Ambiente e Sicurezza..

Articoli 

SOMMARIO 

In sintesi 

INSERTO......................................................................................................................................................... p. 9 

IGIENE E SICUREZZA..................................................................................................................................... p. 9 

AMBIENTE...................................................................................................................................................... p. 10 

Approfondimenti 

l Per i lavoratori che utilizzano i videoterminali il datore fornisce, a sue spese, 

i dispositivi speciali di correzione 

di Pierguido Soprani......................................................................................................................... p. VII 

l L’accertamento del nesso causale nei reati colposi: 

diritto e scienza sono sempre più vicine 

di Giulio Benedetti............................................................................................................................. p. XII 

l Non basta osservare le prescrizioni normative 

se la pericolosità intrinseca è nella macchina operatrice 

di Luigi Di Alberti............................................................................................................................... p. XVI 

l Sulle terre e rocce da scavo si pronuncia anche la Cassazione 

di Luciano Butti.................................................................................................................................. p. XIX 

l La rilevanza patrimoniale della bonifica si lega alla definizione di truffa ambientale 

di Giulio Benedetti............................................................................................................................. p. XXIV 

l Per i tralicci radiofonici abusivi basta il sequestro preventivo 

di Emanuela Gallo............................................................................................................................. p. XXIX 

l Autorizzazione, organizzazione ed esecuzione a regola d’arte 

degli abbattimenti controllati in aree antropizzate 

di Roberto Folchi, Luigi Minicillo e Francesco Retacchi............................................................. p. 14 

l Il fumo passivo negli ambienti di lavoro: 

la rilevanza penale di un rischio recente 

di Giovanni Lageard......................................................................................................................... p. 18 

l La nuova edizione della norma UNI 9432 sul rumore 

per la determinazione del livello di esposizione personale 

di Roberto Bottio............................................................................................................................... p. 22 

l Con il D.M. 5 novembre 2001 sulle norme funzionali e geometriche 

più sicurezza per la circolazione stradale 

di Pietro Giannattasio....................................................................................................................... p. 24 

l Il CIPE finanzia il Programma di attuazione del Piano della Sicurezza Stradale 

di Gian Luca Spitella......................................................................................................................... p. 34 

l Soppressa l’emersione automatica del lavoro nero 

e prorogata al 15 maggio 2003 quella progressiva 

di Mario Gallo..................................................................................................................................... p. 36 

l Tribunali delle acque verso l’abolizione con il D.L. 11 novembre 2002, n. 251 

di Emanuela Gallo............................................................................................................................. p. 46 

l Per l’allacciamento alla rete fognaria spese detraibili al 36% ai fini IRPEF 

di Vincenzo Riganti........................................................................................................................... p. 56 

l In assenza di un provvedimento cogente 

restano valide le attività di recupero in esercizio 

di Bernardino Albertazzi................................................................................................................... p. 59 

l Per la rateizzazione dei pagamenti TARSU carta bianca 

ai comuni su numero e periodicità 

di Luigi Lovecchio............................................................................................................................. p. 66 

l Emissioni acustiche più controllate per macchine 

e attrezzature destinate all’aperto 

di Giulio Bendetti............................................................................................................................... p. 68 

4 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

l Dalla VIA all’approvvigionamento idrico 

il collegato infrastrutture si colora di verde 

di Elisabetta Mariotti......................................................................................................................... p. 74 

Legislazione 

l Soppressa l’emersione automatica del lavoro nero 

e prorogata al 15 maggio 2003 quella progressiva 

Testo coordinato del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, 

con la legge di conversione 22 novembre 2002, n. 266 ............................................................ p. 41 

l Sostanze vietate a fini “doping” 

Decreto del Ministero della Salute 15 ottobre 2002.................................................................... p. 44 

l Sicurezza alimentare. Bovini 

Decreto del Ministero della Salute 28 ottobre 2002.................................................................... p. 44 

l Inquinamento atmosferico 

Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio 1˚ ottobre 2002, n. 261 ..... p. 84 

l Agenzie ambientali 

Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio 11 ottobre 2002.................. p. 85 

l Dalle Regioni 

Rassegna di delibere e leggi regionali - novembre 2002........................................................... p. 88 

Prassi 

l Emergenza BSE 

Ordinanza del Ministero della Salute 27 settembre 2002.......................................................... p. 44 

l Per l’allacciamento alla rete fognaria spese detraibili al 36% ai fini IRPEF 

Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 11 novembre 2002, n. 350/E....................................... p. 57 

l Emergenza BSE 

Ordinanza del Ministero della Salute 1˚ ottobre 2002 ................................................................. p. 82 

l Per la rateizzazione dei pagamenti TARSU 

carta bianca ai comuni su numero e periodicità 

Lettera circolare del Dipartimento delle Politiche Fiscali 25 giugno 2001, prot. 17132......... p. 67 

Lettera circolare Direzione Regionale delle Entrate Puglia 24 luglio 2001, prot. 37410....... p. 67 

l Recupero di rifiuti pericolosi 

Decisione della Commissione 13 novembre 2002, n. 2002/909/CE........................................ p. 84 

Giurisprudenza 

SOMMARIO 

l Per i lavoratori che utilizzano i videoterminali il datore fornisce, 

a sue spese, i dispositivi speciali di correzione 

Corte di Giustizia delle Comunità europee, sezione sesta, 24 ottobre 2002.......................... p. III 

l L’accertamento del nesso causale nei reati colposi: 


Cassazione penale, Sez. Unite, 11 settembre 2002, n. 30328................................................. p. X 

l Non basta osservare le prescrizioni normative 


Cassazione, sez. lav., 21 maggio 2002, n. 7454......................................................................... p. XV 

l Sulle terre e rocce da scavo si pronuncia anche la Cassazione 

Corte di Cassazione, sez. III pen., 12 luglio 2002, n. 26611..................................................... p. XVIII 

l La rilevanza patrimoniale della bonifica si lega alla definizione di truffa ambientale 

Tribunale penale di Milano, sez. X, 20 maggio 2002.................................................................. p. XXII 

l Per i tralicci radiofonici abusivi basta il sequestro preventivo 

Corte di Cassazione, sez. III penale, 5 febbraio 2002, n. 4070................................................ p.XXVII 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 5

SOMMARIO 

Ambiente&Sicurezza continua on-line 

l Antincendio: disposizioni in materia di parcamento 

di autoveicoli alimentati a GPL all’interno di autorimesse 

Decreto del Ministero dell’Interno 22 novembre 2002 

l Sostanze pericolose: integrazioni al decreto 22 giugno 2001 

che modificava l’“Elenco dei medicinali veterinari 

ad azione antiparassitaria e disinfestante per uso esterno” 

Decreto Ministero della Salute 18 novembre 2002 

l Rifiuti: sotto osservazione le norme italiane sul recupero 

dei rifiuti pericolosi in regime semplificato 

Decisione della Commissione 13 novembre 2002, n. 2002/909/CE 

l Sviluppo sostenibile: fissato il termine ultimo 

per la presentazione dei progetti relativi al bando per il cofinanziamento 

di programmi di attivazione e di attuazione di Agende 21 Locali 

Comunicato del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio 

l Tutela ambientale: le nuove autorizzazioni per la commercializzazione temporanea 

di materiali forestali di moltiplicazione non conformi ai requisiti 

Decisione 22 novembre 2002, n. 2002/919/CE 

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31 

DICEMBRE 

COMUNICAZIONE DEI CENTRI AUTORIZZATI: 

QUANTITÀ DI CFC IN ENTRATA, IN GIACENZA E IN USCITA 

I centri autorizzati di raccolta dei clorofluorocarburi (cioè delle sostanze controllate lesive 

dell’ozono stratosferico elencate in tabella A, gruppo I, legge n. 549/1993, e sostanze 

indicate in allegato I, gruppi I e II, regolamento CE n. 2037/2000) devono comunicare al 

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio nonché al Ministero delle Attività 

produttive, l’informativa semestrale sulle quantità di CFC in ingresso, le quantità in 

giacenza, le quantità in uscita e la loro destinazione per tipo di sostanza. Nel caso di avvio 

a distruzione dovrà essere richiesta a chi provvede alla stessa una attestazione di avvenuta 

distruzione da inviare in copia ai medesimi Ministeri sopra indicati. (Art. 9, comma 6, D.M. 

3 ottobre 2001) 

SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA 

Centri autorizzati di raccolta dei 

clorofluorocarburi 

Semestrale 31 giugno 2003 

GALLERIE STRADALI: PROGRAMMA DI ILLUMINAZIONE 

Gli enti proprietari e concessionari di strade devono predisporre entro oggi il Programma 

di adeguamento degli impianti di illuminazione delle gallerie alle indicazioni contenute 

nelle istruzioni tecniche CIE 88-1990. (Art. 3, D.M. 5 giugno 2001) 


Enti proprietari e concessionari 

di strade 

- - 

TASSE E TARIFFE GRANDI IMPIANTI DI COMBUSTIONE 

Gli esercenti dei grandi impianti di combustione (GIC) ex direttiva 88/609/CEE (potenza 

termica pari o superiore a 50 MW, indipendentemente dal tipo di combustibile utilizzato e 

destinati alla produzione di energia, ad eccezione di quelli che utilizzano direttamente i 

prodotti di combustione in procedimenti di fabbricazione) devono versare a titolo di 

acconto la rata trimestrale della tassa sulle emissioni di anidride solforosa (SO 2) e di ossidi 

di azoto (NOx). Il congualgio andrà versato entro il 31 marzo del prossimo anno. In ipotesi 

di ritardato adempimento decorrerano l’identità di mora e gli interessi previsti dall’art. 3, 

comma 4, D.Lgs. n. 504/1996. Per l’omesso pagamento si applicano l’indennità di mora e gli 

interessi dovuti per il ritardo oltre che la sanzione amministrativa pecuniaria di una somma 

dal doppio al quadruplo della tassa dovuta. Per le inosservanze di diverso tipo si applica la 

sanzione amministrativa pecuniaria da euro 258,23 a euro 1549,37 (Art. 50, D.Lgs. n. 

504/1996). (Art. 17, commi 29-33, legge 27 dicembre 1997, n. 449) 


Esercenti dei grandi impianti di 

combustione (GIC) ex direttiva 

88/609/CEE sopra indicati 

RUBRICA 

OBBLIGHI, ADEMPIMENTI, SCADENZE 

a cura di Marco Fabrizio, avvocato in Roma 

SCADENZARIO 

Trimestrale 31 marzo 2003 

CARBON TAX: TASSE E TARIFFE 

Versamento dell’acconto dell’imposta sui consumi di carbone, coke da petrolio, bitume di 

origine naturale emulsionato con il 30% di acqua (orimulsion), impiegati negli impianti di 

combustione. Il versamento dovrà avvenire a cadenza trimestrale sulla base dei quantitativi 

impiegati nell’anno precedente, e dovrà essere seguito dal saldo da effettuarsi entro la fine del 

primo trimestre dell’anno successivo, con annessa presentazione di apposita dichiarazione annuale 

circa i dati dei quantitativi impiegati nell’anno precedente. Le somme eventualmente versate 

in eccedenza saranno detratte dal versamento della prima rata di acconto e, ove, necessario, 

dalle rate successive. In caso di cessazione dell’impianto nel corso dell’anno, la dichiarazione 

annuale e il versamento a saldo dovranno essere effettuati nei due mesi successivi. 


SCADENZARIO RUBRICA 

31 

DICEMBRE 

Per l’inosservanza dei termini sarà applicabile la sanzione amministrativa del pagamento di 

somma dal doppio al quadruplo dell’imposta dovuta, fermi restando i principi generali ex 

D.Lgs. n. 472/1997. Per ogni altro tipo di inosservanza sarà applicabile la sanzione amministrativa 

pecuniaria da euro 258,23 a euro 1549,37 (Art. 8, comma 9, legge n. 498/1998). (Art. 8, 

commi 5, 7 e 8, legge 23 dicembre 1998, n. 448) 


Esercenti impianti di combustione 

con utilizzo dei combustibili 

sopra indicati 

Trimestrale 31 marzo 2003 

COMUNICAZIONE PIANO SPOSTAMENTI CASA-LAVORO 

Le imprese e gli enti pubblici con singole unità locali con più di 300 dipendenti e le imprese 

con complessivamente più di 800 addetti ed ubicate nei comuni compresi nelle zone a 

rischio di inquinamento atmosferico, devono trasmettere al comune di appartenenza il 

Piano annuale degli spostamenti casa-lavoro del proprio personale dipendente. A tal fine 

dovrà essere individuato un responsabile della mobilità aziendale. Il Piano dovrà essere 

aggiornato con un rapporto annuale contente la descrizione delle misure adottate e dei 

risultati raggiunti. (Art. 3, D.M. 27 marzo 1998) 


Imprese ed enti pubblici con singole 

unità locali con più di 300 

dipendenti e imprese con complessivamente 

più di 800 addetti 

ed ubicate nei comuni compresi 

nelle zone a rischio di inquinamento 

atmosferico 

Annuale 31 dicembre 2003 

CONSULENTI PER LA SICUREZZA NEI TRASPORTI: RELAZIONE ANNUALE 

Scade il termine entro il quale il consulente sulla sicurezza nei trasporti ex D.Lgs. n. 40/2000 deve 

redigere la Relazione annuale sull’attività di impresa, indicando, tra l’altro, le eventuali modifiche 

procedurali ovvero strutturali necessarie per l’osservanza delle norme in materia di autotrasporto, 

di carico e scarico delle merci pericolose nonché per lo svolgimento delle attività di impresa in 

condizioni ottimali di sicurezza. (Art. 4, D.Lgs. 4 febbraio 2000, n. 40; circolare del Ministero dei 

Trasporti e della Navigazione 6 marzo 2000 n. U di GMOT n. A9 - prot. N. 513/4915/10) 


Consulenti per la sicurezza 

nei trasporti 


FANGHI DA AGRICOLTURA: INVIO DEI REGISTRI DI CARICO E SCARICO 

I produttori dei fanghi destinati all’agricoltura devono inviare entro oggi alla Regione di 

appartenenza una copia dei registri di carico e scarico contenenti le operazioni relative ai fanghi 

medesimi. I trasgressori potranno andare soggetti alla sanzione amministrativa pecuniaria della 

somma da euro 516,46 a euro 3098,74. (Art. 14, comma 2, D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 99) 


Produttori dei fanghi destinati 

all’agricoltura 


INVIO PROVVEDIMENTI REGIONALI PER LA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE 

Le Regioni e le province autonome devono informare il Ministero dell’Ambiente e della 

Tutela del territorio circa i provvedimenti adottati ed i procedimenti di valutazione di 

impatto ambientale in corso, unitamente allo stato di definizione delle cartografie e dei 

correlati strumenti informativi. (Art. 4, comma 4, D.P.R. 12 aprile 1996) 


Regioni e province autonome di 

Trento e Bolzano Annuale 31 dicembre 2003 


IN SINTESI 

Inserto 

RUBRICA 

SINTESI 

SENTENZE E COMMENTI ................................................................................................................................................. da pag. III 

Repertorio di giurisprudenza (II parte) - Ambiente&Sicurezza pubblica la seconda parte del repertorio di giurisprudenza 

(la prima parte è stata pubblicata sul n. 13/2002 di Ambiente&Sicurezza) che raccoglie i commenti di alcune delle più 

interessanti sentenze in materia di sicurezza e di ambiente emanate nel 2002. Tra i temi affrontati: l’obbligo di acquisto dei 

dispositivi speciali di correzione per i lavoratori che utilizzano i videoterminali (Corte di Giustizia delle comunità europee, 

sezione sesta, 24 ottobre 2002), l’accertamento giuridico del nesso causale nei reati colposi e, in particolare, rispetto 

all’attività del medico (Cassazione penale, sez. Unite, 11 settembre 2002, n. 30328) e la responsabilità “allargata” del datore- 

di lavoro per la tutela del lavoratore che operi con una macchina pericolosa (Cassazione civile, sez. lav. , 21 maggio 2002, n. 

7454). Per quanto riguarda l’ambiente, pronunce importanti sono state emanate riguardo le terre e rocce da scavo (Corte di 

Cassazione, sez. III penale, 12 luglio 2002, n. 26611), la natura finanziaria dell’obbligazione risarcitoria del danno patrimoniale, 

elemento oggettivo del reato di truffa nel diritto penale ambientale (Tribunale penale di Milano, sezione X, 20 maggio 

2002) e il sequestro preventivo come misura sanzionatoria sufficiente da adottare nel caso di un traliccio per trasmissioni 

radiofoniche abusivo (Corte di Cassazione, sezione III penale, 5 febbraio 2002, n. 4070). 

Igiene e sicurezza 

ARTICOLO ............................................................................................................................................................................ a pag. 14 

Abbattimenti controllati con esplosivi in aree antropizzate: autorizzazione, organizzazione ed esecuzione a 

regola d’arte - Nell’articolo è fornito un inquadramento legislativo e normativo ed è suggerito uno schema di approccio 

metodologico per lo svolgimento a regola d’arte di abbattimenti controllati con esplosivi in aree antropizzate. In Italia si 

lamenta la mancanza di specifiche indicazioni e norme per l’esecuzione di lavori con esplosivi. In carenza di specifici 

riferimenti legislativi accade, di frequente, che l’impiego di migliaia di chili di esplosivo sia autorizzato senza uno specifico 

progetto di esecuzione e di controllo. L’esperienza insegna, tuttavia, che da ciò spesso segue un elevato contenzioso 

giudiziario, talvolta anche danni irreparabili. Diviene, pertanto, necessario adottare riferimenti non specifici, ad esempio il 

D.Lgs. n. 626/1994, il D.Lgs. n. 624/1994 e il D.P.R. n. 547/1955, affrontando il lavoro con la buona pratica derivante dalla 

competenza e dall’esperienza. 

IGIENE DEL LAVORO 

ARTICOLO ............................................................................................................................................................................ a pag. 18 

Il fumo passivo negli ambienti di lavoro: la rilevanza penale - È sufficiente un fondato sospetto di pericolosità per 

fare scattare l’obbligo di prevenzione in capo al datore di lavoro. Infatti, sulla scorta dei generali principi di prudenza e di 

prevenzione che caratterizzano la materia come anche della giurisprudenza più accorta, il grado di evidenza scientifica 

della nocività di un qualsiasi fattore di rischio non deve essere particolarmente elevato. Ben diversa è la prova richiesta ai 

fini della responsabilità penale in caso di lesioni o morte del lavoratore a seguito dell’esposizione al fattore di rischio in 

questione, cioé il fumo passivo. La monografia n. 83 dell’International Agency of Research on Cancer sul fumo passivo e la 

circolare del Ministero della Sanità 28 marzo 2001, n. 4, sono disponibili al link “Fumo passivo: verso il divieto in tutti i 

locali aperti al pubblico” all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com/. 

SINTESI .................................................................................................................................................................................. a pag. 44 

Sostanze vietate a fini doping - Il decreto del Ministero della Salute 15 ottobre 2002 reca la lista delle 

sostanze e pratiche mediche il cui impiego è considero doping ai sensi dell’art. 1, legge n. 376/2000 (in S.O. n. 217 

alla Gazzetta Ufficiale del 27 novembre 2002, n. 278 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com) 

IGIENE DI ALIMENTI E BEVANDE 

SINTESI .................................................................................................................................................................................. a pag. 44 

Sicurezza alimentari. Bovini - Il decreto del Ministero della Salute 28 maggio 2002 prescrive, a carico dei fornitori di 

marche auricolari e già iscritti nell’apposito elenco di legge, il nuovo onere di presentare un’attestazione ufficiale in corso 

di validità rilasciata da istituti, organismi o centri di certificazione riconosciuti, nazionali o esteri, dalla quale risulti che, in 

base ad analisi e prove effettuate, le marche prodotte e commercializzate risultano conformi alle caratteristiche tecnicosanitarie 

di cui all’Allegato I, D.P.R. n. 437/2000 e succ. modd. 

SINTESI .................................................................................................................................................................................. a pag. 44 

Emergenza BSE - L’ordinanza 27 settembre 2002 proroga al 30 settembre 2003 il regime di gestione emergenziale 

definito dall’ordinanza del Ministro della Sanità 27 marzo 2001 e succ. modd., in materia di protezione contro le 

encefalopatie spongiformi trasmissibili. (in Gazzetta Ufficiale del 18 novembre 2002, n. 270) 


SINTESI RUBRICA 

RUMORE 

ARTICOLO.............................................................................................................................………………......................... a pag. 22 

La nuova edizione della norma UNI 9432 sul rumore per la determinazione del livello di esposizione personale - Nel 

mese di ottobre 2002 è stata pubblicata la nuova norma UNI 9432, «Acustica - Determinazione del livello di esposizione 

personale al rumore nell’ambiente di lavoro», che sostituisce l’edizione precedente del 1989, elaborata congiuntamente dalle 

Commissioni Acustica e Sicurezza dell’UNI. Questa revisione si è resa necessaria per accogliere tutti i chiarimenti e le innovazioni 

dopo più di dieci anni di applicazione del decreto legislativo del 15 agosto 1991, n. 277, che attraversa la normativa europea in 

materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro. 

SICUREZZA DEI TRASPORTI 

ARTICOLO.............................................................................................................………………......................................... a pag. 24 

Il quadro della normativa e le nuove disposizioni per la costruzione in sicurezza delle infrastrutture - Le norme 

riguardanti la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture stradali sono in continua evoluzione per effetto sia del 

processo di unificazione europea sia dell’evoluzione degli studi e delle ricerche. Di recente, l’attività normativa si è 

notevolmente incrementata anche per la maggiore sensibilità che si è sviluppata nel nostro Paese riguardo alla sicurezza 

della circolazione, stimolata dalla legge n. 144/1999 istitutiva del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale. Il decreto 5 

novembre 2001, «Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade», che si basa essenzialmente su uno studio 

coordinato dall’Università di Trieste approvato dalla Commissione di studio per le norme relative ai materiali stradali, 

progettazione, costruzione e manutenzione strade del CNR e, successivamente, dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, è 

improntato, soprattutto, al miglioramento della sicurezza della circolazione e introduce sostanziali modifiche rispetto alle 

precedenti norme del CNR. Il testo del decreto 5 novembre 2001 è disponibile al link “Sicurezza dei trasporti: le nuove 

norme geometriche per la costruzione delle strade” all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com/. 

ARTICOLO.............................................................................................................................………………......................... a pag. 34 

Dal CIPE i finanziamenti per il Programma di attuazione del Piano della Sicurezza Stradale - La somma non è 

molto elevata se si considera che i 130 milioni di euro del finanziamento dovranno essere suddivisi tra le Regioni, ma la 

decisione con cui lo scorso 29 novembre il CIPE ha stanziato questi fondi per il Piano Nazionale della Sicurezza Stradale è 

recepito dagli operatori del settore come un segnale della direzione intrapresa dal Governo per la lotta agli incidenti 

mortali sulle nostre strade. Le priorità del Piano Nazionale della Sicurezza vanno dalla messa in sicurezza delle strade 

extraurbane e urbane a massimo rischio alla manutenzione programmata della rete stradale. Il testo integrale della 

delibera CIPE 29 novembre 2002 è disponibile on-line all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com/. 

SICUREZZA DEL LAVORO 

COMMENTO.......................................................................................................……......................………......................... a pag. 36 

TESTO........................................................................................................…………............................................................. a pag. 41 

Soppressa l’emersione automatica del lavoro nero e prorogata al 15 maggio 2003 quella progressiva - Con la 

conversione con modifiche del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, per opera della legge 22 novembre 2002, n. 266, 

recante «Disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale» la 

disciplina sull’emersione del lavoro nero e della sanatoria degli illeciti in materia di sicurezza del lavoro è stata oggetto di un 

ulteriore processo di revisione, attraverso la soppressione dello strumento dell’emersione automatica e la revisione dell’istituto 

dell’emersione progressiva, ulteriormente prorogato al 15 maggio 2003 e con alcune importanti novità in materia di 

ispezioni e verifiche, controllo della procedura e appalti pubblici. (in Gazzetta Ufficiale del 23 novembre 2002, n. 275) 

Ambiente 

ACQUA 

ARTICOLO ............................................................................................................................................................................ a pag. 46 

Con il D.L. 11 novembre 2002, n. 251 Tribunali delle acque verso l’abolizione - I Tribunali delle acque pubbliche (1 

Tribunale superiore e 8 Tribunali regionali) sono istituzioni di risalenti al 1919, allorché si ritenne che le controversie in 

tema di acque richiedessero specifiche conoscenze ed esperienza, anche tecniche, tali da giustificare l’abbandono 

dell’ordinario criterio di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo e l’istituzione di un organo 

competente per materia. Da allora, evidentemente, il contesto giuridico-politico è radicalmente mutato, soprattutto nel 

periodo post-costituzionale, tanto che di recente è stata proposta l’abolizione di questi organi giurisdizionali. Tra le cause 

che hanno spinto il Legislatore a questa decisione rientrano, sicuramente, la confusione che da sempre ha caratterizzato 

la distinzione delle competenze del giudice specializzato da quelle degli altri organi giurisdizionali, tanto da richiedere, 

più volte, l’intervento interpretativo della Suprema Corte di Cassazione ma anche l’emanazione di sentenze o provvedimenti 

che hanno messo parzialmente messo in discussione, se non addirittura inficiato, l’utilità di questi tribunali 

particolari. In quest’ultimo caso, occorre ricordare che la “legge Galli” ha dichiarato la natura «pubblica» di «tutte le 

acque, superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo», con la conseguente abolizione della distinzione 

tra acque private e pubbliche. Più recenti sono le sentenze della Corte costituzionale 3 luglio 2002, n. 305 e 17 luglio 2002, 

n. 353, che, nel dichiarare incostituzionali alcuni articoli del D.L. n. 1775/1933, atto costitutivo dei Tribunali sulle acque, 

hanno conferito una forte instabilità al sistema giurisdizionale in materia di acque, imponendo al Legislatore una 

pluralità di interventi “correttivi” immediati e che rappresentassero un indice dell’inadeguatezza di queste strutture 


RUBRICA 

SINTESI 

rispetto alle nuove realtà ed esigenze giurisdizionali. Immediata conseguenza di tutto ciò è stato l’inserimento nel D.L. 11 

novembre 2002, n. 251, «Misure urgenti in materia di amministrazione della giustizia» (in Gazzetta Ufficiale del 12 

novembre 2002, n. 265), del Capo I «Abolizione dei tribunali regionali e del Tribunale superiore delle acque pubbliche». 

COMMENTO......................................................................................................................................................................... a pag. 56 

TESTO.................................................................................................................................................................................... a pag. 57 

Per l’allacciamento alla rete fognaria spese detraibili al 36% ai fini IRPEF - Il quesito di un privato che chiedeva se, 

come proprietario di villetta dotata di pozzo nero per far confluire le acque di scarico, potesse godere di una detrazione 

del 36%, ai fini Irpef, relativamente ai lavori di allacciamento alla rete pubblica costruita dal comune, ha ottenuto parere 

positivo dall’Agenzia delle Entrate. In particolare, la risposta è contenuta nella risoluzione 11 novembre 2002, n. 350/E,la 

cui breve analisi offre lo spunto per una sintetica analisi della problematica igienico-sanitaria, alla luce del D.Lgs. n. 

152/1999 come successivamente integrato e modificato dal D.Lgs. n. 258/2000. Le “acque reflue domestiche”, eventualmente 

unite ad acque reflue industriali e meteoriche di dilavamento, diventano “acque reflue urbane” quando sono 

convogliate in rete fognaria e provengono da agglomerato che, se presenta almeno 2000 abitanti equivalenti, deve o 

dovrà essere necessariamente provvisto di reti fognarie atte a raccogliere le acque reflue urbane, secondo le modalità e la 

sequenza temporale prevista nell’art. 27, D.Lgs. n. 152/1999, entro il 31 dicembre 2005. È bene, così, ricordare, ad 

esempio, che le “acque reflue domestiche”, eventualmente unite ad acque reflue industriali e meteoriche di dilavamento, 

diventano “acque reflue urbane” quando sono convogliate in rete fognaria e provengono da agglomerato; inoltre, 

spetta alle Regioni individuare, laddove non sia presente la rete fognaria pubblica, sistemi individuali di trattamento o 

altri sistemi pubblici o privati adeguati per gli scarichi degli insediamenti o degli edifici isolati. In ogni caso, anche se la 

soluzione più frequente è la fossa settica, quando questi tipi di insediamenti sono raggiunti dalla pubblica fognatura, si 

presenta l’opportunità di allacciamento, che gode, come detto, della detraibilità al 36% ai fini IRPEF. 

ARIA 

SINTESI .................................................................................................................................................................................. a pag. 84 

Inquinamento atmosferico - Il decreto del Ministero dell’Ambiente e Tutela del territorio 1˚ ottobre 2002, n. 261 definisce le 

norme tecniche sulla cui base le Regioni e le Province autonome dovranno effettuare, ove non disponibili, misure rappresentative 

per la valutazione preliminare della qualità dell’aria ambiente con la relativa zonizzazione del proprio territorio (in 

Gazzetta Ufficiale del 20 novembre 2002, n. 272 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com) 

FINANZIAMENTI 

SINTESI .................................................................................................................................................................................. a pag. 85 

Agenzie ambientali - Il decreto del Ministero dell’Ambiente e Tutela del territorio 11 ottobre 2002 reca le modalità di 

ripartizione e di erogazione dei fondi di cui all’art. 2, legge n. 93/2001, finalizzati ad assicurare sull’intero territorio 

nazionale il più efficace espletamento delle funzioni dell’ANPA, sino all’effettiva operatività dell’APAT e, in particolare, 

di quelle di indirizzo e coordinamento tecnico delle Agenzie regionali e provinciali secondo i criteri all’uopo definiti (in 

Gazzetta Ufficiale del 19 novembre 2002, n. 271 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com) 

RIFIUTI 

ARTICOLO............................................................................................................................................................................. a pag. 59 

In assenza di un provvedimento “cogente” restano valide le attività di recupero in esercizio - La questione 

dell’“aggiornamento” delle attività di recupero dei rifiuti secondo il nuovo CER, come dettato dalla decisione comunitaria 

n. 2000/532/CE e succ. modd., ha coinvolto gli operatori sia per quanto riguarda le normali richieste di autorizzazioni 

sia per le cosiddette comunicazioni con le quali avviare le procedure semplificate ex artt. 31, 32 e 33, D.Lgs. n. 22/1997. Ma 

mentre il primo aspetto è stato sufficientemente coperto dall’art. 1, comma 15, legge “Obiettivo”, la seconda questione è 

rimasta aperta, tanto da spingere qualche Regione (ad es. la Lombardia) a sopperire, con provvedimenti ad hoc, a questa 

lacuna interpretativa. L’articolo, attraverso l’analisi delle disposizioni della legge n. 443/2001 ma anche della validità e 

dell’efficacia delle decisioni comunitarie per gli Stati membri nonché della natura giuridica di un provvedimento quale la 

direttiva ministeriale con il quale è stato trasposto nell’ordinamento italiano il nuovo CER, chiarisce che le comunicazioni 

per le procedure semplificate non dovevano (e non devono) essere rinnovate in mancanza di un provvedimento statale in 

grado di fissare gli obblighi in relazione al nuovo codice CER. 

COMMENTO......................................................................................................................................................................... a pag. 66 

TESTI.................................................................................................................................................................................... da pag. 67 

Per la rateizzazione dei pagamenti TARSU carta bianca ai comuni su numero e periodicità - Sul numero delle rate 

TARSU fa testo il regolamento adottato a monte dal comune, che eventualmente può prevedere una riduzione del a due 

o a tre, sulla base del quale un funzionario responsabile, alla luce delle obiettive e comprovate esigenze finanziarie 

dell’ente, deciderà per la riduzione delle scadenze, determinandone concretamente il numero, nell’ambito dello spazio 

di manovra concesso dal regolamento stesso. È quanto emerge dalla lettura della circolare del Dipartimento delle 

Politiche Fiscali - Capo del Dipartimento delle Politiche Fiscali 25 giugno 2001, prot. 17132, ripresa dalla circolare 

Direzione regionale delle Entrate Puglia 24 luglio 2001, prot. 37410, che sintetizzano quanto stabilito da una quadro 

legislativo più ampio che comprende l’articolo 72, comma 3, D.Lgs. n. 507/1993, in base al quale la riscossione ordinaria 

della tassa avviene in quattro rate bimestrali, con possibilità di riduzione a due, previa autorizzazione dell’ex Intendenza 

di Finanza, oggi Direzione Regionale per le Entrate, e l’art. 52, D.Lgs. 446/1997, con il quale gli enti locali sono stati dotati 


SINTESI RUBRICA 

di ampi poteri regolamentari in ordine alla disciplina delle entrate proprie. Il D.Lgs. n. 193/2001, infine, ha completato 

l’opera, sostanzialmente liberalizzando non il numero delle rate, ma la cadenza (mensile, bimestrale, eccetera) delle 

stesse. L’amministrazione comunale, pertanto, può non solo deliberare il numero delle scadenze di pagamento della 

TARSU ma anche la periodicità delle stesse, come appunto chiarito dall’Agenzia delle Entrate e dalla DRE Puglia. 

SINTESI .................................................................................................................................................................................. a pag. 84 

Recupero di rifiuti pericolosi - La decisione della Commissione 13 novembre 2002, n. 2002/909/CE è rivolta allo Stato 

italiano e contiene l’approvazione delle disposizioni del progetto di decreto, trasmesso dall’Italia alla Commissione 

europea in data 1˚ dicembre 1999 e modificato il 17 novembre 2000, in materia di attuazione dell’art. 33, D.Lgs. n. 

22/1997, circa le procedure di recupero dei rifiuti pericolosi (in G.U.C.E. L del 19 novembre 2002, n. 315 e all’indirizzo 

http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com) 

RUMORE 

ARTICOLO ............................................................................................................................................................................ a pag. 68 

Emissioni acustiche più controllate per macchine e attrezzature destinate all’aperto - Protezione dei consumatori, 

salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente ma anche protezione della salute umana, utilizzazione 

accorta e razionale delle risorse naturali e promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi 

dell’ambiente a livello regionale o mondiale. Queste motivazioni, non a caso tra gli obiettivi strategici del Trattato istitutivo 

della Comunità Europea, caratterizzano la direttiva 2000/14/CE «concernente l’emissione acustica ambientale delle macchine 

ed attrezzature destinate a funzionare all’aperto». Tale provvedimento è stato ora recepito nel nostro ordinamento con 

il D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 262 (pubblicato nel S.O. n. 214 alla Gazzetta Ufficiale del 20 novembre 2002, n. 272), che si 

applica alle macchine immesse in commercio o messe in servizio come unità complete per l’uso previsto a decorrere 

dall’entrata in vigore del decreto legislativo stesso e alle attrezzature contemplate nel D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459, che siano 

destinate al funzionamento all’aperto e contribuiscano all’esposizione al rumore ambientale. Rientrano anche le macchine 

e attrezzature che non siano poste direttamente all’aperto ma in luoghi che non influiscono sulla trasmissione del suono, 

vale a dire all’interno di strutture aperte degli edifici oppure sotto tendoni o tettoie di riparo. Novità in vista anche per le 

responsabilità e gli obblighi (con riferimento particolare alla dichiarazione CE di conformità), i divieti, le sanzioni ma anche 

sugli organismi preposti ai controlli riconducibili all’APAT e al Ministero dell’Ambiente, che può autorizzare gli organismi di 

certificazione che ne facciano richiesta a verificare la conformità delle macchine alle nuove misure. Il testo del D.Lgs. n. 

262/2002, verrà pubblicato integralmente insieme a ulteriori commenti sui prossimi numeri di Ambiente&Sicurezza. 

VIA 

ARTICOLO............................................................................................................................................................................. a pag. 74 

Dalla VIA all’approvvigionamento idrico, il collegato infrastrutture si tinge di verde - Da una lettura in 

controluce della legge 1˚ agosto 2002, n. 166 «Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti» (il cosiddetto 

“collegato infrastrutture” alla Finanziaria 2002), emergono forti valenze ambientali riferite, in particolare, alla legge 

obiettivo per le opere di interesse strategico per il Paese (legge n. 443/2001) e alla legge quadro sui lavori pubblici (legge 

n. 109/1994). Sul primo provvedimento, il Legislatore ha modificato le procedure per la valutazione di impatto ambientale 

(VIA) e l’autorizzazione integrata ambientale, già interessate dall’art. 1, comma 2, legge n. 443/2001, che delegava il 

Governo a emanare, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni, uno o più decreti legislativi volti a definire 

un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del 

comma 1. Le modifiche apportate dal collegato “infrastrutture”, riguardano i criteri direttivi per la costruzione del 

regime speciale in deroga alla legge quadro sui lavori pubblici, assicurando nuovamente che lo svolgimento della 

procedura di valutazione di impatto ambientale sia condotta nelle forme previste dalla legislazione nazionale, riconoscendone 

la necessità inderogabile e la competenza esclusiva del Ministero dell’Ambiente. Un’altra novità riguarda i servizi 

pubblici locali “verdi”, prescrivendo l’obbligatorietà della prevista intesa con la Conferenza Unificata Stato-Regioni in 

accoglimento delle eccezioni sollevate anche in sede giurisprudenziale riguardo la necessaria approvazione da parte 

degli enti interessati dei progetti delle infrastrutture che verranno realizzate sul rispettivo territorio. Per effetto delle 

variazioni alla “legge Merloni”, invece, si intendono per lavori pubblici, se affidati dai soggetti di cui all’art. 2, comma 2, 

legge n. 109/1994, le attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro e manutenzione di opere e 

impianti, anche di presidio e difesa ambientale e di ingegneria naturalistica; inoltre, in situazioni di emergenza ambientale, 

al fine di accelerare la realizzazione di infrastrutture di trasporto, viabilità e parcheggi, tese a migliorare la qualità 

dell’aria e dell’ambiente nelle città, l’approvazione dei progetti definitivi da parte del consiglio comunale costituisce 

variante urbanistica a tutti gli effetti. Altre variazioni riguardano la compensazione ambientale sul sistema stradale, gli 

interventi in materia di mobilità ciclistica, la tutela di Venezia e del fiume Po, i programmi di riabilitazione urbana, le 

disposizioni in materia di servitù e lo studio di fattibilità e il programma triennale dei lavori pubblici. 

Dalle Regioni 

SINTESI .................................................................................................................................................................................. a pag. 88 

Rassegna di delibere e leggi regionali - Tra i principali provvedimenti regionali selezionati dai Bollettini Ufficiali del 

mese di novembre 2002, si segnalano la delibera della Regione Veneto n. 2774/2002 per la diffusione della qualità nelle 

PMI per il 2002, la L.R. Molise n. 35/2002 sull’eliminazione delle barriere architettoniche, la L.R. Friuli Venezia-Giulia n. 

44/2002 sui consorzi di bonifica e sul consumo idrico, i contributi per i veicoli a bassa emissione di cui alla delibera della 

Giunta Regionale lombarda n. 7/10862 e la L.R. Marche n. 23/2002 sulla difesa del suolo. 


ANTINCENDIO 

Articolo 

di Roberto Folchi, ingegnere, Nitrex, Luigi Minicillo, ingegnere e dirigente Servizio di Polizia Mineraria-Assessorato 

Attività Produttive della Regione Lazio, Francesco Retacchi, ingegnere e dirigente 

dell’Ufficio Sicurezza Mineraria del Ministero delle Attività produttive, Direzione Generale dell’Energia 

e delle Risorse Minerarie e componente della Commissione Consultiva Centrale Controllo Armi per le 

funzioni consultive in materia di sostanze esplosive ed infiammabili del Ministero dell’Interno 

Nel presente articolo viene illustrato 

un inquadramento legislativo 

e normativo e suggerito 

uno schema di approccio 

metodologico per lo svolgimento 

a regola d’arte, di abbattimenti 

controllati con 

esplosivi in aree antropizzate. 

La mancanza di specifiche indicazioni 

e norme per l’esecuzione 

di lavori con esplosivi 

assume rilevanza qualora si 

operi a ridosso o entro aree antropizzate, 

là dove eventuali 

errori di esecuzione potrebbero 

avere conseguenze gravi e 

irreparabili. In carenza di specifici 

riferimenti legislativi accade, 

infatti,di frequente, che 

l’impiego di migliaia di chili di 

esplosivo sia autorizzato senza 

uno specifico progetto di esecuzione 

e di controllo. 

Diviene pertanto necessario 

adottare riferimenti non specifici, 

ad esempio il D.Lgs. 

n. 626/1994 , il D.Lgs. n. 624/ 

1994 e il D.P.R. n. 547/1955 affrontando 

il lavoro con la buona 

pratica derivante dalla competenza 

e dall’esperienza. 

IGIENE E SICUREZZA 

In Italia mancano norme e linee guida specifiche sull’utilizzo degli esplosivi 

Autorizzazione, organizzazione ed esecuzione a regola d’arte 

degli abba timenti contro lati in aree antropizzate 

La sempre minore disponibilità 

di spazi nel nostro Paese impone, 

con crescente frequenza, la 

necessità di eseguire scavi in roccia 

a ridosso o addirittura entro aree 

antropizzate: sottopassi in galleria, 

trincee stradali e ferroviarie, trincee 

per posa di condutture, costruzione 

di serbatoi idraulici in sotterraneo, 

costruzioni di rimesse o depositi in 

sotterraneo, attività estrattive a cielo 

aperto ed in sotterraneo, ecc. 

A tal fine l’impiego di esplosivi 

diviene necessario, sia per questioni 

economiche (costo e tempo di esecuzione 

dell’opera) sia per ragioni di 

sicurezza (fasi di rischio contenute 

in un ristretto intervallo temporale e 

con gli operatori a distanza), con 

notevoli benefici diretti sia al livello 

sociale che ambientale. 

Senz’altro è necessario che questi 

lavori siano eseguiti a regola 

d’arte ovvero che gli “effetti indesiderati” 

indotti all’intorno (vibrazioni, 

lancio di frammenti d’abbattuto, 

rilascio tossico, ecc.) siano contenuti 

entro limiti di tollerabilità e di 

sicurezza per le persone e per le 

strutture artificiali e naturali viciniori 

(abitazioni, manufatti ed impianti 

industriali, scarpate). 

Il contesto legislativo 

e normativo 

La materia è regolamentata da 

copiosa legislazione, generalmente 

datata, che ha subito nel tempo modifiche 

ed aggiornamenti per l’adattamento 

alle esigenze derivanti dal- 

l’immissione sul mercato di nuovi 

prodotti esplodenti ed alle nuove tecnologie 

di impiego e di commercializzazione 

(tra l’altro, si veda la direttiva 

comunitaria 93/15). 

Questa legislazione, sebbene 

senz’altro valida nei principi generali, 

dimostra alcune lacune e limitazioni, 

accentuate dal rapido progresso 

che la tecnica dell’uso degli 

esplosivi, e la tecnologia collegata, 

hanno compiuto soprattutto nell’ultimo 

decennio. 

La conoscenza di tale legislazione 

è comunque indispensabile sia 

per un corretto uso degli esplosivi 

nei settori di impiego edile, stradale, 

minerario ecc., sia per un’efficace 

attività di controllo e vigilanza. 

Possono essere individuati due 

settori: 

l produzione, commercializzazione, 

trasporto e impiego degli esplosivi 

ai fini della sicurezza pubblica e 

della lotta al terrorismo: 

- «Testo Unico delle leggi di Pubblica 

Sicurezza» (TULPS), R.D. 18 

giugno 1931, n. 773; 

- «Regolamento per l’esecuzione 

del Testo Unico 18/06/31 n. 773 delle 

leggi di Pubblica Sicurezza», 

R.D. 6 maggio 1940, n. 635 e successive 

modificazioni; 

- «Norme per il rilascio dell’idoneità 

di prodotti esplodenti ed accessori 

di tiro all’impiego estrattivo, ai 

sensi dell’art. 687 del D.P.R. 

128/59», decreto del Ministero dell’Industria 

1˚ luglio 1997; 

l prevenzione degli infortuni, so- 


prattutto in materia di miniere e cave, 

settori nei quali sono impiegati i 

maggiori volumi di esplosivi: 

- «Prevenzione degli infortuni 

nella produzione e nell’impiego degli 

esplosivi», D.P.R. 19 marzo 

1956, n. 302; 

- «Prevenzione degli infortuni ed 

igiene dei lavori in sotterraneo», 

D.P.R. 20 marzo 1956, n. 230; 

- «Norme di Polizia Mineraria», 

D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128; 

- «Attuazione delle direttive 

92/91/CEE e 92/104/CEE riguardanti 

il miglioramento della salute 

e della sicurezza dei lavoratori nelle 

industrie estrattive», D.Lgs. 25 

novembre 1996, n. 624. 

l A questi due corpi legislativi si 

sono recentemente sovrapposti i: 

- D.Lgs. 2 gennaio 1997, n. 7, 

emanato in recepimento della direttiva 

93/15/CEE sopra citata, «Armonizzazione 

delle disposizioni in materia 

di immissione sul mercato e 

controllo degli esplosivi per uso civile», 

decreto che ha profondamente 

innovato la materia degli esplosivi e 

ha costretto l’Amministrazione ad 

avviare un processo, attualmente in 

corso, di adeguamento delle precedenti 

normative; 

- D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334, 

«Attuazione della direttiva 96/82/ CE 

relativa al controllo dei pericoli di 

incidenti rilevanti connessi con determinate 

sostanze pericolose», la cosiddetta 

Seveso bis, nella quale si introducono 

due concetti innovativi ovvero 

quello dell’approccio deterministico e 

probabilistico per la stima delle conseguenze 

di un’esplosione accidentale e 

quello del trasferimento dallo Stato 

all’imprenditore, della definizione e 

della quantificazione degli effetti indotti 

all’intorno e delle relative distanze 

di sicurezza. 

Altri riferimenti normativi utilizzati 

sono: 

- la norma UNI 9614, «Misura delle 

vibrazioni negli edifici e criteri di 

valutazione del disturbo»; 

- la norma UNI 9916, «Criteri di 

misura e valutazione degli effetti delle 

vibrazioni sugli edifici»; 


- la norma DIN 4150, parte terza, 

«Le vibrazioni nelle costruzioni: effetti 

sui manufatti». 

L’iter autorizzativo 

L’impresa esecutrice dei lavori deve 

richiedere, al Prefetto, un’autorizzazione, 

o licenza, per il trasporto degli 

esplosivi. Nella domanda 

il titolare 

dell’impresa deve 

fornire una descrizione 

del lavoro. 

Deve, inoltre, con 

riferimento alla 

classificazione del 

regolamento al 

TULPS, indicare 

il tipo di esplosivo, 

le quantità totali 

e giornaliere da 

impiegare. 

Alla domanda 

risulta opportuno 

allegare una accurata 

relazione tecnica 

con progetto d’abbattimento controllato 

e di monitoraggio (come nel 

seguito specificato). È proprio la mancanza 

di un progetto che determina 

motivi di perplessità e di preoccupazione 

da parte delle Autorità preposte 

al rilascio dell’autorizzazione. 

Il Prefetto, dopo avere consultato 

i propri esperti (la CTPE, 

“Commissione Tecnica Provinciale 

per gli Esplosivi”, ex art. 89, Regolamento 

TULPS), rilascia l’autorizzazione 

all’uso ed al trasporto dell’esplosivo. 

In mancanza di una 

CTPE e/o per lavori di una certa 

importanza, il Prefetto può avvalersi 

della consulenza tecnica degli Organi 

di Stato preposti ovvero del 

Servizio di Sicurezza Mineraria del 

Ministero delle Attività produttive, 

dei Distretti Minerari, degli Uffici 

Minerari Provinciali, di esperti di 

fiducia dell’Amministrazione. 

Prescrizioni cautelative, integrative 

a quelle riportate nel progetto 

d’abbattimento con esplosivi, possono 

essere emanate con ordinanza 

della autorità locale di Polizia di 

Stato (ai sensi dell’art. 3, capo V, 

Il progetto 

di abbattimento 

dovrebbe essere redatto 

e firmato da un tecnico 

con esperienza e iscritto 

all’Albo professionale. 

Il progettista dovrebbe 

espletare anche 

la mansione di direttore 

dei lavori da mina. 

ANTINCENDIO 

Articolo 

all. B, R.D. 6 maggio 1940, n. 635). 

Un parere negativo, in merito alla 

fattibilità dell’abbattimento con 

esplosivi viene espresso solo qualora 

dagli atti trasmessi e, se nel caso 

da un sopralluogo, non dovessero 

essere rilevate sufficienti garanzie 

per la sicurezza e la salute pubblica 

ovvero per la salvaguardia 

della integrità 

dei manufatti 

all’intorno. 

Ottenuta l’autorizzazione,l’impresa 

deve comunicare 

alla locale 

Autorità di Polizia 

di Stato (Sindaco, 

Commissariato, 

Questura, Comando 

dei Carabinieri) 

le date in cui il 

lavoro sarà eseguito, 

il “preventivo 

avviso di sparo mine”. 

Normalmente queste pratiche richiedono 

circa un mese. 

Il progetto di abbattimento 

Per il controllo degli effetti indotti 

all’intorno dall’esplosivo, 

ovvero per l’esecuzione di un 

“abbattimento controllato con 

esplosivi”, sono necessarie specifiche 

tecniche, competenza ed 

esperienza. 

Il progetto dovrebbe essere redatto 

e firmato da un tecnico di 

comprovata esperienza nel settore 

ed iscritto ad Albo professionale. 

Le qualifiche e le referenze del 

progettista dovrebbero essere eventualmente 

allegate alla relazione 

tecnica. 

Sarebbe opportuno che il progettista 

espletasse anche le mansioni di 

Direttore dei Lavori da mina, assumendosi 

altresì la responsabilità dell’esecuzione. 

Nel progetto dovrebbero essere 

affrontate, in modo dettagliato ed 

esauriente, le problematiche relative 

alla sicurezza delle persone e dei 

manufatti all’intorno. 


ANTINCENDIO 

Articolo 

Le fasi del progetto 

di abbattimento 

In particolare il progetto dovrebbe 

essere sviluppato attraverso le seguenti 

fasi: 

l caratterizzazione del contesto socio-urbanistico 

entro il quale saranno 

eseguiti i lavori; 

l indicazione delle soggezioni per 

l’esecuzione dei lavori (presenza di 

forti elettromagnetici per antenne o 

linee elettriche, presenza di cavidotti, 

di condutture per gas o combustibili, 

di impianti sensibili alle vibrazioni 

quali strumentazioni di analisi, 

turbine, ecc., scarpate in condizioni 

di equilibrio precario, ecc.); 

l caratterizzazione geologica e geotecnica 

(approfondendo gli aspetti rilevanti 

ai fini della sicurezza sismica); 

l caratterizzazione sismica; 

l descrizione del lavoro da svolgere 

(con eventuali rimandi a documentazione 

progettuale approvata, documentazione 

di gara, perizie, ecc.); 

l descrizione dei manufatti e degli 

impianti da salvaguardare; 

l indicazione dell’approccio che si 

intende seguire per la quantificazione 

degli effetti indotti all’intorno, 

delle normative e dei valori limite a 

cui sarà fatto riferimento; 

l sistemi di protezione per il lancio 

di frammenti d’abbattuto; 

l sistemi di contenimento delle vibrazioni; 

l sistemi di contenimento dell’onda 

di sovrappressione aerea; 

l eventuale analisi di stabilità dinamica 

delle strutture all’intorno; 

l quantificazione degli effetti indotti 

all’intorno dall’esecuzione dei lavori 

con esplosivi; 

l indicazione delle attività da seguire 

affinché siano garantite, in modo 

rigoroso, condizioni di tollerabilità e 

sicurezza per il personale addetto ai 

lavori, per i manufatti e gli impianti 

entro l’area dello stabilimento, per le 

persone ed i manufatti all’esterno; 

l piano di monitoraggio strumentale 

con descrizione delle caratteristiche 

tecniche del sistema di misura 

che sarà impiantato; 

l schema di brillamento della volata 


(piani di tiro), con disegni e tabelle di 

caricamento ed indicazione della successione 

d’innesco della cariche; 

l verifica del circuito di tiro, sia 

esso elettrico che non elettrico; 

l schede di dati di sicurezza degli 

esplosivi e dei detonatori che saranno 

impiegati. 

Attività preliminari 

all’avvio dei lavori da mina 

In fase preliminare sarebbe necessario 

riportare su cartografia, 1:1.000 

o 1:2.000, l’ubicazione dei manufatti 

e degli impianti all’intorno dell’area 

di lavoro, allegando un quaderno dove 

per ciascuno è riportata una o più 

foto ed una descrizione della tipologia, 

le condizioni di manutenzione ed 

eventuali caratteristiche peculiari (ad 

esempio, particolari architettonici o 

strutturali particolarmente sensibili alle 

vibrazioni, ecc.). 

In casi particolari potrebbe addirittura 

essere effettuato uno stato di 

consistenza. 

Talvolta può essere opportuna 

l’esecuzione di volate di prova per 

la messa a punto del modello di 

volata proposto in fase di progetto. 

Il controllo strumentale 

delle onde sismiche 

Per verificare che i valori di riferimento 

adottati siano rispettati è necessario 

effettuare il controllo strumentale 

continuativo delle onde sismiche. 

La buona norma suggerisce 

di effettuare tale monitoraggio continuativo 

per 24 ore al giorno e 7 

giorni a settimana, in modo da registrare 

anche eventuali livelli di sismicità 

ambientale (passaggio di automezzi, 

microsismi, ecc.). 

Per la misura delle vibrazioni sono 

utilizzati estensimetri, velocimetri 

o accelerometri. 

Per la misura dell’onda di pressione 

aerea sono utilizzati trasduttori di pressione. 

Per il lancio di frammenti d’abbattuto 

videocamere ad alta velocità. 

Necessaria risulta la redazione di 

un rapporto conclusivo sul monitoraggio 

sulle misure effettuate. Anche importante 

è la certificazione di calibra- 

zione dei trasduttori e dell’unità di registrazione 

nonché il certificato di conformità 

alla normativa di riferimento, 

del sistema di misura impiegato. 

Le misurazioni dovranno essere effettuate 

in un numero sufficiente di 

punti, con trasduttori di idonee caratteristiche, 

in modo da non alterare in 

modo significativo il fenomeno misurato. 

Nel caso in cui ciò non dovesse 

essere ragionevolmente possibile, la 

stazione di misura dovrà essere caratterizzata 

ed il condizionamento compensato 

mediante analisi dinamica. 

Per stabilire mediante interpolazione, 

anche i valori delle vibrazioni indotte 

in punti diversi da quelli di misura, 

il monitoraggio delle vibrazioni dovrebbe 

essere effettuato almeno in 

due punti di misura triassiali (misura 

della componente verticale, orizzontale 

trasversale e longitudinale). 

Per consentire la verifica indiretta 

della distanza del punto di misura dalla 

volata dovrà essere effettuata sempre 

anche la misura del primo arrivo 

dell’onda di sovrappressione aerea. 

Le misure, restituite su carta e 

conservate presso il cantiere, dovranno 

essere a disposizione degli 

Enti e delle Amministrazioni addette 

al controllo dei lavori. I dati di 

sintesi di ciascuna misura dovranno 

essere riportati su una tabella riepilogativa 

nella quale saranno pure riportati 

dati della relativa volata. 

La comunicazione 

e le relazioni pubbliche 

Una buona informazione delle attività 

svolte e delle precauzioni adottate 

aiuta a ridurre sensibilmente il 

contenzioso. 

Quella degli esplosivi è una pratica 

poco diffusa e poco conosciuta. 

L’esperienza insegna che vibrazioni 

e rumore indotti dall’impiego di 

esplosivi, anche se di ampiezza inferiore 

a quelli indotti dal traffico veicolare 

o da impianti industriali, sono 

considerate più pericolose. 

Informare la popolazione all’intorno 

sui lavori da effettuare, spiegare in 

modo semplice a quali normative è 

stato fatto riferimento, quali precau- 


zioni sono state prese e quali controlli 

saranno effettuati, senz’altro riduce 

sensibilmente il contenzioso. 

Il segnale di preavviso, 

e di cessato pericolo 

Particolarmente opportune risultano 

le segnalazioni acustiche d’avvertimento 

dell’imminente brillamento 

delle mine. Nel corso di numerosi 

lavori, condotti in centri urbani, 

è stata messa a punto la procedura 

che nel seguito viene descritta. 

Il collegamento del circuito di tiro 

all’esploditore deve essere l’ultima 

operazione prima del brillamento della 

volata e deve essere effettuato solamente 

dopo il nulla osta del responsabile 

dello sgombero. Il collegamento 

del circuito di tiro all’esploditore viene 

seguito da un primo lungo fischio 

di sirena (preavviso di brillamento mine). 

Effettuato il collegamento del circuito 

elettrico all’esploditore il responsabile 

del brillamento ne darà comuni- 


cazione al responsabile dello sgombero 

il quale confermerà il nulla osta e 

suonerà un secondo lungo fischio di 

sirena (segnale di sparo mine). Il brillamento 

della volata deve essere effettuato 

qualche secondo dopo e durante 

il secondo fischio di sirena. Normalmente 

la popolazione all’intorno rileva 

disagio al “colpo” dell’esplosione. 

Da numerose interviste è risultato che 

tale disagio è provocato non tanto dall’intensità 

del colpo quanto dal fatto 

che questo arriva all’improvviso, inatteso. 

Un fischio di sirena immediatamente 

prima, e durante il brillamento 

della volata, riduce considerevolmente 

il disagio in quanto mette in stato di 

preallerta per l’improvviso rombo 

d’esplosione. 

Una terza segnalazione acustica 

(ad esempio tre corti fischi di sirena) 

segnaleranno il cessato pericolo. 

Tale procedura potrebbe essere 

spiegata verbalmente e comunicata al- 

ANTINCENDIO 

Articolo 

la popolazione all’intorno, mediante 

volantini affissi qualche giorno prima. 

La copertura assicurativa 

dei lavori 

Opportuna pare la presentazione 

di una polizza assicurativa per rischi 

professionali da parte del progettista 

e responsabilità civile terzi 

(RCT) da parte della ditta. 

Tutte le imprese di costruzioni e 

minerarie hanno una polizza RCT 

ma, talvolta, la specificità del lavoro 

da eseguire, richiede una polizza ad 

hoc. 

Per una corretta impostazione della 

polizza, risulta quanto mai opportuno 

rivolgersi ad una primaria compagnia 

d’assicurazioni. Accade che per 

mancanza di esperienza, i periti sovrastimino 

l’entità dei rischi e propongano 

polizze con un premio molto superiore 

a quello che invece compagnie, 

con esperienza nel settore, non richiedono. 

l 



Articolo 

di Giovanni Lageard, avvocato in Torino 

In occasione della pubblicazione 

della monografia IARC n. 

83, “Tobacco Smoke and Involuntary 

Smoking”, Ambiente& 

Sicurezza affronta il problema 

del fumo passivo in una serie 

di articoli. Il primo approfondimento 

di carattere introduttivo 

è stato pubblicato sul n. 

22/2002 della rivista (pag. 78). 

Il presente articolo indaga, invece, 

la necessità di fornire la 

prova ai fini della responsabilità 

penale in caso di lesioni o 

morte del lavoratore a seguito 

dell’esposizione al fattore di rischio; 

in questo caso il fumo 

passivo. La Suprema Corte ha, 

infatti, stabilito la necessità 

della prova scientifica del nesso 

di causa tra esposizione ed 

evento. Nei prossimi contributi 

si fornirà una panoramica delle 

recenti sentenze sul tema e 

si illustreranno gli obblighi del 

datore di lavoro. 


La sola indicazione di cancerogenicità non dimostra l’origine professionale del tumore 

Il fumo passivo negli ambienti di lavoro: 

la rilevanza penale di un rischio recente 

La monografia n. 83 dell’International Agency for Research 

on Cancer sul fumo passivo e la circolare del Ministero 

della Sanità 28 marzo 2001, n. 4, sono disponibili 

al link “Fumo passivo: verso il divieto in tutti i locali 

aperti al pubblico” all’indirizzo 

Una corretta impostazione del 

problema del fumo passivo 

negli ambienti di lavoro, e 

non, deve necessariamente tenere in 

considerazione i risvolti di carattere 

scientifico sulla nocività dell’esposizione 

a fumo e sui possibili effetti 

da esso provocati. 

Negli ultimi vent’anni si sono registrati 

importanti contributi di studiosi 

che, pur con tutte le riserve 

che possono essere avanzate circa 

l’attendibilità dei risultati, hanno 

evidenziato un rischio per l’insorgenza 

di alcune patologie, da parte 

del non fumatore esposto al fumo 

altrui. 

Vediamo quindi che cosa si intende 

per fumo passivo. 

Si può definire “fumo passivo”, 

o “fumo di seconda mano”, “fumo 

ambiente”, “fumo di tabacco nell’ambiente” 

(ETS), l’inalazione di 

fumo di tabacco veicolato nell’aria. 

L’ETS è composto da: 

a) fumo cosiddetto indiretto o laterale 

(sidestream) che è quello che 

deriva dalla combustione del tabacco 

tra una boccata e l’altra e dal 

fumo espirato dal fumatore attivo; 

b) fumo cosidetto diretto o centrale 

(mainstream) cioè quello generato 

dal fumatore durante le boccate. 

Circa l’85/90% del fumo ambien- 

tale è costituito dalla quota di sidestream. 

Ricerche di chimica analitica hanno 

dimostrato che, nel fumo laterale, 

alcune sostanze irritative, ossidanti 

e cancerogene sono presenti in 

concentrazione superiore rispetto al 

mainstream. 

L’ETS nel suo complesso rappresenta 

una miscela di composti chimici 

a potenzialità tossica, cancerogena 

e genotossica. 

A seconda dell’azione che producono 

tali agenti vengono infatti classificati 

in: 

1) irritanti (acroleina, formaldeide, 

ammoniaca, ossido di azoto e 

particolato); 

2) tossici (monossido di carbonio, 

benzene, cianuro e nicotina); 

3) cancerogeni (idrocarburi policlinici 

aromatici, ammine aromatiche, 

nitrosamine). 

Il monitoraggio dei costituenti il 

fumo passivo presenta delle difficoltà 

in quanto molti di essi trovano la 

loro causa non solo nel fumo di 

tabacco ma in numerose altre sorgenti. 

Studi sempre più progrediti hanno 

però consentito la misurazione 

esatta di alcune sostanze contenute 

nel fumo involontario inalato dal 

soggetto passivo così da fornire una 


forte base fisiologica agli studi epidemiologici, 

per cui appare consolidarsi 

sempre di più l’opinione che 

l’ETS sia una delle cause di un certo 

numero di patologie. 

Introducendo le problematiche legate 

al fumo passivo abbiamo riportato 

la notizia che lo IARC, vale a 

dire l’ente che si occupa di studiare 

i rischi di cancerogenicità per l’uomo, 

ha inserito l’ETS nel gruppo 1 

dei cancerogeni [1] . 

Lo IARC che fa capo all’OMS 

(Organizzazione Mondiale della Sanità) 

raccoglie e pubblica dati e risultati 

degli studi in diverse monografie. 

Gli studiosi, al fine di poter 

esprimere un giudizio sulla cancerogenicità 

di un agente o di una 

sostanza, utilizzano alcuni criteri 

di valutazione del rischio cancerogeno 

o indicazioni di cancerogenicità 

in base ai quali l’agente viene 

inserito in gruppi. 

I gruppi individuati dallo IARC 

sono quattro: 

1. sostanze cancerogene per l’uomo; 

2a. sostanze probabilmente cancerogene 

per l’uomo; 

2b. sostanze che possono essere 

cancerogene per l’uomo; 

3. sostanze inclassificabili quanto 

alla loro cancerogenicità per l’uomo; 

4. sostanze probabilmente non 

cancerogene per l’uomo. 

Nella categoria del gruppo 1 sono 

inseriti gli agenti rispetto ai quali 

si dispone di indicazioni sufficienti 

per poter sostenere che esiste una 

relazione positiva tra l’esposizione 

e la comparsa della neoplasia e gli 

studi possono escludere con sufficiente 

certezza la presenza di fattori 

di “confusione”. 

Secondo lo IARC vi è dunque 

la prova sufficiente che il fumo 

passivo sia causa di tumore al pol- 


mone nell’uomo mentre non si ritiene 

che l’ETS causi il tumore al 

seno o altri tipi di tumore per i 

quali non è nemmeno accertato il 

nesso causale per i fumatori. 

In conclusione, la Iarc Monographs 

(Vol. 83) Tobacco Smoke 

and Involuntary Smoking (June 

2002) rappresenta il punto di arrivo 

degli studi epidemiologici sul 

tema ed è destinata ad avere rilevanticonseguenze 

a livello preventivo 

nei luoghi 

di lavoro. 

Nella monografia 

si legge, a 

questo proposito, 

che negli ambienti 

lavorativi 

si è riscontrato 

un accrescimento 

del rischio di 

tumore polmonare 

nella misura 

dal 16 al 19%. 

Prima della 

pubblicazione 

dei risultati 

scientifici a cui è pervenuto lo 

IARC altri importanti ricerche avevano 

ipotizzato una relazione tra 

esposizione a fumo passivo e tumore 

polmonare. 

Un riassunto dei più importanti 

contributi scientifici sull’argomento 

è contenuto nelle Lineeguida 

per la tutela e la promozione 

della salute negli ambienti confinati 

[2] . 

Gli studi epidemiologici 

I primi studi epidemiologici sulla 

relazione tra tumore polmonare 

ed esposizione a fumo passivo sono 

del 1981. Hirayama riportò i 

risultati di uno studio prospettico 

condotto su una coorte di 91.540 

donne non fumatrici in Giappone: 

i rapporti standardizzati di mortali- 

Nella monografia 

dell’IARC sul fumo 

passivo si legge 

che negli ambienti 

lavorativi 

si è riscontrato 

un accrescimento 

del rischio di tumore 

polmonare nella misura 

dal 16 al 19% 

[1] Si veda Ambiente&Sicurezza n. 22/2002, pag. 78. 

[2] Un commento alle Linee guida è stato pubblicato in Ambiente&Sicurezza n. 2/2002, pag. 38. 


Articolo 

tà (SMR) per tumore del polmone 

aumentavano in modo statisticamente 

significativo con la quantità 

di sigarette fumate dal coniuge. 

Nel 1986, sulla base delle evidenze 

epidemiologiche disponibili, 

vennero pubblicati tre rapporti 

che concludevano che l’ETS è una 

causa di tumore polmonare. 

Lo IARC concludeva che «il fumo 

passivo fa aumentare il rischio 

di cancro». Nello 

stesso anno, anche 

due rapporti americani,rispettivamente 

del National 

Research 

Council e del Surgeon 

General conclusero 

che il fumo 

passivo aumenta 

l’incidenza 

di tumore del polmone 

tra i non fumatori. 

Nel 1992 l’EnvironmentalProtection 

Agency 

(EPA) sulla base 

di una meta-analisi degli studi pubblicati 

fino a quel momento classificò 

il fumo passivo come carcinogeno 

di classe A, cioè un carcinogeno 

umano noto. Complessivamente 

l’analisi trovò un rischio significativamente 

più elevato di tumore polmonare 

in donne non fumatrici sposate 

con uomini fumatori. 

Molti altri studi sono stati pubblicati 

negli Stati Uniti. Lo studio 

multicentrico di Fontham e colleghi 

è il più grande rapporto americano 

ad oggi con 651 casi e 1253 

controlli. 

Lo studio ha messo in evidenza 

un aumento significativo del rischio 

relativo complessivo. Dallo 

studio risultò anche un rischio statisticamente 

significativo associato 

ad esposizione al fumo passivo 



Articolo 

in ambiente lavorativo. 

Infine, recentemente sono stati 

pubblicati i risultati di uno studio 

multicentrico condotto in Europa, 

coordinato dallo IARC, al quale ha 

partecipato l’Italia con tre centri (a 

Torino, in Veneto e Roma), che ha 

confermato l’aumento di rischio per 

l’esposizione al fumo del coniuge e 

l’esposizione al fumo passivo in ambienti 

di lavoro. 

La monografia 

pubblicata nel 

giugno 2002 dallo 

IARC completa 

il quadro illustrato 

con l’affermazione 

di cancerogenicità 

del fumo 

passivo per 

l’uomo, anche 

se, per completezza, 

occorre ricordare 

che l’opinione 

dello IARC, 

pur assai autorevole, 

non è di per 

sé conclusiva. 

Il rischio tumorale 

inoltre non è il solo effetto 

collegato all’esposizione al fumo 

passivo. 

L’analisi della letteratura che si 

è occupata dello studio dei rischi 

collegati all’ETS evidenzia una 

forte incidenza, oltre che dei danni 

respiratori acuti di tipo infiammatorio, 

di sintomi respiratori cronici 

(come dispnea da sforzo, catarro 

e bronchite cronica) a cui è 

particolarmente soggetta la popolazione 

infantile e adolescenziale. 

Negli anni ’80 alcuni studi epidemiologici 

condotti su adulti hanno 

evidenziato una stretta correlazione 

tra fumo passivo e rischi 

respiratori cronici; oltre alle malattie 

respiratorie si segnala anche un 

aumentato rischio per le malattie 

coronariche e per gli attacchi cardiaci. 

