L'alpeggio nelle Alpi lombarde tra passato e presente - Ruralpini

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16.06.2013 Views

Esaminato il sistema d’alpeggio nel contesto dell’economia di sussistenza e di quella di mercato resta da considerare la situazione di quelle comunità che erano restate al margine del sistema d’alpeggio in quanto i comuni, per ricavare un redditto dagli affitti, avevano da secoli praticato la locazione delle alpi ai mandriani transumanti (originari o meno delle località in questione). E’il caso delle valli bergamasche dove i casalini (i piccoli allevatori) solo in misura ridotta potevano inviare i loro capi all’alpeggio, non potendo competere con i bergamini per l’aggiudicazione degli affitti. Le nozioni generali territoriali e quelle agrarie di dettaglio per il distretto di Piazza (Alta Valle Brembana) del 1826-27 forniscono un quadro dell’utilizzo dei pascoli molto diverso da quello del XV secolo, quando i capitoli di valle prevedevano una forma generalizzata di uso diretto da parte dei “terrieri” della generalità dei beni comunali (beni indivisi contrapposti ai beni divisi) e la ferma tutela di questi diritti anche nei confronti dei comuni 325 . Nel XIX troviamo che i pascoli migliori (quelli organizzati in alpi) sono divenuti spesso di proprietà privata (comproprietà) mentre quelli di proprietà comunale vengono ceduti in affitto per lo più a bergamini. Diversi comuni, anche quelli privi di alpi, dispongono, però di altri pascoli. Questi ultimi sono, però, costituiti da superfici boscate e cespugliate, dove il pascolo era libero senza limitazioni e senza alcuna corresponsione di tasse. Nel caso di diversi comuni valeva ancora il “diritto di compascuo” e i “terrieri” potevano recarsi liberamente al pascolo su tutti i pascoli dei comuni che avevano fatto parte anticamente della comunità di valle. Limitamente ai “terrieri” del comune sussisteva ancora quasi ovunque nell’alta Valle Brembana il diritto di pascolo senza limitazioni anche nei boschi privati 326 . Anche a Gandino, nella media Valle Seriana, ancora nella prima metà del XIX secolo, non solo l’utilizzo dei pascoli comunali (compresi i boschi) era libero e gratuito per tutti i “terrieri”, ma anche sui i pascoli comunali affittati (così come sui fondi privati “aperti”) si esercitava il “libero pascolo” dal 30 settembre al primo marzo 327 . Ulteriori precisazioni sull’utilizzo dei pascoli da parte dei piccoli allevatori stanziali delle valli bergamesche, nell’ambito dell’economia di sussistenza, sono offerte dai “Capitoli e Ordini per il buon governo della contrada di Schilpario confermati con Ducale 23 maggio 1774” in Val di Scalve 328 che precisano come, entro un certo numero di capi per fuoco (famiglia), il pascolo fosse libero e gratuito 329 . E’ evidente che questa economia di sussistenza, basata sull’utilizzo di risorse marginali attraverso l’esercizio di diritti d’uso “arcaici” delle risorse silvopastorali, non potè reggere l’impatto delle normative in materia di beni comunali e di foreste che vennero introdotte nei decenni successivi. Si tratta, però di una situazione molto diversa da quella di diverse altre zone delle Alpi lombarde dove, come abbiamo visto, grazie al mantenimento di un diritto d’uso delle alpi pascolive (tramite la formalizzazione dell’uso civico o il passaggio solo formale al regime della locazione) e all’intensificazione del loro sfruttamento, la crisi dell’economia di sussistenza dei contadini-allevatori fu procrastinata molto più a lungo. Nel Canton Ticino la gestione dei beni collettivi in seguito alla separazione tra Comune politico e Patriziato (continuatore dell’organizzazione della vicínia) è stata caratterizzata da una maggiore continuità. La confusione tra i ruoli di comune-proprietario delle risorse territoriali e quelli più generali da esso rivestiti, aveva determinato in Lombardia, nel XIX secolo, una situazione di conflitto tra le esigenze di bilancio dei comuni e gli interessi dei contadini-allevatori ed anche tra le esigenze di 325 Statuti della Valle Brembana superiore, Gli statuti della Valle Brembana Superiore del 1468 a cura di M. Cortesi, Bergamo, 1994, Cap. 201: “Che quelli che hanno terreni indivisi possano godere essi beni. Item che tutti quelli che hanno terre et possessioni indivise in qualche luogo o territorio di qualche commune possano valersi, goder, pascolare, segare et boschezare e far altre cose, et havere et tenere in essi communi et sopra gl’istessi communi e nelli beni communali di quel luogo seu territorio ne quali o sopra quali haveranno o havessero terre et posessioni per il modo et quantità di esse possessioni et terre che così havessero a proportione. Et se quelli che hanno terre et possessioni come sopra farammo o faranno far le predette cose come sopra, non caschino in pena alcuna. Et che alcun console di qualche commune né li communi medesimi non facciani né debbono far né osservar alcuno statuto, conventioni o patti o alcun altra cosa che fosse o potesse essere contro le cose predette o alcuna di esse o vero in danno et pregiuditio di quelli che havessero terre o posessioni nelli luoghi et communi predetti; et chi contrafarà sia condannato in lire dieci imperiali ogni volta.” 326 ASM, Catasto, Distretto di Piazza, c. 12133. 327 ASM, Catasto, Distretto di Gandino, Gandino, Nozioni agrarie di dettaglio, c. 12137. 328 Grassi G. op.cit.,p. 237. 329 “Niuno nella Contrada di Schilpario, potrà far pascere nei pascoli di essa più di quattro vacche per Fuoco, nè più di sei pecore per Fuoco, nè più di una capra per Fuoco e chi vorrà farre pascere di più, sia tenuto a pagare lire due per ogni bestia grossa, soldi dieci per ogni pecora, e lire quattro per ogni capra”, ibidem p. 237.

