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L'alpeggio nelle Alpi lombarde tra passato e presente - Ruralpini

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Insieme ai confinati la dòna del giöch rappresentava un altro importante elemento che alimentava le<br />

paure dei pastori sulle alpi.<br />

“(...) a sentire i racconti dei pastori neppure sarebbe una vera e propria cratura umana, bensì un’entità indefinibile che porta<br />

paura e danni alle cose materiali, Infatti quando sopraggiungeva nei pressi di malghe e baite isolate nei pascoli alpestri,<br />

incominciava ad urlare e ad inquietare gli animali chiusi <strong>nelle</strong> stalle, si gettava contro porte e finestre graffiandole senza<br />

pietà, mentre gli uomini se ne stavano ben chiusi all’interno degli abituri aspettando che la tregenda finisse” 375<br />

I diversi motivi della “caccia”, delle “processioni dei morti” e della “donna del gioco” non solo<br />

tendono a intrecciarsi <strong>tra</strong> loro, ma si confondono con i racconti di fate, streghe, sabba e riti del<br />

fuoco 376 . I vari tipi di credenze sono spesso strettamente riuniti 377 . Nell’immaginario che emerge dalle<br />

credenze e leggende legate all’alpeggio, oltre ai “cani dell’aldilà” emergono anche altre animali e<br />

creature fatate. Il Volpi 378 , a proposito delle credenze dei bergamini, riferisce che:<br />

“Lo sfondo sul quale intrecciano le loro “storie” e le loro leggende è terrificante; draghi, streghe, orchi, animali dalle forme<br />

inverosimili e grottesche le narrazioni delle gesta dei quali fa battere di paura il cuore dei piccoli”<br />

In Val Tartano “si diceva di cavalli visti galoppare su alpeggi o che, addirittura, mangiavano di notte<br />

la cèra [fieno selvatico]su cui dormivano i pastori.” 379 Molto diffuse sono anche le storie di capre e<br />

in Valcamonica e <strong>nelle</strong> Prealpi <strong>lombarde</strong> dal XV al XVIII secolo, Nadro di Ceto –Bs- p. 55) mentre in precedenza la chiesa<br />

cattolica considerava la “donna” solo “un fantasima che si suppone girare e far rumore la notte” (ibidem p. 38 n).<br />

La credenza della “donna del giuoco” è <strong>presente</strong> in Valtellina, nella bergamasca ma, soprattutto, in Vallecamonica. La<br />

“Signora del Gioco” domina anche la Val Grande e la Val di Canè in Alta Vallecamonica (D.M. Tognali op. cit. p.65). Una<br />

“donna del gioco” si diceva vivesse in una malga <strong>tra</strong> Cevo e Saviore in Vallecamonica; al calar delle tenebre si raccoglievano<br />

presso di lei streghe, animali e misteriosi esseri luminosi che lei conduceva in lunghe e allegre corse su e giù per le montagne<br />

(A. Dalbosco, C. Brughi, Entità fatate della padania, Milano, 1993, p. 247). In alta Vallecamonica si trova anche una località<br />

“Case di giuoco”, un maggengo presso Pezzo, frazione di Pontedilegno. L’ambivalenza della “donna del gioco” non<br />

rappresenta solo la demonizzazione delle personificazioni delle divinità femminili dell’antica religione, ma anche la duplicità<br />

dell’aspetto di tali divinità, che a fianco della natura benefica, presentavano anche quella di streghe distruttrici.<br />

375 M. Prevideprato, op. cit. p. 38.<br />

376 Dall’intervista a P.V. (vedi nota 367) “E i balabiòtt:... i vedeva ‘na bòcia russa là sùt i pégul, la böcia la girava ... mi i uu<br />

vìst nò, ma uu sentìi dí che i vedéva ... anca el mè źiu; el mè źiu el ghè vegnùu la fébre a quaranta quant i à sentúu. Lú l’è<br />

pasàa d’una stala, l aa sentìi di rumori, inscì d’improviso, i sè stremíi i ghè vegnúu la fébra”. L’informatore, nato nel<br />

melegnanese, a sud di Milano e che, in quanto bergamino, ha <strong>tra</strong>scorso presso una cascina della Bassa buona parte della vita,<br />

utilizza una voce “sdrammatizzante” tipica del milanese. Balabiòtt, letteralmente “coloro che ballano nudi” è voce tutt’ora<br />

ampiamente usata anche da non dialettofoni in senso spregiativo e sarcastico; sta per “disperati”, “squattrinati” e <strong>tra</strong>e la<br />

propria origine da un episodio (storico?) che ebbe per protagonisti dei miserabili che essendosi illusi per qualche motivo di<br />

poter diventare ricchi si erano messi a ballare nudi in preda all’eccitazione. Anche la bòcia russa (per denominare la “palla di<br />

fuoco” di numerose leggende) segna una sdrammatizzazione e un esaurimento del contenuto del racconto.<br />

377 In una leggenda della Valcamonica troviamo riuniti una pluralità di elementi: la “donna del gioco” (la Signura), i<br />

confinati, la processione dei morti, la caccia selvatica, il sabba. Riferisce la leggenda che presso la “Sorlina” di Gorzone (in<br />

comune di Darfo) “accanto ad una vecchissima cascina abbandonata, la “Ca’ de la Signura”, si trova una profonda croce con<br />

coppelline, in prossimità del confine <strong>tra</strong> i boschi di Angolo, di Corna e Gorzone. (...) [qui]“Prima del Concilio di Trento, la<br />

gente vedeva girare gli spiriti, li vedeva andare in processione, portando, invece delle candele, chi un braccio da morto chi<br />

una gamba. In Sorlina li vedeva anche andare a caccia. Una volta videro anche uno spirito che portava sulle spalle un<br />

“termen” (pie<strong>tra</strong> confinaria, spesso incisa, n.d.a.); si vede che, durante la vita per ingrandire il suo campo aveva spostato le<br />

pietre che segnano il confine <strong>tra</strong> un proprietario e l’altro. Il Papa, constatato che una cosa del genere non doveva continuare,<br />

decise di tenere il grande Concilio di Trento per impedire alle anime confinate di farsi vedere ai vivi e alle streghe di far<br />

del male. Da allora non si videro più né spiriti né streghe… credono che il concilio di Trento si sia tenuto per impedire alle<br />

anime dei <strong>tra</strong>passati di tornare su questa terra per scontare la pena sul luogo dove hanno peccato”. Accanto alla croce<br />

della Sorlina gli spiriti danzano, cacciano, en<strong>tra</strong>no in contatto coi mortali, in specie saltando sulle rocce di arenaria rossa. (C.<br />

Cominelli, S. Lentini e P.P. Merlin , op.cit.).<br />

378 L. Volpi, Usi, costumi e <strong>tra</strong>dizioni bergamasche, Bergamo, 1937, p.89-90.<br />

379 G.Bianchini, op. cit., 1985, p.161. E’interessante osservare come il cavallo nella mitologia celtica rappresenti un vettore<br />

che collega il mondo terrestre con quello spirituale e sotterraneo.

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