L'alpeggio nelle Alpi lombarde tra passato e presente - Ruralpini
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L’autore, a dimos<strong>tra</strong>zione dell’importanza dei pregiudizi ideologici che hanno connotato l’approccio<br />
degli studiosi “moderni” ai sistemi <strong>tra</strong>dizionali d’alpeggio, per giustificare la presenza di una spirito<br />
associativo nei montanari camuni, definiti “gretti ed egoisti”, è costretto a rilevarne la valenza negativa<br />
in termini di “spirito di promiscuità”:<br />
“Questo speciale sistema patriarcale di conduzione in comune delle malghe, nonchè la vita insieme che i vari comunisti<br />
conducono alla casera è solo possibile qui date le speciali condizioni di vita di questi montanari (di solito così gretti ed egoisti<br />
nei loro interessi) assuefatti come sono, per le speciali condizioni fisiche ed economiche della valle, ad una vita per molti<br />
riguardi a comune cogli altri conterranei anche nei mesi invernali nella casa spesso promiscua dei paesi, e nei mesi<br />
primaverili ed autunnali nei casali temporanei”<br />
L’ Agostini, alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, osserva ancora la presenza di questo sistema di<br />
gestione in alta valle (riprendendo pedissequamente le note del Toniolo), ma osserva anche un sistema<br />
in parte diverso <strong>nelle</strong> alpi di proprietà del comune di Edolo, dove i proprietari salivano a turno e vi<br />
restano per 3-4 settimanea 344 . Quest’ultimo sistema era praticato anche in Valtellina dove, ancora nel<br />
XX secolo, i proprietari del bestiame salivano a turno all’alpe dove restavano per una settimana 345 .<br />
Lo spirito associativo non si manifestava solo nella fruizione dei diritti di uso civico, ma anche quando<br />
le alpi erano concesse in affitto. Sono interessanti in proposito le osservazioni del Serpieri per le valli<br />
bergamasche sopra riportate e riprese anche dal Marengoni 346 .<br />
Lo spirito associativo nella gestione delle alpi bergamesche si manifestava anche at<strong>tra</strong>verso la<br />
costituzione, mediante atti formali, di Società d’alpeggio. Tali Società, provviste di un Presidente,<br />
Vicepresidente e Consiglio di Amminis<strong>tra</strong>zione, disponevano di un’unica direzione tecnica e di<br />
proprio personale per il governo del bestiame e la lavorazione del latte e prevedevano alla<br />
suddivisione degli utili <strong>tra</strong> i soci 347 . Un Società di alpeggio per i pascoli del Comune di Valtorta (oggi<br />
denominata Gruppo piccoli allevatori di Valtorta) sorse nel 1948 348 .<br />
Anche <strong>nelle</strong> alpi della valle del Liro (alto Lario occidentale) dove, come precedentemente visto, i<br />
con<strong>tra</strong>tti d’affitto “fittizi” lasciavano, di fatto, in esclusiva all’uso dei piccoli allevatori del luogo i<br />
pascoli comunali:<br />
“Gli affittuari delle alpi di questa zona sono tutti piccoli allevatori del luogo, riuniti in società di due, tre, sei membri 349 .<br />
L’uso dell’alpe procede associato, con la costituzione di una mandra unica. Generalmente uno o più soci, il più anziano ed<br />
autorevole, funge da casaro e capo-alpe; gli altri custodiscono il bestiame; i salariati sono così ridotti al minimo, limitati<br />
spesso al solo capraio. 350 ”<br />
Pare poter concludere che <strong>nelle</strong> <strong>Alpi</strong> <strong>lombarde</strong> i sistemi di gestione associata delle alpi in forma<br />
unitaria fossero ampiamente diffusi indipendentemente dai titoli di godimento (affitto, uso civico,<br />
comproprietà). E’ possibile anche rilevare una continuità nel tempo testimoniata dal permanere, fino al<br />
XX secolo, da sistemi di gestione descritti negli statuti medioevali. In Lombardia le forme di gestione<br />
comunitativa associata presentano sia la forma “indiretta” (amminis<strong>tra</strong>zione comune e nomina di<br />
direzione tecnica) che quella “diretta” (gestione in economia da parte dei soci che cooperano <strong>tra</strong> loro<br />
in alpe) tale differenziazione può trovare giustificazione nella diversa dimensione delle alpi (carico,<br />
paghe), ma potrebbe anche essere espressione della permanenza, in relazione al contesto culturale oltre<br />
che economico/ecologico, delle forme più antiche.<br />
insieme che per più mesi i vari comunisti conducono alla casera è possibile qui date le speciali condizioni di vita di questi<br />
montanari (di solito così gretti ed egoisti nei loro interessi) assuefatti come sono, per le speciali condizioni fisiche ed<br />
economiche della valle, ad una vita per molti riguardi a comune con gli altri conterranei anche nei mesi invernali nella casa<br />
spesso promiscua dei paesi, e nei mesi primaverili ed autunnali nei casali temporanei.”<br />
344<br />
G. Agostini, op. cit.<br />
345<br />
D.Zoia, comunicazione personale.<br />
346<br />
M. Marengoni, op. cit., 1997, p. 19: “Esistevano anche dei casalini che avendo posco bestiame erano costretti ad affittare<br />
l’alpe in comune con altri allevatori di montagna, a riunire le bestie in un’unica mandria, provvedendo alla custodia e<br />
fabbricando formaggio a turno per ripartire poi profitti e spese in proporzione al bestiame posseduto da ciascuno.”<br />
347<br />
M. Marengoni, ibidem, cita ad esempio quelle di Castione, Bratto, Dorga e Ornica.<br />
348<br />
Il regolamento è riportato per esteso dal Merengoni, ibidem, p. 19-23.<br />
349<br />
Si <strong>tra</strong>tta di alpi piccole e con pascoli spesso erti e magri.<br />
350<br />
IPACo, p.120.