoli<br />

subacquei aperti all’educazione ambientale e ove è possibile anche di studenti<br />

e docenti universitari esperti o informati in biologia ed ecologia marine.<br />

Halimeda tuna con gorgonie<br />

Alghe calcaree costruttrici<br />

a1) esempi di “elettività morfo-funzionali”:<br />

Guido Bressan<br />

Per ritornare al tema dei suggerimenti didattici concreti, “pratici”, che riguardano<br />

la componente vegetale delle formazioni organogene oggetto della lezione, si<br />

possono presentare qui di seguito alcuni esempi relativi ad alghe calcaree<br />

costruttrici della biocenosi del coralligeno, dei letti a rodoliti, delle piattaforme<br />

superficiali a corallinacee e delle cornici superficiali.<br />

a) proposte particolari, relative alle singole specie con osservazioni al microscopio<br />

a luce riflessa<br />

b) proposte generali come osservazioni a più ampia scala con documentari e filmati<br />

sulle biocostruzioni marine.<br />

Lithophyllum stictaeforme, tallo fogliaceo,<br />

estremamente elegante. Anche in questo caso la<br />

struttura laminare-fogliacea è da mettere in relazione<br />

con la presenza di un idrodinamismo atto a garantire<br />

un boundary layer, cioè uno strato idrico avvolgente,<br />

ottimale. Se l’energia però è troppo forte il tallo<br />

assume una forma priva di lamelle.<br />

Mesophyllum lichenoides, tallo fogliaceo ad<br />

accrescimento periferico, in cui si nota: la<br />

pigmentazione più scura e il maggior numero di<br />

concettacoli, sotto forma di verruche verso il centro<br />

della lamina dove le cellule sono più mature. Una<br />

pigmentazione più pallida alla periferia dove le cellule<br />

sono più giovani e l’orlo biancastro, per la calcificazione<br />

ancora incompleta. La forma fogliacea del tallo sembra<br />

più adatta a garantire il ricambio superficiale (anaboliti<br />

vs cataboliti) del tallo.<br />

Lithophyllum (= Titanoderma) trochanter, talli costituiti<br />

da piccoli pulvini emisferici, saldati al substrato solo in<br />

qualche punto per cui possono essere staccati<br />

piuttosto facilmente. Vive bene quando i pulvini si<br />

saldano tra loro. Questa specie relativamente rara,<br />

elegante, per la sua bellezza è oggetto di collezione<br />

indiscriminata, quindi va considerata “specie<br />

minacciata di estinzione”. La struttura costituita da rami<br />

più o meno densamente intricati, facilita la formazione<br />

di micro-biocenosi interstiziali, strutturalmente<br />

complesse, da approfondire il laboratorio.<br />

Lithophyllum (= Titanoderma) ramosissimum, pulvino<br />

emisferico simile a L. trochanter, costituito da un<br />

intreccio di rami con estremità distali dotate di anuli di<br />

accrescimento.<br />

Questi anuli ben evidenti testimoniano un periodismo<br />

metabolico con fasi successive di sviluppo, di<br />

accrescimento e di differenziamento più o meno rapide,<br />

non databili (!). In questi talli il fenomeno<br />

dell’esfoliazione degli strati superficiali (epitallici) è<br />

relativamente comune, ma ben osservabile solo al<br />

microscopio elettronico a scansione.<br />

147


148<br />

Alghe calcaree costruttrici<br />

Lithothamnion minervae, Rodolite provvista di numerose<br />

escrescenze più o meno bitorzolute, talvolta ramificate<br />

irregolarmente. I concettacoli, simili a verruche, sono<br />

portati in questa specie (e poche altre) alle estremità distali<br />

del tallo dove si addensano, prominenti, quasi a garantire<br />

con la posizione eminente una migliore disseminazione del<br />

loro contenuto (spore o gameti) per la propagazione -<br />

perpetuazione della specie.<br />

Corallina elongata, tallo cespuglioso ramificato, costituito<br />

da articoli calcificati (intergenicola), rigidi, e da “snodi” non<br />

calcificati (genicola), non rigidi, formati da cellule oblunghe<br />

deputate all’articolazione del tallo che, così strutturato,<br />

risulta flessibile alla pressione idrodinamica laterale.<br />

Contrariamente alle alghe rosse incrostanti che hanno un<br />

portamento prostrato, queste specie (Corallinales<br />

Articolatae) hanno un portamento sempre eretto.<br />

Corallina elongata, tallo vivo, ma privo di calcificazione.<br />

Nella foto accanto, si notano concettacoli maturi che sotto<br />

forma di piccole urne mostrano per trasparenza il loro<br />

contenuto (spore?). Il tallo non calcificato è raro in natura,<br />

di solito è un segnale di ambiente alterato per presenza di<br />

ortofosfati che limitano o impediscono la calcificazione<br />

delle pareti cellulari. Questo fenomeno è riproducibile in<br />

coltura di laboratorio.<br />

a2) esempi di presenza di “adattamenti meccanomorfici”<br />

nelle alghe rosse calcaree.<br />

Corallina officinalis è costituita, come tutte le Articolatae,<br />

da articoli ramificati, con proporzioni “ridotte” del tallo e<br />

“brevi” degli articoli che la costituiscono (solitamente<br />

longilinei ed eleganti). Questo adattamento<br />

meccanomorfico è atto a sopportare l’energia dei frangenti<br />

che caratterizzano i biotopi in cui questa specie vive<br />

solitamente esposta.<br />

Lithophyllum (Titanoderma) trochanter è costituito da<br />

escrescenze cilindriche, talvolta ramificate dicotomicamente,<br />

che generano un pulvino emisferico a portamento<br />

cespuglioso. Questa specie ben si presta a testimoniare la<br />

direzione e l’intensità della corrente attraverso l’assunzione di<br />

una data forma: le escrescenze infatti possono presentarsi<br />

“compresse”, ridotte (se sottoposte a pressione, a sinistra<br />

della foto) o “allungate” in condizioni di calma, come nelle<br />

parti che nella figura risultano più intensamente pigmentate.<br />

Lithophyllum racemus tallo costituito da escrescenze<br />

bitorzolute che si dipartono da una zona centrale, qui su<br />

substrato detritico; questa rodolite assume spesso una<br />

forma relativamente regolare a bolla, a testimonianza del<br />

fatto che è tanto più subsferica quanto più l’energia di<br />

fondo contribuisce a farla rotolare regolarmente. Lo<br />

sviluppo, accrescimento e differenziamento cellulare nella<br />

porzione di tallo più esposta alla luce contribuiscono a<br />

facilitare il rotolamento nel tempo, fino al ristabilirsi di un<br />

nuovo baricentro.<br />

Rodoliti boxwork costituiti da un nucleo minerale e dalla<br />

sovrapposizione periferica di almeno due specie di<br />

corallinali. Le lamine nella foto appartengono a<br />

Lithophyllum dentatum che può vivere nelle forme libere in<br />

ambiente caratterizzato da forte energia di fondo atta a<br />

garantire un frequente rotolamento.<br />

Neogoniolithon brassica-florida è una specie epilitica,<br />

euriecia, cioè con ampia valenza ecologica, in grado di<br />

insinuarsi negli interstizi di altre alghe calcaree e/o animali<br />

(ad es. molluschi vermetidi del genere Dendropoma)<br />

fungendo da cementante (come si può notare nella foto<br />

accanto). Mentre nel Mediterraneo questa specie<br />

contribuisce alla formazione del marciapiede (o trottoir)<br />

del mediolitorale, nei mari caldi, assieme ad altre corallinali<br />

contribuisce alla “cementazione” delle barriere coralline o<br />

coral reef.<br />

b) suddivisione in piani bionomici<br />

Guido Bressan<br />

Marciapiede (trottoir) a Lithophyllum byssoides: è un facile<br />

esempio fruibile su cui, a livello di marea, si nota l’ampiezza<br />

del sopralitorale, dove è garantita una umettazione<br />

occasionale, ma sufficiente, frequente, ma non costante,<br />

dovuta alle onde. L’ampiezza di questo piano bionomico,<br />

segnata dalla presenza-sopravvivenza di cianoficee<br />

endolitiche, corrisponde allo spazio verticale che intercorre<br />

tra il limite superiore, dove la fascia grigia si estingue e il<br />

limite inferiore dove compare il trottoir e inizia il mediolitorale.<br />

Vi sono molti altri esempi sulla distribuzione della pigmentazione in funzione della elettività<br />