Non può affermarsi 

che la sola indicazione 

in astratto della 

cancerogenicità 

del fumo passivo sia 

sufficiente a dimostrare 

l’origine professionale 

del tumore 

di un lavoratore esposto 

a tale fattore 


Occorre tuttavia operare le dovute 

distinzioni a seconda dell’effetto 

causato dall’ETS per quel 

che concerne il valore limite e la 

relazione dose-effetto. 

Infatti, con riferimento ai rischi 

irritativi e tossici, sono state individuate 

delle soglie al di sotto delle 

quali il rischio cui è esposto il 

fumatore passivo può essere considerato 

irrilevante. Diverse potrebbero 

essere le 

conclusioni per i 

potenziali effetti 

cancerogeni, posto 

che l’opinione 

prevalente è 

orientata nel senso 

di ritenere che 

il rischio zero 

venga raggiunto 

soltanto in totale 

assenza di esposizione. 

La spiegazione 

di questa tendenza 

è che nessun 

modello biologico 

ha finora consentito 

di controllare sperimentalmente 

quali siano gli effetti conseguenti 

all’assorbimento di dosi bassissime 

di fattori oncogeni per cui 

la medicina preventiva ha elaborato 

una teoria di natura protettiva secondo 

la quale l’unica dose alla quale 

non corrisponde alcun effetto è la 

dose zero. 

Preferiamo però, in ossequio ad 

esigenze di doveroso equilibrio, 

una posizione prudenziale su questo 

atteggiamento rigido della 

scienza che deve comunque trovare 

il giusto bilanciamento con i 

principi giuridici che regolano la 

responsabilità penale. 

A questo proposito è importante 

distinguere tra la sussistenza 

dei delitti di lesione personale o 

omicidio colposo e la violazione 

delle norme di prevenzione (che 

può condurre ad una responsabilità 

di tipo contravvenzionale). 

L’obbligo di prevenzione 

del datore di lavoro 

In primo luogo occorre rilevare 

che è sufficiente un fondato sospetto 

di pericolosità per fare scattare 

l’obbligo di prevenzione in capo al 

datore di lavoro. 

Infatti, sulla scorta dei generali 

principi di prudenza e di prevenzione 

che caratterizzano la materia, ed 

anche della giurisprudenza più accorta, 

il grado di evidenza scientifica 

della nocività di un qualsiasi fattore 

di rischio non deve essere particolarmente 

elevato. 

Ben diversa è la prova richiesta 

ai fini della responsabilità penale 

in caso di lesioni o morte del lavoratore 

a seguito dell’esposizione 

al fattore di rischio. 

In questo caso la più recente 

giurisprudenza della Corte di Cassazione 

[3] ha statuito la necessità 

della prova scientifica del nesso di 

causa tra esposizione ed evento, in 

termini di alta o altissima probabilità, 

comunque è chiaro che occorrerà 

accertare il grado dell’esposizione 

in termini quantitativi poiché 

una dose bassissima potrebbe 

non avere efficienza causale con 

un potenziale evento lesivo, sia 

che si tratti di patologie irritative 

che, riteniamo, oncologiche. 

Basti ricordare, quanto alle patologie 

irritative, che queste sono 

strettamente correlate al grado di 

esposizione sia in termini di quantità 

che in termini di durata. 

Un’indagine accurata dovrà ancora 

tenere in considerazione la durata 

dell’esposizione, la presenza di fattori 

concausali (di origine professionale 

o extralavorativa) nel determinismo 

della malattia o del decesso 

(come la presenza di una patologia 

preesistente o, nello specifico il fumo 

volontario o ancora il vivere 

[3] A tale proposito si veda anche la sentenza del Tribunale di Milano 1˚ marzo 2002, Ambiente&Sicurezza n. 13/2002, pag. II. 


quotidianamente a contatto con un 

coniuge fumatore). 

Ogni situazione pertanto dovrà 

essere analizzata con estrema accuratezza 

per evitare pericolose e 

strumentali generalizzazioni. 

Se si individuasse per ipotesi il 

fumo passivo tra le possibili cause 

di un tumore polmonare in ambiente 

lavorativo occorrerebbe, a nostro 

parere, un uso accorto della regola 

espressa dall’art. 41 c.p. detta altrimenti 

“principio di equivalenza” la 

quale sancisce che tutte le cause che 

hanno contribuito a determinare 

l’evento assumono lo stesso rilievo 

ai fini della sussistenza del reato 

indipendentemente dall’importanza 

dei singoli apporti. 

È noto il rigore che la giurisprudenza 

della Suprema Corte ha manifestato 

in materia di malattie professionali. 

La Cassazione, infatti, 

è orientata nel ritenere che la pre- 


senza di una concausa di origine 

non professionale nel determinismo 

della malattia non vale ad 

escludere il nesso causale tra il 

fattore professionale e l’evento. 

Tuttavia, riteniamo che anche il 

principio dell’equivalenza delle 

concause vada misurato sui principi 

giurisprudenziali sopra citati in 

materia di prova del nesso eziologico 

e dunque in termini di certezza 

o quasi certezza. 

Non può pertanto affermarsi 

che la sola indicazione in astratto 

della cancerogenicità del fumo 

passivo sia sufficiente a dimostrare 

l’origine professionale di un tumore 

di un lavoratore esposto a 

tale fattore. 

Passiamo ora a considerare gli 

aspetti soggettivi di una possibile imputazione 

per lesioni o omicidio colposi 

derivanti da esposizione ad ETS. 

Ci pare che il dato pregnante 


Articolo 

risieda nella conoscenza o conoscibilità 

della pericolosità del fumo 

passivo specialmente con riferimento 

al rischio oncogeno. 

L’evoluzione scientifica che si 

è più sopra ricordata dovrebbe consentire 

di ritenere che un datore di 

lavoro, anche con la massima diligenza, 

non avrebbe potuto aver 

piena contezza del problema se 

non in tempi molto recenti. 

Pur essendo consci della giurisprudenza 

in materia di conoscenza 

del rischio amianto che ha fondato 

la colpa anche su studi estremamente 

settoriali e poco diffusi, 

ci pare possibile affermare che fino 

a pochi anni fa gli studi in 

materia fossero così pochi e limitati 

all’ambito prettamente scientifico 

da far ritenere che anche il datore 

di lavoro più attento non avrebbe 

potuto valutare la pericolosità 

del fumo passivo. l 


RUMORE 

Osservatorio UNI - Articolo 

di Roberto Bottio, funzionario tecnico UNI 

Nel mese di ottobre 2002 è stata 

pubblicata la nuova norma 

UNI 9432, «Acustica - Determinazione 

del livello di esposizione 

personale al rumore nell’ambiente 

di lavoro», che sostituisce 

l’edizione precedente 

del 1989, elaborata congiuntamente 

dalle Commissioni Acustica 

e Sicurezza dell’UNI. Questa 

revisione è stata necessaria 

per accogliere tutti quei chiarimenti 

e quelle innovazioni dopo 

più di dieci anni di applicazione 

del decreto legislativo 

del 15 agosto 1991, n. 277, «Attuazione 

delle direttive n. 

80/1107/CEE, n. 82/605/CEE, n. 

83/477/CEE e n. 88/642/CEE, in 

materia di protezione dei lavoratori 

contro i rischi derivanti 

da esposizione ad agenti chimici, 

fisici e biologici durante il lavoro». 


È possibile valutare l’esposizio*ne per periodi superiori alla settimana e di gruppi di lavoratori che svolgono attività simili 

La nuova edizione de la norma UNI 9432 sul rumore 

per la determinazione del live lo di esposizione personale 

Come noto, esiste una stretta 

relazione tra il rischio di danno 

uditivo ed il rumore presente 

nei luoghi di lavoro: la nuova 

norma UNI 9432 fornisce uno 

strumento operativo per calcolare 

il livello di esposizione quotidiana 

o settimanale personale al rumore 

secondo quanto richiesto dal decreto 

legislativo n. 277/1991 e si applica 

a tutti gli ambienti di lavoro, 

ad esclusione di quelli particolari 

per i quali sono previste normative 

specifiche. 

Ovviamente le definizioni per i 

livelli di esposizione personale non 

sono variate e si allineano con quelle 

indicate dal decreto legislativo 

stesso nonché all’imminente direttiva 

europea sullo stesso argomento; 

in aggiunta sono stati definiti, il rumore 

impulsivo, il rumore costante, 

fluttuante e ciclico nonché cosa si 

intende per attività acusticamente 

uguale. 

Rispetto alla precedente edizione 

la nuova UNI 9432 aggiunge anche 

la possibilità di valutare l’esposizione 

personale di un lavoratore al rumore 

per periodi superiori alla settimana, 

e l’esposizione al rumore di 

gruppi di lavoratori che svolgono 

attività simili ma non sempre acusticamente 

uguali. 

Si è ritenuto di dover inserire nella 

nuova norma una possibilità più 

“realistica” di valutare l’esposizione 

al rumore di un lavoratore il cui 

ciclo di lavoro abbia componenti 

aleatorie nel breve termine. Il ciclo 

di lavoro, anche se dura più di una 

settimana, è certamente noto come 

sono note le singole fasi lavorative 

dello stesso ciclo. L’esposizione “a 

lungo termine”, anche se può non 

rispondere ai requisiti formali del 

D.Lgs. n. 277/1991, fornisce comunque 

un più corretto indicatore ai fini 

della correlazione col rischio di danno 

uditivo, rispetto al semplice L ep,d 

oL ep,w del giorno o della settimana 

“peggiore”. 

Per attività acusticamente uguale 

si intende quell’attività lavorativa 

che comporta: 

l uso delle medesime attrezzature; 

l uguali tempi di esposizione/utilizzo 

delle stesse attrezzature, nelle 

medesime condizioni di funzionamento, 

con lo stesso materiale 

in lavorazione; 

l identiche modalità di svolgimento 

delle attività lavorative; 

l stesse condizioni ambientali di 

contorno. 

Per esempio possono rientrare 

nell’ambito di un’attività acusticamente 

uguale i lavoratori addetti alla 

conduzione del medesimo macchinario 

in una azienda che lavora a 

ciclo continuo su tre turni: tali lavoratori 

sono esposti al medesimo rumore 

sia nel turno della mattina sia 

in quello notturno. 

Viceversa, per attività acusticamente 

simili ma non uguali, la 

nuova UNI 9432 introduce la possibilità 

di verificare l’esposizione 

al rumore di gruppi di lavoratori 

calcolata mediante opportune procedure 

di campionamento statistico, 

che può essere utilizzata al posto 

dell’esposizione personale del 

singolo lavoratore del gruppo. Pensiamo, 

per esempio, ad una squa- 


dra di saldatori durante la costruzione 

di una nave, oppure agli addetti 

alla raccolta meccanizzata 

dei rifiuti dell’azienda municipalizzata. 

Queste novità faranno certamente 

molto discutere, ma la necessità 

di introdurre indicatori di questo tipo 

è emersa dalla pratica applicazione 

del D.Lgs. n. 277/1991 che non 

pone limiti massimi di esposizione 

per i lavoratori ma prescrive quali 

mezzi tecnici, formativi, di controllo 

sanitario siano da attuarsi per i 

lavoratori esposti al rumore entro 

precisi intervalli di valori. 

A tal riguardo è bene ricordare 

che il decreto emanato per regolamentare 

la sicurezza nei cantieri 

temporanei o mobili, il D.Lgs. n. 

494/1996, prevede di effettuare la 

valutazione dell’esposizione al rumore 

per gli addetti ai cantieri edili 

mediante simulazione utilizzando 

dati sperimentali ottenuti in ricerche 

scientifiche e senza precise misurazioni 

strumentali effettuate nel cantiere 

reale. 

Oltre a descrivere il metodo da 

seguire per determinare il livello 

di esposizione personale al rumore 

nell’ambiente di lavoro, la norma 

offre delle precise indicazioni 

per la strumentazione; in particolare, 

visto che a volte si usa, per 

comodità, registrare il segnale per 

poi elaborarlo in altra sede, sono 

state date delle indicazioni richiamandosi 

alla norma UNI CEI 

10991:2002, «Acustica - Verifica 

in sito della catena di misurazione 

che utilizza la registrazione dell’evento 

sonoro». 

Se poi, per una specifica lavorazione, 

è indispensabile utilizzare un 

DPI - Dispositivo di Protezione Individuale 

che non sia un otoprotettore 

classico, (per esempio, un casco che 

copra le orecchie) deve essere tenuto 

in conto il suo effetto di attenuazione 

nella determinazione del valore 

di esposizione personale al rumore 

del lavoratore. 

L’esperienza ha evidenziato 

che non sempre le relazioni fono- 


metriche, effettuate ai sensi del 

D.Lgs. n. 277/1991 e presentate 

agli organi competenti, sono soddisfacenti: 

la nuova norma propone, 

in appendice B, ben due esempi 

di relazione tecnica per consentire 

al datore di lavoro di individuare 

univocamente le attività 

rumorose ed i lavoratori che le 

svolgono, così 

da poterne indicarenominalmente 

il livello 

di esposizione 

personale. 

Il D.Lgs. n. 

277/1991 prevede, 

inoltre, che 

accanto ai valori 

misurati sia 

indicato l’errore 

casuale, senza 

ulteriori precisazioni, 

tant’è che 

nelle relazioni 

tecniche l’errore 

casuale risulta 

essere quasi sempre omesso. 

In genere per errore casuale si 

intende lo scarto quadratico medio 

su di un numero significativo 

di campioni (almeno 30 ÷ 40). 

Poiché nessuna normativa acustica 

internazionale e/o europea richiede 

una tale proliferazione di 

misurazioni, nell’appendice C 

nella norma si indica che l’errore 

casuale da dichiarare potrà essere 

l’errore strumentale rilevabile 

dal certificato di taratura della 

strumentazione. 

Come già anticipato, l’appendice 

A della nuova UNI 9432 descrive le 

procedure del campionamento statistico 

delle misure dell’esposizione 

al rumore di gruppi di persone che 

svolgono lavorazioni e/o attività simili, 

che permettono di calcolare: 

l la dimensione del campione; 

l il livello medio dell’esposizione 

al rumore di un gruppo (media 

aritmetica), L Aeq,Te, gruppo; 

l la precisione dei livelli di esposizione 

al rumore. 

Questi calcoli sono basati sui 

Per attività 

acusticamente simili 

ma non uguali la norma 

UNI 9432 introduce la 

possibilità di verificare 

l’esposizione di gruppi 

di lavoratori calcolata 

mediante procedure 

di campionamento 

statistico 

RUMORE 

Osservatorio UNI - Articolo 

dati ottenuti da misurazioni dell’esposizione 

al rumore di un ridotto 

campione di individui all’interno 

di un gruppo: assegnando a 

ciascun componente del gruppo il 

valore medio ricavato dalle misure 

di un sottoinsieme dello stesso 

gruppo, possiamo ricavare una stima 

di confidenza per il livello 

medio; nell’ipotesi 

di distribuzione 

normale dei livelli 

di rumore 

per i singoli componenti 

del gruppo, 

il valore di 

confidenza si ottiene 

da una distribuzione 

di 

Student, corretta 

per tenere conto 

che il valore del 

singolo lavoratore 

non può essere 

utilizzato due 

volte per lo stesso 

calcolo (estrazione 

in blocco dei lavoratori facenti 

parte del campione). I lavoratori 

facenti parte del campione 

vanno scelti oculatamente, in modo 

che siano rappresentativi di 

un’eventuale stratificazione del 

gruppo e non siano correlati tra 

loro. 

In sintesi, l’applicazione del livello 

di esposizione al rumore di un 

gruppo permette: 

l la definizione di un livello unico 

assegnato a tutti i lavoratori del 

gruppo, invece di assegnare a ciascun 

lavoratore un livello diverso, 

magari di pochi decimi di dB; 

l la semplificazione nella redazione 

del rapporto di valutazione del 

rumore (nonché limitazione degli 

errori di trascrizione dei singoli 

livelli equivalenti); 

l la possibilità di eseguire solo 

le misure necessarie per ottenere 

un campione statisticamente significativo 

rispetto alle condizioni 

di contorno che si vorranno 

imporre, con risparmio di tempo 

e denaro. l 



Articolo 

di Pietro Giannattasio, professore ordinario di “Costruzione di Strade, Ferrovie ed Aeroporti” 

nell’Università di Napoli “Federico II”, presidente della Commissione “Costruzioni stradali ed opere 

civili delle infrastrutture” dell’UNI, coordinatore della “Commissione di studio per le norme relative 

ai materiali stradali, progettazione, costruzione e manutenzione strade” del CNR 

Il decreto 5 novembre 2001, 

«Norme funzionali e geometriche 

per la costruzione delle 

strade», che si basa essenzialmente 

su uno studio coordinato 

dall’Università di Trieste approvato 

dalla Commissione di 

studio per le norme relative ai 

materiali stradali, progettazione, 

costruzione e manutenzione 

strade del CNR e, successivamente, 

dal Consiglio Superiore 

dei Lavori Pubblici, è improntato 

soprattutto al miglioramento 

della sicurezza della circolazione 

e introduce sostanziali 

modifiche rispetto alle precedenti 

norme del CNR. 


Il quadro della normativa e le nuove disposizioni per la costruzione delle infrastrutture 

Con il D.M. 5 novembre 2001 su le norme funzionali e geometriche 

più sicurezza per la circolazione stradale 

Le norme riguardanti la costruzione 

e la manutenzione 

delle infrastrutture stradali 

sono in continua evoluzione per 

effetto sia del processo di unificazione 

europea sia dell’evoluzione 

degli studi e delle ricerche. Di recente, 

l’attività normativa si è notevolmente 

incrementata anche per 

la maggiore sensibilità che si è sviluppata 

nel paese riguardo alla sicurezza 

della circolazione, stimolata 

dalla legge n. 144/1999 istitutiva 

del Piano Nazionale della Sicurezza 

Stradale. 

Le norme possono dividersi in 

tre macrocategorie: 

l norme cogenti riguardanti le caratteristiche 

funzionali dell’infrastruttura 

stradale; 

l norme di buona tecnica riguardanti 

le procedure per la progettazione, 

costruzione e gestione dell’infrastruttura; 

l norme di prodotto, ossia inerenti 

alle caratteristiche dei materiali e 

delle attrezzature stradali e alle relative 

prove. 

Le norme relative alle caratteristiche 

funzionali delle infrastrutture 

stradali comportano l’esigenza 

di tenere conto di vari aspetti, 

quali quelli sociali, economici, 

ambientali. Il processo di sviluppo 

delle norme funzionali comporta 

cioè l’individuazione delle 

esigenze della Comunità e la traduzione, 

attraverso il filtro delle 

conoscenze scientifiche, di tali 

necessità in dettami di carattere 

tecnico. 

Le norme di buona tecnica nascono 

dalla necessità di trasferire 

nell’ambito professionale l’esperienza 

derivante dalla pratica operativa 

tenendo conto delle conoscenze 

acquisite attraverso le ricerche 

applicate. Tali norme, di natura 

non cogente, definiscono generalmente 

metodologie di controllo 

in corso d’opera e strumenti di 

ausilio alla progettazione al fine 

di ottenere un prodotto che abbia 

un livello di qualità ritenuto generalmente 

accettabile. Esse sono 

formalizzate come linee guida o 

capitolati tecnici d’appalto. 

Le norme riguardanti i materiali 

e le attrezzature stradali nascono 

sostanzialmente da esigenze di 

natura merceologica. Per un corretto 

funzionamento del mercato è, 

infatti, necessario suddividere ciascuna 

classe di prodotti in categorie 

merceologiche. Ogni categoria 

sarà pertanto caratterizzata da un 

determinato livello di qualità del 

prodotto stesso individuato attraverso 

la misura univoca di alcune 

grandezze considerate significative 

ai fini dell’impiego. La classificazione 

dei prodotti tende quindi a 

standardizzare i livelli di qualità 

richiesti nonché le caratteristiche 

e le prove impiegate per la loro 

individuazione. Per tale motivo 

tra queste norme rientrano quelle 

redatte dal Comitato Europeo di 


Normalizzazione, CEN, che costituiscono 

uno strumento fondamentale 

del meccanismo attraverso il 

quale assicurare la libera circolazione 

dei prodotti nell’ambito della 

Comunità Europea [1] . 

Le norme funzionali 

e di buona tecnica 

Le norme funzionali edibuona 

tecnica (si veda la tabella 1) possono 

essere presentate insieme in 

quanto definiscono, in molti casi, 

differenti aspetti di una problematica 

comune. 

Le prime riguardano essenzialmente 

gli aspetti cogenti e definiscono 

criteri di base che non possono 

essere valutati dal singolo 

professionista in quanto ponderano 

esigenze sociali, economiche e 

ambientali che sono spesso in contrasto 

tra loro; le seconde riguardano 

aspetti operativi della progettazione, 

costruzione e gestione delle 

infrastrutture e rappresentano delle 

linee comuni di indirizzo per gli 

operatori del settore. 

La principale normativa di riferimento 

per le costruzioni stradali 

è senz’altro il recente decreto ministeriale 

5 novembre 2001, «Norme 

funzionali e geometriche per 

la costruzione delle strade» [2] , e 

di cui si dirà in seguito. Tali norme 

si applicano per la costruzione 

di nuovi tronchi stradali e per 

l’adeguamento di tronchi stradali 

esistenti. 

Strettamente legati alle norme 

funzionali e geometriche sono i 

«Criteri per la classificazione della 

rete delle strade esistenti ai sensi 

dell’art. 13, commi 4 e 5, del 

Nuovo Codice della Strada», redatti 

dal Consiglio Nazionale delle 

Ricerche (Commissione di studio 

per le norme relative ai materiali 


stradali e progettazione, costruzione 

e manutenzione strade), attualmente 

all’esame del Consiglio Superiore 

dei Lavori Pubblici. 

La classificazione rappresenta 

un dato fortemente innovativo nel 

nostro ordinamento, tendente ad 

uniformare su tutto il territorio nazionale 

le caratteristiche infrastrutturali 

delle diverse tipologie di 

strada. 

La sua rilevanza è evidente se 

si considera che il Codice fa riferimento 

a tale classifica (e non a 

quella amministrativa) sia nel fissare 

i limiti generali di velocità, 

sia nello stabilire le specifiche norme 

di tutela della strada, in particolare 

per quanto si riferisce alle 

fasce di rispetto, agli accessi ed 

alle diramazioni, alla pubblicità 

ed alle norme di comportamento. 

Propedeutica alla classificazione 

della rete è la redazione del 

Catasto delle strade, che rappresenta 

l’inventario di tutte le strade 

ad uso pubblico presenti sul territorio 

nazionale, con l’obiettivo primario 

di definirne la consistenza. 

I criteri che regolano il Catasto 

sono definiti dal D.M. 1˚ giugno 

2001 «Modalità di istituzione ed 

aggiornamento del Catasto delle 

strade ai sensi dell’art. 13, comma 

6, del decreto legislativo 30 

aprile 1992, n. 285, e successive 

modificazioni». 

Le indicazioni sono rivolte a 

tutti gli Enti proprietari di strade 

di uso pubblico: l’ANAS e le Società 

Concessionarie per le autostrade 

di interesse nazionale, 

l’ANAS per le altre strade di interesse 

nazionale, le Regioni per le 

strade regionali, le Province per le 

strade provinciali, i Comuni per le 

strade comunali sia urbane che extraurbane. 

L’accatastamento seguirà 

tempi diversi: le autostrade e le 


Articolo 

strade di interesse nazionale entro 

due anni dalla data di entrata in 

vigore del decreto (27 gennaio 

2002), le strade regionali entro tre 

anni, le provinciali entro quattro, 

le comunali entro cinque. 

Le barriere di sicurezza 

Significativo impatto sulla sicurezza 

della circolazione hanno le 

norme sulle barriere di sicurezza 

(D.M. n. 223/1992 e successive 

modificazioni) che regolamentano 

la progettazione, l’omologazione 

e l’impiego delle barriere stradali 

di sicurezza. Il decreto ministeriale 

subordina l’impiego delle barriere 

di sicurezza al conseguimento 

del “certificato di idoneità tecnica” 

rilasciato dal Ministero dei Lavori 

Pubblici - Ispettorato Generale 

per la Circolazione e la Sicurezza 

Stradale (sostituito, in mancanza, 

dai certificati delle prove d’urto 

in scala reale effettuate presso 

istituti autorizzati), e prescrive (articolo 

entrato in vigore nel 1999) 

che i progetti esecutivi relativi alle 

strade pubbliche extraurbane e 

a quelle urbane, con velocità di 

progetto maggiore o uguale a 70 

km/h, devono comprendere un apposito 

allegato progettuale, completo 

di relazione motivata sulle 

scelte, riguardante i tipi di barriere 

di sicurezza da adottare, la loro 

ubicazione, e le opere complementari 

connesse. 

Le gallerie stradali 

Sempre nell’ambito della sicurezza 

stradale, assume particolare 

rilievo il D.M. 6 dicembre 1999, 

n. 7938, sulla sicurezza della circolazione 

nelle gallerie stradali 

emanato sia per dare una tempestiva 

risposta alle esigenze di sicurezza 

evidenziate dai recenti incidenti, 

sia per avviare una fase conosci- 

[1] Fino ad un recente passato le norme di questo tipo sono state generalmente redatte in Italia dal CNR. Esse, non essendo 

ancora state completate tutte le norme CEN, costituiscono tuttora un ampio e valido quadro di riferimento. 

[2] Pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 2002, n. 4 e disponibile on-line all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com/. 



Articolo 

D.M. 5 novembre 2001 «Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade» 

D.M. 1˚ giugno 2001 «Modalità di istituzione ed aggiornamento del Catasto delle strade ai 

sensi dell’art. 13, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, 

e successive modificazioni» 

Rapporto di studio del Consiglio Nazionale 

delle Ricerche, Commissione 

di studio per le norme relative ai materiali 


e manutenzione strade, all’esame 

del Consiglio Superiore dei Lavori 

Pubblici 

«Criteri per la classificazione della rete delle strade esistenti ai sensi 

dell’art. 13, commi 4 e 5, del Nuovo Codice della Strada» 

D.M. 18 febbraio 1992, n. 223 «Regolamento recante istruzioni tecniche per la progettazione, l’omologazione 

e l’impiego delle barriere stradali di sicurezza» 

Circolare Ministero Lavori Pubblici 

9 giugno 1995, n. 2595 

«Barriere stradali di sicurezza. Decreto ministeriale 18 febbraio 1992, n. 

223» 

D.M. 15 ottobre 1996 «Aggiornamento del decreto ministeriale 18 febbraio 1992, n. 223, 

recante istruzioni tecniche per la progettazione, l’omologazione e l’impiego 

delle barriere stradali di sicurezza» 

D.M. 3 giugno 1998 «Ulteriore aggiornamento delle istruzioni tecniche per la progettazione, 

l’omologazione e l’impiego delle barriere stradali di sicurezza e 

delle prescrizioni tecniche per le prove ai fini dell’omologazione» 

D.M. 11 giugno 1999 «Integrazioni e modificazioni al decreto ministeriale 3 giugno 1998, 

recante: Aggiornamento delle istruzioni tecniche per la progettazione, 

l’omologazione e l’impiego delle barriere stradali di sicurezza» 

D.M. 8 agosto 2001, n. 4785 «Proroga termini dell’art. 3 del D.M. 11 giugno 1999» 

D.M. 30 novembre 1999 «Regolamento per la definizione delle caratteristiche tecniche delle 

piste ciclabili. Legge 19 ottobre 1998, n. 366» 

D.M. 30 novembre 1999 «Regolamento per la definizione delle caratteristiche tecniche delle 

piste ciclabili. Legge 19 ottobre 1998, n. 366» 

D.M. 6 dicembre 1999, n. 7938 «Sicurezza della circolazione nelle gallerie stradali con particolare riferimento 

ai veicoli che trasportano materiali pericolosi» 

D.M. 5 giugno 2001 «Sicurezza nelle gallerie stradali» 

Direttiva 24 ottobre 2000 «Direttiva sulla corretta ed uniforme applicazione delle norme del 

Codice della strada in materia di segnaletica e criteri per l’installazione 

e la manutenzione» 


8 giugno 2001, n. 3698 


8 giugno 2001, n. 3699 

Documenti a carattere prenormativo 

approvati dalla Commissione di studio 

per le norme relative ai materiali 


e manutenzione strade del CNR 

Consiglio Nazionale delle Ricerche, 

Bollettino Ufficiale n. 125/1988 

Consiglio Nazionale delle Ricerche, 

Bollettino Ufficiale n. 178/1995 


Norme funzionali e di buona tecnica 

«Circolare sulle linee guida per la redazione dei piani urbani della 

sicurezza stradale» 

«Circolare sulle linee guida per le analisi di sicurezza delle strade» 

l «Caratteristiche funzionali e geometriche delle aree di sosta, di parcheggio 

e di servizio di autostrade e strade extraurbane principali» 

l «Norme sulle caratteristiche funzionali e geometriche delle intersezioni 

stradali» 

l «Norme tecniche di tipo prestazionale per capitolati speciali d’appalto» 

l «Norme tecniche per la disciplina della costruzione e manutenzione 

delle infrastrutture stradali» 

l «Sistemi di regolazione del traffico: linee guida per la progettazione» 

l «Sistemi di informazione all’utenza: linee guida per la progettazione» 

l «Sistemi di monitoraggio del traffico: linee guida per la progettazione» 

«Istruzioni per la pianificazione della manutenzione stradale» 

«Catalogo delle pavimentazioni stradali» 

TABELLA 1 


tiva sugli effettivi livelli di rischio 

delle gallerie inserite lungo la rete 

stradale italiana. Il decreto ministeriale 

richiede un miglioramento generale 

delle condizioni di sicurezza 

in galleria richiamando il rispetto 

del nuovo Codice della Strada e 

definendo le dotazioni minime di 

impianti di sicurezza. 

Nell’ambito dell’ampio quadro 

normativo, definito o in corso di 

definizione (si veda la tabella 1), 

si richiama l’attenzione sui recenti 

studi eseguiti per conto del Ministero 

dei Lavori Pubblici da alcune 

Università, il cui risultato è rappresentato 

dai documenti a carattere 

prenormativo [3] approvati dalla 

Commissione di studio per le norme 

relative ai materiali stradali e 

progettazione, costruzione e manutenzione 

strade del CNR, e dalle 

Circolari Ministeriali 8 giugno 

2001, n. 3698 «Circolare sulle linee 

guida per la redazione dei piani 

urbani della sicurezza stradale», 

e n. 3699 «Circolare sulle linee 

guida per le analisi di sicurezza 

delle strade». 

Le linee guida per la redazione 

dei piani della sicurezza stradale 

urbana configurano questi come fa- 

TC226 


si dei PUT che si possono identificare 

con due livelli di pianificazione 

differenti: il livello direttore e 

il livello attuativo. Esse definiscono 

gli obiettivi, i contenuti e i 

criteri metodologici per la redazione 

dei piani della sicurezza, evidenziando 

che un’esigenza prioritaria 

per il miglioramento della sicurezza 

è la riduzione degli incidenti 

in ambito urbano, che rappresentano 

il 75% degli incidenti 

complessivi e coinvolgono in misura 

predominante le utenze deboli. 

Le linee guida per le analisi di 

sicurezza delle strade definiscono 

un approccio innovativo alla sicurezza 

stradale consistente nello studio 

dei problemi di sicurezza secondo 

una strategia di tipo preventivo, 

basata cioè su interventi effettuati 

prima che avvengano incidenti, 

piuttosto che sul tradizionale 

approccio correttivo consistente 

nella realizzazione di interventi 

migliorativi solo dopo che si è manifestata 

un’anomala concentrazione 

di incidenti in siti specifici. 

Le norme di prodotto 

Nel prossimo futuro le norme 

Gruppi di lavoro dei Comitati Tecnici 226 e 227 

e norme prodotte 

Numero 

di norme 

TC227 

nazionali dei Paesi membri della 

Comunità Europea saranno sostituite 

da norme europee, che disciplineranno 

secondo un indirizzo comune 

le caratteristiche dei materiali 

e dei prodotti, consentendone la 

libera circolazione all’interno del 

Mercato Unico. 

La redazione delle norme CEN 

è svolta da Comitati Tecnici (TC), 

ciascuno dei quali opera in un distinto 

settore ed è a sua volta distinto 

in gruppi di lavoro (WG). 

All’interno del CEN l’Italia è rappresentata 

dall’UNI, Ente Nazionale 

Italiano di Unificazione. 

I Comitati Tecnici che operano 

nel settore stradale sono i TC 226, 

«Attrezzature stradali» e TC 227, 

«Materiali stradali», disaggregati 

in numerosi Gruppi di lavoro (si 

veda la tabella 2) suddivisi a loro 

volta in Task Groups. 

Tali organi sono seguiti in buona 

parte da rappresentanti italiani 

facenti capo alla Commissione Infrastrutture 

Stradali e Opere Civili 

dell’UNI, divisa a sua volta in sottocommissioni 

e gruppi di lavoro. 

In tabella 2 sono riportati i 

gruppi di lavoro dei TC 226 e 227 

con il numero di norme finora prodotte 

da ciascuno di essi. 

Numero 

di norme 

Barriere stradali di sicurezza 4 Conglomerati bituminosi 12 

Segnaletica orizzontale 14 Trattamenti superficiali 4 

Segnaletica verticale 1 Materiali per strade di calcestruzzo 3 

Dispositivi di regolazione del traffico 4 

Misti cementati e granulari e materiali 

marginali 

- 

Barriere antirumore 5 Caratteristiche superficiali - 

Dispositivi antiabbagliamento 2 Pavimentazioni per aeroporti - 

Parcometri 1 

Dispositivi cedevoli 1 

[3] I documenti sono consultabili sul sito http://alpha2.civ.uniroma2.it/dbstrade/. 


Articolo 

TABELLA 2 



Articolo 

NORMA 

Barriere di sicurezza stradali 

OGGETTO 

UNI EN 1317-1 Terminologia e criteri generali per i metodi di prova 

UNI EN 1317-2 

Classi di prestazione, criteri di accettazione delle prove d'urto e metodi di prova per le 

barriere di sicurezza 

UNI EN 1317-3 

Classi di prestazione, criteri di accettabilità basati sulla prova di impatto e metodi di 

prova per attenuatori d'urto 

Materiali per segnaletica orizzontale 

UNI EN 1312 Requisiti per il controllo di produzione in fabbrica 

UNI EN 1423 Materiali da postspruzzare. Microsfere di vetro, granuli antiderapanti e loro miscele. 

UNI EN 1424 Microsfere di vetro da premiscelare 

UNI EN 1436 Prestazioni della segnaletica orizzontale per gli utenti della strada 

UNI EN 1463-1 Inserti stradali catarifrangenti. Requisiti delle prestazioni iniziali 

UNI EN 1463-2 Inserti stradali catarifrangenti. Specifiche delle prestazioni delle prove su strada 

UNI EN 1790 Materiali preformati per segnaletica orizzontale 

UNI EN 1824 Prove su strada 

UNI EN 12802 Metodi di laboratorio per l'identificazione 

UNI ENV 13459-1 Controllo qualità - Campionamento da prodotti immagazzinati e prove 

UNI ENV 13459-2 

Controllo qualità - Linee guida per la preparazione dei piani di qualità per l'applicazione 

dei materiali 

UNI ENV 13459-3 Controllo qualità - Prestazioni in uso 

Regolatori semaforici 

UNI EN 12675 Requisiti di sicurezza funzionale 

Attrezzatura per il controllo del traffico 

UNI EN 12368 Lanterne semaforiche 

Dispositivi per la riduzione del rumore da traffico stradale 

UNI EN 1793-1 

UNI EN 1793-2 


Norme CEN prodotte dai TC 226 e 227 

disponibili in versione ufficiale in lingua italiana 

TABELLA 3 

Metodo di prova per la determinazione della prestazione acustica. Caratteristiche 

intrinseche di assorbimento acustico 

Metodo di prova per la determinazione della prestazione acustica. Caratteristiche 

intrinseche di assorbimento acustico per via aerea 

UNI EN 1793-3 

Metodo di prova per la determinazione della prestazione acustica. Spettro normalizzato 

del rumore da traffico 

UNI EN 1794-1 Prestazioni non acustiche - Prestazioni meccaniche e requisiti di stabilità 

UNI EN 1794-2 

Dispositivi cedevoli 

Prestazioni non acustiche - Requisiti generali di sicurezza e ambientali 

UNI EN 12767 

Sicurezza passiva di strutture di sostegno per attrezzature stradali: metodi di laboratorio 

per l'identificazione 

Dispositivi anti-abbagliamento per strade 

UNI EN 12676-1 Prestazioni e caratteristiche 

UNI EN 12676-2 Metodi di prova 


Parcometri 

UNI CEI EN 12414 Requisiti tecnici e di funzionamento 

Miscele bituminose. Metodi di prova per conglomerati bituminosi a caldo 

UNI EN 12697-3 Recupero del vapore 

UNI EN 12697-4 Recupero del bitume: colonna di frazionamento 

UNI EN 12697-10 Compattabilità 

UNI EN 12697-13 Misurazione della temperatura 

UNI EN 12697-14 Contenuto d'acqua 

UNI EN 12697-27 Campionamento 

UNI EN 12697-28 

Preparazione dei campioni per la determinazione del contenuto di legante, di acqua e 

della gradazione 

TC Argomenti 

Numero di norme 

prodotte 

Numero di norme 

tradotte in italiano 

TC 336 (ex 19) Bitumi 25 13 

TC 50 Pali per Illuminazione 6 6 

TC 104 Calcestruzzi 82 29 

TC 154 Aggregati 54 40 

TC 189 Geotessili e prodotti affini 33 9 

TC 178 Pavimentazioni lapidee per esterno 3 0 

TC 278 

Telematica applicata alle strade e al traffico 

(norme sperimentali) 

NORMA OGGETTO 

Bitumi 

UNI EN 12592 Bitume e leganti bituminosi - Determinazione della solubilità 

20 15 

UNI EN 12593 

Bitume e leganti bituminosi - Determinazione del punto di rottura secondo il metodo 

Fraass 

UNI EN 12595 Bitume e leganti bituminosi - Determinazione della viscosità cinematica 

UNI EN 12596 

UNI EN 12606-2 

UNI EN 12607-2 



Articolo 

TABELLA 4 

Comitati Tecnici che trattano argomenti che interessano 

anche il settore stradale e le relative norme 

TABELLA 5 

Norme CEN prodotte dai TC 19, 50, 104, 154, 178, 189 e 278 

disponibili in versione ufficiale in lingua italiana 

Bitume e leganti bituminosi - Determinazione della viscosità dinamica con capillare 

sotto vuoto 

Bitume e leganti bituminosi - Determinazione del contenuto di paraffina - Metodo per 

estrazione 

Bitume e leganti bituminosi - Determinazione della resistenza all'indurimento per 

effetto del calore e dell'aria - Metodo TFOT 



Articolo 

UNI EN 12607-3 

Bitume e leganti bituminosi - Determinazione della resistenza all'indurimento per 

effetto del calore e dell'aria - Metodo RFT 

UNI EN 1425 Bitume e leganti bituminosi - Caratterizzazione delle proprietà sensoriali 

UNI EN 1429 

Bitume e leganti bituminosi - Determinazione del residuo alla setacciatura di emulsioni 

bituminose e determinazione della stabilità allo stoccaggio per setacciatura 

UNI EN 58 

Pali per illuminazione 

Campionamento dei leganti bituminosi 

UNI CR 40-6 Verifica del progetto strutturale mediante calcolo 

UNI EN 40-1 Definizioni e termini 

UNI EN 40-2 Dimensioni e tolleranze 

UNI EN 40-5 Specifiche per i pali in acciaio 

UNI EN 40-6 Specifiche per i pali in alluminio 

UNI EN 40-9 

Calcestruzzi 

Prescrizioni particolari per pali di calcestruzzo armato normale e precompresso 

UNI EN 12350-1 Prova sul calcestruzzo fresco - Campionamento 

UNI EN 12350-2 Prova sul calcestruzzo fresco - Prova di abbassamento al cono 

UNI EN 12350-3 Prova sul calcestruzzo fresco - Prova VÈbÈ 

UNI EN 12350-4 Prova sul calcestruzzo fresco - Indice di compattabilità 

UNI EN 12350-5 Prova sul calcestruzzo fresco - Prova di spandimento alla tavola a scosse 

UNI EN 12350-6 Prova sul calcestruzzo fresco - Massa volumica 

UNI EN 12504-2 

UNI EN 12636 

Aggregati 

UNI EN 1097-1 

UNI EN 1097-2 

UNI EN 1097-3 

UNI EN 1097-4 

UNI EN 1097-5 

UNI EN 1097-6 

UNI EN 1097-7 

UNI EN 1097-8 

UNI EN 1097-9 

UNI EN 12370 


Prove sul calcestruzzo nelle strutture - Prove non distruttive - Determinazione dell'indice 

sclerometrico 

Prodotti e sistemi per la protezione e la riparazione delle strutture di calcestruzzo - 

Metodi di prova - Determinazione dell'aderenza calcestruzzo su calcestruzzo 

Prove per determinare le proprietà meccaniche e fisiche degli aggregati - Determinazione 

della resistenza all'usura (micro-Deval) 

Prove per determinare le proprietà meccaniche e fisiche degli aggregati - Metodi per la 

determinazione della resistenza alla frammentazione 


della massa volumica in mucchio e dei vuoti intergranulari 


della porosità del filler secco compattato 


del contenuto d'acqua per essiccazione in forno ventilato 


della massa volumica dei granuli e dell'assorbimento d'acqua 


della massa volumica del filler - Metodo con picnometro 


del valore di levigabilità 


della resistenza all'usura per abrasione da pneumatici chiodati - Prova scandinava 

Metodi di prova per pietre naturali - Determinazione della resistenza alla cristallizzazione 

dei sali 

UNI EN 12372 

Metodi di prova per pietre naturali - Determinazione della resistenza a flessione sotto 

carico concentrato 

UNI EN 12407 Metodi di prova per pietre naturali - Esame petrografico 


UNI EN 1367-1 

UNI EN 1367-2 

Prove per determinare le proprietà termiche e la degradabilità degli aggregati - Determinazione 

della resistenza al gelo e disgelo 

Prove per determinare le proprietà termiche e la degradabilità degli aggregati - Prova al 

solfato di magnesio 

UNI EN 1367-4 

Prove per determinare le proprietà termiche e la degradabilità degli aggregati - Determinazione 

del ritiro per essiccamento 

UNI EN 1744-1 Prove per determinare le proprietà chimiche degli aggregati - Analisi chimica 

UNI EN 1925 

Metodi di prova per pietre naturali - Determinazione del coefficiente di assorbimento 

d'acqua per capillarità 

UNI EN 1926 Metodi di prova per pietre naturali - Determinazione della resistenza a compressione 

UNI EN 1936 

UNI EN 932-1 

UNI EN 932-2 

UNI EN 932-3 

UNI EN 932-5 

UNI EN 932-6 

UNI EN 933-1 

UNI EN 933-2 

UNI EN 933-3 

UNI EN 933-4 

UNI EN 933-5 

UNI EN 933-7 

UNI EN 933-8 



Articolo 

Metodi di prova per pietre naturali - Determinazione delle masse volumiche reale e 

apparente e della porosità totale aperta 

Metodi di prova per determinare le proprietà generali degli aggregati. Metodi di 

campionamento 

Metodi di prova per determinare le proprietà generali degli aggregati - Metodi per la 

riduzione dei campioni di laboratorio 

Metodi di prova per determinare le proprietà generali degli aggregati - Procedura e 

terminologia per la descrizione petrografica semplificata 

Metodi di prova per determinare le proprietà generali degli aggregati - Attrezzatura 

comune e taratura 

Metodi di prova per determinare le proprietà generali degli aggregati - Definizioni di 

ripetibilità e riproducibilità 

Prove per determinare le caratteristiche geometriche degli aggregati - Determinazione 

della distribuzione granulometrica - Analisi granulometrica per stacciatura 


della distribuzione granulometrica - Stacci di controllo, dimensioni nominali delle aperture 


della forma dei granuli - Coefficiente di appiattimento 


della forma dei granuli - Indice di forma 


della percentuale di superfici frantumate negli aggregati grossi 


del contenuto di conchiglie - Percentuale di conchiglie negli aggregati grossi 

Prove per determinare le caratteristiche geometriche degli aggregati - Valutazione dei 

fini - Prova dell'equivalente in sabbia 

UNI EN 933-9 

Prove per determinare le caratteristiche geometriche degli aggregati - Valutazione dei 

fini - Prova del blu di metilene 

Geotessili e prodotti affini 

UNI EN 12224 Determinazione della resistenza agli agenti atmosferici 

UNI EN 12225 

Metodo per la determinazione della resistenza microbiologica mediante prova di interramento 

UNI EN 12447 Metodo di prova selettivo per la determinazione della resistenza all'idrolisi in acqua 

UNI EN 13249 

Caratteristiche richieste per l'impiego nella costruzione di strade e di altre aree soggette 

a traffico (escluse ferrovie e l'inclusione in conglomerati bituminosi) 

UNI EN 30320 Identificazione in sito 

UNI EN 918 Prova di punzonamento dinamico (metodo della caduta del cono) 

UNI EN 963 Campionamento e preparazione dei provini 

UNI EN 964-1 Determinazione dello spessore a pressioni stabilite - Strati singoli 

UNI EN 965 Determinazione della massa areica 



Articolo 

Telematica applicata alle strade e al traffico 

UNI CEI 70031 

UNI ENV 12313-2 

UNI ENV 12313-4 

UNI ENV 12314-1 

UNI ENV 12315-1 

UNI ENV 12315-2 

Norma Quadro - Prospetto generale delle applicazioni, riferimenti ed indirizzi 

normativi 

Informazioni sul traffico per i viaggiatori (TTI) - Messaggi TTI attraverso la 

codifica dei messaggi di traffico - Codici di eventi e di informazioni per il 

Sistema Dati via Radio (RDS) - Canale dei Messaggi sul Traffico (TMC) 


codifica dei messaggi di traffico - Protocollo di codifica per il sistema dati via 

radio RDS - Canale Messaggi sul traffico (TMC) (RDS-TMC) - RDS TMC utilizzante 

ALERT Plus con ALERT C 

Identificazione automatica dei veicoli e degli equipaggiamenti. Architettura 

di riferimento e terminologia 

Informazioni sul traffico a chi viaggia (TTI). Messaggi TTI attraverso comunicazioni 

radio dedicate a corto raggio. Specifica dei dati - Collegamento “dall'alto 

in basso” (dal bordo strada al veicolo) 

Informazioni sul traffico a chi viaggia (TTI). Messaggi TTI attraverso comunicazioni 

radio dedicate a corto raggio. Specifica dei dati - Specifica dei dati - 

Collegamento “dal basso in alto” (dal veicolo al bordo strada) 

UNI ENV 12694 

Trasporto pubblico - Veicoli stradali - Specifiche dimensionali per segnali 

elettronici esterni di tipo variabile 

UNI ENV 12796 Trasporto pubblico - Validatrici 

UNI ENV 13106 

UNI ENV 13149-1 

UNI ENV 13149-2 

UNI ENV 13777 

UNI ENV ISO 14815 

UNI ENV ISO 14816 

UNI ENV ISO 14819-3 

Di 33 delle norme in tabella 2 

è già disponibile la versione ufficiale 

in lingua italiana (si veda 

la tabella 3). 

In seno al CEN operano anche 

altri Comitati Tecnici che si occupano 

di argomenti che hanno, 

in parte, attinenza con il settore 

stradale. Essi sono riportati in 

tabella 4. Le principali norme prodotte 

dai comitati indicati in tabella 

4 che possono interessare il set- 


Dizionario DATEX per le informazioni relative al traffico ed al viaggio (versione 

3.1a) 

Trasporto pubblico - Sistemi di controllo e di pianificazione dei veicoli su 

strada - Definizione e regole di applicazione di WORLDFIP per trasmissione 

dati a bordo veicolo 

Trasporto pubblico - Sistemi di controllo e di pianificazione dei veicoli su 

strada - Specifiche di cablaggio WORLDFIP 

Specifiche DATEX per lo scambio di dati tra centri per l'informazione sul 

traffico e sul viaggio (versione 1.2a) 

Identificazione automatica dei veicoli e delle unità per il carico - Specifiche di 

sistema 

Identificazione automatica dei veicoli e delle unità per il carico - Numerazione 

e strutture dati 


codifica dei messaggi di traffico - Riferimento alle località per ALERT-C 

tore stradale sono riportate in tabella 

5. 

Le norme per la costruzione 

delle strade 

Tra gli scopi delle norme, un 

peso rilevante assume la sicurezza 

della circolazione, in considerazione 

sia degli obiettivi espressi 

dal Piano Nazionale della Sicurezza 

Stradale e dal programma comunitario 

“Promuovere la Sicurez- 

za Stradale nell’Unione Europea” 

sia del rilevante costo sociale costituito 

dai danni alle persone e 

alle cose derivanti dalla circolazione 

dei veicoli, stimato pari a circa 

25.000.000 di euro annui. 

Il decreto 5 novembre 2001, 

«Norme funzionali e geometriche 

per la costruzione delle strade», 

che si basa essenzialmente su uno 

studio coordinato dell’Università 

di Trieste, ampiamente discusso, 


emendato e approvato dalla citata 

Commissione CNR e successivamente 

dal Consiglio Superiore dei 

lavori pubblici, è improntato soprattutto 

al miglioramento della 

sicurezza della circolazione e introduce 

sostanziali modifiche rispetto 

alle precedenti norme del 

CNR. 

Esso prescrive che ciascun progetto 

stradale sia valutato, tenendo 

conto della domanda di trasporto, 

in relazione alle sue caratteristiche 

nel contesto della rete (riferendosi 

con ciò al tipo di movimento 

servito, all’entità dello spostamento, 

alla funzione assunta 

nel contesto territoriale attraversato 

e alle componenti di traffico e 

relative categorie) e che le caratteristiche 

geometriche della strada 

siano congruenti con la funzione, 

in modo tale da evitare situazioni 

potenzialmente generatrici di incidenti 

derivanti da incompatibilità 

tra caratteristiche del traffico e 

proprietà della strada. 

Per garantire la congruenza della 

strada con la funzione, la norma 

prescrive specifiche sezioni 

trasversali e l’omogeneità, da valutarsi 

analiticamente, tra gli elementi 

successivi del tracciato. I 

nuovi tracciati stradali saranno 

pertanto caratterizzati da una variazione 

graduale degli elementi, 

ovvero saranno più scorrevoli e 

privi di insidie. 

Al fine di verificare la successione 

degli elementi è richiesta la 

redazione del diagramma di velocità, 

che costituisce la rappresentazione 

grafica dell’andamento della 

velocità di progetto in funzione 

della progressiva dell’asse stradale 

e si costruisce sulla base del 

tracciato planimetrico. 

Le velocità di progetto, per ciascuna 

tipologia di strada, devono 

essere contenute entro un campo 

definito «intervallo di velocità di 

progetto», i cui limiti superiore e 


inferiore costituiscono le velocità 

di riferimento per la progettazione 

rispettivamente degli elementi 

meno e più vincolanti del tracciato. 

Le nuove norme prescrivono 

un intervallo di velocità molto più 

ampio delle precedenti partendo 

dalla considerazione, avallata da 

riscontri sperimentali, che le velocità 

tenute in pratica dagli utenti 

sono abbastanza elevate in quanto 

condizionate molto poco dalla larghezza 

della sezione come viceversa 

le precedenti norme presupponevano. 

In effetti, il condizionamento 

è dato, in misura apprezzabile, 

essenzialmente dall’andamento 

planimetrico. 

Le sezioni trasversali, che incidono 

in misura rilevante sui costi 

di costruzione e manutenzione, sono 

state modificate per tenere conto 

delle norme sulle barriere di 

sicurezza, nel senso che gli elementi 

della sezione devono essere 

progettati in modo da consentire 

il corretto funzionamento dei dispositivi 

di ritenuta. In tal modo 

risultano maggiorate le dimensioni 

sia dello spartitraffico sia dei 

margini esterni. Inoltre, le norme 

richiedono che la sezione stradale 

sia mantenuta di dimensioni costanti 

anche sulle opere d’arte 

(ponti, viadotti e gallerie), cosa 

che comporta un miglioramento 

della sicurezza e del comfort. Nelle 

gallerie a doppio foro, oltre il 

mantenimento della sezione trasversale 

corrente, è richiesta la realizzazione 

di collegamenti pedonali 

e di passaggi carrabili; inoltre, 

nelle gallerie lunghe oltre 1 

km sono previste piazzole di sosta 

ogni 600 m. 

Senza entrare nel dettaglio tecnico 

di tutte le innovazioni della 

normativa, si rileva che l’esigenza 

di miglioramento della sicurezza, 

con i vincoli progettuali da 

essa dettati, comporta maggiori 

costi di costruzione ed accentua i 


Articolo 

problemi di inserimento ambientale 

dell’infrastruttura stradale. 

La nuova norma, improntata a 

principi basati sui più recenti risultati 

della ricerca scientifica, anche 

per la cogenza derivante dall’emanazione 

in forma di decreto, pone 

indubbiamente al progettista più 

vincoli della precedente, ma va 

osservato che sono possibili delle 

deroghe. Infatti, l’art. 3 consente 

che allorché particolari condizioni 

locali, ambientali, archeologiche 

ed economiche non consentano 

il pieno rispetto delle norme, 

possono essere adottate soluzioni 

progettuali diverse purché esse siano 

supportate da analisi di sicurezza. 

Occorrerà in tal caso ottenere 

il parere favorevole del Consiglio 

Superiore dei lavori Pubblici 

per le strade più importanti (autostrade, 

strade extraurbane principali 

ed urbane di scorrimento) e 

del Provveditorato Regionale per 

le altre. 

È importante, infine, evidenziare 

che affinché i maggiori investimenti 

derivanti dal rispetto delle 

nuove norme diano efficaci risultati 

è necessario intervenire anche 

sugli aspetti comportamentali dei 

guidatori, sia con azioni di educazione 

nei riguardi della sicurezza 

stradale sia con azioni di repressione, 

che potrebbero essere attuate 

con efficacia molto maggiore 

dell’attuale con l’introduzione dei 

sistemi automatizzati per il rilievo 

e la sanzione delle infrazioni, 

sia con l’introduzione dei dispositivi 

intelligenti per il controllo della 

velocità a bordo veicolo. 

In ultimo va ricordato che la 

norma non si applica alle strade 

di montagna collocate su terreni 

morfologicamente difficili, a particolari 

categorie di strade urbane, 

quali ad esempio quelle collocate 

in zone residenziali, ed alle 

strade locali a destinazione particolare. 

l 



Articolo 

Con la delibera 29 novembre 2002 erogati 130 milioni di euro per le regioni 

Il CIPE finanzia il Programma di a tuazione 

del Piano de la Sicurezza Stradale 

di Gian Luca Spitella, esperto in servizi pubblici locali 

La somma non è molto elevata 

se si considera che 130 milioni 

di euro dovranno essere suddivisi 

tra le regioni, ma la decisione 

con cui lo scorso 29 novembre 

il CIPE ha approvato alcuni 

finanziamenti per il Piano Nazionale 

della Sicurezza Stradale 

è recepito dagli operatori 

del settore come un segnale 

della direzione intrapresa dal 

Governo per la lotta agli incidenti 

mortali sulle nostre strade. 

Le priorità del Piano Nazionale 

della Sicurezza vanno dalla 

messa in sicurezza delle strade 

extraurbane e urbane a 

massimo rischio alla manutenzione 

programmata della rete 

stradale, ma vi sono anche delle 

definizioni più dettagliate 

degli interventi come: la creazione 

di rotonde, la creazione 

di aree pedonali e di zone a 30 

km/h; l’educazione alla sicurezza 

stradale nelle scuole, il sostegno 

al trasporto collettivo, 

la creazione di uffici di polizia 

locale, lo sviluppo di convenzioni 

con categorie di imprese 

per lo sviluppo di progetti pubblico-privato. 


Iprovvedimenti assunti dal Comitato 

Interministeriale per la Programmazione 

Economica riguardano 

principalmente le cosiddette Grandi 

Opere. 

Oltre a 450 milioni di euro di finanziamenti 

per la salvaguardia di Venezia 

attraverso il progetto Mose vi sono 

300 milioni per il completamento della 

terza corsia del Grande Raccordo 

Anulare di Roma; 35 milioni per i lavori 

di ammodernamento dell’autostrada 

Napoli-Pompei-Salerno (il cui costo 

complessivo di 175 milioni è sostenuto 

per 140 milioni dalla Società autostrade 

meridionali); circa 37 milioni 

per il risanamento ambientale ed idrogeologico 

del sottosuolo di Napoli. 

A questi si aggiungono 90 milioni 

per la linea metropolitana Alifana di 

Napoli. 62 milioni per il collegamento 

con la A1 della superstrada Benevento-Caianello. 

Ma se gli interventi elencati sono 

di grande impatto a livello nazionale, 

le Regioni e gli enti locali sono più 

coinvolti proprio dall’approvazione 

del “Programma Annuale di attuazione 

del Piano della Sicurezza Stradale 

per il 2002”. In questo caso, infatti, la 

partecipazione degli enti locali e dei 

gestori delle strade sarà attiva e determinante. 

Il Programma Annuale «individua 

le linee di azione di maggiore impatto 

sui livelli di sicurezza stradale», finendo 

con il puntare l’attenzione su 15 

azioni tra tutte quelle elencate nel Piano 

Nazionale. Le priorità stabilite vanno 

dalla messa in sicurezza delle strade 

extraurbane e urbane a massimo 

rischio alla manutenzione programmata 

della rete stradale, ma vi sono anche 

delle definizioni più dettagliate 

degli interventi come: la creazione di 

rotonde, la creazione di aree pedonali 

e di zone a 30 km/h; l’educazione alla 

sicurezza stradale nelle scuole, il sostegno 

al trasporto collettivo, la creazione 

di uffici di polizia locale, lo 

sviluppo di convenzioni con categorie 

di imprese per lo sviluppo di progetti 

pubblico-privato. 

Tutti progetti piuttosto impegnativi 

da un punto di vista finanziario, 

aspetto del quale il Programma si occupa 

nel punto 4 del documento, nel 

quale si legge: «il canale di finanziamento 

è costituito dalle risorse rese 

disponibili dalla legge n. 488/1999» 

ovvero la Finanziaria 2000, «per un 

complesso di 375 miliardi di lire pari 

a 193 milioni di euro». 

I 130 milioni di euro definiti dal 

CIPE sono determinati nel punto successivo 

in cui si legge: «tali risorse 

determinano investimenti per circa 

129,114 milioni di euro». 

Sulle modalità di erogazione della 

somma, coerentemente con il processo 

di trasferimento di poteri e di autonomia 

dallo Stato alle Regioni, entrano in 

gioco in maniera diretta queste ultime. 

Il meccanismo è piuttosto complesso 

perché prevede che lo Stato garantisca 

l’accesso ad un mutuo a fondo perduto 

- destinato a finanziare tra il 50 e 

il 60% del costo dei progetti presentati 

- ma soltanto di quei progetti ritenuti 

“meritevoli” dalle commissioni di selezione 

predisposte a livello regionale. 

La ripartizione delle risorse (si veda 

la tabella 1) è proporzionale al 

numero di incidenti mortali rilevato 

negli anni ed al livello di pericolosità 

dei tratti stradali specifici nelle varie 

regioni. Complessivamente, alle regioni 

del centro-nord sono andate il 

65% delle risorse ed il restante 25% 

alle regioni meridionali 

All’interno di ogni regione, poi, la 

suddivisione delle risorse sarà interamente 

determinata dalla selezione dei 

singoli progetti. Commissioni regiona- 


li (formate da membri di Anci, Upi, 

regione e rappresentanti del Ministero 

delle Infrastrutture) valuteranno quali 

progetti, presentati magari dai comuni, 

siano “meritevoli” del finanziamento 

sulla base della loro incidenza 

nella riduzione del numero di vittime 

della strada. Gli stessi progetti, una 

volta selezionati, finanziati ed attuati, 

dovrebbero essere oggetto di un successivo 

monitoraggio destinato a comparare 

i dati precedenti e successivi 

alla messa in opera. 

Secondo Maurizio Coppo, responsabile 

della segreteria tecnica del Piano 

Nazionale della Sicurezza Stradale 

«si è inaugurato un nuovo modo di 

pensare, stabilendo criteri legati all’ef- 


fettivo funzionamento dei progetti e 

somme che si sia veramente in grado 

di spendere. L’intervento di oggi, sia 

in termini di finanziamento che di tipologia 

di progetti, è un primo passo di 

tipo urgente. La filosofia è però quella 

del lungo periodo destinata a far crescere 

gradualmente ma regolarmente 

il livello di sicurezza delle strade». 

Sul livello di sicurezza delle strade 

e sulla delibera CIPE si è pronunciato 

anche il presidente del Comitato Risk 

Management, Enrico Ferri (ex Ministro 

dei Lavori Pubblici, oggi parlamentare 

europeo): «la delibera è un 

segnale positivo sul piano della civiltà, 

perché aiuta le strade più a rischio. 

Il documento sarà trainante anche 

per l’unione europea - ha conti- 


Articolo 

nuato Ferri che proprio nei giorni scorsi 

ha presentato alla Commissione 

UE un’interrogazione parlamentare 

sulle barriere autostradali - che dovrà 

intervenire con finanziamenti più incisivi 

e legislazioni specifiche sulla sicurezza». 

Come giudicano il provvedimento 

gli operatori della sicurezza stradale? 

Per Gabriella Gherardi, presidente dell’AISES 

(Associazione Italiana Segnaletica 

e Sicurezza): «finalmente 

siamo arrivati in fondo al Piano Nazionale 

per la Sicurezza con finanziamenti 

che seguono criteri di priorità. 

L’approccio sistemico della gestione 

del rischio deve tenere conto sia della 

manutenzione delle infrastrutture che 

della mobilità sulle strade». 

Quota % Valore (Lit min) Valore (∴000) 

Piemonte 7,539% 1.884,830 973,434 

Valle D’Aosta 0,247% 61,744 31,888 

Lombardia 15,487% 3.871,784 1.999,610 

Provincia di Trento 0,849% 212,319 109,654 

Provincia di Bolzano 0,962% 240,606 124,262 

Veneto 7,643% 1.910,633 986,759 

Friuli Venezia Giulia 2,361% 590,161 304,793 

Liguria 2,794% 698,587 360,790 

Emilia Romagna 8,898% 2.224,606 1.148,913 

Toscana 6,161% 1.540,149 795,420 

Umbria 1,784% 445,869 230,272 

Marche 2,999% 749,837 387,259 

Lazio 7,276% 1.818,875 939,371 

Regioni del Centro Nord 65,000% 16.250,00 8.392,425 

Abruzzo 3,842% 960,586 496,102 

Molise 1,100% 275,003 142,027 

Campania 5,890% 1.472,450 760,457 

Puglia 6,137% 1.534,195 792,346 

Basilicata 1,760% 439,886 227,182 

Calabria 4,310% 1.077.594 556,531 

Sicilia 8,417% 2.104,364 1.086,813 

Sardegna 3,544% 885,922 457,540 

Regioni Meridionali 35,000% 8.750,000 4.518,998 

Totale 100,000% 25.000,000 12.911,422 

TABELLA 1 

Finanziamenti CIPE ripartiti per regione 

per il Programma di attuazione del Piano della Sicurezza Stradale 

Valori riferiti alla prima annualità dei limiti di impegno quindicennale, 

pari a 25 miliardi per anno, come previsto dall’art. 56 della legge 488/1999 



Commento 

di Mario Gallo, cultore di Diritto del Lavoro nell’Università degli Studi di Cassino 

e componente del Comitato per la Formazione dell’AIAS 

«Con la conversione con modifiche 

del decreto legge 25 settembre 

2002, n. 210, per opera 

della legge 22 novembre 2002, 

n. 266, recante «Disposizioni 

urgenti in materia di emersione 

del lavoro sommerso e di 

rapporti di lavoro a tempo parziale» 

(in Gazzetta Ufficiale 

del 23 novembre 2002, n. 275) 

la disciplina sull’emersione del 

lavoro nero e della sanatoria 

degli illeciti in materia di sicurezza 

del lavoro è stata oggetto 

di un ulteriore processo di 

revisione, attraverso la soppressione 

dello strumento dell’emersione 

automatica (art. 1, 

legge n. 383/2001) e il restyling 

dell’istituto dell’emersione 

progressiva (art. 1-bis, 

legge n. 383/2001), ulteriormente 

prorogato al 15 maggio 

2003 e con alcune importanti 

novità in materia di ispezioni e 

verifiche, controllo della procedura 

e appalti pubblici. 


La sospensione delle ispezioni e la sanatoria degli illeciti secondo la nuova legge n. 266/2002 

Soppressa l’emersione automatica del lavoro nero 

e prorogata al 15 maggio 2003 que la progressiva 

Il piano straordinario 

dei controlli: i primi risultati 

Per meglio comprendere l’importanza 

del nuovo provvedimento, e il clima 

in cui lo stesso è stato maturato, appare 

necessario compiere una riflessione 

preliminare in ordine ai primi effetti 

dell’attività di controllo straordinario 

sull’economia sommersa. Disciplinata 

energicamente dalla legge n. 73/2002 e 

dalla delibera CIPE n. 38/2002, secondo 

i dati diffusi dall’Agenzia delle Entrate 

tra il mese di luglio e quello di 

ottobre, i controlli effettuati - in collaborazione 

con la Guardia di Finanza, 

Ministero del Lavoro, INPS e INAIL, 

spesso anche con l’intervento delle 

ASL - hanno interessato ben 21.199 

imprese, ed hanno portato alla scoperta 

di 13.151 lavoratori irregolari (si veda 

la tabella 1). Evidentemente la previsione 

della nuova sanzione amministrativa 

«dal 200 al 400 per cento dell’importo, 

per ciascun lavoratore irregolare, 

del costo del lavoro calcolato sulla 

base dei vigenti contratti collettivi nazionali, 

per il periodo compreso tra 

l’inizio dell’anno e la data di constatazione 

della violazione» (art. 3, comma 

3, legge n. 73/2002), fin ora è servita a 

ben poco a fungere da deterrente e da 

stimolo per la regolarizzazione del lavoro 

in nero. 

Dopo questa prima “fase del bastone” 

che, come puntualizza la stessa 

Agenzia delle Entrate, non si è esaurita 

ma solo temporaneamente sospesa, 

il legislatore ha lanciato un nuovo 

“salvagente” ai datori di lavoro evasori 

revisionando l’istituto dell’emersione 

progressiva, attraverso l’introduzione 

di un nuovo organismo di control- 

lo: i comitati per il lavoro e l’emersione 

del sommerso (CLES). Vediamo 

nel dettaglio le novità più significative, 

soprattutto per quanto concerne la 

sanatoria degli illeciti in materia di 

sicurezza e igiene del lavoro. 

I CLES e la nuova procedura 

di emersione e sanatoria 

Rispetto alla versione originaria 

della legge n. 383/2001 risultano immutate 

le categorie di lavoratori regolarizzabili; 

tuttavia, è stata ampliata la 

platea dei datori di lavoro che possono 

beneficiare della sanatoria che ora 

comprende, oltre a imprenditori e professionisti, 

anche le società e associazioni 

sportive, artistiche e culturali, 

nonché le comunità terapeutiche convenzionate, 

senza nuovi o maggiori 

oneri a carico del bilancio dello Stato 

(art. 1-bis). Dal 1˚ dicembre tali soggetti 

potranno regolarizzare le posizioni 

solo attraverso l’emersione progressiva, 

visto che quell’automatica non è 

stata prorogata salvo ripensamenti dell’ultima 

ora. Tuttavia, con l’avvento 

del decreto legge n. 210/2002 è mutato 

il soggetto competente a ricevere il 

piano individuale di emersione (PIE); 

infatti, detto documento non andrà presentato 

più al sindaco ma ai citati 

CLES. Per i PIE già presentati all’autorità 

comunale sarà cura della stessa 

trasmetterli alla competente Direzione 

provinciale del lavoro. 

L’istituzione e funzionamento dei 

CLES è regolata dall’art. 1, comma 2, 

della legge n. 266/2002 che ha completamente 

riscritto l’art. 1-bis della 

legge n. 383/2001. Gli stessi andranno 

costituiti in ogni capoluogo di provin- 


cia, presso le Direzioni provinciali del 

lavoro; il nuovo provvedimento prevede 

che i 16 componenti del CLES 

sono nominati dal Prefetto, dei quali 

otto sono designati rispettivamente 

dal Ministero del Lavoro e delle Politiche 

sociali, dal Ministero dell’Ambiente, 

dall’INPS, dall’INAIL, dall’ASL, 

dal comune, dalla Regione e 

dalla Prefettura - Ufficio territoriale 

del Governo, e otto designati in maniera 

paritetica dalle organizzazioni sindacali 

comparativamente più rappresentative 

sul piano nazionale dei datori 

di lavoro e dei prestatori di lavoro. 

Si osservi l’assenza dell’ISPESL e del 

Corpo dei Vigili del Fuoco. Al CLES 

competono funzioni istruttorie in ordine 

al merito del piano individuale di 

emersione ben più estese di quelle che 

spettavano precedentemente al sindaco. 

