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L'alpeggio nelle Alpi lombarde tra passato e presente - Ruralpini

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comunità, non poteva non determinare l’inevitabile crescita dell’invidia, della diffidenza, dei<br />

risentimenti reciproci. In <strong>passato</strong> le situazioni di crisi famigliare potevano essere “ammortizzate”<br />

proprio dall’importanza dei beni collettivi e dall’efficacia dei meccanismi di solidarietà spontanei e<br />

organizzati. Ora, in un regime di accentuata fiscalità e con la crescente applicazione del calcolo<br />

economico alla vita sociale, una crisi anche temporanea poteva condurre facilmente all’ indebitamento<br />

e/o alla vendita dei terreni che potevano passare di mano a coloro che già detenevano maggiori<br />

proprietà o a chi, con l’emigrazione o l’esercizio di attività ex<strong>tra</strong>-agricole, era risucito ad accumulare<br />

sufficienti risparmi.<br />

La gestione ordinata dei beni comuni e l’attuazione di forme di cooperativismo presupponeva<br />

meccanismi di coesione comunitaria che erano ormai indeboliti. I sistemi come quelli della rotazione e<br />

del “sorteggio” delle alpi a gruppi di utenti legati da vincoli famigliari o frazionali , che avevano<br />

garantito in <strong>passato</strong> un accesso equo alle risorse e la loro oculata conservazione, 289 <strong>nelle</strong> nuove<br />

condizioni non riuscivano a sot<strong>tra</strong>rsi alla critica di chi osservava le conseguenze dell’accentuazione<br />

dello spirito individualistico a scapito del bene comune (in questo caso la buona conservazione e<br />

manutenzione dei beni).<br />

Era sempre più difficile, in presenza di un crescente pauperismo ed individualismo, applicare, in nome<br />

del bene comune, le severe regole del <strong>passato</strong>, che imponevano limiti al caricamento delle alpi e, nel<br />

rilassamento delle regole, nella riduzione della fiducia e del controllo reciproco, ognuno era portato a<br />

fare valere il proprio interesse immediato:<br />

“Le località migliori erano aperte all’uso a data fissata di anno in anno dai comuni. La notte precedente l’apertura, i vicini<br />

partivano dalle stalle con le proprie vacche e ciascuno cercava di condurle sul posto migliore, precedendo gli altri; i pascoli<br />

allora erano letteralmente affollati (...) Dopo pochi giorni di quel disordinato godimento, la cotica erbosa risultava rasa, ben<br />

pochi utenti vi restavano, mentre gli altri portavano il proprio bestiame nei poveri spiazzi <strong>tra</strong> i boschi” 290<br />

L’uso diretto da parte dei comunalisti delle alpi pascolive all’inizio del XX secolo si presenta in<br />

diversi casi con forme di gestione disordinata in cui la mancanza di regole e la ricerca del vantaggio<br />

personale determinano un “gioco a somma negativa” con spreco del foraggio disponibile<br />

nell’immediato e depauperamento della fertilità del pascolo e della sua produttività e qualità negli anni<br />

a venire. In termini sobri il Serpieri riassumeva<br />

“la presenza di detti proprietari sull’alpe, il diritto che essi conservano, se non di legge, di fatto, di regolare a piacimento il<br />

loro bestiame, crea ostacoli gravissimi alla buona tenuta dell’alpe” 291 .<br />

Alcuni dei sistemi di gestione collettiva dei pascoli che nel tempo si erano consolidati determinavano<br />

un conflitto “strutturale” <strong>tra</strong> l’interesse pubblico e quello collettivo; tali erano le situazioni dove i<br />

vicini maggenghisti utilizzavano per il periodo estivo il pascolo comunale o dove, nell’ambito dei<br />

pascoli comunali o in comproprietà, erano sorte cascine private con annessi prati segatizi 292 . In altri<br />

289<br />

D.Zoia (Introduzione a: Statuti ed ordinamenti delle Valli dell’Adda e della Mera, Milano, 2001, p.5), osserva come gli<br />

statuti delle comunità valtellinesi dedichino grande spazio e rilievo alle norme di uso del territorio, circostanza che non si<br />

osserva nell’area italiane neppure in molte aree di montagna e che trova, invece, riscontro con l’importanza dell’ allmende<br />

nell’area cen<strong>tra</strong>le alpina retoromancia e tedesca: “L’analitica descrizione di boschi e pascoli (con distinzione in molti casi <strong>tra</strong><br />

le zone di monte intermedie ed il territorio alpivo vero e proprio) e l’accortezza delle prescrizioni di conduzione (con larga<br />

presenza della rotazione <strong>tra</strong> gruppi famigliari o frazionali nei carichi delle alpi) sono elementi significatici al riguardo.<br />

Si può aggiungere che la grande attenzione alla descrizione del territorio e al suo uso è <strong>presente</strong> anche negli statuti più antichi<br />

delle comunità di altre zone delle <strong>Alpi</strong> <strong>lombarde</strong>.<br />

290<br />

P. Pensa, op. cit., Vol II, p. 452.<br />

291<br />

IPASoI, p. 35.<br />

292<br />

“Spesso, quando prossimi alle alpi stanno i prati maggenghi, che sono generalmente di proprietà privata, e sui quali il<br />

bestiame si porta in primavera, le alpi sono usate dai più prossimi maggenghisti. I quali vi mandano durante il giorno il loro<br />

bestiame, al pascolo vago, ritirandolo la sera <strong>nelle</strong> stalle dei loro maggenghi. Quest’uso ha, per esempio, la sua piena<br />

applicazione nella valle Grosina. Ed è uso che si collega in genere, con una pessima tenuta dell’alpe: perché il godimento di<br />

questa risulta completamente dissociato, senza formazione di una mandria unica, senza razionale turno di pascolo, con uno<br />

s<strong>tra</strong>ordinario sciupio dell’erba esistente, e perché il letame raccolto durante la notte <strong>nelle</strong> stalle dei maggenghi, letame che<br />

proviene dall’erba del pascolo, non ritorna a questo, o mon vi ritorna che in minima parte, sibbene è destinato a ingrassare i<br />

maggenghi stessi (...). E’ una continua esportazione di fertilità che si compie dalla proprietà comune a vantaggio della<br />

proprietà privata: dal monte verso il piano”. Ibidem p.32-33.

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