alla luce delle specie (fotofilia; sciafilia), sulla distribuzione batimetrica rispetto al<br />

flusso radiante, sul fotoadattamento, sulla vitalità, sull’eterogeneità dei colori (tavolozza<br />

naturale), sulle pigmentazioni (che invitano a considerare la biodiversità non solo<br />

come strutturale, ma anche come funzionale, dove la molteplicità dei pigmenti fotosintetici<br />

e accessori garantiscono tutta una modularità di acquisizione dell’energia<br />

luminosa), sulle singole specie in rapporto diretto con la ricchezza dei popolamenti nei<br />

vari ambienti: più l’ambiente risulta eterogeneo, più è probabile che il “flusso radiante”<br />

sia pienamente acquisito in tutte le sue componenti, altrimenti dissipate.<br />

149


Bibliografia<br />

BALLESTEROS E., 2006 - Mediterranean coralligenous assemblages: a synthesis of present knowledge.<br />

Oceanography and Marine Biology: an Annual Review, 44: 123-195.<br />

La più recente sintesi delle conoscenze sul coralligeno in Mediterraneo (in inglese).<br />

BRESSAN G., BABBINI L., 2003 - Biodiversità marina delle coste italiane: Corallinales del Mar Mediterraneo:<br />

guida alla determinazione. Biologia Marina Mediterranea, 10 (suppl. 2): 1-237.<br />

Ottima guida con ricca iconografia anche a colori per il riconoscimento delle alghe corallinacee del Mediterraneo,<br />

vedi anche http://www2.units.it/ ∼ biologia/corallinales/index.htm<br />

BRESSAN G., BABBINI L., GHIRARDELLI L., BASSO D., 2001 - Bio-costruzione e bio-distruzione di Corallinales<br />

nel mar Mediterraneo. Biologia Marina Mediterranea, 8 (1): 131-174.<br />

È una rassegna delle conoscenze sulle varie tipologie di biocostruzioni in cui intervengono le Corallinales<br />

e sui processi di demolizione delle stesse costruzioni.<br />

CASELLATO S., STEFANON A., 2008 - Coralligenous <strong>habitat</strong> in the Northern Adraitic Sea: an overview. Marine<br />

Ecology an evolutionary perspective, 29 (3): 321-324.<br />

Una sintesi delle conoscenze sulle formazioni organogene dell’Alto Adriatico.<br />

CHEMELLO R., DIELE T., ANTONIOLI F., 2000 - Il ruolo dei “reef” a Molluschi vermetidi nella valutazione della<br />

biodiversità in Mare e Cambiamenti globali. <strong>Quaderni</strong> ICRAM, Roma: 105-118.<br />

Articolo in cui si evidenzia come le formazioni a Vermetidi che si sono formate nei secoli possono essere<br />

utilizzate non solo per descrivere la notevole biodiversità ma anche i cambiamenti climatici.<br />

CICOGNA F., CATTANEO-VIETTI R., 1994 - Il Corallo rosso in mediterraneo, arte storia e scienza. Ministero delle<br />

Risorse Agricole Alimentari e Forestali, Edizioni Gutenberg, Sorrento: 263 pp.<br />

CICOGNA F., BAVESTRELLO G., CATTANEO-VIETTI R., 1994 - Biologia e tutela del Corallo rosso e di altri ottocoralli<br />

del Mediterraneo. Ministero delle Risorse Agricole Alimentari e Forestali, Roma: 338 pp.<br />

Sono due importanti volumi in cui vengono trattati i vari aspetti collegati al corallo dall’arte alla normativa,<br />

dalla pesca alla scienza, ecologia e biologia.<br />

COSTA F., COSTA M., SAMPIETRO L., TURANO F., 2002 - Enciclopedia illustrata degli invertebrati marini. Arbitrio<br />

Editori, Scilla (RC): 239 pp.<br />

Ricca documentazione fotografica a colori dei principali invertebrati marini.<br />

FURNARI G., GIACCONE G., CORMACI M., ALONGI G., SERIO D., 2003 - Biodiversità marina delle coste italiane:<br />

catalogo del macrofitobenthos. Biologia Marina Mediterranea, 10 (1): 482 pp.<br />

Lista delle specie vegetali dei mari italiani con informazioni sulla loro distribuzione nelle diverse regioni.<br />

GAMBI M.C., DAPPIANO M. (a cura di), 2003 - Manuale di metodologie di campionamento e studio del<br />

benthos mediterraneo. Biologia Marina Mediterranea, Vol 10 (Suppl.).<br />

Manuale, pubblicato dalla SIBM in italiano ed in inglese, all’interno del quale sono rivisti i principali<br />

metodi di indagine del benthos cioè degli organismi che vivono in contatto con il substrato. In particolare<br />

si consigliano i capitoli: I fondi duri; Macrofitobenthos; Monitoraggio delle popolazioni animali<br />

naturali.<br />

GIACCONE G., 2007 - Il Coralligeno come paesaggio marino sommerso: distribuzione sulle coste italiane.<br />

Biologia Marina Mediterranea, 14 (2): 124-141.<br />

Relazione all’interno della quale il coralligeno viene esaminato sotto l’aspetto di paesaggio sommerso dei<br />

mari italiani.<br />

GIACCONE G., DI MARTINO V., 2002 - Past, present and future of vegetational diversity and assemblages on<br />

Mediterranean Sea. Proceedings of the first mediterranean Symposium on marine Vegetation. Ed.<br />

UNEP/RAC/SPA, Tunis: 34-59.<br />

Volume in inglese che descrive anche gli aspetti fitosociologici consultabile sul sito del RAC/SPA.<br />

LOUISY P., 2006 - Guida all’identificazione dei pesci marini d’Europa e del Mediterraneo. Il Castello ed.,<br />

432 pp.<br />

Una delle più recenti guide per il riconoscimento dei pesci marini, con ottime foto.<br />

151


152<br />

MINELLI A., LA POSTA S., RUFFO A., 1993-95 - Checklist delle specie della fauna italiana. Calderini, Bologna.<br />

Elenca tutte le specie note della fauna italiana, rendendo possibile l’uso di una nomenclatura corretta e<br />

unificata. Disponibile anche online all’indirizzo http://faunaitalia.it/checklist. L’aggiornamento per le specie<br />

marine è su: http://www.sibm.it/CHECKLIST/principalechecklist.htm.<br />

PONTI M., MESCALCHIN P., 2008 - Maraviglie sommerse delle Tegnue. Guida alla scoperta degli organismi<br />

marini. Editrice La Mandragora S.r.l.: 421 pp.<br />

Recentissimo volume riccamente illustrato con foto, disegni e cartine che descrive le formazioni coralligene<br />

dell’Alto Adriatico dette tegnúe e/o trezze. Vengono illustrate anche le singole componenti, cioè le<br />

specie che costituiscono tali comunità.<br />

PRONZATO R. (a cura di), 2000 - Il Corallo. L’oro rosso del Mediterraneo. Bollettino dei Musei e degli Istituti<br />

Biologici dell’Università di Genova, 64-65 (2000): 94 pp.<br />

Volumetto in cui vengono sintetizzate le principali conoscenze e problematiche sul corallo rosso ed il suo<br />

sfruttamento.<br />

RIEDL R., 1991 - Fauna e flora del Mediterraneo. Franco Muzzio Editore: 778 pp.<br />

Guida con molti disegni per l’identificazione delle principali specie marine del Mediterraneo.<br />