Più precisamente, i comitati dovranno 

valutare le proposte di progressivo 

adeguamento agli obblighi 

di legge diversi da quelli fiscali e previdenziali 

- sicurezza e igiene del lavoro, 

ambiente, urbanistica, igiene del 

lavoro, ecc. - formulando eventuali 

proposte di modifica, nonché misure 


di sicurezza equivalenti provvisorie. 

La valutazione avrà per oggetto la fattibilità 

tecnica dei contenuti, nel rispetto 

delle linee guida emanate dal CIPE 

con la delibera n. 100/2001; qualora il 

PIE preveda degli adeguamenti collegati 

ad aspetti urbanistici e ambientali, 

il CLES dovrà sottoporre il piano al 

parere del comune competente per territorio. 

Entro trenta giorni l’ente locale 

dovrà fornire un parere vincolante 

ma l’eventuale silenzio non impedisce 

il prosieguo delle attività istruttorie 

del comitato. Interessante è osservare 

la norma di tutela a favore dei componenti 

del CLES, in base alla quale gli 

stessi non sono responsabili dell’attuazione 

del piano o dell’eventuale diniego 

delle autorizzazioni allo svolgimento 

delle attività al termine del periodo 

di emersione (art.1-bis, comma 6). Su 

quest’ultimo punto la scelta fatta dal 

legislatore non risulta del tutto convincente, 

ed impone una notevole prudenza 

nel redigere il PIE. 

Dal punto di vista procedurale resta 

immutata anche l’intelaiatura dell’iter 

processuale, risultando ancora 

valide le considerazioni fatte prece- 


Commento 

dentemente sulle problematiche operative 

e sulle necessità di cooperazione 

tra i diversi consulenti aziendali (si 

veda Ambiente&Sicurezza n. 15/ 

2002, pag. 32 e segg.). Pertanto, il 

datore di lavoro dovrà presentare il 

PIE entro il 28 febbraio 2003 al 

CLES dove ha sede l’unità produttiva, 

attraverso la competente direzione 

provinciale del lavoro (si veda lo schema 

1); la legge n. 266/2002 ha altresì 

lasciato invariati i contenuti del PIE 

previsti originariamente nell’art. 1-bis 

della legge n. 383/2001, compreso il 

diritto all’anonimato da parte del datore 

di lavoro. Non risulta nemmeno 

innovato il termine originario dei 18 

mesi per la progressiva regolarizzazione 

degli adempimenti, prorogabile a 

24 mesi in caso di motivate esigenze. 

Una volta approvato il PIE il datore di 

lavoro dovrà presentare entro il 15 

maggio 2002 la dichiarazione di emersione. 

La procedura di valutazione deve 

esaurirsi entro 60 giorni dalla data 

di presentazione del piano e può concludersi 

o con l’approvazione senza 

modifiche o con modifiche che andranno 

in ogni caso preventivamente 

I primi risultati del piano straordinario dei controlli 

luglio-ottobre 2002 

TABELLA 1 

ATTIVITÀ 

Nord Ovest 

NUMERO DEI CONTROLLI 

Nord Est Centro Sud Isole 

Agricoltura - caccia - silvicoltura 34 230 204 134 146 

Alberghi e ristoranti 771 532 567 682 830 

Altri servizi pubblici sociali 

e personali 

203 71 110 246 68 

Attività immobiliare 

e professionale - Noleggio 

118 61 45 48 28 

Attività manifatturiere 770 500 485 807 256 

Commercio, riparazioni auto 

e beni casa 

1.202 465 711 1.061 385 

Costruzioni 578 584 576 550 223 

Altre attività 2.046 759 1.549 1.682 882 

TOTALE 5.722 3.202 4.247 5.210 2.818 

Posizioni irregolari Accertate 

Fonte: Agenzia delle Entrate 

2.865 1.960 2.576 3.957 1.793 



Commento 

concordate con il datore di lavoro o 

con i suo consulente in caso di presentazione 

anonima, o addirittura con il 

rigetto dello stesso - trattandosi di atto 

amministrativo andrà in ogni caso motivato 

- elemento questo che costituisce 

l’autentico zoccolo duro della sanatoria. 

Il controllo della procedura 

e la sanatoria degli illeciti 

Per quanto concerne il controllo 

finale sull’attuazione del PIE il novellato 

art. 1-bis appare poco chiaro. Infatti, 

originariamente era statuito che 

«Il sindaco o l’organo di vigilanza 

delegato verifica entro sessanta giorni 

dalla scadenza dei termini fissati, 

l’avvenuto adeguamento o regolarizzazione 

agli obblighi previsti dalla 

normativa vigente, dandone comunicazione 

all’interessato. L’adeguamento 

o la regolarizzazione si considerano, 

a tutti gli effetti, come avvenuti 

tempestivamente e determinano 

l’estinzione dei reati contravvenzionali 

e delle sanzioni connesse alla 

violazione dei predetti obblighi». Viceversa, 

ora viene solo affermato che 

«Le autorità competenti, previa verifica 

della avvenuta attuazione del piano, 

rilasciano le relative autorizzazioni 

entro sessanta giorni dalla scadenza 

dei termini fissati nel piano. L’adeguamento 

o la regolarizzazione si 

considerano, a tutti gli effetti, come 

avvenuti tempestivamente e determinano 

l’estinzione dei reati contravvenzionali 

e delle sanzioni connesse 

alla violazione dei predetti obblighi» 

(art. 1-bis, comma 10). 

Da un’attenta analisi della nuova 

disposizione emergono due aspetti. Il 

primo è che risulta immutato il beneficio 

dell’estinzione gratuita dei reati 

contravvenzionali e delle sanzioni 

amministrative a seguito degli adeguamenti 

(cosiddetto condono tombale); 

il secondo è che, a differenza del 

vecchio regime, il controllo finale 

sembra essere solo eventuale, propedeutico 

per il rilascio delle autorizzazioni 

mancanti quali, ad esempio, il 

certificato di prevenzione incendi o 

l’autorizzazione sanitaria. Infatti, si ri- 


leva l’assenza della previsione dell’accertamento 

finale obbligatorio degli 

adeguamenti in ogni caso come, 

ad esempio, in materia di formazione 

(art. 22, D.Lgs. n. 626/1994), ambienti 

di lavoro (D.P.R. n. 547/1955), ecc. 

Sospensione 

delle ispezioni: la casistica 

Un aspetto molto discusso della formulazione 

originaria dell’emersione 

progressiva era l’assenza della previsione 

del beneficio della sospensione delle 

ispezioni con la presentazione del 

PIE. Sulla questione già abbiamo precedentemente 

osservato che, a livello 

dottrinale, si poteva affermare che tale 

effetto si produceva solo per le ispezioni 

ancora in fase amministrativa e per 

quelle successive alla presentazione 

del PIE. Il legislatore finalmente ha 

chiarito, almeno parzialmente, questo 

spinoso problema affermando il principio 

in base al quale «L’approvazione 

del piano individuale di emersione (...) 

comporta, esclusivamente per le violazioni 

oggetto di regolarizzazione, la sospensione, 

già nel corso dell’istruttoria 

finalizzata all’approvazione del piano 

stesso, di eventuali ispezioni e verifiche 

da parte degli organi di controllo 

e vigilanza nei confronti del datore di 

lavoro che ha presentato il piano» (art. 

1-bis, comma 15). Pertanto, con la presentazione 

del PIE dovranno essere 

sospese non solo le ispezioni in fase 

amministrativa ma anche quelle nelle 

quali l’organo di vigilanza già ha notificato 

il verbale di prescrizione ex art. 

20 del D.Lgs. n. 758/1994, in virtù 

del principio di assorbimento di questa 

procedura in quella di carattere 

straordinario dell’emersione. Infatti, 

la novellata norma fa riferimento anche 

alla sospensione delle verifiche 

ed appare pacifico che in tale ambito 

deve essere collocato anche l’accertamento 

dell’esatto adempimento della 

prescrizione ex art. 21 del citato decreto. 

Quindi, se ipotizziamo che ad un 

datore di lavoro è stato notificato un 

verbale di prescrizione in materia di 

macchine o di formazione, questi potrà 

neutralizzare gli effetti dell’ispezione 

presentando il PIE al CLES e inoltrando 

all’organo di vigilanza un’ap- 

posita istanza di sospensione (si veda 

il modello suggerito a pag. 40). L’effetto 

sospensivo, ovviamente, si produce 

solo se nel piano è stata inclusa 

la violazione da sanare e nella malaugurata 

ipotesi in cui il PIE non sia 

accolto è da ritenersi che il datore di 

lavoro dovrà adempiere il verbale di 

prescrizione nel termine originariamente 

previsto. Tuttavia, su quest’ultimo 

aspetto sarebbe opportuno un chiarimento 

ministeriale, al fine di coordinare 

le due procedure. Più delicata, 

invece, è la fattispecie nella quale il 

datore di lavoro ha commesso un reato 

di tipo contravvenzionale non sanabile 

attraverso l’istituto della prescrizione 

(si veda la circolare del Ministero 

del Lavoro del 27 febbraio 1996); 

se la natura eccezionale della norma 

farebbe propendere per l’inclusione 

nella sfera delle sospensioni anche il 

caso in cui al contravventore non è 

stato ancora notificato nulla dall’autorità 

giudiziaria, appare chiaro che da 

un’interpretazione letterale della stessa 

tale ipotesi è esclusa visto che la 

procedura ispettiva è conclusa. Pertanto, 

l’unico rimedio cui si potrebbe fare 

ricorso è l’istituto dell’oblazione 

disciplinato dall’art. 162-bis c.p. 

Le nuove disposizioni 

per gli appalti pubblici 

La notevole diffusione del lavoro 

sommerso, specie nel settore degli appalti, 

ha indotto il legislatore ad intervenire 

negli ultimi anni in diverse occasioni 

- legge n. 415/1998, legge n. 

327/2000, ecc. - postulando il principio 

generale che l’impresa per essere 

legittimata a partecipare alle gare di 

aggiudicazione di lavori pubblici deve 

dimostrare di essere in regola con le 

norme in materia di rapporto di lavoro 

e previdenza. Trattasi, in effetti, di una 

forma di controllo sull’idoneità tecnico-professionale 

dell’appaltatore, in 

sintonia con l’art. 7 del D.Lgs. n. 

626/1994, alla quale trova ispirazione 

il dettato dell’art. 1, comma 2, della 

legge n. 266/2002, in base al quale «I 

soggetti che si avvalgono dei piani individuali 

di emersione sono esclusi dalle 

gare di appalto pubblico fino alla conclusione 

del periodo di emersione». In- 


fatti, la sussistenza di una procedura di 

emersione è sintomo palese di uno stato 

patologico in via di risoluzione. Analogamente, 

l’art. 2 del nuovo provvedimento 

dispone che «Le imprese che 

risultano affidatarie di un appalto pubblico 

sono tenute a presentare alla stazione 

appaltante la certificazione relativa 

alla regolarità contributiva a pena 

di revoca dell’affidamento». La norma, 

inizialmente introdotta dal decreto 

legge n. 210/2002 solo per gli appalti 

di lavori edili, chiarisce al comma successivo 

che tale obbligo è esteso anche 

alle imprese che gestiscono servizi e 

attività in convenzione o concessione 

con l’ente pubblico, pena la decadenza 


della convenzione o la revoca della 

concessione stessa. In effetti, questo è 

solo un primo passo nell’attesa che 

l’INPS e l’INAIL entro il 26 settembre 

2003 stipulino una convenzione per il 

rilascio del documento unico di regolarità 

contributiva (DURC), che semplificherà 

la procedura. 

Conclusioni 

La novellata disciplina in materia 

di emersione progressiva denota una 

fase di maturità dell’istituto, con l’introduzione 

di ulteriori benefici che 

rendono ancora più vantaggioso il ricorso 

ad essa. Infatti, la riduzione dei 

controlli finali e la sospensione delle 


Commento 

ispezioni e verifiche rendono ancora 

più appetibile lo strumento, soprattutto 

per quei datori di lavoro nei confronti 

dei quali è appena iniziata un’attività 

di controllo o che sono stati inseriti 

nella lista del piano straordinario 

dei controlli come soggetti a maggior 

rischio di impiego di lavoro nero: 

commercio, riparazione auto, vendita 

di beni per la casa, alberghi e ristoranti, 

settore manifatturiero e edilizia. In 

tal senso giova ricordare che l’Agenzia 

delle Entrate ha già comunicato 

che nei prossimi mesi sarà ulteriormente 

potenziata l’attività di contrasto, 

facendo così da monito a quanti 

credono che la strada dell’illegalità 

sia sempre a tre corsie. l 



Commento 

Modello di istanza di sospensione 

All’Azienda Sanitaria Locale............. 

Ovvero 

Alla Direzione Provinciale del Lavoro di.......................... 

Ovvero 

Al Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di .................. 

Oggetto: Istanza di sospensione della procedura ispettiva/di verifica n. ..... del ............. in materia di 

sicurezza e igiene del lavoro, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1-bis, comma 15, della legge 18 ottobre 

2001, n. 383. 

Il sottoscritto (Cognome e nome).................................................... nato a ..................... il .............................. 

in qualità di datore di lavoro della (Ditta o denominazione o ragione sociale)............................................... 

con sede legale in............................................................................................................... esercente l’attività 

di ..........................................................................................., con codice fiscale: ............................................. 

e partita IVA n. ................................................................................................ 

Premesso 

1. che rientrando nell’ambito applicativo delll’art. 1-bis della legge 18 ottobre 2001, n. 383 la (Ditta o 

denominazione o ragione sociale) ..................................................................... ha presentato, attraverso la 

direzione provinciale del lavoro di ................................, in data ...................... prot. n. ......... al Comitato 

per il lavoro e l’emersione del sommerso il piano individuale di emersione per l’unità produttiva sita 

in..........................................................; 

2. che intende avvalersi dei benefici previsti dall’art. 1-bis, comma 15, della L. 18 ottobre 2001, n. 383, così 

come modificato dal decreto legge n. 210 del 2002, convertito con modifiche dalla legge n. 266 del 2002; 

3. che del ricorso alla procedura di cui al punti sub 1 e 2 il sottoscritto ha informato il Rappresentante dei 

Lavoratori per la Sicurezza, il Medico Competente e il Responsabile del Servizio di Prevenzione e 

Protezione, nel corso di un’apposita riunione ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. 19/9/1994, n. 626, tenutasi in 

data.................... in cui sono stati altresì illustrati i contenuti della regolarizzazione; 

Chiede 

- di voler procedere alla sospensione della procedura ispettiva in oggetto in quanto assorbita dalla 

procedura di sanatoria in corso. 

ovvero 

- di voler procedere alla sospensione della verifica conseguente al verbale redatto ai sensi dell’art. 20 del 

D.Lgs. 758/94, in quanto assorbita dalla procedura di sanatoria in corso, dandone immediata comunicazione 

all’autorità giudiziaria. Dichiara, inoltre, che tutte le irregolarità riscontrate sono state inserite nel 

piano individuale di emersione. 

Data: ......................................... 


Firma:................................................. 

Allegati: Copia del piano individuale di emersione; 

Copia della ricevuta di presentazione. 

___________________ 

Le parti in corsivo sono opzionali e vanno inserite in base alle effettive condizioni in cui trovasi l’impresa 


Testo coordinato del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210 

Testo del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 225 del 25 settembre 2002), 

coordinato con la legge di conversione 22 novembre 2002, n. 266 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale - alla pag. 12), recante: 

“Disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale” 

in Gazzetta Ufficiale del 23 novembre 2002, n. 275 

Le modifiche apportate dalla legge di conversione 

sono riportate in neretto. 

Art. 1 

Modifiche alla legge 18 ottobre 2001, n. 383 

1. All’articolo 1, comma 4-bis, della legge 18 ottobre 

2001, n. 383, dopo le parole: «atto di conciliazione» 

sono inserite le seguenti: «nel quale sia indicato il 

livello di inquadramento attribuito al lavoratore, come 

specificato dal contratto collettivo nazionale di lavoro 

di riferimento, sottoscritto dalle associazioni sindacali 

comparativamente più rappresentative dei lavoratori 

e degli imprenditori o, in mancanza, dai contratti collettivi 

stipulati per le categorie affini,» e sono aggiunte, 

in fine, le parole: «sottoscritti dalle associazioni sindacali 

comparativamente più rappresentative dei lavoratori 

e degli imprenditori». 

2. L’articolo 1-bis della legge 18 ottobre 2001, n. 383, 

è sostituito dal seguente: 

«Art. 1-bis (Emersione progressiva). - 1. In ogni capoluogo 

di provincia sono istituiti presso le direzioni provinciali 

del lavoro i Comitati per il lavoro e l’emersione del 

sommerso (CLES). I Comitati sono composti da 16 membri 

nominati dal prefetto; otto dei quali sono designati 

rispettivamente dal Ministero del lavoro e delle politiche 

sociali, dal Ministero dell’ambiente, dall’INPS, dall’INAIL, 

dalla ASL, dal comune, dalla regione e dalla 

Prefettura-Ufficio territoriale del Governo, e otto designati 

in maniera paritetica dalle organizzazioni sindacali comparativamente 

più rappresentative sul piano nazionale dei 

datori di lavoro e dei prestatori di lavoro. 

Il componente designato dal Ministero del lavoro e 

delle politiche sociali assume le funzioni di presidente. La 

regione e l’ANCI provvedono, rispettivamente, ad individuare, 

nell’ambito del territorio provinciale, l’ASL e 

il comune competente alla designazione. I Comitati sono 

nominati entro il 30 ottobre 2002. I Comitati possono 

operare qualora alla predetta data siano stati nominati la 

metà più uno dei componenti. Le funzioni di segreteria dei 

CLES sono svolte dalle direzioni provinciali del lavoro. 

1-bis. Per l’attività e il funzionamento dei CLES è 

autorizzata la spesa massima di 500.000 euro per l’anno 

2002 e di 2,6 milioni di euro a decorrere dall’anno 

2003, cui si provvede mediante corrispondente riduzione 

dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 

2002-2004, nell’ambito dell’unità previsionale di 

base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di 

previsione del Ministero dell’economia e delle finanze 

per l’anno 2002, allo scopo parzialmente utilizzando 

l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. 

2. In alternativa alla procedura prevista dall’articolo 1, 

gli imprenditori presentano al CLES di cui al comma 1, 

dove ha sede l’unità produttiva, entro il 28 febbraio 2003 

un piano individuale di emersione contenente: 



Legislazione 

a) le proposte per la progressiva regolarizzazione ed 

adeguamento agli obblighi previsti dalla normativa vigente 

per l’esercizio dell’attività, relativamente a materie diverse 

da quella fiscale e contributiva, in un periodo non 

superiore a diciotto mesi, eventualmente prorogabile a 

ventiquattro mesi in caso di motivate esigenze; 

b) le proposte per il progressivo adeguamento agli obblighi 

previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro in 

materia di trattamento economico sottoscritti dalle associazioni 

sindacali comparativamente più rappresentative 

dei lavoratori e degli imprenditori, in un periodo 

comunque non superiore al triennio di emersione, mediante 

sottoscrizione con apposito verbale aziendale degli 

accordi sindacali collettivi a tale fine conclusi, a livello 

provinciale, tra le organizzazioni sindacali comparativamente 

più rappresentative e le associazioni di rappresentanza 

dei datori di lavoro con riferimento a ciascun settore 

economico; per i settori economici per i quali non operano 

organi di rappresentanza dei datori di lavoro o dei lavoratori 

in sede provinciale, i predetti accordi possono essere 

conclusi a livello nazionale o regionale; le proposte per il 

progressivo adeguamento agli obblighi in materia di 

trattamento economico, in assenza di contratti collettivi 

nazionali di lavoro propri del settore economico 

interessato, devono fare riferimento agli obblighi previsti 

nei contratti collettivi nazionali di lavoro di settori 

omogenei; 

c) il numero e la remunerazione dei lavoratori che si 

intende regolarizzare; 

d) l’impegno a presentare un’apposita dichiarazione di 

emersione successivamente alla approvazione del piano da 

parte del CLES. 

3. I CLES operano in collaborazione con le commissioni 

provinciali istituite ai sensi dell’articolo 78, comma 

4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive 

modificazioni. Di tali commissioni fanno parte, ove già 

non presenti, le organizzazioni sindacali comparativamente 

più rappresentative sul piano nazionale dei datori 

di lavoro e dei prestatori di lavoro, nonché le organizzazioni 

sindacali dei datori di lavoro e dei prestatori di 

lavoro che hanno sottoscritto l’avviso comune, in materia 

di emersione dell’economia sommersa, in data 19 

luglio 2002. 

4. Comma soppresso. 

5. I comitati di cui al comma 1 ricevono i piani di 

emersione individuale presentati dai datori di lavoro interessati 

all’emersione progressiva ed hanno i seguenti compiti: 

a) valutare le proposte di progressivo adeguamento agli 

obblighi di legge diversi da quelli fiscali e previdenziali 

formulando eventuali proposte di modifica; 

b) valutare la fattibilità tecnica dei contenuti del piano 

di emersione; 

c) definire, nel rispetto degli obblighi di legge, tempora- 



Legislazione 

nee modalità di adeguamento per ciascuna materia da 

regolarizzare; 

d) verificare la conformità del piano di emersione ai 

minimi contrattuali contenuti negli accordi sindacali di cui 

al comma 2. 

5-bis. Qualora il piano individuale di emersione contenga 

proposte per il progressivo adeguamento che 

coinvolgono interessi urbanistici e ambientali, il CLES 

sottopone il piano al parere del comune competente 

per territorio, che esprime, in ordine a tali interessi, un 

parere vincolante entro trenta giorni dalla ricezione 

della richiesta. Decorso tale termine il CLES valuta 

comunque il piano. 

6. I componenti dei CLES non sono responsabili per i 

fatti connessi alla realizzazione del piano di emersione 

progressiva che si verificano durante il periodo di attuazione 

dello stesso, nonché del mancato rilascio delle autorizzazioni 

allo svolgimento delle attività al termine del periodo 

di emersione. 

7. Per la presentazione del piano individuale di emersione, 

gli imprenditori che intendono conservare l’anonimato 

possono avvalersi delle organizzazioni sindacali dei datori 

di lavoro o dei professionisti iscritti agli albi dei dottori 

commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei 

consulenti del lavoro, che provvedono alla presentazione 

del programma al competente CLES, con l’osservanza di 

misure idonee ad assicurare la riservatezza dell’imprenditore 

stesso. 

8. Il CLES approva il piano individuale di emersione 

nell’ambito delle linee generali definite dal CIPE, secondo 

quanto stabilito dal comma 1 dell’articolo 1. 

9. Il CLES approva il piano di emersione entro sessanta 

giorni dalla sua presentazione, previe eventuali modifiche 

concordate con l’interessato o con i soggetti di cui al 

comma 7, ovvero respinge il piano stesso. 

10. Le autorità competenti, previa verifica della avvenuta 

attuazione del piano, rilasciano le relative autorizzazioni 

entro sessanta giorni dalla scadenza dei termini fissati nel 

piano. 

L’adeguamento o la regolarizzazione si considerano, a 

tutti gli effetti, come avvenuti tempestivamente e determinano 

l’estinzione dei reati contravvenzionali e delle sanzioni 

connesse alla violazione dei predetti obblighi. 

11. La dichiarazione di emersione ai sensi del presente 

articolo è presentata entro il 15 maggio 2003 e produce gli 

altri effetti previsti dall’articolo 1. 

12. Le certificazioni di regolarità rilasciate ai datori di 

lavoro, precedentemente alla presentazione dei piani individuali 

di emersione, conservano la loro efficacia. 

13. I soggetti che hanno fatto ricorso ai contratti di 

riallineamento retributivo di cui al decreto-legge 1˚ ottobre 

1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 

novembre 1996, n. 608, che già in corso di applicazione di 

tali contratti non sono riusciti a rispettare gli obblighi 

assunti, ovvero che alla conclusione del periodo previsto 

per il riallineamento non sono riusciti a corrispondere i 

minimi contrattuali nazionali, possono accedere ai programmi 

di emersione progressiva secondo le modalità stabilite 

nel presente articolo. 

14. I soggetti che si avvalgono dei piani individuali di 

emersione sono esclusi dalle gare di appalto pubblico fino 

alla conclusione del periodo di emersione. 


15. L’approvazione del piano individuale di emersione 

ai sensi del presente articolo comporta, esclusivamente per 

le violazioni oggetto di regolarizzazione, la sospensione, 

già nel corso dell’istruttoria finalizzata all’approvazione 

del piano stesso, di eventuali ispezioni e verifiche da parte 

degli organi di controllo e vigilanza nei confronti del 

datore di lavoro che ha presentato il piano.». 

2-bis. I piani di emersione individuale già presentati 

alla data di entrata in vigore del presente decreto sono 

trasmessi, a cura del sindaco, alle direzioni provinciali 

del lavoro territorialmente competenti. 

3. Al comma 5 dell’articolo 3 della legge 18 ottobre 

2001, n. 383, dopo le parole: «redditi di lavoro autonomo» 

sono aggiunte le seguenti: «e alle imprese che svolgono 

attività agricola non produttiva di reddito di impresa». 

Riferimenti normativi: 

- La legge 18 ottobre 2001, n. 383 (Primi interventi per 

il rilancio dell’economia è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 

n. 248 del 24 ottobre 2001. 

- Il testo dell’art. 1, comma 4-bis, della citata legge n. 

383 del 2001, come modificato dal presente decreto-legge, 

è il seguente: 

4-bis. I lavoratori che aderiscono al programma di emersione 

e che non risultano già dipendenti dell’imprenditore 

sono esclusi, per il periodo antecedente nonché per il 

triennio di emersione, dal computo dei limiti numerici di 

unità di personale previsti da leggi e contratti collettivi di 

lavoro ai fini dell’applicazione di specifiche normative ed 

istituti, ad eccezione delle disposizioni in materia di licenziamenti 

individuali e collettivi. L’adesione da parte del 

lavoratore al programma di emersione di cui al presente 

articolo, tramite sottoscrizione di specifico atto di conciliazione 

nel quale sia indicato il livello di inquadramento 

attribuito al lavoratore, come specificato dal contratto collettivo 

nazionale di lavoro di riferimento, sottoscritto dalle 

associazioni sindacali comparativamente più rappresentative 

dei lavoratori e degli imprenditori o, in mancanza, dai 

contratti collettivi stipulati per le categorie affini ha efficacia 

novativa e rapporto di lavoro emerso con effetto dalla 

data di presentazione della dichiarazione di emersione e 

produce, relativamente ai diritti di natura retributiva e 

risarcitoria per il periodo pregresso, gli effetti conciliativi 

ai sensi degli articoli 410 e 411 del codice di procedura 

civile; dalla stessa data si applicano gli istituti economici e 

normativi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro 

di riferimento sottoscritti dalle associazioni sindacali 

comparativamente più rappresentative dei lavoratori e degli 

imprenditori. 

- Il testo dell’art. 78, comma 4, della legge 23 dicembre 

1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione 

e lo sviluppo), è il seguente: 

«4. A livello regionale e provinciale sono istituite, presso 

le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, 

commissioni con compiti di analisi del lavoro irregolare 

a livello territoriale, di promozione di collaborazioni 

ed intese istituzionali, di assistenza alle imprese, finalizzata 

in particolare all’accesso al credito agevolato, alla formazione 

ovvero alla predisposizione di aree attrezzate, che 

stipulano contratti di riallineamento retributivo anche attraverso 

la presenza di un apposito tutore. A tale fine le 

commissioni possono affidare l’incarico di durata non su- 


periore a quindici mesi, rinnovabile una sola volta per una 

durata non superiore a quella iniziale e comunque non 

oltre il 31 dicembre 2003, a soggetto dotato di idonea 

professionalità, previo parere favorevole espresso dal Comitato 

di cui al comma 3 che provvede, altresì, a verificare 

e valutare periodicamente l’attività svolta dal tutore, segnalandone 

l’esito alla rispettiva commissione per l’adozione 

delle conseguenti determinazioni; per la relativa attività è 

autorizzata la spesa di lire 5 miliardi per ciascuno degli 

anni 2001, 2002 e 2003; qualora la commissione non sia 

costituita od operante, all’affidamento dell’incarico e all’adozione 

di ogni altra relativa determinazione provvede 

direttamente il Comitato di cui al comma 3. Le commissioni 

sono composte da quindici membri: sette, dei quali uno 

con funzioni di presidente, designati dalle amministrazioni 

pubbliche aventi competenza in materia, e otto designati, 

in maniera paritetica, dalle organizzazioni sindacali dei 

datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più 

rappresentative sul piano nazionale. Le commissioni, nominate 

dal competente organo regionale, possono avvalersi 

di esperti e coordinarsi, per quanto concerne il lavoro 

irregolare, con le direzioni provinciali del lavoro, tenendo 

conto delle disposizioni di cui all’art. 5, legge 22 luglio 

1961, n. 628, e dell’art. 3 del decreto-legge 12 settembre 

1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 

novembre 1983, n. 638. Qualora entro un anno dalla data 

di entrata in vigore della presente legge non siano state 

istituite le predette commissioni, provvede il Ministro del 

lavoro e della previdenza sociale, ove i competenti organi 

regionali non abbiano provveduto entro trenta giorni dall’invito 

rivolto dal Ministro.». 

- Il testo del decreto-legge 1˚ ottobre 1996, n. 510, 

convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 

1996, n. 608 (Disposizioni urgenti in materia di lavori 

socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel 

settore previdenziale), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 

n. 231 del 2 ottobre 1996. 

- Il testo dell’art. 3, comma 5, della citata legge n. 383 

del 2001, come modificato dal presente decreto-legge, è il 

seguente: 

«5. Le disposizioni del presente capo concernenti gli 

imprenditori si applicano, in quanto compatibili anche ai 

titolari di redditi di lavoro autonomo e alle imprese che 

svolgono attività agricola non produttiva di reddito di impresa». 

Art. 1-bis 

Ambito di applicazione delle disposizioni 

1. Le disposizioni del presente decreto si applicano, 

in quanto compatibili, anche alle società ed associazioni 

sportive, artistiche e culturali nonché alle 

comunità terapeutiche convenzionate, senza nuovi o 

maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. 

Art. 2 

Norme in materia di appalti pubblici 

1. Le imprese che risultano affidatarie di un appalto 

pubblico sono tenute a presentare alla stazione appaltante 

la certificazione relativa alla regolarità contributiva a pena 

di revoca dell’affidamento. 

1-bis La certificazione di cui al comma 1 deve essere 

presentata anche dalle imprese che gestiscono servizi e 



Legislazione 

attività in convenzione o concessione con l’ente pubblico, 

pena la decadenza della convenzione o la revoca 

della concessione stessa. 

2. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del 

presente decreto, l’INPS, l’INAIL stipulano convenzioni 

al fine del rilascio di un documento unico di regolarità 

contributiva. 

3. All’articolo 29, comma 5, del decreto-legge 23 

giugno 1995, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla 

legge 8 agosto 1995, n. 341, e successive modificazioni, 

le parole: «31 dicembre 2001» sono sostituite dalle 

seguenti: «31 dicembre 2006«. 


- Il testo dell’art. 29, comma 5, del decreto-legge 23 

giugno 1995, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla 

legge 8 agosto 1995, n. 341 (Misure dirette ad accelerare il 

completamento degli interventi pubblici e la realizzazione 

dei nuovi interventi nelle aree depresse), come modificato 

dal presente decreto-legge, è il seguente: 

«5. Entro il 31 marzo di ciascun anno e sino al 31 

dicembre 2006 il Governo procede a verificare gli effetti 

determinati dalle disposizioni di cui al comma 1, al 

fine di valutare la possibilità che con decreto del Ministro 

del lavoro e della previdenza sociale, di concerto 

con i Ministri del tesoro e del bilancio e della programmazione 

economica, sia confermata o rideterminata per 

l’anno di riferimento la riduzione contributiva di cui al 

comma 2». 

Art. 3 

Rapporti di lavoro a tempo parziale 

1. All’articolo 3, comma 15, del decreto legislativo 

25 febbraio 2000, n. 61, e successive modificazioni, le 

parole: «continuano a produrre effetti sino alla scadenza 

prevista e comunque non oltre il 30 settembre 2002» 

sono sostituite dalle seguenti: «continuano a produrre 

effetti, salvo diverse previsioni dei contratti collettivi, 

sino alla scadenza prevista e comunque non oltre il 30 

settembre 2003». 


- Il testo dell’art. 3, comma 15, del decreto legislativo 

25 febbraio 2000, n. 61 (Attuazione della direttiva 

97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo 

parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla 

CES), come modificato dal presente decreto-legge, è il 

seguente: 

15. Ferma restando l’applicabilità immediata della 

disposizione di cui al comma 3, le clausole dei contratti 

collettivi in materia di lavoro supplementare nei rapporti 

di lavoro a tempo parziale, vigenti alla data di entrata 

in vigore del presente decreto legislativo, continuano a 

produrre effetti, salvo diverse previsioni dei contratti 

collettivi, sino alla scadenza prevista e comunque non 

oltre il 30 settembre 2003. 

Art. 4 

Entrata in vigore 

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo 

a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta 

Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle 

Camere per la conversione in legge. l 


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


ITALIA 

LEGISLAZIONE 

In breve 

SOSTANZE VIETATE A FINI “DOPING” 

Decreto del Ministero della Salute 

15 ottobre 2002 

«Approvazione della lista dei farmaci, sostanze 

biologicamente o farmacologicamente 

attive e delle pratiche mediche, il cui 

impiego è considerato doping, ai sensi della 

legge 14 dicembre 2000, n. 376» (S.O. n. 217 

alla G.U. del 27 novembre 2002, n. 278) 

Il decreto reca la lista delle sostanze e pratiche 

mediche il cui impiego è considero doping ai 

sensi dell’art. 1, legge n. 376/2000. La lista ricomprende 

i metodi vietati e tutte le classi di sostanze, 

ancorché non commercializzate nel territorio 

nazionale o in via di sperimentazione, sì come 

previste dalla Convenzione di Strasburgo, 

ratificata con legge n. 522/1995, e delle indicazioni 

del Comitato Internazionale Olimpico 

(CIO) sulla base dell’emendamento 14 agosto 

2001 allegato alla Convenzione europea 16 ottobre 

1989 contro il doping nello sport (Allegato 

II). Il regolamento approva anche i criteri di predisposizione 

e di aggiornamento della lista di 

classi dei farmaci, delle sostanze biologicamente 

e farmacologicamente attive e delle pratiche il 

cui impiego è considerato doping (Allegato I). 

La lista delle sostanze in questione risulta frazionata 

in cinque sezioni, rispettivamente dedicate 

a: classi di sostanze vietate (sezione 1), classi di 

sostanze vietate e relativi principi attivi (sezione 

2), classi di sostanze vietate, principi attivi e relative 

specialità medicinali (sezione 3), elenco ordine 

alfabetico dei principi attivi e di specialità 

medicinali vietate (sezione 4), e pratiche vietate 

(sezione 5). In riferimento all’ultima sezione sono 

proibite, in particolare: il così detto “doping 

ematico”, consistente nella somministrazione di 

sangue, di globuli rossi e/o di prodotti affini, di 

sostanze vietate, nonché di trasportatori artificiali 

di ossigeno o di sostituti del plasma. 


SICUREZZA ALIMENTARI. BOVINI 

Decreto del Ministero della Salute 

28 maggio 2002 

«Certificazione di conformità delle marche 

auricolari per l’identificazione e la registrazione 

dei bovini» (G.U. del 18 novembre 2002, n. 270) 

Il decreto prescrive, a carico dei fornitori di marche 

auricolari e già iscritti nell’apposito elenco 

di legge, il nuovo onere di presentare un’attestazione 

ufficiale in corso di validità rilasciata da 

istituti, organismi o centri di certificazione riconosciuti, 

nazionali o esteri, dalla quale risulti 

che, in base ad analisi e prove effettuate, le 

marche prodotte e commercializzate risultano 

conformi alle caratteristiche tecnico-sanitarie di 

cui all’Allegato I, D.P.R. n. 437/2000 e succ. 

modd. Per quanto riguarda i fornitori già iscritti 

nel citato elenco ufficiale, l’attestazione ufficiale 

sarà fornita dal Ministero della Salute - Direzione 

generale della sanità pubblica veterinaria, 

degli alimenti e della nutrizione, entro 120 giorni 

dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 

del decreto in questione, mentre a coloro 

che richiederanno per la prima volta l’iscrizione 

nel detto elenco, la certificazione sarà rilasciata 

contestualmente alla domanda di ammissione. 

EMERGENZA BSE 

Ordinanza del Ministero della Salute 

27 settembre 2002 

«Proroga delle misure sanitarie di protezione 

contro le encefalopatie spongiformi trasmissibili» 

(G.U. del 18 novembre 2002, n. 270) 

Nelle more dell’adozione di nuove decisioni comunitarie 

viene prorogato al 30 settembre 2003 

il regime di gestione emergenziale definito dall’ordinanza 

del Ministro della Sanità 27 marzo 

2001 e succ. modd., in materia di protezione contro 

le encefalopatie spongiformi trasmissibili. Il 

termine di efficacia della detta ordinanza risultava 

già spirato allo scorso 30 settembre 2002. l 


ACQUA 

Articolo 

La misura risponde a un progetto di semplificazione del sistema amministrativo della giustizia 

Tribunali de le acque verso l’abolizione 

con il D.L. 11 novembre 2002, n. 251 

di Emanuela Gallo, avvocato in Milano, studio Gianni Origoni Grippo & Partners 

Il D.L. n. 251/2002, recante «Misure 

urgenti in materia di amministrazione 

della giustizia», al Capo 

I stabilisce la soppressione dei Tribunali 

Regionali e del Tribunale 

Superiore delle acque pubbliche. 

Il motivo fondamentale che ha 

portato a questa “rivoluzione” è 

stato, al di là delle due sentenze 

della Corte Costituzionale con le 

quali sono stati dichiarati illegittimi 

alcuni articoli del D.L. n. 

1775/1933, atto costitutivo dei 

suddetti organismi, la volontà del 

Legislatore di snellire il sistema 

amministrativo della giustizia a 

fronte sia di una mai chiarita ripartizione 

di competenze tra la 

giustizia ordinaria e quella 

“speciale” sulle acque sia delle 

mutate condizioni storiche che 

avevano visto sorgere questi organi 

giurisdizionali, venute meno 

con l’avvento della Costituzione. 

AMBIENTE 

Il decreto-legge 11 novembre 

2002, n. 251 (in Gazzetta Ufficiale 

del 12 novembre 2002, n. 

265), reca numerose novità «in materia 

di amministrazione della giustizia». 

Le norme più rilevanti, tuttavia, 

sono, senza dubbio, quelle 

contenute nel Capo I che determinano, 

decorsi sessanta giorni dall’entrata 

in vigore della legge di 

conversione, l’abrogazione del titolo 

IV, R.D. 11 dicembre 1933 n. 

1775 («Testo unico delle disposizioni 

di legge sulle acque e gli 

impianti elettrici») [1] e dell’art. 

64, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 

(«Norme dell’ordinamento giudiziario») 

[2] , nonché la conseguente 

soppressione dei Tribunali Regionali 

e del Tribunale Superiore delle 

acque pubbliche. 

Se, dunque, come appare plausibile 

prevedere, non vi saranno intoppi 

alla conversione in legge del 

D.L. n. 215/2022, entro pochi mesi 

queste strutture giurisdizionali speciali 

scompariranno dal sistema della 

giustizia italiana, a settant’anni 

circa dalla loro istituzione. Qualche 

riflessione in proposito appare, 

quindi, opportuna. 

I Tribunali delle acque 

Prima di esaminare la scelta effettuata 

dal Legislatore nonché i tempi 

e i modi di realizzazione, è utile 

soffermarsi, pur brevemente, sull’origine 

e la particolarità di questi 

organi giurisdizionali. 

I Tribunali delle acque pubbliche 

risalgono al 1919 [3] quando si ritenne 

che le controversie in tema di 

acque richiedessero specifiche conoscenze 

ed esperienza, anche tecniche, 

tali da giustificare l’abbandono 

dell’ordinario criterio di riparto di 

giurisdizione tra giudice ordinario e 

giudice amministrativo e l’istituzione 

di un organo competente per materia. 

Il R.D.L. 5 ottobre 1919, n. 

2161 [4] venne poi trasfuso nel R.D. 

11 dicembre 1933, n. 1775, che ancor 

oggi, nonostante alcune modifiche 

e integrazioni, rappresenta il 

“Testo Unico” (T.U.) in materia di 

acque e di impianti elettrici. 

La struttura giurisdizionale specializzata, 

come risulta organizzata 

tutt’oggi, si compone di: 

l otto Tribunali Regionali, istituiti 

presso altrettante Corti d’Appello 

[5] , aventi cognizione in primo grado 

per le controversie tassativamen- 

[1] In Gazzetta Ufficiale dell’8 gennaio 1934, n. 5. 

[2] In Gazzetta Ufficiale del 4 febbraio 1941, n. 28. 

[3] Un primo tentativo di creare un giudice speciale delle acque risale, più propriamente, già al 1916 quando, con il decreto-legge 

luogotenenziale 20 novembre 1916, n. 1664, «concernente le derivazioni delle acque pubbliche» venne istituito un Tribunale unico, con 

sede a Roma, avente competenza in materia di acque e cognizione tanto di questioni coinvolgenti diritti soggettivi che interessi legittimi. 

[4] In Gazzetta Ufficiale del 4 febbraio 1941, n. 28. 

[5] La localizzazione dei Tribunali Regionali delle acque non segue i medesimi criteri di organizzazione territoriale delle Corti d’Appello 

cui fanno riferimento. Infatti, ai sensi dell’art. 138, T.U. gli stessi sono istituiti presso le Corti d’Appello di: 1. Torino (per le 

circoscrizioni di Torino e di Genova), 2. Milano (per le circoscrizioni di Milano e Brescia), 3. Venezia (per le circoscrizioni di 

Venezia, Trento e Trieste), 4. Firenze (per le circoscrizioni di Bologna e Firenze), 5. Roma (per le circoscrizioni di Roma, L’Aquila, 

Perugia e Ancona), 6. Napoli (per le circoscrizioni di Napoli, Bari, Catanzaro, Lecce, Campobasso, Potenza e Reggio Calabria), 7. 

Palermo (per le circoscrizioni di Palermo, Catania, Caltanissetta e Messina), 8. Cagliari (per la circoscrizione di Cagliari). 


te elencate nell’art. 140, Testo Unico 

e relative a diritti soggettivi; 

l un unico Tribunale Superiore, con 

sede a Roma, avente cognizione in 

grado di appello per le decisioni dei 

Tribunali Regionali e, in unica istanza, 

per le ipotesi di cui all’art. 143, 

Testo Unico ricondotte a posizioni 

soggettive di interesse legittimo. 

Precisamente, ai sensi del citato 

art. 140, i Tribunali Regionali, nell’ambito 

della propria circoscrizione 

territoriale, decidono le controversie: 

l sulla demanialità delle acque; 

l circa i limiti dei corsi o bacini, 

loro alvei e sponde; 

l aventi a oggetto qualunque diritto 

relativo alle derivazioni e utilizzazioni 

di acqua pubblica; 

l di qualunque natura, riguardanti 

l’occupazione totale o parziale, permanente 

o temporanea di fondi e le indennità 

previste dall’art. 46, legge 25 

giugno 1865, n. 2359 [6] , in conseguenza 

dell’esecuzione o manutenzione di 

opere idrauliche, di bonifica, derivazione 

e utilizzazione delle acque; 

l per il risarcimento dei danni dipendenti 

da qualunque opera eseguita dalla 

pubblica amministrazione e da qualunque 

provvedimento emesso dall’autorità 

amministrativa ai sensi dell’art. 

2, R.D. 25 luglio 1904, n. 523 [7] , 

e successive modifiche; 

l per i ricorsi previsti dagli artt. 25 e 

29 del Testo Unico delle leggi sulla 

pesca approvato con R.D. 8 ottobre 

1931, n. 1604 [8] , e relativi ai diritti di 

pesca nelle acque del demanio idrico. 

A questa competenza in primo grado 

si affianca la cognizione quale giu- 

AMBIENTE 

dice di appello, prevista dall’art. 141, 

R.D. n. 1775/ 1933, nei confronti delle 

sentenze emesse dal “Pretore competente 

per territorio” (oggi Tribunale) 

a fronte di azioni possessorie, di 

denuncia di nuova opera e di danno 

temuto, sollevate verso un privato in 

materia di acque (oggi, per interpretazione 

analogica 

giurisprudenziale, 

anche per i ricorsi 

per provvedimenti 

di urgenza ex art. 

700 c.p.c.). 

Per quanto riguarda 

il Tribunale 

Superiore, accanto 

alla cognizione 

in grado 

d’appello delle decisioni 

emesse dai 

Tribunali Regionali, 

l’art. 143 T.U. 

gli conferisce, rispettivamente, 

una competenza 

generale di legittimità, una anche in 

merito e, infine, una speciale per materia, 

per i ricorsi: 

l per incompetenza, eccesso di potere 

e violazione di legge avverso i 

provvedimenti presi dall’amministrazione 

in materia di acque pubbliche; 

l contro i provvedimenti dell’autorità 

amministrativa inerenti alla repressione 

delle contravvenzioni alle 

norme di polizia demaniale in materia 

di acque e al mantenimento del 

buon regime delle acque; 

l nei casi specificatamente previsti 

dagli artt. 23, 24, 26 e 28 del Testo 

Non si può negare che le 

sentenze della Corte 

Costituzionale abbiano 

conferito una forte 

instabilità all’istituto dei 

Tribunali delle acque, 

imponendo al 

Legislatore una pluralità 

di interventi “correttivi” 

immediati 

ACQUA 

Articolo 

Unico delle leggi sulla pesca (R.D. 

8 ottobre 1931, n. 1604). 

La necessità di specifiche conoscenze 

tecniche per la risoluzione 

delle controversie in materia di acque 

ha, inoltre, comportato la previsione 

di una composizione anomala 

di questi organi giurisdizionali, mediantel’inserimento 

nel collegio giudicante 

di 

“giudici non togati”. 

Così, i Tribunali 

Regionali sono 

costituiti da 

una sezione della 

Corte d’Appello 

alla quale vengono 

aggregati tre 

funzionari del Genio 

Civile; mentre 

il Tribunale Superiore 

consta di nove 

magistrati e tre 

tecnici scelti tra i 

membri effettivi 

del Consiglio Superiore dei Lavori 

Pubblici non aventi funzione di amministrazione 

attiva. 

È infine importante sottolineare 

che i Tribunali delle acque, nonostante 

le particolarità rappresentate 

dalla loro competenza e composizione, 

sono considerati organi specializzati 

dell’autorità giurisdizionale 

ordinaria e non giudici speciali. Più 

esattamente, mentre i Tribunali Regionali, 

in quanto sezioni della Corte 

d’Appello presso la quale sono 

istituiti, sono assimilati ai giudici 

ordinari [9] , il Tribunale Superiore, 

[6] «Espropriazioni per causa di utilità pubblica» (in Gazzetta Ufficiale dell’8 luglio 1865). Si ricorda, peraltro, che con D.P.R. 8 

giugno 2001, n. 327 è stato emanato il nuovo Testo Unico in materia il quale, a seguito dell’ultima proroga effettuata con legge 

1˚ agosto 2002, n. 185, («Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 122, recante 

disposizioni concernenti proroghe in materia di sfratti, di edilizia e di espropriazione») dovrebbe entrare in vigore il prossimo 

30 giugno 2003. 

[7] «Testo Unico delle disposizioni di legge sulle opere idrauliche delle diverse categorie». 

[8] «Approvazione del testo unico delle leggi sulla pesca» (in Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 1932, n. 18). 

[9] A questa conclusione conducono ben due dati normativi come l’art. 138, comma 2, T.U. che li colloca all’interno delle Corti 

d’Appello e l’art. 64, comma 2, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, che sottolinea come il «Tribunale Regionale delle acque pubbliche 

costituisce una sezione della Corte d’Appello presso la quale è istituito». Inoltre, con sentenza 22 gennaio 1976, n. 25, la Corte 

Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione alla natura di giudici 

speciali dei Tribunali delle acque, in violazione dell’art. 102, comma 2, Costituzione. Questa posizione è ribadita in numerose 

sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Civile. 


in un certo senso muta la propria 

veste, da giudice ordinario a giudice 

amministrativo, a seconda che operi 

come organo di secondo grado ovvero 

in unica istanza. Questa ambivalenza 

si manifesta, in particolare, 

nella natura delle posizioni soggettive 

e negli ambiti sottoposti alla sua 

cognizione dall’art. 143 T.U., e che 

rispecchiano, senza ombra di dubbio, 

la giurisdizione propria dei tribunali 

amministrativi [10] . 

Una sintesi di quanto sopra è riportata 

nella tabella 1-a. 

Motivi storici 

dell’abolizione 

Tralasciando di soffermarsi sull’affermazione 

che accompagna l’emanazione 

del D.L. n. 251/2002, secondo 

la quale l’intervento normativo sarebbe 

finalizzato ad «abolire la giurisdizione 

speciale dei Tribunali delle acque 

pubbliche», dal momento che, al- 

la luce di quanto appena esposto, non 

può non essere considerata una mera 

improprietà di linguaggio, la ragione 

che ha indotto il Legislatore ad abolire 

i Tribunali delle acque deve essere 

ricercata altrove. 

Le sentenze della Corte 

Costituzionale 

Sempre nelle premesse al D.L. n. 

251/2002, si legge che il Governo 

ha deliberato l’abolizione dei Tribu- 

Tribunali regionali Tribunale superiore 

NUMERO Otto Uno 

SEDE Presso altrettante Corti d’Appello Roma 

COGNIZIONE In primo grado per le controversie tassativamente 

elencate nell’art. 140, R.D. n. 

1775/1933, e relative a diritti soggettivi 

INTERVENGONO 

IN MERITO A 

ACQUA 

Articolo 

I Tribunali delle acque 

AGGIUNTA DI GIUDICI 

NON TOGATI 

AMBIENTE 

l demanialità delle acque; 

l limiti dei corsi o bacini, loro alvei e 

sponde; 

l qualunque diritto relativo alle derivazioni 

e utilizzazioni di acqua pubblica; 

l occupazione totale o parziale, permanente 

o temporanea di fondi e indennità 

previste dalla legge, in conseguenza dell’esecuzione 

o manutenzione di opere 

idrauliche, di bonifica, derivazione e utilizzazione 

delle acque; 

l risarcimento dei danni dipendenti da 

qualunque opera eseguita dalla pubblica 

amministrazione e da qualunque provvedimento 

emesso dall’autorità amministrativa 

per legge; 

l ricorsi relativi ai diritti di pesca nelle 

acque del demanio idrico. 

Alla sezione della Corte d’Appello vengono 

aggregati tre funzionari del Genio Civile. 

NATURA GIURIDICA I tribunali Regionali, in quanto sezioni della 

Corte d’Appello, sono assimilati ai giudici 

ordinari. 

TABELLA 1-a 

l in grado di appello per le decisioni dei 

Tribunali Regionali; 

l in unica istanza per le ipotesi di cui 

all’art. 143, Testo Unico ricondotte a posizioni 

soggettive di interesse legittimo. 

l competenza generale di legittimità 

per i ricorsi per incompetenza, eccesso di 

potere e violazione di legge avverso i 

provvedimenti presi dall’amministrazione 

in materia di acque pubbliche; 

l competenza contro i provvedimenti 

dell’autorità amministrativa inerenti alla 

repressione delle contravvenzioni alle norme 

di polizia demaniale in materia di 

acque e al mantenimento del buon regime 

delle acque; 

l competenza speciale per materia nei 

casi specificatamente previsti dagli artt. 

23, 24, 26 e 28 del Testo Unico delle leggi 

sulla pesca (R.D. 8 ottobre 1931, n. 1604). 

Ai nove magistrati del Tribunale Superiore 

sono aggiunti tre tecnici scelti tra i membri 

effettivi del Consiglio Superiore dei Lavori 

Pubblici non aventi funzione di amministrazione 

attiva. 

Il Tribunale Superiore in un certo senso muta 

la propria veste, da giudice ordinario a 

giudice amministrativo, a seconda che operi 

come organo di secondo grado ovvero in 

unica istanza. 

[10] Giudice di secondo grado o in unica istanza, muta anche la composizione del collegio giudicante: cinque votanti tra i quali un 

tecnico nella prima ipotesi, sette votanti tra i quali sempre un tecnico nella seconda. 


Corte d’Appello Circoscrizioni dei Tribunali delle acque 

1. Torino Circoscrizioni di Torino e di Genova 

2. Milano Circoscrizioni di Milano e Brescia 

3. Venezia Circoscrizioni di Venezia, Trento e Trieste 

4. Firenze Circoscrizioni di Bologna e Firenze 

5. Roma Circoscrizioni di Roma, L’Aquila, Perugia e Ancona 

6. Napoli Circoscrizioni di Napoli, Bari, Catanzaro, Lecce, Campobasso, Potenza e Reggio Calabria 

7. Palermo Circoscrizioni di Palermo, Catania, Caltanissetta e Messina 

8. Cagliari Circoscrizione di Cagliari 

nali delle acque, intervenendo con 

lo strumento legislativo della necessità 

e urgenza, a fronte di due recenti 

sentenze della Corte Costituzionale 

che avrebbero posto in seria crisi 

la legittimità di questi organi giurisdizionali. 

Si tratta delle decisioni: 

l 3 luglio 2002, n. 305 «Giudizio 

di legittimità costituzionale in via 

incidentale. Tribunale superiore delle 

acque pubbliche - Collegio giudicante 

- Astensione, ricusazione o legittimo 

impedimento di componenti 

del collegio - Omessa previsione di 

meccanismi di sostituzione - Violazione 

del diritto alla tutela giurisdizionale 

dei diritti dinanzi ad un giudice 

imparziale e del principio di 

esercizio regolare della funzione 

giurisdizionale - Illegittimità costituzionale 

in parte qua - Assorbimento 

di altri profili. - R.D. 11 dicembre 

1933, n. 1775, artt. 139 e 143, comma 

3 (in combinato disposto). - Costituzione, 

artt. 24, comma 1, e 111, 

comma 2 (artt. 102, 103 e 113)» [11] ; 

l 17 luglio 2002, n. 353 «Giudizio 

di legittimità costituzionale in via 

incidentale. Giurisdizioni speciali - 

Tribunali regionali delle acque pubbliche 

- Composizione - Partecipazione 

al collegio giudicante di uno 

dei tre tecnici, già funzionari del 

AMBIENTE 

TABELLA 1-b 

Corti d’Appello e localizzazione dei Tribunali Regionali 

genio civile, designati quali giudici 

aggregati - Lesione del principio di 

indipendenza e terzietà del giudice - 

Illegittimità costituzionale in parte 

qua. - R.D. 11 dicembre 1933, n. 

1775, art. 138. - Costituzione, artt. 

108, secondo comma, 102, secondo 

comma, 111; legge costituzionale 

23 novembre 1999, n. 2» [12] , 

con le quali il Giudice delle Leggi 

ha dichiarato l’incostituzionalità 

di alcuni criteri processuali e di 

composizione dei tribunali in questione 

(si veda anche la tabella 2). 

La prima sentenza ha qualificato 

illegittime le norme relative al Tribunale 

Superiore (combinato disposto 

degli artt. 139 e 143, comma 3, 

T.U.), laddove non stabiliscono criteri 

per la sostituzione dei componenti 

nei casi di astensione, ricusazione o 

impedimento. La mancanza di simili 

previsioni per tutte le ipotesi sopra 

indicate, precludendo la regolare formazione 

del collegio giudicante, 

comporterebbe, di fatto, il blocco della 

funzione giurisdizionale. 

Con la seconda, invece, è stato 

coinvolto nella declaratoria di incostituzionalità 

l’art. 138 T.U., in ragione 

del sistema di nomina del tecnico, 

ivi disposto, che non garantirebbe 

l’indipendenza e la terzietà 

del membro “non togato” compro- 

[11] In Gazzetta Ufficiale del 10 luglio 2002, n. 27, Prima serie speciale. 

[12] In Gazzetta Ufficiale del 24 luglio 2002, n. 29, Prima serie speciale. 

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mettendo, così, l’imparzialità del 

giudizio. 

È evidente che nessuna delle due 

sentenze citate pone in discussione 

la legittimità costituzionale dell’esistenza 

in sé di questi Tribunali e 

che da nessuna di esse, pur se emesse 

in un così breve lasso di tempo, 

può essere fatta derivare, in via 

esclusiva, la necessità (urgente) di 

operare una scelta radicale quale 

l’abolizione di questi organi giurisdizionali. 

Ciò nondimeno, non si 

può negare che le stesse abbiano 

conferito una forte instabilità all’istituto 

dei Tribunali delle acque imponendo 

al Legislatore una pluralità di 

interventi “correttivi” immediati e 

che rappresentassero un indice dell’inadeguatezza 

di queste strutture 

rispetto alle nuove realtà ed esigenze 

giurisdizionali. 

In particolare, considerato che la 

presenza di un tecnico nel collegio giudicante 

aveva rappresentato, a suo tempo, 

una delle principali ragioni per 

l’istituzione di questi tribunali, la seconda 

sentenza della Corte Costituzionale 

ha, quantomeno, insinuato il dubbio 

circa la necessità di mantenere in 

vita detti organi giurisdizionali. Questa 

decisione, inoltre, è stata emessa 

mentre già era in corso presso la Camera 

la discussione sulla proposta di intro- 


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Sentenza Titolo - Estremo di pubblicazione Cosa dispone 

Sentenza 3 luglio 

2002, n. 305 

Sentenza 17 luglio 

2002, n. 353 

durre nel T.U. un nuovo articolo, il 

139-bis, che ovviasse al precedente 

profilo di incostituzionalità, disciplinando 

la nomina di componenti supplenti. 

La notizia dell’ulteriore dichiarazione 

di illegittimità costituzionale - 

si evidenzia nel resoconto della riunione 

dell’Assemblea del 24 luglio 2002 

- ha determinato il Legislatore a «una 

pausa di riflessione circa l’opportunità 

della soppressione di tali Tribunali». 

Si troverà indicato poi, nella relazione 

al disegno di legge approvato 

dal Consiglio dei Ministri nella seduta 

del 6 settembre 2002, che le norme 

che disciplinano il funzionamento 

di questi organi giurisdizionali sono 

accusate di vetustà e scarsa com- 

AMBIENTE 

Il casus belli: le sentenze della Corte Costituzionale 

«Giudizio di legittimità costituzionale in via 

incidentale. Tribunale Superiore delle acque 

pubbliche - Collegio giudicante - Astensione, 

ricusazione o legittimo impedimento 

di componenti del collegio - Omessa previsione 

di meccanismi di sostituzione - Violazione 

del diritto alla tutela giurisdizionale 

dei diritti dinanzi ad un giudice imparziale e 

del principio di esercizio regolare della funzione 

giurisdizionale - Illegittimità costituzionale 

in parte qua - Assorbimento di altri 

profili. - R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, 

artt. 139 e 143, terzo comma (in combinato 

disposto). - Costituzione, artt. 24, comma 2, 

e 111, comma 2 (artt. 102, 103 e 113)». 

In Gazzetta Ufficiale del 10 luglio 2002, n. 

27, Prima serie speciale 

«Giudizio di legittimità costituzionale in via 

incidentale. Giurisdizioni speciali - Tribunali 

regionali delle acque pubbliche - Composizione 

- Partecipazione al collegio giudicante di 

uno dei tre tecnici, già funzionari del genio 

civile, designati quali giudici aggregati - Lesione 

del principio di indipendenza e terzietà 

del giudice - Illegittimità costituzionale in 

parte qua. - R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, 

art. 138. - Costituzione, artt. 108, secondo 

comma, 102, secondo comma, 111; legge costituzionale 

23 novembre 1999, n. 2». 

In Gazzetta Ufficiale del 24 luglio 2002, n. 

29, Prima serie speciale 

patibilità rispetto alle nuove norme 

sul processo sia amministrativo che 

civile e che le relative strutture sono 

ritenute inadeguate, per eccesso, rispetto 

al numero delle controversie 

in materia; in particolare viene precisato 

che «il funzionamento di questi, 

ormai datati, organi giurisdizionali 

strutturati ed operanti con norme 

ancorate al codice processuale del 

1865, si presenta assai dispendioso, 

perché prevede delle strutture non 

più congrue rispetto al numero di 

controversie del tutto irrisorio rispetto 

al normale carico degli altri 

organi giurisdizionali - negli ultimi 

cinque anni le cause iscritte sono 

state rispettivamente, 169, 193, 191, 

198 e 207 - (...) nonché la regola- 

Ha qualificato illegittime le norme relative 

al Tribunale Superiore (combinato disposto 

degli artt. 139 e 143, comma 3, T.U.), laddove 

non stabiliscono dei criteri per la sostituzione 

componenti nei casi di astensione, 

ricusazione o impedimento. La mancanza 

di simili previsioni per tutte le ipotesi sopra 

indicate, precludendo la regolare formazione 

del collegio giudicante, comporterebbe, 

di fatto, il blocco della funzione giurisdizionale. 

Ha coinvolto nella declaratoria di incostituzionalità 

l’art. 138 T.U., in ragione del sistema 

di nomina del tecnico, ivi disposto, che 

non garantirebbe l’indipendenza e la terzietà 

del membro “non togato” compromettendo, 

così, l’imparzialità del giudizio. 

[13] «Istituzione dei tribunali amministrativi regionali» (in Gazzetta Ufficiale del 13 dicembre 1971, n. 314). 

TABELLA 2 

mentazione del Testo Unico è superata 

ed in contrasto con l’intervenuta 

normativa costituzionale». 

Effettivamente, la presenza nel nostro 

ordinamento di questi organi giurisdizionali, 

“speciali” sotto molteplici 

profili, se poteva trovare una sua dimensione 

nel contesto storico in cui 

hanno avuto origine, è venuta perdendo 

di ragione nella nuova realtà postcostituzionale, 

tanto da richiamare l’attenzione, 

più volte, sia del Giudice delle 

Leggi che della Corte di Cassazione. 

Per quanto attiene al primo profilo, 

in seguito all’entrata in vigore della 

legge di istituzione dei Tribunali Amministrativi 

Regionali, 6 dicembre 

1971 n. 1034 [13] , la Corte Costituzionale 

è intervenuta con sentenza del 


17-31 gennaio 1991, n. 42 «Giudizio 

di legittimità costituzionale in via incidentale. 

Acque pubbliche e private - 

Ricorso al Tribunale delle acque pubbliche 

- Ammissibilità - Definitività 

del provvedimento amministrativo impugnato 

- Ingiustificato mantenimento 

della regola della definitività nel 

sistema generale di giustizia amministrativa 

- Illegittimità costituzionale. 

(R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, 

artt. 143, comma 1, lettere a) e b), 

143, comma 2, e 194, comma 1) 

(Cost., artt. 3, 24 e 113)» [14] , a dichiarare 

l’illegittimità costituzionale dell’art. 

143, comma 1, T.U., laddove 

imponeva la qualifica di “definitività” 

del provvedimento amministrativo come 

requisito per l’ammissibilità del 

ricorso. Con la medesima sentenza è 

stato dichiarato illegittimo anche il 

comma 2 dell’art. 143 T.U., nella parte 

in cui non prevedeva l’esperibilità 

AMBIENTE 

del ricorso giurisdizionale nei confronti 

del provvedimento impugnato 

con ricorso amministrativo in via gerarchica, 

successivamente alla formazione 

del silenzio-rigetto da parte dell’amministrazione. 

Nell’ottobre del 1996, inoltre, è 

stata avanzata una proposta di legge 

di modifica del T.U. mediante l’introduzione 

di un Tribunale Regionale 

delle acque presso la Corte d’Appello 

di Trento. Al di là delle considerazioni 

strettamente inerenti la posizione 

del Trentino Alto Adige e lo stridente 

contrasto, in quel caso, tra gli 

ampi poteri riconosciuti alla Regione 

dallo Statuto speciale e il decentramento 

degli strumenti chiamati a garantirne 

il riconoscimento concreto 

[15] , in generale la mancata istituzione 

di nuove circoscrizioni dei Tribunali 

Regionali delle acque è stata allora 

portata quale esempio di scarso 

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Articolo 

adeguamento delle strutture statali alle 

realtà regionali sancite dalla Carta 

Costituzionale. 

Gli ambiti di competenza giuridica 

Sotto il profilo della convivenza 

di questi tribunali con gli altri organi 

giurisdizionali, occorre sottolineare 

che fin da subito i confini della 

competenza del giudice specializzato 

non sono apparsi chiari, tanto da 

imporre, più volte, l’intervento interpretativo 

della Suprema Corte di 

Cassazione [16] . 

I problemi più ricorrenti sono sorti 

in relazione al discrimine tra giudice 

ordinario e Tribunale Regionale 

sia con riferimento alle materie 

di cui all’art. 140, T.U. [17] che per 

definire la competenza in grado di 

appello di quest’ultimo per le ipotesi 

dell’art. 141, T.U. [18] . Tuttavia, 

anche i rapporti tra il Tribunale 

[14] In Gazzetta Ufficiale del 6 febbraio 1991, n. 6, Serie speciale. 

[15] In base all’art. 138 T.U. (si veda la nota 5 elatabella 1–b), tutte le controversie e le istanze giurisdizionali in materia di acque 

relative al Trentino Alto Adige sono rimesse al Tribunale Regionale istituito presso la Corte d’Appello di Venezia, il quale 

giudica anche sul Veneto e sul Friuli Venezia Giulia. Nel caso specifico del Trentino, in questa occasione veniva sollevata 

anche una questione di tutela delle minoranze linguistiche. 

[16] Conformemente alla natura di sezioni specializzate del giudice ordinario che è riconosciuta ai Tribunali Regionali, l’intervento 

della Corte di Cassazione per delimitare la cognizione di questi ultimi nei confronti dell’autorità giurisdizionale ordinaria deve 

intendersi come questione di competenza e non di giurisdizione quale, viceversa, è ipotizzabile nel caso in cui il contrasto 

interpretativo si ponga tra il giudice ordinario e il Tribunale Superiore nelle materie di cui all’art. 143 T.U. (tra le altre, si 

vedano le sentenze della Cassazione Civile, Sezioni Unite 30 dicembre 1998, n. 12899 e 8 maggio 1997, n. 399). 

[17] Tra le altre, si vedano Cassazione Civile, Sezioni Unite 25 ottobre 1999, n. 752, sottolinea che «ai fini della decisione sulla 

questione della giurisdizione, e, in particolare, del riparto tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa e, successivamente, 

della determinazione della competenza tra il giudice ordinario ed il Tribunale Regionale delle acque, deve essere preso in 

considerazione il cosiddetto petitum sostanziale». Particolarmente rilevante il contenzioso relativo alla competenza in materia 

di risarcimento dei danni; la sentenza della Cassazione Civile Sezioni Unite 20 maggio 1980, n. 3290, attribuisce, infatti, la 

cognizione al Tribunale Regionale delle acque «sulla domanda del proprietario di un fondo a condannare l’Amministrazione al 

ristoro dei danni per straripamento di un fiume con allagamento del fondo medesimo qualora, mediante la denuncia di omissioni 

di manutenzione e di vigilanza degli argini, ponga in discussione provvedimenti ed opere inerenti al regime di quelle acque», 

mentre «la domanda proposta contro un privato autorizzato dalla P.A. al compimento di determinati lavori nell’alveo di un 

fiume a suo esclusivo interesse, sollevata dal proprietario del fondo vicino per conseguire il ripristino dello stato dei luoghi, resta 

devoluta al giudice ordinario non interferento sugli atti e provvedimenti della P.A.» (Cassazione Civile, Sezioni Unite, 10 

dicembre 1981, n. 6523). Ancora, «le domande di risarcimento dei danni derivanti da esecuzione o manutenzione di opere 

idrauliche rientrano nella competenza del Tribunale Regionale, ovi si accerti che esse siano state eseguite in maniera contraria 

alle regole di gestione delle acque pubbliche» (Cassazione Civile, sez. I, 14 gennaio 1987, n. 186), mentre «rientrano nella 

competenza del giudice ordinario quando l’attore assuma che il danno è conseguenza della negligenza o imperizia dell’amministrazione 

nella esecuzione o manutenzione dell’opera e non quale effetto dell’opera idraulica in sé considerata» (Cassazione 

Civile sez. I, 7 febbraio 1984, n. 937). 

[18] «A norma dell’art. 141, comma 3, R.D. n. 1775/1933, l’appello avverso la sentenza del pretore che abbia pronunziato su 

un’azione di enunciazione avente ad oggetto una materia devoluta al Tribunale Regionale delle acque pubbliche deve essere 

proposto davanti a detto tribunale, con la conseguenza che, qualora l’indicata impugnazione venga proposta, invece, innanzi al 

tribunale ordinario e questi non declini la propria competenza pronunciandosi sul merito del gravame, non si produce la 

cosiddetta “efficacia conservativa” dell’impugnazione e ne conseguono l’inammissibilità dell’appello proposto al giudice 

funzionalmente incompetente, il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado e, in sede di legittimità, la cassazione 

senza rinio della sentenza d’appello in quanto pronunciata su un gravame inammissibile» (Cassazione Civile, Sezioni Unite, 17 

febbraio 1995, n. 1716). 


