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L'alpeggio nelle Alpi lombarde tra passato e presente - Ruralpini

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legami di appartenenza; i falò erano un modo per “chiamarsi” da alpe ad alpe e per stabilire una<br />

contatto simbolico <strong>tra</strong> coloro che restavano a valle e i pastori sulle alpi.<br />

La festa del descargà rappresentava anche <strong>nelle</strong> Orobie valtellinesi un evento festivo di grande<br />

importanza, come sottolinea il coinvolgimento delle famiglie dei pastori e di quelle dei piccoli<br />

proprietari del bestiame affidato ai “caricatori”. Tutti salivano all’alpe e la sera della vigilia della<br />

discesa si celebrava la fine dell’alpeggio con il consumo collettivo di cibi particolarmente ricchi 396 .<br />

La presenza di eventi a carattere festivo legati all’alpeggio è segnalata anche nella Svizzera<br />

lombardofona:<br />

“L’alpeggiatura dà luogo a semplici feste in alcuni suoi momenti, in particolare in occasione della partenza per l’alpe, dei<br />

giorni di misura e della discesa ai “monti” o al piano” “Il giorno della partenza si costuma fare un po’ di festa sui “monti”<br />

con i vicini e i famigliari saliti per l’occasione dal villaggio. La festicciola consiste in un pasto a base di panna e<br />

nell’accensione dei falò (...) una festicciola analoga ha luogo sull’alpe nei giorni di misura 397 e la vigilia della discesa al<br />

piano”. 398<br />

In alcune realtà il ciclo della festa del descargà comprendeva, oltre alla celebrazione in alpe, anche<br />

una sorta di “parata” che, senza assumere i toni spettacolari di altre realtà alpine (pensiamo alla Valle<br />

d’Aosta) presentava comunque alcuni degli elementi connessi a queste manifestazioni rituali e<br />

terminava con un banchetto in paese. Il Pensa (nato nel 1906) con riferimento a ricordi personali della<br />

propria adolescenza in Valsassina e Valvarrone riferisce che:<br />

“…Il ritorno dall’alpe era quanto mai festoso. Le mucche portavano rami d’albero intrecciati alle corna, le giovani vestivano<br />

gli abiti festivi, i ragazzi facevano ogni sorta di suoni con campani, zufoli e ferraglie. Al paese poi, specialmente là dove le<br />

alpi pascolive erano caricate in cooperativa, si festeggiava la chiusura con una cena in compagnia, arrostendo qualche agnello<br />

e innaffiandolo di vino”. 399 .<br />

La produzione di suoni metallici rappresenta una sottolineatura (comune ad altre occasioni rituali<br />

diffuse sull’Arco <strong>Alpi</strong>no 400 ) dell’importanza che l’evento assumeva nel ciclo annuale. E’ probabile ch<br />

al di là dell’eccezionalità e dell’importanza dell’evento e della generale eccitazione che<br />

l’accompagnava, i suoni metallici assumessero anche il significato di protezione del bestiame dagli<br />

influssi negativi in un cruciale momento di “passaggio”. Le manifestazioni ostentative implicite nella<br />

sfilata del bestiame potevano verosimilmente suscitare, infatti, influssi negativi legati all’invidia<br />

(malocchio). Il contenuto ostentativo è bene messo in evidenza dalla descrizione della sfilata delle<br />

mandrie durante la carga e la discarga delle alpi della Val Tartano <strong>nelle</strong> Orobie valtellinesi:<br />

“Per certi caricatori d’alpe avere la regiura era questione di grande prestigio: nell’andata e nel ritorno dall’alpeggio, la regiura<br />

aveva il campanaccio de viac’ (da viaggio) più grosso, con il collare adornato di borchie di ottone e guarnito ai margini con<br />

peli di tasso. Nella Valle, quando passavano, per la monticazione o la smonticazione, i caricatori d’alpe di Talamona o di<br />

Forcola, orgogliosi del consistente numero di bestie che potevano mos<strong>tra</strong>re, venti, venticinque o più, la gente riconosceva la<br />

regiura per la sua prestanza, messa in valore dal campanaccio e se la mos<strong>tra</strong>va a dito” 401<br />

Per una migliore comprensione di questi aspetti va sottolineato che i campanacci (brunże) utilizzati per<br />

la “grande occasione” erano prodotti di fusione recanti rilievi artistici, provenienti anche da lontane<br />

località e ai quali era associato un elevato valore intrinseco (come del resto anche ai collari). L’utilizzo<br />

396<br />

“La smonticazione, descargà, era un evento che assumeva l’aspetto di una festa. Al pomeriggio del giorno prima,<br />

cominciavano ad arrivare lacèr e famigliari di pastori, che alla sera cenavano con i pastori offrendo ciò che avevano portato:<br />

pane, frutta, qualche «Cek» [abitanti delle località del versante retico della Bassa Valtellina, n.d.a.]un fiasco di vino. (…) La<br />

mattina dopo arrivavano gli altri lacér » [contadini proprietari delle vacche inviate all’alpeggio, n.d.a.] e famigliari dei<br />

pastori: uomini, donne, ragazzi, ragazze. (…). In un grande paiolo veniva preparata la polenta «nella panna» per tutti. Si<br />

doveva mangiare a turno perché non c’erano scodelle e cucchiai per tutti (…). Qualche lacér beveva a canna vino da una<br />

bottiglia che s’era portato e che passava ad altri. Tutti ridevano, scherzavano.” G. Bianchini, op. cit., 1985, p. 88.<br />

397<br />

Si <strong>tra</strong>ttava della pisa. A questa scadenza, cui partecipavano i proprietari delle vacche veniva attribuita molta importanza<br />

perché si stabiliva la rendita che sarebbe loro spettata. ALP, p.115.<br />

398<br />

ALP, p. 117.<br />

399<br />

P. Pensa, op. cit. Vol. II, p. 456.<br />

400<br />

R. Valota, Chiamare l’erba. Rituali di propiziazione primaverile nel Comasco e nel nord Italia, Oggiono (Lc), 1991.<br />

401<br />

G.Bianchini, op. cit., 1985, p. 125.

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