Glossario<br />

> Alloctona/aliena: specie di altre aree geografiche,<br />

introdotta accidentalmente o volutamente<br />

dall’uomo o migrata attraverso vie artificiali di<br />

comunicazione tra oceani e mari.<br />

> Associazione: aspetto permanente, detto<br />

anche facies, presentato da una biocenosi quando<br />

la predominanza locale di determinati fattori<br />

produce l’esuberanza di una o di un numero esiguo<br />

di specie (caratteristiche o preferenziali)<br />

soprattutto vegetali, legate tra loro da compatibilità<br />

ecologica (parametri di fattori ambientali) e da<br />

affinità corologica (distribuite nelle stesse regioni).<br />

> Autoctona: specie originaria dell’area geografica<br />

in cui vive o almeno presente in essa da lungo<br />

tempo e quindi naturalizzata. È il contrario di specie<br />

alloctona.<br />

> Benthos: insieme di organismi acquatici viventi<br />

a livello del substrato e/o legati ad esso da uno<br />

stretto rapporto di tipo funzionale.<br />

> Biocarsismo/bioerosione: fenomeno che presiede<br />

all’escavazione/erosione di rocce organogene<br />

o calcaree ad opera di organismi.<br />

> Biocenosi: insieme di organismi viventi, legati<br />

da rapporti di interdipendenza in un biotopo (area<br />

geografica) con caratteristiche dominanti omogenee;<br />

ogni biocenosi comprende fitocenosi (formate<br />

da vegetali) e zoocenosi (formate da animali).<br />

Le specie che caratterizzano una biocenosi sono<br />

statisticamente fedeli tra di loro e condividono i<br />

valori medi dei fattori ambientali (biotopo) e non<br />

sono necessariamente specie dominanti. Le<br />

nozioni di biocenosi e di associazione fitosociologica,<br />

hanno un significato descrittivo di tipo qualitativo,<br />

quelle di comunità e di popolamento di tipo<br />

quantitativo, ma a volte in letteratura sono usate<br />

con significato simile.<br />

> Biocostruzione: edificazione di un substrato<br />

(organico e/o inorganico) da parte di organismi<br />

viventi che in alcuni casi persiste anche dopo la<br />

loro morte. La biocostruzione è un fenomeno altamente<br />

dinamico, risultato dell’equilibrio tra l’azione<br />

dei costruttori e quella dei demolitori e su scala<br />

temporale sufficientemente ampia.<br />

> Biodemolitori: specie di organismi vegetali e<br />

animali capaci di perforare o di erodere (bioeroders<br />

species) formazioni viventi (biocostruzioni) o<br />

rocce calcaree.<br />

> Bionomia: insieme di regole che determinano e<br />

descrivono la distribuzione degli organismi (es. la<br />

bionomia bentonica descrive con criteri ecologici<br />

la distribuzione del benthos nei piani del dominio<br />

bentonico).<br />

> Biotopo: area geografica, di superficie o volume<br />

variabile, nella quale i fattori ambientali presentano<br />

valori medi relativamente stabili nel tempo e nello<br />

spazio pur nella dinamica dell’evoluzione nelle<br />

relazioni ecologiche degli elementi del paesaggio.<br />

> Cenosi/Cenotico: insieme di organismi legati<br />

da compatibilità nelle esigenze ambientali.<br />

> Climax: stadio maturo e finale nell’evoluzione<br />

naturale delle comunità in situazione di relativa<br />

stabilità, sotto l’influenza di fattori climatici o edafici.<br />

> Colonialità: condizione per cui gli individui, formatisi<br />

in seguito a riproduzione asessuata, restano<br />

in connessione condividendo tessuti e/o organi<br />

in misura variabile. Nella colonia i diversi individui<br />

possono essere morfologicamente differenziati,<br />

svolgere funzioni diverse e condividere risorse<br />

trofiche.<br />

> Criptico: aspetto, colorazione o collocazione,<br />

tali da rendere difficilmente visibile un animale sullo<br />

sfondo dell’ambiente in cui si trova (es. affinità<br />

per microcavità, per animali coloniali, per vegetali<br />

frondosi, ecc.).<br />

> Detritico costiero: Fondali mobili ad elevata<br />

componente sabbiosa e detritica organogena<br />

(derivata da gusci e scheletri di organismi marini)<br />

con prevalenza di sabbie che ospitano nell’Infralitorale<br />

inferiore e nel Circalitorale una biocenosi<br />

(DC) che presenta diverse facies in funzione della<br />

prevalenza di certe componenti animali e/o vegetali.<br />

> Dioica: pianta che ha i fiori maschili separati da<br />

quelli femminili su due piante differenti (cioè su<br />

due case o oikos).<br />

> Edafico: attinente al substrato.<br />

> Endemismo: distribuzione ristretta ad una<br />

determinata area geografica (es. Mediterraneo).<br />

Se la distribuzione interessa aree geografiche vicine<br />

si parla di “Paraendemismo” (es. Atlantico<br />

europeo-Mediterraneo occidentale).<br />

> Epibenthos: vegetali e animali fissati sopra altri<br />

organismi (detti allora epibionti) o su substrati non<br />

viventi.<br />

> Epifita: pianta o animale che si accresce su una<br />

pianta detta basifita.<br />

> Epigeo: che sta sopra la superficie del substrato.<br />

> Euriecia: specie che è in grado di vivere in biotopi<br />

diversi, cioè con caratteristiche ambientali<br />

differenti.<br />

> Eurialina: specie in grado di tollerare ampie<br />

variazioni della salinità.<br />

> Eurifotica: specie in grado di tollerare ampie<br />

variazioni di luminosità.<br />

> Euriterma: specie in grado di tollerare ampie<br />

variazioni della temperatura.<br />

> Eurivalenti: organismi che si adattano a condizioni<br />

variabili dei fattori ambientali.<br />

> Eutrofizzazione: arricchimento dell’acqua con<br />

nutrienti necessari per l’accrescimento delle piante.<br />

Attualmente questo termine viene usato per<br />

indicare un eccessivo arricchimento di nutrienti<br />

con conseguenze negative sull’ambiente.<br />

> Facies: aspetto permanente presentato da una<br />

biocenosi quando la predominanza locale di<br />

determinati fattori produce l’esuberanza di una o<br />

di un numero esiguo di specie soprattutto animali.<br />

153


154<br />

> Fenologia: scienza che studia i rapporti tra i<br />

fenomeni climatici e le manifestazioni stagionali<br />

della vita animale e vegetale.<br />

> Fitale: il termine equivale a vegetale e generalmente<br />

si dice fitale un sistema ecologico dove le<br />

condizioni ambientali sono favorevoli allo svolgimento<br />

della vita delle piante.<br />