ACQUA 

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Superiore e il giudice amministrativo, 

per i profili di cui all’art. 143, 

T.U., non ne sono rimasti esenti [19] . 

La farraginosità del sistema introdotto 

nel 1933 si è ulteriormente manifestata 

laddove l’intervento della Suprema 

Corte è stato necessario per 

stabilire se una determinata controversia 

rientrasse nella competenza giurisdizionale 

dei Tribunali Regionali in 

primo grado, ex art. 140, T.U., ovvero 

in quella del Tribunale Superiore, ratione 

materiae [20] . Il tutto, spesso, 

con gravi ripercussioni non solo sull’efficienza 

ma anche sull’effettività 

del “servizio di giustizia” reso. 

A tener fede ai numeri riportati dalla 

relazione del Governo, quindi, si 

potrebbe pensare che, soprattutto negli 

ultimi tempi, il contenzioso sorto 

intorno a questi organi giurisdizionali 

fosse di molto superiore a quello dagli 

stessi risolto. 

Ulteriori indici di scarsa compatibilità 

con il sistema giurisdizionale vigente 

sono rappresentati dal carattere 

“misto” delle norme sul processo davanti 

a questi tribunali [21] e dal parti- 

AMBIENTE 

colare regime delle impugnazioni che 

sembrerebbe, peraltro, contrastare 

con il principio costituzionale del doppio 

grado di giudizio [22] . 

Occorre ricordare, da ultimo, che 

l’esistenza di tribunali speciali per la 

materia delle acque pubbliche, ha in 

parte perso di significato con l’entrata 

in vigore della legge 3 gennaio 1994, 

n. 36 «Disposizioni in materia di risorse 

idriche» [23] (la cosiddetta 

“legge Galli”) con la quale è stata 

dichiarata la natura «pubblica» di «tutte 

le acque, superficiali e sotterranee, 

ancorché non estratte dal sottosuolo» 

(art. 1), con la conseguente abolizione 

della distinzione tra acque private e 

pubbliche. 

Le considerazioni sopra riportate, 

dunque, se ancora non esprimono 

la “necessità e urgenza” dell’abolizione 

dei Tribunali delle acque, di 

certo rappresentano gravi indici di 

inadeguatezza di queste strutture e 

fanno propendere, senza grossi rimpianti, 

per una valutazione di opportunità 

della scelta effettuata dal Governo, 

sia per ragioni di coerenza 

con il nostro ordinamento, sempre 

più orientato a una bipartizione tra 

giudice ordinario e giudice amministrativo, 

che di semplificazione del 

sistema di amministrazione della 

giustizia. 

Il decreto-legge 

11 novembre 2002, n. 251 

L’art. 1, D.L. n. 251/2002, dispone 

la soppressione dei Tribunali Regionali 

e del Tribunale Superiore 

delle acque e l’abrogazione delle 

norme di riferimento, decorsi sessanta 

giorni dalla data di entrata in 

vigore della legge di conversione al 

D.L. stesso. 

Seguendo la tradizionale ripartizione 

che attribuisce ai Tribunali Regionali 

natura di giudici ordinari con 

competenza speciale e al Tribunale 

Superiore in unica istanza la qualifica 

di giudice amministrativo, l’eredità 

delle soppresse strutture giurisdizionali 

è stata disciplinata prevedendo che 

le controversie nelle materie elencate 

all’art. 140, T.U., vengano ricondotte 

al tribunale ordinario avente sede nel 

[19] Con la sentenza 26 settembre 1997, n. 9480. le Sezioni Unite della Cassazione Civile, per riconoscere la competenza del giudice 

amministrativo piuttosto che del Tribunale Superiore delle acque quale giudice di legittimità, hanno proposto la distinzione tra 

controversie che abbiano ad oggetto «l’utilizzazione diretta ed immediata di acque pubbliche» e«provvedimenti della P.A. 

relativi alla fase di ricerca delle acque». 

[20] La sentenza della Cassazione Civile, Sezioni Unite, 16 ottobre 1992, n. 11363, dispone che «l’esecuzione di lavori di 

arginamento di un corso d’acqua, disposti dalla competente autorità amministrativa, concreta realizzazione di opera idraulica ai 

sensi e per gli effetti di cui all’art. 2 del R.D. 25 luglio 1904 n. 523, con la conseguenza che, ove, ai fini della medesima, siano 

state poste in essere procedure espropriative, la tutela dei privati ad esse assoggettati, appartiene alla competenza giurisdizionale 

dei Tribunali Regionali delle acque, quando attenga a diritti soggettivi, ed a quella del Tribunale Superiore in sede di legittimità, 

al quale è al pari assegnata una giurisdizione speciale per materia, quando attenga a posizioni di interesse legittimo». Con 

particolare riferimento alla cognizione in materia di espropriazione, per giurisprudenza uniforme, per rientrare nell’ambito del 

Tribunale Regionale deve trattarsi di controversie su diritti soggettivi, aventi natura patrimoniale, mentre spetta al Tribunale 

Superiore in unica istanza l’eventuale impugnazione per l’annullamento di provvedimenti incidenti su interessi legittimi. 

Ancora, la sentenza della Cassazione Civile, Sezioni Unite 23 giugno 1993, n. 6953 ha stabilito che «l’atto di delimitazione del 

demanio lacustre rispetto alle proprietà private confinanti si pone in funzione di mero accertamento dei rispettivi confini con 

esclusione di ogni potere discrezionale della P.A. con la conseguenza che, permanendo la situazione di diritto soggettivo del 

privato, le contestazioni che questi proponga in ordine a siffatto accertamento sono soggette alla cognizione del Tribunale 

Regionale delle acque pubbliche ai sensi dell’art. 140, lett. b), del R.D. n. 1775/1933 e non, invece, alla giurisdizione di 

legittimità del Tribunale Superiore». 

[21] Per i Tribunali Regionali la disciplina fissata agli artt. 147 e segg., T.U., si pone, per molti aspetti, come un ibrido rispetto al 

processo amministrativo e a quello civile (lo stesso art. 208, T.U. consente un rinvio alle norme dettate dal Codice di procedura 

civile, solo in via sussidiaria, cioè ove manchino norme speciali), mentre la natura ambivalente del Tribunale Superiore emerge 

anche nelle regole processuali che, nel caso operi come giudice di appello, consentono l’inserimento di istituti del processo 

civile, mentre nelle ipotesi di cui all’art. 143, T.U., il procedimento è costruito secondo il modello di impugnazione agli atti, 

tipico del processo innanzi al giudice amministrativo ed è disciplinato analogamente a quello avanti al Consiglio di Stato. 

[22] Circa il regime delle impugnazioni delle decisioni del Tribunale Superiore in unica istanza, vige un constasto interpretativo tra 

la dottrina, che limita la percorribilità del ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione per i soli motivi di giurisdizione, e la 

giurisprudenza che, viceversa, estenderebbe l’impugnazione a qualsiasi vizio di legittimità. 

[23] In Gazzetta Ufficiale del 19 gennaio 1994, n. 14. 


capoluogo del distretto territorialmente 

competente [24] , mentre la competenza 

per le materie di cui all’art. 143, 

T.U. è attribuita al giudice amministrativo 

[25] . In quest’ultima ipotesi il 

D.L. n. 251/2002, stabilisce che, nei 

casi devoluti alla sua giurisdizione, il 

giudice amministrativo sarà competente 

a decidere anche delle domande 

di risarcimento dei danni. Previsione, 

questa, che si pone in linea con le 

innovazioni in materia di giurisdizione 

del giudice amministrativo apportate 

dagli artt. 33-35, D.Lgs. 31 marzo 

1998, n. 80 [26] , e recepite nella nuova 

legge sul processo amministrativo 21 

luglio 2000, n. 205 [27] . 

Gli atti processuali già compiuti 

conserveranno la loro validità ed efficacia. 

Tuttavia, i procedimenti pendenti 

saranno sospesi di diritto e 

dovranno essere riassunti dagli interessati 

presso i giudici competenti, 

individuati secondo i criteri sopra 

indicati, entro il termine perentorio 

di 120 giorni dalla data di entrata in 

vigore della legge di conversione, 

pena la loro estinzione. 

Infine, contro i provvedimenti 

dei Tribunali Regionali per i quali 

non sia ancora decorso il termine 

per l’impugnazione, è ammesso appello 

alla Corte d’Appello competente 

per territorio, mentre i provvedimenti 

del Tribunale Superiore in 

unico o in secondo grado sono assoggettati 

a ricorso per cassazione 

per i motivi e secondo le forme stabiliti 

dagli artt. 360 e segg., 

c.p.c. [28] . In quest’ultima ipotesi 

l’impugnazione dovrà essere proposta, 

a pena di inammissibilità, entro 

AMBIENTE 

novanta giorni dalla data di entrata 

in vigore della legge di conversione 

del D.L. n. 251/2002, ovvero dalla 

data di deposito della sentenza. 

In via generale, la scelta, pur radicale, 

effettuata dal Governo, anche in 

relazione alla gestione del periodo di 

transizione (e ci si riferisce, in particolare, 

all’immediata sospensione dei 

procedimenti pendenti e all’eventuale 

loro prosecuzione davanti ai giudici 

individuati secondo i nuovi criteri), 

appare condivisibile soprattutto perché 

ha il vantaggio di limitare nel 

tempo lo stato di “assestamento” proprio 

di tutti i periodi di passaggio. E 

questo anche se sarà onere dei ricorrenti 

applicare correttamente i criteri 

forniti dal Legislatore e riassumere le 

cause, in un lasso di tempo comunque 

ragionevole (120 giorni), davanti al 

giudice competente. 

Logica e coerente con il criterio 

ordinario di ripartizione tra giudice 

ordinario e giudice amministrativo 

appare, poi, la suddivisione delle 

materie originariamente di competenza 

dei Tribunali delle acque pubbliche. 

L’attribuzione delle controversie 

di cui all’art. 140 T.U. 

(«Competenza in primo grado dei 

Tribunali delle acque pubbliche») 

al giudice ordinario, inoltre, non solo 

è fedele al criterio di riparto, in 

quanto questioni relative alla tutela 

di diritti soggettivi, ma sicuramente 

ha il vantaggio di risolvere alla radice 

l’annoso problema dell’individuazione 

dell’autorità giurisdizionale 

di volta in volta competente. 

Un solo appunto sembra opportuno 

formulare, con riferimento alla 

ACQUA 

Articolo 

materia delle espropriazioni contenuta 

nell’art. 140, lettera d), T.U. e 

devoluta dal D.L. n. 251/2002 al 

giudice ordinario. L’art. 7, legge n. 

205/2000, sul processo amministrativo, 

infatti, recependo le disposizioni 

contenute nell’art. 34, D.Lgs. n. 

80/1998, ha attribuito la materia dell’urbanistica 

e dell’edilizia alla giurisdizione 

esclusiva del giudice amministrativo. 

L’unica eccezione è 

rappresentata proprio dalla cognizione 

dei Tribunali Superiori delle acque 

per gli ambiti di loro competenza 

(art. 34, comma 3, n. 1). Venuti 

meno gli organi giurisdizionali speciali 

ed essendo ormai pacifica la 

riconduzione della materia delle 

espropriazioni per pubblica utilità all’area 

dell’urbanistica e dell’edilizia 

quale aspetto che «concerne l’uso 

del territorio», sembrerebbe più coerente 

con l’attuale sistema giurisdizionale 

predisporre il passaggio delle 

controversie di cui all’art. 140, 

lettera d), T.U. al giudice amministrativo 

piuttosto che all’autorità 

giurisdizionale ordinaria. 

Infine, nulla dice il Legislatore 

circa il destino della competenza 

del Tribunale Regionale quale giudice 

di appello nelle questioni di cui 

all’art. 141, T.U. Con ogni probabilità, 

a seguito dell’abolizione di questi 

tribunali, l’impugnazione delle 

decisioni per le azioni possessorie 

in materia di acque seguirà il regime 

ordinario. 

Un possibile scenario, alla luce 

dell’eventuale conversione in legge 

del D.L. n. 251/2002, è riportato 

nella tabella 3. l 

[24] Il criterio della competenza territoriale, esercitato secondo le regole del c.p.c., consentirà, pertanto, di “uscire” dalle vecchie 

circoscrizioni dei Tribunali Regionali e di ricondurre la controversia alla cognizione del giudice “naturale” anche sotto il 

profilo del territorio. 

[25] In particolare, secondo quanto disposto dall’art. 4, comma 2, D.L. n. 251/2002, le controversie pendenti davanti al Tribunale 

Superiore in secondo grado dovranno essere riassunte davanti alla Corte d’Appello territorialmente competente mentre quelle 

pendenti avanti al Tribunale Superiore in unica istanza andranno riassunte avanti al Tribunale Amministrativo Regionale che 

decide con sentenza appellabile davanti al Consiglio di Stato. 

[26] «Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle 

controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 

1997, n. 59» (in S.O. n. 65 alla Gazzetta Ufficiale dell’8 aprile 1998, n. 82). 

[27] «Disposizioni in materia di giustizia amministrativa» (in Gazzetta Ufficiale del 26 luglio 2000, n. 173). 

[28] Viene, così, ripristinato in via generalizzata il doppio grado di giudizio (si veda la nota 22). 


ACQUA 

Articolo 

Le controversie nelle materie elencate all’art. 140 («Competenza 

in primo grado dei Tribunali delle acque pubbliche») 

del Testo Unico ... 

AMBIENTE 

TABELLA 3 

Cosa cambierà in caso di conversione del D.L. n. 251/2002 

...saranno ricondotte al tribunale ordinario avente 

sede nel capoluogo del distretto territorialmente competente. 

Le materie di cui all’art. 143 del Testo Unico. ... ...competeranno al giudice amministrativo. 

Relativamente ai casi devoluti alla sua giurisdizione, le ...competeranno al giudice amministrativo. 

decisioni sulle domande di risarcimento dei danni.. 

Gli atti processuali già compiuti... ...conserveranno la loro validità ed efficacia. 

I procedimenti pendenti... ...saranno sospesi di diritto e dovranno essere riassunti 

dagli interessati presso i giudici competenti, individuati 

secondo i criteri sopra indicati, entro il termine perentorio 

di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della 

legge di conversione, pena la loro estinzione. 

Per i provvedimenti dei Tribunali Regionali per i quali ...è ammesso appello alla Corte d’Appello competente 

non sia ancora decorso il termine per l’impugnazione... per territorio. 

I provvedimenti del Tribunale Superiore in unico o in ...saranno assoggettati a ricorso per cassazione per i 

secondo grado... 

motivi e secondo le forme stabiliti dagli artt. 360 e 

segg., c.p.c. In quest’ultima ipotesi l’impugnazione dovrà 

essere proposta, a pena di inammissibilità, entro 

novanta giorni dalla data di entrata in vigore della 

legge di conversione del D.L. n. 251/2002, ovvero dalla 

data di deposito della sentenza. 

In materia di espropriazioni (art. 140, lettera d) del ...sembrerebbe più coerente con l’attuale sistema giuri- 

Testo Unico e devoluta al giudice ordinario)... 

sdizionale predisporre il passaggio delle controversie di 

cui all’art. 140, lettera d), T.U. al giudice amministrativo 

piuttosto che all’autorità giurisdizionale ordinaria. 

Per la competenza del Tribunale Regionale quale giudi- ...con ogni probabilità, a seguito dell’abolizione di 

ce di appello nelle questioni di cui all’art. 141 del Testo questi tribunali, l’impugnazione delle decisioni per le 

Unico . ... 

azioni possessorie in materia di acque seguirà il regime 

ordinario. 

Decreto-legge 11 novembre 2002, n. 251 

Misure urgenti in materia di amministrazione della giustizia 

in Gazzetta Ufficiale del 12 novembre 2002, n. 265 

Capo I 

Abolizione dei Tribunali regionali e del Tribunale superiore delle acque pubbliche 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 

Visti gli articoli 77, 87 e la VI disposizione transitoria della Costituzione; 

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare norme intese a razionalizzare la giurisdizione in 

materia di acque pubbliche all’esito delle declaratorie di illegittimità costituzionale adottate dalla Corte costituzionale 

con sentenze nn. 305 e 353 del 2002, nonché ad abolire la giurisdizione speciale dei tribunali regionali 

delle acque pubbliche e del tribunale superiore delle acque pubbliche; 

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di potenziare la struttura tecnica composta dai magistrati addetti 

al Ministero della giustizia, destinata a supportare l’attività del Governo in adempimento degli obblighi 

comunitari in occasione del semestre di presidenza italiana dell’Unione europea; 

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di razionalizzare i criteri di corresponsione delle indennità per i 

giudici di pace, con riferimento a provvedimenti resi in materia penale; 

Ritenuta, altresì, la straordinaria necessità ed urgenza di garantire, all’esito della declaratoria di illegittimità 

costituzionale adottata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 393 del 2002, la funzionalità della Giunta 

speciale per le espropriazioni presso la Corte di appello di Napoli; 

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dell’8 novembre 2002; 

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro 

dell’economia e delle finanze; 


AMBIENTE 

Emana 

il seguente decreto-legge: 

ACQUA 

Articolo 

Art. 1 

1. Decorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono 

abrogati il titolo quarto del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e l’articolo 64 del regio decreto 30 gennaio 

1941, n. 12. Dalla stessa data sono soppressi i tribunali regionali delle acque pubbliche ed il Tribunale superiore 

delle acque pubbliche. 

Art. 2 

1. Dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le controversie concernenti le 

materie di cui all’articolo 140 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, già di competenza dei tribunali regionali 

delle acque pubbliche, sono instaurate davanti al tribunale ordinario che ha sede nel capoluogo del distretto 

territorialmente competente, il quale giudica in composizione collegiale. 

2. Le controversie nelle materie di cui all’articolo 143 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, sono 

attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo. Il ricorso per cassazione avverso la pronuncia resa in 

grado di appello dal Consiglio di Stato è limitato ai motivi di cui all’articolo 362 del codice di procedura civile ed 

è deciso ai sensi dell’articolo 374, primo comma, dello stesso codice. 

3. Le controversie in tema di risarcimento del danno sono attribuite al giudice amministrativo nei casi devoluti 

alla sua giurisdizione. 

Art. 3 

1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto è soppresso il posto di Presidente del Tribunale superiore 

delle acque pubbliche, con contemporaneo aumento della pianta organica della magistratura di un posto di 

presidente aggiunto della Corte di cassazione. Conseguentemente la tabella B allegata alla legge 9 agosto 1993, 

n. 295, e successive modificazioni, è sostituita dalla tabella di cui all’allegato A. 

2. Fino alla data di soppressione del Tribunale superiore delle acque pubbliche le funzioni di presidente sono 

esercitate da uno dei presidenti aggiunti della Corte di cassazione. 

3. L’organico del personale amministrativo già attribuito al Tribunale superiore delle acque pubbliche e assegnato 

alla Corte di cassazione. Il relativo personale in servizio all’atto della cessazione dell’attività dell’ufficio 

mantiene l’inquadramento precedentemente goduto. 

Art. 4 

1. Dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono sospesi di diritto tutti i 

procedimenti pendenti avanti ai tribunali regionali delle acque pubbliche ed al Tribunale superiore delle acque 

pubbliche. Resta fermo l’obbligo di depositare i provvedimenti per le cause assegnate in decisione anteriormente 

alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il deposito di provvedimenti, 

successivamente alla scadenza del termine di cui all’articolo 1, è effettuato presso la cancelleria della Corte di 

appello relativamente ai provvedimenti del tribunale regionale delle acque pubbliche e presso la cancelleria 

della prima sezione civile della Corte di cassazione per i provvedimenti del Tribunale superiore delle acque 

pubbliche. Le cancellerie provvedono agli adempimenti di competenza conseguenti al deposito delle sentenze e 

delle ordinanze in materia civile previsti dal codice di procedura civile. 

2. Entro il termine perentorio di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del 

presente decreto, gli interessati riassumono le cause pendenti presso i tribunali regionali delle acque pubbliche 

ed il Tribunale superiore delle acque pubbliche avanti al giudice individuato secondo i criteri specificati all’articolo 

2. La mancata riassunzione nel termine determina l’estinzione del procedimento. Le controversie pendenti in 

secondo grado avanti al tribunale superiore delle acque pubbliche sono riassunte avanti alla Corte di appello 

territorialmente competente; quelle pendenti avanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche in unico 

grado sono riassunte dinanzi al Tribunale amministrativo regionale competente, che decide con sentenza 

appellabile al Consiglio di Stato. 

3. Gli atti processuali compiuti presso i tribunali regionali delle acque pubbliche ed il Tribunale superiore 

conservano la loro validità e la loro efficacia anche dopo la riassunzione. 

4. Contro i provvedimenti per i quali non sia decorso il termine di impugnazione, pronunciati dal tribunale 

regionale delle acque pubbliche nelle materie comprese nell’articolo 2, comma 1, è ammesso l’appello alla Corte 

d’appello competente per territorio; contro i provvedimenti pronunciati dal Tribunale superiore delle acque 

pubbliche in unico grado nelle materie di cui all’articolo 2, comma 2, e, in grado di appello, all’articolo 2, comma 

1, è ammesso il ricorso per Cassazione nei casi e nelle forme previsti dagli articoli 360 e seguenti del codice di 

procedura civile. 

5. Nei soli casi di cui al comma 4 l’impugnazione è proposta, a pena di inammissibilità, entro novanta giorni dalla 

data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ovvero dalla data di deposito della 

sentenza, fatta salva la sospensione dei termini processuali di cui all’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742. 

6. Per i giudizi di revocazione, nei casi previsti dagli articoli 395 e seguenti del codice di procedura civile, di 

opposizione di terzo, nei casi previsti dagli articoli 404 e seguenti del codice di procedura civile, di correzione 

delle ordinanze e delle sentenze, nei casi previsti dall’articolo 287 del codice di procedura civile, è competente, 

nelle materie di cui all’articolo 2, comma 1, il tribunale ordinario e, nelle materie di cui al comma 2, il tribunale 

amministrativo regionale. 


ACQUA 

Commento 

Lo prevede la risoluzione delle Entrate 11 novembre 2002, n. 350/E, prodotta in risposta a un quesito 

Per l’a lacciamento a la rete fognaria 

spese detraibili al 36% ai fini IRPEF 

di Vincenzo Riganti, professore ordinario di Chimica Merceologica, Facoltà di Scienze - Università di Pavia 

Con la risoluzione 11 novembre 

2002, l’Agenzia delle Entrate 

ha chiarito che le spese 

sostenute per i lavori di allacciamento 

degli edifici residenzia 

alla rete fogniaria sono 

detrabili nella misura del 

36% ai fini IRPEF. Con la pronuncia 

viene data risposta a 

una proprietaria di villetta dotata 

di pozzo nero che aveva 

inoltrato un quesito all’Autorità 

finanziaria. A corollario è 

utile anche riassumere le disposizioni 

legislative che stanno alla 

base degli obblighi in materia 

di scarichi sia nel caso di edifici 

inseriti in centri abitati che 

per quelli isolati per i quali le 

Regionidevono identificare sistemi 

individuali di trattamento 

o altri soluzioni pubbliche o 

private adeguatamente efficaci 

per la protezione ambientale. 

AMBIENTE 

La direzione centrale dell’Agenzia 

delle Entrate ha espresso 

l’autorevole parere che, nel caso 

di edifici residenziali, gli interventi 

relativi alla costruzione della 

rete fognaria fino a quella pubblica, 

realizzati con opere interne o esterne, 

possano godere dei benefici fiscali 

di cui all’art. 1, legge 27 dicembre 

1997, n. 449 (e successive 

modificazioni), recante «Disposizioni 

concernenti interventi di recupero 

del patrimonio edilizio» (in S.O. 

n. 255 alla Gazzetta Ufficiale del 30 

dicembre 1997, n. 302). Si tratta 

della detrazione, ai fini IRPEF, del 

36% delle spese affrontate a questo 

scopo. 

Gli aspetti fiscali e le procedure 

amministrative sono ben chiarite 

nella risposta dell’Agenzia; merita, 

tuttavia, un breve commento l’aspetto 

relativo alla problematica igienico-sanitaria, 

alla luce del D.Lgs. n. 

152/1999 come successivamente integrato 

e modificato dal D.Lgs. n. 

258/2000 (per il testo coordinato si 

veda il Supplemento n. 5/2000 di 

Ambiente&Sicurezza). 

Si è, innanzitutto, in presenza di 

acque reflue domestiche, in quanto 

provenienti da insediamento di tipo 

residenziale. Nella citata normativa 

viene definito agglomerato un area 

nella quale la popolazione, ovvero 

le attività economiche, sono sufficientemente 

concentrate così da 

rendere possibile, e cioè tecnicamente 

ed economicamente realizzabile 

anche in rapporto ai benefici 

ambientali conseguibili, la raccolta 

e il convogliamento delle acque reflue 

urbane verso un sistema di trattamento 

di acque reflue urbane o 

verso un punto di scarico finale. 

Le “acque reflue domestiche”, 

eventualmente unite a quelle reflue 

industriali e meteoriche di dilavamento, 

diventano “acque reflue urbane” 

quando sono convogliate in 

rete fognaria e provengono da agglomerato 

che, se presenta almeno 

2000 abitanti equivalenti, deve o dovrà 

essere necessariamente provvisto 

di reti fognarie atte a raccogliere, 

appunto, le acque reflue urbane, 

secondo le modalità e la sequenza 

temporale prevista nell’art. 27, 

D.Lgs. n. 152/1999, entro il 31 dicembre 

2005. 

Per lo scarico degli insediamenti 

o degli edifici isolati che scaricano 

acque reflue domestiche, laddove 

non sia presente la rete fognaria pubblica, 

è previsto che le Regioni identifichino 

sistemi individuali di trattamento 

o altre soluzioni pubbliche o 

private adeguate, che raggiungano 

lo stesso livello di protezione ambientale 

descritto nelle norme tecniche 

di cui alla delibera del Comitato 

interministeriale per la tutela delle 

acque 7 febbraio 1977 «criteri, metodologie 

e norme tecniche generali 

di cui all’art. 2 lettere b), d) ed e), 

della legge 10 maggio 1976, n. 319, 

recanti norme per la tutela delle 

acque dall’inquinamento» (in Gazzetta 

Ufficiale del 21 febbraio 1977, 

n. 48), indicando, altresì, i tempi di 

adeguamento (art. 27, comma 4). 

Rimane, comunque, il problema 

del recapito delle acque così trattate. 

È escluso dall’art. 30 lo scarico 

nel sottosuolo, mentre è ammesso 

quello sul suolo o negli strati superficiali 

del sottosuolo, di cui all’art. 

27, comma 4, purché gli scarichi 


siano conformi ai criteri e ai valori 

limite di emissioni fissati, a questo 

fine, dalle regioni. Sino alla emanazione 

di queste norme, si applicano 

i valori limite indicati nella Tabella 

4, Allegato 5, ben più restrittivi di 

quelli previsti per lo scarico a valle 

dell’impianto di trattamento delle 

acque fognarie. 

In concreto, la soluzione più frequentemente 

adottata dagli insedia- 

Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale - 

Normativa e Contenzioso - 11 novembre 2002, n. 350/E 

Istanza di interpello - Articolo 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. Sig.ra XW. 

Istanza Art. 1 della legge n. 449 del 1997 - Detrazione ai fini IRPEF, 

del 36% delle spese di ristrutturazione edilizia 

Con istanza di interpello, inoltrata ai sensi dell’articolo 

11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, è stato 

chiesto il parere della scrivente in merito alla questione 

di seguito rappresentata. 

Esposizione del quesito 

La Sig.ra XW, proprietaria di una villetta, dotata di 

pozzo nero per far confluire le acque di scarico, 

chiede di sapere se le spetta la detrazione del 36%, ai 

fini Irpef, relativamente ai lavori che dovrà effettuare 

per la costruzione di una rete fognaria all’interno 

della villetta per potersi allacciare alla rete pubblica 

costruita dal Comune. 

Soluzione interpretativa prospettata 

dal contribuente 

La Sig.ra XW non prospetta alcuna soluzione. 

Risposta dell’Agenzia delle Entrate 

Premesso che l’omessa indicazione di una soluzione 

interpretativa da parte del contribuente impedisce 

che si producano tutti gli effetti giuridici propri dell’interpello, 

con preclusione, in particolare, della 

eventuale formazione del silenzio-assenso in caso di 

omessa risposta da parte dell’Amministrazione competente, 

si forniscono i seguenti chiarimenti in merito 

alla questione prospettata. 

L’art. 1 della legge n. 449 del 27 dicembre 1997, 

recante “Disposizioni concernenti interventi di recupero 

del patrimonio edilizio”, come modificato dalle 

leggi n. 488 del 1999, n. 388 del 2000 e da ultimo 

dalla legge n. 448 del 2001, ha introdotto una speciale 

detrazione dall’imposta lorda, e fino a concorrenza 

del suo ammontare, da far valere ai fini IRPEF a 

AMBIENTE 

menti o edifici isolati è quella della 

fossa settica, periodicamente svuotata 

e condotta, tramite automezzo, a 

un impianto di trattamento di acque 

reflue urbane (ex art. 36, D.Lgs. n. 

152/1999). Altrettanto avviene 

quando l’edificio residenziale è situato 

in un agglomerato, non ancora 

servito dalla pubblica fognatura. 

È ovvio che, quando un insediamento 

residenziale è raggiunto dalla 

ACQUA 

Commento 

pubblica fognatura, si presenta l’opportunità 

(che è un obbligo, anche 

ai sensi dei regolamenti di fognatura; 

si veda per esempio, la legge 

della Regione Lombardia n. 

62/1985) di allacciamento. 

Sono appunto i lavori necessari a 

questo allacciamento che possono 

godere della detrazione ai fini IR- 

PEF, di cui al parere dell’Agenzia 

delle Entrate. 

fronte di spese sostenute ed effettivamente rimaste a 

carico per la realizzazione di interventi di recupero 

sulle parti comuni di edifici residenziali nonché sulle 

singole unità immobiliari residenziali di qualunque 

categoria catastale e relative pertinenze. 

Rientrano, tra l’altro, negli interventi che danno 

diritto alla detrazione del 36 per cento delle spese, per 

un importo massimo di ∴77.468,53, quelli di manutenzione 

straordinaria, di restauro e risanamento conservativo 

e di ristrutturazione edilizia, di cui all’articolo 

31, lettere b), c), d), della legge n. 457 del 5 agosto 

1978, realizzati su singole unità abitative o sulle parti 

comuni degli edifici residenziali, nonché quelli di manutenzione 

ordinaria, di cui alla lettera a) del citato 

articolo 31, realizzati sulle parti comuni degli edifici 

residenziali, come definite dall’articolo 1117 del codice 

civile. 

La richiamata lettera b) dell’articolo 31 della legge 

n. 457/78 indica tra gli interventi di manutenzione 

straordinaria la realizzazione e la integrazione dei 

servizi igienico-sanitari. Si ritiene che in tale tipologia 

di lavori possano essere compresi anche quelli 

relativi alla costruzione della rete fognaria fino alla 

rete pubblica, realizzati con opere interne o esterne, 

in quanto si tratta di lavori che presentano le caratteristiche 

proprie degli interventi di manutenzione straordinaria. 

Nella circolare n. 57 del 1998, è stato precisato, 

infatti che la manutenzione straordinaria si riferisce agli 

«...interventi, anche di carattere innovativo, di natura 

edilizia ed impiantistica, finalizzati a mantenere in efficienza 

ed adeguare all’uso corrente l’edificio e le singole 

unità immobiliari, con il rispetto della superficie, 

della volumetria e della destinazione d’uso». 


ACQUA 

Documento 

I lavori indicati nell’istanza di interpello, consistenti 

nella realizzazione dei tronchi di collegamento tra 

la singola abitazione e la rete pubblica, possono pertanto 

essere compresi tra i lavori per i quali spetta la 

detrazione d’imposta ai sensi della richiamata legge 

n. 449 del 1997, poiché sono finalizzati ad integrare i 

servizi igienico-sanitari, come sopra precisato, attraverso 

opere effettuate sulla singola unità abitativa. 

La possibilità di usufruire della detrazione d’imposta 

è subordinata al rispetto degli adempimenti previsti 

dal decreto interministeriale del Ministro delle 

Finanze di concerto con il Ministro dei Lavori Pubblici 

18 febbraio 1998, n. 41 (regolamento recante norme 

di attuazione e procedure di controllo delle disposizioni 

di cui all’articolo 1 della legge n. 449 del 

1997), come modificato dal decreto interministeriale 

del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto 

con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, 

9 maggio 2002, n. 153. 

In particolare è necessario: 

l inviare al centro operativo di Pescara, prima dell’inizio 

dei lavori, una comunicazione concernente la data 

in cui avranno inizio i lavori, redatta su apposito modulo, 

allegando: le abilitazioni amministrative richieste 

dalla vigente legislazione edilizia per l’esecuzione dei 

lavori, la fotocopia della domanda di accatastamento in 

mancanza dei dati catastali, le fotocopie delle ricevute 

AMBIENTE 

di pagamento dell’ICI. In alternativa può essere allegata 

una dichiarazione sostitutiva di atto notorio con la quale 

si attesti il possesso della documentazione suddetta e si 

dichiari di poterla esibire o trasmettere su richiesta 

degli Uffici fiscali; 

l inoltrare alla ASL competente per territorio, prima 

dell’inizio dei lavori, una comunicazione che indichi 

l’ubicazione dei lavori da effettuare ed il committente 

degli stessi, la natura delle opere da realizzare, 

l’assunzione di responsabilità da parte dell’impresa 

appaltatrice delle opere di aver adempiuto tutti gli 

obblighi imposti dalla normativa vigente in materia 

di sicurezza del lavoro e di contribuzione, la data di 

inizio dei lavori. La comunicazione alla Asl effettuata 

dall’impresa a norma dei decreti legislativi 19 

settembre 1994, n. 626 e 14 agosto 1996, n.494, 

libera il contribuente dall’obbligo dell’invio di questa 

ulteriore raccomandata; 

l pagare le spese mediante bonifico bancario dal quale 

risulti la causale del versamento, il codice fiscale del 

beneficiario della detrazione, la partita IVA o il codice 

fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è 

effettuato. 

La risposta di cui alla presente risoluzione, sollecitata 

con istanza di interpello presentata alla Direzione 

Regionale, viene resa dalla scrivente ai sensi dell’articolo 

4, comma 1, ultimo periodo del D.M. 26 aprile 

2001, n. 209. l 

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di Bernardino Albertazzi, vicepresidente e responsabile area legale-pianificazione-formazione 

di Macroscopio S.p.a. 

La “legge obiettivo, per consentire 

il proseguimento di 

tutte le operazioni di gestione 

in esercizio anche dopo 

l’entrata in vigore del nuovo 

Codice CER, ha stabilito la validità 

delle attività di recupero 

dei soggetti che avessero presentato, 

entro 30 giorni dall’entrata 

in vigore della legge, 

le domande di autorizzazione 

recanti i nuovi codici. Tuttavia, 

il Legislatore non ha preso 

in considerazione le “comunicazioni” 

da inoltrare per avviare 

le procedure semplificate, 

lasciando aperto il dubbio 

se anche queste comunicazioni 

dovevano o debbano essere 

rinnovate e, in caso affermativo, 

in quali termini. La risposta 

è negativa. 

AMBIENTE 

Il CER nella legge 

n. 443/2001 

L’art. 1, comma 15, legge n. 

443/2001 [1] dispone che «I soggetti 

che effettuano attività di gestione 

dei rifiuti la cui classificazione è stata 

modificata con la decisione della 

Commissione europea 2001/118/CE 

del 16 gennaio 2001 [2] inoltrano richiesta 

all’ente competente, entro 

trenta giorni dall’entrata in vigore 

della presente legge, presentando 

domanda di autorizzazione ai sensi 

dell’articolo 28 del decreto legislativo 

5 febbraio 1997, n. 22, e successive 

modificazioni, o iscrizione ai sensi 

dell’articolo 30 del medesimo decreto 

legislativo, indicando i nuovi 

codici dei rifiuti per i quali si intende 

proseguire l’attività di gestione 

dei rifiuti. L’attività può essere proseguita 

fino all’emanazione del conseguente 

provvedimento da parte 

dell’ente competente al rilascio delle 

autorizzazioni o iscrizioni di cui 

al citato decreto legislativo n. 22 del 

1997. Le suddette attività non sono 

soggette alle procedure per la VIA 

RIFIUTI 

Articolo 

La questione si pone come diretta conseguenza della natura giuridica della direttiva 9 aprile 2002 

In assenza di un provvedimento cogente 

restano valide le a tività di recupero in esercizio 

in quanto le stesse sono attività già 

in essere». 

Entro l’11 febbraio 2002, quindi, 

i gestori dei rifiuti la cui classificazione 

è stata variata dalla decisione 

della Commissione n. 2000/532/CE 

e successive modifiche, dovevano 

inoltrare richiesta all’ente competente 

(di solito la Provincia). 

Il comma 15 in esame dispone 

che questa richiesta comporti: 

l la presentazione della domanda di 

autorizzazione ai sensi dell’articolo 28, 

decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 

22 [3] , e successive modifiche, o 

l la presentazione della domanda 

di iscrizione ai sensi dell’articolo 

30, medesimo D.Lgs. n. 22/1997. 

In queste domande di autorizzazione 

o di iscrizione dovevano essere 

indicati, da parte dei soggetti gestori 

dei rifiuti, i nuovi codici dei 

rifiuti per i quali si intendeva proseguire 

l’attività. 

La ratio della norma in esame è 

assai chiara, essendo diretta a consentire 

il proseguimento di tutte le 

attività di gestione dei rifiuti che 

[1] «Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività 

produttive» (in S.O. n. 279 alla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 2001, n. 299). È la cosiddetta “legge Obiettivo”. Si veda 

anche P. Fimiani, Mancata contaminazione ed effettivo riutilizzo: in questi casi le terre da scavo non sono rifiuti in 

Ambiente&Sicurezza n. 4/2002, pag. 74. 

[2] In merito alla norma sopra riportata si può osservare che il riferimento alla decisione della Commissione europea 16 gennaio 

2001, n. 2001/118/CE è impreciso in quanto la medesima è soltanto una delle tre successive decisioni che hanno modificato la 

decisione 3 maggio 2000, n. 2000/532/CE che, a sua volta, aveva sostituito la precedente decisione recepita nel nostro 

ordinamento nell’Allegato A del “decreto Ronchi”. Quest’ultima decisione è stata, infatti, modificata anche dalle decisioni nn. 

2001/119/CE e 2001/573/CE. Il testo della decisione n. 2000/532/CE aggiornato e coordinato con la decisione n. 2001/573/CE 

è stato pubblicato sul Supplemento n. 5/2001 di Ambiente&Sicurezza. La successiva versione integrata con le rettifiche 

pubblicate sulle G.U.C.E. L del 2 ottobre 2001, n. 262 e G.U.C.E. L del 27 aprile 2002, n. 112 è disponibile all’indirizzo 

http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com/. 

[3] «Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di 

imballaggio» (in S.O. n. 33 alla Gazzetta Ufficiale del 15 febbraio 1997, n. 38). È il cosiddetto “decreto Ronchi”. 


RIFIUTI 

Articolo 

erano in esercizio alla data del 

1˚gennaio 2002, quando, cioè, è entrato 

in vigore (per gli Stati membri 

della Ue) il nuovo Codice CER [4] ,e 

che, in seguito a ciò, hanno visto 

mutare la classificazione giuridica o 

anche solo il codice descrittivo di 

alcune tipologie di rifiuti. 

La prosecuzione 

delle attività di recupero 

L’art. 1, comma 15, legge n. 

443/2001, ha previsto 

la liceità della 

continuazione delle 

attività per il 

soggetto interessato 

che avesse presentato, 

entro 30 

giorni dall’entrata 

in vigore della legge, 

e cioè entro 

l’11 febbraio 

2002, una richiesta 

di autorizzazione 

o iscrizione all’autorità 

competente, 

ovvero «a prescindere 

dall’effettiva 

risposta e dal concreto 

atto di assenso dell’autorità competente»; 

in questo modo è stata introdotta 

una deroga al normale regime 

delle autorizzazioni di cui all’art. 28, 

“decreto Ronchi” e succ. modd., che 

impone, ai fini della legittimità delle 

attività di gestione dei rifiuti, il risascio 

esplicito e formale dell’autorizzazione 

al soggetto richiedente da parte 

delll’autorità competente. La norma in 

esame ha, dunque, voluto evitare che 

eventuali tempi lunghi della pubblica 

amministrazione nella risposta alla domanda 

del soggetto interessato potessero 

pregiudicare la continuazione delle 

attività di gestione dei rifiuti soggette 

ad autorizzazione o iscrizione. 

Con l’art. 1, comma 15, 

della “legge Lunardi” 

è stata introdotta 

una deroga alla 

procedura di rilascio 

dell’autorizzazione al 

soggetto richiedente, 

finalizzata a legittimare 

le attività di gestione 

dei rifiuti 

AMBIENTE 

I provvedimenti dell’Albo gestori 

Per quanto riguarda il regime 

transitorio delle iscrizioni all’Albo 

Nazionale dei Gestori dei Rifiuti, 

ai sensi dell’articolo 30, D.Lgs. n. 

22/1997 e succ. modd., il Comitato 

Nazionale ha tempestivamente 

emanato, a specificazione e integrazione 

del dell’art. 1, comma 15, 

legge n. 443/2001, la delibera 27 

dicembre 2001 («Criteri per l’iscrizione 

all’Albo nella categoria 5, 

raccolta e trasporto 

di rifiuti pericolosi») 

[5] , accompagnata 

anche dalla 

circolare esplicativa 

6 febbraio 

2002. 

Entrando brevemente 

nel merito 

della delibera 

e della circolare, 

non v’è dubbio 

che la ratio di 

queste disposizioni 

risieda nella 

volontà di consentire 

al soggetto 

economico interessato 

la continuazione dell’attività 

di gestione dei rifiuti in esercizio, 

alla sola condizione, prevista 

dalla legge, che sia stata tempestivamente 

presentata la richiesta di 

iscrizione. 

Il problema delle comunicazioni 

In relazione al tema della prosecuzione 

delle attività in esercizio di gestione 

dei rifiuti che abbiano subìto 

un mutamento di classificazione giuridica 

in seguito all’entrata in vigore 

(per gli Stati membri della Ue) del 

nuovo codice CER, è rimasto, tuttavia, 

aperto un problema interpretativo 

di non poco rilievo, in quanto l’art. 1, 

comma 15, legge n. 443/2001 fa 

«esclusivo riferimento alle autorizzazioni 

di cui all’art. 28 e alle iscrizioni 

di cui all’art. 30», del decreto 

“Ronchi” e succ. modd., omettendo, 

dunque, qualunque riferimento alle 

“comunicazioni”, che rappresentano 

lo strumento per le procedure semplificate 

di cui agli articoli 31, 32 e 33, 

D.Lgs. n. 22/1997. È lecito chiedersi, 

quindi, se, nel silenzio della legge, 

anche le comunicazioni dovevano o 

debbano essere rinnovate e, in caso 

affermativo, in quali termini, in considerazione 

del fatto che tutto il comma 

15 è strutturato su di una domanda da 

parte dell’azienda all’autorità competente 

volta alla prosecuzione dell’attività 

in essere e sulla «conseguente, 

anche se non necessaria», risposta 

dell’autorità stessa. 

Il meccanismo previsto dal comma 

15 dell’art. 1 della “legge Lunardi” 

sembra inapplicabile al regime delle 

comunicazioni, le quali, com’è noto, 

non implicano la risposta dell’autorità 

a cui sono indirizzate e sono state, invece, 

concepite per consentire all’impresa 

di iniziare l’attività, decorsi novanta 

giorni dall’inoltro della comunicazione 

stessa. 

È, dunque, compito del giurista individuare, 

per via interpretativa, in 

conformità sia ai princìpi del diritto 

nazionale e comunitario che ai fondamenti 

che regolano il “diritto dell’ambiente”, 

se esiste ed, eventualmente, 

quale sia il regime transitorio delle 

comunicazioni dopo la scadenza del 

termine relativo all’entrata in vigore 

(per gli Stati della Ue) del nuovo codice 

CER (1˚ gennaio 2002). In altri 

termini, quali siano le concrete azioni 

che dovevano o devono essere intraprese 

dal titolare di un’attività di recupero 

di rifiuti («ai fini della legittima 

prosecuzione delle attività in eserci- 

[4] Introdotto nell’ordinamento italiano con la direttiva del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio 9 aprile 2002 

«Indicazioni per la corretta e piena applicazione del regolamento comunitario n. 2557/2001 sulle spedizioni di rifiuti ed in 

relazione al nuovo elenco dei rifiuti» (in S.O. n. 102 alla Gazzetta Ufficiale del 10 maggio 2002, n. 108). Per il testo si veda il 

Supplemento n. 2/2002 di Ambiente&Sicurezza, mentre per il commento si veda P. Pipere, Le indicazioni per il passaggio al 

nuovo CER in Ambiente&Sicurezza n. 11/2002, pag. 86. 

[5] Per testo e commento si veda P. Pipere, Iscrizioni all’Albo gestori rifiuti: definito il modulo per l’adeguamento in 

Ambiente&Sicurezza n. 3/2002, pag. 90 e segg. 


zio») per il quale, nel nuovo codice 

CER, una parte dei rifiuti gestiti abbia 

subìto un mutamento di classificazione 

giuridica e, in particolare, alcuni 

rifiuti non pericolosi, che venivano 

gestiti grazie a una comunicazione effettuata 

ai sensi degli artt. 31 e 33, 

D.Lgs. n. 22/1997 e succ. modd., siano 

stati classificati come pericolosi. 

Al fine di individuare correttamente 

la disciplina delle attività di recupero 

semplificate in esercizio e le azioni 

che dovevano o devono essere intraprese 

per la loro legittima prosecuzione, 

è necessario soffermarsi, in primo 

luogo, sul tema della validità e l’efficacia 

nel nostro ordinamento delle decisioni 

comunitarie. 

Validità ed efficacia 

delle decisioni CEE 

Il Trattato istitutivo della CEE 

prevede che «la decisione è obbligatoria 

in tutti i suoi elementi per i 

destinatari da essa designati». Per 

quanto attiene al profilo dell’efficacia 

delle decisioni negli Stati membri, 

il Trattato non dispone nulla. In 

dottrina si ritiene che le decisioni 

cosiddette “generali”, in quanto rivolte 

agli Stati membri (e non a 

singoli individui), siano «per qualche 

aspetto equiparabili alle direttive: 

obbligano lo Stato membro ad 

un certo comportamento e richiedono 

pertanto che quest’ultimo dia ad 

esse esecuzione nel proprio ordinamento 

interno. A differenza delle direttive, 

esse sono però obbligatorie 

in tutti i loro elementi e quindi non 

lasciano allo Stato destinatario la 

scelta della forma e dei mezzi di 

esecuzione (...). Ciò comporta che 

anche per le decisioni ... possa parlarsi 

di una efficacia diretta negli 

Stati membri, senza la necessità di 

provvedimenti statali di attuazione, 

quando siano suscettibili di ap- 

AMBIENTE 

plicazione immediata: come è il caso 

di decisioni che stabiliscano a 

carico degli Stati membri comportamenti 

puramente negativi (...) o che 

infine siano talmente particolareggiate 

da non richiedere misure di 

esecuzione »[6] . 

La legittimità delle attività 

di recupero in esercizio 

In base a quanto sopra, si deve 

concludere che, anche volendo equiparare 

la decisione che ha istituito il 

nuovo codice CER a una direttiva, 

dalla costante giurisprudenza della 

Corte di Giustizia 

in merito all’impossibilità 

di applicazione 

immediata delle 

direttive in materia 

di rifiuti (senza 

la necessità 

di provvedimenti 

statali di attuazione) 

deriva, in 

maniera chiara, 

l’impossibilità 

di considerare la 

decisione citata 

come produttiva 

di effetti nei confronti 

dei cittadini 

degli Stati membri, senza la necessità 

di provvedimenti statali di 

attuazione, salva la possibilità del 

soggetto interessato di farla valere 

dinnanzi alla Corte di Giustizia nei 

confronti dello Stato membro inadempiente 

[7] . 

La Corte di Giustizia ha, infatti, 

ulteriormente stabilito che anche la 

direttiva a efficacia diretta opera, 

comunque, nei rapporti cosiddetti 

“verticali” che si instaurano fra i 

singoli e lo Stato, ove si riconosca 

ai primi taluni diritti, ma mai nei 

rapporti “orizzontali”, intersoggetti- 

Alla luce della natura 

dell’art. 1, comma 15, 

della “legge Lunardi” 

è lecito chiedersi se, 

nel silenzio della legge, 

anche le comunicazioni 

dovevano o debbano 

essere rinnovate e, 

in caso affermativo, 

in quali termini 

RIFIUTI 

Articolo 

vi o interindividuali, perché, in questo 

caso, l’efficacia immediata della 

direttiva «significherebbe riconoscere 

in capo alla Comunità il potere 

di emanare norme che facciano sorgere, 

con effetto immediato, un obbligo 

a carico di singoli soggetti, 

mentre tale competenza le spetta solo 

laddove le sia attribuito il potere 

di adottare il regolamento» (Corte 

di Giustizia 14 luglio 1994, causa 

C-91/92). 

Inoltre, in materia penale, il giudice 

comunitario è fermamente costante 

nel dire che non solo la direttiva 

non può essere fatta 

valere, in quanto tale, 

nei confronti degli 

individui, ma anche 

che «una direttiva 

non può avere 

l’effetto di per sé ed 

indipendentemente 

da una legge interna 

di uno Stato 

membro, adottata 

per la sua attuazione, 

di determinare o 

di aggravare la responsabilità 

penale 

di coloro che agiscono 

in violazione delle 

sue disposizioni» 

(Corte di Giustizia 26 settembre 

1996). Dunque, sotto quest’ultimo 

profilo, appare assai evidente l’impossibilità 

che la decisione contenente il 

nuovo Codice CER possa far sorgere 

obblighi di adeguamento dei codici o 

della classificazione dei rifiuti oggetto 

delle citate attività o, peggio ancora, 

obblighi di attivazione diretti a 

ottenere dalla pubblica amministrazione 

l’assenso alla continuazione 

delle attività in capo ai soggetti che 

effettuano recupero in esercizio (mediante 

il regime della comunicazione) 

in mancanza di una disciplina sta- 

[6] F. Pocar Lezioni di diritto delle comunità europee, Giuffrè. 

[7] «Solo la direttiva incondizionata e sufficientemente precisa produce i suoi effetti all’interno degli ordinamenti interni e (...) può 

essere invocata da un singolo ed applicata dal giudice allorché sancisce un obbligo in termini non equivoci» (Corte di Giustizia, 

23 febbraio 1994, causa C-236/92). «Le direttive ambientali e quelle sui rifiuti (91/156 e 91/689), non sono direttive 

autoapplicative», (Corte di Giustizia 26 settembre 1996, est. Kakouri). 


RIFIUTI 

Articolo 

tale che lo preveda espressamente. Si 

pensi alla (vietata) determinazione 

della responsabilità penale di coloro 

che proseguono le attività di recupero 

dei rifiuti in esercizio che discenderebbe 

dal considerare applicabile, dal 

1˚ gennaio 2002, ai titolari delle citate 

attività, la decisione contenente il 

nuovo codice CER. In particolare, accedendo 

a questa infelice interpretazione, 

si potrebbero 

considerare non più 

legittime le attività 

di recupero aventi a 

oggetto rifiuti che 

nel nuovo codice 

CER sono classificati 

come pericolosi 

(mentre in quello 

previgente erano 

considerati “non pericolosi”), 

in considerazione 

del fatto 

che, in carenza di 

norme tecniche, lo 

strumento della comunicazione 

per il 

recupero dei rifiuti 

pericolosi non è utilizzabile. Viene 

da chiedersi se il titolare di queste 

attività di recupero sia costretto ad 

attivarsi spontaneamente per richiedere 

e ottenere una formale autorizzazione 

al recupero dei rifiuti pericolosi, 

ai sensi dell’art. 28, D.Lgs. n. 

22/1997 e succ. modd., senza la cogenza 

della norma statale ma sulla 

sola base della decisione 

2000/532/CE e succ. modd., fissando 

anche i termini per la presentazione 

della domanda, come ha fatto l’art. 1, 

comma 15, legge n. 443/2001. La 

risposta del giurista, ovviamente, non 

può che essere negativa. 

L’ulteriore conseguenza che ne 

deriva è che la risposta alla domanda 

posta supra, cioè se, nel silenzio 

della “legge Lunardi”, anche le comunicazioni 

debbano essere rinnovate, 

deve essere 

negativa. Infatti, 

in mancanza di 

un provvedimento 

statale che fissa 

gli obblighi 

(in relazione al 

nuovo codice 

CER) di coloro 

che esercitano attività 

di gestione 

dei rifiuti in regime 

di comunicazione, 

nessun obbligo 

può essere 

direttamente imposto 

a questi 

operatori da una 

decisione comunitaria. Dunque, 

eventuali termini per l’adeguamento 

ai nuovi codici CER potranno 

essere imposti ai soggetti sopra citati, 

esclusivamente con un atto avente 

forza e valore di legge o con il 

tanto atteso decreto ministeriale. 

È chiara l’impossibilità 

di considerare la 

decisione istitutiva 

del nuovo CER come 

produttiva di effetti 

nei confronti degli 

Stati membri senza 

la necessità di 

provvedimenti statali 

di attuazione 

AMBIENTE 

La direttiva MinAmb 

In merito al lungamente atteso decreto 

di cui sopra, si può rilevare che 

il testo di questo provvedimento è stato 

recentemente “anticipato” dalla direttiva 

9 aprile 2002 del Ministero dell’Ambiente 

[8] , che ha stabilito, nel 

proprio punto 4 («D.M. 5 febbraio 

1998 “Individuazione dei rifiuti non 

pericolosi sottoposti alle procedure 

semplificate di recupero ai sensi degli 

artt. 31 e 33 del decreto legislativo 5 

febbraio 1997, n. 22») che «le comunicazioni 

relative ad attività di recupero 

in corso mantengono la propria 

validità ed efficacia fino alla scadenza 

desunta ai sensi dell’articolo 33 

comma 5 [9] del decreto legislativo 5 

febbraio 1997, n. 22». 

Dunque, il Governo non sembra 

intenzionato a imporre obblighi e termini 

di adeguamento ai nuovi codici 

CER a coloro che esercitano attività 

di gestione dei rifiuti in regime di 

comunicazione, se non dopo la scadenza 

della validità delle comunicazioni 

(e dunque nell’ambito dell’ordinario 

rinnovo), come prevista dal decreto 

“Ronchi”. 

Sulla direttiva, si può poi osservare 

che, se talvolta rappresenta la forma 

in cui si concretizza un atto di 

indirizzo e coordinamento dello Stato 

alle Regioni [10] , il contenuto specifico 

della direttiva 9 aprile 2002 induce a 

ritenere più probabile che si tratti di 

un mero suggerimento alle Regioni e 

agli enti locali [11] , nonostante il tentativo 

del Ministero dell’Ambiente di 

far derivare da un regolamento comunitario 

(il n. 2557/2001, direttamente 

applicabile nell’ordinamento degli 

[8] Si veda la nota 4. 

[9] Che detta: «La comunicazione di cui al comma 1» (cioè quella di inizio attività) «deve essere rinnovata ogni 5 anni e comunque 

in caso di modifica sostanziale delle operazioni di recupero». 

[10] Questa funzione, secondo la Corte Costituzionale (sentt. 6 febbraio 1991, n. 49 e 18 luglio 1991, n. 359) sarebbe svolta 

attraverso «atti caratterizzati da un contenuto tipizzato», ossia si esprimerebbe in un «potere di direttiva, consistente nella 

posizione di fini, di criteri o di standards». Su questa base, inoltre, viene escluso che sia ricondicibile all’indicata funzione un 

atto rivolto non alla «posizione di fini o di direttive di coordinamento», ma all’“attuazione” di una legge (come affermato nella 

prima sent. cit.). 

[11] Dispone, infatti, la direttiva 9 aprile 2002 che «la seguente direttiva è finalizzata a fornire indicazioni per la corretta e piena 

applicazione del regolamento della Commissione n. 2557/2001 sulle spedizioni dei rifiuti ed in relazione al nuovo Elenco dei 

rifiuti. Le indicazioni sono necessarie affinché ogni rifiuto fin dalla sua produzione ed in ogni successiva fase di gestione, 

incluso il trasporto, sia correttamente identificato con i codici del nuovo elenco dei rifiuti di cui alla decisione della 

Commissione 2000/532 modificata da ultimo con decisione 2001/573. Ciò in vista di una eventuale movimentazione dei rifiuti 

stessi soggetta al regolamento 2557/2001, la cui adozione ha effetti diretti sulla normativa vigente in materia di rifiuti in diversi 

punti». 


Stati membri) una maggiore forza vincolante 

anche alla direttiva citata. E 

nonostante alla volontà di suggerire 

seguano poi affermazioni imperative 

e che vorrebbero essere vincolanti, 

tanto che la direttiva si sbilancia ad 

abrogare e modificare atti aventi forza 

e valore di legge [12] (oltre ad alcuni 

decreti ministeriali), la cosa risulta 

giuridicamente impensabile oltre che 

impossibile, anche qualora si volesse 

considerare la direttiva in esame quale 

atto di indirizzo e coordinamento 

dello Stato alle Regioni. 

Volendo poi valutare l’opportunità 

della direttiva, è difficile capire 

perché il Governo abbia voluto limitarsi 

sommessamente a “suggerire”, 

quando potrebbe e dovrebbe governare 

le materie di propria competenza 

con atti vincolanti per le P.A. 

Tanto più che le questioni da chiarire, 

come sopra evidenziato, sono 

molto delicate e riguardano migliaia 

di operatori del settore rifiuti (che 

potrebbero essere coinvolti, loro 

malgrado, in infelici interpretazioni 

del diritto comunitario). 

La normativa regionale 

Alcune Regioni, di fronte alla apparente 

lacuna normativa della legge 

“Lunardi”, che sembrava lasciare 

priva di “copertura” giuridica le comunicazioni 

relative ad attività di 

recupero dei rifiuti i cui codici o la 

cui classificazione giuridica fossero 

mutati nell’ambito del nuovo codice 

CER (sull’erroneo presupposto, come 

già detto, che la decisione comunitaria 

che lo contiene sia, a partire 

dal 1˚ gennaio 2002, immediatamente 

produttiva di effetti giuridici per 

tutti i cittadini dell’Unione europea 

AMBIENTE 

e non solo per gli Stati), hanno approvato 

delibere tese ad affermare 

la piena legittimità della continuazione 

delle operazioni di recupero 

in esercizio. In questo senso si può 

menzionare la deliberazione della 

Giunta della Regione Lombardia, n. 

VII/ 7788 [13] . 

Questo provvedimento, preso atto 

che la decisione della Commissione 

delle Comunità europee n. 2001/ 

118/CE ha introdotto nuovi codici, 

eliminandone altri, nonché modifiche 

alla denominazione 

dei rifiuti e 

ha approvato «lo 

schema della domanda 

di autorizzazione 

alla prosecuzionedell’attività 

di recupero» 

e/o smaltimento 

di rifiuti, che i soggetti 

già autorizzati 

dovranno inoltrare 

agli enti competenti 

ai sensi 

del combinato disposto 

degli artt. 

1, comma 15, legge 

n. 443/2001 e 

28, D.Lgs. n. 22/1997, secondo i moduli 

di cui agli Allegati A, B e C, 

che costituiscono parte integrante 

del provvedimento stesso. 

In particolare, nell’allegato A di 

questa delibera, è esplicitamente previsto 

il caso in cui il legale rappresentante 

dell’impresa chiede «l’autorizzazione 

alla prosecuzione dell’attività 

di recupero, svolta ai sensi degli artt. 

31 e 33 del D.Lgs. 22/97». 

La deliberazione in esame considera 

legittima la prosecuzione del- 

Solo una nuova legge 

o regolamento 

governativo o 

ministeriale potranno 

fissare obblighi e tempi 

di adeguamento al 

nuovo codice CER in 

capo ai soggetti che oggi 

recuperano rifiuti con 

procedure semplificate 

RIFIUTI 

Articolo 

l’attività di recupero dei rifiuti che 

sono in esercizio grazie alla procedura 

semplificata (comunicazione) 

ex artt. 31 e 33, “decreto Ronchi” 

alla sola condizione che il legale 

rappresentante dell’impresa abbia 

chiesto «l’autorizzazione alla prosecuzione 

dell’attività di recupero, 

svolta ai sensi degli artt. 31 e 33 del 

D.Lgs. 22/ 1997» entro il termine 

dell’11 febbraio 2002. 

Il contenuto e la finalità del 

provvedimento regionale sono sicuramenteapprezzabili 

in quanto diretti 

a fornire una 

ulteriore tutela ai 

soggetti che effettuano 

il recupero 

dei rifiuti in regime 

di comunicazione 

e porli, 

quindi, al riparo 

da interpretazioni 

fuorvianti della 

decisione comunitaria. 

Anche se, 

per quanto sopra 

esposto, si potrebbe 

definire questa 

delibera perfino 

superflua, in quanto è assai evidente 

che questi soggetti non sono 

attualmente destinatari di alcun obbligo 

di aggiornamento al nuovo 

codice CER. 

Conclusioni 

In ragione di tutto quanto sopra 

precedentemente affermato, si può 

concludere che è assolutamente legittima 

la prosecuzione delle attività 

di recupero in esercizio, svolta ai 

sensi degli artt. 31 e 33, “decreto 

[12] Dispone, infatti, il punto 1, lettere c) e d), direttiva 9 aprile 2002 «Modifiche introdotte dalla normativa comunitaria al decreto 

legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 ed ai decreti ministeriali 141/98, 145/98, 148/98 e 219/2000» che «la Sezione A. 2 (catalogo 

europeo dei rifiuti) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 risulta soppressa. Ogni riferimento ai rifiuti pericolosi di cui 

alla normativa vigente si intende relativo ai rifiuti precisati con asterisco nell’elenco dei rifiuti di cui all’allegato A alla presente 

direttiva. 

D) L’allegato II del decreto ministeriale 11 marzo 1998, n. 141, l’allegato E del decreto ministeriale 1˚ aprile 1998, n. 145, 

l’allegato E del decreto ministeriale 1˚ aprile 1998, n. 148 risultano soppressi». 

[13] «Approvazione dello schema e delle modalità di presentazione dell’istanza di aggiornamento dell’autorizzazione all’esercizio 

delle operazioni di recupero e/o smaltimento dei rifiuti, ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, in adeguamento 

alla Decisione della Commissione delle Comunità europee n. 2001/118/CE del 16/1/2001 e successive modifiche ed 

integrazioni». 


RIFIUTI 

Articolo 

Ronchi”, anche per quelle tipologie 

di rifiuti che nel nuovo Codice CER 

vengono indicate con un codice diverso 

dal precedente o che hanno 

subìto un mutamento della classifi- 

AMBIENTE 

cazione giuridica, come il passaggio 

dalla categoria dei rifiuti non 

pericolosi a quella dei pericolosi. 

Solo una nuova legge o regolamento 

governativo o ministeriale potran- 

no fissare obblighi e tempi di adeguamento 

al nuovo codice CER in 

capo ai soggetti che oggi recuperano 

rifiuti in regime di procedura 

semplificata. l 

Circolare dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione 

dei rifiuti 6 febbraio 2002, prot. nn. 988/ALBO/SEG.PRES 

Sono pervenute al Comitato nazionale ulteriori richieste di chiarimento riguardanti le modalità di 

presentazione della domanda d’iscrizione ai sensi dell’articolo 1, comma 15, della legge 443/2001 da parte 

delle imprese che: 

a) alla data di entrata in vigore della legge 443/2001 sono iscritte nella categoria 4 (raccolta e trasporto 

di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da terzi) e tutti i rifiuti per i quali è stata rilasciata detta iscrizione 

vengono ad essere classificati pericolosi in base al nuovo elenco europeo dei rifiuti; 

b) alla data di entrata in vigore della legge 443/2001 sono iscritte nella categoria 4 (raccolta e trasporto 

di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da terzi) ed i rifiuti per i quali è stata rilasciata detta iscrizione in 

parte restano classificati non pericolosi ed in parte vengono ad essere classificati pericolosi in base al 

nuovo elenco europeo dei rifiuti. 

In relazione a dette fattispecie, il Comitato nazionale, nella seduta del 29 gennaio 2002, ha ritenuto di 

dover distinguere i casi in cui l’interessato è costretto o intende restare iscritto solo nella categoria 5, e 

quindi continuerà l’attività di raccolta e trasporto solo dei rifiuti che a seguito dell’entrata in vigore del 

nuovo elenco vengono ad essere classificati pericolosi, dal caso (che si può verificare nell’ipotesi di cui al 

punto b) in cui l’interessato intenda iscriversi nella categoria 5 per continuare a svolgere sia l’attività di 

raccolta e trasporto dei rifiuti che vengono ad essere classificati pericolosi, sia mantenere l’iscrizione nella 

categoria 4 per svolgere anche l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti oggetto dell’iscrizione medesima 

che continuano ad essere classificati non pericolosi anche dopo l’entrata in vigore del nuovo elenco 

europeo dei rifiuti. 

1. Nel caso in cui l’interessato non può conservare l’iscrizione nella categoria 4 (ipotesi sub a), perché 

tutti i rifiuti oggetto dell’iscrizione vengono ad essere classificati pericolosi, o decida di non conservare 

l’iscrizione nella categoria 4 perché (ipotesi sub b) non ritiene di continuare a svolgere l’attività di raccolta 

e trasporto dei rifiuti oggetto di detta iscrizione che continuano ad essere classificati non pericolosi, la 

domanda di cui all’articolo 1, comma 15, della legge 443/2001 potrà essere presentata nella forma della 

domanda di variazione della categoria di iscrizione oppure nella forma di nuova domanda di iscrizione. 

Ovviamente, la domanda di variazione o di nuova iscrizione potrà riguardare solo i rifiuti già inclusi 

nell’iscrizione nella categoria 4 di provenienza prima dell’entrata in vigore della legge 443/2201. 

1.1. Se l’interessato decide di presentare domanda di variazione dell’iscrizione per il passaggio nella 

categoria 5, l’iscrizione nella categoria 4 di provenienza conserverà efficacia solo ai fini dell’applicazione 

del regime transitorio stabilito dalla legge 443/2001 (cioè a dimostrazione del possesso del titolo per 

continuare a trasportare i rifiuti compresi nella categoria 4 di provenienza e di essere legittimato a tale 

attività in base alla domanda d’iscrizione presentata ai sensi della legge 443/2001). Nell’ipotesi sub b), la 

domanda di variazione dell’iscrizione dovrà contenere anche espressa richiesta di cancellazione di tutti i 

rifiuti non pericolosi che non subiscono cambiamento di classificazione inclusi nel provvedimento d’iscrizione 

nella categoria 4 di provenienza e dalla data di presentazione della domanda l’iscrizione non è più 

efficace per la raccolta e trasporto di tali rifiuti ma conserverà efficacia solo ai fini dell’applicazione del 

regime transitorio per la raccolta ed il trasporto di quei rifiuti inclusi nella stessa che vengono ad essere 

classificati pericolosi. 

La domanda di variazione dell’iscrizione nella categoria 5 dovrà, inoltre, essere accompagnata da 

apposita appendice alla fideiussione in essere, con adeguamento dell’importo garantito coerente con la 

nuova categoria e classe d’iscrizione ai sensi dell’articolo 4, comma 4, del D.M. 8 ottobre 1996, modificato 

con D.M. 23 aprile 1999. L’iscrizione e la fideiussione integrata con l’appendice conservano efficacia fino al 

termine di scadenza previsto per l’originaria iscrizione nella categoria 4 e relativa fideiussione. 


AMBIENTE 

RIFIUTI 

Articolo 

1.2. Se, invece, l’interessato decide di presentare domanda di nuova iscrizione, la stessa dovrà essere 

accompagnata dallla contestuale richiesta di cancellazione dell’iscrizione nella categoria 4. 

La cancellazione dell’iscrizione nella categoria 4 ha effetto immediato e l’interessato non può più 

svolgere l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti non pericolsi inclusi nel provvedimento d’iscrizione in 

detta categoria che continuano ad essere classificati non pericolosi. Tale iscrizione conserverà efficacia 

solo ai fini dell’applicazione del regime transitorio come sopra specificato. In tal caso, fermo restando il 

permanere dei vincoli relativi alla fideiussione prestata per la categoria 4 ai sensi del D.M. 8 ottobre 1996, 

modificato con D.M. 23 aprile 1999, l’interessato dovrà prestare una nuova fideiussione per tutto il 

periodo di efficacia della nuova iscrizione nella categoria 5, oltre i due ulteriori anni di garanzia previsti 

dalla disciplina vigente. 