oculata gestione dei beni silvopastorali e gli interessi immediati vuoi degli utenti che del comune stesso. In Ticino questi elementi di conflittulalità erano stati in buona misura evitati e le esigenze del singolo allevatore, attraverso opportune mediazioni e un maggior grado di partecipazione, potevano essere meglio armonizzati con quelli della buona gestione dei pascolo 330 . Anche in Ticino, in ogni caso, l’evoluzione del sistama d’alpeggio è stata influenzata dai mutamenti intervenuti nell’economia agricola e generale delle valli alpine. Sgarzini 331 osserva come, all’inizio del XX secolo, fosse in atto il regresso delle forme di sfruttamento frazionato delle alpi che richiedevano il lavoro di molte più persone 332 . Egli citava alcune forme che si avvicinavano ai modi di una gestione meno “dissociata” (lavorazione a turno del latte, rotazione nelle mansioni di per una parte del periodo di alpeggio) come altrettanti elementi di transizione che provavano il passaggio dal sistema frazionato a quello unitario. Questa osservazione è probabilmente fondata solo in parte se si tiene conto della realtà della Lombardia, dove tali forme “intermedie” erano, anche in un passato recente, piuttosto frequenti e dove, dal medioevo al XX secolo si riscontra il permanere di una varietà di forme di godimento delle alpi non sempre facilmente riconducibili a modelli definiti di tipo “individualistico”, “comunitario” , “imprenditoriale” . 9. Spirito individualistico e spirito associativo Nell’ambito dell’Inchiesta sull’agricoltura e le condizioni di vita dei lavoratori agricoli lombardi, nota come “Inchiesta di Karl Czoernig”, 333 del 1835 sono molto interessanti le seguenti osservazioni che mettono in evidenza come le forme di gestione “intermedia” (pascolo dissociato, ma casificazione associata) non solo fossero da lungo tempo praticate, ma anche come esse riflettessero il ruolo dell'alpeggio nel promuovere e anticipare, l’esercizio di pratiche cooperative: “ ogni proprietario attende alla cura delle sue bestie, ma poi si manipola in comunione il latte di più proprietarj, tenendosi tessera della rispettiva quantità posta in massa, onde così misurare la quota della grascina che ad ognun si compete, dopo il giro di un maggiore o minor numero di giorni, a norma della maggiore e minor quantità consegnata. Per tal modo non solo si risparmia la mano d’opera, ma si ottengono altresì i prodotti in maggiore quantità e di bontà migliore. Questa pratica sarebbe bene fosse adottata anche nei villaggi, allorché le mandre vengovi ricondotte nella stagione jemale” 334 Sempre a proposito della Valtellina Stefano Jacini osservava, qualche anno più tardi, un sistema di gestione che ripeteva, sin nella precisione della determinazione della quota di latte prodotta da ciascun utente, mediante pesata del latte ogni mattina e sera, le ben note forme di gestione associata delle Alpi Svizzere. “Lo spirito d’associazione non è sconoscito nelle montagne (...) Nel distretto di Bormio ogni comunità dà il proprio bestiame ad appositi mandriani; due probe persone, detti capi d’alpe, pesano ogni mattina e sera il latte che si munge da ogni vacca e si stabilisce la quota di utile dei singoli possessori, dedotte le spese.” 335 Alla fine del XIX secolo questi sistemi sono ancora presenti in Alta Valtellina. L’Alpe Vallecetta (Valdisotto) era goduta dai comunisti di Piatta assumendo un pastore e un casaro e, a conferma che i sistemi associati potevano essere altrettanto dinamici di quelli basati sull’affitto a imprenditori privati, nel 1887 viene dotata di stalle e di un caseificio in muratura, mentre la stalla viene ampliata nel 1900 e 330 “La compagnia d’alpe si costituisce per l’alpeggio di un alpe ed è presieduta dal capo d’alpe. E’ egli a cercare il casaro ed il suo inserviente come pure i pastori, e a sorvegliare tutto il lavoro prima e durante il carico dell’alpe. Un delegato del patriziato del comune, eletto dall’assemblea patriziale, deve vigilare che il bestiame sia ripartito ugualmente sui diversi alpi, affinchè nessuno venga sovraccaricato (Baer M. op. cit., p.54). Come si vede si tratta, nella sostanza, degli stessi criteri di gestione presenti negli statuti comunali valtellinesi. 331 ALP, p. 108-109. 332 L’autore, osserva anche, però, come nelle alpi unitarie gestite unitariamente il personale lavorava “dalle stelle alle stelle” mentre, nelle alpi-villaggio, il ritmo di lavoro era molto meno intenso ed erano importanti i momenti di socializzazione. Evidentemente se, da una parte, la gestione unitaria consentiva un risparmio di lavoro per “economia di scala”, dall’altra la gestione imprenditoriale rispetto a quella di sussistenza imponeva prestazioni di lavoro maggiori . 333 K. Czoernig, op. cit. 334 Ibidem, p. 724 335 S. Jacini, op. cit. p. 119