> Fitosociologia: scienza che studia i popolamenti<br />

vegetali sotto l’aspetto della composizione<br />

e della struttura in rapporto con i valori dei parametri<br />

dei fattori ambientali e delle relazioni interspecifiche;<br />

la sinfitosociologia studia i paesaggi<br />

determinati da un insieme di associazioni vegetali<br />

del territorio.<br />

> Floristico: relativo alla composizione in specie<br />

delle comunità vegetali.<br />

> Fotofilo: organismo che preferisce gli ambienti<br />

ben illuminati.<br />

> Fotosintesi: processo di organicazione del carbonio,<br />

che utilizza l’energia solare.<br />

> Gregarismo: tendenza degli individui di una<br />

popolazione ad insediarsi gli uni accanto agli altri<br />

come succede in molti serpulidi, cirripedi e nei<br />

vermetidi.<br />

> Habitat engineers/specie ingegneri: sono specie<br />

che modificano la diversità e/o la struttura dell’<strong>habitat</strong><br />

con la loro forma o con il loro comportamento,<br />

influenzando così la biodiversità nella<br />

comunità.<br />

> Habitat formers/specie costruttrici o strutturanti:<br />

sono le specie che costruiscono o strutturano<br />

spazialmente (structural species) gli <strong>habitat</strong> fornendo<br />

risorse aggiuntive o modificando fattori<br />

ambientali che favoriscono l’insediamento di altri<br />

componenti della comunità.<br />

> Indicatore ecologico: è una specie o un gruppo<br />

di specie stenovalenti la cui presenza è legata a<br />

determinati valori di fattori ambientali.<br />

> Indice sinecologico: è un rapporto tra elementi<br />

biologici di una comunità che dà informazioni sulla<br />

qualità o stato ecologico dell’ambiente.<br />

> Interstiziale: si dice della fauna che vive negli<br />

interstizi delle formazioni organogene o fra i granuli<br />

di sedimento.<br />

> Ipogeo: che è nel terreno, sotto la superficie del<br />

substrato.<br />

> Lofoforo: ripiegamento, presente nei briozoi e<br />

nei brachiopodi, che circonda la bocca, ciircondato<br />

da tentacoli ciliati in continuo movimento che e<br />

che favoriscono l’apporto di ossigeno e nutrimento.<br />

> Maërl: formazione costituita da cospicui accumuli<br />

di alghe rosse calcaree ramificate e libere su<br />

fondo mobile esposto a correnti di fondo.<br />

> Matte/intermatte: la matte è una biocostruzione<br />

a forma di scalino e rialzata dal fondo dovuta alla<br />

crescita verticale dei rizomi di Posidonia oceanica<br />

e costituita da radici e fusti con cospicuo sedimento<br />

accumulato. L’intermatte è l’area all’interno di<br />

una prateria in cui tale costruzione si interrompe.<br />

> Microstenoterma: comunità o organismo che<br />

esige ambienti con valori di temperatura che<br />

oscillano entro ranges molto bassi.<br />

> Oligotipia : caratteristica di comunità di organismi<br />

formate da poche specie.<br />

> Olocarpia: è un metodo di formazione dei<br />

gameti nella riproduzione, nel corso della quale<br />

tutti i nuclei del citoplasma danno origine a cellule<br />

riproduttive.<br />

> Ortotropo: fusto rizomatoso ad accrescimento<br />

sub-verticale delle angiosperme marine.<br />

> Paucispecifico: attributo di popolamenti (biocenosi<br />

o associazione) formati da poche specie,<br />

mentre plurispecifico si riferisce ad un popolamento<br />

relativamente ricco di specie.<br />

> Piano: spazio verticale del dominio bentonico<br />

marino nel quale le condizioni ecologiche sono<br />

costanti o variano gradualmente tra i due valori<br />

critici che lo delimitano.<br />

> Plancton: insieme di organismi che vivono nella<br />

colonna d’acqua e che sono soggetti ai suoi movimenti,<br />

in quanto sono capaci solo di esigui movimenti<br />

autonomi.<br />

> Planctonofago: relativo alla caratteristica di<br />

alcuni organismi di nutrirsi di plancton.<br />

> Produttori primari: organismi capaci di organicare<br />

il carbonio (autotrofi).<br />

> Psammofilo: specie o insieme di specie (biocenosi,<br />

associazione, facies) che predilige un substrato<br />

sabbioso.<br />

> Reclutamento: inserimento di giovanili di una o<br />

più specie all’interno di un biotopo o di una biocenosi<br />

condivisi con la popolazione adulta.<br />

> Sciafilo: organismo che preferisce ambienti in<br />

ombra, non esposti direttamente alla luce solare.<br />

> Sinecologico: approccio di studio dell’ecologia<br />

che si occupa della composizione e della struttura<br />

delle comunità di organismi.<br />

> Sintassonomiche: sistema di classificazione<br />

gerarchica dell’insieme di popolamenti (associazioni)<br />

vegetali.<br />

> Serie successionale: l’insieme delle associazioni<br />

che si succedono man mano che la comunità<br />

passa da una fase nella quale prevalgono specie<br />

pioniere dotate di debole capacità competitiva ad<br />

una fase nella quale si affermano specie dotate di<br />

forte capacità competitiva.<br />

> Sospensivoro: organismo che si nutre di particelle<br />

organiche sospese nell’acqua.<br />

> Stenoalina: relativo alla capacità a sopportare<br />

limitate variazioni della salinità.<br />

> Stenovalenti: organismi che vivono soltanto in<br />

condizioni ben definite di fattori ambientali.<br />

> Tofulo: ingrossamento alla base dei rami primari<br />

delle Cistoseire con funzione di struttura di riserva<br />

per favorire la ripresa della vegetazione nella<br />

stagione favorevole.<br />

> Trasparenza: la trasparenza indica la proprietà<br />

dell’acqua di mare a lasciarsi attraversare dalla<br />

radiazione solare visibile.<br />

> Trofico: riguardante l’alimentazione.<br />

> Vegetazione fotofila e sciafila: insieme di organismi<br />

che presentano il punto di compensazione<br />

fotosintetica al di sopra (fotofile) o al di sotto (sciafile)<br />

dell’1% della radiazione incidente sulla superficie<br />

dell’acqua.<br />

> Vicarianza: fenomeno per il quale organismi<br />

morfologicamente simili ma non strettamente affini<br />

dal punto di vista filogenetico, ma ecologicamente<br />

equivalenti, occupano le stesse nicchie<br />

ecologiche (hanno lo stesso ruolo) in aree geografiche<br />

differenti.<br />

Indice delle specie<br />

Acanthaster planci - 136<br />

Acanthella acuta - 52<br />

Acantholabrus palloni - 80, 81<br />

Acasta spongites - 18, 65<br />

Acelia attenuata - 77<br />

Acrothamnion - 34<br />