2. Nel caso in cui l’interessato intenda sia iscriversi nella categoria 5 per continuare a svolgere l’attività 

di raccolta e trasporto dei rifiuti che vengono ad essere classificati pericolosi, sia mantenere l’iscrizione 

nella categoria 4 per svolgere anche l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti oggetto dell’iscrizione 

medesima che continuano ad essere classificati non pericolosi, la domanda d’iscrizione nella categoria 5 

deve contenere anche richiesta di cancellazione dei rifiuti compresi nella categoria 4 che vengono ad 

essere classificati pericolosi e deve essere accompagnata dalla relativa fideiussione. 

3. Il Comitato nazionale, nella medesima seduta del 29 gennaio 2002, ha specificato che, al fine di 

consentire adeguati controlli, l’interessato dovrà tenere a bordo dei mezzi di trasporto, unitamente alla 

copia autentica del provvedimento d’iscrizione nella categoria di provenienza, copia della domanda di 

iscrizione o di variazione presentata ai sensi dell’articolo 1, comma 15, della legge 443/2001 nonché copia 

autentica dell’attestazione della Sezione regionale dalla quale risulti che l’interessato ha presentato nei 

termini di legge la domanda di iscrizione o di variazione nella categoria 5 con contestuale perdita di 

efficacia dell’iscrizione nella categoria di provenienza oppure con conferma dell’iscrizione nella categoria 

di provenienza. 


RIFIUTI 

Commento 

La misura in un documento del dipartimento delle politiche fiscali e in una nota della DRE Puglia 

Per la rateizzazione dei pagamenti TARSU 

carta bianca ai comuni su numero e periodicità 

di Luigi Lovecchio, dottore commercialista 

In merito alla riscossione dei 

pagamenti TARSU, il comune 

ha la possibilità non solo di deliberare 

la periodicità delle scadenze, 

alla luce dell’art. 32, 

D.Lgs. n. 46/1999, ma anche il 

numero delle stesse, ai sensi 

dell’art. 72, comma 3, D.Lgs. n. 

507/199. A ulteriore conferma, 

su quest’ultimo punto è intervenuto 

il Dipartimento delle 

politiche fiscali del Ministero 

delle Finanze con la lettera circolare 

25 giugno 2001, prot. 

17132, ripresa, successivamente, 

nella lettera circolare della 

Direzione regionale delle Entrate 

della Regione Puglia 24 

luglio 2001, prot. 37410. Dal 

confronto delle due pronunce 

deriva, addirittura, la facoltà 

del funzionario responsabile di 

decidere la riduzione delle scadenze 

nell'ambito dello spazio 

di manovra concesso dal regolamento 

comunale approvato. 

AMBIENTE 

La Direzione Regionale delle 

Entrate (oggi Direzione Regionale 

dell’Agenzia delle Entrate) 

per la Puglia, con una risalente 

lettera circolare, supportata 

da conforme parere espresso dal 

Dipartimento delle politiche fiscali, 

fornisce utili chiarimenti ai comuni 

in ordine alla possibilità di 

ridurre il numero di rate di riscossione 

della TARSU. La vicenda 

prende le mosse dall’articolo 72, 

comma 3, D.Lgs. n. 507/1993 «Revisione 

ed armonizzazione dell’imposta 

comunale sulla pubblicità e 

del diritto sulle pubbliche affissioni, 

della tassa per l’occupazione 

di spazi ed aree pubbliche dei comuni 

e delle province nonché della 

tassa per lo smaltimento dei 

rifiuti solidi urbani a norma dell’art. 

4 della legge 23 ottobre 

1992, n. 421, concernente il riordino 

della finanza territoriale» (in 

S.O. n. 108 alla Gazzetta Ufficiale 

del 9 dicembre 1993, n. 288), a 

mente del quale la riscossione ordinaria 

della tassa avviene in quattro 

rate bimestrali, con possibilità di 

riduzione a due, previa autorizzazione 

dell’ex Intendenza di Finanza, 

oggi Direzione Regionale per 

le Entrate. Con l’art. 52, D. Lgs. 

446/1997 «Istituzione dell’imposta 

regionale sulle attività produttive, 

revisione degli scaglioni, delle 

aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF 

e istituzione di una addizionale 

regionale a tale imposta 

nonché riordino della disciplina 

dei tributi locali» (in S.O. n. 252 

alla Gazzetta Ufficiale del 23 dicembre 

1997, n. 298), gli enti loca- 

li sono stati dotati di ampi poteri 

regolamentari in ordine alla disciplina 

delle entrate proprie, potendo 

intervenire su qualsiasi aspetto, 

con la sola eccezione dei soggetti 

passivi, della fattispecie imponibile 

e dell’aliquota massima. È apparso 

subito evidente, dunque, 

l’avvenuto superamento di qualsiasi 

attribuzione delle Direzioni Regionali 

delle Entrate in materia di 

tributi locali, proprio alla luce delle 

incisive potestà autonomistiche 

assicurate dalla legge a Comuni e 

Province. Da qui l’esigenza di individuare 

l’organo competente a stabilire 

la riduzione delle rate, in 

presenza del mutato assetto legislativo. 

La risposta del Ministero delle 

Finanze, prima, e della DRE per 

la Regione Puglia, poi, pur nella 

sinteticità delle espressioni letterali 

utilizzate, sembra designare un 

duplice ordine di competenze, secondo 

la seguente scansione procedimentale: 

l innanzitutto, occorre che il regolamento 

adottato a monte dal comune 

preveda la possibilità della 

riduzione del numero di rate di 

pagamento della TARSU a due o 

a tre; 

l conseguentemente, sarà il funzionario 

responsabile che, alla luce 

delle obiettive e comprovate esigenze 

finanziarie dell’ente, deciderà 

per la riduzione delle scadenze, 

determinandone concretamente 

il numero, nell’ambito dello 

spazio di manovra concesso 

dal regolamento. 

Non è superfluo notare, infine, 

che la disciplina di legge è cambiata 

per effetto del D.Lgs. n. 


193/2001 «Disposizioni integrative 

e correttive dei decreti legislativi 

26 febbraio 1999, n. 46, e 13 

aprile 1999, n. 112, in materia di 

riordino della disciplina relativa 

alla riscossione» (in Gazzetta Ufficiale 

del 25 maggio 2001, n. 120 ), 

che ha sostituito l’art. 32, D.Lgs. 

Lettera circolare del Dipartimento delle Politiche Fiscali - 

Capo del Dipartimento delle Politiche Fiscali 25 giugno 2001, prot. 17132 

Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Ufficio competente a concedere l’autorizzazione 

a rateizzare l’importo del ruolo (Rif. n. 2000/55779 del 10 ottobre 2000) 

Sintesi: Il Dipartimento Politiche fiscali - Ufficio 

federalismo fiscale, individua l’Ufficio competente a 

rateizzare l’importo del ruolo. 

Testo: In riferimento alla nota sopradistinta si concorda 

con il parere espresso da codesta Direzione Regionale 

rispetto al quesito in oggetto specificato. 

Infatti, si deve ritenere che il funzionario responsabile 

della gestione del tributo, proprio in quanto tale, sia 

competente non solo ad apporre il visto di esecutività 

Sintesi: Trattasi di nota della Direzione regionale entrate 

della Puglia che chiarisce quale sia l’Ufficio competente 

a concedere l’autorizzazione alla rateizzazione degli importi, 

relativi alla TARSU, iscritti a ruolo. 

Testo: Alcuni Comuni della regione hanno inoltrato a 

questa Direzione Regionale richieste in ordine all’individuazione 

dell’Ufficio competente ad autorizzare la rateizzazione 

del ruolo, relativo alla TARSU, in due o tre rate. 

In merito, l’art. 72, III comma, del D.L.gs 

15/11/1993, n. 507, stabilisce la riscossione in quattro 

rate bimestrali consecutive degli importi relativi alla 

TARSU «... riducibili a due rate su autorizzazzione 

dell’intendente di finanza». 

L’art. 52, V comma lettera d), del D.Lgs 15/12/1997, 

n. 446, dispone, invece, che «il visto di esecutività sui 

ruoli per la riscossione dei tributi e delle altre entrate è 

AMBIENTE 

n. 46/1999, relativo alla riscossione 

volontaria tramite ruolo, sostanzialmente 

liberalizzando non il numero 

delle rate, ma la cadenza 

(mensile, bimestrale, ecc.) delle 

stesse. Pertanto, il comune ha attualmente 

la possibilità non solo di 

deliberare il numero delle scaden- 

RIFIUTI 

Commento 

ze di pagamento della TARSU, ai 

sensi dell’art. 72, comma 3, D.Lgs. 

n. 507/1993, così come interpretato 

dal Ministero delle Finanze nella 

lettera circolare in commento, 

ma anche la periodicità delle stesse, 

alla luce del novellato art. 32, 

D.Lgs. n. 46/1999. 

sul ruolo, ai sensi dell’art. 52, comma 5, lett. d) del 

D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ma anche ad autorizzare 

la rateazione dell’importo della riscossione del 

ruolo stesso. 

Tale convincimento è altresì avvalorato, come correttamente 

evidenziato da codesta Direzione Regionale, 

dall’ampio potere regolamentare attribuito agli enti locali 

dal citato art. 52, che consente di disciplinare anche le 

modalità di riscossione dei tributi. 

Lettera circolare Direzione Regionale delle Entrate Puglia 24 luglio 2001, prot. 37410 

Tassa smaltimento rifiuti solidi urbani (TARSU). Possibilità di rateizzare il ruolo in 2 o 3 rate. 

Ufficio Competente a concedere l’autorizzazione. Chiarimenti 

apposto, in ogni caso, dal funzionario designato quale 

responsabile della relativa gestione». 

Dalla lettura combinata dei succitati articoli si rileva 

che l’autorizzazione di cui trattasi non sia più di competenza 

di questa Direzione, proprio in virtù dell’ampio 

potere regolamentare attribuito, agli Enti Locali, dal 

citato art. 52, che consente loro di regolamentare anche 

le modalità di riscossione. 

Pertanto, la Scrivente ritiene che sarà lo stesso Ente 

Locale, qualora lo ritenga necessario, a prevedere la 

possibilità di riscuotere in due o tre rate i ruoli TARSU, 

con l’approvazione di apposito regolamento. 

Tale interpretazione ha trovato conforto anche presso 

il Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento 

per le Politiche Fiscali - Ufficio Federalismo 

Fiscale, giusta nota del 25.06.2001 prot. 17132/01/ 

DPF/UFF. l 


RUMORE 

Articolo 

Le misure nel D.Lgs. n. 262/2002, di recepimento della direttiva 2000/14/CE 

Emissioni acustiche più contro late 

per macchine e a trezzature destinate a l’aperto 

di Giulio Benedetti, magistrato 

Con il decreto legislativo 4 settembre 

2002, n. 262, è stata attuata 

la direttiva 2000/14/CE 

«concernente l’emissione acustica 

ambientale delle macchine 

ed attrezzature destinate a 

funzionare all’aperto». Molte 

le novità, a partire dalle regole 

per la messa in commercio che 

comportano anche profili di responsabilità 

civile per il venditore, 

mentre sanzioni penali sono 

ravvisabili, anche ai sensi 

del D.Lgs. n. 626/1994, per chi 

fabbrica, vende, noleggia e 

concede in uso macchine, attrezzature 

di lavoro e impianti 

non rispondenti alle disposizioni 

legislative e regolamentari 

vigenti in materia di sicurezza. 

I controlli sono affidati all’APAT 

e, in caso di accertamento 

di non conformità, al 

Ministero dell’Ambiente e della 

Tutela del territorio. Lo stesso 

dicastero, insieme al Ministero 

delle Attività produttive, 

può abilitare organismi di certificazione 

alla valutazione di 

conformità delle attività preliminari 

alla messa in vendita. 

L’ Unione 

AMBIENTE 

Il testo integrale del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 262 «Attuazione 

della direttiva 2000/14/CE concernente l’emissione acustica 

ambientale delle macchine ed attrezzature destinate a funzionare 

all’aperto» verrà pubblicato, unitamente ad altri commenti, 

sui prossimi numeri di Ambiente&Sicurezza 

europea assicura, 

con la marcatura CE, l’introduzione 

di elevati para- 

metri di sicurezza a garanzia del 

consumatore e dei lavoratori nell’utilizzazione 

dei prodotti tecnologici 

e delle attrezzature che possono 

rappresentare fonte di pericolo 

per la pubblica incolumità. Invero, 

il trattato istitutivo della Comunità 

Europea (legge 14 ottobre 1957, 

n. 1203) [1] stabilisce (art. 100) che 

il Consiglio «stabilisce direttive 

volte al ravvicinamento delle disposizioni 

legislative, regolamentari 

ed amministrative degli Stati 

membri che abbiano un’incidenza 

diretta sull’instaurazione o sul funzionamento 

del mercato comune». 

Materie dell’intervento comunitario 

sono: 

l la protezione dei consumatori, la 

loro sicurezza nonché la garanzia di 

una loro informazione adeguata 

(art. 129 A); 

l la salvaguardia, la tutela e il 

miglioramento della qualità dell’ambiente, 

la protezione della salute 

umana, l’utilizzazione accorta 

e razionale delle risorse naturali e 

la promozione sul piano interna- 

zionale di misure destinate a risolvere 

i problemi dell’ambiente a 

livello regionale o mondiale (art. 

130 R). 

Inoltre, l’art. 47, legge 6 febbraio 

1996, n. 52 [2] , attuativa nel nostro 

ordinamento di obblighi derivanti 

dall’appartenenza dell’Italia 

alla Comunità europea, sancisce il 

principio per cui le spese relative 

alla procedura di certificazione 

e/o attestazione per l’apposizione 

della marcatura CE, previste dalla 

normativa comunitaria, sono a carico 

del fabbricante o del suo rappresentante 

stabilito nell’Unione 

europea. 

Il D.Lgs. n. 262/2002 

Alla luce di queste premesse di 

diritto comunitario, si comprende 

che la cultura della sicurezza ha 

ottenuto un significativo incremento 

nel D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 

262 «Attuazione della direttiva 

2000/14/CE concernente l’emissione 

acustica ambientale delle macchine 

ed attrezzature destinate a 

funzionare all’aperto» (pubblicato 

nel S.O. n. 214 alla Gazzetta Ufficiale 

del 20 novembre 2002, n. 

[1] «Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi internazionali firmati a Roma il 25 marzo 1957: a) Trattato che istituisce la 

Comunità economica europea dell’energia atomica ed atti allegati; b) Trattato che istituisce la Comunità economica europea ed 

atti allegati; c) Convenzione relativa ad alcune istituzioni comuni alle Comunità europee» (in Gazzetta Ufficiale del 23 dicembre 

1957, n. 317). 

[2] È la legge Comunitaria 1994 (in S.O. n. 24 alla Gazzetta Ufficiale del 10 febbraio 1996, n. 34). 


272), che recepisce la direttiva 

2000/14/CE del Parlamento europeo 

e del Consiglio dell’8 maggio 

2000 [3] sul ravvicinamento delle 

legislazioni degli Stati membri 

concernenti l’emissione acustica 

ambientale delle macchine e attrezzature 

destinate a funzionare all’aperto 

e finalizzato a garantire la 

salute e il benessere delle persone 

e l’ambiente. 

Campo di applicazione 

Il provvedimento, che si applica 

solo alle macchine immesse in 

commercio o messe in servizio 

come unità complete per l’uso 

previsto a decorrere dall’entrata 

in vigore del decreto legislativo 

stesso, disciplina (art. 1) i valori 

di emissione acustica e le procedure 

di valutazione della conformità 

delle macchine e delle attrezzature 

contemplate nel D.P.R. 24 

luglio 1996, n. 459 [4] , e che siano 

destinate al funzionamento all’aperto 

e contribuiscano all’esposizione 

al rumore ambientale 

(art. 2). In questa definizione 

rientrano anche le macchine e le 

attrezzature che non siano poste 

direttamente all’aperto ma in luoghi 

che non influiscono sulla trasmissione 

del suono, vale a dire 

all’interno di strutture aperte degli 

edifici oppure sotto tendoni o 

tettoie di riparo. Dalla nuova disciplina 

sono escluse: 

l le macchine destinate al trasporto 

di merci o di passeggeri su strada, 

rotaia, per via aerea o per via 

navigabile; 

l le macchine progettate e costruite 

specificamente a fini militari e 

di polizia e per i servizi di emergenza; 

l gli accessori privi di motore delle 

macchine e attrezzature destinate 

a funzionare all’aperto, immes- 

AMBIENTE 

si in commercio o messi in servizio 

separatamente, a eccezione dei 

martelli demolitori tenuti a mano 

e dei martelli demolitori idraulici. 

Messa in commercio 

Il fabbricante o il mandatario 

possono immettere in commercio 

(art. 3) le macchi- 

ne e le attrezzature 

sopra descritte 

solo allorquando 

le stesse: 

l soddisfino i requisiti 

di emissione 

acustica previsti 

dal D.Lgs. n. 

262/2002; 

l siano state sottoposte 

alle procedure 

di valutazione 

di conformità 

citate all’articolo 

11; 

l rechino la dichiarazione 

di 

conformità e la marcatura CE nonché 

l’indicazione del livello di potenza 

sonora garantita. 

Responsabilità del venditore 

Occorre notare che per le macchine 

non conformi alle disposizioni 

del D.Lgs. n. 262/2002 è esclusivamente 

consentita l’esposizione 

in fiere, mostre e dimostrazioni, 

a condizione che sia chiaramente 

indicata la loro non conformità 

e che le stesse non possono essere 

immesse in commercio quantomeno 

fino a che non siano state rese 

conformi ai requisiti e purché nelle 

dimostrazioni siano adottate misure 

di sicurezza adeguate a garantire 

la protezione delle persone. A 

questo riguardo, deve rilevarsi che 

il D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 24 [5] , 

il quale costituisce l’attuazione 

della direttiva 1999/44/CE su talu- 

Esiste una particolare 

ed evidente 

responsabilità, 

che consiste nella 

violazione del divieto 

di commercializzazione 

di una macchina o 

un’attrezzatura non 

rispondente alle norme 

del D.Lgs. n. 262/2002 

RUMORE 

Articolo 

ni aspetti della vendita e delle garanzie 

di consumo, introduce una 

nuova formulazione dell’articolo 

1519-ter, c.c., in relazione alla 

conformità del bene venduto al 

contratto e afferma che il difetto 

di conformità che deriva dall’imperfetta 

installazione del bene di 

consumo è equiparata 

al difetto 

di conformità 

dello stesso, 

quando l’installazione 

sia compresa 

nel contratto 

di vendita e sia 

stata effettuata 

dal venditore o 

sotto la sua responsabilità. 

Da quanto premesso 

consegue 

una particolare 

ed evidente responsabilità, 

che 

consiste nella 

violazione del divieto di commercializzazione 

di un bene assolutamente 

invendibile, da parte di chi 

abbia venduto e installato presso 

il cliente una macchina o un’attrezzatura 

non rispondente alle 

norme del D.Lgs n. 262/2002. Invero, 

queste ultime costituiscono 

le regole dell’arte a cui il debitore 

deve attenersi, secondo quanto disposto 

dall’articolo 1176, comma 

2, c.c., per adempiere all’obbligazione 

avente a oggetto lo svolgimento 

di un’attività professionale. 

Il creditore insoddisfatto, ai 

sensi dell’articolo 2224, c.c., se il 

debitore non procede all’esecuzione 

del contratto secondo le predette 

regole dell’arte, può fissare un 

congruo termine entro il quale il 

prestatore d’opera deve conformarsi 

a queste condizioni e, trascorso 

inutilmente il termine, può 

[3] In G.U.C.E. L del 3 luglio 2000, n. 162. 

[4] «Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento 

delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine» (in S.O. n. 146 alla Gazzetta Ufficiale del 6 settembre 1996, n. 

209). 


RUMORE 

Articolo 

recedere dal contratto, salvo il diritto 

al risarcimento dei danni. 

In ogni caso (art. 5) sono considerati 

conformi alle disposizioni 

del D.Lgs. n. 262/2002 (e quindi 

alle regole dell’arte) le macchine 

e le attrezzature recanti la marcatura 

CE, l’indicazione del livello di 

potenza sonora garantito e accompagnato 

dalla dichiarazione CE di 

conformità. 

Vigilanza 

La vigilanza (art. 4) è affidata 

all’Agenzia nazionale per la protezione 

dell’ambiente (oggi APAT) 

e, qualora siano accertate delle 

non conformità delle macchine e 

della attrezzature alle norme del 

D.Lgs. n. 262/2002, il Ministero 

dell’Ambiente e della Tutela del 

territorio, per iscritto, intima (art. 

6) al fabbricante o al mandatario 

di adottare, entro trenta giorni dal 

ricevimento della comunicazione, 

le misure necessarie per renderle 

conformi unitamente a tutti gli 

esemplari dello stesso tipo già immessi 

in commercio o messi in 

servizio. In caso di inottemperanza 

alla prescrizione predetta, il Ministero 

dell’Ambiente vieta temporaneamente 

l’immissione in commercio 

o la messa in servizio di 

tutti gli esemplari non conformi e 

ordina il ritiro temporaneo di tutti 

gli esemplari già immessi in commercio 

o messi in servizio a cura 

e spese del fabbricante o del mandatario. 

Questi provvedimenti sanzionatori 

sono immediatamente 

comunicati dal Ministero dell’Ambiente 

e della Tutela del territorio 

alla Commissione europea e alle 

autorità competenti degli altri Stati 

membri; inoltre, a seguito delle 

consultazioni avviate dalla Commissione 

europea con i soggetti 

interessati, ai sensi dell’ articolo 

AMBIENTE 

9, direttiva 2000/14/CE, i provvedimenti 

amministrativi sopra citati 

possono essere confermati, modificati 

o revocati. Inoltre, il Ministero 

dell’Ambiente e del Territorio 

comunica i predetti provvedimenti 

ai Ministeri delle Attività 

produttive e del Lavoro e delle 

Politiche sociali. Ogni misura amministrativa 

(art. 7) che limiti 

l’immissione in commercio o la 

messa in servizio delle macchine 

e attrezzature previste dal D.Lgs. 

n. 262/2002, deve, secondo quanto 

disposto dall’articolo 3, legge 7 

agosto 1990, n. 241 [6] , indicare i 

presupposti di fatto e le ragioni 

giuridiche che hanno determinato 

le decisioni amministrative; pertanto, 

il provvedimento è comunicato 

immediatamente alla parte interessata, 

con l’indicazione del termine 

e dell’autorità presso cui proporre 

ricorso. 

Una sintesi di quanto sopra è 

riportata in figura 1. 

Documentazione e marcatura 

Tutti gli esemplari delle macchine 

e delle attrezzature citate 

dal D.Lgs. n. 262/2002 devono essere 

accompagnate (art. 8) dalla 

dichiarazione CE di conformità, 

contenente le indicazioni dell’Allegato 

II, redatta a cura del fabbricante 

o del suo mandatario, anche 

in più lingue ufficiali della Comunità, 

purchè una di esse sia in italiano. 

Inoltre, una copia della dichiarazione 

Ce di conformità e della 

documentazione tecnica di riferimento 

(Allegato V, punto 3; Allegato 

VI, punto 3; Allegato VII, 

punto 2; Allegato VIII, punti 3.1 e 

3.3.), deve essere conservata dal 

fabbricante o dal suo mandatario 

per dieci anni dalla data di fabbricazione 

dell’ultimo esemplare della 

macchina e dell’attrezzatura al- 

la quale si riferisce. Infine, le macchine 

o le attrezzature immesse in 

commercio o in servizio devono 

(art. 9) recare, in modo visibile, 

leggibile e indelebile, la marcatura 

CE di conformità e l’indicazione 

del livello di potenza sonora 

garantito (Allegato IV). In ogni 

caso, è vietata l’apposizione su 

questi prodotti di marchi o iscrizioni 

che possano trarre in inganno 

in merito al significato o al 

simbolo grafico della marcatura 

CE o l’indicazione del livello sonoro 

garantito. Possono essere, tuttavia, 

apposti altri marchi purché 

non pregiudichino la visibilità e la 

leggibilità dei predetti elementi. 

Infatti la marcatura CE indica che 

questi prodotti soddisfano anche i 

requisiti previsti da altra normativa 

che, per differenti aspetti, stabilisce 

l’obbligo di marcatura. Comunque, 

il livello di potenza sonora 

garantito dalle macchine o dalle 

attrezzature (art. 10) non può superare 

i valori limite di emissione 

acustica stabilito (Allegato I, parte 

b). 

Attività preliminari 

alla commercializzazione 

Costituiscono attività preliminari 

(art. 11) che il fabbricante o il 

mandatario debbono compiere prima 

di mettere in commercio o in 

servizio le macchine o le attrezzature 

citate dal D.Lgs n. 262/2002: 

l la procedura di controllo interno 

della produzione con valutazione 

della documentazione tecnica e 

controlli previsti dall’Allegato VI; 

l la procedura di verifica dell’esemplare 

unico previsto dall’Allegato 

VII; 

l la procedura di qualità totale prevista 

dall’allegato VIII. 

Il fabbricante o il mandatario 

devono fornire, a seguito di richie- 

[5] «Attuazione della direttiva 1999/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie di consumo» (in S.O. n. 40 alla Gazzetta 

Ufficiale dell’8 marzo 2002, n. 57). 

[6] «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi» (in Gazzetta 

Ufficiale del 18 agosto 1990, n. 192). 


sta motivata, alla Commissione 

europea e agli altri Stati membr, 

tutte le informazioni utilizzate nell’ambito 

della procedura di valutazione 

della conformità per un dato 

tipo di macchine e di attrezzatura 

e, in particolare, la documentazione 

tecnica (prevista dall’Allegato 

V, punto 3, dall’Allegato VI, 

punto 3, dall’Allegato VII, punto 

2, dall’Allegato VIII, punti 3.1 e 

3.3). 

Valutazione di conformità 

La procedura di valutazione di 

conformità citata dall’articolo 11 

può essere effettuata (art. 12) dagli 

organismi di certificazione che abbiano 

inoltrato istanza al Ministero 

dell’Ambiente e della Tutela 

AMBIENTE 

Procedure di controllo 

del territorio e siano stati autorizzati 

da questo dicastero con un decreto 

emesso di concerto con il Ministero 

delle Attività produttive, previa 

verifica del possesso dei requisiti 

prescritti, per un periodo quinquennale 

salvo proroga. L’istanza 

di abilitazione deve essere accolta 

entro novanta giorni dal ricevimento 

della domanda; decorso inutilmente 

questo termine, l’istanza si 

intende rifiutata. In ogni caso, l’autorizzazione 

è revocata all’organismo 

di certificazione qualora il Ministero 


del territorio accerti la sopravvenuta 

mancanza dei requisiti prescritti 

o vengano accertate gravi e 

reiterate irregolarità da parte dell’organismo 

stesso. 

RUMORE 

Articolo 

Una sintesi di quanto sopra è 

riportata in figura 2. 

Profili penali 

Infine, deve rilevarsi che la violazione 

delle norme previste dal 

D.Lgs. n. 262/2002 può assumere 

rilevanza penale poiché l’articolo 

6, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994, 

vieta la fabbricazione, la vendita, 

il noleggio e la concessione in uso 

di macchine, di attrezzature di lavoro 

e di impiant\i non rispondenti 

alle disposizioni legislative e regolamentari 

vigenti in materia di 

sicurezza, mentre l’articolo 91, 

D.Lgs. n. 626/1994, sanziona questa 

condotta con l’arresto fino a 

sei mesi o con l’ammenda da euro 

7.746 a euro 30.987. l 

[7] «Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 

90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42, 98/24 e 99/38 riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei 

lavoratori durante il lavoro» (in Gazzetta Ufficiale del 12 novembre 1994, n. 265). 


CAMPO 

DI 

APPLICAZIONE 

RUMORE 

Articolo 

AMBIENTE 

Richiesta di abilitazione all’esercizio della procedura 

di valutazione di conformit 

Tutte le novità del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 262 

TABELLA 1 

I valori di emissione acustica e le procedure di valutazione della conformità delle: 

l macchine immesse in commercio o messe in servizio come unità complete per l’uso 

previsto a decorrere dall’entrata in vigore del decreto legislativo stesso e delle attrezzature 

contemplate nel D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459, che siano destinate al funzionamento 

all’aperto e contribuiscano all’esposizione al rumore ambientale; 

l macchine e attrezzature che non siano poste direttamente all’aperto ma in luoghi che 

non influiscono sulla trasmissione del suono, vale a dire all’interno di strutture aperte degli 

edifici oppure sotto tendoni o tettoie di riparo. 

ESCLUSIONI l le macchine destinate al trasporto di merci o di passeggeri su strada, rotaia, per via aerea 

o per via navigabile; 

l le macchine progettate e costruite specificamente a fini militari e di polizia e per i servizi 

di emergenza; 

l gli accessori privi di motore delle macchine e attrezzature destinate a funzionare 

all’aperto immessi in commercio o messi in servizio separatamente, a eccezione dei martelli 

demolitori tenuti a mano e dei martelli demolitori idraulici. 


MESSA 

IN COMMERCIO 

SOGGETTI 

PREPOSTI 

AI CONTROLLI 

AMBIENTE 

RUMORE 

Articolo 

Le macchine e le attrezzature possono essere messe in commercio allorquando: 

l soddisfino i requisiti di emissione acustica previsti dal D.Lgs. n. 262/2002; 

l siano state sottoposte alle procedure di valutazione di conformità citate all’articolo 11; 

l rechino la dichiarazione di conformità e la marcatura CE nonché l’indicazione del livello 

di potenza sonora garantita. 

Per le macchine non conformi alle disposizioni del nuovo decreto legislativo è esclusivamente 

consentita l’esposizione in fiere, mostre e dimostrazioni, a condizione che sia chiaramente 

indicata la loro non conformità e che le stesse non possono essere immesse in commercio 

almeno fino a che non siano state rese conformi ai requisiti e purché nelle dimostrazioni 

siano adottate misure di sicurezza adeguate a garantire la protezione delle persone. 

l Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (oggi APAT); 

l Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio che, qualora siano accertate delle 

non conformità delle macchine e della attrezzature alle norme del D.Lgs. n. 262/2002, 

intima per iscritto, al fabbricante o al mandatario, di adottare le misure necessarie per 

renderle conformi unitamente a tutti gli esemplari dello stesso tipo già immessi in commercio 

o messi in servizio, 

l la verifica della conformità alle nuove misure, può essere effettuata dagli organismi di 

certificazione che abbiano inoltrato istanza al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del 

territorio e siano stati autorizzati dallo stesso dicastero con un decreto emesso di concerto 

con il Ministero delle Attività produttive, previa verifica del possesso dei requisiti prescritti, 

per un periodo quinquennale salvo proroga. 

OBBLIGHI l tutti gli esemplari delle macchine e delle attrezzature citate dal D.Lgs. n. 262/2002 

devono essere accompagnate dalla dichiarazione CE di conformità; 

l una copia della dichiarazione Ce di conformità e della documentazione tecnica di 

riferimento deve essere conservata dal fabbricante o dal suo mandatario per dieci anni 

dalla data di fabbricazione dell’ultimo esemplare della macchina e dell’attrezzatura alla 

quale si riferisce; 

l le macchine o le attrezzature immesse in commercio o in servizio devono recare in modo 

visibile, leggibile e indelebile la marcatura CE di conformità e l’indicazione del livello di 

potenza sonora garantito; 

l prima della messa in commercio delle macchine, il fabbricante o il mandatario devono: 

- espletare la procedura di controllo interno della produzione con valutazione della 

documentazione tecnica e controlli previsti dall’Allegato VI; 

- espletare la procedura di verifica dell’esemplare unico previsto dall’Allegato VII; 

- espletare la procedura di qualità totale prevista dall’allegato VIII; 

- fornire, a seguito di richiesta motivata, alla Commissione europea e agli altri Stati membri, 

tutte le informazioni utilizzate nell’ambito della procedura di valutazione della conformità 

e, in particolare, la documentazione tecnica. 

DIVIETI l è vietata l’apposizione su questi prodotti di marchi o iscrizioni che possano trarre in 

inganno in merito al significato o al simbolo grafico della marcatura CE o l’indicazione del 

livello sonoro garantito. Possono essere, tuttavia, apposti altri marchi purché non pregiudichino 

la visibilità e la leggibilità dei predetti elementi; 

l comunque, il livello di potenza sonora garantito dalle macchine o dalle attrezzature non 

può superare i valori limite di emissione acustica stabilito; 

l dall’analisi della recente legislazione in materia di vendita e garanzie di consumo deriva 

una particolare ed evidente responsabilità, che consiste nella violazione del divieto di 

commercializzazione di un bene assolutamente invendibile, da parte di chi abbia venduto e 

installato presso il cliente una macchina o un’attrezzatura non rispondente alle norme del 

D.Lgs. n. 262/2002. 

SANZIONI l in caso di inottemperanza alle nuove prescrizioni, il Ministero dell’Ambiente vieta 

temporaneamente l’immissione in commercio o la messa in servizio di tutti gli esemplari 

non conformi e ordina il ritiro temporaneo di tutti gli esemplari già immessi in commercio o 

messi in servizio a cura e spese del fabbricante o del mandatario; 

l eventuali profili di responsabilità penale derivano dal D.Lgs. n. 626/1994 che, all’articolo 

6, comma 2, vieta la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di 

macchine, di attrezzature di lavoro e di impianti non rispondenti alle disposizioni legislative 

e regolamentari vigenti in materia di sicurezza, mentre all’articolo 91, sanziona questa 

condotta con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da euro 7.746 a euro 30.987. 


VIA 

Articolo 

di Elisabetta Mariotti, professore incaricato di diritto amministrativo e dell’ambiente 

presso il Politecnico di Milano 

Non poche le novità relative all’ambiente 

contenute nel collegato 

infrastrutture alla Finanziaria 

2002. Particolare oggetto 

dell’attenzione del Legislatore sono 

state sia la legge obiettivo e 

che la “Merloni”, in materia di appalti. 

Nel primo caso, il processo 

di riforma ha riguardato la valutazione 

di impatto ambientale e 

l’autorizzazione integrata ambientale, 

la gestione dei servizi 

pubblici locali di difesa dell’ambiente 

e delle risorse idriche e approvvigionamento 

idrico. Nel secondo 

caso, invece, le modifiche a 

carico dell’art. 2 della legge 

109/1994, ha esteso il regime dei 

lavori pubblici a tutti i concessionari 

ovvero a tutte le aziende che 

si occupano di gestire servizi idrici 

e, più in generale, inerenti il settore 

ambientale. Inoltre,per accelerare 

la realizzazione di infrastrutture 

di trasporto, viabilità e parcheggi, 

tese a migliorare la qualità 

dell’aria e dell’ambiente nelle 

città, l’approvazione dei progetti 

definitivi da parte del consiglio comunale 

costituisce variante urbanistica 

a tutti gli effetti. 

AMBIENTE 

Modificate sia la “legge obiettivo” che la “legge Merloni” in materia di appalti 

Da la VIA a l’approvvigionamento idrico 

il co legato infrastru ture si colora di verde 

Il testo della “legge Lunardi” coordinato con il collegato 

infrastrutture alla Finanziaria 2002, è disponibile all’indirizzo: 

La legge 1˚ agosto 2002, n. 166 

«Disposizioni in materia di infrastrutture 

e trasporti» [1] rappresenta 

il cosiddetto “collegato infrastrutture” 

alla Finanziaria 2002 e 

ha introdotto numerose modificazioni 

alle diverse discipline che riguardano 

la realizzazione di infrastrutture 

sul territorio, con riferimento sia 

alla legge obiettivo per le opere di 

interesse strategico per il Paese (legge 

21 dicembre 2001, n. 443) [2] che 

alla legge quadro sui lavori pubblici 

(legge n. 109/1994) [3] . 

La disciplina giuridica del settore 

ambientale non è rimasta estranea 

alla novella della legge n. 

166/2002. Di seguito si illustrano le 

principali novità derivanti dall’entrata 

in vigore del collegato infrastrutture, 

avendo in considerazione sia 

gli apporti indiretti alla disciplina 

del settore quali le iniziative di finanziamento 

degli interventi di recupero 

e di promozione del territorio 

sotto il profilo della qualità ambientale 

sia gli apporti diretti sul regime 

giuridico dei procedimenti di appro- 

vazione dei progetti delle opere pubbliche 

e della rilevanza riconosciuta 

alle verifiche di compatibilità ambientale. 

Misure relative 

alla legge obiettivo 

La VIA e l’autorizzazione 

integrata ambientale 

Il collegato alla finanziaria non 

ha risparmiato la legge obiettivo. In 

particolare, le modificazioni apportate 

dal collegato alla legge n. 

443/2001, interessano le procedure 

per la valutazione di impatto ambientale 

(VIA) e l’autorizzazione integrata 

ambientale poiché il Legislatore 

è intervenuto sull’art. 1, comma 

2, legge n. 443/2001, che delegava 

il Governo a emanare, nel rispetto 

delle attribuzioni costituzionali 

delle regioni, entro dodici mesi dalla 

data di entrata in vigore della 

legge stessa, uno o più decreti legislativi 

volti a definire un quadro normativo 

finalizzato alla celere realizzazione 

delle infrastrutture e degli 

[1] In Gazzetta Ufficiale del 3 agosto 2002, n. 181. 

[2] Si vedano i nn. 4 e 13/2002 di Ambiente&Sicurezza. 

[3] «Legge quadro in materia di lavori pubblici» (cosiddetta “legge Merloni”). (in S.O. n. 1 alla Gazzetta Ufficiale del 19 febbraio 

1994, n. 41). 


insediamenti individuati ai sensi del 

comma 1, a questo fine riformando 

le procedure per la valutazione di 

impatto ambientale (VIA) e l’autorizzazione 

integrata ambientale, limitatamente 

alle opere di cui al 

comma 1 e, comunque, nel rispetto 

del disposto dell’articolo 2, direttiva 

85/337/CEE del Consiglio del 27 

giugno 1985, come modificata dalla 

direttiva 97/11/CE del Consiglio del 

3 marzo 1997. 

Questa disposizione aveva dato 

al Governo la facoltà di introdurre 

un regime speciale per la realizzazione 

delle opere pubbliche rientranti 

nel programma “strategico”, regime 

che poteva derogare agli articoli 

2, da 7 a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 

32, 34, 37-bis, 37-ter e 37-quater 

della legge 11 febbraio 1994, n. 

109, e successive modificazioni, 

nonché alle ulteriori disposizioni 

della medesima legge che non fossero 

necessaria e immediata applicazione 

delle direttive comunitarie, 

nel rispetto di una serie di principi e 

criteri direttivi, che rimangono in 

vigore a eccezione di quello individuato 

alla lettera c) che ha subito 

l’intervento del Legislatore del collegato. 

A oggi, quindi, i principi ai quali 

il Governo dovrà attenersi per formulare 

il regime speciale di approvazione 

e realizzazione delle opere 

e degli interventi ritenuti di interesse 

strategico per lo sviluppo della 

nazione sono i seguenti: 

l disciplina della tecnica di finanza 

di progetto per sostenere e realizzare, 

con il concorso del capitale 

privato, le infrastrutture e gli insediamenti 

di cui al comma 1; 

l definizione delle procedure da seguire 

in sostituzione di quelle previste 

per il rilascio dei provvedimenti 

concessori o autorizzatori di ogni 

specie; 

l definizione della durata delle medesime 

non superiore a sei mesi per 

l’approvazione dei progetti preliminari, 

comprensivi di quanto necessario 

per la localizzazione dell’opera 

d’intesa con la regione o la provin- 

AMBIENTE 

cia autonoma competente, che, a 

questo fine, provvede a sentire preventivamente 

i comuni interessati, 

e, ove prevista, della VIA; 

l definizione delle procedure necessarie 

per la dichiarazione di pubblica 

utilità, indifferibilità e urgenza 

e per l’approvazione del progetto 

definitivo, la cui durata non può superare 

il termine di ulteriori sette 

mesi; 

l definizione di 

termini perentori 

per la risoluzione 

delle interferenze 

con servizi pubblici 

e privati, con 

previsione di responsabilitàpatrimoniali 

in caso di 

mancata tempestiva 

risoluzione; 

l attribuzione al 

CIPE, integrato 

dai presidenti delle 

regioni e delle 

province autonome 

interessate, del 

compito di valutare 

le proposte dei promotori, di approvare 

il progetto preliminare e definitivo, 

di vigilare sulla esecuzione 

dei progetti approvati, adottando i 

provvedimenti concessori e autorizzatori 

necessari, comprensivi della 

localizzazione dell’opera e, ove prevista, 

della VIA istruita dal competente 

Ministero; 

l il Ministero delle Infrastrutture e 

dei Trasporti cura le istruttorie, formula 

le proposte e assicura il supporto 

necessario per l’attività del CI- 

PE, avvalendosi, eventualmente, di 

un’apposita struttura tecnica, di 

advisor e di commissari straordinari, 

che agiscono con i poteri di cui 

all’articolo 13, decreto-legge 25 

marzo 1997, n. 67, convertito, con 

modificazioni, dalla legge 23 maggio 

1997, n. 135, nonché dell’eventuale 

ulteriore collaborazione richiesta 

al Ministero dell’Economia e delle 

Finanze nel settore della finanza 

di progetto, ovvero offerta dalle regioni 

o province autonome interessa- 

te, con oneri a proprio carico; 

l modificazione della disciplina in 

materia di conferenza di servizi, 

con la previsione della facoltà, da 

parte di tutte le amministrazioni 

competenti a rilasciare permessi e 

autorizzazioni comunque denominati, 

di proporre, in detta conferenza, 

nel termine perentorio di novanta 

giorni, prescrizioni e varianti migliorative 

che non modifichino la localizzazione 

e le ca- 

ratteristichees- Il collegato 

senziali delle opere; 

le prescrizioni 

e varianti migliorative 

proposte in 

conferenza sono 

valutate dal CIPE 

ai fini della approvazione 

del progetto 

definitivo; 

l affidamento, 

mediante gara 

a evidenza pubblica 

nel rispetto 

delle direttive dell’Unioneeuropea, 

della realizzazione 

delle infrastrutture strategiche 

a un unico soggetto contraente 

generale o concessionario; 

l disciplina dell’affidamento a contraente 

generale, con riferimento all’articolo 

1, direttiva 93/37/CEE del 

Consiglio del 14 giugno 1993, definito 

come esecuzione con qualsiasi 

mezzo di un’opera rispondente alle 

esigenze specificate dal soggetto aggiudicatore; 

il contraente generale è 

distinto dal concessionario di opere 

pubbliche per l’esclusione dalla gestione 

dell’opera eseguita ed è qualificato: 

- per specifici connotati di capacità 

organizzativa e tecnico-realizzativa, 

per l’assunzione dell’onere relativo 

all’anticipazione temporale del 

finanziamento necessario alla realizzazione 

dell’opera in tutto o in parte 

con mezzi finanziari privati; 

- per la libertà di forme nella 

realizzazione dell’opera; 

- per la natura prevalente di obbligazione 

di risultato complessivo del 

infrastrutture non ha 

risparmiato la legge 

Obiettivo. In particolare, 

le modificazioni 

apportate alla legge 

n. 443/2001, interessano 

le procedure per la 

VIA e l’autorizzazione 

integrata ambientale 

VIA 

Articolo 


VIA 

Articolo 

rapporto che lega detta figura al soggetto 

aggiudicatore; 

- per l’assunzione del relativo rischio; 

l previsione dell’obbligo, da parte 

del contraente generale, di prestazione 

di adeguate garanzie e di partecipazione 

diretta al finanziamento dell’opera 

o di reperimento dei mezzi 

finanziari occorrenti; 

l previsione dell’obbligo 

per il 

soggetto aggiudicatore, 

nel caso in 

cui l’opera sia realizzataprevalentemente 

con fondi 

pubblici, di rispettare 

la normativa 

europea in tema 

di evidenza pubblica 

e di scelta 

dei fornitori di beni 

o servizi, ma 

con soggezione a 

un regime derogatorio 

rispetto alla 

citata legge n. 

109/1994 per tutti gli aspetti di essa 

non aventi necessaria rilevanza comunitaria; 

l introduzione di specifiche deroghe 

alla vigente disciplina in materia 

di aggiudicazione di lavori pubblici 

e di realizzazione degli stessi, 

fermo il rispetto della normativa comunitaria, 

finalizzate a favorire il 

contenimento dei tempi e la massima 

flessibilità degli strumenti giuridici. 

In particolare, in caso di ricorso 

a un contraente generale, è previsto 

che lo stesso, ferma restando la 

sua responsabilità, possa liberamente 

affidare a terzi l’esecuzione delle 

proprie prestazioni con l’obbligo di 

rispettare, in ogni caso, la legislazione 

antimafia e quella relativa ai requisiti 

prescritti per gli appaltatori; 

l previsione della possibilità di costituire 

una società di progetto ai 

sensi dell’articolo 37-quinquies della 

citata legge n. 109/1994, anche 

con la partecipazione di istituzioni 

finanziarie, assicurative e tecnicooperative 

già indicate dallo stesso 

Al CIPE viene assegnato 

il compito di valutare le 

proposte dei promotori, 

di approvare il progetto 

preliminare e definitivo, 

di vigilare sulla 

esecuzione dei progetti 

approvati, adottando i 

necessari provvedimenti, 

VIA inclusa 

AMBIENTE 

contraente generale nel corso della 

procedura di affidamento; 

l previsione della possibilità di 

emettere titoli obbligazionari ai sensi 

dell’articolo 37-sexies, legge n. 

109/1994, ovvero di avvalersi di altri 

strumenti finanziari, con la previsione 

del relativo regime di garanzia 

di restituzione, anche da parte di 

soggetti aggiudicatori, e utilizzazione 

dei medesimi 

titoli e strumenti 

finanziari per la 

costituzione delle 

riserve bancarie o 

assicurative previste 

dalla legislazione 

vigente; 

l individuazione 

di adeguate misure 

atte a valutare, 

ai fini di una migliorerealizzazione 

dell’opera, il 

regolare assolvimento 

degli obblighi 

assunti dal 

contraente generale 

nei confronti di terzi ai quali abbia 

affidato l’esecuzione di proprie 

prestazioni; 

l previsione, in caso di concessione 

di opera pubblica unita a gestione 

della stessa, e tenuto conto della 

redditività potenziale della stessa, 

della possibilità di corrispondere al 

concessionario, anche in corso 

d’opera e nel rispetto dei limiti determinati 

in sede di gara, un prezzo 

in aggiunta al diritto di sfruttamento 

economico dell’opera, anche a fronte 

della prestazione successiva di beni 

o servizi allo stesso soggetto aggiudicatore 

relativamente all’opera 

realizzata, nonché della possibilità 

di fissare la durata della concessione 

anche oltre trenta anni, in relazione 

alle caratteristiche dell’opera, e 

di consentire al concessionario di 

affidare a terzi i lavori, con il solo 

vincolo delle disposizioni della citata 

direttiva 93/37/CEE relative agli 

appalti del concessionario e nel limite 

percentuale eventualmente indicato 

in sede di gara a norma della 

medesima direttiva; 

l previsione del rispetto dei piani 

finanziari allegati alle concessioni 

in essere per i concessionari di pubblici 

servizi affidatari di nuove concessioni; 

l previsione, dopo la stipula dei 

contratti di progettazione, appalto, 

concessione o affidamento a contraente 

generale, di forme di tutela risarcitoria 

per equivalente, con esclusione 

della reintegrazione in forma 

specifica; 

l restrizione, per tutti gli interessi 

patrimoniali, della tutela cautelare 

al pagamento di una provvisionale; 

l previsione di apposite procedure 

di collaudo delle opere entro termini 

perentori che consentano, ove richiesto 

da specifiche esigenze tecniche, 

il ricorso anche a strutture tecniche 

esterne di supporto alle commissioni 

di collaudo. 

Rispetto alla originaria previsione 

della legge n. 443/2001, le modifiche 

apportate dal collegato 

“infrastrutture”, attraverso l’introduzione 

della lettera c) relativa ai criteri 

direttivi per la costruzione del regime 

speciale in deroga alla legge 

quadro sui lavori pubblici, assicurano 

nuovamente che lo svolgimento 

della procedura di valutazione di impatto 

ambientale sia condotta nelle 

forme previste dalla legislazione nazionale, 

riconoscendone la necessità 

inderogabile e la competenza esclusiva 

del Ministero dell’Ambiente. 

Tuttavia, rispetto al sistema di 

VIA adottato in via generale fino a 

oggi per tutte le opere pubbliche 

che vi risultano soggette, la nuova 

formulazione della legge n. 

166/2002, prevede un accorgimento 

per il monitoraggio e il rispetto dei 

tempi assegnati dal Legislatore all’iter 

amministrativo. Il Ministero 

delle Infrastrutture e dei Trasporti 

ha, infatti, il compito di curare le 

istruttorie per raccogliere i pareri e 

gli assensi necessari all’approvazione 

del progetto, ivi compresa la procedura 

di valutazione di impatto ambientale. 

È cura del dicastero promotore 

formulare le proposte e assicu- 


are il supporto necessario per l’attività 

del CIPE, avvalendosi, eventualmente, 

di una apposita struttura tecnica, 

di advisor e di commissari straordinari, 

che agiscono con i poteri di 

cui all’articolo 13, decreto-legge 25 

marzo 1997, n. 67, convertito, con 

modificazioni, dalla legge 23 maggio 

1997, n. 135, nonché della eventuale 

ulteriore collaborazione richiesta 

al Ministero dell’Economia e delle 

Finanze nel settore della finanza 

di progetto, ovvero offerta dalle regioni 

o province autonome interessate, 

con oneri a proprio carico. 

Questa disposizione fa supporre 

che, anche nell’ipotesi di ritardo nell’iter 

di valutazione dell’impatto ambientale, 

sia possibile attivare le procedure 

surrogatorie per il rispetto 

dei tempi previsti dalla normativa, 

eventualmente con la nomina di un 

commissario “ad acta”. 

Il Legislatore non si è, tuttavia, 

accontentato di dettare norme per 

accelerare il procedimento di approvazione 

dei progetti delle opere ritenute 

di rilevanza strategica per lo 

sviluppo nazionale, apportando accorgimenti 

procedimentali al sistema 

esistente. L’ulteriore elemento 

innovativo dell’integrazione apportata 

dal “collegato infrastrutture” riguarda 

la previsione di una nuovo 

percorso di approvazione dell’opera 

pubblica rientrante del Programma 

delle opere strategiche. Si tratta dell’introduzione, 

all’articolo 1, legge 

21 dicembre 2001, n. 443, dopo il 

comma 3, del nuovo comma 3-bis, 

il quale stabilisce che, in alternativa 

alle procedure di approvazione 

dei progetti preliminari e definitivi, 

di cui al comma 2, l’approvazione 

dei progetti definitivi degli interventi 

individuati nel comma 1 possa 

essere disposta con decreto del 

Presidente del Consiglio dei Ministri, 

previa deliberazione del CIPE 

integrato dai presidenti delle regioni 

o delle province autonome interessate, 

sentita la Conferenza unificata 

di cui all’articolo 8, decreto 

legislativo 28 agosto 1997, n. 281, 

e previo parere delle competenti 

AMBIENTE 

Commissioni parlamentari. 

Questo regime speciale, alternativo 

al regime pur speciale che il Governo 

dovrà individuare e descrivere 

compiutamente negli atti di attuazione 

della legge n. 443, prevede 

che il decreto del Presidente del 

Consiglio dei Ministri, 

assunto previa 

deliberazione del 

CIPE, integrato dai 

presidenti delle regioni 

o delle province 

autonome interessate 

e sentita 

la Conferenza unificata, 

è idoneo a 

dichiarare la compatibilitàambientale 

e la localizzazione 

urbanistica dell’interventononché 

la pubblica utilità 

dell’opera. 

Questo stesso 

D.P.C.M. ha la forza e l’efficacia 

per sostituire ogni altro permesso, 

autorizzazione o approvazione comunque 

denominati e consente la 

realizzazione di tutte le opere e attività 

previste nel progetto approvato. 

Si tratta di una procedura che potrebbe 

far sorgere qualche dubbio di 

legittimità in ordine agli aspetti procedimentali 

che garantiscono il rispetto 

delle norme di tutela del cittadino 

e dell’ambiente, poiché la partecipazione 

del primo al procedimento 

e la garanzia del bene 

“ambiente” non vengono individuate, 

almeno in questa prima formulazione 

del regime, quali momenti autonomi 

e distinti del procedimento. 

Come si è da più parti in dottrina 

e in giurisprudenza osservato criticamente 

in occasione dell’approvazione 

degli accordi di programma per 

la realizzazione di opere di interesse 

pubblico, i procedimenti autorizzativi 

degli interventi infrastrutturali 

pubblici e di interesse pubblico devono 

rispondere alle esigenze di trasparenza, 

accesso e partecipazione 

pubblica che sono garantiti dalla Costituzione, 

dalla legge n. 241/1990, 

dalla legge n. 109/1994 e successive 

modifiche e dalla legislazione urbanistica 

vigente, a partire dalla legge 

n. 1150/1942. 

Quest’ultimo regime speciale introdotto 

con il comma 3-bis dell’art. 

1, legge n. 443/2001, non si sofferma 

sugli aspetti 

procedimentali 

di pubblicità dell’intervento 

sia 

per la fase di localizzazione 

e 

variante allo strumentourbanistico 

vigente sia 

per la fase di approvazione 

del 

progetto sottoposto 

alla procedura 

di valutazione 

di impatto ambientale,lasciandoimplicitamente 

presupporre 

che queste fasi siano assorbite nell’ambito 

della costruzione del decreto 

del Presidente del Consiglio dei 

Ministri. Di conseguenza, l’applicazione 

della norma dovrà essere, necessariamente, 

sottoposta all’osservanza 

di queste considerazioni che 

appartengono ai principi ai quali 

nessuna normativa di settore potrà 

imporre legittimamente deroga. 

Il Ministero delle 

Infrastrutture cura 

le istruttorie, formula 

le proposte e assicura 

il supporto necessario 

per l'attività 

del CIPE, avvalendosi, 

eventualmente, di 

un'apposita struttura 

tecnica 

VIA 

Articolo 

Le modifiche per i servizi pubblici 

locali ambientali 

L’articolo 1, comma 1, legge 21 

dicembre 2001, n. 443, ha stabilito 

che il Governo, nel rispetto delle 

attribuzioni costituzionali delle regioni, 

individua le infrastrutture 

pubbliche e private e gli insediamenti 

produttivi strategici e di preminente 

interesse nazionale da realizzare 

per la modernizzazione e lo sviluppo 

del Paese. L’opera è stata effettuata, 

sentita la Conferenza unificata 

a mezzo di un programma, formulato 

su proposta dei Ministri competenti, 

sentite le regioni interessate, 

ovvero su proposta delle regioni, 

sentiti i Ministri competenti, e inserita 

nel documento di programma- 


VIA 

Articolo 

zione economico-finanziaria, con indicazione 

degli stanziamenti necessari 

per la loro realizzazione. Nell’individuare 

le infrastrutture e gli 

insediamenti strategici, il Governo 

deve procedere secondo finalità di 

riequilibrio socio-economico fra le 

aree del territorio nazionale. Il programma 

tiene conto del Piano generale 

dei trasporti e l’inserimento nel 

programma di infrastrutture strategiche 

non comprese nel Piano generale 

dei trasporti costituisce automatica 

integrazione dello stesso. 

Questa disposizione viene modificata 

dalla legge n. 166/2002, la quale 

stabilisce il nuovo testo dell’art. 

1, legge n. 443/2001, prescrivendo 

l’obbligatorietà della prevista intesa 

con la Conferenza Unificata Stato- 

Regioni in accoglimento 

delle eccezioni 

sollevate anche 

in sede giurisprudenzialeriguardo 

la necessaria 

approvazione 

da parte degli enti 

interessati dei progetti 

delle infrastrutture 

che verranno 

realizzate 

sul rispettivo territorio. 

La novità rilevante 

della modificazione 

introdotta 

all’art. 1 della legge 

sulle infrastrutture strategiche riguarda, 

soprattutto, la previsione 

dell’obbligo di adeguamento del 

programma delle opere “strategiche” 

alle strategie nazionali e comunitarie 

delle infrastrutture e della gestione 

dei servizi pubblici locali di 

difesa dell’ambiente. In forza del 

nuovo disposto dell’art. 1, il Governo 

procede, come già stabilito in 

precedenza, secondo finalità di riequilibrio 

socio-economico fra le 

aree del territorio nazionale ma anche 

a fini di garanzia della sicurezza 

strategica e di contenimento dei 

costi dell’approvvigionamento energetico 

del Paese e per l’adeguamen- 

Vengono introdotte 

specifiche deroghe 

alla vigente disciplina 

in materia di 

aggiudicazione e di 

realizzazione dei LLPP, 

finalizzate a favorire il 

contenimento dei tempi 

e la massima flessibilità 

degli strumenti giuridici 

AMBIENTE 

to della strategia nazionale a quella 

comunitaria delle infrastrutture e 

della gestione dei servizi pubblici 

locali di difesa dell’ambiente. 

Al fine di sviluppare la portualità 

turistica, il Governo, nell’individuare 

le infrastrutture e gli insediamenti 

strategici, tiene conto anche delle 

strutture dedicate alla nautica da diporto 

di cui all’articolo 2, comma 1, 

lettere a) e b), D.P.R. 2 dicembre 

1997, n. 509. Il programma considera 

anche il Piano generale dei trasporti 

e l’inserimento nel programma 

di infrastrutture strategiche non 

comprese nel Piano generale dei trasporti 

costituirà sempre automatica 

integrazione dello stesso. 

Riguardo la disponibilità delle risorse 

pubbliche per le opere di interesse 

strategico, 

il Governo, secondo 

le nuove 

disposizioni, indica 

nel disegno di 

legge finanziaria 

ai sensi dell’articolo 

11, comma 

3, lettera i-ter), 

legge 5 agosto 

1978, n. 468, e 

successive modificazioni, 

le risorse 

necessarie, 

che si aggiungono 

ai finanziamenti 

pubblici, 

comunitari e privati 

allo scopo disponibili, senza diminuzione 

delle risorse già destinate 

a opere concordate con le regioni 

e le province autonome e non comprese 

nel programma. In sede di prima 

applicazione della legge n. 

166/2002, il programma è approvato 

dal CIPE entro il 31 dicembre 

2001 e gli interventi previsti dal programma 

sono automaticamente: 

l inseriti nelle intese istituzionali 

di programma e negli accordi di programma 

quadro nei comparti idrici 

e ambientali, ai fini della individuazione 

delle priorità e dell’armonizzazione 

con le iniziative già incluse 

nelle intese e negli accordi stessi, 

con le indicazioni delle risorse disponibili 

e da reperire; 

l compresi in un’intesa generale 

quadro avente validità pluriennale 

tra il Governo e ogni singola regione 

o provincia autonoma, al fine del 

congiunto coordinamento e realizzazione 

delle opere. 

Qualche perplessità può nascere 

in ordine all’imposto inserimento 

degli interventi previsti nel programma 

“infrastrutture strategiche” nelle 

intese istituzionali di programma e 

negli accordi di programma quadro 

nei comparti idrici e ambientali, ai 

fini dell’individuazione delle priorità 

e ai fini dell’armonizzazione con 

le iniziative già incluse nelle intese 

e negli accordi stessi, soprattutto 

per quanto concerne l’adeguamento 

delle progettazioni che, tra loro, possono 

avere connessioni o dipendenze 

funzionali. 

Risorse 

e approvvigionamento idrico 

Al fine dell’attivazione degli interventi 

previsti nel programma di 

infrastrutture dettato dal Governo 

con la legge obiettivo e con i successivi 

provvedimenti del Consiglio 

dei Ministri, l’art. 13 del collegato 

infrastrutture stabilisce il finanziamento 

per: 

l la progettazione e realizzazione 

delle opere strategiche di preminente 

interesse nazionale, individuate 

in apposito programma approvato 

dal Comitato interministeriale per la 

programmazione economica (CI- 

PE); 

l le attività di istruttoria e monitoraggio 

sulle stesse; 

l le opere di captazione e adduzione 

di risorse idriche necessarie a 

garantire continuità dell’approvvigionamento 

idrico per quanto di 

competenza del Ministero delle Infrastrutture 

e dei Trasporti. 

In particolare, sono autorizzati limiti 

di impegno quindicennali di: 

l 193.900.000 euro per l’anno 

2002; 


2003; 



2004. 

Queste risorse, ai fini del soddisfacimento 

del principio di addizionalità, 

devono essere destinate, per 

almeno il 30 per cento, al Mezzogiorno, 

cosicché, unitamente a quelle 

provenienti da rimborsi comunitari, 

integrano i finanziamenti pubblici, 

comunitari e privati allo scopo 

disponibili. 

Con successivo decreto del Ministro 

delle Infrastrutture e dei Trasporti, 

di concerto con il Ministro 

dell’Economia e delle Finanze, saranno 

individuati: 

l i soggetti autorizzati a contrarre 

mutui o a effettuare altre operazioni 

finanziarie e le quote a ciascuno assegnate; 

l le modalità di erogazione delle 

somme dovute dagli istituti finanziatori 

ai mutuatari e le quote da utilizzare 

per le attività di progettazione, 

istruttoria e monitoraggio. 

Le somme non utilizzate dai soggetti 

attuatori al termine della realizzazione 

delle opere sono versate all’entrata 

del bilancio dello Stato per 

essere riassegnate, con decreto del 

Ministro dell’Economia e delle Finanze, 

ad apposito capitolo da 

istituire nello stato di previsione del 

Ministero delle Infrastrutture e dei 

Trasporti per gli interventi di cui 

all’art. 13. 

Ulteriori finanziamenti sono previsti 

per il settore dei trasporti, nell’ambito 

dei quali emerge l’attenzione 

del Legislatore per favorire l’esecuzione 

di interventi che prevedano 

lo sviluppo di tecnologie di trasporto 

ad elevata efficienza ambientale 

e l’acquisto di autobus ad alimentazione 

non convenzionale e a basso 

impatto ambientale. 

Sempre l’art. 13 stabilisce che, al 

fine di permettere la prosecuzione 

degli investimenti nel settore dei trasporti 

di cui all’art. 2, comma 5, 

legge 18 giugno 1998, n. 194, favorendo 

la riduzione delle emissioni 

inquinanti derivanti dalla circolazione 

di mezzi adibiti a servizi di trasporto 

pubblico locale, sono autoriz- 

AMBIENTE 

zati limiti di impegno quindicennali 

pari a 30 milioni di euro per l’anno 

2003 e a ulteriori 40 milioni di euro 

per l’anno 2004. Una quota non inferiore 

al 10 per cento delle risorse 

attivabili con gli stanziamenti di cui 

al presente comma dovrà essere destinata 

dalle regioni all’esecuzione 

di interventi che prevedano lo sviluppo 

di tecnologie di trasporto a 

elevata efficienza ambientale e l’acquisto 

di autobus ad alimentazione 

non convenzionale e a basso impatto 

ambientale. 

Misure relative 

alla “legge Merloni” 

La legge n. 166/2002, ha introdotto 

numerose modi- 

fiche alla leggequadro 

sugli appalti. 

Con particolare 

riferimento alle 

misure che interessano 

l’ambiente, 

l’art. 2, legge 

109/1994, recante 

norme sull’ambito 

oggettivo e soggettivo 

di applicazione 

della legge stessa, 

è stato interessato 

dalla modificazione 

relativa i 

soggetti destinatari 

del sistema dei 

lavori pubblici. Fermo restando che, 

anche dopo l’entrata in vigore della 

legge n. 166/2002, si intendono per 

lavori pubblici, se affidati dai soggetti 

di cui all’art. 2, comma 2, le 

attività di costruzione, demolizione, 

recupero, ristrutturazione, restauro 

e manutenzione di opere e impianti, 

anche di presidio e difesa ambientale 

e di ingegneria naturalistica, al 

novero dei soggetti destinatari della 

legge appartengono: 

l tutti i concessionari di lavori e di 

servizi pubblici e i soggetti di cui al 

decreto legislativo 17 marzo 1995, 

n. 158, e successive modificazioni; 

l le aziende speciali e i consorzi di 

cui agli artt. 114, 2 e 31 del Testo 

Unico delle leggi sull’ordinamento 

Rispetto alla originaria 

previsione della legge 

n. 443/2001, le modifiche 

apportate dal collegato 

assicurano nuovamente 

che lo svolgimento della 

procedura di VIA sia 

condotta nelle forme 

previste dalla 

legislazione nazionale 

VIA 

Articolo 

degli enti locali, di cui al decreto 

legislativo 18 agosto 2000, n. 267; 

l le società di cui agli artt. 113, 

113-bis, 115 e 116 del citato Testo 

Unico; 

l le società con capitale pubblico, 

in misura anche non prevalente, che 

abbiano a oggetto della propria attività 

la produzione di beni o servizi 

non destinati a essere collocati sul 

mercato in regime di libera concorrenza. 

Ai predetti soggetti non si applicano 

gli artt. 7, 14, 18, 19, commi 2 

e 2-bis, 27 e 33 della legge n. 

109/1994 come modificata dal collegato 

infrastrutture. 

Esenti, invece, dalle disposizioni 

di cui agli artt. 7, 

14, 19, commi 2 

e2-bis, 27, 32 e 

33 sono: 

l i soggetti privati,relativamente 

a lavori di cui 

all’allegato A al 

decreto legislativo 

19 dicembre 

1991, n. 406; 

l i lavori civili 

relativi a ospedali, 

impianti sportivi, 

ricreativi e per 

il tempo libero, 

edifici scolastici 

e universitari, edifici 

destinati a funzioni pubbliche 

amministrative, di importo superiore 

a 1 milione di euro, per la cui 

realizzazione sia previsto, da parte 

dei soggetti di cui alla lettera a), un 

contributo diretto e specifico, in conto 

interessi o in conto capitale che, 

attualizzato, superi il 50 per cento 

dell’importo dei lavori. 

Si prevede che tutti i concessionari 

ovvero tutte le aziende che si occupano 

di gestire servizi idrici e inerenti 

il settore ambientale in linea 

generale, saranno soggette al regime 

dei lavori pubblici. L’art. 2, legge-quadro, 

riformulato dal collegato 

infrastrutture 2002 obbliga i concessionari 

di lavori pubblici ad applicare 

le disposizioni della nuova legge 


VIA 

Articolo 

quadro in materia di pubblicità dei 

bandi di gara e termini per concorrere, 

secondo quanto previsto per gli 

appalti a terzi dalla direttiva 

93/37/CEE del Consiglio, del 14 

giugno 1993, nonché in materia di 

qualificazione degli esecutori di lavori 

pubblici. 

Le amministrazioni aggiudicatrici 

possono imporre ai concessionari 

di lavori pubblici, con espressa previsione 

del contratto di concessione, 

di affidare a terzi appalti corrispondenti 

a una percentuale minima 

del 30 per cento del valore globale 

dei lavori oggetto della concessione 

oppure possono invitare 

i candidati 

concessionari a dichiarare 

nelle loro 

offerte la percentuale, 

ove sussista, 

del valore globale 

dei lavori oggetto 

della concessione 

che essi intendono 

affidare a terzi. 

Per la realizzazione 

delle opere previste 

nelle convenzioni 

già assentite 

alla data del 30 

giugno 2002, ovvero 

rinnovate e 

prorogate ai sensi della legislazione 

vigente, i concessionari sono tenuti 

ad appaltare a terzi una percentuale 

minima del 40 per cento dei lavori, 

applicando le disposizioni della presente 

legge a esclusione degli artt. 

7, 14, 19, commi 2 e 2-bis, 27, 32, 

33. È fatto divieto ai soggetti di cui 

al comma 2, lettera a), di procedere 

a estensioni di lavori affidati in concessione 

al di fuori delle ipotesi previste 

dalla citata direttiva 

93/37/CEE, previo aggiornamento 

degli atti convenzionali sulla base 

di uno schema predisposto dal Ministro 

delle Infrastrutture e dei Trasporti. 

Le modifiche al nuovo art. 2 della 

legge-quadro sui lavori pubblici 

contengono un altro aspetto rilevante 

ai fini dell’individuazione delle 

Anche nell’ipotesi di 

ritardo nell’iter di 

VIA, è possibile attivare 

le procedure 

surrogatorie per il 

rispetto dei tempi 

previsti dalla normativa, 

eventualmente con la 

nomina di un 

commissario “ad acta” 

AMBIENTE 

disposizioni applicabili nel settore 

degli interventi ambientali. Si tratta 

della disciplina delle opere di urbanizzazione 

realizzate dai privati a 

scomputo del costo degli oneri concessori 

che dovrebbero corrispondere 

Il comune nel quale localizzano 

l’intervento edilizio promosso. 

Nell’ambito di queste opere rientrano, 

in genere, tutti i sottoservizi e 

gli impianti di attinenza ambientale, 

cui talvolta si aggiungono le altre 

tipologie di opere pubbliche. La disciplina 

della realizzazione delle 

opere individuate quale controprestazione 

rispetto al pagamento degli 

oneri di urbanizzazione 

dell’area 

è stata, di recente, 

oggetto di attenzione 

da parte 

della giurisprudenza 

nazionale 

e comunitaria. In 

occasione dell’edificazione 

del Teatro Arcimboldi 

nel quartiere 

Bicocca di Milano 

da parte del 

promotore privato 

dell’iniziativa 

di recupero e riconversionedell’area 

da industriale a residenziale, 

la materia è divenuta oggetto della 

sentenza della Corte di giustizia CE 

che ha statuito che le opere di urbanizzazione 

realizzate dal privato a 

scomputo degli oneri di urbanizzazione, 

ove queste raggiungano la soglia 

comunitaria, debbano essere realizzate 

osservando la disciplina comunitaria 

per le opere pubbliche. 

