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L'alpeggio nelle Alpi lombarde tra passato e presente - Ruralpini

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“In Pisganna c’è una baita di pastori, che vi <strong>tra</strong>scorrono l’estate. Il 24 agosto, giorno di S.Bartolomeo devono lasciare la<br />

zona perché comincia a diventare proprietà dei confinati: persone del paese, vissute male, condannate a far là il<br />

purgatorio. Tre vecchi pastori provarono a fermarsi qualche giorno. La sera rovesciarono su un sasso all’aperto, il solito<br />

polentino che si preparavano a mangiare con carne di marmotta. Improvvisamente si levò un tuono, mentre un vocione<br />

brontolava: -dopo de San Bartolomè la montagna la fa per mè-. Vicino a loro tre uomini (morti che conoscevano)<br />

giocavano a carte, poi si avvicinarono e mangiarono tutta la polenta e fecero rotolare il paiolo fino al torrente” 359 .<br />

Le leggende sui confinati riflettono la volontà della chiesa cattolica, preoccupata che in alpeggio i<br />

montanari “rinselvatichissero alle cose della Chiesa”, di dissuadere, con la prospettiva di pene<br />

terrificanti i comportamenti <strong>tra</strong>sgressivi 360 ma, sopratutto, di incutere il timore per le conseguenze<br />

delle mancata osservanza da parte dei pastori del precetto festivo; spesso, infatti i confinati erano<br />

anime di pastori che non si erano preoccupati di scendere dalle alpi per assistere alla messa 361 .<br />

Più in generale, però, <strong>tra</strong>spare la tendenza a imprimere un segno diverso (at<strong>tra</strong>verso la demonizzazione<br />

o la superposizione di nuove simbologie religiose 362 ) ad un ambiente dove i segni e le presenze del<br />

sacro erano numerose. I confinati hanno una stretta connessione con le rocce e i grandi massi erratici.<br />

La loro pena consiste nella versione più frequente nel battere sulle rocce con grosse mazze di ferro che<br />

sono poi riposte sotto dei massi 363 . Essi stessi, dopo aver eseguito il loro “lavoro” notturno, trovano<br />

rifugio di giorno sotto quei grandi massi o ammassi di rocce che, nell’antica religione,<br />

rappresentavano la sede di presenze spirituali. Osserva in proposito Dino Martino Tognali:<br />

“ (...) i massi erratici galleggianti che si ergono sui nostri pascoli, gli ammassi a tumulo, i grandi blocchi variamente<br />

raggruppati simboleggiano la presenza della divinità o quanto meno i luoghi che accolgono influssi spirituali. I riti di<br />

misteriosi numi relegati nei cumuli e negli ammassi di macigni, nei pilastri e <strong>nelle</strong> rupi sacrate, simulacri di deità montane,<br />

simboleggiano antichissimi timori e desideri essenziali della vita.” 364<br />

Un altro aspetto delle leggende dei confinati che induce a stabilire delle relazioni con antiche forme di<br />

culto, è la loro localizzazione non solo al limes <strong>tra</strong> aldiquà e aldilà (rappresentato fisicamente con<br />

quelle aree dirupate al di sopra dei pascoli da dove rotolano massi e da dove pare che provengono le<br />

saette), ma anche nella “terra di nessuno”, al confine <strong>tra</strong> le aree di pertinenza territoriale delle diverse<br />

comunità. Non a caso uno dei frequenti motivi per i quali i confinati sono condannati a scontare la loro<br />

pena è lo spostamento fraudolento dei termèn, ossia delle pietre di confine <strong>tra</strong> le alpi o l’aver reso falsa<br />

359<br />

C. Cominelli, S. Lentini e P.P. Merlin , op.cit.<br />

360<br />

Nelle veglie “Gli anziani alle volte chiaccheravano fino a tardi, ascoltati con attenzione dai giovani (...) parlavano di<br />

leggende, di streghe e stregoni, di manifestazioni di forze dell’aldilà, di apparizioni di morti, di anime condannate, cundanàa,<br />

sui monti per scontare i peccati commessi nella loro vita.” (G. Bianchini, op. cit., 1985, p. 74.). “Vi è poi un vero florilegio<br />

di racconti di paurose visioni di anime di <strong>tra</strong>passati confinati o vaganti la notte per la montagna e che talvolta di fanno<br />

«sentire» anche nella baita” (L. Volpi, op. cit. p. 90). Le anime dei confinati si dolgono nella Valle del Pisgana in Alta<br />

Vallecamonica (D.M. Tognali, op. cit., p. 64). I confinèi si trovano anche in Val d’Uzza in Valfurva (G. Longa, Usi e<br />

costumi del bormiese, Bormio (So) 1967 (ed. or., Sondrio, 1912).<br />

361<br />

“Vi è nella Grigna maggiore, <strong>tra</strong> il Monte del Palone e il Pizzo della Pieve un grande squarcio lo Zapel, ai cui fianchi si<br />

levano paurose pareti verticali di ben duecento metri; la pie<strong>tra</strong>ia tutt’intorno e le lingue di neve che durano tutto l’anno<br />

rendono terrificanti quei luoghi di una grandiosità che ha pochi paragoni. Quando d’estate il maltempo si avvicina, folate di<br />

vento soffiano dal basso e levano un fischio che a raffiche risuona tutt’attorno. Dicevano che fosse il gemito dei pastori<br />

condannati per l’eternità per non aver osservato l’obbligo festivo”. P. Pensa, op. cit., Vol. II, p.453.<br />

362<br />

Evidente nella posa di croci sulle pietre sacre e i massi coppellati e nella sostituzione delle edicole delle divinità<br />

dell’antica religione con le santelle.<br />

363<br />

“ i cundanàa si trovavano solo sui monti e si manifestavano in vari modi, per esempio rotolando di notte grossi massi in<br />

una morena, pestando con una mazza di ferro sui sassi durante la notte. (...) si può dire che ogni alpeggio avesse le sue<br />

storie di morti, di diavoli, di fatti anormali, di cundanáa”. G. Bianchini, op. cit., 1985, p. 161.<br />

“Gli alpeggi di Camedo, nell’alta Valle del Liro[nell’ Alto Lario Occ.], sono sovrastati da impervie giogaia che culminano<br />

nel Monte Cardinello. Costituiti da una serie di piccoli mottoni in pendenza moderata con frequenti aree pianeggianti,<br />

delimitati in basso da un bosco di faggi che scende sin sopra la valle di Fiumetto, affluente del Liro, dicono che sopratutto là<br />

venissero esorcizzate le anime dannate. Dietro a una prima alpe vi sono mucchi di sassi. Assicuravano che venissero rotti dai<br />

dannati con l’aiuto di grosse mazze che poi nascondevano in un buco sotto un macigno posto presso la seconda alpe,<br />

Raccontavano anche che <strong>tra</strong> questi sasso gli “scongiurati” si fermavano a riposare dell’immane fatica, giocando alla morra”.<br />

P. Pensa, L’Adda nostro fiume, Religiosità. Tradizioni e folklore nel ritmo delle stagioni. Vol III, Lecco, 1977, p.172.<br />

364<br />

D.M. Tognali, Tradizioni e vita religiosa in: Berruti G., Belotti W., Tognali D.M., Bressan E., Majo A., op. cit., p. 61-75.

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