Acrothamnion preissii - 133<br />

Adeonella - 59, 110<br />

Adeonella calveti - 61<br />

Agelas oroides - 53, 66<br />

Aka - 54<br />

Alcyonium acaule - 13, 16, 58<br />

Alcyonium coralloides - 58<br />

Alpheus - 16<br />

Amphilochus - 75<br />

Anomia ephippium - 64, 67<br />

Antedon mediterranea - 16, 77<br />

Anthias anthias - 80<br />

Anthithamnion cruciatum - 94<br />

Aora - 76<br />

Aphanius fasciatus - 104<br />

Aplidium - 65<br />

Aplysina - 56<br />

Aplysina aerophoba - 56<br />

Aplysina cavernicola - 16, 53, 58<br />

Apogon imberbis - 83<br />

Apseudes latreilli - 107<br />

Aragosta - 15, 76, 131<br />

Arca barbata - 64<br />

Arca noae - 107<br />

Arthrocladia villosa - 39, 47<br />

Ascidia - 63, 65<br />

Aspidosiphon - 73<br />

Aspidosiphon muelleri - 73<br />

Astice - 76<br />

Astroides calycularis - 65, 116,<br />

118, 143<br />

Astrospartus mediterraneus - 77<br />

Athanas - 16<br />

Axinella - 17<br />

Axinella cannabina - 52<br />

Axinella damicornis - 52, 66<br />

Axinella polypoides - 8, 52<br />

Axinella vaceleti - 52<br />

Axinella verrucosa - 52<br />

Balano - 7, 11, 65, 93, 104, 105<br />

Balanus amphitrite - 104<br />

Balanus eburneus - 104<br />

Balanus improvisus - 104<br />

Balanus perforatus - 65<br />

Balanus spongicola - 65<br />

Balssia gasti - 58, 67, 76<br />

Balssia noeli - 76<br />

Barleeia unifasciata - 100<br />

Barracuda - 81<br />

Bathynectes maravigna - 112, 113<br />

Bispira mariae - 63<br />

Boga - 80, 81<br />

Bolma rugosa - 75<br />

Bonellia - 73<br />

Bonellia viridis - 71, 73<br />

Boops boops - 80<br />

Botryllus schlosseri - 104<br />

Bowerbankia gracilis -104<br />

Brachidontes pharaonis - 100<br />

Buccinulum corneum - 75<br />

Bugula - 60<br />

Bugula plumosa - 60<br />

Buskea - 59<br />

Cacospongia - 18, 52<br />

Cacospongia mollior - 52<br />

Cacospongia scalaris - 52<br />

Caelorinchus caelorhincus - 112<br />

Calamaro - 64<br />

Calcinus tubularis - 101<br />

Calliostoma - 75<br />

Callochiton achatinus - 75<br />

Callophyllis laciniata - 39<br />

Callopora - 60<br />

Calothrix - 34<br />

Calpensia nobilis - 110<br />

Caprella - 76<br />

Cardita calyculata - 100<br />

Caryophyllia smithi - 16, 58<br />

Castagnola - 37, 80, 81, 87<br />

Castagnola rossa - 80, 87<br />

Caulerpa - 133<br />

Caulerpa racemosa - 109, 129<br />

Caulerpa racemosa var.<br />

cylindracea - 133<br />

Caulerpa taxifolia - 129, 133<br />

Cefalo dorato - 85<br />

Cellaria - 59<br />

Cellaria salicornioides - 62<br />

Celleporina caminata - 16<br />

Celleporina mangnevillana - 61<br />

Centrostephanus longispinus -<br />

23, 77<br />

Ceramium - 38, 91<br />

Ceramium ciliatum - 94<br />

Ceramium elongata - 94<br />

Ceramium rubrum var. barbatum<br />

- 94<br />

Cernia - 27, 84, 114, 131, 132<br />

Cernia bruna - 84<br />

Cernia dorata - 84<br />

Cernia rossa - 84<br />

Chaetomorpha mediterranea - 93<br />

Chama gryphoides - 64<br />

Charonia charonia - 75<br />

Charonia lampas - 75<br />

Chartella - 59<br />

Chimaera monstrosa - 112<br />

Chiton corallinus - 73<br />

Chitone - 73<br />

Chlamys - 64<br />

Chondrosia reniformis - 53<br />

Chromis chromis - 37, 80<br />

Cicala di mare - 76<br />

Cidaris cidaris - 77<br />

Ciona edwarsi - 65<br />

Cirriformia filigera - 107<br />

Cirripede - 63<br />

Cladocora - 126, 129<br />

Cladocora caespitosa - 11, 108,<br />

109, 118, 126, 143<br />

Clanculus - 75<br />

Clathrina clathrus - 52<br />

Clathrina coriacea - 142<br />

Clavelina - 65<br />

Cliona - 23, 55, 93, 112<br />

Cliona celata - 55<br />

Cliona janitrix - 55<br />

Cliona schmidti - 55<br />

Cliona viridis - 17, 34, 54, 55, 72<br />

Codium - 34, 39<br />

Codium bursa - 34<br />

Colomastix - 75<br />

Conger conger - 15, 84<br />

Conopea calceola - 65<br />

Conopeum seurati - 104<br />

Corallina - 93, 94<br />

Corallina elongata - 88, 89, 90,<br />

148<br />

Corallina officinalis - 148<br />

Coralliophila - 75<br />

Corallium - 68<br />

Corallium rubrum - 16, 58, 62,<br />

66, 75, 115, 119<br />

Corallo - 67, 68, 69, 76<br />

Corallo bianco - 72, 111, 112,<br />

113, 129, 131, 143<br />

Corallo del Pacifico - 68<br />

Corallo rosso - 8, 11, 16, 49, 55,<br />

56, 66, 67, 68, 69, 76, 115, 125,<br />

132, 135, 138<br />

Cordylophora caspia - 104<br />

Coris julis - 79, 82<br />

Corophium acherusicum - 104,<br />

107<br />

Corophium acutum - 107<br />

Corophium insidiosum - 104<br />

Corophium sextonae - 107<br />

Corvina - 78, 83<br />

Coryphella - 75<br />

Crambe - 54<br />

Crella elegans - 53<br />

Cressa - 76<br />

Crisia - 60<br />

Cryptonemia - 38<br />

Cryptonemia lomation - 47<br />

Cutleria - 34, 39<br />

Cyathura carinata - 104<br />

Cymatium cutaceum - 75<br />

Cymatium parthenopaeum - 75<br />

Cymodoce truncata - 76<br />

Cystodytes dellechiajei - 65<br />

155


156<br />

Cystoseira - 34, 99, 121<br />

Cystoseira amentacea - 91, 97<br />

Cystoseira amentacea var. stricta<br />

- 97, 99, 100<br />

Cystoseira brachycarpa var.<br />

claudiae - 35, 39<br />

Cystoseira corniculata - 35, 39,<br />

119<br />

Cystoseira dubia - 35, 119<br />

Cystoseira foeniculacea - 34<br />

Cystoseira funkii - 35<br />

Cystoseira jabukae - 35<br />

Cystoseira spinosa - 34, 35<br />

Cystoseira stricta - 97<br />

Cystoseira usneoides - 35, 39,<br />

119<br />

Cystoseira zosteroides - 35, 38,<br />

39, 119<br />

Dasyatis pastinaca - 86, 87<br />

Dattero di mare - 23, 64<br />

Delectopecten vitreus - 112<br />

Dendrophyllia ramea - 21, 65<br />

Dendropoma - 97, 98, 101, 149<br />

Dendropoma (Novastoa) petraeum<br />

- 95, 97, 99, 101, 116, 120<br />

Dente di cane vedi balano - 65<br />

Dentex dentex - 81, 131, 132<br />

Dentice - 81, 82, 84, 131, 132<br />

Desmacella inornata - 112<br />

Desmophyllum - 111<br />

Desmophyllum dianthus - 111,<br />

112<br />

Dexamine - 76<br />

Dictyonella incisa - 53<br />

Dictyonella obtusa - 52<br />

Dictyota - 99<br />

Diplastrella - 54<br />

Diplodus - 81, 82<br />

Diplodus annularis - 82<br />

Diplodus puntazzo - 82, 131, 132<br />

Diplodus sargus sargus - 82,<br />

130, 131<br />

Diplodus vulgaris - 82<br />

Dipolydora - 72<br />

Dipolydora rogeri - 17, 72<br />

Discodoris atromaculata - 23, 24,<br />

56, 75<br />

Ditrupa arietina - 77<br />

Dodecaceria concharum - 72<br />