Questa sentenza ha, pertanto, stabilito 

che la progettazione e la realizzazione 

dell’opera vengano sottoposte 

a procedure di scelta del progettista, 

del direttore dei lavori e dell’esecutore 

mediante la procedura a evidenza 

pubblica prevista (sopra la soglia 

comunitaria) dalla direttiva comunitaria 

93/37, in materia di lavori pubblici, 

e dal D.Lgs. n. 157/1995, in 

materia di appalto di servizi pubbli- 

ci nei quali rientrano i servizi di 

progettazione e di direzione dei lavori. 

La giurisprudenza comunitaria 

non ha potuto colmare il vuoto legislativo 

rimasto, in sede nazionale, 

sulla disciplina giuridica applicabile 

per la progettazione e per la realizzazione 

delle opere di urbanizzazione 

a scomputo degli oneri che non superino 

la soglia di interesse comunitario. 

Il comma 5 del nuovo art. 2, 

legge n. 109/1994, come riformulato 

dal collegato alla Finanziaria, recuperando 

il contenuto della circolare 

17 dicembre 2001, ha colmato il 

vuoto legislativo e i dubbi interpretativi 

rimasti nell’ambito della disciplina 

nazionale, stabilendo una regolamentazione 

che appare di contenuto 

contrario rispetto all’indirizzo 

suggerito e alla linea interpretativa 

assunta dalla Corte di giustizia europea. 

Infatti, secondo il testo del nuovo 

art. 2 della legge, le disposizioni 

della legge-quadro sui lavori pubblici 

(giunta peraltro alla sua quarta 

versione) non si applicano agli interventi 

eseguiti direttamente dai privati 

a scomputo di contributi connessi 

ad atti abilitanti all’attività edilizia 

o conseguenti agli obblighi di cui 

all’art. 28, comma 5, legge 17 agosto 

1942, n. 1150, e successive modificazioni, 

o di quanto agli interventi 

assimilabile; per le singole 

opere d’importo superiore alla soglia 

comunitaria, i soggetti privati 

sono tenuti ad affidare le stesse nel 

rispetto delle procedure di gara previste 

dalla citata direttiva 

93/37/CEE. 

Nello stesso senso, il Legislatore 

italiano risolve il contrasto nato sulla 

disciplina applicabile ai servizi e 

ai lavori ottenuti dalle pubbliche amministrazioni 

nell’ambito delle operazioni 

di sponsorizzazione, mediante 

le quali più volte si sono realizzati 

interventi di manutenzione del verde 

e opere di tutela e valorizzazione 

paesaggistica e dei beni culturali. Il 

comma 6 del nuovo art. 2 della legge 

Merloni recita, infatti, che le disposizioni 

della legge, a esclusione 


dell’art. 8, non si applicano ai contratti 

di sponsorizzazione di cui all’art. 

119 del citato Testo Unico (D. 

Lgs. n. 267/2000), e all’art. 43, legge 

27 dicembre 1997, n. 449, ovvero 

ai contratti a questi ultimi assimilabili, 

aventi a oggetto interventi di 

cui al comma 1, ivi compresi gli 

interventi di restauro e manutenzione 

di beni mobili e delle superfici 

decorate di beni architettonici sottoposti 

alle disposizioni di tutela di 

cui al Titolo I del Testo Unico delle 

disposizioni legislative in materia di 

beni culturali e ambientali, di cui al 

decreto legislativo 29 ottobre 1999, 

n. 490. 

Deroghe in situazioni 

di emergenza ambientale 

L’altra modificazione alla legge 

n. 109/1994, che assume rilievo nel 

settore ambientale è quella introdotta 

con la previsione dell’art. 38-bis 

in materia di deroghe in situazioni 

di emergenza ambientale. 

Si tratta di una prescrizione che 

ha un carattere apparentemente straordinario 

e, tuttavia, non ha una 

portata residuale nel sistema dei lavori 

pubblici. Infatti, questa disposizione 

di nuova formulazione stabilisce 

che, al fine di accelerare la realizzazione 

di infrastrutture di trasporto, 

viabilità e parcheggi, tese a 

migliorare la qualità dell’aria e dell’ambiente 

nelle città, l’approvazione 

dei progetti definitivi da parte 

del consiglio comunale costituisce 

variante urbanistica a tutti gli effetti. 

Di fronte a questa previsione, 

potrebbe sollevarsi il dubbio di legittimità 

in ordine all’elusione delle 

prescrizioni previste dalla normativa 

urbanistica vigente a livello nazionale 

e a livello regionale per 

l’approvazione delle varianti urbanistiche. 

Compensazione ambientale 

sul sistema stradale 

L’art. 16 della legge n. 166/2002, 

si occupa di finanziare le attività di 

progettazione di interventi di compensazione 

ambientale sul sistema 

AMBIENTE 

stradale stabilendo che, al fine di 

ridurre l’impatto del sistema stradale 

e autostradale sul territorio e di 

migliorarne la qualità, è istituito 

presso il Ministero delle Infrastrutture 

e dei Trasporti il fondo di rotazione 

per la progettazione di opere di 

compensazione ambientale. 

Per la costituzione del suddetto 

stanziamento è autorizzato un limite 

di impegno quindicennale di 

10.000.000 di euro a decorrere dall’anno 

2003 quale concorso dello 

Stato agli oneri derivanti da mutui o 

altre operazioni finanziarie 

che gli 

enti gestori delle 

strade, ciascuno 

per la rete di competenza, 

sono autorizzati 

a effettuare. 

Il fondo di rotazione 

è destinato al 

finanziamento di 

interventi diretti a 

migliorare la qualità 

ambientale delle 

reti stradali nazionali 

e regionali esistenti 

nonché alla 

promozione di iniziative 

pilota che, 

nel caso di territori di particolare 

fragilità dal punto di vista naturalistico 

e paesaggistico, possono fare 

ricorso ai concorsi di idee. Si è di 

fronte a un importante intervento 

del Legislatore che dimostra di accogliere 

le esperienze pervenute da altri 

paesi dell’Unione europea nei 

quali si è promosso il programma di 

qualità delle aree di viabilità e delle 

aree circostanti le infrastrutture viarie 

di alto impatto ambientale. 

La norma suggerisce alle autorità 

destinatarie dei finanziamenti di intraprendere 

la strada della promozione 

di concorsi di idee per raccogliere 

progetti e studi di fattibilità destinati 

a migliorare la situazione ambientale 

e paesaggistica connessa alle 

reti stradali e regionali. 

É affidato, ancora al Ministro delle 

Infrastrutture e dei Trasporti, di 

concerto con il Ministro dell’Econo- 

mia e delle Finanze e con il Ministro 


del territorio, il compito di emanare 

un decreto con il quale vengano definite 

le modalità e le procedure per 

l’utilizzazione del fondo. 

Gli interventi in materia di 

mobilità ciclistica 

L’art. 18 della “collegato infrastrutture” 

ha posto l’attenzione degli 

interventi in materia di mobilità 

ciclistica, continuando la strada già 

aperta dalle disposizioni della legge 

n. 366/1998. 

Per gli interventi 

in questo 

settore sono autorizzatiulteriori 

limiti di impegnoquindicennali 

di 2 milioni 

di euro, a decorrere 

dall’anno 

2002, quale concorso 

dello Stato 

agli oneri derivanti 

dalla contrazione 

di mutui 

o di altre 

operazioni finanziarie 

che le 

regioni sono autorizzate a effettuare 

nei limiti della quota a ciascuna 

di esse assegnata. 

Il regime speciale di cui 

al nuovo comma 3–bis 

della legge n. 443, 

prevede che il D.P.C.M., 

assunto previa 

deliberazione del CIPE, 

sia idoneo a dichiarare la 

compatibilità ambientale 

e la localizzazione 

dell’intervento 

VIA 

Articolo 

Tutela di Venezia 

e del fiume Po 

In primo luogo, l’art. 2, legge n. 

166/2002, si occupa di indicare che 

venga disposta la destinazione dei 

fondi assegnati dal Ministero dell’Ambiente 


per gli interventi infrastrutturali 

avviati per gli interventi idraulici 

rimasti di competenza statale. Il 

comma 12 dell’art. 2 stabilisce, infatti, 

che per il completamento delle 

procedure di spesa avviate dai 

provveditorati regionali alle opere 

pubbliche e dai magistrati per il Po 

di Parma e alle acque di Venezia, 

oltre che per la realizzazione di 

interventi idraulici rimasti di competenza 

statale, 


VIA 

Articolo 

ai sensi dell’art. 54, comma 1, 

D.Lgs 31 marzo 1998, n. 112 [4] ,e 

dell’art. 2, comma 3, D.Lgs. 25 maggio 

2001, n. 265 [5] , il Ministro dell’Ambiente 


assegna, con propri decreti, i fondi 

occorrenti, utilizzando, a questo 

fine, lo stanziamento degli appositi 

capitoli dello stato di previsione, in 

conformità alle disposizioni di cui 

alla legge 17 agosto 1960, n. 908. 

Si tratta degli interventi che sono 

stati iniziati dai provveditorati regionali 

delle opere pubbliche in attuazione 

dell’art. 54 del D.Lgs. n. 

112/98 (attuativo della riforma 

“Bassanini”) che ha individuato le 

funzioni mantenute dallo Stato in 

materia urbanistica e territoriale, tra 

i quali si annoverano le funzioni 

relative: 

l all’osservatorio e monitoraggio 

delle trasformazioni 

territoriali, con 

particolare riferimento 

ai compiti 

di cui all’art. 52, 

all’abusivismo edilizio 

ed al recupero, 

anche sulla base 

dei dati forniti 

dai comuni; 

l all’indicazione 

dei criteri per la 

raccolta e l’informatizzazione 

di 

tutto il materiale 

cartografico ufficiale 

esistente, e 

per quello in corso 

di elaborazione, al fine di unificare i 

diversi sistemi per una più agevole 

lettura dei dati; 

l alla predisposizione della normativa 

tecnica nazionale per le opere 

in cemento armato e in acciaio e le 

costruzioni in zone sismiche; 

l alla salvaguardia di Venezia, della 

zona lagunare e al mantenimento 

del regime idraulico lagunare, nei 

limiti e con le modalità di cui alle 

leggi speciali vigenti nonché alla 

legge 5 marzo 1963, n. 366; 

l alla promozione di programmi innovativi 

in ambito urbano che implichino 

un intervento coordinato da parte di 

diverse amministrazioni dello Stato. 

A questi interventi si aggiungono 

quelli previsti dall’art. 2, D.Lgs. n. 

265/2001, che sono realizzati in forza 

del trasferimento delle funzioni amministrative 

relative alla laguna di Marano-Grado 

previste dalla legge 5 marzo 

1963, n. 366, il cui esercizio avverrà 

d’intesa con lo Stato in conformità 

a modalità preventivamente stabilite 

tra i due soggetti pubblici. 

I Programmi 

di riabilitazione urbana 

Dopo l’esperienza dei Programmi 

di riqualificazione 

urbana e 

sviluppo sostenibile 

del territorio 

(Prusst) condotta 

dal Ministero delle 

Infrastrutture e 

dei Trasporti diretta 

a promuovere 

la formazione 

di programmi di 

scala territoriale 

urbana, regionale 

e interregionale 

da parte degli 

enti territoriali 

per il recupero 

delle aree più degradate 

del territorio, l’art. 18 del 

“collegato infrastrutture” propone 

una nuova iniziativa per la costituzione 

di programmi complessi proposti 

dal territorio e condotti con la 

collaborazione dello Stato. 

Il Ministro delle Infrastrutture e 

dei Trasporti, di concerto con i Ministri 

interessati, d’intesa con la Con- 

Con il D.P.C.M. potrebbe 

sorgere qualche dubbio 

di legittimità, visto che 

la partecipazione 

della popolazione 

al procedimento e la 

garanzia del bene 

“ambiente” non 

vengono individuate, 

almeno in prima battuta 

AMBIENTE 

ferenza unificata di cui all’art. 8, 

D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, ha il 

compito di emanare il decreto con il 

quale sono definiti i criteri e le modalità 

di predisposizione, di valutazione, 

di finanziamento, di controllo 

e di monitoraggio di programmi 

volti: 

l alla riabilitazione di immobili e 

attrezzature di livello locale e al miglioramento 

dell’accessibilità e mobilità 

urbana, denominati «programmi 

di riabilitazione urbana»; 

l al riordino delle reti di trasporto 

e di infrastrutture di servizio per la 

mobilità attraverso una rete nazionale 

di autostazioni per le grandi aree 

urbane. 

I programmi saranno promossi dagli 

enti locali, d’intesa con gli enti e le 

amministrazioni competenti sulle opere 

e sull’assetto del territorio e saranno 

presentati al Ministero per l’ammissione 

al finanziamento. Le opere 

ricomprese nei programmi possono riguardare 

interventi di demolizione e 

ricostruzione di edifici e delle relative 

attrezzature e spazi di servizio, finalizzati 

alla riqualificazione di porzioni 

urbane caratterizzate da degrado fisico, 

economico e sociale, nel rispetto 

della normativa in materia di tutela 

storica, paesaggistico-ambientale e 

dei beni culturali. 

Le opere che costituiscono i programmi 

possono essere cofinanziate 

da risorse private, rese disponibili 

dai soggetti interessati dalle trasformazioni 

urbane. A cura degli enti 

locali promotori è trasmessa al Ministro 

delle Infrastrutture e dei Trasporti, 

con cadenza annuale, una relazione 

sull’attuazione dei programmi 

di riabilitazione urbana e sugli 

effetti di risanamento ambientale e 

civile ottenuti. Il concorso dei proprietari 

rappresentanti la maggioranza 

assoluta del valore degli immobili 

in base all’imponibile catastale, 

[4] «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 

marzo 1997, n. 59» (in Gazzetta Ufficiale del 21 maggio 1998, n. 116). 

[5] «Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio idrico e 

marittimo, nonché di funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo» (in Gazzetta Ufficiale del 6 luglio 2001, n. 155). 


icompresi nel piano attuativo, è sufficiente 

a costituire il consorzio ai 

fini della presentazione al comune 

delle proposte di realizzazione dell’intervento 

e del relativo schema di 

convenzione. Successivamente, il 

sindaco, assegnando un termine di 

novanta giorni, diffida i proprietari 

che non abbiano aderito alla formazione 

del consorzio ad attuare le 

indicazioni del predetto piano attuativo, 

sottoscrivendo la convenzione 

presentata. Decorso infruttuosamente 

il termine assegnato, il consorzio 

consegue la piena disponibilità degli 

immobili ed è abilitato a promuovere 

l’avvio della procedura espropriativa 

a proprio favore delle aree 

e delle costruzioni dei proprietari 

non aderenti. L’indennità espropriativa, 

posta a carico del consorzio, in 

deroga all’articolo 5-bis, decretolegge 

11 luglio 1992, n. 333, convertito, 

con modificazioni, dalla legge 

8 agosto 1992, n. 359, deve corrispondere 

al valore venale dei beni 

espropriati diminuito degli oneri di 

urbanizzazione stabiliti in convenzione. 

L’indennità può essere corrisposta 

anche mediante permute di 

altre proprietà immobiliari site nel 

comune. 

Disposizioni in materia 

di servitù 

L’art. 3 del “collegato infrastrutture” 

si occupa di dettare prescrizioni 

in tema di servitù prediali a 

favore dei fondi sui quali vengono 

realizzati interventi e infrastrutture 

destinate a servizi di pubblica utilità. 

La norma prevede che le procedure 

impositive di servitù previste 

dalle leggi in materia di trasporti, 

telecomunicazioni, acque, energia, 

relative a servizi di interesse pubblico, 

si applichino anche per gli 

impianti che siano stati eseguiti e 

utilizzati prima della data di entrata 

in vigore della legge n. 

166/2002, fermo restando il diritto 

dei proprietari delle aree interessate 

alle relative indennità. 

Questa norma, che fa salva la 

disciplina legislativa prevista speci- 

AMBIENTE 

ficamente nelle diverse disposizioni 

di legge per la realizzazione delle 

infrastrutture per i servizi di pubblica 

utilità la possibilità di imporre 

diritti reali minori di servitù prediale, 

quale il passaggio coattivo di 

elettrodotto, il passaggio di condotte, 

il passaggio di tubazioni, ecc., ha 

imposto al Legislatore il collegamento 

con il Testo Unico sulle 

espropriazioni per pubblica utilità 

(D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), il 

quale, pur essendo stato licenziato dal 

governo prevedente, non è ancora entrato 

in vigore ed è stato destinatario 

di un’ulteriore proroga di entrata in 

vigore fino al 31 dicembre 2002. 

Infatti, l’art. 3, 

comma 3, legge n. 

166, prevede che, 

a decorrere dalla 

data di entrata in 

vigore del Testo 

Unico sulle espropriazione 

per pubblica 

utilità, l’autorità 

espropriante 

può procedere disponendo 

i decreti 

per l’eventuale acquisizione 

del diritto 

di servitù al patrimonio 

di soggetti, 

privati o pubblici, 

titolari di concessioni, 

autorizzazioni o licenze o 

che svolgano, anche in base alla legge, 

servizi di interesse pubblico nei 

settori di cui al comma 1. 

Il programma triennale 

dei lavori pubblici 

Tra le novità che interessano la disciplina 

della tutela dell’ambiente nell’ambito 

dei lavori pubblici, va annoverata 

la modificazione introdotta dal 

collegato all’art. 14, legge-quadro, 

laddove prevede che l’inclusione di 

un lavoro nell’elenco annuale dei lavori 

pubblici sia subordinata: 

l per i lavori di importo inferiore a 

1.000.000 di euro, alla previa approvazione 

di uno studio di fattibilità; 

l per i lavori di importo pari o superiore 

a 1.000.000 di euro, alla previa 

Il Legislatore italiano 

risolve il contrasto sulla 

disciplina applicabile 

a interventi di 

manutenzione del verde 

e a opere di tutela 

paesaggistica, ottenuti 

dalle PA nell’ambito 

delle operazioni di 

sponsorizzazione 

VIA 

Articolo 

approvazione della progettazione preliminare, 

redatta ai sensi dell’art. 16, 

salvo che per i lavori di manutenzione, 

per i quali è sufficiente l’indicazione 

degli interventi accompagnata dalla 

stima sommaria dei costi. 

Questa modificazione fa sorgere 

qualche perplessità in ordine alla capacità 

dello studio di fattibilità di assolvere 

tutte le esigenze di attenzione e divalutazione 

dell’inetersse ambientale originariamente 

assolte dal progetto preliminare. 

Il progetto preliminare, ai sensi 

dell’art. 21 e segg., D.P.R. n. 

554/1999, doveva prevedere la stesura 

di uno studio di prefattibilità ambientale 

idoneo a valutare, anche sotto il profilo 

dell’impatto 

sull’ambiente dell’opera, 

quali fossero 

le soluzioni più 

adeguate ai fini della 

predisposizione 

della progettazione 

preliminare. 

La mancanza 

di una legislazione 

precisa, quale 

quella del D.P.R. 

n. 554/1999 risulta 

essere per la 

predisposizione 

di ogni elaborato 

grafico e descrittivo 

del progetto 

preliminare di opera pubblica, per 

quanto concerne la predisposizione 

dello studio di fattibilità, fa sorgere 

qualche dubbio sulla capacità di questo 

strumento di assolvere i compiti 

assegnati fino a oggi allo studio di 

prefattibilità ambientale. 

Si tratterà di verificare se nella 

preparazione della fattibilità sufficiente 

per inserire nell’elenco annuale 

e finanziare le opere di importo 

inferiore a 1.000.000 euro, 

sotto il profilo tecnico, ovvero sotto 

il profilo giuridico-amministrativo, 

sia possibile introdurre la valutazione 

di compatibilità ambientale 

assolta dallo studio di prefattibilità 

ambientale richiesto dal regolamento 

di attuazione della legge 

quadro. l 


LEGISLAZIONE 

In breve 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


EUROPA 

RECUPERO DI RIFIUTI PERICOLOSI 

Decisione della Commissione 

13 novembre 2002, n. 2002/909/CE 

«Decisione (2002/909/CE) della Commissione 

del 13 novembre 2002 relativa alle 

norme italiane che dispensano dagli obblighi 

di autorizzazione gli stabilimenti o le imprese 

che provvedono al recupero dei rifiuti pericolosi 

ai sensi dell’articolo 91/689/CEE relativa ai 

rifiuti pericolosi» (G.U.C.E. L del 19 novembre 

2002, n. 315) 

La decisione, rivolta allo Stato italiano, contiene 

l’approvazione delle disposizioni del 

progetto di decreto, trasmesso dall’Italia alla 

Commissione europea in data 1˚ dicembre 

1999 e modificato il 17 novembre 2000, 

in materia di attuazione dell’art. 33, D.Lgs. 

n. 22/1997, circa le procedure di recupero 

dei rifiuti pericolosi (queste ultime, com’è 

noto, codificate dal D.M. n. 161/2002; si veda 

il n. 16/2002 di Ambiente&Sicurezza). 

L’approvazione è espressa a norma dell’art. 

3, paragrafo 4, direttiva 91/689/CEE, relativa 

ai rifiuti pericolosi, e tiene conto del 

fatto che nel detto progetto figurano: 1) 

norme generali che elencano il tipo e la 

quantità di rifiuti e che stabiliscono le condizioni 

specifiche (valori limite di sostanze pericolose 

contenute nei rifiuti, valori limite di 

emissione, tipo di attività) e altri requisiti 

necessari per effettuare forme diverse di 

recupero; 2) i tipi e le quantità di rifiuti e i 

metodi di smaltimento o di recupero in modo 

da rispettare le condizioni imposte ex 

art. 4, direttiva 75/442/CEE; 3) l’indicazione 

che gli stabilimenti e le imprese interessati 

sono soggetti a iscrizione presso le competenti 

autorità. 

AMBIENTE 

ITALIA 

INQUINAMENTO ATMOSFERICO 

Decreto del Ministero dell’Ambiente 

e Tutela del territorio 1˚ ottobre 2002, 

n. 261 

«Regolamento recante le direttive tecniche 

per la valutazione preliminare della 

qualità dell’aria ambiente, i criteri per l’elaborazione 

del piano e dei programmi di cui agli articoli 

8 e 9 del decreto legislativo 4 agosto 1999, 

n. 351» (G.U. del 20 novembre 2002, n. 272) 

A norma dell’art. 5, D.Lgs. n. 351/1999 recante 

«Attuazione della direttiva 96/62/CE in materia 

di valutazione e gestione della qualità dell’aria 

ambiente», il decreto definisce le norme 

tecniche sulla cui base le Regioni e le Province 

autonome dovranno effettuare, ove non disponibili, 

misure rappresentative per la valutazione 

preliminare della qualità dell’aria ambiente 

con la relativa zonizzazione del proprio 

territorio. Risultano, altresì, stabiliti i criteri 

per l’elaborazione dei piani e dei programmi 

per il raggiungimento, entro i termini all’uopo 

stabiliti, dei valori limite nelle zone e 

negli agglomerati i cui livelli di qualità dell’aria 

risultino più alti dei valori limite; vengono 

infine, definite le direttive sulla cui base le 

Regioni dovranno adottare un piano per il 

mantenimento della qualità dell’aria nelle zone 

con livelli inferiori ai valori limite. A carico 

delle Regioni a statuto speciali e delle Province 

autonome è previsto il mero onere di adeguamento 

in conformità ai rispettivi statuti 

regionali e alle relative norme di attuazione. 

Le direttive tecniche concernenti la valutazione 

preliminare della qualità dell’aria dovrebbero 

consentire l’identificazione, come detto, 

delle zone del territorio soggette a diversi valori 

limite, così da consentire il monitoraggio 

e l’individuazione della modalità di gestione 


della qualità dell’aria. Solo in base alla disponibilità 

di misure rappresentative dei livelli di 

inquinamento, sarà possibile passare alla fase 

di determinazione della distribuzione spaziale 

delle concentrazioni, seguita, a sua volta, dalla 

fase di interpretazione dei dati. In questo 

modo, sarà così possibile pervenire all’individuazione 

delle zone. Le direttive indicano, altresì, 

ulteriori tecniche di stima obiettiva e i 

modelli di diffusione e trasformazione degli 

inquinanti in atmosfera, da adottare qualora 

non siano disponibili misure rappresentative 

dei livelli degli inquinanti ex art. 4, D.Lgs. n. 

351/1999 (Allegato I). 

Riguardo agli strumenti di pianificazione e 

programmazione che le Regioni dovranno 

adottare per assicurare un elevato livello di 

tutela dell’ambiente e della salute umana, rilevano 

alcuni obiettivi e principi guida ai quali 

queste amministrazioni dovranno conformarsi. 

Si va da talune misure tipiche di politica 

ambientale (la coerenza delle misure adottate 

rispetto agli obiettivi nazionali di riduzione 

delle emissioni; l’integrazione delle esigenze 

ambientali nelle politiche settoriali; la modifica 

dei modelli di produzione e consumo, pubblici 

e privati ecc.) alla necessità espressa di 

attuare un «miglioramento generalizzato dell’ambiente 

e della qualità della vita, evitando 

il trasferimento dell’inquinamento tra i diversi 

settori ambientali» (art. 3, comma 1, lettera 

a), D.M. in oggetto), al favor per l’utilizzo 

congiunto di misure di carattere prescrittivo, 

economico e di mercato, anche attraverso la 

promozione di sistemi di ecogestione e audit 

ambientale (art. 3, comma 1, lettera f), citata). 

Lo stato della qualità dell’aria, le sorgenti di 

emissioni, l’ambito territoriale di inserimento 

e il quadro normativo vigente, saranno gli elementi 

conoscitivi da considerare necessariamente 

per l’elaborazione dei detti strumenti 

di pianificazione (art. 4). Questi ultimi dovranno, 

inoltre, essere redatti secondo un contenuto 

minimo in relazione al quale sono definiti 

gli “Indici del documento del Piano” (inquadramento 

generale, informazioni per il pubblico/organismi 

interessati; elementi di sintesi 

dell’inquinamento atmosferico; caratterizzazione 

delle zone; quadro normativo di base; 

analisi delle tendenze; azioni del Piano ecc.) e 

AMBIENTE 

contenere la scheda tecnica ex Allegato V, 

D.Lgs. n. 351/1999, secondo la successione logica 

individuata all’art. 5 citato. 

Dalla data di entrata in vigore del decreto in 

questione, risulta abrogata l’analoga normativa 

preesistente di cui al D.M. 20 maggio 1991, 

recante i criteri per l’elaborazione dei piani 

regionali per il risanamento e la tutela della 

qualità dell’aria. 

AGENZIE AMBIENTALI 

LEGISLAZIONE 

In breve 

Decreto del Ministero dell’Ambiente 

e Tutela del territorio 11 ottobre 2002 

«Modalità di ripartizione e di erogazione dei 

fondi di cui all’art. 2 della legge 23 marzo 

2001, n. 93, recante “Disposizioni in campo ambientale”» 

(G.U. del 19 novembre 2002, n. 271) 

Il decreto reca le modalità di ripartizione e 

di erogazione dei fondi di cui all’art. 2, legge 

n. 93/2001 (collegato ambientale 2001; si 

vedano anche i nn. 11-12/2001 di Ambiente& 

Sicurezza), finalizzati ad assicurare sull’intero 

territorio nazionale il più efficace espletamento 

delle funzioni dell’ANPA, sino all’effettiva 

operatività dell’APAT e, in particolare, 

di quelle di indirizzo e coordinamento 

tecnico delle Agenzie regionali e provinciali 

secondo i criteri all’uopo definiti. Trattasi, 

in particolare, dell’esigenza di assicurare 

uno standard minimo omogeneo di controlli 

sull’ambiente e sul territorio delle attività 

informative e tecniche di supporto all’attuazione 

delle normative nazionali e regionali. 

Un’altra esigenza è quella di finanziare lo 

sviluppo delle Agenzie regionali, in attuazione 

dei progetti che dovranno essere proposti 

dall’APAT (o dall’ANPA fino alla sua 

operatività) e finalizzati a organizzare come 

sistema integrato a rete la struttura della 

funzionalità e delle Agenzie regionali e 

nazionali. Una terza necessità è l’adeguamento 

e la qualificazione della rete e della 

strumentazione dei laboratori per i controlli 

ambientali ma anche il coordinamento 

del sistema informativo ambientale con i 

sistemi informativi geologici per la realizzazione 

di carte del rischio idrogeologico (art. 

1, comma 1). l 


RASSEGNA DI DELIBERE 

E LEGGI REGIONALI NOVEMBRE 2002 

di Alessandro Jazzetti ................................................................. pag. 88

LEGISLAZIONE 

In breve 

di Alessandro Jazzetti, magistrato 

NOVEMBRE 2002 

Regione Ambito Estremi e nota 


EMILIA ROMAGNA Igiene degli edifici Delib. G.R. 24 giugno 2002, n. 1103 

«L.R. n. 6/1989. Provvedimenti per il recupero edilizio, urbanistico 

e ambientale degli insediamenti storici: programma 

di ripartizione dei contributi 2002» 

(in B.U. Emilia-Romagna 30 ottobre 2002, n. 153) 

VENETO Certificazione e qualità Delib. G.R. 4 ottobre 2002, n. 2774 

«Programma delle iniziative per la diffusione della qualità 

nelle piccole e medie imprese per l’anno 2002 (L.R. 28 

gennaio 1997, n. 3)» 

(in B.U. Veneto 25 ottobre 2002, n. 104) 

ABRUZZO Igiene degli edifici L.R. 11 ottobre 2002, n. 22 

«Modalità di calcolo per l’applicazione dei parametri 

urbanistico-edilizi ai fini del miglioramento dei livelli di 

coibentazione termo-acustica e del contenimento dei consumi 

energetici» 

(in B.U. Abruzzo 25 ottobre 2002, n. 22) 

UMBRIA Sicurezza 

degli edifici 

UMBRIA Sicurezza 

degli edifici 

MOLISE Sicurezza 

degli edifici 

LIGURIA Sicurezza 

in cantiere 

DALLE REGIONI 

RASSEGNA DI DELIBERE E LEGGI REGIONALI 

AMBIENTE 

L.R. 23 ottobre 2002, n. 18 

«Norme in materia di prevenzione sismica del 

patrimonio edilizio» 

(in B.U. Umbria 6 novembre 2002, n. 48) 

L.R. 23 ottobre 2002, n. 19 

«Contributi regionali per l’eliminazione e il superamento 

delle barriere architettoniche negli edifici privati» 

(in B.U. Umbria 6 novembre 2002, n. 48) 

L.R. 8 novembre 2002, n. 35 

«Norme sull’entrata in vigore della legge regionale 

18 ottobre 2002, n. 25, ad oggetto: “Eliminazione delle 

barriere architettoniche”» 

(in B.U. Molise 16 novembre 2002, n. 24) 

Delib. G.R. 11 ottobre 2002, n. 1148 

«Approvazione del “cartello tipo di cantiere” identificativo 

delle opere pubbliche o private finanziate ovvero 

cofinanziate dalla Regione Liguria» 

(in B.U. Liguria 6 novembre 2002, n. 45, parte seconda) 

FRIULI VENEZIA GIULIA Acqua L.R. 29 ottobre 2002, n. 28 

«Norme in materia di bonifica e di ordinamento dei Consorzi 

di bonifica, nonché modifiche alla L.R. n. 9/1999, in materia 

di concessioni regionali per lo sfruttamento delle acque, 

alla L.R. n. 7/2000, in materia di restituzione degli incentivi, 

alla L.R. n. 28/2001, in materia di deflusso minimo vitale 

delle derivazioni d’acqua e alla L.R. n. 16/2002, in materia di 

gestione del demanio idrico» 

(in B.U. Friuli-Venezia Giulia 30 ottobre 2002, n. 44) 


LOMBARDIA Aria Delib. G.R. 28 ottobre 2002, n. 7/10863 

«Disposizioni concernenti il piano d’azione per il contenimento 

e la prevenzione degli episodi acuti di inquinamento atmosferico 

- Modifica della Delib. G.R. 19 ottobre 2001, n. 7/6501» 

(in B.U. Lombardia 11 novembre 2002, n. 46) 

LOMBARDIA Aria Delib. G.R. 28 ottobre 2002, n. 7/10862 

«Approvazione del bando per la concessione di contributi 

a fondo perduto per la lotta all’inquinamento 

atmosferico mediante la diffusione di autovetture a 

bassa emissione» 

(in B.U. Lombardia 31 ottobre 2002, n. 44, III S.S.) 

I contributi possono venire richiesti per autovetture 

acquistate o trasformate, secondo le modalità specificate 

nel bando, tra la data di pubblicazione del bando 

sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia 

LOMBARDIA Energia 

(B.U.R.L.) ed il 31 dicembre 2002, data di scadenza del 

bando; tale intervallo di tempo viene definito «periodo 

di validità» del bando. 

Delib. G.R. 24 ottobre 2002, n. 7/10820 

«Approvazione del progetto per l’assegnazione di contributi 

a fondo perduto per la diffusione degli impianti solari per 

la produzione di energia termica» 

(in B.U. Lombardia 11 novembre 2002, n. 46) 

MARCHE Energia Delib. G.R. 15 ottobre 2002, 1808-VP/ARI 

«Modalità e procedure per la concessione dei contributi 

previsti dalla L.R. n. 32/1999, art. 25, finalizzati ad incentivare 

il risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili 

di energia per l’anno 2002» 

(in B.U. Marche 31 ottobre 2002, n. 117) 

MARCHE Suolo 

Decentramento 

amministrativo 

L.R. 6 novembre 2002, n. 23 

«Modifica della L.R. 17 maggio 1999, n. 10 sul riordino delle 

funzioni amministrative della Regione e degli enti locali, 

della L.R. 25 maggio 1999, n. 13 sulla disciplina regionale 

della difesa del suolo, della L.R. 24 dicembre 1998, n. 45 sul 

riordino del trasporto pubblico regionale e locale nelle 

Marche e della L.R. 12 gennaio 2001, n. 2 di modifica ed 

integrazione della L.R. n. 45/1998» 

(in B.U. Marche 14 novembre 2002, n. 120) 

MOLISE Energia L.R. 8 novembre 2002, n. 36 

«Modalità di calcolo di parametri urbanistico-edilizi 

finalizzati a migliorare la qualità funzionale degli edifici e a 

contenere il consumo energetico» 

(in B.U. Molise 16 novembre 2002, n. 24) 

TOSCANA Certificazione e qualità Delib. G.R. 17 settembre 2002, n. 979 

«Criteri prioritari di valutazione per il finanziamento di 

progetti innovativi di certificazione ambientale» 

(in B.U. Toscana 9 ottobre 2002, n. 41, Parte seconda) 

TRENTINO-ALTO ADIGE 

PROVINCIA AUTONOMA 

DI BOLZANO 

DALLE REGIONI 

LEGISLAZIONE 

In breve 

Rifiuti Delib. G.P. 14 ottobre 2002, n. 3743 

«Approvazione del programma suppletivo per la progettazione 

e la realizzazione di servizi ed impianti di raccolta, 

trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi nonché per 

l’acquisto dei relativi mezzi e per l’approntamento delle 

aree necessarie al servizio» 

(in B.U. Trentino-Alto Adige 5 novembre 2002, n. 46) 

MOLISE Rifiuti Delib. C.R. 17 settembre 2002, n. 354 

«Legge regionale 8 marzo 1984, n. 6 - Articolo 3, comma 2 - 

Attivazione e/o potenziamento dei servizi comunali di raccolta 

differenziata dei rifiuti solidi urbani, degli urbani pericolosi 

e di quelli ingombranti - Piano d’intervento relativo 

all’anno 2000» 

(in B.U. Molise 16 ottobre 2002, n. 22) 


LEGISLAZIONE 

In breve 

SARDEGNA Rifiuti Delib. G.R. 9 agosto 2002, 28/56 

«POR 2000 - 2006 Asse I - Attuazione della misura 1.4 - 

Iniziative dirette alla riduzione della produzione dei 

rifiuti urbani e alla raccolta differenziata dei rifiuti 

urbani. Programma degli interventi selezionati tramite 

bando» 

(in B.U. Sardegna 15 ottobre 2002, n. 30) 

UMBRIA Rifiuti Delib. G.R. 17 settembre 2002, n. 1237 

«Modifiche e integrazioni bando finanziamento progetti 

e concessione incentivi incremento raccolta differenziata 

e del riciclaggio dei rifiuti urbani complessi 

approvato con Delib. G.R. n. 1543/2001» 

(in B.U. Umbria 16 ottobre 2002, n. 45) 

CAMPANIA Tutela ambientale Delib. G.R. 2 agosto 2002, n. 3898 

«Modifiche e integrazioni. Unificazione attività dei 

due comitati misti concernenti riordino normativo, pianificazione 

e programmazione ambientale» 

(in B.U. Campania 7 ottobre 2002, n. 47) 

LAZIO Tutela ambientale Delib. G.R. 2 agosto 2002, n. 1103 

«Approvazione delle linee guida per la redazione dei 

piani di gestione e la regolamentazione sostenibile dei 

SIC (Siti di importanza comunitaria) e Z.P.S. (zone di 

protezione speciale), ai sensi delle Direttive n. 

92/43/CEE (habitat) e n. 79/409/CEE (uccelli) concernenti 

la conservazione degli habitat naturali e seminaturali 

della flora e della fauna selvatiche di importanza 

comunitaria presenti negli Stati membri, anche per 

l’attuazione della Sottomisura I.1.2 «Tutela e gestione 

degli ecosistemi naturali» (Docup Obiettivo 2 

2000-2006)» 

(in B.U. Lazio 10 ottobre 2002, n. 28, S.O. n. 3) 

PIEMONTE Tutela ambientale D.P.G.R. 18 ottobre 2002, 9/R 

«Regolamento regionale recante: Designazione delle 

zone vulnerabili da nitrati di origine agricola e relativo 

programma d’azione» 

(in B.U. Piemonte 24 ottobre 2002, n. 43, suppl. 2) 

PUGLIA Tutela ambientale 

Trasporto pubblico locale 

L.R. 31 ottobre 2002, n. 18 

«Testo unico sulla disciplina del trasporto pubblico 

locale» 

(in B.U. Puglia 4 novembre 2002, n. 139) 

SICILIA Tutela ambientale Dec. Ass. 7 agosto 2002 

«Calendario per la presentazione delle istanze di autorizzazione 

integrata ambientale per alcune categorie 

di attività industriali» 

(in G.U. Regione Sicilia 4 ottobre 2002, n. 46. Emanato 

dall’Assessore regionale per il territorio e l’ambiente) 

TRENTINO-ALTO ADIGE 

PROVINCIA AUTONOMA 

DI BOLZANO 

Tutela ambientale 

Cave e torbiere 

DALLE REGIONI 

Delib. G.P. 12 giugno 2002, n. 2199 

«Approvazione del piano provinciale delle cave e delle 

torbiere» 

(in B.U. Trentino-Alto Adige 5 novembre 2002, n. 46) 

TOSCANA Tutela ambientale Delib. G.R. 17 settembre 2002, n. 978 

«Criteri di assegnazione cofinanziamento processi di 

agende 21 locali» 

(in B.U. Toscana 9 ottobre 2002, n. 41, parte II) 

Con la delibera sono approvati i criteri prioritari per la 

valutazione delle domande di ammissione ai benefìci 

previsti dall’azione progettuale n. 28 del Programma 

regionale di Tutela Ambientale 2002-2003 


Commenti a cura di: 

l Giulio Benedetti 

l Luciano Butti 

l Luigi Di Alberti 

l Emanuela Gallo 

l Pierguido Soprani 

REPERTORIO 

DI GIURISPRUDENZA 

(2 a parte) 

La seconda parte del repertorio raccoglie i commenti di alcune delle 

più interessanti sentenze in materia di sicurezza e di ambiente: 

Per i lavoratori che utilizzano i videoterminali il datore 

fornisce, a sue spese, i dispositivi speciali di correzione 

Corte di Giustizia delle Comunità europee, sesta sezione, 24 ottobre 

2002 (causa C-455/00) 

L’accertamento del nesso causale nei reati colposi: 


Cassazione penale, sez. unite, 11 settembre 2002, n. 30328 

Non basta osservare le prescrizioni normative 


Cassazione civile, sez. lavoro, 21 maggio 2002, n. 7454 

Sulle terre e rocce da scavo si pronuncia anche la Cassazione 

Corte di Cassazione, sez. III pen., 12 luglio 2002, n. 26611 

La rilevanza patrimoniale della bonifica 

si lega alla definizione di truffa ambientale 

Tribunale penale di Milano, sez. X, 20 maggio 2002 

Per i tralicci radiofonici abusivi basta il sequestro preventivo 

Corte di Cassazione, sez. III pen., 5 febbraio 2002, n. 4070

La corte di giustizia europea boccia nuovamente l’Italia sul D.Lgs. n. 626/1994 

Per i lavoratori che utilizzano i videoterminali 

il datore fornisce, a sue spese, i dispositivi speciali di co rezione 

La sentenza Corte di Giustizia delle Comunità europee, sesta sezione, 24 ottobre 2002 (causa C-455/00) 

costituisce il terzo intervento della Corte di Giustizia delle Comunità europee in materia di videoterminali. 

Dopo le pronunce di cui alle sentenze 12 dicembre 1996, in causa C-74/95, e 6 luglio 2000, in causa 

C-11/99, per la seconda volta l’Italia è stata convenuta in giudizio e condannata per un’errata trasposizione, 

nel testo del D.Lgs. n. 626/1994, della normativa comunitaria in materia, la direttiva 90/270/CEE. La 

disposizione normativa presa in considerazione dalla Corte è quella del comma 5 dell’art. 55 del D.Lgs. n. 

626/1994, la quale stabilisce, con riguardo ai lavoratori addetti ad attività lavorative che comportano 

l’uso di attrezzature munite di videoterminali, che «La spesa relativa alla dotazione di dispositivi speciali 

di correzione in funzione dell’attività svolta è a carico del datore di lavoro». Si ricorda ai lettori che 

Ambiente&Sicurezza ha dedicato al tema dei Videoterminali un intero supplemento, il n. 4/2001. 

L’intero supplemento e il testo integrale della sentenza sono disponibili on-line all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com/. 

Corte di Giustizia delle Comunità europee, sesta sezione, 

24 ottobre 2002 (causa C-455/00) 

Nella causa C-455/00, Commissione delle Comunità 

europee, rappresentata dal sig. A. Aresu, in qualità di 

agente, con domicilio eletto in Lussemburgo, ricorrente, 

contro Repubblica italiana, rappresentata dal sig. U. 

Leanza, in qualità di agente, assistito dal sig. D. Del Gaizo, 

avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo, 

convenuta, (omissis) 

La Corte (omissis) ha pronunciato la seguente Sentenza. 

1. Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria 

della Corte il 13 dicembre 2000, la Commissione delle 

Comunità europee ha proposto, ai sensi dell’art. 226, secondo 

comma, CE, un ricorso diretto a far dichiarare che: 

- non garantendo esami periodici degli occhi e della vista a 

tutti i lavoratori che utilizzano attrezzature dotate di videoterminali 

nel senso di cui all’art. 2, lett. c), della direttiva 

del Consiglio 29 maggio 1990, 90/270/CEE, relativa alle 

prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per 

le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali 

(quinta direttiva particolare ai sensi dell’articolo 

16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (G.U. L 156, 

pag. 14), 

- non assicurando un esame oculistico supplementare in 

tutti i casi in cui ciò risulti necessario in base ai periodici 

esami degli occhi e della vista, e 

- non definendo le condizioni alle quali devono essere 

forniti ai lavoratori interessati dispositivi speciali di corre- 

INSERTO 



zione in funzione dell’attività svolta, la Repubblica italiana 

è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a 

norma dell’art. 9, nn. 1-3, della detta direttiva. 

Contesto normativo 

Normativa comunitaria 

2. Ai sensi dell’art. 16, n. 1, della direttiva del Consiglio 

12 giugno 1989, 89/391/CEE, concernente l’attuazione di 

misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza 

e della salute dei lavoratori durante il lavoro (G.U. L 

183, pag. 1), «Il Consiglio, su proposta della Commissione, 

fondata sull’articolo 118 A del trattato, stabilisce direttive 

particolari riguardanti, fra l’altro, i settori di cui all’allegato». 

L’allegato della direttiva 89/391 riguarda, in particolare, 

«lavori con attrezzature dotate di video-terminali». 

3. L’art. 9 della direttiva 90/270, intitolato «Protezione 

degli occhi e della vista dei lavoratori», prevede ai nn. 1-4: 

«1. I lavoratori beneficiano di un adeguato esame degli 

occhi e della vista, effettuato da una persona che abbia le 

competenze necessarie: 

- prima di iniziare l’attività su videoterminale, 

- periodicamente, in seguito, e 

- allorché subentrino disturbi visivi attribuibili al lavoro su 

videoterminale. 

2. I lavoratori beneficiano di un esame oculistico, qualora 

l’esito dell’esame di cui al paragrafo 1 ne evidenzi la 

necessità. 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com III



3. I lavoratori devono ricevere dispositivi speciali di correzione 

in funzione dell’attività svolta, qualora i risultati 

dell’esame di cui al paragrafo 1 o dell’esame di cui al 

paragrafo 2 ne evidenzino la necessità e non sia possibile 

utilizzare dispositivi di correzione normali. 

4. Le misure prese in applicazione del presente articolo 

non devono assolutamente comportare oneri finanziari supplementari 

a carico dei lavoratori». 

Normativa italiana 

4. L’art. 377 del decreto del Presidente della Repubblica 

27 aprile 1955, n. 547 (G.U.R.I. n. 158 del 12 luglio 1995, 

Supplemento ordinario; in prosieguo: il «D.P.R. n. 

547/55»), prevede: 

«Il datore di lavoro (...) deve mettere a disposizione dei 

lavoratori mezzi personali di protezione appropriati ai rischi 

inerenti alle lavorazioni ed operazioni effettuate». 

5. L’art. 16, n. 2, del decreto legislativo 19 settembre 

1994, n. 626, di attuazione delle direttive 89/391/CEE, 

89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 

90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, riguardanti il miglioramento 

della sicurezza e della salute dei lavoratori 

durante il lavoro (G.U.R.I. n. 265 del 12 novembre 1994, 

Supplemento ordinario n. 141), come modificato dal decreto 

legislativo 19 marzo 1996, n. 242 (G.U.R.I. n. 104 del 6 

maggio 1996, Supplemento ordinario n. 75, in prosieguo: 

il «decreto legislativo n. 626/94»), dispone che la sorveglianza 

sanitaria è effettuata dal medico competente e 

comprende: 

«a) accertamenti preventivi intesi a constatare l’assenza di 

controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, 

ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione 

specifica; 

b) accertamenti periodici per controllare lo stato di salute 

dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla 

mansione specifica». 

6. L’art. 41 del decreto legislativo n. 626/94, che compare 

nel titolo IV: «Uso dei dispositivi di protezione individuale», 

prevede l’obbligo di usare dispositivi di protezione 

individuale (in prosieguo: i “DPI”) «quando i rischi non 

possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure 

tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, 

da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del 

lavoro». 

7. Gli artt. 43 e 44 del decreto legislativo n. 626/94, che 

compaiono del pari nel titolo IV, dispongono: 

«Articolo 43 

Obblighi del datore di lavoro. 

1. Il datore di lavoro ai fini della scelta dei DPI: 

a) effettua l’analisi e la valutazione dei rischi che non 

possono essere evitati con altri mezzi; 

INSERTO 

b) individua le caratteristiche dei DPI necessarie affinché 

questi siano adeguati ai rischi di cui alla lettera a), tenendo 

conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate 

dagli stessi DPI; 

c) valuta, sulla base delle informazioni a corredo dei DPI 

fornite dal fabbricante e delle norme d’uso di cui all’art. 45 

le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta 

con quelle individuate alla lettera b); 

d) aggiorna la scelta ogni qualvolta intervenga una variazione 

significativa negli elementi di valutazione. 

2. Il datore di lavoro, anche sulla base delle norme d’uso 

di cui all’art. 45, individua le condizioni in cui un DPI 

deve essere usato, specie per quanto riguarda la durata 

dell’uso, in funzione di: 

a) entità del rischio; 

b) frequenza dell’esposizione al rischio; 

c) caratteristiche del posto di lavoro di ciascun lavoratore; 

d) prestazioni del DPI. 

3. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori i DPI conformi 

ai requisiti previsti dall’art. 42 e dal decreto di cui all’art. 

45, comma 2. 

4. Il datore di lavoro: 

a) mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni 

d’igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le 

sostituzioni necessarie; 

b) provvede a che i DPI siano utilizzati soltanto per gli usi 

previsti, salvo casi specifici ed eccezionali, conformemente 

alle informazioni del fabbricante; 

c) fornisce istruzioni comprensibili per i lavoratori; 

d) destina ogni DPI ad un uso personale e, qualora le 

circostanze richiedano l’uso di uno stesso DPI da parte di 

più persone, prende misure adeguate affinché tale uso non 

ponga alcun problema sanitario e igienico ai vari utilizzatori; 

e) informa preliminarmente il lavoratore dei rischi dai 

quali il DPI lo protegge; 

f) rende disponibile nell’azienda ovvero unità produttiva 

informazioni adeguate su ogni DPI; 

g) assicura una formazione adeguata e organizza, se necessario, 

uno specifico addestramento circa l’uso corretto e 

l’utilizzo pratico dei DPI. 

5. In ogni caso l’addestramento è indispensabile: 

a) per ogni DPI che, ai sensi del D.Lgs. 4 dicembre 1992, 

n. 475, appartenga alla terza categoria; 

b) per i dispositivi di protezione dell’udito. 

Articolo 44 

Obblighi dei lavoratori. 

1. I lavoratori si sottopongono al programma di formazione 

e addestramento organizzato dal datore di lavoro nei 

casi ritenuti necessari ai sensi dell’art. 43, commi 4, lettera 

g),e5. 

IV www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

2. I lavoratori utilizzano i DPI messi a loro disposizione 

conformemente all’informazione e alla formazione ricevute 

e all’addestramento eventualmente organizzato. 

3. I lavoratori: 

a) hanno cura dei DPI messi a loro disposizione; 

b) non vi apportano modifiche di propria iniziativa. 

4. Al termine dell’utilizzo i lavoratori seguono le procedure 

aziendali in materia di riconsegna dei DPI. 

5. I lavoratori segnalano immediatamente al datore di 

lavoro o al dirigente o al preposto qualsiasi difetto o 

inconveniente da essi rilevato nei DPI messi a loro disposizione». 

8. L’art. 55 del decreto legislativo n. 626/94, che compare 

nel titolo VI: «Uso di attrezzature munite di videoterminali», 

è del seguente tenore: 

«Sorveglianza sanitaria 

1. I lavoratori, prima di essere addetti alle attività di cui al 

presente titolo, sono sottoposti ad una visita medica per 

evidenziare eventuali malformazioni strutturali e ad un 

esame degli occhi e della vista effettuati dal medico competente. 

Qualora l’esito della visita medica ne evidenzi la 

necessità, il lavoratore è sottoposto ad esami specialistici. 

2. In base alle risultanze degli accertamenti di cui al comma 

1 i lavoratori vengono classificati in: 

a) idonei, con o senza prescrizioni; 

b) non idonei. 

3. I lavoratori classificati come idonei con prescrizioni ed i 

lavoratori che abbiano compiuto il quarantacinquesimo 

anno di età sono sottoposti a visita di controllo con periodicità 

almeno biennale. 

4. Il lavoratore è sottoposto a controllo oftalmologico a 

sua richiesta, ogni qualvolta sospetta una sopravvenuta 

alterazione della funzione visiva, confermata dal medico 

competente. 

5. La spesa relativa alla dotazione di dispositivi speciali di 

correzione in funzione dell’attività svolta è a carico del 

datore di lavoro». 

Procedimento precontenzioso 

9. Considerando che l’art. 9, nn. 1-3, della direttiva 90/270 

non era stato trasposto correttamente nell’ordinamento italiano, 

la Commissione ha avviato il procedimento per 

inadempimento ai sensi dell’art. 226, primo comma, CE. 

Dopo aver invitato la Repubblica italiana a presentare le 

sue osservazioni, il 9 luglio 1999 la Commissione ha 

emesso un parere motivato chiedendo a tale Stato membro 

di adottare i provvedimenti necessari per conformarvisi 

entro due mesi dalla sua notifica. 

10. Non essendo pervenuta risposta al detto parere da parte 

del governo italiano, la Commissione ha proposto il ricorso 

in esame. 

INSERTO 



Sul ricorso 

11. Nel suo controricorso la Repubblica italiana ha informato 

la Corte del fatto che la legge 29 dicembre 2000, n. 

422, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi 

derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee 

- Legge comunitaria 2000 (G.U.R.I. n. 16 del 20 

gennaio 2001, Supplemento ordinario n. 14, pag. 14; in 

prosieguo: la «legge n. 422/2000»), ha sostituito, in particolare, 

i nn. 3 e 4 dell’art. 55 del decreto legislativo n. 626/94 

con i nuovi nn. 3, 3-bis,3-ter e4. 

12. Dopo aver esaminato tali disposizioni nazionali di 

trasposizione, la Commissione, nella sua replica, ha reso 

noto alla Corte che rinunciava a due addebiti ed ai capi 

delle conclusioni corrispondenti. 

13. Con l’addebito mantenuto, la Commissione contesta 

alla Repubblica italiana di aver violato l’art. 9, n. 3, della 

direttiva 90/270 non avendo definito le condizioni alle 

quali devono essere forniti ai lavoratori interessati dispositivi 

speciali di correzione in funzione dell’attività svolta. 

Argomenti delle parti 

14. La Commissione sostiene che l’art. 55 del decreto 

legislativo n. 626/94 non contiene disposizioni che garantiscano 

espressamente ai lavoratori il diritto di ricevere «dispositivi 

speciali di correzione in funzione dell’attività 

svolta», qualora ciò risulti necessario in seguito agli esami 

svolti e non sia possibile utilizzare dispositivi di correzione 

normali. Trattandosi della protezione della sicurezza e 

della salute dei lavoratori, il diritto ad ottenere tali dispositivi 

dovrebbe essere definito con assoluta chiarezza. Ebbene, 

la normativa italiana sarebbe ambigua e imprecisa. 

15. L’art. 55, n. 5, del decreto legislativo n. 626/94 si 

limiterebbe a indicare che «[L]a spesa relativa alla dotazione 

di dispositivi speciali di correzione in funzione dell’attività 

svolta è a carico del datore di lavoro», il che sarebbe 

chiaro, ma non sufficiente a individuare la «condizione 

costitutiva» del diritto del lavoratore ad usufruire di tali 

dispositivi. 

16. Il governo italiano sostiene che l’obbligo del datore di 

lavoro di fornire al lavoratore adeguate misure di protezione 

individuale è previsto al titolo IV del decreto legislativo 

n. 626/94. Gli artt. 41, 43 e 44 di tale decreto, correlati al 

nuovo testo dell’art. 55 dello stesso decreto, nella versione 

risultante dalla legge n. 422/2000, prevederebbero l’obbligo 

a carico del datore di lavoro di fornire al lavoratore i 

dispositivi di correzione che il medico competente può 

prescrivere in sede di visita preventiva o periodica. 

17. Tale governo sostiene inoltre che l’obbligo era già 

previsto nell’ordinamento giuridico nazionale in forza dell’art. 

377 del D.P.R. n. 547/55. 

18. La Commissione replica che la Repubblica italiana fa 

manifestamente confusione tra i «dispositivi speciali di 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com V



correzione», previsti dalla direttiva 90/270 per le attività 

lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali, 

ed i «dispositivi di protezione individuale», che sono previsti 

e disciplinati dalla direttiva del Consiglio 30 novembre 

1989, 89/656/CEE, relativa alle prescrizioni minime in 

materia di sicurezza e salute per l’uso da parte dei lavoratori 

di attrezzature di protezione individuale durante il lavoro 

(terza direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 

1, della direttiva 89/391) (G.U. L 393, pag 18). 

19. Nella sua controreplica il governo italiano ribadisce di 

aver correttamente trasposto l’art. 9, n. 3, della direttiva 

90/270, tenuto conto delle modifiche che la legge n. 

422/2000 ha apportato all’art. 55 del decreto legislativo n. 

626/94. Esso afferma che, alla stregua del principio generale 

di interpretazione logico-sistematica delle norme, secondo 

il quale il senso e la ratio delle disposizioni contenute 

in un unico testo legislativo - e a fortiori in un solo 

articolo, come nella fattispecie - non possono evincersi 

dalla mera lettura delle singole disposizioni, ma dall’interpretazione 

delle une alla luce delle altre, le misure di cui 

all’art. 55, nn. 3, 3-bis, 3-ter e 4, del decreto legislativo n. 

626/94, nella versione risultante dalla legge n. 422/2000, 

devono essere interpretate alla luce tanto dei nn. 1, 2 e 5 

dello stesso articolo quanto dell’art. 16 del detto decreto, al 

quale l’art. 55, n. 3, fa del pari rinvio. 

20. Tali disposizioni sancirebbero il diritto del lavoratore 

ad ottenere dispositivi speciali di correzione ogniqualvolta, 

a seguito di controlli effettuati mediante visite specialistiche, 

il medico competente ne prescriva l’utilizzo, e altresì 

porrebbero a carico del datore di lavoro l’onere della 

spesa relativa a questo tipo di dispositivi. 

Giudizio della Corte 

21. Da un lato, occorre ricordare che, per giurisprudenza 

costante, l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata 

in relazione alla situazione dello Stato membro quale 

si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere 

motivato e la Corte non può tener conto dei mutamenti 

successivi (v., in particolare, sentenze 30 gennaio 2002, 

causa C-103/00, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-1147, 

punto 23, e 30 maggio 2002, causa C-323/01, Commissione/Italia, 

non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 8). 

22. Nella fattispecie, la legge n. 422/2000, del 29 dicembre 

2000, è stata adottata oltre un anno dallo scadere del 

termine di due mesi previsto nel parere motivato datato 9 

luglio 1999. Le modifiche da essa introdotte nell’ordinamento 

giuridico italiano non possono pertanto essere prese 

in considerazione nell’ambito dell’esame della fondatezza 

del presente ricorso per inadempimento effettuato dalla 

Corte. 

23. D’altro lato, va pure ricordato che, secondo una consolidata 

giurisprudenza, in relazione alla trasposizione di una 

INSERTO 

direttiva nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, 

è indispensabile che l’ordinamento nazionale di cui trattasi 

garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva, 

che la situazione giuridica scaturente da tale ordinamento 

sia sufficientemente precisa e chiara e che i destinatari 

siano posti in grado di conoscere la piena portata dei 

loro diritti e, eventualmente, di avvalersene dinanzi ai 

giudici nazionali (v., in particolare, sentenze 23 marzo 

1995, causa C-365/93, Commissione/Grecia, Racc. pag. 

I-499, punto 9, e 10 maggio 2001, causa C-144/99, Commissione/Paesi 

Bassi, Racc. pag. I-3541, punto 17). 

24. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre 

esaminare se le disposizioni di diritto italiano vigenti all’epoca 

del termine previsto nel parere motivato rispondevano 

ai requisiti della direttiva. 

25. Risulta da tale esame che le disposizioni del D.P.R. n. 

547/55 e quelle del decreto legislativo n. 626/94, invocate 

dal governo italiano, non prescrivono in maniera sufficientemente 

chiara e precisa che i lavoratori devono ricevere 

dispositivi speciali di correzione in funzione dell’attività 

svolta qualora i risultati dell’esame degli occhi e della 

vista e di un esame oculistico, laddove quest’ultimo sia 

necessario, ne evidenzino la necessità e non sia possibile 


26. È vero che l’art. 55, n. 5, del decreto legislativo n. 

626/94 prevede che la spesa relativa alla dotazione di 

dispositivi speciali di correzione in funzione dell’attività 

svolta sia a carico del datore di lavoro, tuttavia tale disposizione 

si limita a recepire nell’ordinamento italiano l’art. 9, 

n. 4, della direttiva 90/270. Essa, di per sé, non costituisce 

la trasposizione dell’art. 9, n. 3, della stessa direttiva, in 

quanto non prevede, come prescritto invece da tale articolo, 

che i lavoratori abbiano diritto a dispositivi speciali di 

correzione qualora i risultati dell’esame degli occhi e della 

vista o i risultati dell’esame oculistico, eventualmente indispensabile, 

ne evidenzino la necessità. 

27. La lettura dell’art. 55 del decreto legislativo n. 626/94 

in combinato disposto con l’art. 16 dello stesso decreto 

non consente di pervenire ad una diversa constatazione. 

28. Riguardo all’argomento del governo italiano secondo 

cui l’art. 55 del decreto legislativo n. 626/94 deve essere 

interpretato in correlazione con gli artt. 41 e segg. dello 

stesso decreto, è sufficiente constatare che i «dispositivi 

speciali di correzione», previsti all’art. 9, n. 3, della direttiva 

90/270, riguardano la correzione di danni già esistenti, 

mentre i «dispositivi di protezione individuale», contemplati 

da tali articoli, sono diretti a prevenire tali danni. 

29. Non può essere neppure accolto l’argomento del governo 

italiano secondo il quale l’obbligo imposto dall’art. 9, 

n. 3, della direttiva 90/270 era già previsto nell’ordinamento 

giuridico nazionale in forza dell’art. 377 del D.P.R. n. 

547/55. I mezzi personali di protezione ai quali si riferisce 

VI www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

tale disposizione non sono, ancora una volta, mezzi destinati 

a impedire che si realizzi un rischio. 

30. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre 

dichiarare che, non definendo le condizioni alle quali devono 

essere forniti ai lavoratori interessati dispositivi speciali 

di correzione in funzione dell’attività svolta, la Repubblica 

italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai 

sensi dell’art. 9, n. 3, della direttiva 90/270. 

Sulle spese 

31. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, 

la parte soccombente è condannata alle spese se ne è 

stata fatta domanda. 

32. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica 

italiana, rimasta soccombente, va condannata alle 

spese. 

COMMENTO 

di Pierguido Soprani, magistrato 

La sentenza in commento costituisce 

il terzo intervento della 

Corte di Giustizia delle Comunità 

europee in materia di videoterminali. 

Dopo le pronunce di cui alle 

sentenze 12 dicembre 1996, in causa 

C-74/95, e 6 luglio 2000, in causa 

C-11/99, per la seconda volta 

l’Italia è stata convenuta in giudizio 

e condannata per un’errata trasposizione, 

nel testo del D.Lgs. n. 

626/1994, della normativa comunitaria 

in materia (si tratta della quinta 

direttiva particolare ai sensi dell’articolo 

16, paragrafo 1, della direttiva 

89/391/CEE, relativa alle 

prescrizioni minime di sicurezza e 

di salute per le attività lavorative 

svolte su attrezzature munite di videoterminali: 

direttiva 

90/270/CEE, (pubblicata in 

G.U.C.E. L del 21 giugno 1990, n. 

156). 

La disposizione normativa presa 

in considerazione dalla Corte è quella 

del comma 5 dell’art. 55 del decreto 

legislativo, la quale stabilisce, 

con riguardo ai lavoratori addetti ad 

attività lavorative che comportano 

l’uso di attrezzature munite di 

videoterminali, che «La spesa relativa 

alla dotazione di dispositivi spe- 

INSERTO 

ciali di correzione in funzione dell’attività 

svolta è a carico del datore 

di lavoro». 

Vi è da sottolineare che l’iniziale 

ricorso della Commissione, articolato 

su tre distinti capitoli di contestazione, 

era diretto a far dichiarare 

l’inadempimento, da parte della Repubblica 

italiana, degli obblighi ad 

essa incombenti a norma dell’art. 9, 

nn. 1-3 della suddetta direttiva 

90/270/CEE, così articolati: 

1) omessa garanzia della sottoposizione 

di tutti i lavoratori che utilizzano 

attrezzature dotate di videoterminali, 

ad esami periodici degli occhi 

e della vista; 

2) mancata assicurazione ai medesimi 

lavoratori videoterminalisti 

di un esame oculistico supplementare, 

in tutti i casi in cui ciò risulti 

necessario in base ai periodici esami 

degli occhi e della vista; 

3) mancata definizione delle condizioni 

alle quali devono essere forniti 

ai lavoratori interessati dispositivi 

speciali di correzione in funzione 

dell’attività svolta. 

Peraltro, nelle more del procedimento 

pendente innanzi alla Corte di 

Giustizia, l’Italia è intervenuta con la 

legge 29 dicembre 2000, n. 422 (re- 


Commento 

P.Q.M. 

La Corte (Sesta Sezione) 

dichiara e statuisce: 

1) Non definendo le condizioni alle quali devono 

essere forniti ai lavoratori interessati dispositivi speciali 

di correzione in funzione dell’attività svolta, la 

Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad 

essa incombenti ai sensi dell’art. 9, n. 3, della direttiva 

del Consiglio 29 maggio 1990, 90/270/CEE, relativa 

alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e 

di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature 

munite di videoterminali (quinta direttiva particolare 

ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 

89/391/CEE). 

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese. 

cante disposizioni per l’adempimento 

di obblighi derivanti dall’appartenenza 

dell’Italia alle Comunità europee - 

legge Comunitaria 2000, in S.O. n. 

14 alla Gazzetta Ufficiale del 20 gennaio 

2001, n. 16) ad apportare modifiche 

al testo dell’art. 55 del D.Lgs. n. 

626/1994. In particolare l’originaria 

previsione dei commi 3 e 4 è stata 

sostituita con gli attuali commi 3, 

3-bis, 3-ter e 4 (si veda la tabella 1), 

cosicché la Commissione ha reso noto 

di voler rinunciare agli addebiti formulati 

sub 1) e sub 2), insistendo nel 

ricorso limitatamente all’addebito 

sub 3). 

(omissis) 

È dunque solo con riguardo al 

citato art. 55, comma 5, del D.Lgs. 

n. 626/1994 che l’avvocato generale 

ha concluso per la condanna dell’Italia 

per inadempimento degli obblighi 

di trasposizione e di recepimento 

della direttiva 90/270/CEE. 

Le conclusioni addotte a sostegno 

del ricorso si possono sintetizzare 

come segue: 

l la disposizione della direttiva 

90/270/CEE del cui mancato recepimento 

si discute (art. 9, n. 3) riconosce 

ai lavoratori il diritto di usufruire 

di dispositivi speciali di correzio- 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com VII


Commento 

Art. 55 - Sorveglianza sanitaria 

(testo originario) 

3. I lavoratori classificati come idonei con prescrizioni ed 

i lavoratori che abbiano compiuto il quarantacinquesimo 

anno di età sono sottoposti a visita di controllo con 

periodicità almeno biennale. 


sua richiesta, ogni qualvolta sospetta una sopravvenuta 


competente. 

ne in funzione dell’attività svolta, 

qualora i risultati degli esami a cui 

si riferiscono i detti commi della 

norma ne evidenzino la necessità e 

non sia possibile utilizzare dispositivi 

di correzione normali, laddove 

nel D.Lgs. n. 626/1994 non vi sono 

disposizioni di analogo contenuto; 

l sebbene l’art. 55, comma 5 del 

decreto legislativo imponga al datore 

di lavoro l’obbligo di far fronte 

alla spesa relativa alla dotazione di 

tali dispositivi speciali, tale previsione 

è tuttavia insufficiente a individuare 

la “condizione costitutiva” del 

diritto dei lavoratori a usufruirne. 

Il Governo italiano ha seguito 

due distinte linee di difesa, entrambe 

facenti leva su di un’interpretazione 

sistematica della disciplina 

del D.Lgs. n. 626/1994: 

l con la prima, affermando che 

l’art. 55 del decreto deve essere interpretato 

congiuntamente agli artt. 

41 e segg., in cui sono disciplinati i 

diritti e gli obblighi dei lavoratori e 

del datore di lavoro in relazione ai 

dispositivi di protezione individuale 

cui si riferisce la direttiva 89/656/ 

CEE, il cui ambito di applicazione è 

distinto e più ampio di quello della 

INSERTO 

D.Lgs. n. 626/1994: l’articolo 55 a confronto 


(testo risultante a seguito delle modifiche 

apportate dalla legge n. 422/2000) 

(omissis) 

(omissis) 

direttiva 90/270/CEE oggetto del ricorso; 

l con la seconda, sostenendo che 

un’interpretazione sistematica dei 

singoli commi del citato art. 55 del 

decreto, alla luce del precedente art. 

16, dimostra che l’art. 9, n. 3, della 

direttiva è stato correttamente recepito 

nel diritto interno italiano. 

