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L'alpeggio nelle Alpi lombarde tra passato e presente - Ruralpini

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testimionianza circa la posizione di tali confini 365 . E’ interessante osservare, in quanto espressione di<br />

un interessante ribaltamento, che proprio le zone di pascolo lontane dagli insediamenti, ai limiti del<br />

territorio dei diversi clan, o tribù o dove esistevamo conceliba, proprietà comune dei conciliabula 366 si<br />

svolgessero manifestazioni collettive e in particolare di culto con funzione di rafforzamento dei<br />

rapporti intertribali 367 .<br />

Un ulteriore aspetto delle leggende dei confinati è rappresentato da una valenza di sanzione “dal<br />

basso” per comportamenti socialmente riprovevoli a danno dei membri più deboli della comunità. In<br />

Alta Valtellina sono note storie di confinati che in vita si sono arricchiti abusando della loro posizione<br />

sociale o comunque con sotterfugi ed imbrogli 368 . La “confinazione” rap<strong>presente</strong>rebbe spesso la<br />

punizione per chi nella vita, pur avendo agito male, è rimasto “al di sopra di ogni sospetto”. A<br />

Livigno, dove la credenza nei cunfinàa/cunfinèi è ancora viva, è nota la vicenda di uno strozzino del<br />

XIX secolo, il Galèt 369 . Al suo funerale i portatori si accorsero che la bara era vuota e fu visto alla<br />

fines<strong>tra</strong> di casa 370 . Fu perciò confinato nella Valle delle Mine.<br />

A Valdisotto, sempre nel bormiese, si racconta anche della confinazione di un certo Péto in Vallecetta<br />

a causa di abusi commessi quando, in vita, aveva ricoperto la carica di sindaco e che gli consentirono<br />

di acquistare molti terreni. 371 La diffusa credenza nei cunfináa non esaurisce il panorama delle<br />

presenze e inquietanti apparizioni di personaggi dell’altro mondo. A Livigno 372 si raccontano episodi<br />

di fantasmi che, in alpeggio, si “fanno sentire” con rumori di catene <strong>tra</strong>scinate sui tetti delle baite, ma<br />

qui come in altre località dell’Alta Valtellina a queste credenze stanno suben<strong>tra</strong>ndo storie di<br />

avvistamenti di Ufo.<br />

Un tempo molto diffuse in tutta l’area lombarda, dal comasco alla Vallecamonica, erano anche una<br />

serie di altre credenze relative all’irruzione dell’aldilà nel mondo dei vivi che avevano per teatro i<br />

boschi e i pascoli. Con il tempo i diversi subs<strong>tra</strong>ti si sono intrecciati <strong>tra</strong> loro perdendo i <strong>tra</strong>tti specifici.<br />

Tra queste credenze vanno segnate la cáscia selvádega con innumerevoli varianti (cáscia mòrta,<br />

cáscia di can 373 ), le “processioni dei morti”, la dòna del giöch/zöch/züch 374 .<br />

365<br />

Ticipa la storia del Rigadii che si “sentiva” sugli alpeggi di Dordona e Dordonella (nell’ambito di una lite legale sulla<br />

proprietà di un pascolo che coinvolgeva i comuni di Fusine e di Colorina chiamato a testimoniare sotto il vincolo del<br />

giuramento il Rigadii giurò il falso) G.Bianchini, op. cit., 1985, p.161. A Bodio (Canton Ticino) lo spergiuro che aveva<br />

utilizzato lo stesso s<strong>tra</strong>tagemma, venne rapito immediatamente da un turbine di fuoco e, in seguito, gli si attribuirono digrazie<br />

di uomini e animali in coincidenza con violente tempeste. Questo modello si ripete anche in Valle camonica (ad Avio dove<br />

un alpe era contesa <strong>tra</strong> Edolo e Temù). Molte delle storie di cunfinàa sono legate, oltre che alle false testimonianze sui<br />

confini delle alpi anche sullo spostamento fraudolento delle pietre di confine (termèn). In questo caso i cunfinàa devono<br />