Donzella - 79, 82, 86<br />

Donzella pavonina - 82<br />

Dysidea - 18<br />

Dysidea avara - 66<br />

Eatonina cossurae - 100<br />

Echinus melo - 23, 34, 77<br />

Elasmopus - 76<br />

Electra posidoniae - 60<br />

Entalophoroecia - 59<br />

Enteromorpha - 107<br />

Entophysalis - 34<br />

Epinephelus costae - 84<br />

Epinephelus marginatus - 84,<br />

114, 131<br />

Eriphia verrucosa - 100<br />

Erosaria spurca - 75<br />

Etmopterus spinax - 112<br />

Eualus occultus - 76<br />

Euchirograpsus liguricus - 76<br />

Eudendrium - 56, 57<br />

Eudendrium glomeratum - 57<br />

Eulalia viridis - 107<br />

Eumida sanguinea - 107<br />

Eunice - 72<br />

Eunice norvegica - 72, 112, 113<br />

Eunice siciliensis - 72<br />

Eunicella - 48, 75, 76<br />

Eunicella cavolinii - 14, 17, 57,<br />

119, 125<br />

Eunicella singularis - 14, 17, 58,<br />

119<br />

Eunicella verrucosa - 58<br />

Falso corallo - 59<br />

Fenestrulina malusii - 60<br />

Ficopomatus - 11, 103, 104, 105,<br />

107<br />

Ficopomatus enigmaticus - 102,<br />

103, 118, 119, 144<br />

Filograna - 63, 67<br />

Filograna implexa - 16<br />

Filogranula gracilis - 112<br />

Filogranula stellata - 112<br />

Flabellina - 75<br />

Galatea - 76<br />

Galathea dispersa - 76<br />

Galathea nexa - 76<br />

Galathea strigosa - 76<br />

Galeus melastomus - 112<br />

Gamberetto - 70<br />

Gamberetto fantasma vedi<br />

parapandalo - 76<br />

Gambero - 70<br />

Gammarus aequicauda - 104<br />

Gammarus insensibilis - 104<br />

Gastrochaena dubia - 64<br />

Gattopardo - 86<br />

Gattuccio - 86<br />

Gelidium - 34, 47<br />

Gelidium pusillum - 94<br />

Ghiozzetto di laguna - 104<br />

Ghiozzo - 85, 131<br />

Ghiozzo bocca rossa - 85<br />

Ghiozzo delle Baleari - 85<br />

Ghiozzo dorato - 85<br />

Ghiozzo gattopardo - 85<br />

Ghiozzo geniporo - 85<br />

Ghiozzo listato - 85<br />

Ghiozzo rasposo - 85<br />

Giglio di mare - 16, 71<br />

Gitana - 75<br />

Gnathia maxillaris - 76<br />

Gnathia phallonajopsis - 107<br />

Gobius auratus - 85<br />

Gobius bucchichi - 85<br />

Gobius cruentatus - 85<br />

Gobius geniporus - 85<br />

Gobius vittatus - 85<br />

Goniolithon byssoides vedi<br />

Lithophyllum (Titanoderma)<br />

trochanter - 116<br />

Gorgonia - 16, 56, 59, 62, 72,<br />

77, 80, 86, 125, 128, 131, 134,<br />

141, 143<br />

Gorgonia candelabro - 14<br />

Gorgonia gialla - 14, 65<br />

Gorgonia rossa - 63, 64, 65<br />

Gracilaria - 38<br />

Granchio - 70, 76<br />

Grongo - 15, 27, 84, 86<br />

Haliclona citrina - 53<br />

Haliclona fulva - 58<br />

Haliclona mediterranea - 53<br />

Haliclona mucosa - 53, 58<br />

Haliclona sarai - 58<br />

Halimeda - 11, 29, 75<br />

Halimeda tuna - 21, 29, 30, 31,<br />

32, 38, 56, 99, 119, 146<br />

Halimeda tuna f. platydisca - 33<br />

Halocynthia papillosa - 16, 17,<br />

65<br />

Haplosyllis depressa chameleon<br />

- 72<br />

Haplosyllis spongicola - 72<br />

Harmothoe - 72<br />

Harmothoe vesiculosa - 112<br />

Harpinia ala - 76<br />

Hediste diversicolor - 104<br />

Helicolenus dactylopterus - 112<br />

Hemimycale columella - 53<br />

Hermodice carunculata - 58, 72<br />

Hiatella arctica - 64<br />

Hildenbrandia rubra - 118<br />

Hincksinoflustra - 59<br />

Holoturia forskalii - 77<br />

Holoturia poli - 77<br />

Homarus gammarus - 76<br />

Hoplangia durotrix - 58<br />

Hoplostethus mediterraneus -<br />

112<br />

Hornera frondiculata - 59<br />

Hyalinoecia - 77<br />

Hyatella arctica - 34<br />

Hydroides - 63, 107<br />

Hyella - 34<br />

Hymedesmia - 54<br />

Hypselodoris - 75<br />

Idmidronea - 59<br />

Inachus - 76<br />

Iphimedia - 75<br />

Ircinia - 55<br />

Ircinia variabilis - 18, 58, 66<br />

Jaeropsis brevicornis - 76<br />

Jania - 34, 47<br />

Jaspis - 55<br />

Jassa marmorata - 107<br />

Jassa ocia - 107<br />

Kallymenia - 38<br />

Kallymenia patens - 47<br />

Kallymenia spathulata - 47<br />

Knipowitschia panizzae - 104<br />

Kyrtuthrix - 34<br />

Labrus - 81<br />

Labrus fasciata - 81<br />

Labrus merula - 81<br />

Labrus mixtus - 81<br />

Labrus viridis - 81<br />

Laminaria ochroleuca - 36, 39,<br />

119<br />

Laminaria rodriguezii - 25, 36, 47<br />

Lanice conchylega - 107<br />

Lappanella fasciata - 80<br />

Laurencia - 91, 99<br />

Laurencia papillosa - 93<br />

Lekanesphaera hookeri - 104<br />

Lekanesphaera monodi - 104<br />

Lepidasthenia - 72<br />

Lepidochitona caprearum - 100<br />

Lepidonotus - 72<br />

Lepidopleurus cajetanus - 75<br />

Leptocheirus - 75<br />

Leptochelia savignyi - 76, 107<br />

Leptopsammia pruvoti - 16, 58,<br />

65, 66<br />

Liljeborgia - 75<br />

Lima lima - 64<br />

Lissodendoryx - 54<br />

Lithophaga - 93<br />

Lithophaga lithophaga - 23, 34, 64<br />

Lithophyllum - 11, 46, 49, 66,<br />

70, 89<br />

Lithophyllum (= Titanoderma)<br />

ramosissimum - 147<br />

Lithophyllum (Goniolithon)<br />

papillosum - 89, 91, 94, 118<br />

Lithophyllum (Titanoderma)<br />

pustulatum - 31, 46<br />

Lithophyllum byssoides - 89, 90,<br />

91, 92, 93, 93, 94, 95, 97, 99,<br />

118, 120, 149<br />

Lithophyllum cabiochae - 21, 133<br />

Lithophyllum dentatum - 149<br />

Lithophyllum expansum - 15<br />

Lithophyllum frondosum - 11, 119<br />

Lithophyllum incrustans - 31<br />

Lithophyllum lichenoides - 92,<br />

116, 117, 132, 138<br />

Lithophyllum racemus - 45, 149<br />

Lithophyllum stictaeforme - 30,<br />

31, 36, 38, 46, 147<br />

Lithophyllum (Titanoderma)<br />

trochanter - 89, 91, 94, 116, 118,<br />

147, 148<br />

Lithophyllum tortuosum - 92, 118<br />

Lithothamnion - 11, 46, 49, 92<br />

Lithothamnion calcareum vedi<br />

Phymatolithon calcareum - 115<br />

Lithothamnion corallioides - 43,<br />

45, 47, 115, 118<br />

Lithothamnion fruticulosum - 46<br />

Lithothamnion minervae - 43,<br />

46, 47, 148<br />

Lithothamnion philippii - 31, 36,<br />

46<br />

Lithothamnion valens - 43, 45, 46<br />

Liza aurata - 85<br />

Lobophora - 34, 39<br />

Lophelia - 111, 112<br />

Lophelia pertusa - 111, 112<br />

Lophogorgia ceratophyta - 58<br />

Lophogorgia sarmentosa - 119<br />

Lophosiphonia cristata - 93<br />

Lumbrineris - 100, 107<br />

Luria lurida - 75<br />

Lysidice - 72<br />

Lysidice ninetta - 72<br />

Macropodia - 76<br />

Macropodia linaresi - 76<br />

Madrepora - 111, 112<br />

Madrepora oculata - 111, 112<br />