La Commissione ha per vero contrastato 

entrambi gli argomenti addotti 

a discarico, rilevando: 

l quanto al primo, che i dispositivi 

di protezione individuale a cui si 

riferisce la direttiva 89/656/CEE 

hanno ad oggetto la tutela preventiva 

dei lavoratori, mentre i dispositivi 

di correzione speciali previsti per 

i lavoratori videoterminalisti sono 

volti a porre rimedio a situazioni in 

cui i controlli medici pertinenti mettono 

in evidenza l’esistenza di un 

rischio effettivo, già manifestatosi, 

per la salute del lavoratore; e che la 

previsione dell’obbligo del datore 

di lavoro di fornire ai lavoratori, in 

linea generale, dispositivi di protezione 

individuale non garantisce 

l’effettivo riconoscimento del diritto 

che conferisce loro l’art. 9, n. 3, 

della direttiva, il quale, impone che 

TABELLA 1 

3. I lavoratori sono sottoposti a sorveglianza sanitaria, 

ai sensi dell’articolo 16. 

3-bis. Le visite di controllo sono effettuate con le modalità 

di cui ai commi 1 e 2. 

3-ter. La periodicità delle visite di controllo, fatti salvi i 

casi particolari che richiedono una frequenza diversa 

stabilita dal medico competente, è biennale per i lavoratori 

classificati come idonei con prescrizioni e per i lavoratori 

che abbiano compiuto il cinquantesimo anno 

di età; quinquennale negli altri casi. 


sua richiesta, ogniqualvolta sospetti una sopravvenuta 


competente, oppure ogniqualvolta l’esito della visita 

di cui ai commi 1 e 3 ne evidenzi la necessità. 

ai lavoratori videoterminalisti, allorchè 

i dispositivi di correzione normali 

si dimostrino insufficienti, vengano 

appositamente forniti dispositivi 

speciali di correzione; 

l quanto al secondo, che l’art. 55 

del D.Lgs. n. 626/1994, letto congiuntamente 

all’art. 16, impone bensì 

l’obbligo di sottoporre i lavoratori 

che svolgono la loro attività su attrezzature 

munite di videoterminali ad 

esami medici prima di essere adibiti 

all’attività e, successivamente, anche 

a esami specialistici e a controlli oculistici; 

tuttavia, detta norma non riconosce 

in alcun modo ai suddetti lavoratori 

il diritto incondizionato a ricevere 

dispositivi speciali di correzione, 

quando il risultato di tali controlli 

ed esami lo consiglino, e vi sia una 

prescrizione del medico competente 

in tal senso, limitandosi il comma 5 

della norma in esame a porre a carico 

del datore di lavoro le spese relative 

alla dotazione dei detti dispositivi, 

senza specificarne peraltro le ipotesi 

concrete. 

Da ultimo, la Commissione non 

ha mancato di rilevare che in un 

settore come quello della tutela della 

sicurezza e della salute dei lavora- 

VIII www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

tori, intimamente legato al miglioramento 

delle condizioni di vita e di 

lavoro (obiettivi cui il legislatore 

comunitario ha ricondotto in capo 

agli Stati membri l’assolvimento di 

precisi obblighi), l’adattamento delle 

normative nazionali a quanto imposto 

dal Trattato CE e dal diritto 

derivato, deve essere chiaro e incondizionato, 

tanto più nei casi - come 

quello di specie - in cui la direttiva 

comunitaria indica la soglia minima 

alla quale devono adeguarsi le legislazioni 

degli Stati membri. Sicché 

la trasposizione nell’ordinamento 

giuridico interno deve essere sufficientemente 

fedele, e deve essere 

effettuata in modo tale che non vi 

sia alcun dubbio sull’effettivo recepimento, 

nell’ordinamento giuridico 

interno, dei diritti e degli obblighi 

definiti dal legislatore europeo 

(si rimanda sul punto, tra le altre, 

alle sentenze 23 maggio 1985, causa 

C-29/84, Commissione/Germania, 

Racc. pag. I-1661, punto 23, 23 

marzo 1995, causa C-365/93, Commissione/Grecia, 

Racc. pag. I-499, 

punto 9, e 10 maggio 2001, causa 

C-144/99, Commissione/Paesi Bassi, 

Racc. pag. I-3541, punto 17). 

È a questo principio di leale cooperazione, 

sancito nell’art. 10 del 

Trattato CE, che la Corte di Giustizia 

si è attenuta in sede decisoria, 

Art. 9 - Protezione degli occhi e della vista dei lavoratori 

(omissis) 

3. I lavoratori devono ricevere dispositivi speciali di correzione in funzione dell’attività svolta, qualora i risultati 

dell’esame di cui al paragrafo 1 o dell’esame di cui al paragrafo 2 ne evidenzino la necessità e non sia possibile 


D.Lgs. n. 626/94 


testo attuale (censurato) 

(omissis) 

5. - La spesa relativa alla dotazione di dispositivi speciali 

di correzione in funzione dell’attività svolta è a carico 

del datore di lavoro. 

INSERTO 

ritenendo l’inadempimento dell’Italia 

agli obblighi comunitari, e rilevando, 

nel merito, che i «dispositivi 

speciali di correzione», previsti all’art. 

9, n. 3, della direttiva 

90/270/CEE, «riguardano la correzione 

di danni già esistenti», mentre 

i «dispositivi di protezione individuale, 

contemplati negli artt. 41 e 

ss. del D.Lgs. n. 626/1994, sono diretti 

«a prevenire tali danni» e, 

quanto ai mezzi personali di protezione 

ai quali si riferisce l’art. 377 

del DP.R. n. 547/1955, essi non sono 

destinati «a impedire che si realizzi 

un rischio». 

Essendo la Corte di Giustizia 

l’organo giurisdizionale competente 

a pronunciarsi, in via pregiudiziale, 

sull’interpretazione degli atti normativi 

adottati dalle istituzioni della 

Comunità (tra i quali sono ricomprese 

anche le direttive emanate dal 

Consiglio europeo), e prevedendo 

l’art. 228 del Trattato CE che, quando 

essa riconosca che uno Stato 

membro ha mancato ad uno degli 

obblighi ad esso incombenti in virtù 

del Trattato, tale Stato «è tenuto a 

prendere i provvedimenti che l’esecuzione 

della sentenza della Corte 

di giustizia comporta», il Governo 

ha apprezzabilmente manifestato la 

chiara volontà di un tempestivo adeguamento 

legislativo, prevedendo, 


Commento 

nell’art. 8 della legge Comunitaria 

2002 [già approvata dal Senato in 

data 17 luglio 2002, ed ora in trattazione 

alla Camera (N. 3061-A)], la 

riformulazione del comma 5 dell’art. 

55 del D.Lgs. n. 626/1994, nei 

termini seguenti: «Il datore di lavoro 

fornisce, a sue spese, ai lavoratori 

i dispositivi speciali di correzione, 

in funzione dell’attività svolta, 

qualora i risultati degli esami di cui 

ai commi 1, 3-ter e 4 ne evidenzino 

la necessità e non sia possibile utilizzare 

i dispositivi normali di correzione». 

(si veda la tabella 2). 

Ancora una volta l’approssimazione 

della legislazione italiana, e 

l’inconsistente fragilità della sua difesa, 

sono state stigmatizzate dagli 

organi di Giustizia europei: residua 

ora l’ulteriore problema di rilievo 

anche costituzionale, per sospetta 

violazione del criterio e principio 

direttivo generale stabilito dall’art. 

2, lett. d) della legge-delega 19 febbraio 

1992, n. 142 - relativo alla 

mancata previsione di sanzione penale 

per l’inosservanza dell’art. 55, 

comma 5, del D.Lgs. n. 626/1994, 

nel testo riformato: norma la cui 

violazione, esponendo a pericolo il 

bene della salute dei lavoratori, indefettibilmente 

necessita di essere 

presidiata da un idoneo regime sanzionatorio. 

l 

TABELLA 2 

Direttiva 90/270/CEE: verso un’adeguamento legislativo 

testo in esame alla Camera dei Deputati 

(legge Comunitaria 2002) 

(omissis) 

5. - Il datore di lavoro fornisce, a sue spese, ai lavoratori 

i dispositivi speciali di correzione, in funzione dell’attività 

svolta, qualora i risultati degli esami di cui ai commi 

1, 3-ter e 4 ne evidenzino la necessità e non sia possibile 

utilizzare i dispositivi normali di correzione. 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com IX



Il giudice penale deve chiarire il fatto-reato in termini di assoluta certezza 

L’accertamento del nesso causale nei reati colposi: 

diri to e scienza sono sempre più vicine 

L’accertamento giuridico del nesso causale nei reati colposi riguarda ipotesi diverse attinenti all’attività 

medico-chirurgica, alle malattie professionali, alle alterazioni e ai disastri ambientali, al danno da 

prodotto e ha assistito ad uno sviluppo giurisprudenziale temporalmente assai significativo che ha 

dimostrato vieppiù come il diritto sia intimamente connesso agli sviluppi della scienza in generale e di 

quella medica in particolare. La Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza dell’11 settembre 2002, n. 

30328, risolve il contrasto giurisprudenziale, sorto all’interno della quarta sezione, in tema dei reati 

omissivi impropri e definisce una serie di principi che riconoscono al giudice la libertà di giudizio in 

materie di assai difficile valutazione. Il testo integrale della sentenza è disponibile on-line all’indirizzo 

http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com/. 

Cassazione penale, sez. unite, 11 settembre 2002, n. 30328 

Ritenuto in fatto 

1. Il Pretore di Napoli con sentenza del 28.4.1999 

dichiarava il dott. (...) colpevole del reato di omicidio 

colposo (per avere, in qualità di responsabile della XVI 

divisione di chirurgia dell’ospedale Cardarelli - dove 

era stato ricoverato dal 9 al 17 aprile 1993 (...), dopo 

avere subito il 5 aprile intervento chirurgico d’urgenza 

per perforazione ileale, determinato l’insorgere di una 

sepsi addominale da “clostridium septicum” che cagionava 

il 22 aprile la morte del paziente) e, con le attenuanti 

generiche, lo condannava alla pena di mesi otto 

di reclusione, oltre il risarcimento del danno a favore 

della parte civile da liquidarsi in separato giudizio, alla 

quale assegnava a titolo di provvisionale la somma di 

lire 70.000.000. 

Il giudice di primo grado, all’esito di un’attenta ricostruzione 

della storia clinica del (...), riteneva fondata l’ipotesi 

accusatoria, secondo cui l’imputato non aveva compiuto 

durante il periodo di ricovero del paziente una corretta 

diagnosi né praticato appropriate cure, omettendo per negligenza 

e imperizia di valutare i risultati degli esami 

ematologici, che avevano evidenziato una marcata neutropenia 

ed un grave stato di immunodeficienza, e di curare 

l’allarmante granulocitopenia con terapie mirate alla copertura 

degli anaerobia livello intestinale, autorizzando anzi 

l’ingiustificata dimissione del paziente giudicato “in via di 

INSERTO 

guarigione chirurgica”. Diagnosi e cura che, se doverosamente 

realizzate, sarebbero invece state, secondo i consulenti 

medico-legali e gli autorevoli pareri della letteratura 

scientifica in materia idonee ad evitare la progressiva evoluzione 

della patologia infettiva letale “con alto grado di 

probabilità logica o credibilità razionale”. 

(omissis) 

Considerato in diritto 

1. Il problema centrale del processo, sollevato sia dal 

ricorrente che dalla Sezione mittente, ha per oggetto 

l’esistenza del rapporto causale fra la condotta (prevalentemente 

omissiva) addebitata all’imputato e l’evento 

morte del paziente e, di conseguenza, la correttezza 

logico-giuridica della soluzione ad esso data dai giudici 

di merito. 

È stata sottoposta all’esame delle Sezioni Unite la 

controversa questione se «in tema di reato colposo omissivo 

improprio, la sussistenza del nesso di causalità fra 

condotta omissiva ed evento, con particolare riguardo 

alla materia della responsabilità professionale del medico-chirurgo, 

debba essere ricondotta all’accertamento 

che con il comportamento dovuto ed omesso l’evento 

sarebbe stato impedito con elevato grado di probabilità 

“vicino alla certezza”, e cioè in una percentuale di casi 

“quasi prossima a cento”, ovvero siano sufficienti, a tal 

X www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

fine, soltanto “serie ed apprezzabili probabilità di successo” 

della condotta che avrebbe potuto impedire 

l’evento» (omissis) 

4. Nel prendere atto che nel caso in esame si viene in 

una fattispecie di causalità (prevalentemente) omissiva 

attinente all’attività medico-chinugica, e da porre in 

evidenza innanzi tutto l’essenza normativa del concetto 

di “omissione”, che postula una relazione con un modello 

alternativo di comportamento attivo, specifico e imposto 

dall’ordinamento. 

Il “reato omissivo impoprio” o “commissivo mediante 

omissione”, che è realizzato da chi viola gli speciali 

dove ricollegati alla posizione di garanzia non impedendo 

il verificarsi dell’evento, presenta una spiccata autonomia 

dogmatica, scaturendo esso dall’innesto della 

clausola generale di equivalenza causale stabilita dall’art. 

40, comma 2, cod. pen. sulle disposizioni di parte 

speciale che prevedono le ipotesi base di reato commissivo 

orientate verso la produzione di un evento lesivo, 

suscettivo così di essere convertite in corrispondenti 

ipotesi omissive: autonomia che, per l’effetto estensivo 

dell’area della punibilità, pone indubbi problemi di legalità 

e determinatezza della fattispecie criminosa. 

Ma la presenza nei reati omissivi impropri, accanto 

all’equivalente normativo della causalità, di un ulteriore, 

forte, nucleo normativo, relativo sia alla posizione di 

garanzia che agli specifici doveri di diligenza, la cui 

inosservanza fonda la colpa dell’agente, tende ad agevolare 

una prevaricazione di questi elementi rispetto all’ordinaria 

sequenza che deve muovere dalla spiegazione 

del nesso eziologico. 

Di talché, con particolare riferimento ai settori delle 

attività medico-chirurgiche, delle malattie professionali, 

delle alterazioni ambientali e del danno da prodotto, 

dall’erosione del paradigma causale nell’omissione, asseritamente 

motivata con l’incertezza costitutiva e con i 

profili altamente ipotetici della condizionalità, a fronte 

della pluralità e inconoscibilità dei fattori interagenti, 

trae alimento la teoria della “imputazione oggettiva 

dell’evento”. 

Questa è caratterizzata dal riferimento alla sufficiente 

efficacia esplicativa del fenomeno offerta dalla mera 

“possibilità” o anche da inadeguati efficienti di probabilità 

salvifica del comportamento doveroso, espressa in 

termini di “aumento - o mancata diminuzione - del 

rischio” di lesione del bene protetto o di diminuzione 

INSERTO 



delle chances di salvezza del medesimo bene (vita, 

incolumità fisica, salute, ambiente), di cui si esalta lo 

spessore primario e rilevante. Pure in assenza, cioè, 

dell’accertamento rigoroso che, qualora si fosse tenuta 

da parte dell’agente la condotta doverosa e diligente (ad 

esempio, in materia di responsabilità medica: diagnosi 

corretta, terapia adeguata e intervento tempestivo), il 

singolo evento di danno non si sarebbe verificato o si 

sarebbe comunque verificato, ma in epoca significativamente 

posteriore o con minore intemia lesiva. 

(omissis) 

9. In ordine al problema dell’accertamento del rapporto 

di causalità, con particolare riguardo alla categoria 

dei reati omissivi impropri ed allo specifico settore 

dell’attività medico-chirurgica, devono essere pertanto 

enunciati, ai sensi dell’art. 173.3 n. att. c.p.p. i seguenti 

principi di diritto. 

a) Il nesso causale può essere ravvisato quando, alla 

stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base 

di una generalizzata regola di esperienza o di una legge 

scientifica universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi 

come realizzata dal medico la condotta doverosa 

impeditiva dell’evento hic et nunc, questo non si 

sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in 

epoca significativamente posteriore o con minore intensità 

lesiva. 

b) Non è consentito dedurre automaticamente dal 

coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica 

la conferma, o meno dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza 

del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne 

la validità nel caso concreto, sulla base delle 

circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così 

che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia 

altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti 

giustificata e processualmente certa la conclusione che 

la condotta omissiva del medico è stata condizione 

necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevalo grado 

di credibilità razionale” o “probabilità logica”. 

c) L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza 

del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso 

causale, quindi, il ragionevole dubbio, in base all’evidenza 

disponibile, sulla reale efficacia condizionante 

della condotta omissiva del medico rispetto ad altri 

fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, 

comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata 

dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio. 

(omissis) 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XI


Commento 

COMMENTO 


giuridico del 

nesso causale nei reati col- 

L’accertamento 

posi riguarda ipotesi diverse 

attinenti all’attività medico-chirurgica, 

alle malattie professionali, 

alle alterazioni e ai disastri ambientali, 

al danno da prodotto e ha assistito 

ad uno sviluppo giurisprudenziale 

temporalmente assai significativo 

che ha dimostrato vieppiù come il 

diritto sia intimamente connesso 

agli sviluppi della scienza in generale 

e di quella medica in particolare. 

Invero, la dottrina tradizionale 

ricollegava l’ambito della responsabilità 

medica professionale al disposto 

dell’art. 2236 c.c. che, inserito 

nella normativa disciplinante 

il rapporto obbligatorio causa giuridica 

delle professioni intellettuali, 

nel caso in cui «la prestazione implichi 

la soluzione di problemi tecnici 

di speciale difficoltà» limita la 

responsabilità del prestatore d’opera 

al dolo o alla colpa grave. 

Quindi, si affermava (Cass., sent. 

del 16 luglio 1984, n. 6650) che la 

valutazione del giudice in tema di 

responsabilità per delitto colposo 

nell’esercizio della professione medica 

doveva distinguere a seconda 

delle contestazioni mosse agli operatori 

medici del caso concreto. 

Infatti, la valutazione del giudice 

doveva essere “particolarmente larga” 

nel caso in cui fosse stata contestata 

l’imperizia che sarebbe stata 

particolarmente rilevante solo se 

avesse integrato la colpa grave prevista 

dall’art. 2236 c.c. Invece, nel 

caso in cui fosse stato contestato al 

medico l’addebito della colpa consistita 

nella negligenza, la valutazione 

del giudice avrebbe dovuto essere 

effettuata «secondo i criteri normali 

di comune applicazione». L’attenuazione 

della responsabilità ai soli 

casi soggettivi di dolo o colpa 

grave riguarda esclusivamente la 

prestazione in casi di particolare difficoltà 

tecnica. La colpa grave veni- 

INSERTO 

va ravvisata (Cass., sent. del 6 giugno 

1981, n. 5555, Cass., sent. n. 

1547/1982) sia nella disapplicazione 

a causa di errore inescusabile delle 

regole di arte medica previste per 

il caso concreto, sia nell’assoluta carenza 

di «abilità e perizia tecnica e 

diligenza che non debbono mai mancare 

in chi eserciti la professione 

sanitaria». 

Aggiungasi che la stessa sentenza 

opera una necessaria distinzione tra il 

grado di perizia che l’ordinamento 

giuridico può esigere dall’operato di 

un medico generico e da quello di 

uno specialista al quale «in considerazione 

della acquisita specializzazione, 

si deve richiedere con maggiore 

sverità l’uso della massima dirigenza 

e prudenza». 

La giurisprudenza (Cass., sent. dell’11 

aprile 1987, n. 4515) ha stabilito 

che l’esclusione della colpa professionale 

trova un necessario limite nella 

condotta del professionista allorquando 

la stessa appaia incompatibile 

«con il minimo di cultura e di esperienza 

che deve legittimamente pretendersi 

in colui che sia abilitato all’esercizio 

della professione medica». 

Da tale principio consegue che 

il giudizio deve riportarsi ex ante, 

ovvero al momento in cui il medico 

ebbe ad operare sul paziente al 

fine dell’apprezzamento anche del 

grado di sopravvivenza del paziente 

a seguito delle cure prestate. 

Detto giudizio probabilistico è stato 

previsto (Cass., sent. del 23 novembre 

1990, n. 15565) al fine di 

ricercare il nesso di causalità tra 

la condotta del medico e l’evento 

mortale: in tale caso al criterio 

della certezza sugli effetti della 

condotta può essere sostituito il 

criterio della probabilità di detti 

effetti e della idoneità a produrli. 

Perciò è stato affermato che sussiste 

il rapporto causale tra l’operato 

del medico e la morte del paziente 

anche quando l’opera del 

medico «se correttamente e tempestivamente 

intervenuta, avrebbe 

avuto non già la certezza, bensì 

soltanto serie ed apprezzabili possibilità 

di successo, tali che la vita 

del paziente sarebbe stata probabilmente 

salvata». 

Tale orientamento è stato confermato 

(Cass., sent. del 17 gennaio 

1992, n. 371) con una sentenza che 

ha avuto una certa eco sulla stampa 

nazionale che ha polemicamente divulgato 

l’istituzione della cosiddetta 

“giustizia a percentuale”. Il caso 

trattato consisteva in un omicidio 

colposo per tardiva diagnosi di infezione 

tetanica in una donna sottoposta 

a taglio cesareo. 

La Corte di Cassazione rigettò il 

ricorso della difesa degli imputati 

contro la sentenza di condanna che 

aveva ravvisato l’esistenza del nesso 

causale tra la condanna omissiva 

dei medici (che non avevano effettuato 

l’iniezione antitetanica nella 

partoriente) e la morte della donna, 

poiché ricorreva la probabilità del 

trenta per cento che un corretto e 

tempestivo intervento medico avrebbe 

comportato un esito positivo per 

la vita della paziente (la quale pertanto 

avrebbe avuto una possibilità 

di vita del trenta per cento in più nel 

caso di somministrazione dell’iniezione 

antitetanica). 

Inoltre, al fine di delineare la definizione 

di lesione penalmente rilevante 

nella chirurgia estetica, si é 

affermato (Cass., sent. del 9 dicembre 

1996 - ud. 14 novembre 1996, 

n. 10643) che il concetto clinico di 

malattia richiede il concorso del requisito 

essenziale di una riduzione 

apprezzabile di funzionalità, a cui 

può anche non corrispondere una 

lesione anatomica, e di quello di un 

fatto morboso in evoluzione, a breve 

o a lunga scadenza, verso un 

esito che potrà essere la guarigione 

perfetta, l’adattamento a nuove condizioni 

di vita oppure la morte. Per- 

XII www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

tanto non costituiscono una malattia, 

né integrano il concetto di lesioni 

penalmente rilevanti le alterazioni 

anatomiche alle quali non si accompagna 

una riduzione apprezzabile 

di funzionalità. 

Nel caso trattato i medici chirurghi 

erano stati imputati del delitto previsto 

e punito dall’articolo 590 c.p. e 

vennero assolti con la formula «perché 

il fatto non è previsto dalla legge 

come reato» nonostante la persona offesa 

avesse subito un intervento chirurgico 

al seno a cui era derivata 

l’asimmetricità delle mammelle e dei 

capezzoli. I giudici di appello avevano 

riconosciuto in tali conseguenze 

una lesione giuridicamente rilevante, 

poiché era avvenuta un’alterazione 

peggiorativa della preesistente condizione 

anatomica in cui tali asimmetrie 

non erano presenti, tuttavia avevano 

escluso che la stessa integrasse il concetto 

di malattia, valido penalmente, 

ed avevano ristretto la responsabilità 

dei medici chirurghi esclusivamente 

al risarcimento dei danni civili. La 

Corte di Cassazione concludeva la vicenda 

rilevando che anche laddove il 

danno lamentato avesse cagionato alla 

parte lesa l’indebolimento permanente 

della funzione estetica di una 

parte della cute, in ogni modo, l’evento 

era ugualmente penalmente irrilevante 

in quanto l’unico inestetismo 

cutaneo permanente di rilevanza penale 

è la lesione gravissima che riguarda 

il viso. 

Per quanto attiene il margine di 

discrezionalità del medico in ordine 

alla diagnosi ed alla terapia si 

osserva (Cass., sent. del 22 ottobre 

1998 - ud. 10 giugno 1998, n. 

11024) che il medesimo si riduce 

fino ad annullarsi allorquando le 

INSERTO 

manifestazioni della malattia sono 

così vistose e univoche, che il non 

rilevarle appaia incompatibile con 

il minimo di preparazione ed esperienza 

richiesto dalla specializzazione 

conseguita. 

Il caso riguardava un decesso, dovuto 

a un’erronea diagnosi formulata 

a un detenuto da parte di uno 

psichiatra convenzionato con l’istituto 

di pena e confermata più volte 

e a cui seguiva un’inadeguata terapia, 

nonostante l’esito degli accertamenti 

che avrebbero dovuto consigliare, 

invece, ipotesi di patologie 

diverse e un conseguente intervento 

chirurgico compiuto, peraltro tardivamente 

e, quindi, inutilmente ai fini 

della guarigione, che sarebbe sicuramente 

avvenuta qualora fosse 

stata formulata una tempestiva e corretta 

diagnosi. 

Invero, il medico (Cass., sent. del 

29 settembre 1999 - ud. 2 marzo 

1999, n. 11169) ha l’obbligo di intervenire 

con tutti i mezzi disponibili 

per salvare la vita e al salute della 

persona anche nei casi in cui il successo 

sia dubbio. 

L’ipotesi esaminata atteneva all’operato 

di un ostetrico che veniva 

ritenuto responsabile del decesso di 

un neonato, nato prematuro ed erroneamente 

ritenuto privo di vita, che, 

invece, secondo le risultanze peritali 

aveva non trascurabili possibilità 

di sopravvivenza qualora fosse stato 

adeguatamente soccorso. 

Il fondamento del rigore di tale pronuncia 

si fonda sul precedente orientamento 

giurisprudenziale (Cass., sent. 

del 7 giugno 1999 - ud. 11 gennaio 

1999, n. 7151) che nei reati colposi 

ravvisa il rapporto di causalità in 

quanto sia formato sulla base di rego- 


Commento 

le giuridiche, non naturalistiche (ovvero 

le cosiddette leggi di copertura) 

volte a dimostrare che, al momento 

della condotta, si poteva oggettivamente 

ritenere l’evento che poi ne è 

scaturito quale conseguenza necessaria 

o probabile. 

In particolare, nei reati omissivi 

connessi ad una posizione di garanzia 

dell’agente, quale è quella del 

medico, occorre accertare se una determinata 

condotta, in realtà omessa, 

fosse ugualmente capace, nel caso 

concreto, di impedire l’evento 

non voluto. 

Per la Suprema Corte se l’azione 

comandata dovesse risultare, sulla 

base del ricordato giudizio di prognosi 

postuma, incapace di modificare 

il corso degli eventi, resta escluso 

il nesso di causalità. 

In applicazione di tale principio 

la Corte di Cassazione escludeva il 

nesso di causalità tra l’omessa effettuazione 

di attività diagnostica, 

la TAC e la morte del paziente 

poiché i giudici di merito avevano 

accertato che nel tempo necessario 

a predisporre tale indagine la malattia 

avrebbe avuto ugualmente esito 

letale. 

In ogni caso la giurisprudenza 

più recente [1] rileva che l’accertamento 

della colpa professionale 

deve essere effettuato sulla base 

non delle norme civilistiche sull’inadempimento 

nell’esecuzione 

del contratto, ma delle norme penali 

poiché la condotta colposa, la 

quale implica un giudizio di responsabilità 

penale, incide su beni 

primari, quali la vita o la salute 

delle persone e non su aspetti patrimoniali 

o economici [2] . 

Osservasi che (Cassazione civile, 

[1] Cass., sez. IV, sent. del 11 febbraio 1998 - ud. 29 settembre 1997, n. 1693, Pres. Nappi, Rel. Losapio, Imp. Azzini e altro, PM 

(Conf.) Galati, n. C.E.D. Cassazione 210351. 

[2] In materia di accertamento sulla responsabilità medica può citarsi la seguente recente dottrina: 

- Anello Nappi, Il medico tra responsabilità professionale e involuzione burocratica. La responsabilità penale, pubblicata in 

Cassazione Penale, vol. XLI, aprile 2001, pagg. 1351-1355, il quale rileva che gli orientamenti della giurisprudenza in tema di 

responsabilità penale del medico non sono sempre univoci e non riescono a costringere in confini rigidi ed assoluti l’ambito 

dell’illecito per cui l’autore conclude che si può ben dire che la professione sanitaria è attività rischiosa non solo per il 

paziente, ma anche per il medico; 

(segue) 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XIII


Commento 

sezione III, sentenza del 6 novembre 

2001, n. 13694) l’esclusione della responsabilità 

del medico in sede penale 

non impedisce che il fatto possa 

essere valutato ai fini disciplinari. La 

sentenza rileva che è invalida la decisione 

del collegio professionale che 

abbia omesso di giudicare un comportamento 

dell’incolpato ritenendo 

sottratto al suo sindacato e rimesso 

esclusivamente al giudice ordinario 

il potere di valutazione circa la veridicità 

o falsità delle dichiarazioni rese 

da un medico in sede di testimonianza 

penale. La dottrina penalistica 

[3] è concorde nel ritenere che l’interpretazione 

degli artt. 40 e 41 c.p. 

in tema di nesso causale tra la condotta 

(anche omissiva) dell’agente e 

l’evento, deve essere compiuta sulla 

base della teoria condizionalistica o 

dell’equivalenza delle cause. Invero, 

risentendo di tale dottrina la giurisprudenza 

più recente [4] ha affermato che 

il giudice penale deve accertare il fatto-reato 

in termini di assoluta certezza 

(e non operando più esclusivo riferimento 

a dati statistici o probabilistici) 

e deve, pertanto, giungere ad una 

ricostruzione logica e certa. In particolare, 

il giudice nei casi di causalità 

omissiva non può affermare l’esisten- 

INSERTO 

za del nesso causale sulla base di 

parametri consistenti nella probabilità 

statistica, ma deve, invece, ricorrere 

all’enunciazione di un giudizio di 

probabilità logica e caratterizzato da 

un’elevata credibilità razionale. 

La Cassazione a Sezioni Unite [5] , 

con la sentenza in commento, ha risolto 

il contrasto giurisprudenziale sorto 

all’interno della quarta sezione in tema 

dei reati omissivi impropri enunciando 

i seguenti principi: 

- il nesso causale è ravvisato allorquando, 

a seguito dell’enunciazione 

di un giudizio controfattuale, operato 

in base ad una generalizzata regola 

d’esperienza o di una legge scientifica 

universale o statistica, il giudice 

accerti che, ipotizzata come realizzata 

dall’imputato la condotta doverosa impeditiva 

dell’evento, il medesimo non 

si sarebbe realizzato oppure si sarebbe 

verificato in un’epoca posteriore o 

con minore intensità lesiva; 

-la conferma dell’esistenza del nesso 

causale non può essere dimostrato 

automaticamente da una semplice 

enunciazione di probabilità statistica, 

ma il giudice deve accertare che la 

condotta omissiva dell’imputato sia stata 

condizione necessaria dell’evento lesivo 

con alto o elevato grado di credibi- 

lità razionale o di probabilità logica; 

- laddove nella ricostruzione del 

nesso causale ricorra un ragionevole 

dubbio circa il riscontro probatorio 

dell’efficacia condizionante della condotta 

omissiva del medico rispetto ad 

altri fatti interagenti nella produzione 

dell’evento, allora il giudice deve assolvere 

l’imputato. 

Occorre notare che la soluzione 

proposta risulta un temperamento accettabile 

del contrasto giurisprudenziale 

che oscillava, nel riconoscimento 

del nesso causale, ora esclusivamente 

su percentuali statistiche, oppure in 

termini (umanamente impossibili) di 

assoluta certezza. A tale proposito la 

sentenza della Cassazione propone ai 

predetti orientamenti estremi un quanto 

mai opportuno temperamento consistente 

nell’invovcazione da parte 

del giudice del principio del ragionevole 

dubbio quale elemento risolutore 

delle controversie. 

Tale istituto, proveniente dal common 

law, in definitiva riconosce al 

giudice la piena libertà di giudizio in 

materie di assai difficile valutazione e 

nelle quali nessun caso è uguale ad un 

altro e laddove, appunto, le generalizzazioni 

sono sempre da rifuggire in 

quanto assolutamente ingannevoli. l 

- Rocco Blaiotta, Sulla causalità nell’ambito delle professione medica. Una pronuncia di legittimità contro tendenza, pubblicata 

in Cassazione penale, vol. XLI, gennaio 2001, pagine 129-131 che conclude che la giurisprudenza dell’aumento del rischio può 

costituire una soluzione equilibrata sotto due condizioni: la prima è che essa non si riferisca alla professione medica in quanto 

tale, al fine di evitare la fondata critica di orientamenti discriminanti nell’ambito di un’attività particolarmente difficile sotto 

ogni aspetto; la seconda è che sia esplicitato che l’aumento del rischio che fonda l’imputazione oggettiva è quello significativo, 

importante e non trascurabile, al fine di evitare, nella confusione genera sentenze come quella cassata dalla Corte; 

- Cristina Colombo e Maurizio Parisi, Profili penalistici del rapporto medico - paziente, pubblicato in Rivista Penale, n. 11, 

novembre 2001, pagg. 877-884 in cui viene svolto un ampio e pregevole esame dell’intera materia e dove si afferma che è 

difficile inquadrare a priori il trattamento medico-chirurgico nello schema del delitto di lesioni o di omicidio poiché l’attività 

medico chirurgica tende proprio ad eliminare il danno alla salute del paziente. Invero per tali autori l’attività mediico-chirurgica 

è un’attività socialmente utile e pertanto la sua liceità non deriva dalla presenza di una o più scriminanti ma si valuta sul 

terreno della tipicità: l’azione socialmente adeguata è limite della configurabilità del fatto tipico; 

- Giovanni Canzio, Trattamenti terapeutici e responsabilità penale, pubblicato in Diritto penale e processo, giugno 2010, pagg. 

665-668 che esamina, in particolare, la tematica del consenso informato ed osserva che lo spazio ad esso destinato, pur essendo 

in rapporto direttamente proporzionale al maggiore o minore coefficiente di rischio della prestazione terapeutica, è 

inversamente proporzionale alla situazione critica di emergenza ed urgenza d’intervento sanitario, che impone il non rinviabile 

obbligo di agire, nonostante l’incapacità transitoria ad esprimere il consenso. 

[3] Federico Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, 1975, pag. 297; Francesco Antolisei, 

Manuale di diritto penale, Milano, pag. 1982, pag. 198; Giovanni Fiandaca ed Enzo Musco, Diritto Penale parte generale , 

Bologna 1990, pag. 106; Ferrando Mantovani, Diritto Penale, Padova 1979, pag. 161. 

[4] Cass., sez. IV, sent. del 25 settembre 2001 - 16 novembre 2002, n. 1585, Pres. Lisciotto, Est. Battisti, Ric. Sgarbi e altro; Cass., 

Sez. IV , sent. del 25 settembre 2001 - 13 febbraio 2002, n. 1652, Pres. Lisciotto, Est. Battisti, Ric. Covili e altri; Cass., sez. IV, 

sent. del 10 giugno 2002 - ud. 23 gennaio 2002, n. 22568, Pres. Coco, Est. Brusco, P.M. De Sandro (conf.), Ric. Orlando. 

[5] Cass., Sez. Unite Penali, sent. del 10 luglio 2002 - 11 settembre 2002, n. 30328, Pres. Marvulli, Rel. Canzio. 

XIV www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

In presenza di macchine operatrici sorge l’obbligo di predisporre una protezione adeguata 

Non basta osservare le prescrizioni normative 

se la pericolosità intrinseca è ne la macchina operatrice 

La Sezione Lavoro della Suprema Corte ha affermato che «la responsabilità del datore di lavoro per 

l’infortunio occorso ad un proprio dipendente addetto ad una macchina pericolosa non si arresta alla 

comune protezione del soggetto e non è esclusa per l’avvenuta osservanza delle specifiche prescrizioni 

contenute in una norma o nella disciplina antinfortunistica, allorquando l’infortunio stesso sia derivato 

non già dal verificarsi del pericolo previsto dalla norma o contro il quale erano dirette le prescrizioni 

tecniche in essa contenute, ma per l’intrinseca pericolosità della macchina operatrice». In presenza di 

macchine operatrici, quale è, ad esempio, la tranciatrice, particolarmente complesse e, quindi, «intrinsecamente 

pericolose», sorge per il datore di lavoro l’obbligo di predisporre una protezione adeguata 

anche attraverso l’adozione di misure di sicurezza più idonee e specifiche. Il testo integrale della 

sentenza è disponibile on-line all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 

Cassazione civile, sez. lav., 21 maggio 2002, n. 7454 

Svolgimento del processo 

Con ricorso depositato il 18 gennaio 1996 (...) si 

rivolgeva al Pretore di Bassano del Grappa per ottenere 

il risarcimento dei danni subiti a causa di un incidente 

occorsogli il 14 marzo 1995 sul luogo di lavoro presso 

la (...) di Pove del Grappa. 

Esponeva che, mentre stava lavorando in qualità di 

operaio ad una troncatrice per accorciare la gamba in 

ferro di una rete metallica improvvisamente la manica 

del suo maglione si impigliava nella lama della troncatrice, 

così da subire il taglio dell’avambraccio destro 

con plurime lesioni muscolo-tendine e la frattura della 

diafasi radiale. 

Aggiungeva che, essendo la responsabilità dell’incidente 

da addebitarsi alla datrice di lavoro a causa della 

mancanza di adeguate protezioni alla macchina e, comunque, 

della violazione della normativa antinfortunistica 

aveva diritto al richiesto risarcimento del danno 

biologico e morale. 

Si costituiva la società convenuta contestando le 

avanzate pretese di cui chiedeva la reiezione. 

(omissis) 

Con sentenza del 16-26 ottobre 1998, l’adito Tribunale 

di Bassano del Grappa confermava la sentenza di 

primo grado, osservando che il lavoratore sia nell’immediatezza 

del fatto che nel ricorso introduttivo ed in sede 

di libero interrogatorio aveva dichiarato che la manica 

del maglione si era impigliata nella troncatrice mentre 

aveva abbassato la leva della lama con la mano sinistra 

INSERTO 



infilando il pezzo da tagliare con la destra; solo in un 

secondo momento, in sede di interpello formale, la 

versione dei fatti era mutata, sostenendosi che l’incidente 

si era verificato quando la leva era stata già abbassata 

con la mano destra e quindi rilasciata. Non essendo 

credibile - ad avviso del Tribunale - tale ultima versione 

dei fatti sia perché tardiva sia perché smentita dalla 

espletata istruttoria testimoniale, doveva ritenersi che 

l’incidente era avvenuto in un momento in cui la struttura 

di copertura della lama, onde consentire l’operazione 

di taglio, doveva essere necessariamente sollevata. Pertanto, 

anche a volere ritenere l’assenza o, comunque, la 

inidoneità della protezione a svolgere la sua funzione, 

tale situazione non aveva nulla a che vedere sotto il 

profilo eziologico con l’incidente occorso al (...). 

Né, d’altro canto, poteva essere addebitato alla datrice 

di lavoro l’uso di abbigliamento eventualmente improprio 

da parte del dipendente, essendo emerso dalle 

deposizioni assunte in primo grado che i grembiuli da 

indossare erano stati regolarmente forniti agli operai. 

(omissis) 

Motivi della decisione 

Pertanto - ad avviso del Tribunale -, poiché l’incidente 

si era verificato in un momento in cui la struttura di 

copertura della lama, onde consentire l’operazione di 

taglio, doveva essere necessariamente sollevata, nessuna 

responsabilità del sinistro poteva addebitarsi al datore 

di lavoro, il quale, peraltro, aveva anche fornito ai 

propri dipendenti i grembiuli da indossare durante il 

lavoro. 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XV


Commento 

Osserva il Collegio che come affermato da questa Corte 

- la responsabilità datoriale per l’infortunio occorso ad 

un proprio dipendente addetto ad una macchina pericolosa 

non si arresta alla comune protezione del soggetto e non è 

esclusa per l’avvenuta osservanza delle specifiche prescrizioni 

contenute in una norma o disciplina antinfortunistica 

(ad esempio, quelle di cui al D.P.R. n. 547/1955), allorquando 

l’infortunio stesso sia derivato non già dal verificarsi 

del pericolo previsto dalla norma medesima e contro 

il quale erano dirette le prescrizioni tecniche in essa contenute, 

ma per effetto della intrinseca pericolosità della macchina 

operatrice, per la quale sorge l’obbligo di predisporre 

adeguata protezione, ovvero della applicazione di più 

specifiche ed idonee misure di sicurezza (Cass., 14 luglio 

2001, n. 9601). 

Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni 

sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazio- 

COMMENTO 

di Luigi Di Alberti, avvocato in Pescara 

Le tesi dei giudici di merito sono 

state ribaltate dalla Sezione Lavoro 

della Suprema Corte, la 

quale, accogliendo il ricorso proposto 

dal dipendente, ha affermato che 

«la responsabilità del datore di lavoro 

per l’infortunio occorso ad un 

proprio dipendente addetto ad una 

macchina pericolosa non si arresta 

alla comune protezione del soggetto 

e non è esclusa per l’avvenuta osservanza 

delle specifiche prescrizioni 

contenute in una norma o nella disciplina 

antinfortunistica, allorquando 

l’infortunio stesso sia derivato 

non già dal verificarsi del pericolo 

previsto dalla norma o contro il quale 

erano dirette le prescrizioni tecniche 

in essa contenute, ma per l’intrinseca 

pericolosità della macchina 

operatrice». 

Infatti, in presenza di macchine 

operatrici, quale è, ad esempio, la 

tranciatrice, particolarmente complesse 

e, quindi, «intrinsecamente 

pericolose», sorge per il datore di 

lavoro l’obbligo di predisporre una 

protezione adeguata anche attraverso 

l’adozione di misure di sicurezza 

più idonee e specifiche. 

Nel caso che ci occupa, la difesa 

del ricorrente aveva sostenuto che 

INSERTO 

l’azienda non aveva provato di aver 

adottato tutte le misure idonee e necessarie 

per evitare l’incidente ed in 

particolare di aver installato un sistema 

di protezione supplementare per 

isolare la ruota dentata della tranciatrice 

e di non aver “costretto” il dipendente 

ad indossare il grembiule. 

Sotto il profilo normativo, è noto 

che l’art. 2087 c.c., integrando 

le disposizioni in materia di prevenzione 

degli infortuni sui luoghi di 

lavoro previste dalle leggi speciali 

ed in particolare dal D.P.R. 27 aprile 

1955, n. 547, dal D.P.R 30 giugno 

1965, n. 1124 e dal D.Lgs. n. 

626/1994, impone al datore di lavoro 

l’adozione di misure necessarie 

a tutelare l’integrità fisica e la personalità 

morale dei prestatori di lavoro. 

Egli è quindi tenuto ad adottare 

tutte le misure di sicurezza di prevenzione 

previste dalla normativa 

antinfortunistica, ma, soprattutto, come 

ricorda la Suprema Corte, ha 

l’obbligo di accertare e di vigilare 

che i lavoratori facciano uso, in modo 

corretto, delle predette misure. 

Non basta, infatti, per esimere il 

datore di lavoro da responsabilità, 

fornire al prestatore di lavoro gli 

ni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non 

solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, 

ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza 

ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di 

lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al 

lavoratore quando ometta di adottare le idonee misure 

protettive, ovvero quando non accerti e vigili che di 

queste misure venga fatto effettivamente uso, non costituendo, 

in tal caso, un esimente per il datore di lavoro 

l’eventuale concorso di colpa del lavoratore; l’esonero 

totale del datore può aversi soltanto nell’ipotesi in cui il 

comportamento del lavoratore presenti i caratteri dell’abnormità, 

inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento 

lavorativo ed alle direttive ricevute, come 

pure dell’atipicità e dell’eccezionalità, così da porsi 

come causa esclusiva dell’evento. (ex plurimis, Cass. 

19 ottobre 1996, n. 7636) 

strumenti di protezione previsti ed 

impartirgli le opportune direttive. 

E ciò in quanto, precisa la Corte, 

«le norme dettate in tema di prevenzione 

degli infortuni sul lavoro, tese 

ad impedire l’insorgenza di situazioni 

pericolose, sono dirette a tutelare 

il lavoratore non soltanto dagli 

incidenti derivanti dalla sua disattenzione, 

ma anche da quelli ascrivibili 

ad imperizia, negligenza ed imprudenza 

dello stesso», in una parola 

a colpa del lavoratore. Pertanto, 

una condotta dell’infortunato così 

caratterizzata non assurge a causa 

sopravvenuta da sola sufficiente a 

determinare l’evento quando è comunque 

riconducibile all’area di rischio 

inerente all’attività svolta dal 

lavoratore e all’omissione di doverose 

misure antinfortunistiche da parte 

del datore di lavoro. 

Infatti, la responsabilità permane 

nella sua integralità anche se l’infortunio 

si verifica con concorso di 

colpa, anche prevalente, del lavoratore 

perché il datore di lavoro ha il 

dovere di proteggere l’incolumità 

del lavoratore nonostante la sua imprudenza 

o la sua negligenza. 

Sussiste, quindi un obbligo di 

controllare e di accertare che il lavo- 

XVI www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

atore faccia un uso effettivo dei 

sistemi di protezione forniti dall’azienda, 

e di vigilare sul lavoratore 

affinché ottemperi in modo continuativo 

alle direttive impartite. 

Per l’imprenditore, sul quale incombe 

sempre l’onere di provare di 

aver fatto tutto il possibile per evitare 

il danno, l’esonero da responsabilità 

civile in caso di infortunio sul 

lavoro è soltanto una figura residuale 

atteso che, come ribadito dalla 

Corte nella pronuncia oggi in rassegna 

sulla scia di un consolidato 

orientamento, può configurarsi 

un’assenza di responsabilità soltanto 

nell’ipotesi in cui il comportamento 

del lavoratore «presenti i caratteri 

dell’abnormità, inopinabilità ed 

esorbitanza rispetto al procedimento 

lavorativo ed alle direttive ricevute, 

come pure dell’atipicità e dell’eccezionalità, 

così da porsi come causa 

esclusiva dell’evento». 

In queste ipotesi, oltre al caso di 

dolo del dipendente o di rischio elettivo 

generato da un’attività non 

avente rapporto con la specifica attività 

lavorativa, la condotta del dipendente 

interrompe il nesso causale 

e si pone come causa unica dell’evento 

lesivo. 

Eccezionale ed abnorme è stato, 

ad esempio, considerato dalla Suprema 

Corte in un’altra recentissima 

sentenza del 26 giugno 2002, n. 

9304, il comportamento di un lavoratore 

addetto alla movimentazione 

dei colli, il quale all’interno del magazzino 

aziendale effettuava per motivi 

ludici una corsa utilizzando i 

carrelli in modo non conforme alle 

norme di sicurezza. A causa dell’uso 

improprio, il carrello si era 

capovolto cagionando gravi lesioni 

al dipendente. 

Va poi certamente esclusa la responsabilità 

dell’imprenditore, ove 

risulti che quest’ultimo - cui l’art. 4 

del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 

non impone di vigilare continuamente 

l’esecuzione di attività caratterizzate 

da estrema semplicità, e affidate 

a operai altamente specializzati, 

con lunga esperienza di servizio e 

INSERTO 

dotati di un particolare grado di autonomia 

- abbia osservato tutte le 

misure anzidette e l’infortunio si sia 

verificato per esclusiva imprudenza 

del lavoratore infortunato, che abbia 

trasgredito le istruzioni e/o abbia comunque 

eseguito il lavoro affidatogli 

in modo difforme da quello prescritto 

in via generale. 

Al contrario, secondo i giudici della 

Suprema Corte, in presenza di macchine 

operatrici particolarmente complesse 

e quindi alta- 

mente pericolose, 

la sorveglianza da 

parte dell’imprenditore 

in ordine all’osservanza 

delle 

misure di sicurezza 

deve essere costante 

ed effettiva, al fine 

di prevenire in 

concreto eventuali 

infortuni e, in ogni 

caso, di far tempestivamente 

cessare 

eventuali condotte 

pericolose, negligenti 

o imprudenti, 

anche se omissive, 

da parte dei dipendenti. 

Deve però sottolinearsi che l’obbligo 

del datore stesso di vigilare 

affinché siano impediti atti o manovre 

rischiose del dipendente nello 

svolgimento del suo lavoro e di 

controllare l’osservanza da parte 

dello stesso delle norme di sicurezza 

e dei mezzi di protezione non 

comporta, in via assoluta, una continua 

vigilanza nell’esecuzione di 

ogni attività né il dovere di affiancare 

un preposto ad ogni lavoratore 

impegnato in mansioni richiedenti 

la prestazione di una sola persona, 

o di organizzare il lavoro in modo 

da moltiplicare verticalmente i controlli 

fra i dipendenti, richiedendosi 

solo una diligenza rapportata in 

concreto al lavoro da svolgere, e 

cioè alla ubicazione del medesimo, 

all’esperienza e specializzazione 

del lavoratore, alla sua autonomia, 

alla prevedibilità della sua condotta, 

alla normalità della tecnica di 


Commento 

lavorazione (Cassazione civile, 

sez. lav., 10 luglio 1996, n. 6282, 

Soc. Ligure strade c. Inail in Mass. 

giur. lav. 1997, 145 con nota di 

Lorusso). 

Sotto tale profilo, il suddetto dovere 

di vigilanza gravante sul datore 

di lavoro assume più intense connotazioni 

allorché il destinatario 

sia un lavoratore assunto con contratto 

di formazione e lavoro, atteso 

che tale contratto si caratterizza 

per una funzione 

sociale attribuita 

Secondo 

al datore di lavo- 

la Suprema Corte 

ro, rispetto al quale 

si realizza una 

in presenza di macchine sorta di affida- 

operatrici complesse mento del giovane 

esordiente nel 

e quindi altamente mondo del lavoro 

pericolose 

(Cass. civ., n. 

1687/98). 

la sorveglianza da parte Il dovere di 

dell’imprenditore sorveglianza del 

datore sui compi- 

deve essere costante 

ti affidati all’ap- 

ed effettiva 

prendista va, infatti, 

interpretato 

in maniera diversa 

a seconda delle circostanze di 

età, di anzianità ed esperienza di 

lavoro specifica dell’apprendista, 

del tipo di lavoro affidatogli, cosicché 

per escludere la responsabilità 

del datore di lavoro è necessario 

accertare che, nel momento in cui 

l’apprendista si accinge ad un lavoro 

che, per le circostanze soggettive 

ed oggettive in cui deve svolgersi, 

deve considerarsi pericoloso, 

l’imprenditore possa avere raggiunto 

la ragionevole certezza che, per i 

controlli predisposti, gli insegnamenti 

impartiti, l’esperienza acquisita, 

l’apprendista medesimo abbia 

ben compreso le ragioni del pericolo 

ed i mezzi per evitarlo, o abbia 

avuto la possibilità di esserne tempestivamente 

avvertito mediante 

un’assidua vigilanza in corso d’opera, 

ove un’insufficiente previa istruzione 

ed il grado della sua inesperienza 

lo abbia richiesto (Cass. civ. 

n. 5135/78). l 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XVII

È il primo intervento della Corte Suprema alla luce della legge n. 443/2001 (“legge Obiettivo”) 

Su le te re e rocce da scavo 

si pronuncia anche la Cassazione 

La legge n. 443/2001 (cosiddetta “legge Obiettivo” o “legge Lunardi”) esclude, a determinate condizioni, dal 

regime dei rifiuti, le terre e rocce da scavo. Non possono però considerarsi tali i “materiali di demolizione”, 

che devono essere considerati rifiuti a tutti gli effetti. È questo il senso della sentenza della Cassazione 

penale, sezione III, 12 luglio 2002, n. 26611, con la quale è stato respinto il ricorso del legale rappresentante 

di una ditta, reo di aver effettuato, senza l’apposita autorizzazione, trasporto e smaltimento di rifiuti speciali 

non pericolosi prodotti da terzi (nella fattispecie «rifiuti misti di demolizione e costruzione, cod. CER 17071») 

allo scopo di utilizzo come riempimento per innalzare la quota di campagna del fondo rispetto alla strada e 

realizzarvi una costruzione. La pronuncia offre anche i pretesto per analizzare l’evoluzione italiana della 

vexata quaestio legata, appunto, alle terre e rocceda scavo. 

Corte di Cassazione, sez. III pen., 12 luglio 2002, n. 26611, RGN 21645/01 

Inquinamento - Trasporto e smaltimento di rifiuti speciali (D.Lgs. n. 22/1997) 

Esclusione delle terre e rocce da scavo, a determinate condizioni, dalla normativa 

sui rifiuti (legge n. 443/2001) - Impossibilità di considerare tali anche i residui di demolizione 

(omissis) 

RIFIUTI 


Fatto e diritto 

R.R., nella sua qualità di legale rappresentante della 

ditta A.C. S.r.l. corrente in San Giovanni Ilarione, veniva 

dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 52, 

primo comma, D.Lgvo. 22/97 dal Tribunale di Verona, 

Sezione distaccata di Soave e condannato con sentenza 

del 9/2/2001 alla pena di 10 milioni di ammenda. 

Riteneva il Tribunale che il R. aveva svolto senza 

autorizzazione attività di trasporto e smaltimento di 

rifiuti speciali non pericolosi prodotti da terzi (rifiuti 

misti di demolizione e costruzione, cod. CER 17071) 

impiegandoli su un suo terreno a scopo di riempimento 

per innalzare la quota di campagna del fondo rispetto 

alla strada e realizzare ivi una costruzione. 

Contro questa sentenza l’imputato ha proposto ricorso 

per cassazione deducendo violazione di legge ed erronea 

motivazione per non aver commesso il fatto (addebitabile 

ad ignoti) e perché il materiale trasportato sul posto 

non costituiva rifiuto essendo destinato al riutilizzo. 

Lamenta inoltre erronea determinazione della pena. 

Il ricorso non può essere accolto. 

Nel caso in esame, con apprezzamento incensurabile, in 

sede di legittimità, è emerso un dato di fatto certo, ammesso 

dallo stesso imputato: il trasporto e l’impiego di materiali 

di demolizioni di terzi per una finalità di riempimento. 

La circostanza - peraltro non provata - che terzi 

ignoti abbiano abbandonato limitati cumuli di rifiuti 

nello stesso luogo non incide sulla sostanza del dato 

INSERTO 

sopra indicato, anzi aggrava la responsabilità del R., 

proprietario dell’area, per omesso controllo ed anche 

per aver mescolato tali rifiuti spianandoli ed interrandoli 

insieme con quelli trasportati di propria iniziativa. 

La nuova legge n. 443, dicembre 2001, esclude che 

le “rocce di scavo” siano rifiuti, ma non consente una 

estensione anche ai “materiali di demolizione” data la 

specificità della categoria del codice dei rifiuti. 

Certamente l’imputato avrebbe potuto invocare la 

normativa per la parte che consente il riutilizzo sia 

dando comunicazione preventiva alla P.A., sia destinando 

in modo oggettivo ed univoco i residui di costruzione 

all’interro senza pericoli per l’ambiente. Ma di ciò 

non vi è prova negli atti, secondo l’incensurabile valutazione 

dei giudici di merito. 

Quanto alla misura della pena, peraltro non eccessiva, 

la sentenza impugnata fa leva sull’elemento soggettivo 

della piena consapevolezza, in quanto “imprenditore” del 

settore e sull’abbandono di rilevanti rifiuti a diretto contatto 

col terreno senza alcuna precauzione mirata ad impedire 

l’assorbimento nel circolo ecologico, ossia un criterio 

oggettivo della natura e rilevanza dell’illecito. 

Le altre osservazioni sono ultronee e sbagliate in 

quanto l’opposizione ad un decreto penale rientra nella 

facoltà dell’imputato e non può costituire indice di 

“pessima condotta processuale”. 

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al 

pagamento 

XVIII www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

COMMENTO 

La sentenza della Corte di Cassazione 

12 luglio 2002, n. 26611, 

costituisce il primo pronunciamento 

della Cassazione penale sulla 

controversa questione delle “terre e 

rocce da scavo”, che la legge n. 

443/2001 [1] (la cosiddetta “legge Lunardi”) 

ha escluso, a determinate condizioni, 

dal regime dei rifiuti. 

La Suprema Corte chiarisce come 

le disposizioni della legge suddetta 

non possano essere utilizzate al fine 

di escludere i residui di demolizione 

dall’ambito di applicazione della disciplina 

dei rifiuti. Si tratta, infatti, - 

precisa la Corte - di scarti espressamente 

citati anche nel nuovo catalogo 

europeo dei rifiuti. 

La sentenza della Cassazione fornisce, 

tuttavia, lo spunto per riepilogare 

la controversa questione relativa 

alle (vere e proprie) terre e rocce da 

scavo e alle condizioni in presenza 

delle quali esse possono fuoriuscire 

dalla disciplina dei rifiuti. 

La questione 

“terre e rocce da scavo” 

L’art. 8, comma 2, lettera c), 

D.Lgs. n. 22/1997, nella sua prima 

versione, escluse dall’ambito di applicazione 

del decreto i materiali non 

pericolosi che derivavano dall’attività 

di scavo, mentre l’art. 7, comma 3, 

classificava come “speciali” i rifiuti 

pericolosi che derivavano da tale attività. 

Peraltro, anche a seguito delle os- 

INSERTO 

servazioni formulate dalla Commissione 

CE, con l’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 

1997, n. 389 [2] , fu eliminata 

l’esclusione di cui all’art. 8 comma 

2, lettera c), con la conseguenza che 

anche i materiali inerti non pericolosi 

presero, a tutti gli effetti, a essere 

qualificati come rifiuti. 

La nuova sottoposizione di questi 

materiali alle disposizioni di cui al 

“decreto Ronchi” fu puntualmente 

sottolineata anche dalla Corte di Cassazione, 

sezione III penale, nella sentenza 

13 giugno 2000 (ric. Sassi). 

Poco tempo dopo la decisione della 

Corte, intervenne sul tema anche il 

Ministero dell’Ambiente con la circolare 

28 luglio 2000, n. 

UL/200/10103 [3] , che tentò di promuovere 

un’interpretazione tale da 

limitare, in qualche modo, l’applicabilità 

del D.Lgs. n. 22/1997 ai materiali 

in questione. Il principale punto 

debole della disposizione ministeriale 

consisteva proprio nel tipo di fonte 

normativa adottato; come è noto, infatti, 

le circolari amministrative non 

sono fonti di diritto. 

Il permanere dell’incertezza sulla 

questione indusse il Legislatore a intervenire 

con la legge 23 marzo 2001, n. 

93 [4] , che modificò, ancora una volta, 

l’art. 8, D.Lgs. n. 22/1997, introducendo 

due nuove esclusioni: 

l lettera f-bis: «le terre e rocce da 

scavo destinate all’effettivo utilizzo 

per reinterri, riempimenti, rilevati e 

macinati, con esclusione di materiali 

RIFIUTI 

Commento 

di Luciano Butti, avvocato in Verona, docente di diritto dell’ambiente - Università di Padova 

provenienti da siti inquinati e da bonifiche 

con concentrazioni di inquinanti 

superiore ai limiti di accettabilità stabiliti 

dalle norme vigenti»; 

l lettera f-ter: «i materiali vegetali 

non contaminati da inquinanti in misura 

superiore ai limiti stabiliti dal decreto 

del Ministero dell’Ambiente 25 ottobre 

1999, n. 471, provenienti da alvei 

di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale 

come prodotto». 

Alla luce di queste nuove disposizioni, 

l’esclusione delle terre da scavo 

dalla disciplina sui rifiuti risultò 

essere soggetta a due condizioni: 

l la destinazione ad un effettivo riutilizzo; 

l la non provenienza da siti inquinati 

e da bonifiche con concentrazioni 

di inquinanti superiori ai limiti di cui 

al D.M. n. 471/1999 [5] . 

Soltanto apparentemente la questione 

potè dirsi risolta, giacché: 

l non era chiaro quali limiti di contaminazione 

fossero rilevanti (quelli 

per aree industriali o quelli per aree 

residenziali?); 

l l’esclusione introdotta dalla legge 

n. 93/2001 avrebbe potuto operare 

(come previsto espressamente dall’art. 

8, “decreto Ronchi”) solo laddove 

i materiali elencati nella norma 

fossero stati sottoposti a «specifiche 

disposizioni di legge» che, con riferimento 

alle terre e rocce da scavo, 

non esistevano (ancora). 

La legislazione specifica di settore 

- per rendere effettiva l’esclusione 

[1] Si vedano il n. 4 e, soprattutto, il n. 13/2002 di Ambiente&Sicurezza a pag. 80. 

[2] «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e 

di rifiuti di imballaggio» (in Gazzetta Ufficiale dell’8 novembre 1997, n. 261). 

[3] «Applicabilità del D.Lgs. 22/97 alle terre e rocce da scavo». 

[4] «Disposizioni in campo ambientale» (in Gazzetta Ufficiale del 4 aprile 2001, n. 79). È il collegato ambientale alla Finanziaria 

2001. Si vedano i nn. 11-12/2001 di Ambiente&Sicurezza, con particolare riferimento a P. Ficco, Terre di scavo: un errore 

sistematico della nuova legge le lascia tra i rifiuti, inAmbiente&Sicurezza n. 12/2001, pag. 18. 

[5] «Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti 

inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni» (in 

S.O. n. 218 alla Gazzetta Ufficiale del 15 dicembre 1999, n. 293). Si vedano i nn. 2/2000 (testo e commento), 5/2001 (bilancio 

del primo anno) nonché il Supplemento n. 6/2002 (bilancio a distanza di due anni) di Ambiente&Sicurezza. 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XIX

RIFIUTI 

Commento 

di cui all’art. 8 - intervenne qualche 

mese dopo con la legge 21 dicembre 

2001, n. 443, che fornì l’interpretazione 

dell’art. 8, lettera f-bis nei termini 

che seguono: 

«17. Il comma 3, lettera b), dell’articolo 

7 ed il comma 1, lettera f-bis) 

dell’articolo 8 del decreto legislativo 

n. 22 del 1997, si interpretano nel senso 

che le terre e rocce da scavo, anche 

di gallerie, non costituiscono rifiuti e 

sono, perciò, escluse dall’ambito di applicazione 

del medesimo decreto legislativo, 

anche quando contaminate, durante 

il ciclo produttivo, da sostanze 

inquinanti derivanti dalle attività di 

escavazione, perforazione e costruzione, 

sempreché la composizione media 

dell’intera massa non presenti una concentrazione 

di inquinanti superiore ai 

limiti massimi previsti dalle norme vigenti. 

18. Il rispetto dei limiti di cui al 

comma 17 è verificato mediante accertamenti 

sui siti di destinazione dei 

materiali da scavo. I limiti massimi 

accettabili sono individuati dall’allegato 

1, tabella 1, colonna B, del decreto 

del Ministro dell’ambiente 25 

ottobre 1999, n. 471, e successive 

modificazioni, salvo che la destinazione 

urbanistica del sito non richieda 

un limite inferiore. 

19. Per i materiali di cui al comma 

17 si intende per effettivo utilizzo per 

reinterri, riempimenti, rilevati e macinati 

anche la destinazione a differenti 

cicli di produzione industriale, ivi incluso 

il riempimento delle cave coltivate, 

nonché la ricollocazione in altro sito, 

a qualsiasi titolo autorizzata dall’autorità 

amministrativa competente, a 

condizione che siano rispettati i limiti 

di cui al comma 18 e la ricollocazione 

sia effettuata secondo modalità di rimodellazione 

ambientale del territorio interessato». 

L’interpretazione di queste disposizioni 

non è purtroppo univoca; anzi, 

INSERTO 

come mostrato oltre, opinioni fra loro 

assai diverse e contrastanti sono state 

sino a questo momento avanzate. Aderendo 

a una prima, restrittiva, interpretazione, 

infatti, l’agevolazione contenuta 

nella legge n. 443/2001 andrebbe 

riferita unicamente alla contaminazione 

consistente in «sostanze inquinanti 

derivanti dalle attività di escavazione, 

perforazione e costruzione» [6] . Secondo 

questo orientamento, soltanto per 

queste sostanze inquinanti sarebbe applicabile 

l’agevolazione consistente 

nella possibilità di valutare la concentrazione 

di inquinanti sulla base della 

«media dell’intera massa». 

Per contro, un’interpretazione più 

larga e diversa da quella restrittiva 

appena esposta, riferisce l’esenzione 

dal regime dei rifiuti a tutte le “terre 

e rocce da scavo” - qualunque sia la 

fonte della contaminazione - purché 

naturalmente ricorrano tutti i presupposti 

richiesti dalla legge n. 

443/2001. 

Sulla base di questa diversa interpretazione, 

l’esenzione delle “terre e 

rocce da scavo” dal regime dei rifiuti 

opera, in sintesi, alle seguenti condizioni: 

l mancato superamento dei limiti di 

accettabilità di cui all’Allegato 1, Tabella 

1, Colonna B, D.M. n. 

471/1999 («limiti per aree industriali»), 

salvo che la destinazione urbanistica 

del sito non richieda un limite 

inferiore; 

l necessità di tener conto, nella valutazione 

riguardante il rispetto dei predetti 

limiti, della composizione media 

dell’intera massa, con i problemi 

interpretativi che ne conseguono, legati 

tanto alle tecniche per il calcolo 

di questa “media”, quanto all’individuazione 

della “massa” di terreno di 

riferimento (a quest’ultimo riguardo, 

la tesi dottrinaria più autorevole ritiene 

che debba farsi riferimento al solo 

prodotto dell’attività di scavo nel si- 

to originario, piuttosto che a questo 

prodotto, oltre al materiale eventualmente 

già presente nel sito di destinazione); 

l destinazione all’effettivo riutilizzo 

per reinterri, riempimenti, rilevati 

e macinati, ivi compresa la destinazione 

a differenti cicli di produzione 

industriale, nonché il riempimento 

delle cave coltivate, o anche la mera 

ricollocazione in altro sito, a condizione 

che: 

- l’attività di riutilizzo sia autorizzata, 

a qualsiasi titolo, dall’autorità 

amministrativa competente; 

- la ricollocazione sia effettuata 

secondo modalità di rimodellazione 

ambientale del territorio interessato. 

Verifica 

della contaminazione 

Resta, in ogni caso, da chiarire 

dove e come debba avvenire la verifica 

della contaminazione sulle terre 

scavate: 

l quanto al “dove” debba avvenire, 

vi è chi sostiene che la verifica dei 

limiti (calcolata sulla composizione 

media dell’intera massa) andrebbe 

compiuta sul sito dove i materiali 

sono stati ricollocati; altri Autori ritengono, 

invece, - e la tesi sembra 

condivisibile - che la verifica della 

composizione media vada comunque 

in primo luogo effettuata - per buon 

senso e per un generico obbligo di 

cautela - (anche) sul materiale scavato. 

Precisa, peraltro, il comma 18, 

art. 1, legge “Lunardi”, che «il rispetto 

dei limiti di cui al comma 17 è 

verificato mediante accertamenti sui 

siti di destinazioni dei materiali di 

scavo». Ciò comporta esclusivamente 

la necessità di ripetere nel sito di 

destinazione l’accertamento sul rispetto 

dei limiti; 

l quanto al “come” la verifica sull’intera 

massa debba avvenire, secondo 

la dottrina [7] un «utile riferimento 

[6] È noto che l’attività di scavo può essere - in talune circostanze - fonte di inquinamento. Si pensi, ad esempio, agli oli usati per 

raffreddare le trivelle. 

[7] Si veda P. Fimiani, Mancata contaminazione ed effettivo riutilizzo: in questi casi le terre da scavo non sono rifiuti, in 

Ambiente&Sicurezza, n. 4/2002, pag. 74. 

XX www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

per la determinazione della composizione 

media» può venire dal paragrafo 

6.1, deliberazione del comitato interministeriale 

27 luglio 1984 «Disposizioni 

per la prima applicazione 

dell’art. 4 del D.P.R. n. 915/1982»), 

ancora applicabile sulla base dell’art. 

57, comma 1, D.Lgs. n. 22/1997. La 

citata disposizione suggerisce che 

«in un appezzamento possibilmente 

omogeneo» si ricavi il campione medio 

«scegliendo per ogni superficie 

(non più di un ettaro) cinque punti 

secondo due diagonali ed il loro punto 

di intersezione, e si preleva circa 

un Kg di terra nello strato arabile 

(0-30 cm) dalla parte centrale (circa 

15 cm), con esclusione del cotico e 

di eventuali pietre grossolane. Si riuniscono 

i cinque campioni mescolandoli 

e prelevando poi un campione 

medio di circa 2 Kg». Inoltre, il campionamento 

deve essere effettuato 

INSERTO 

nel pieno rispetto delle seguenti norme, 

ovunque pertinenti: 

- quaderni Istituto ricerca sulle 

acque, 64, Metodi analitici per i fanghi. 

Vol. 3. Parametri chimico-fisici. 

Appendice I Campionamento (nel seguito 

«IRSA 1985»); 

- norma UNI 10802:1999 «Rifiuti 

liquidi, granulari, pastosi e fanghi. 

Campionamento manuale e preparazione 

ed analisi degli eluati» (nel seguito: 

«ISO 10802»); 

Il campionamento deve perciò, fra 

l’altro, essere effettuato «sotto la direzione 

di chi ha la responsabilità dell’intero 

procedimento analitico» (IRSA 

1985, paragrafo 1) e redigendone apposito 

e dettagliato verbale (IRSA 1985, 

paragrafo 7), nel quale dare conto di 

tutte le cautele adottate al fine di garantirne 

la rappresentatività (IRSA 1985, 

paragrafi 2, 3.1, 3.2.2.3, 4; ISO 10802, 

paragrafo 4 - relativo al «Piano di cam- 

RIFIUTI 

Commento 

pionamento» - nonché il paragrafo specifico 

pertinente in relazione alle condizioni 

fisiche del materiale in questione). 

