L'alpeggio nelle Alpi lombarde tra passato e presente - Ruralpini
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oculata gestione dei beni silvopastorali e gli interessi immediati vuoi degli utenti che del comune<br />
stesso. In Ticino questi elementi di conflittulalità erano stati in buona misura evitati e le esigenze del<br />
singolo allevatore, at<strong>tra</strong>verso opportune mediazioni e un maggior grado di partecipazione, potevano<br />
essere meglio armonizzati con quelli della buona gestione dei pascolo 330 . Anche in Ticino, in ogni<br />
caso, l’evoluzione del sistama d’alpeggio è stata influenzata dai mutamenti intervenuti nell’economia<br />
agricola e generale delle valli alpine. Sgarzini 331 osserva come, all’inizio del XX secolo, fosse in atto<br />
il regresso delle forme di sfruttamento frazionato delle alpi che richiedevano il lavoro di molte più<br />
persone 332 . Egli citava alcune forme che si avvicinavano ai modi di una gestione meno “dissociata”<br />
(lavorazione a turno del latte, rotazione <strong>nelle</strong> mansioni di per una parte del periodo di alpeggio) come<br />
altrettanti elementi di <strong>tra</strong>nsizione che provavano il passaggio dal sistema frazionato a quello unitario.<br />
Questa osservazione è probabilmente fondata solo in parte se si tiene conto della realtà della<br />
Lombardia, dove tali forme “intermedie” erano, anche in un <strong>passato</strong> recente, piuttosto frequenti e<br />
dove, dal medioevo al XX secolo si riscon<strong>tra</strong> il permanere di una varietà di forme di godimento delle<br />
alpi non sempre facilmente riconducibili a modelli definiti di tipo “individualistico”, “comunitario” ,<br />
“imprenditoriale” .<br />
9. Spirito individualistico e spirito associativo<br />
Nell’ambito dell’Inchiesta sull’agricoltura e le condizioni di vita dei lavoratori agricoli lombardi, nota<br />
come “Inchiesta di Karl Czoernig”, 333 del 1835 sono molto interessanti le seguenti osservazioni che<br />
mettono in evidenza come le forme di gestione “intermedia” (pascolo dissociato, ma casificazione<br />
associata) non solo fossero da lungo tempo praticate, ma anche come esse riflettessero il ruolo<br />
dell'alpeggio nel promuovere e anticipare, l’esercizio di pratiche cooperative:<br />
“ ogni proprietario attende alla cura delle sue bestie, ma poi si manipola in comunione il latte di più proprietarj, tenendosi<br />
tessera della rispettiva quantità posta in massa, onde così misurare la quota della grascina che ad ognun si compete, dopo il<br />
giro di un maggiore o minor numero di giorni, a norma della maggiore e minor quantità consegnata. Per tal modo non solo si<br />
risparmia la mano d’opera, ma si ottengono altresì i prodotti in maggiore quantità e di bontà migliore. Questa pratica sarebbe<br />
bene fosse adottata anche nei villaggi, allorché le mandre vengovi ricondotte nella stagione jemale” 334<br />
Sempre a proposito della Valtellina Stefano Jacini osservava, qualche anno più tardi, un sistema di<br />
gestione che ripeteva, sin nella precisione della determinazione della quota di latte prodotta da ciascun<br />
utente, mediante pesata del latte ogni mattina e sera, le ben note forme di gestione associata delle <strong>Alpi</strong><br />
Svizzere.<br />
“Lo spirito d’associazione non è sconoscito <strong>nelle</strong> montagne (...) Nel distretto di Bormio ogni comunità dà il proprio bestiame<br />
ad appositi mandriani; due probe persone, detti capi d’alpe, pesano ogni mattina e sera il latte che si munge da ogni vacca e si<br />
stabilisce la quota di utile dei singoli possessori, dedotte le spese.” 335<br />
Alla fine del XIX secolo questi sistemi sono ancora presenti in Alta Valtellina. L’Alpe Vallecetta<br />
(Valdisotto) era goduta dai comunisti di Piatta assumendo un pastore e un casaro e, a conferma che i<br />
sistemi associati potevano essere altrettanto dinamici di quelli basati sull’affitto a imprenditori privati,<br />
nel 1887 viene dotata di stalle e di un caseificio in muratura, mentre la stalla viene ampliata nel 1900 e<br />
330<br />
“La compagnia d’alpe si costituisce per l’alpeggio di un alpe ed è presieduta dal capo d’alpe. E’ egli a cercare il casaro ed<br />
il suo inserviente come pure i pastori, e a sorvegliare tutto il lavoro prima e durante il carico dell’alpe. Un delegato del<br />
patriziato del comune, eletto dall’assemblea patriziale, deve vigilare che il bestiame sia ripartito ugualmente sui diversi alpi,<br />
affinchè nessuno venga sovraccaricato (Baer M. op. cit., p.54). Come si vede si <strong>tra</strong>tta, nella sostanza, degli stessi criteri di<br />
gestione presenti negli statuti comunali valtellinesi.<br />
331<br />
ALP, p. 108-109.<br />
332<br />
L’autore, osserva anche, però, come <strong>nelle</strong> alpi unitarie gestite unitariamente il personale lavorava “dalle stelle alle stelle”<br />
mentre, <strong>nelle</strong> alpi-villaggio, il ritmo di lavoro era molto meno intenso ed erano importanti i momenti di socializzazione.<br />
Evidentemente se, da una parte, la gestione unitaria consentiva un risparmio di lavoro per “economia di scala”, dall’al<strong>tra</strong> la<br />
gestione imprenditoriale rispetto a quella di sussistenza imponeva prestazioni di lavoro maggiori .<br />
333<br />
K. Czoernig, op. cit.<br />
334<br />
Ibidem, p. 724<br />
335<br />
S. Jacini, op. cit. p. 119