Madreporaro - 72<br />

Maera - 76<br />

Maera inaequipes - 107<br />

Magnosa grande - 115<br />

Mano di morto - 16<br />

Margaretta - 59<br />

Margaretta cereoides - 62<br />

Margherita di mare - 16, 17<br />

Marionia - 75<br />

Marphysa - 72<br />

Mastigocoleus - 34<br />

Megabalanus tulipiformis - 65<br />

Menola - 80, 87<br />

Mercierella enigmatica - 103<br />

Mesophyllum - 11, 66<br />

Mesophyllum alternans - 20, 21,<br />

24, 30, 31, 32, 36, 46, 127, 133<br />

Mesophyllum lichenoides - 15,<br />

31, 32, 36, 46, 118, 147<br />

Microcoleus - 34<br />

Microcosmus - 65<br />

Microcosmus sulcatus - 16<br />

Micromesistius poutassou - 112<br />

Microporella - 60<br />

Miniacina miniacea - 93<br />

Mitile - 7, 11<br />

Mostella - 83<br />

Mullus barbatus - 85<br />

Mullus surmuletus - 85<br />

Munida intermedia - 112<br />

Munida tenuimana - 112<br />

Muraena helena - 15, 27, 84<br />

Murena - 15, 27, 84, 86<br />

Muricopsis cristata - 75<br />

Mustelus mustelus - 86<br />

Mycale - 52<br />

Mycteroperca rubra - 84<br />

Myriapora truncata - 21, 59, 110<br />

Mytilaster lineatus - 104<br />

Mytilaster marioni - 104<br />

Mytilaster minimus - 100, 107<br />

Mytilus galloprovincialis - 106, 107<br />

Myxicola aestetica - 63<br />

Nausithoe punctata - 18, 55, 56<br />

Neanthes succinea - 104<br />

Nematopagurus longicornis - 76<br />

Neogoniolithon - 11, 95<br />

Neogoniolithon brassica-florida -<br />

31, 46, 89, 90, 91, 94, 95, 97, 99,<br />

118, 149<br />

Neogoniolithon mamillosum - 15<br />

Neosimnia - 75<br />

Neosimnia spelta - 58, 74<br />

Nereis falsa - 107<br />

Neurocaulon - 38<br />

Nithophyllum tristromaticum - 39<br />

Nono - 104<br />

Notomastus lineatus - 107<br />

Oblada melanura - 80<br />

Occhiata - 80<br />

Octopus vulgaris - 75<br />

Odondebuenia balearica - 85<br />

Ofiura - 71, 77<br />

Oloturia - 71, 77<br />

Onchidella celtica - 100<br />

Ophidiaster ophidianus - 77<br />

Ophioderma - 71<br />

Ophioderma longicaudum - 77<br />

Ophiopsila aranea - 47<br />

Ophiotrix fragilis - 77<br />

Orata - 83<br />

Orecchia di elefante - 52<br />

Oscarella - 53<br />

Oscarella lobularis - 40, 49, 53,<br />

66<br />

Oscillatoria - 34<br />

Osmundaria - 39<br />

Osmundaria volubilis - 47<br />

Ostrica - 7, 11<br />

Pachastrella monilifera - 112<br />

Pachygrapsus marmoratus - 100<br />

Pachygrapsus maurus - 100<br />

Pachygrapsus transversus - 100<br />

Padina pavonica - 99<br />

Pagello fragolino - 83<br />

Pagellus bogaraveo - 112<br />

Pagellus erythrinus - 83<br />

Pagro - 83<br />

Pagrus pagrus - 83<br />

Paguro - 70, 76<br />

Pagurus anachoretus - 76<br />

Pagurus vreuxi - 76<br />

Palinurus elephas - 15, 76<br />

Palmophyllum - 16, 34<br />

Palola siciliensis - 100<br />

Palombo - 86<br />

Pandalina brevirostris - 76<br />

Parablennius rouxi - 85<br />

Parablennius zvonimiri - 101<br />

Paramuricea - 48<br />

Paramuricea clavata - 13, 52, 58,<br />

62, 63, 64, 72, 75, 76, 119, 125<br />

Paranthura nigropunctata - 76<br />

Parapandalo - 76<br />

Parasmittina - 110<br />

Parazoanthus - 48, 50<br />

Parazoanthus axinellae - 11, 16,<br />

17, 58, 119<br />

Parerythropodium coralloides -<br />

17, 58<br />

Pastenula bruna vedi mostella -<br />

83<br />

Pastinaca - 86, 87<br />

Patella - 132<br />

Patella caerulea - 100<br />

Patella ulyssiponensis - 100, 101<br />

Pentapora - 59, 110<br />

Pentapora fascialis - 16, 21, 61,<br />

62, 128<br />

Pentapora ottomülleriana - 110<br />

Peperoncino - 85<br />

Perchia - 81, 84<br />

Percnon gibbesi - 101<br />

Periclimenes sagittifer - 76<br />

Periclimenes scriptus - 76<br />

Perinereis cultrifera - 100, 107<br />

Pesce ago - 104<br />

Pesce coniglio scuro - 87<br />

157


158<br />

Pesce lucertola - 86<br />

Pesce prete - 86<br />

Pesce San Pietro - 84<br />

Pesce scoiattolo - 87<br />

Petricola lithophaga - 64<br />

Petrosia - 23, 56, 75<br />

Petrosia ficiformis - 16, 24, 53,<br />

55, 58, 66<br />

Peyssonnelia - 11, 16, 24, 34,<br />

38, 39, 46, 66, 75<br />

Peyssonnelia bornetii - 28<br />

Peyssonnelia harveyana - 46, 47<br />

Peyssonnelia inamoena - 46, 47<br />

Peyssonnelia magna - 33, 47<br />

Peyssonnelia polymorpha - 31,<br />

33, 47<br />

Peyssonnelia rosa-marina - 31,<br />

33, 45, 47<br />

Peyssonnelia rosa-marina f.<br />

saxicola - 33<br />

Peyssonnelia rubra - 15<br />

Phaeophila - 34<br />

Phascolosoma strombii - 73<br />

Pholas dactylus - 67<br />

Phorbas - 54<br />

Phorbas tenacior - 53, 54, 66<br />

Phycis blennioides - 112<br />

Phycis phycis - 83<br />

Phyllariopsis brevipes - 36<br />

Phyllariopsis purpurascens - 36,<br />

39<br />

Phyllophora - 39<br />

Phyllophora crispa - 47<br />

Phyllophora heredia - 39<br />

Phymatolithon calcareum - 43,<br />

45, 47, 115, 118<br />

Phymatolithon lenormandii - 118<br />

Pilumnus - 76<br />

Pinna nobilis - 64<br />

Pinna rudis (= Pinna pernula) - 64<br />

Pisinna glabrata - 100<br />

Plagioecia inoedificata - 110<br />

Plagioecia platidyscus - 110<br />

Platydoris argo - 145<br />

Platynereis dumerilii - 100<br />

Pleraplysilla spinifera - 51, 69<br />

Plesionika narval - 76<br />

Poecillastra compressa - 112<br />

Polpo - 64, 76<br />

Polpo comune - 75<br />

Polycarpa - 65<br />

Polydora - 11, 34<br />

Polydora ciliata - 104<br />

Polydora hoplura - 72<br />

Polysiphonia - 34, 38, 39, 91, 118<br />

Polysiphonia opaca - 94<br />

Polysiphonia sertularioides - 94<br />

Pomatoceros lamarckii - 107<br />

Pomatoceros triqueter - 63<br />

Posidonia - 123<br />

Posidonia - 31, 60, 72, 77, 105,<br />

110<br />

Posidonia oceanica - 7, 14, 18,<br />

24, 49, 50, 70, 79, 80, 83, 86, 97,<br />

108, 118, 122, 123, 128, 138, 140<br />

Protula - 21, 63, 67<br />

Pseudosimnia - 75<br />

Pseudosimnia carnea - 67<br />

Pteria hirundo - 64<br />

Pterocladia melanoidea - 93<br />

Ptilophora mediterranea - 38<br />

Puellina corbula - 110<br />

Puellina pedunculata - 110<br />

Pyrgoma anglicum - 65<br />

Pyura - 65<br />

Raspaciona - 54<br />

Re di triglie - 83<br />

Reptadeonella violacea - 110<br />

Reteporella - 59, 110<br />

Reteporella grimaldii - 62<br />

Reteporella septentrionalis - 67<br />

Rhynchozoon - 110<br />

Riccio - 71, 75, 83<br />

Riccio diadema - 77<br />

Riccio matita - 77<br />

Riccio melone - 77<br />

Ricciola - 81<br />

Rochinia rissoana - 112<br />