Conclusioni 

Le argomentazioni e conclusioni 

esposte sulla questione delle terre e 

rocce da scavo si basano sull’interpretazione 

e applicazione della più 

recente legislazione italiana sulla materia 

(legge n. 443/2001). 

Non può nascondersi che alcuni 

aspetti della predetta disciplina potrebbero 

sollevare dubbi di conformità 

alla normativa europea, ovvero 

(ma più difficilmente) dubbi di legittimità 

costituzionale. 

Nel caso dovessero intervenire pronunciamenti 

della Corte di Giustizia 

delle Comunità europee ovvero della 

Corte costituzionale, la questione dovrà, 

ovviamente, essere riesaminata. l 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XXI

SUOLO 


La sentenza del Tribunale penale di Milano si allinea ad altre decisioni della Cassazione 

La rilevanza patrimoniale de la bonifica 

si lega a la definizione di tru fa ambientale 

La giurisprudenza da tempo distingue il bene giuridico tutelato, rispettivamente, dal reato di truffa (ex 

art. 640 c.p.) piuttosto che dal reato di gestione dei rifiuti non autorizzata o di deposito incontrollato o, 

ancora, di discarica non autorizzata (espressi nel “decreto Ronchi”). Una cosa è, infatti, tutelare il 

patrimonio dei cittadini, un’altra è proteggere il bene diffuso per definizione, quale l’ambiente. In 

questo senso, rileva sentenza della decima sezione del Tribunale penale di Milano 20 maggio 2002, che 

afferma nettamente la natura finanziaria dell’obbligazione risarcitoria del danno patrimoniale, elemento 

oggettivo del reato di truffa nel diritto penale ambientale. La pronuncia muove dalla constatazione 

che anche i reati previsti dal D.Lgs. n. 22/1997, oltre a tutelare l’ambiente, rivestono, parimenti, aspetti 

di notevole rilevanza economica, in quanto l’aggressione dell’ecosistema, a causa del suo carattere di 

rottura dell’insostituibile scenario della vita degli uomini e degli animali, rende assolutamente indifferibile 

il ristoro dell’originario contesto violato. La sentenza in commento appare, inoltre, in sintonia con 

altre pronunce della Corte di Cassazione che costituiscono significative tappe per l’elaborazione di 

criteri interpretativi univoci della nuova normativa dei rifiuti di origine comunitaria. 

Tribunale penale di Milano, sez. X, 20 maggio 2002 (ud. 10 aprile 2002) 

(Omissis) 

In altri termini, deve senz’altro essere affermata la 

patrimonialità dell’obbligazione risarcitoria del danno 

patrimoniale, come con forza emerge dalla specifica 

normativa di cui al D.Lgs. n. 22/97 e dai decreti 

ministeriali successivamente emessi: come in parte si 

è già visto, l’art. 17, D.Lgs. n. 22/97 impone a chiunque 

cagioni, anche in maniera accidentale, il superamento 

dei limiti di accettabilità della contaminazione 

dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee, 

ovvero determini un pericolo concreto ed attuale 

di superamento dei limiti medesimi, l’obbligo di «procedere 

a proprie spese agli interventi di messa in 

sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle 

aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il 

pericolo di inquinamento», stabilendo al comma 9 che 

«qualora i responsabili non provvedano ovvero non 

siano individuabili, gli interventi di messa in sicurezza, 

di bonifica e di ripristino ambientale sono realizzati 

d’ufficio dal Comune territorialmente competente e 

ove questo non provveda dalla Regione, che si avvale 

anche di altri enti pubblici». 

La patrimonialità dell’obbligazione risarcitoria è 

chiaramente evidenziata: 

l dal comma 9 dell’art. 17, D.Lgs. n. 22/97, che stabilisce 

che «al fine di anticipare le somme per i predetti 

INSERTO 

interventi le Regioni possono istituire appositi fondi 

nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio»; 

l dal comma 10 dell’art. 17, D.Lgs. n. 22/97, a mente 

del quale «gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica 

e di ripristino ambientale costituiscono onere reale 

sulle aree inquinate», la patrimonialità del danno è 

evidenziata, addirittura, dalla previsione secondo cui 

detto onere deve essere indicato nel certificato di destinazione 

urbanistica, ossia nel documento contenente 

«le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata», 

che ai sensi dell’art. 18, comma 2, legge n. 47/85 

deve accompagnare, a pena di nullità e, in sua mancanza, 

di non trascrivibilità, «gli atti tra vivi, sia in forma 

pubblica, sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento 

o costituzione o scioglimento della comunione 

di diritti reali relativi a terreni»; 

l dal comma 11 dell’art. 17, D.Lgs. n. 22/97, a mente 

del quale «le spese sostenute per la messa in sicurezza, 

la bonifica ed il ripristino ambientale delle aree inquinate... 

sono assistite da privilegio speciale immobiliare 

sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell’art. 

2748, secondo comma, del codice civile», oltre che «da 

privilegio generale immobiliare», con l’ulteriore clausola 

secondo cui detto privilegio si può esercitare «anche 

in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile». 

La norma ha giustamente registrato favorevoli com- 

XXII www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

menti, essendosi considerato che la stessa dovrebbe 

dirimere ogni dubbio in ordine alle difficoltà economiche 

per intervenire sui siti inquinati, in quanto costituisce 

mezzo certamente valido ed oggettivamente certo 

per garantire alle pubbliche amministrazioni una copertura 

economica sufficiente a riparazione del danno sofferto 

in ordine alle procedure di ufficio che si prevede 

vengano adottate qualora i privati non adempiano. 

Riscontra la patrimonialità dell’obbligazione e la diretta 

ed immediata conseguenza del danno rispetto alla 

condotta dell’agente, ancora, l’osservazione secondo 

cui le pubbliche amministrazioni subiscono un danno 

passivo dall’attività omissiva di detto soggetto sia in 

fase primaria, e cioè quando il sito viene sottoposto al 

trauma inquinante, sia nel momento successivo, quando 

dopo l’obbligo di rimessione in pristino dello stato dei 

luoghi detta attività coscientemente non viene esercitata. 

Siffatte disposizioni hanno ricevuto una forte evoluzione 

a seguito del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, 

avente ad oggetto il regolamento recante criteri, procedure 

e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e 

il ripristino ambientale dei siti inquinati. È impossibile, 

in questa sede, ripercorrere la minuziosa e precisa disciplina 

degli interventi dovuti, se non per considerare per 

un verso che la normativa concerne anche i siti potenzialmente 

inquinati (quelli, cioè, nei quali «a causa di 

specifiche attività antropiche pregresse o in atto, sussiste 

la possibilità che nel suolo o nel sottosuolo o nelle 

acque superficiali o nelle acque sotterranee siano presenti 

sostanze contaminanti in concentrazioni tali da 

determinare un pericolo per la salute pubblica o per 

l’ambiente naturale o costruito») e per altro verso che 

la patrimonialità dell’obbligazione discende anche dall’ampiezza 

delle operazioni che, secondo la fonte normativa 

in esame, attengono alla messa in sicurezza, alla 

bonifica ed al ripristino ambientale. Ed infatti, la messa 

in sicurezza d’emergenza, comprende «ogni intervento 

necessario ed urgente per rimuovere le fonti inquinanti, 

contenere la diffusione degli inquinanti e impedire il 

contatto con le fonti inquinanti presenti nel sito, in 

attesa degli interventi di bonifica e ripristino ambientale 

o degli interventi di messa in sicurezza permanente». 

La messa in sicurezza permanente comprende l’insieme 

degli interventi «atti a isolare in modo definitivo le 

fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti 

qualora le fonti inquinanti siano costituite da 

rifiuti stoccati e non sia possibile procedere alla rimozione 

degli stessi pur applicando le migliori tecnologie 

disponibili a costi sopportabili, secondo i principi della 

normativa comunitaria». In tali casi, secondo il dettato 

normativo, «devono essere previste apposite misure di 

sicurezza, piani di monitoraggio e controllo, ed eventuali 

limitazioni d’uso rispetto alle previsioni degli strumenti 

urbanistici. I valori di concentrazione delle so- 

INSERTO 

SUOLO 


stanze inquinanti nelle matrici ambientali influenzate 

dall’inquinamento derivante dai rifiuti stoccati non devono 

superare nel suolo, sottosuolo, acque sotterranee 

e acque superficiali i valori previsti nell’allegato 1». 

La bonifica concerne l’insieme degli interventi «atti 

ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze 

inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle sostanze 

inquinanti presenti nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque 

superficiali e nelle acque sotterranee ad un livello 

uguale e inferiore ai valori di concentrazione limite 

accettabili stabiliti dal presente regolamento». 

Il ripristino ambientale, infine, attiene agli interventi 

«di riqualificazione ambientale e paesaggistica, costituenti 

complemento degli interventi di bonifica nei casi 

in cui sia richiesto, che consentono di recuperare il sito 

alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione 

d’uso conforme agli strumenti urbanistici in vigore, 

assicurando la salvaguardia della qualità delle matrici 

ambientali». La complessità di tali interventi, l’uno 

prodromico all’altro, dimostra di per sé la rilevanza 

degli esborsi; per di più, l’art. 114, legge 23 dicembre 

2000, n. 388 (legge finanziaria per l’anno 2000) ha 

stabilito che «le somme derivanti dalla riscossione dei 

crediti in favore dello Stato» per il risarcimento del 

danno ambientale «ivi comprese quelle derivanti dall’escussione 

di fidejussioni a favore dello Stato, assunte 

a garanzia del risarcimento medesimo, sono versate 

all’entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate, 

con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio 

e della programmazione economica, ad un fondo di 

rotazione da istituire nell’ambito di apposita unità previsionale 

di base dello stato di previsione del Ministero 

dell’ambiente, al fine di finanziare» gli interventi urgenti 

di perimetrazione, caratterizzazione e messa in sicurezza 

dei siti inquinati, ovvero gli interventi di disinquinamento, 

bonifica e ripristino ambientale che si rendono 

necessari. Da ultimo, definitivo impulso alle opere 

di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale è 

stato dato dall’art. 9 legge 23 marzo 2001, n. 93 che ha 

introdotto tra l’altro il comma 13-ter nell’art. 17 D.Lgs. 

n. 22/1997, stabilendo che gli interventi in esame devono 

essere effettuati «indipendentemente dalla tipologia, 

dalle dimensioni e dalle caratteristiche dei siti inquinati, 

nonché dalla natura degli inquinamenti». Come giustamente 

è stato osservato in dottrina, la norma, di 

carattere evidentemente programmatico, ha il pregio di 

eliminare ogni limite alla rilevanza ed entità delle bonifiche, 

in quanto il legislatore, espressamente, le richiede 

a prescindere dalle modalità che hanno determinato 

l’inquinamento e dalle conseguenze venutesi a creare; 

ne consegue che, in linea di principio, nessuna argomentazione 

economica sul costo del risanamento ambientale 

può ostacolare l’effettivo intervento sui territori ecologicamente 

compromessi. 

(omissis) 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XXIII

SUOLO 

Commento 

COMMENTO 


La sentenza in commento appare 

significativa poiché afferma, nettamente, 

la natura finanziaria dell’obbligazione 

risarcitoria del danno patrimoniale, 

che costituisce l’elemento 

oggettivo del reato di truffa nel 

diritto penale ambientale; l’interpretazione 

giurisprudenziale proposta si 

rivela essere in sintonia con altre decisioni 

della Corte di Cassazione [1] 

che costituiscono significative tappe 

per l’elaborazione di criteri interpretativi 

univoci della nuova normativa 

dei rifiuti di origine comunitaria. 

Occorre, infatti, notare che per 

lungo tempo la dottrina e la giurisprudenza 

hanno affermato che ben diverso 

fosse il bene giuridico tutelato, 

rispettivamente, dal reato di truffa 

(art. 640 c.p.) e dal reato di gestione 

dei rifiuti non autorizzata o di deposito 

incontrollato o di discarica non 

autorizzata (articolo 51, comma 1, 

lettere a) e b), commi 2 e 3, D.Lgs. 

n. 22/1997); infatti nel primo caso si 

affermava che fosse tutelato il patrimonio 

dei cittadini, mentre nel secondo 

l’ambiente, ovvero il bene diffuso 

per definizione. La riflessione inno- 

INSERTO 

vativa della sentenza del Tribunale 

di Milano 20 maggio 2002, muove 

dalla constatazione che anche i reati 

previsti dal D.Lgs. n. 22/1997, oltre 

a tutelare l’ambiente, rivestono, parimenti, 

aspetti di notevole rilevanza 

economica in quanto l’aggressione 

dell’ecosistema, a causa del suo carattere 

di rottura dell’insostituibile 

scenario della vita degli uomini e 

degli animali, rende assolutamente 

indifferibile il ristoro dell’originario 

contesto violato. Quindi, l’imprescindibile 

esigenza di ristabilire la situazione 

precedente acquista parimenti 

un evidente contenuto finanziario 

poiché la bonifica non avviene a costo 

zero, in quanto sono più onerosi 

gli interventi di risanamento rispetto 

a quelli di inquinamento. 

Pertanto, assai opportunamente, il 

D.Lgs. n. 22/1997, ha adottato una 

disciplina amministrativa che non trascura 

gli aspetti prettamente economici 

degli interventi, secondo il principio 

“chi inquina paga”, al fine di 

attuare il risanamento ambientale. 

Invero, l’articolo 17, comma 1, 

D.Lgs. n. 22/1997, ha previsto, entro 

3 mesi dall’entrata in vigore del decreto 

stesso, la definizione, da parte 

del Ministro dell’Ambiente: 

l dei limiti di accettabilità della 

contaminazione dei suoli, delle acque 

superficiali e delle acque sotterranee 

in relazione alla specifica destinazione 

d’uso dei siti; 

l delle procedure per il prelievo e 

l’analisi dei campioni; 

l dei criteri generali per la messa 

in sicurezza, la bonifica del ripristino 

ambientale. 

L’articolo 17, comma 2, afferma 

che chi cagioni anche in maniera accidentale 

il superamento dei limiti 

dell’articolo 17, comma 1, ovvero 

determini un pericolo concreto e attuale 

di superamento dei limiti, è tenuto 

a procedere a proprie spese agli 

interventi di messa in sicurezza, di 

bonifica e di ripristino ambientale 

delle aree inquinate. Il progetto di 

bonifica può essere autorizzato dal 

comune anche come variante urbanistica 

e comporta la dichiarazione di 

pubblica utilità (art. 17, commi 4 e 

7). Il trasgressore all’obbligo di bonifica 

è punito con la sanzione prevista 

dall’art. 51-bis, D.Lgs. n. 22/1997. 

[1] In materia di smaltimento di rifiuti (sentenza della Corte di Cassazione 10 novembre 1998, n. 13577 - udienza 23 dicembre 

1998) la vecchia disciplina, per la quale ogni fase dello smaltimento dei rifiuti tossico-nocivi era soggetta ad autorizzazione 

regionale e, in caso di inosservanza, si concretava la contravvenzione di cui all’art. 26, D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, è 

confluita nell’art. 51, comma 1, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, sia pure attraverso una più precisa articolazione delle fasi con 

cui lo smaltimento non autorizzato viene effettuato. Tra il nuovo art. 51 citato e il vecchio art. 26 sussiste, pertanto, un nesso di 

continuità che si riconduce alla successione di norme nel tempo. Inoltre (sentenza della Corte di Cassazione 30 settembre 1998, 

n. 12538 - udienza 30 novembre 1998), il deposito controllato dei rifiuti propri, senza le autorizzazioni, iscrizioni e 

comunicazioni prescritte in genere per lo smaltimento dei rifiuti, non è più qualificato come reato. Infatti, l’art. 51, D.Lgs. 5 

febbraio 1997, n. 22, prevede e punisce al comma 1 lo smaltimento non autorizzato di rifiuti provenienti da terzi, mentre al 

comma 2 sanziona con la stessa pena non ogni tipo di raccolta e smaltimento, ma solo l’abbandono o il deposito incontrollato 

dei propri rifiuti, cioè di quelli derivati dalla stessa azienda. Nel caso di specie, la Corte ha escluso il reato “de quo” nel caso 

di accumulo di materiali pericolosi depositati in un’area dello stesso stabilimento sotto la protezione di un telone. 

Ancora in tema di smaltimento di rifiuti (sentenza della Corte di Cassazione 27 gennaio 1998, n. 377 - udienza 15 aprile 1998), 

ove risulti emessa un’ordinanza contingibile e urgente da parte del Sindaco, ai sensi dell’art. 13, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, 

sussiste, per il giudice penale, il dovere di controllo sul rispetto dei limiti e dei vincoli al potere di emanazione della stessa, cioè 

sulla legittimità dell’ordinanza al fine di garantire i diritti alla salute e all’ambiente che costituiscono i beni tutelati dalle norme 

penali in materia di rifiuti. 

Invero (Corte di Cassazione 16 ottobre 1998, n. 12692 - udienza 2 dicembre 1998), l’ordinanza contingibile e urgente che il 

Sindaco può emanare in materia di smaltimento dei rifiuti ai sensi dell’art. 13, D.Lgs. n. 22/1997, ha come presupposti: 

- una necessità eccezionale e urgente di tutelare la salute pubblica o l’ambiente; 

- la limitazione nel tempo; 

- l’inevitabilità del ricorso a forme di gestione straordinarie, 

mentre ha come requisito di legittimità formale una motivazione adeguata, che renda conto dei presupposti concreti 

dell’ordinanza stessa. A fronte di questa ordinanza, il giudice penale deve verificare se ricorrono i presupposti che legittimano 

l’esercizio concreto della potestà sindacale e se sussiste il requisito di legittimità di una motivazione adeguata. 

XXIV www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

La caratteristica innovativa del 

D.Lgs. n. 22/1997, consiste nell’insieme 

di cautele e procedure finalizzate 

all’effettivo risarcimento e ristoro 

del danno ambientale con lo 

scopo di eliminare, o quanto meno 

contenere, le conseguenze lesive dell’attività 

illecita di smaltimento dei 

rifiuti. Non è da dimenticare, infatti, 

che la legislazione vigente fino all’entrata 

in vigore del D.Lgs. n. 

22/1997, trova il suo fondamento 

nell’ordinanza contingibile e urgente 

che il Sindaco può emettere per 

ragioni di igiene e la cui inosservanza 

è punita dall’art. 650 c.p. con 

l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda 

fino a euro 206. Tuttavia, 

detto strumento non sempre è idoneo 

all’effettivo recupero di aree 

ambientali compromesse a causa 

dei costi alti per il risarcimento ma 

anche per la farraginosa lentezza 

delle procedure o per il limite intrinseco 

della sanzione penale, la quale 

non può svolgere improprie funzioni 

amministrative e tecniche proprie 

della P.A. Questi casi sono ricorrenti 

nelle discariche di rifiuti non autorizzate 

che hanno svolto per lungo 

tempo la loro attività dove sorgono 

complessi problemi di identificazione 

del soggetto obbligato al risanamento. 

Il Legislatore ha stabilito 

per l’inquinatore il principio generale 

del risarcimento e l’obbligo, a 

sue spese, del ristoro e bonifica ambientali, 

indicando le seguenti linee 

operative e obblighi: 

l la separazione dei rifiuti illecitamente 

miscelati (art. 9, comma 3); 

l la rimozione, l’avvio al recupero 

e allo smaltimento dei rifiuti e il 

ripristino dello stato dei luoghi per 

gli autori dello smaltimento abusivo 

in solido con il proprietario e con i 

titolari di diritti reali o personali di 

godimento sull’area, ai quali la violazione 

sia imputabile a titolo di dolo 

o colpa (art. 14, comma 3). I 

predetti obblighi sono imposti agli 

amministratori o rappresentanti di 

persona giuridica (qualora siano responsabili 

del fatto) in solido con la 

persona giuridica e i soggetti che 

INSERTO 

subentrano nei diritti della persona 

stessa (art. 14, comma 4); 

l l’obbligo di procedere a proprie 

spese agli interventi di messa in sicurezza, 

di bonifica e di ripristino 

ambientali delle aree inquinate e/o 

degli impianti dai quali deriva l’inquinamento 

a carico degli autori anche 

accidentali di immissione di rifiuti 

sul suolo e nel sottosuolo che 

contaminano anche le acque superficiali 

e sotterranee (art. 17, comma 

2). Gli interventi di messa in sicurezza 

costituiscono onere reale sulle 

aree inquinate che deve essere indicato 

nel certificato di destinazione 

urbanistica e le spese per la messa 

in sicurezza, la bonifica e il ripristino 

ambientale delle aree inquinate 

sono assistiti dal privilegio immobiliare 

sulle aree (ex art. 2748 c.c.) 

opponibile anche nei confronti dei 

diritti acquistati da terzi sull’immobile 

(art. 17, commi 10 e 11); 

l l’imputazione dei costi ai produttori 

e utilizzatori degli imballaggi 

nei casi di: 

- ritiro degli imballaggi usati; 

- raccolta dei rifiuti di imballaggi 

secondari e terziari; 

- raccolta differenziata dei rifiuti 

di imballaggio; 

- riutilizzo degli imballaggi usati; 

- riciclaggio e recupero dei rifiuti 

di imballaggio; 

- smaltimento dei rifiuti di imballaggio 

secondari e terziari. 

Nessun onere economico per il 

consumatore deve essere previsto 

per la restituzione degli imballaggi 

usati o di rifiuti di imballaggi, compreso 

il conferimento di rifiuti in raccolta 

differenziata (art. 38, commi 9 

e 10); 

l il ritiro dei beni durevoli per uso 

domestico che abbiano esaurito la 

loro durata operativa a cura di un 

rivenditore autorizzato all’atto dell’acquisto 

di un bene durevole di 

tipologia equivalente o di un’impresa 

autorizzata alla raccolta e smaltimento 

di rifiuti urbani o di un centro 

di raccolta autorizzato (art. 44, 

comma 1); 

l il conferimento, da parte del pro- 

SUOLO 

Commento 

prietario degli autoveicoli a motore 

da demolire, a un centro autorizzato 

per la raccolta, messa in sicurezza, 

demolizione o il recupero dei 

materiali e la rottamazione, oppure 

ai concessionari o alle succursali 

delle case costruttrici all’atto dell’acquisto 

di un veicolo per la consegna 

ai predetti centri (art. 46, 

commi 1 e 2); 

l la bonifica dei siti con l’equiparazione, 

sotto il profilo della condotta 

penalmente rilevante, dell’avvenuto 

inquinamento al pericolo concreto e 

attuale di inquinamento (art. 

51-bis). 

Inoltre, al fine di facilitare l’effettiva 

bonifica dei siti inquinati (art. 17, 

comma 6-bis), gli interventi possono 

essere assistiti, sulla base di apposita 

disposizione legislativa di finanziamento, 

da contributo pubblico, entro 

il limite massimo del 50 per cento 

delle relative spese, qualora sussistano 

preminenti interessi pubblici connessi 

a esigenze di tutela igienico-sanitaria 

e ambientale o occupazionali; 

a questi interventi non si applicano 

le disposizioni dell’art. 17, commi 

10 e 11. 

In definitiva, il D.Lgs. n. 22/1997, 

è fondamentale per assicurare il risanamento 

ambientale, poiché appronta 

gli strumenti giuridici atti ad attuare 

il ristoro ambientale per la bonifica 

delle aree inquinate con l’indicazione 

dei soggetti onerati e degli 

adempimenti da compiere. A questo 

proposito, occorre notare che, fino a 

oggi, le bonifiche delle aree compromesse 

a elevato rischio ambientale 

sono state spesso ostacolate dai costi 

proibitivi di risanamento, dal complesso 

intreccio delle competenze 

amministrative e, soprattutto, dalla 

mancanza di una precisa indicazione 

normativa dei soggetti obbligati; questa 

fattispecie appare necessaria nel 

caso di attività prolungata nel tempo 

e con successione di attori giuridici 

diversi. Pertanto, il D.Lgs. n. 

22/1997, appare pregevolmente innovativo 

specialmente nel capitolo finalizzato 

al recupero e alla bonifica del 

territorio inquinato. In particolare, de- 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XXV

SUOLO 

Commento 

ve osservarsi che il nostro ordinamento 

giuridico è ormai definitivamente 

caratterizzato dalla rilevanza 

penale del mancato adempimento 

dell’obbligo di risanamento ambientale. 

A questo proposito, è sufficiente 

riflettere sul dettato dall’articolo 

58, comma 4, D.Lgs. n. 152/1999, 

che, in tema di bonifica dell’inquinamento 

idrico, punisce la sanzione penale 

dell’arresto da sei mesi a un 

anno e l’ammenda da euro 2.582 a 

euro 25.822 per chi non ottemperi 

alle prescrizioni dell’articolo 58, 

comma 1, il quale, a sua volta, richiama 

l’adempimento degli obblighi di 

risanamento ambientali previsti dall’articolo 

17, D.Lgs. n. 22/1997. 

Inoltre, il D.Lgs. n. 152/1999, al 

fine di assicurare l’effettivo risanamento 

ambientale delle acque prevede: 

l che le somme derivanti dai proventi 

delle sanzioni amministrative 

siano versate all’entrata del bilancio 

regionale per essere riassegnate 

ai capitoli di spesa destinati alle 

opere di risanamento e di riduzione 

dell’inquinamento dei corpi idrici 

(art. 57); 

l l’obbligo civilistico in capo all’inquinatore 

del risanamento ambientale 

secondo quanto previsto 

dall’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997. 

Vale a dire che «chi con il proprio 

comportamento omissivo o commissivo 

in violazione delle norme del 

D.Lgs. n. 152/1999 provoca un danno 

alle acque, al suolo, al sottosuolo 

e alle altre risorse ambientali, 

ovvero determina un pericolo concreto 

ed attuale di inquinamento ambientale 

è tenuto a procedere a proprie 

spese agli interventi di messa 

in sicurezza, di bonifica e di ripristino 

ambientale delle aree inquinate 

e degli impianti dai quali è derivato 

il danno ovvero deriva il pericolo di 

inquinamento» (art. 58, comma 1); 

l che «ai sensi dell’art. 18 della 

legge 18 luglio 1986, n. 349» (istitutiva 

del Ministero dell’Ambiente) 

«è fatto salvo il diritto ad ottenere il 

risarcimento del danno non eliminabile 

con la bonifica ed il ripristino 

INSERTO 

ambientale di cui al comma 1» (art. 

58, comma 2); 

l che «nel caso in cui non sia possibile 

la quantificazione del danno di 

cui al comma 2 si applicano i seguenti 

parametri: lo stesso si presume, 

salvo prova contraria, di ammontare 

non inferiore alla somma 

corrispondente alla sanzione pecuniaria 

amministrativa, ovvero alla 

sanzione penale, in concreto applicata. 

Nel caso in cui sia stata irrogata 

una pena detentiva, solo al fine 

della quantificazione del danno, 

di cui al presente comma, il ragguaglio 

tra la stessa e la pena pecuniaria, 

ha luogo calcolando quattrocentomila 

per un giorno di pena detentiva» 

(art. 58, comma 3). 

Un primo commento al disposto 

dell’art. 58, comma 3, deve necessariamente 

sottolineare il deciso intento 

del Legislatore di rendere effettivo 

il principio “chi inquina, paga”; 

infatti, per sostenere l’inversione di 

tendenza normativa volta a considerare 

i reati contro l’ambiente aggressioni 

al patrimonio della generalità 

dei cittadini, valgono le seguenti considerazioni: 

l il predetto ragguaglio (previsto 

dall’art. 58, comma 3) della pena 

detentiva di euro 206 al giorno per 

stabilire l’entità del danno idrico ambientale 

è ben superiore all’importo 

di euro 38 previsto dall’art. 135 c.p. 

per operare il ragguaglio tra pena 

detentiva e pena pecuniaria (nel senso 

di stabilire il computo calcolando 

euro 38, o frazioni di euro 38 di 

pena pecuniaria per un giorno di 

pena detentiva); 

l l’art. 58, comma 3, per evitare 

che le sentenze di condanna dei giudici 

non siano conosciute dalle competenti 

Autorità amministrative, prevede 

che, in caso di sentenza di condanna 

in sede penale o di emanazione 

di sentenza di patteggiamento (ai 

sensi dell’art. 444 c.p.p.), la cancelleria 

del giudice che ha emanato il 

provvedimento trasmetta copia dello 

stesso al Ministero dell’Ambiente. 

Inoltre, gli enti previsti dall’art. 

56, comma 1, debbono dare pronta- 

mente notizia dell’avvenuta erogazione 

delle sanzioni amministrative 

al Ministero dell’ambiente al fine 

del recupero del danno ambientale. 

La straordinaria novità della norma, 

contenuta nell’art. 58, comma 4, 

D.Lgs. n. 152/1999, nel nostro ordinamento 

giuridico è evidente; vale a 

dire che chi inquina paga e se si 

sottrae agli obblighi civilistici del 

risarcimento del danno e del risanamento 

ambientale è punito severamente 

per tali inadempimenti. In 

questo modo, analogamente a quanto 

disposto dall’art. 51-bis, D.Lgs. 

n. 22/1997 (che punisce chi non procede 

alla bonifica ambientale secondo 

il procedimento previsto dall’art. 

17, D.Lgs. n. 22/1997 con la pena 

dell’arresto da sei mesi a un anno e 

con l’ammenda da euro 2.582 a euro 

25.822, salvo prevedere la pena 

dell’arresto da un anno a due anni e 

la pena dell’ammenda da euro 

5.164 a euro 51.645 se l’inquinamento 

è provocato da rifiuti pericolosi), 

anche l’art. 58, comma 4, 

D.Lgs. n. 152/1999, punisce l’inadempimento 

civilistico da parte dell’inquinatore 

con l’obbligazione di 

risarcimento del danno e di risanamento 

idrico-ambientale. 

In definitiva, il D.Lgs. n. 

152/1999, è fondamentale per assicurare 

il risanamento ambientale, poiché 

appronta gli strumenti giuridici 

atti ad attuare il ristoro ambientale 

delle risorse idriche nazionali, per assicurare 

la bonifica delle aree inquinate 

con l’indicazione dei soggetti 

onerati e degli adempimenti da compiere. 

A questo proposito, occorre 

notare che fino a oggi le bonifiche 

delle aree compromesse elevato rischio 

ambientale sono state spesso 

ostacolate dai costi proibitivi di risanamento, 

dal complesso intreccio delle 

competenze amministrative e, soprattutto, 

dalla mancanza di una precisa 

indicazione normativa dei soggetti 

obbligati, la quale è, certamente, 

necessaria nel caso di attività prolungata 

nel tempo e con successione, 

nello stesso luogo, delle varie attività 

di soggetti giuridici diversi. l 

XXVI www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

La Suprema Corte respinge l’integrazione con l’ordine di interruzione dell’energia elettrica 

Per i tralicci radiofonici abusivi 

basta il sequestro preventivo 

Il sequestro preventivo di un traliccio per trasmissioni radiofoniche realizzato in violazione delle norme 

in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia e di beni culturali e ambientali nonché dei 

provvedimenti per le costruzioni in zone sismiche, in quanto privo delle necessarie autorizzazioni del 

Comune e delle altre Autorità amministrative competenti sotto i suddetti profili, non può essere 

integrato dall’ulteriore ordine di interruzione dell’energia elettrica. Infatti, non si ravvisa alcun nesso di 

pertinenza tra quest’ultimo provvedimento, l’interesse tutelato dalle norme citate e le esigenze cautelari 

che questa misura dovrebbe soddisfare. Sono le conclusioni espresse nella sentenza della Cassazione 

penale 5 febbraio 2002, n. 4070, che si inserisce, peraltro, in un orientamento giurisprudenziale recente 

a favore del sequestro come misura da applicarsi anche a opera abusiva completata. “A giochi fermi” 

possono essere fatte ulteriori considerazioni come sul fatto che il sequestro, generalmente finalizzato 

alla sottrazione del bene alla disponibilità dell’indagato allo scopo di impedergli la prosecuzione 

dell’attività abusiva e, quindi, il perpetrarsi o aggravarsi della lesione al corretto assetto del territorio e 

ai beni ambientali tutelati, male si applica a un impianto per trasmissioni radiofoniche, dal momento che 

non è ipotizzabile un “uso” in senso proprio del traliccio se non, per l’appunto, quale mezzo strumentale 

alla trasmissione radiofonica. 

Corte di Cassazione, sez. III pen., 5 febbraio 2002, n. 4070 RGN 26559/01 

Svolgimento del processo 

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di 

Velletri, con decreto del 1˚ febbraio 2001, dispose, nei 

confronti di Castiello Giuseppe, il sequestro preventivo 

di un traliccio in tubi innocenti con quattro antenne per 

trasmissioni radiofoniche in relazione ai reati di cui 

all’art. 20, lett. c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, 

all’art. 163 D.Lgs. 490/1999, agli artt. 18 e 20 legge 2 

febbraio 1974, n. 64, ed all’art. 30 della legge 394/1991 

perché lo stesso era stato realizzato senza autorizzazione 

edilizia del comune e senza l’autorizzazione della 

sovrintendenza, del genio civile e dell’Ente parco. 

Con provvedimento del 12 aprile 2001, il medesimo 

giudice per le indagini preliminari integrò il detto decreto 

di sequestro preventivo ordinando la disattivazione 

dell’energia elettrica all’impianto di radiodiffusione in 

sequestro. 

Contro quest’ultimo provvedimento il Castiello propone 

ricorso per cassazione deducendo che il giudice 

per le indagini preliminari ha erroneamente applicato la 

legge, interferendo in una potestà riservata all’autorità 

amministrativa. Osserva preliminarmente che egli rappresenta 

la s.r.l. Radioincontro, testata giornalistica registrata, 

la quale è proprietaria dell’antenna in questione, 

installata su un traliccio a norma con la normativa 

INSERTO 

TUTELA AMBIENTALE 


vigente in tema di radiodiffuzione. Tale traliccio il 28 

dicembre 1999 era stato divelto dalla caduta del traliccio 

di Radio Subasio. Il Castiello quindi richiese al 

comune di Rocca di Papa autorizzazione al ripristino 

del traliccio (ottenuta il 3 maggio 2000) e successivamente 

ottenne il nulla osta provvisorio dell’ente parco, 

la autorizzazione provvisoria del Ministero dei beni 

ambientali e la autorizzazione della regione, ufficio del 

genio civile. Dopo tali autorizzazioni egli provvide a 

ripristinare il traliccio, che però il 21 novembre 2000 fu 

sequestrato dal giudice per le indagini preliminari del 

Tribunale di Velletri che riteneva che i lavori fossero 

stati eseguiti in difformità dalle dette autorizzazioni. 

Ciò senza però considerare la situazione di sicuro abusivismo 

edilizio in cui versavano gli altri impianti di 

radiodiffusione esistenti sul posto. Il 1˚ febbraio 2001 

fu emesso un altro decreto di sequestro preventivo nei 

confronti del ricorrente per un impianto di radiodiffusione 

appartenente ad una diversa società, la Terranova 

s.r.l. Il 12 aprile 2001 fu, infine, emesso il decreto di 

disattivazione dell’energia elettrica all’impianto già sequestrato. 

Sostiene quindi il ricorrente che tale decreto, 

oltre ad essere illegittimo, esula dalla competenza del 

giudice ordinario. Invero la disattivazione dell’energia 

elettrica ha di fatto comportato l’interruzione delle trasmissioni 

(e quindi dell’utilizzo della concessione di 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XXVII



cui la società è titolare). Orbene, i provvedimenti che 

inficiano le concessioni di radiodiffusione non possono 

essere disposti dal giudice ordinario rientrando nel potere 

del Ministero delle comunicazioni, il quale peraltro 

può sospendere le dette concessioni soltanto in ben 

precise fattispecie, fra le quali non rientra un presunto 

reato urbanistico. Di conseguenza, il giudice ordinario, 

disponendo la sospensione delle trasmissioni della testata 

giornalistica, ha compresso il diritto costituzionalmente 

garantito alla libera manifestazione del pensiero 

ed il diritto di informazione. Nella specie inoltre non si 

è nemmeno in presenza di reati commessi col mezzo 

radiofonico né ad invasione ed utilizzo di frequenze 

concesse a terzi. Vi è quindi difetto di giurisdizione del 

giudice ordinario. Il giudice per le indagini preliminari 

avrebbe dovuto limitarsi ad adottare le sole misure 

strumentali all’accertamento del reato edilizio e ad evitare 

ulteriori conseguenze ai sensi dell’art. 321 c.p.p. 

L’interruzione dell’energia elettrica non soddisfa nessuna 

delle due suddette esigenze ma comprime soltanto il 

diritto di ricevere informazione dalla testata giornalistica. 

Del resto il sequestro preventivo non può avere ad 

oggetto un’attività ma solo il risultato di un’attività 

perché non è destinato a svolgere una atipica funzione 

inibitoria di comportamenti rilevanti penalmente. L’oggetto 

del sequestro avrebbe dovuto essere circoscritto 

esclusivamente all’elemento costituente il presunto reato 

edilizio, escludendo tutto ciò che è penalmente irrilevante 

ed evitando che gli effetti della misura cautelare 

si estendessero ad attività estranee. E l’attività di radiodiffusione, 

autorizzata dal ministero, è pienamente lecita 

ed autonoma e distinta rispetto al presunto abuso 

edilizio. 

Motivi della decisione 

Il ricorso è fondato dal momento che - come ha 

esattamente rilevato il Procuratore generale nella sua 

requisitoria - non è possibile rinvenire alcun nesso di 

pertinenza fra il provvedimento impugnato (con cui, in 

sostanza, viene ordinato alla società fornitrice dell’energia 

elettrica di interrompere la fornitura di energia all’impianto 

di radiodiffusione in questione) ed i reati per i 

quali il sequestro preventivo è stato disposto e le esigenze 

cautelari che il provvedimento dovrebbe soddisfare. 

L’impianto di radiodiffusione in questione, consistente 

in un traliccio in tubi innocenti con quattro antenne per 

trasmissioni radiofoniche, fu infatti sottoposto a sequestro 

preventivo dal giudice per le indagini preliminari del 

Tribunale di Velletri con decreto del 1˚ febbraio 2001, in 

relazione ai reati di cui all’art. 20, lett. c), della legge 28 

febbraio 1985, n. 47, all’art. 163 D.Lgs. 490/1999, agli 

artt. 18 e 20 legge 2 febbraio 1974, n. 64, ed all’art. 30 

della legge 394/1991 perché lo stesso era stato realizzato 

senza concessione edilizia del comune e senza l’autorizzazione 

della sovrintendenza, del genio civile e dell’Ente 

parco. Tale decreto di sequestro non risulta essere stato 

impugnato. In data 12 aprile 2001, il medesimo giudice 

per le indagini preliminari emise altro provvedimento del 

seguente testuale tenore: «ad integrazione del decreto di 

INSERTO 

sequestro preventivo dell’1/2/01, ordina la disattivazione 

dell’energia elettrica all’impianto di radiodiffusione in 

sequestro». Il provvedimento fu preso dietro richiesta del 

pubblico ministero, il quale si era limitato a rilevare che 

la richiesta stessa era diretta «al fine di poter perseguire 

utilmente le finalità per le quali il sequestro stesso è stato 

disposto». 

Orbene, è di tutta evidenza, innanzitutto, l’assoluta 

mancanza di motivazione del provvedimento impugnato, 

il quale nemmeno fa generico riferimento alle ragioni 

indicate dal pubblico ministero nella sua richiesta. 

Qualora però si debba ritenere che l’ordine di cessazione 

della fornitura di energia elettrica sia stato dato 

per le ragioni indicate nella richiesta del pubblico ministero, 

emerge chiaramente la illegittimità del provvedimento 

stesso, essendo evidente come esso sia del tutto 

estraneo alla finalità di impedire le ulteriori conseguenze 

dannose dei reati ipotizzati. 

È vero, infatti, che, secondo la giurisprudenza di 

questa Suprema Corte, l’esigenza cautelare richiesta 

dalla legge per disporre il sequestro preventivo è ipotizzabile 

anche per reati per i quali sia cessata la condotta 

o in genere siano perfezionati gli elementi costitutivi, e 

ciò perché vi sono conseguenze dello stesso reato che la 

misura cautelare è destinata ad evitare anche dopo che 

esso abbia esaurito il suo iter. Ciò in quanto le conseguenze 

che il sequestro preventivo tende ad evitare 

sono ulteriori rispetto alla fattispecie tipica già realizzata, 

di modo che è ammissibile il sequestro preventivo di 

una costruzione abusiva già terminata perché le conseguenze 

che la misura cautelare è destinata ad evitare 

devono identificarsi, in materia urbanistica, nell’ordinato 

assetto e sviluppo del territorio e nel corretto uso e 

governo di esso conforme alla normativa urbanistica, e 

nei reati paesaggistici nella salvaguardia dell’ambiente 

naturale e nella conservazione e valorizzazione dei beni 

storico-artistici ed ambientali (sez. III, 15 febbraio 

2000, Scritturale, m. 216.341; sez. III, 15 gennaio 1997, 

Messina, m. 207.884). È però anche vero che tali esigenze 

cautelari possono semmai giustificare il sequestro, 

disposto in data 1˚ febbraio 2001, del traliccio in questione 

abusivamente realizzato in violazione delle norme 

urbanistiche, antisismiche ed ambientali, ma non 

possono giustificare invece l’ordine di interruzione della 

fornitura di energia elettrica, dal momento che la 

prosecuzione o meno di tale fornitura all’impianto già 

sequestrato appare - di per sé - del tutto irrilevante 

rispetto alla possibilità di arrecare ulteriore danno all’ordinato 

assetto e sviluppo del territorio o alla salvaguardia 

dell’ambiente naturale ed alla conservazione e valorizzazione 

dei beni storico-artistici ed ambientali, conseguenze 

queste per evitare le quali possono eventualmente 

essere adottate più pertinenti misure, qualora non 

fosse sufficiente il solo sequestro dell’impianto. 

Il provvedimento impugnato deve pertanto essere 

annullato senza rinvio. 

P.Q.M. 

La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio 

il provvedimento impugnato. 

XXVIII www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

COMMENTO 

ll fatto e la vicenda 

processuale 

La vicenda si articola in due momenti 

successivi che hanno visto 

l’emanazione di due diverse misure 

cautelari da parte del Giudice per le 

indagini preliminari. 

Il sequestro del traliccio 

In un primo momento, il Giudice 

per le indagini preliminari del Tribunale 

di Velletri, con decreto 1˚ febbraio 

2001, disponeva il sequestro 

preventivo di un traliccio con quattro 

antenne per trasmissioni radiofoniche, 

in relazione ai reati di cui: 

l all’art. 20, lettera c), legge 28 

febbraio 1985, n. 47 [1] , 

l all’art. 163, D.Lgs. 29 ottobre 

1999, n. 490 [2] , 

l agli artt. 18 e 20, legge 2 febbraio 

1974, n. 64 [3] , 

l all’art. 30 della legge 6 dicembre 

1991 n. 394 [4] , 

contestandone la realizzazione, 

in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico, 

in assenza della concessione 

edilizia del Comune e delle 

autorizzazioni della Sovrintendenza, 

del Genio Civile e dell’Ente Parco. 

Questo primo provvedimento 

non veniva impugnato. 

La disattivazione 

dell’energia elettrica 

Successivamente, con atto del 12 

aprile 2001, su richiesta avanzata dal 

Pubblico Ministero «al fine di poter 

perseguire utilmente le finalità per le 

quali il sequestro stesso è stato disposto», 

il Giudice decideva di 

“integrare” la misura cautelare già 

adottata ordinando «la disattivazione 

dell’energia elettrica all’impianto di 

radiodiffusione in sequestro». 

Contro quest’ultimo provvedimen- 

INSERTO 

di Emanuela Gallo, avvocato in Milano, studio Gianni Origoni Grippo & Partners 

to veniva proposto ricorso per Cassazione, 

deducendosi l’illegittimità della 

misura adottata nonché l’incompetenza 

del Giudice alla sua emanazione 

e l’interferenza di questo con una 

potestà dell’Autorità amministrativa. 

L’intervento cautelare disposto con riferimento 

all’uso dell’energia elettrica 

veniva, infatti, censurato sotto due 

diversi profili: 

l innanzitutto, la sua adozione avrebbe 

determinato, come unica e immediata 

conseguenza, l’interruzione delle trasmissioni 

radiotelevisive. In altre parole, 

l’ordine di disattivazione dell’energia 

elettrica avrebbe colpito l’attività 

di radiodiffusione, incidendo indirettamente 

sulla validità della relativa concessione 

e comprimendo i diritti costituzionalmente 

garantiti alla libera manifestazione 

del pensiero e di informazione. 

Conseguenze si sarebbero configurate 

del tutto illegittime, considerato 

che l’interruzione dell’energia elettrica 

non risulta strumentale all’accertamento 

del reato edilizio contestato. Inoltre, 

l’attività di radiodiffusione, del tutto 

distinta dal presunto abuso edilizio, è 

fondata su idonei titoli autorizzativi la 

cui validità non è posta in discussione 

nel procedimento penale, dal momento 

che i reati imputati al ricorrente nulla 

hanno a che vedere con l’esercizio, 

le modalità e i contenuti dell’attività di 

telecomunicazione; 

l in secondo luogo - è sempre tesi 

sostenuta dal ricorrente - il provvedimento 

espone il fianco a contestazioni 

di illegittimità per incompetenza. 

L’interruzione dell’energia elettrica - 

o, meglio, la conseguente sospensione 

di fatto della concessione alla radiodiffusione 

- è un’iniziativa che 

non può essere ordinata dal Giudice 

ordinario. Infatti, gli atti che inficiano 


Commento 

le concessioni di radiodiffusione non 

possono essere disposti dall’Autorità 

giurisdizionale, rientrando, viceversa, 

in via esclusiva nel potere del Ministero 

delle Comunicazioni, il quale, peraltro, 

può esercitarlo solo a fronte di 

precise fattispecie, strettamente collegate 

a violazioni di norme in materia 

di telecomunicazione, fra le quali non 

rientrano i reati urbanistici. 

Ad avviso del ricorrente, il Giudice 

per le indagini preliminari avrebbe 

dovuto limitarsi ad adottare le 

sole misure strumentali all’accertamento 

dei reati edilizi, escludendo 

quanto penalmente irrilevante ai fini 

del procedimento pendente ed evitando 

che gli effetti delle misure 

adottate si estendessero ad attività 

estranee alla vicenda processuale. 

La Cassazione accoglieva il ricorso, 

disponendo l’annullamento senza 

rinvio del provvedimento impugnato. 

Affermava, infatti, la Suprema Corte 

che le esigenze cautelari che scaturiscono 

dalla realizzazione di un manufatto 

in violazione delle norme urbanistiche, 

antisismiche e ambientali, se 

giustificano l’emanazione del decreto 

di sequestro del traliccio in questione, 

tuttavia non legittimano l’ordine di interruzione 

della fornitura di energia 

elettrica. La prosecuzione o meno dell’erogazione 

dell’impianto sottoposto 

a sequestro, infatti, risulta del tutto 

irrilevante rispetto alla possibilità di 

arrecare «ulteriore danno all’ordinato 

assetto e sviluppo del territorio o 

alla salvaguardia dell’ambiente naturale 

e alla conservazione e valorizzazione 

dei beni storico-artistici ed ambientali». 

Infine, «non è possibile rinvenire 

alcun nesso di pertinenza tra il 

provvedimento impugnato ed i reati 

per i quali il sequestro preventivo è 

[1] «Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie» (in Gazzetta 

Ufficiale del 2 marzo 1985, n. 53). 

[2] «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 

1997, n. 352» (in S.O. n. 229 alla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 1999, n. 302). Si veda anche M. Fabrizio, I beni ambientali 

nel nuovo Testo Unico in Ambiente&Sicurezza n. 3/2000, pag. VI. 

[3] «Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche» (in Gazzetta Ufficiale del 21 marzo 1974, n. 76). 

[4] «Legge quadro sulle aree protette» (in S.O. n. 83 alla Gazzetta Ufficiale del 13 dicembre 1991, n. 292). 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XXIX


Commento 

stato disposto nonché le esigenze cautelari 

che il provvedimento dovrebbe 

soddisfare». Qualora ritenuto necessario, 

il Giudice per le indagini preliminari 

avrebbe dovuto semmai adottare 

altre e «più pertinenti misure». 

La decisione della Cassazione 

e i precedenti sul punto 

La decisione della Corte di Cassazione 

si fonda sull’analisi delle finalità 

che il sequestro preventivo deve 

soddisfare a fronte di reati urbanistici 

e ambientali e delle conseguenze 

che questo provvedimento deve, in 

via cautelare, impedire. 

Afferma, infatti, la Suprema Corte 

che le conseguenze che il sequestro 

preventivo tende a evitare sono «ulteriori» 

rispetto alla fattispecie tipica già 

INSERTO 

realizzata. In particolare, a fronte di un 

immobile abusivo, «le conseguenze 

che la misura cautelare è destinata ad 

impedire devono identificarsi, in materia 

urbanistica, nell’ordinato assetto e 

sviluppo del territorio e nel corretto 

uso e governo conforme alla normativa 

urbanistica e, nei reati paesaggistici, 

nella salvaguardia dell’ambiente 

naturale e nella conservazione e valorizzazione 

dei beni storico-artistici».E 

questo tanto nell’eventualità in cui il 

manufatto abusivo sia ancora in corso 

di costruzione quanto, come nel caso 

in esame, se lo stesso sia già terminato. 

Il principio enunciato trova conferma 

in un orientamento giurisprudenziale 

ormai maggioritario [5] . 

Risalgono, infatti, ai primi anni dell’entrata 

in vigore della legge n. 

47/1985, le sentenze con le quali la 

Corte di Cassazione, individuando, in 

maniera rigorosa, la finalità del sequestro 

preventivo nell’impedire la commissione 

di altri reati o l’aggravamento 

delle conseguenze del reato attraverso 

lo svolgimento di attività connesse 

al godimento del bene sequestrato, 

ammetteva l’adozione del sequestro 

preventivo solo nell’ipotesi di 

manufatti abusivi in corso di realizzazione, 

escludendolo, viceversa, in presenza 

di costruzioni già ultimate [6] . 

Da queste premesse avevano tratto 

origine, poi, numerose decisioni 

interpretative del concetto di «ultimazione 

dei lavori» [7] volte, appunto, 

a individuare il limite temporale 

per la perseguibilità o meno della 

misura cautelare. 

[5] Già nel 1994 Cass. pen., sez. III, 3 novembre 1994 in Riv. Giur. Edilizia 1995, parte I, 528; la sentenza della Cassazione penale, 

sez. II, 25 febbraio 1994 (in Mass. Pen. Cass. 1994, fasc.7, 39), sostiene che «all’adozione del sequestro preventivo non è di 

ostacolo il fatto che il reato sia già perfezionato ovvero consumato giacché l’art. 321 c.p.p. nel disciplinare detta misura 

cautelare, consente tale misura quando vi è pericolo che la libera disponibilità del bene possa aggravare o protrarre le 

conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati. Pertanto, in base a tali finalità, da valutare con riferimento 

ai singoli casi, anche a reato già consumato la necessità della prevenzione potrebbe ancora sussistere»; si veda anche la sentenza 

della Cassazione penale, sez. III, 14 maggio 1994 (ivi, 1995, parte I, 1205). Più di recente, tra le altre, rileva la sentenza della 

Cassazione penale., sez. III, 10 ottobre 1996 (in Cass. pen. 1998, 1184) che, in tema di sequestro preventivo di immobile 

abusivo già ultimato, individua le “ulteriori” conseguenze antigiuridiche nella «libera disponibilità di una cosa pertinente al 

reato già consumato»; si veda anche la sentenza della Cassazione penale, sez. VI, 22 ottobre 1998, n. 3185 (in Cass. pen. 2000, 

1027). La Corte di Cassazione in esame, poi, cita, a sostegno della propria posizione, le sentenze della Cassazione penale, sez. 

III, 15 gennaio 1997, n. 78, (in Cass. pen. 1999, 624 e in Riv. Trim. Dir. Pen. Economia 1997, 1409) e 15 febbraio 2000 n. 735 

(in Cass. pen. 2001, 1576). Entrambe queste sentenze si distinguono per l’approfondimento dei temi in esame (ammissibilità del 

sequestro preventivo a fronte di opere ultimata, interesse protetto in materia urbanistica e ambientale e finalità cautelari del 

sequestro) e la sentenza in commento le ripercorre integralmente. 

[6] La finalità del sequestro preventivo in materia urbanistica, dalla quale deriva la sua non percorribilità in caso di opera 

ultimata, viene individuata dalla sentenza della Cassazione penale, sez. III, 21 ottobre 1992 (in Mass. Cass. pen. 1993, 116), 

«nell’evitare il protrarsi delle conseguenze dell’illecito o la commissione di nuove violazioni e cioè la ripresa dei lavori 

abusivi». Prima vi era stata la sentenza della Cassazione penale, sez. III, 4 aprile 1991 (in Cass. pen. 1991, II, 757), che, con 

riferimento alle finalità del sequestro preventivo in generale, aveva affermato che «il pericolo che la libera disponibilità di cosa 

pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso deve essere attuale e mai riferirsi a reato già perfezionato. 

Ne deriva che, qualora la permanenza sia cessata o siano sussistenti soltanto effetti permanenti, è inibito il provvedimento di 

sequestro con finalità preventive, essendo venuta meno proprio la necessità di prevenzione». Una posizione analoga è stata, 

tuttavia, sostenuta, anche di recente, (si veda la sentenza della Cassazione penale, sez. III, 6 agosto 2001), laddove afferma che 

«è da escludere che ricorrano le esigenze cautelari di cui all’art. 321 c.p.p. in relazione ad immobili abusivamente costruiti ma 

ultimati, poiché la libera disponibilità del manufatto non può protrarre o aggravare le conseguenze del reato di cui all’art. 20 

della legge n. 47/1985, né può ritenersi, in seguito alla depenalizzazione del reato previsto dall’art. 221 T.U.L.S., che essa possa 

di per sé agevolare la commissione di altri illeciti penali». 

[7] Secondo la sentenza della Cassazione penale, sez. III, 18 novembre 1993-25 gennaio 1994 (in Cass. Pen. Mass. Uff. 1994, m. 

196471) «il sequestro preventivo, in quanto diretto ad impedire la prosecuzione del reato, può essere disposto fino alla 

ultimazione dei lavori, che si verificano con il completamento delle opere di rifinitura interna». In altra decisione (Cass. pen. 

sez. I, 28 gennaio-23 marzo 1994, in Cass. Pen. Mass. Uff. 1994, m. 196849) viene puntualizzato che «mentre la mancanza di 

intonaci in una costruzione destinata ad abitazione non consente di ritenerla ultimata, per gli ovvi requisiti di adeguamento a 

canoni di sanità abitativa che la stessa deve presentare per i fini cui è destinata, detta carenza è ininfluente allorché l’edificio sia 

destinato ad esclusivo uso di magazzino» con la conseguenza che, nella seconda eventualità «non è consentito il sequestro 

preventivo dell’immobile in quanto la condotta dell’autore del reato non può essere più causa di conseguenze illecite». In caso 

di immobile a fini abitativi, il sequestro preventivo di un immobile abusivo è ammissibile anche se l’opera è completata da un 

punto di vista strutturale ma la stessa sia priva di licenza di abitabilità (si veda la sentenza della Cassazione penale, sez. III, 7 

novembre 1991) ovvero, in relazione a un immobile a uso non abitativo, qualora questo sia sprovvisto del certificato di agibilità 

sanitaria (Cassazione penale, sez. III, 23 giugno 1992, in Mass. Cass. Pen. 1992, 115). 

XXX www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

Il sequestro a opera 

abusiva completata 

A questo orientamento, in genere 

più datato, si è venuta contrapponendo 

una più recente interpretazione 

giurisprudenziale, alla quale 

la sentenza in esame si associa 

e che, consentendo una più ampia 

applicazione del sequestro preventivo, 

sostiene che questo provvedimento 

cautelare possa essere disposto 

anche per quei reati per i 

quali sia cessata la condotta o, comunque, 

siano perfezionati gli elementi 

costitutivi e, dunque, nel caso 

di reati edilizi, anche a opera 

abusiva completata [8] . 

Nell’ipotesi di violazioni edilizie e 

urbanistiche, infatti, l’interesse sostanziale 

tutelato dall’ordinamento (ulteriore 

rispetto all’interesse formale alla 

realizzazione della costruzione nel rispetto 

della concessione edilizia), è 

individuabile nell’assetto urbanistico 

del territorio in conformità alla normativa 

vigente e nella protezione dei beni 

storici, artistici e ambientali. La lesione 

di quessto interesse, di fatto, si 

protrae anche dopo che l’attività illegittima 

abbia esaurito il suo iter, ovvero 

anche successivamente alla compiuta 

realizzazione dell’immobile. Infatti, 

l’utilizzo e la disponibilità in sé 

dell’immobile abusivo, nonostante 

non aggiungano nulla al perfezionamento 

del reato o alla lesione del bene 

giuridico tutelato, tuttavia protraggono 

e aggravano le lesioni dell’equilibrio 

urbanistico del territorio, giusti- 

INSERTO 

ficando così pienamente l’adozione 

del sequestro preventivo [9] . 

D’altro canto, l’edificazione 

abusiva per carenza di idoneo titolo 

autorizzativo costituisce una fattispecie 

di reato indipendentemente 

dalla realizzazione in via definitiva 

e completa di opere stabili, in 

quanto il pregiudizio al bene tutelato 

deriva dalla presenza di per 

sé, sul territorio, di un elemento 

estraneo all’ordine edilizio e ambientale 

[10] . 

In altre parole, secondo l’orientamento 

giurisprudenziale maggioritario, 

le conseguenze che il Legislatore 

ha inteso neutralizzare attraverso 

il sequestro preventivo di cui 

all’art. 321 c.p.p. non sono individuabili 

- o almeno non solo - nella 

condotta dei reati formali né nell’evento 

naturalistico che integra la 

consumazione dei reati materiali, 

ma sono quelle “ulteriori” alla fattispecie 

tipica già realizzata. Queste 

conseguenze, quindi, si identificano, 

anche dopo il perfezionamento 

del reato, nel perpetuarsi nel tempo 

dell’offesa del bene. Per questi 

motivi, nell’ipotesi di reati edilizi, 

urbanistici e ambientali, la misura 

cautelare non può trovare un limite 

nella cessazione della fattispecie 

delittuosa o nel perfezionamento 

degli elementi costitutivi del reato, 

bensì deve coinvolgere l’opera illegittimamente 

realizzata anche se 

già ultimata. 

Nel caso di specie, quindi, la Corte 

di Cassazione, con la sentenza 5 


Commento 

febbraio 2002, n. 4070: 

l da una parte, si è pronunciata 

per la validità del decreto di sequestro 

preventivo - caratteristica tra 

l’altro non posta in discussione 

dal ricorrente - in ragione delle 

esigenze cautelari che devono essere 

soddisfatte a fronte dei reati 

urbanistici e anche in presenza di 

un’opera edilizia abusiva (il traliccio) 

già ultimata; 

l dall’altra, con argomentazioni 

esclusivamente a contrario, ha ritenuto 

illegittimo il successivo provvedimento 

di disattivazione dell’energia 

elettrica in quanto «del tutto 

estraneo a quelle finalità di impedire 

le ulteriori conseguenze dannose 

dei reati ipotizzati» che hanno 

poco prima supportato l’esperibilità 

della misura cautelare tipica. 

Considerazioni a margine 

La sentenza della Corte di Cassazione 

in commento risulta particolarmente 

interessante e meritevole di 

nota soprattutto per quello che “non 

ha detto” e che era, viceversa, auspicabile, 

considerati i presupposti del 

processo, piuttosto che per le argomentazioni 

portate a fondamento 

della propria decisione. 

Appare, infatti, del tutto evidente 

come questa pronuncia - nonostante 

confermi un orientamento 

giurisprudenziale ormai consolidato 

in tema di ammissibilità del sequestro 

preventivo a fronte di reati 

urbanistici e prospetti una soluzione 

ineccepibile sotto il profilo 

[8] Tra le altre, si vedano le sentenze della Cassazione penale, sez. III, 3 novembre 1994 (in Riv. Giur. Edilizia 1995, I, 528), 23 

febbraio 1995, n. 562 (in Cass. Pen. 1996, 26969) e 10 aprile 2000 (in Riv. Giur. Edilizia 2001, I, 1013). Opta per 

l’ammissibilità del sequestro preventivo anche per l’ipotesi di assenza di attività edificatoria in corso di realizzazione, «in 

quanto la libera disponibilità dell’immobile da parte dell’indagato può essere concretamente utilizzata dal medesimo per 

proseguire la condotta abusiva», la sentenza della Cass. pen., sez. III, 14 aprile 1999, n. 1381 (in Riv. Giuri. Edilizia 2000, I, 

687). 

[9] Di questo avviso, a titolo esemplificativo, è la sentenza della Cassazione penale, sez. III, 12 maggio 1995, n,1756 (in Giust. Pen. 

1996, II, 56), ma anche quelle della Cassazione penale, sez. VI, 2 marzo 1998 n. 3396 (in Ced 2000), della Cassazione penale, 

sez. III, 4 maggio 1998 n. 6671 (in Ced 1998) e 8 luglio 1999 n. 2530 (in Cass. Pen. 2001, 244). Interessante l’argomentazione 

della Cass. pen., sez. III, 10 aprile 2000 (in Riv. Trim. dir. Pen. Economia, 2000, 1129), sull’interpretazione del concetto di 

urbanistica: «l’urbanistica, come disciplina dell’uso del territorio (art. 80 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616), coinvolge tutti gli 

aspetti conoscitivi, normativi e gestionali di salvaguardia e trasformazione del suolo, nonché la protezione dell’ambiente e tende 

alla tutela effettiva del regolare assetto del territorio, più che alla mera salvaguardia dell’esercizio del controllo preventivo delle 

autorità amministrative competenti sull’attività edificatoria». 

[10] Sulla rilevanza giuridica di «qualunque attività atta a produrre modificazione dello stato dei luoghi», si vedano le sentenze della 

Cassazione penale, sez. fer. 24 luglio-19 settembre 1997 (in Riv. Giur. Edilizia 1998, I, 1029), della Cassazione penale, sez. III., 

28 gennaio-7 marzo 1997 (in Riv. Giur. Edilizia 1998, I, 1030). 

24 dicembre 2002 - N. 23 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XXXI


Commento 

rigorosamente formale e giuridico 

- offra diversi spunti di riflessione 

per la particolarità della fattispecie 

considerata (impianto per le 

trasmissioni radiofoniche), per i 

motivi di illegittimità sollevati dal 

ricorrente nonché per i profili che 

la Suprema Corte lascia aperti o 

parzialmente inevasi. 

Infatti, come riportato, la sentenza 

si limita a ritenere «irrilevante» 

e, quindi, «non pertinente» 

il provvedimento impugnato. Eppure, 

proprio partendo dalle argomentazioni 

utilizzate per fondare 

l’ammissibilità del sequestro preventivo, 

sembra ragionevole il 

dubbio che l’intenzione del Pubblico 

Ministero nel chiedere l’ordine 

di interruzione dell’energia elettrica, 

poi avallato dal Giudice per le 

indagini preliminari, fosse esattamente 

quella di perseguire la tutela 

effettiva del bene leso. 

L’orientamento giurisprudenziale 

a cui la Suprema Corte si associa 

per legittimare l’emanazione della 

misura cautelare tipica, infatti, si è 

sviluppato essenzialmente in tema 

di sequestro di immobili a uso abitativo 

o diverso (magazzino, attività 

commerciale/industriale, ecc). In 

queste ipotesi, tramite il sequestro 

si sottrae il bene alla disponibilità 

dell’indagato, impedendogli la prosecuzione 

dell’attività edilizia abusiva 

ovvero l’utilizzo dell’immobile 

già ultimato e, quindi, il perpetrarsi 

o aggravarsi della lesione al corretto 

assetto del territorio e ai beni ambientali 

tutelati. Si impediscono, in 

altre parole, quelle conseguenze «ulteriori» 

alla fattispecie tipica che 

giustificano l’emanazione della misura 

cautelare. 

Il mero sequestro di un impianto 

per trasmissioni radiofoniche, tuttavia, 

non può produrre i medesimi 

effetti dal momento che non è ipotizzabile 

un “uso” in senso proprio del 

traliccio se non, per l’appunto, quale 

INSERTO 

mezzo strumentale alla trasmissione 

radiofonica. La funzione di questo 

manufatto, nella quale si esplicita il 

suo utilizzo da parte dell’indagato, 

sta proprio nella ricezione e trasmissione 

dei segnali radiofonici che, a 

loro volta, si producono grazie al 

passaggio dell’energia elettrica. 

Occorre, inoltre, considerare che 

per l’esercizio dell’attività in esame 

sono necessari atti autorizzativi che 

coinvolgono profili e Autorità amministrative 

diverse: 

l l’attività in sé (radiodiffusione) 

e, quindi, la valutazione del Ministero 

delle Comunicazioni e dell’Autorità 

Garante per le Comunicazioni; 

l i suoi effetti (emanazione di onde 

elettromagnetiche) e, quindi, la 

verifica effettuata dalle Autorità sanitarie 

e ambientali competenti secondo 

le disposizioni del Ministero 

dell’Ambiente; 

l gli strumenti per il suo esercizio 

(antenne, tralicci e installazioni analoghe 

a quella in esame) e, quindi, il 

Comune e ogni altra amministrazione 

competente per i profili edilizi e 

urbanistici. 

Il legittimo svolgimento dell’attività 

di radiodiffusione, di conseguenza, 

non può dedursi esclusivamente 

dalla sussistenza della relativa 

concessione, bensì richiede 

un’indagine a più ampio spettro. 

Infatti, come nella situazione esaminata, 

potrebbe risultare autorizzata 

l’attività in sé ma non uno o 

più dei singoli mezzi con i quali 

la stessa viene esercitata [11] . 

Alla luce di queste considerazioni 

non risulta del tutto censurabile 

il Giudice per le indagini preliminari 

laddove cerca di supplire 

alle carenze di effettività del sequestro 

preventivo emerse per la 

particolarità della fattispecie. Con 

l’interruzione dell’energia elettrica, 

infatti, l’intento perseguito dall’Autorità 

giurisdizionale è, con 

evidenza, quello di ridare effica- 

cia sostanziale alla misura cautelare 

già emessa (il Pubblico Ministero 

aveva utilizzato esattamente le 

parole «al fine di poter perseguire 

utilmente le finalità per le quali il 

sequestro stesso è stato disposto»). 

La limitazione inevitabilmente 

inferta all’attività di radiodiffusione, 

inoltre, sarebbe stata 

comunque circoscritta all’ambito 

territoriale di competenza dell’impianto 

in sequestro, rispetto al 

quale, tra l’altro, non sembravano 

di fatto sussistere tutti i requisiti 

autorizzativi necessari per un legittimo 

esercizio della medesima. 

La stessa Corte di Cassazione, 

tra l’altro, sembra essere consapevole 

della parziale inidoneità della misura 

cautelare tipica nel caso in esame. 

Infatti, a chiusura della sua decisione, 

afferma che, in alternativa al 

provvedimento impugnato il Giudice 

avrebbe potuto adottare «più pertinenti 

misure qualora non fosse sufficiente 

il solo sequestro dell’impianto», 

senza, peraltro, fornire alcun 

indizio o suggerimento utile sulla 

natura di tali diversi e più idonei 

provvedimenti. 

Un approfondimento di questi 

profili da parte della Corte di Cassazione 

sarebbe stato senz’altro auspicabile 

considerato che il notevole 

sviluppo dell’attività di telecomunicazione 

in genere e, quindi, la crescente 

diffusione sul territorio di impianti 

analoghi a quello in esame 

fanno presagire che, in un prossimo 

futuro, questioni simili torneranno 

ancora all’attenzione dei Giudici di 

primo grado. 

Infine, non si può tacere che la 

Suprema Corte sembra lasciare 

del tutto inevaso il motivo di illegittimità 

per incompetenza sollevato 

dal ricorrente, perdendo l’occasione 

per fornire un’utile chiave 

di lettura della normativa in 

materia. l 

[11] La necessità di due atti autorizzativi distinti (la concessione per l’esercizio di impianti di radiodiffusione e l’autorizzazione edilizia per 

l’installazione dei medesimi) è confermata dalla interpretazione fornita dalla giurisprudenza agli artt. 4 e 16 della legge 6 agosto 

1990, n. 223. Afferma, infatti, la Cassazione penale (sez. III, sentenza n. 1599 del 4 dicembre 1995, in Cass. pen. 1997, 841) che «lungi 

da equiparare la concessione radiotelevisiva a quella edilizia, il disposto normativo richiede espressamente la necessità di due 

autonome e distinte concessioni, quella radiotelevisiva e quella urbanistica edilizia». Analogamente, si vedano le sentenze del 

Consiglio di Stato, sez. V, 18 marzo 1991, n. 280 e del Tar Umbria, 22 febbraio 2001, n. 116 (in Foro amm. 2001, 1291). 

XXXII www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 24 dicembre 2002 - N. 23

Ambiente e Sicurezza..

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