Esaminato il sistema d’alpeggio nel contesto dell’economia di sussistenza e di quella di mercato resta<br />

da considerare la situazione di quelle comunità che erano restate al margine del sistema d’alpeggio in<br />

quanto i comuni, per ricavare un redditto dagli affitti, avevano da secoli praticato la locazione delle<br />

alpi ai mandriani <strong>tra</strong>nsumanti (originari o meno delle località in questione). E’il caso delle valli<br />

bergamasche dove i casalini (i piccoli allevatori) solo in misura ridotta potevano inviare i loro capi<br />

all’alpeggio, non potendo competere con i bergamini per l’aggiudicazione degli affitti.<br />

Le nozioni generali territoriali e quelle agrarie di dettaglio per il distretto di Piazza (Alta Valle<br />

Brembana) del 1826-27 forniscono un quadro dell’utilizzo dei pascoli molto diverso da quello del XV<br />

secolo, quando i capitoli di valle prevedevano una forma generalizzata di uso diretto da parte dei<br />

“terrieri” della generalità dei beni comunali (beni indivisi con<strong>tra</strong>pposti ai beni divisi) e la ferma tutela<br />

di questi diritti anche nei confronti dei comuni 325 . Nel XIX troviamo che i pascoli migliori (quelli<br />

organizzati in alpi) sono divenuti spesso di proprietà privata (comproprietà) mentre quelli di proprietà<br />

comunale vengono ceduti in affitto per lo più a bergamini. Diversi comuni, anche quelli privi di alpi,<br />

dispongono, però di altri pascoli. Questi ultimi sono, però, costituiti da superfici boscate e cespugliate,<br />

dove il pascolo era libero senza limitazioni e senza alcuna corresponsione di tasse. Nel caso di diversi<br />

comuni valeva ancora il “diritto di compascuo” e i “terrieri” potevano recarsi liberamente al pascolo<br />

su tutti i pascoli dei comuni che avevano fatto parte anticamente della comunità di valle. Limitamente<br />

ai “terrieri” del comune sussisteva ancora quasi ovunque nell’alta Valle Brembana il diritto di pascolo<br />

senza limitazioni anche nei boschi privati 326 . Anche a Gandino, nella media Valle Seriana, ancora<br />