Rodriguezella - 36, 38<br />

Rodriguezella bornetii - 36<br />

Rodriguezella pinnata - 36<br />

Rodriguezella strafforelloi - 36,<br />

119<br />

Rosa di mare - 59<br />

Rynchozoon - 62<br />

Rythiphloea tinctoria - 47<br />

Sabella pavonina - 63<br />

Sabella spallanzanii - 63<br />

Sabellaria - 11, 105, 106, 107<br />

Sabellaria alveolata - 7, 103, 105,<br />

107<br />

Sabellaria halcocki - 105, 107<br />

Sabellaria spinulosa - 105<br />

Salmacina dysteri - 21<br />

Salpa - 83<br />

Sarago - 81, 83<br />

Sarago fasciato - 82, 83<br />

Sarago maggiore - 82, 83, 130,<br />

131<br />

Sarago pizzuto - 82, 83, 131, 132<br />

Sarcotragus foetidus - 52, 58<br />

Sardina - 80<br />

Sardina pilchardus - 80<br />

Sargassum - 34, 119<br />

Sargassum hornschuchii - 34, 39<br />

Sargassum trichocarpum - 34, 39<br />

Sargocentron rubrum - 87<br />

Sarpa salpa - 83<br />

Savalia - 59<br />

Savalia (= Gerardia) - 16<br />

Savalia (= Gerardia) savaglia - 13,<br />

58, 76, 116<br />

Scartella cristata - 101<br />

Schizobrachiella errata - 110<br />

Schizobrachiella sanguinea - 62,<br />

110<br />

Schizomavella - 110<br />

Schizomavella auriculata hirsuta<br />

- 62<br />

Schizomavella cornuta - 62<br />

Schizoporella - 110<br />

Schizotheca serratimargo - 59<br />

Schizothrix - 34<br />

Sciaena umbra - 78, 83<br />

Sciarrano - 81, 84<br />

Scorfano - 85<br />

Scorfano nero - 85<br />

Scorfano rosso - 85<br />

Scorpaena porcus - 85<br />

Scorpaena scrofa - 85<br />

Scrupocellaria - 60<br />

Scyliorhinus canicula - 86<br />

Scyliorhinus stellaris - 86<br />

Scyllarides - 76<br />

Scyllarides latus - 115<br />

Scyllarus - 76<br />

Scyllarus arctus - 76<br />

Seppia - 64<br />

Seriola dumerili - 81<br />

Serpula vermicularis - 63<br />

Serpulorbis arenaria - 64<br />

Serranus cabrilla - 81, 84<br />

Serranus scriba - 81, 84<br />

Setosella cavernicola - 110<br />

Siganus luridus - 87<br />

Simnia - 75<br />

Smittina cervicornis - 21, 59, 62,<br />

67, 110<br />

Sogliola - 86, 131<br />

Solea - 86<br />

Sparaglione - 82, 83<br />

Sparus aurata - 83<br />

Spatangus purpureus - 47<br />

Spermothamnion - 38<br />

Sphaerechinus granularis - 11,<br />

23, 77<br />

Sphaerechinus granularis - 34<br />

Sphaeriodiscus placenta - 77<br />

Sphaeroma serratum - 104<br />

Sphyraena viridensis - 81<br />

Spicara maena - 80<br />

Spicara smaris - 80<br />

Spirastrella - 54<br />

Spirobranchus polytrema - 63<br />

Spirografo - 63<br />

Spirorbis - 67<br />

Spiroxya - 112<br />

Spondyliosoma cantharus - 83<br />

Spondylus gaederopus - 64<br />

Spondylus gussonii - 112<br />

Spongia - 55<br />

Spongia lamella - 52<br />

Spongia officinalis - 52<br />

Spongia virgultosa - 55, 58<br />

Spongites fruticulosus - 31, 46<br />

Sporochnus pedunculatus - 39,<br />

47<br />

Sporolithon ptichoides - 31<br />

Spyroxia - 54<br />

Stella cuscino - 77<br />

Stella marina - 71<br />

Stella serpentina vedi ofiura - 71,<br />

77<br />

Stenocyathus vermiformis - 112<br />

Stenothoe - 76<br />

Stigonema - 34<br />

Stoeba - 55<br />

Striarca lactea - 107<br />

Stylocidaris affinis - 22, 23, 77<br />

Subadyte cfr. pellucida - 112<br />

Syllis - 100<br />

Symphodus - 81<br />

Symphodus doderleini - 81<br />

Symphodus mediterraneus - 81<br />

Symphodus melanocercus - 81<br />

Symphodus tinca - 81<br />

Syngnathus abaster - 104<br />

Synodus saurus - 86<br />

Taenioma nanum - 93<br />

Tanais cavolini - 76<br />

Tanuta - 83<br />

Tartaruga marina - 79<br />

Tenarea - 92<br />

Tenarea tortuosa - 89, 90, 91, 94<br />

Tenarea undulosa - 118<br />

Terebella lapidaria - 107<br />

Thalassoma pavo - 82<br />

Thoosa - 54<br />

Thoralus cranchii - 76<br />

Thorogobius macrolepis - 85<br />

Thuridilla - 75<br />

Timea - 54<br />

Tordo canino - 81<br />

Tordo codanera - 81<br />

Tordo di fondale - 81<br />

Tordo fasciato - 81<br />

Tordo fischietto - 81, 86<br />

Tordo marvizzo - 81<br />

Tordo nero - 81<br />

Tordo pavone - 81<br />

Tordo rosso - 81, 86, 87<br />

Torpedine - 86<br />

Torpedo nobiliana - 86<br />

Trachinus - 86<br />

Tracina - 86<br />

Trididemnum - 65<br />

Triglia di fango - 85<br />

Triglia di scoglio - 85<br />

Triglia dorata - 87<br />

Triptolemus - 55<br />

Tryphosella simillima - 76<br />

Trypterigion delaisi - 85, 101<br />

Trypterigion melanurus - 101<br />

Trypterigion tripteronotus - 101<br />

Turbicellepora incrassata - 61, 62<br />

Tylodina perversa - 56<br />

Ulva - 107<br />

Umbraculum mediterraneum - 75<br />

Umbraulva olivascens - 39<br />

Uncionella lunata - 76<br />

Upeneus moluccensis - 87<br />

Uranoscopus scaber - 86<br />

Vacchetta di mare - 56<br />

Valonia - 34<br />

Verme di fuoco - 72<br />

Verme intestino - 63<br />

Vermetus - 64<br />

Vermetus triquetrus - 95, 97<br />

Vermocane - 72<br />

Verruca spengleri - 65<br />

Womersleyella - 34, 133<br />

Womersleyella (Polysiphonia)<br />

setacea - 133<br />

Zanardinia - 34, 39<br />

Zerro - 80, 87<br />

Zeus faber - 84<br />

Zonaria - 39<br />

Zonaria tournefortii - 39<br />

159


Un vivo ringraziamento per la cortese<br />

collaborazione a Luca Lantieri (Università di<br />

Genova) e a Elisabetta Massaro, Sara Queirolo,<br />

Rossana Simoni (SIBM).<br />

Un particolare ricordo per Anna Maria Proietti<br />

che ha collaborato con Francesco Cinelli per la<br />

parte iconografica.<br />

Nel capitolo sulle alghe la parte relativa al<br />

cortalligeno è curata da Thalassia Giaccone<br />

e Giuseppe Giaccone, quella relativa ai fondi<br />

a rodoliti da Thalassia Giaccone, Giuseppe<br />

Giaccone, Daniela Maria Basso e Guido Bressan.<br />

La Check-List di tutte le unità fitosociologiche<br />

descritte validamente per il Mediterraneo<br />

è riportata nei “Proceedings of the First<br />

Mediterraneans Symposium on Marine<br />

Vegetation (Ajaccio, 3-4 October 2000)”.<br />

La responsabilità di quanto riportato nel testo,<br />

nonché di eventuali errori ed omissioni, rimane<br />

esclusivamente degli autori.<br />

Il volume è stato realizzato con i fondi del<br />

Ministero dell’Ambiente e della<br />

Tutela del Territorio e del Mare.<br />

Finito di stampare<br />

nel mese di settembre 2009<br />

presso le Arti Grafiche Friulane / Imoco spa - Udine<br />

Printed in Italy

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