<strong>tra</strong>sportare sulla schiena i tèrmen girando senza pace fintanto che i vivi provvedano a rimettere i tèrmen al loro posto.<br />

366<br />

G. Forni, Gli albori dell’agricoltura. Origine ed evoluzione fino agli Etruschi ed Italici, Roma, 1990, pp. 198-203.<br />

367<br />

E. Sereni, Comunità rurali nell’Italia antica, Roma, 1955, p. 525.<br />

368<br />

“Sono anime non volute né da Dio né dal diavolo, dice Isaia [un anziano informatore], perciò confinate, cioè relegate nei<br />

luoghi più orridi e solitari delle montagne per toglierle di casa e condannate generalmente a battere una pesante mazza; Si<br />

<strong>tra</strong>tta sovente di anime di defunti che in vita si sono arricchite a danno degli altri, abusando della loro posizione sociale o<br />

comunque con sotterfugi ed imbrogli, oppure di anime di defunti che in vita hanno condotto un’esistenza peccaminosa” M.B.<br />

Silvestri. Riti e pratiche funebri a Livigno e in Alta Valle, Livigno (So), 1998.<br />

369<br />

Ibidem, p.83. Galli è un cognome ancor oggi diffuso a Livigno.<br />

370<br />

Ibidem, p. 82-83. Nella versione raccolta dall’autore durante una conversazione, quasi una veglia, all’Alpe delle Mine,<br />

nell’estate del 1998 il Galetín venne visto, durante il suo funerale, sulla cima del campanile della chiesa; egli non sarebbe<br />

stato l’unico cunfinàa nella Valle delle Mine.<br />

371<br />

Ivi, p. 82.<br />

372<br />

Informazioni personali, vedi nota 32.<br />

373<br />

La càscia di can rappresenta una versione “minore” della “caccia selvatica”; si manifesta con misteriori la<strong>tra</strong>ti e uggiolii.<br />

Dall’intervista dell’autore a P.V., classe 1923, raccolta a Taleggio (Bg) nel 2002 “(…) sentiven di can e i vedeva niéent,<br />

magari dopu .... ma i vedeva niéent”. Non è difficile collegare queste credenze alle saghe celtiche dei “cagnolini dell’altro<br />

mondo” associati alla Signora del Sidhe accompagnata da cani bianchi con le orecchie rosse che poi divennero i cani di<br />

Arawn re di Anwynn, la terra dei morti, nella più tarda <strong>tra</strong>dizione gallese. Arawn vestito di grigio su un cavallo grigio, che<br />

cavalca nella notte seguito dai suoi cani, trova corrispondenza <strong>nelle</strong> figure di cavalieri delle “cacce selvatiche”.<br />

374<br />

In alcune versioni nella “donna” non è difficile in<strong>tra</strong>vedere una divinità della caccia e degli animali che, nella notte,<br />

seguita da un corteo di altre figure femminili a cavallo di s<strong>tra</strong>ni animali, at<strong>tra</strong>versa grandi spazi facendo rumore e<br />

annunciando il 1° Maggio. Questa versione si sovrappone con la “caccia selvatica” mentre, in altre, la “donna” è una figura<br />

inquietante e gigantesca che di notte sottopone i viandanti a degli enigmi o una “megera che di notte radunava nottetempo<br />

convegni in luoghi isolati dove avveniva di tutto” (L.Ernani, Tra cime e sorgenti.Vita camuna di un tempo, Esine (Bs), 1999,<br />

p. 81. Altrove è una donna-uccello. Nei processi dell’inquisizione in Vallecamonica già alla metà del XV secolo il “gioco”<br />

venne identificato con il sabba e la Signora con il demonio (M. Prevideprato, Tu hai renegà la fede. Stregheria e Inquisizione

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