nella prima metà del XIX secolo, non solo l’utilizzo dei pascoli comunali (compresi i boschi) era<br />

libero e gratuito per tutti i “terrieri”, ma anche sui i pascoli comunali affittati (così come sui fondi<br />

privati “aperti”) si esercitava il “libero pascolo” dal 30 settembre al primo marzo 327 . Ulteriori<br />

precisazioni sull’utilizzo dei pascoli da parte dei piccoli allevatori stanziali delle valli bergamesche,<br />

nell’ambito dell’economia di sussistenza, sono offerte dai “Capitoli e Ordini per il buon governo della<br />

con<strong>tra</strong>da di Schilpario confermati con Ducale 23 maggio 1774” in Val di Scalve 328 che precisano<br />

come, entro un certo numero di capi per fuoco (famiglia), il pascolo fosse libero e gratuito 329 .<br />

E’ evidente che questa economia di sussistenza, basata sull’utilizzo di risorse marginali at<strong>tra</strong>verso<br />

l’esercizio di diritti d’uso “arcaici” delle risorse silvopastorali, non potè reggere l’impatto delle<br />

normative in materia di beni comunali e di foreste che vennero introdotte nei decenni successivi. Si<br />

<strong>tra</strong>tta, però di una situazione molto diversa da quella di diverse altre zone delle <strong>Alpi</strong> <strong>lombarde</strong> dove,<br />

come abbiamo visto, grazie al mantenimento di un diritto d’uso delle alpi pascolive (<strong>tra</strong>mite la<br />

formalizzazione dell’uso civico o il passaggio solo formale al regime della locazione) e<br />

all’intensificazione del loro sfruttamento, la crisi dell’economia di sussistenza dei contadini-allevatori<br />

fu procrastinata molto più a lungo.<br />

Nel Canton Ticino la gestione dei beni collettivi in seguito alla separazione <strong>tra</strong> Comune politico e<br />

Patriziato (continuatore dell’organizzazione della vicínia) è stata caratterizzata da una maggiore<br />

continuità. La confusione <strong>tra</strong> i ruoli di comune-proprietario delle risorse territoriali e quelli più<br />

generali da esso rivestiti, aveva determinato in Lombardia, nel XIX secolo, una situazione di conflitto<br />

<strong>tra</strong> le esigenze di bilancio dei comuni e gli interessi dei contadini-allevatori ed anche <strong>tra</strong> le esigenze di<br />

325<br />

Statuti della Valle Brembana superiore, Gli statuti della Valle Brembana Superiore del 1468 a cura di M. Cortesi,<br />

Bergamo, 1994, Cap. 201: “Che quelli che hanno terreni indivisi possano godere essi beni. Item che tutti quelli che hanno<br />

terre et possessioni indivise in qualche luogo o territorio di qualche commune possano valersi, goder, pascolare, segare et<br />

boschezare e far altre cose, et havere et tenere in essi communi et sopra gl’istessi communi e nelli beni communali di quel<br />

luogo seu territorio ne quali o sopra quali haveranno o havessero terre et posessioni per il modo et quantità di esse<br />

possessioni et terre che così havessero a proportione. Et se quelli che hanno terre et possessioni come sopra farammo o<br />

faranno far le predette cose come sopra, non caschino in pena alcuna. Et che alcun console di qualche commune né li<br />

communi medesimi non facciani né debbono far né osservar alcuno statuto, conventioni o patti o alcun al<strong>tra</strong> cosa che fosse o<br />

potesse essere contro le cose predette o alcuna di esse o vero in danno et pregiuditio di quelli che havessero terre o posessioni<br />

nelli luoghi et communi predetti; et chi con<strong>tra</strong>farà sia condannato in lire dieci imperiali ogni volta.”<br />

326<br />

ASM, Catasto, Distretto di Piazza, c. 12133.<br />

327<br />

ASM, Catasto, Distretto di Gandino, Gandino, Nozioni agrarie di dettaglio, c. 12137.<br />

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Grassi G. op.cit.,p. 237.<br />

329<br />

“Niuno nella Con<strong>tra</strong>da di Schilpario, potrà far pascere nei pascoli di essa più di quattro vacche per Fuoco, nè più di sei<br />

pecore per Fuoco, nè più di una capra per Fuoco e chi vorrà farre pascere di più, sia tenuto a pagare lire due per ogni bestia<br />

grossa, soldi dieci per ogni pecora, e lire quattro per ogni capra”, ibidem p. 237.

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