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L'alpeggio nelle Alpi lombarde tra passato e presente - Ruralpini

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casi, però, la “gestione disordinata” appare come una conseguenza di un deterioramento di una<br />

condizione precedente, rispecchiata da norme non più ripettate:<br />

“Ben è vero che spesso esiste un capo-alpe, eletto dal comune, che dovrebbe infrenare gli abusi, procurare che gli utenti<br />

eseguiscano i lavori di miglioramento ecc.; ma difficilmente si comanda, e poco si ottiene, da tutte queste persone, ciascuna<br />

delle quali vorrebbe il maggior utile per il bestiame di sua proprietà, e il maggior lavoro, la maggior fatica, per i compagni.<br />

Gli è perciò che i Regolamenti comunali di pascolo, spesso buoni sulla carta, quasi sempre rimangono senza pratica<br />

applicazione.” 293<br />

L’“irrazionalità delle forme di godimento” denunciata dai tecnici alla fine del XIX secolo sulla base<br />

all’analisi precedente devono essere ricondotte alla rottura degli equilibri ecologici e sociali,<br />

determinata oltre che da fattori demografici, anche dall’azione politica e legislativa mirante ad<br />

espropriare le comunità locali della gestione delle risorse collettive.<br />

Tale linea, perseguita per tutto il XIX secolo at<strong>tra</strong>verso il <strong>tra</strong>sferimento ai comuni delle proprietà delle<br />

vicínie, e proseguita at<strong>tra</strong>verso le disposizioni sull’alienazione dei beni comunali, sulle “terre incolte”<br />

e il “rimboschimento”, trovò espressione anche <strong>nelle</strong> disposizioni delle leggi comunali e provinciali<br />

che, a partire da quella del 1865, tendevano ad imporre dall’alto ai comuni le regole di gestione dei<br />

propri beni. La legge comunale e provinciale del 1889, all’ art. 141, prescriveva che i beni comunali<br />

fossero dati in affitto mediante asta pubblica 294 ; la sussistenza del godimento in natura da parte dei<br />

comunalisti poteva essere giustificata solo se si fosse dimos<strong>tra</strong>ta la necessità per la generalità degli<br />

abitanti di tale godimento. La Relazione sui pascoli alpini valtellinesi osserva a proposito di questa<br />

imposizione che “quando una legge urta troppo violentemente lo stato di fatto essa si elude” 295 .<br />

L’estensione del sistema dell’affitto comportava, rispetto a quello dell’esazione di tasse di pascolo, un<br />

costo superiore di 2-3 volte. Già il relatore per la Valtellina dell’ Inchiesta Czoernig del 1835 aveva<br />

osservato come:<br />

“molti pascoli alpini di ragione comunale non vengono affittati, ma si lasciano ad uso del bestiame del paese, contribuendosi<br />

dai proprietarj del medesimo al comune una tenue tassa per ogni capo, la quale suol variare a norma dei bisogni dello stesso<br />

comune, ma che d’ordinario non eccede le L. 3 alle L. 4 per vacca ed in proporzione pel manzolame, per le pecore e le<br />

capre.” 296<br />

Nella Relazione della Presidenza della Commissione d’inchiesta sui pascoli alpini della Valtellina non<br />

solo si osservava che “Prima di tutto l’affitto porta sempre ad un aumento delle tasse d’alpeggio. Una<br />

bovina di oltre 2 anni, per un alpeggio di 84 giorni, paga, <strong>nelle</strong> alpi Valtellinesi affittate, intorno a 15-<br />

20 lire; la tassa che esige il Comune, là dove questo lascia le alpi al diretto godimento dei comunisti è<br />

sempre di gran lunga minore” 297 , ma si esprimevano apertamente delle riserve contro l’imposizione<br />

dell’affitto:<br />

“là dove vige il godimento in natura, spesso, se non sempre, si vanno costituendo fra gli utenti delle latterie sociali turnarie<br />

(...). Ora introducete l’affitto per asta pubblica, fate che le alpi passino di mano a privati imprenditori, e queste forme di<br />

“Molto spesso, specialmente là dove i pascoli erano tenuti in società, ogni famiglia aveva una cascina, talora con un po’ di<br />

terreno attorno, divenuta di proprietà a livello comunale con forma d’enfiteusi; erano quelle, proprio perché private le<br />

costruzioni più curate e il prato attorno veniva concimato”. P. Pensa, op. cit., Vol II, p. 452.<br />

“Varie di quelle private [alpi], come ad esempio quella di Monte Spluga, sono in Consorzio fra tanti; in essa ciascuno è<br />

intento a migliorare il pezzetto di prato, che un assurdo regolamento permette di fare avanti l’informe stalla, e così portare a<br />

Chiavenna la maggior parte possibile del fieno, e ciò a tutto danno dell’alpe o pascolo in comune”, C. Fanchiotti, op. cit.<br />

293<br />

IPASoI, p. 35.<br />

294<br />

Di regola gli affitti “schietti” avevano durata novennale. I metodi di calcolo del nolo spettante ai proprietari era basato<br />

sulla produzione individuale delle vacche misurata a date fisse per esempio al 26 luglio (S.Anna), o al 28° giorno o ad un<br />

terzo della stagione d’alpeggio. In alcuni casi il compenso era corrisposto in natura (venivano per esempio consegnati al<br />

proprietario 6-8 kg di formaggio per un kg di latte prodotto dopo i primi giorni più un certo numero di kg di burro per le<br />

migliori lattifere), in altri in denaro (2-2,5 kg di latte prodotti al 28° giorno pagavano l’erba al di sopra venivano corrisposte<br />

5 Lire/kg. Gli animali asciutti pagavano in ragione di 5 L (vitelli), 10 (bovini da 1 a 2 anni), 15-20 L. (bovini superiori a due<br />

anni) (IPASoI p. 36).Tali sistemi, compreso quello di pagamento in natura e la fissazione della soglia di produzione per<br />

“pagare l’erba” sono praticati ancor oggi. Tra le date di pisa, oltre a S.Anna figura anche S.Giacomo (25 luglio).<br />

295<br />

Ibidem, p. 88.<br />

296<br />

K. Czoernig, op. cit. p. 724.<br />

297<br />

IPASoI, p. 81.

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