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L'alpeggio nelle Alpi lombarde tra passato e presente - Ruralpini

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di collari di cuoio con borchie d’ottone lavorate e grosse brúnze è attestato anche nell’alta Valle<br />

camonica 402 .<br />

La vita in alpe era caratterizzata da particolari espressioni culturali anche al di fuori delle occasioni<br />

festive. Sono proprio queste espressioni che mettono in evidenza come la differenza con altre realtà<br />

alpine non vada rin<strong>tra</strong>cciata tanto nell’assenza ab antiquo di una “cultura dell’alpeggio”, quanto nella<br />

loro più precoce, rapida e profonda erosione a seguito della crisi della società <strong>tra</strong>dizionale. Prendiamo<br />

ad esempio il canto, oggi legato esclusivamente a manifestazioni festive e basato su un repertorio<br />

inquinato da elementi “nazional-popolari”, espressione di subalternità culturale. Il confronto con il<br />

<strong>passato</strong> non potrebbe essere più stridente quando si considerino le seguenti osservazioni del Bianchini<br />

a proposito della vita <strong>tra</strong>dizionale d’alpeggio in Val Tartano:<br />

“La quiete del meriggio era talvolta intervallata dai canti intervallati da «jodel» gícui di ragazze che raccoglievano céra sui<br />

dirupi: anch’esse a quell’ora si riposavano, attendendo che l’erba falciata si essicasse,per poterla portare a casa, in grossi<br />

fasci. Giovani pastori o i cascii rispondevano con «jodel» 403 ”.<br />

Analoghe le ossercazioni del Pensa che riferendosi alla raccolta del fieno selvatico <strong>nelle</strong> valli lariane<br />

osservava:<br />

“Era tuttavia, quell’impegno che occupava <strong>tra</strong> la prima e la seconda fienagione sui maggenghi, un momento da cui i giovani<br />

non rifuggivano quasi gustando la libertà della natura e, mentre tagliavano l’erba magra, moncif o scernion, come la si<br />

chiamava in dialetto, lanciavano, da una parte all’al<strong>tra</strong> delle valle, il cigol, tipico grido di presenza e di richiamo, festoso<br />

segno del gusto di vivere insieme” 404 .<br />

L’osservazione è tanto più significativa considerando che questa espressione viene ritenuta quasi<br />

esclusiva delle regioni di lingua tedesca 405 . Le espressioni musicali legate alla vita d’alpeggio<br />

comprendevano, però, anche l’uso di strumenti. Cesare Cantù, nella sua Grande Illus<strong>tra</strong>zione del<br />

Regno Lombardo-Veneto, descrivendo la vita delle montagne lariane riferisce che:<br />

“molti sono pastori o malghesi, come ivi si dicono, distinti da consuetudini proprie, legati in una vita di famiglia, abili del par<br />

a suonare la zampogna e la cornamusa come ad arrampicarsi coi loro zoccoli ferrati sulle colme più ardue (...)” 406<br />

La rottura nella <strong>tra</strong>smissione di questa <strong>tra</strong>dizione musicale pastorale è evidente <strong>nelle</strong> notizie storiche<br />

che sono riferite al proposito del baghèt, la cornamusa bergamasca, il cui uso si ritiene circoscritto alle<br />

valli bergamesche e, almeno in una fase recente, ad un ambito contadino e non più pastorale 407 . La<br />

documentazione dell’uso da parte di pastori e malghesi, oltre che dalle osservazioni del Cantù è,<br />

fornita da alcuni affreschi risalenti ai secoli XIV-XVI di chiese della bergamasca, Essi rappresentano<br />

testimonze di antichità almeno pari a quelle disponibili per la “sorella maggiore” scozzese 408 .<br />

Tra gli strumenti pastorali figura ovviamente il corno, ricavato di preferenza dalle corna di becco.<br />

Strumento indispensabile dei caprai che lo utilizzavano negli alpeggi (ma anche nei villaggi per<br />

radunare al mattino le capre da condurre al pascolo), il corno, nonostante non sia venuta meno l’utilità<br />

della sua funzione 409 , in tempi recenti non è più legato ad un uso “professionale”, probabilmente<br />

perché associato ad uno stigma di arcaicità. E’ invece utilizzato in particolari contesti, come del ciamà<br />

l’erba 410 , dove gli aspetti rituali gestiti dai ragazzi hanno assunto una valenza ludica, o in<br />

“rievocazioni” della vita pastorale di un tempo.<br />

402 D.M. Tognali, comunicazione personale.<br />

403 Questo tipo di espressioni canore è attestato anche per le valli bergamasche (Piergiorgio Mazzocchi, comunicazione<br />

personale).<br />

404 P.Pensa, op. cit., Vol. II, p. 439.<br />

405 A. Niederer. Mentalità e sensibilità, in: Storia e Civiltà delle <strong>Alpi</strong>. Il destino umano, a cura di P. Guichonnet, Milano,<br />

pp.104-156.<br />

406 C. Cantù, op.cit., p.764-765.<br />

407 V. Biella, Il baghet un'antica <strong>tra</strong>dizione bergamasca, Villa di Serio (Bg), 1988.<br />

408 Piergiorgio Mazzocchi, comunicazione personale.<br />

409 Le difficoltà di “chiamare” le capre che, specie verso la fine dell’alpeggio, tendono a divenire sempre più “selvatiche” e<br />

quindia non rien<strong>tra</strong>re facilmente alla casera per la mungitura, sono le stesse di un tempo e la disaffezione per il corno può<br />

spiegarsi solo con il timore dei pastori di apparire “personaggi da presepio”.<br />

410 R. Valota, op. cit.

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