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L'alpeggio nelle Alpi lombarde tra passato e presente - Ruralpini

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“(...) casarii, pastores et bogayroli teneantur iurare infra tercium diem salvamentum de salvando et gubernando salem,<br />

caseum, beturum, mascarpas et bestias et omnes alias res que venierent in eorum manibus, et quilibet bogexius teneatur<br />

adiuvare facere stabios 240 et casinas 241 ”.<br />

I boggesi non solo affidano le proprie bestie a propri pastori, ma mantengono il diritto di ad essi:<br />

“quilibed bogixius debeat hostendere nodas suas pastoribus suis et consignare bestias suas suprascriptis pastoribus in illa die<br />

qua vadunt in alpibus 242 . Quod pastores et bogyarioli possint se scambiare 243 ”<br />

Un’ulteriore indicazione circa l’evoluzione delle gestioni cooperative tendenzialmente unitarie da<br />

sistemi preesistenti (basati, presumibilmente, su gestioni comunitarie non formalizzate) è fornita anche<br />

dallo Statuto di Malesco (in Val Vigezzo, attuale provincia di Verbania), che stabilisce che per ogni<br />

boggia non vi può essere più di un casaro. 244<br />

Gli esempi sopravissuti in Lombardia sino alla metà del secolo XX, confrontati con gli statuti più<br />

antichi dei secoli XIII-XIV, ci inducono a ritenere che il dualismo <strong>tra</strong> il modo di sfruttamento<br />

mediante una piccola serie di aziende individuali e quello mediante azienda unitaria, specie se, fatto<br />

coincidere con il modello alpe-villaggio versus alpe unitaria 245 , non solo non possa essere retrodatato<br />

all’epoca medioevale 246 , ma risulti anche inadeguato ad inquadrare la complessiva dei sistemi<br />

d’alpeggio <strong>nelle</strong> <strong>Alpi</strong> <strong>lombarde</strong> come si presentava ancora nel XIX e XX secolo.<br />

Gli statuti mettono in luce una gestione comunitativa dell’alpeggio sottoposta a norme molto rigide,<br />

legate alla natura di risorsa fondamentale nell’ambito delle s<strong>tra</strong>tegie di produzione e sopravvivenza 247 .<br />

La maggior parte di essi prevede il divieto esplicito di accogliere sulle alpi bestiame forestiero ma, in<br />

diversi casi, si dissuadono anche con pene pecuniarie i proprietari del bestiame a portare le bestie<br />

altrove 248 . In alcuni casi, come a Bormio, dove l’ampiezza dei pascoli rendeva lucroso l’affitto dei<br />

pascoli estivi ai pastori ovini <strong>tra</strong>nsumanti, venivano indicate espressamente le alpi destinate a questo<br />

scopo 249 . Restava comunque la clausola prevista dal Cap. 306 ; “(...) homines vallatarum et alii totius<br />

communis Burmii habeant alpes et pascua pro eorum bestiis propriis hibernatis ad omnem eorum<br />

usum sufficienter (...)” 250 . Anche lo statuto di Teglio prevedeva che “qualora le alpi avranno malghe o<br />

diritti di malga in eccedenza, tali alpi siano cedute in nome del comune di Teglio al miglior offerente,<br />

con ricavato che andrà al comune di Teglio” 251 .<br />

240<br />

equivalente di barech.<br />

241<br />

Statuto di Capriasca, cit., Cap. 21.<br />

242<br />

Ibidem, Cap. 24.<br />

243<br />

Ibidem, Cap. 55.<br />

244<br />

Statuto di Malesco, Cap 112: “non ponatur nixi unum casarius pro bogia”, Alomb, cit. p.86.<br />

245<br />

ALP, p. 108. Secondo l’autore “Lo sfruttamento diretto, in forma di piccole aziende individuali, costituisce senza dubbio<br />

il sistema originario”. Egli attribuisce un carattere più “primitivo” alla forma dello sfruttamento “dissociato” esemplificato<br />

dalla forma dell’alpe-villaggio, ma oriconosce, però, anche l’ “alta antichità” alla forma di “godimento delle alpi in forma<br />

cooperativa” portando esempi per la Leventina dove due sentenze indicano nel 1388 la presenza di due “cassariis alpium de<br />

Carunina hominum deganiae de Oscho” e di un solo “cassario alpis de Cassano”. Per la Val Capriasca, il Cap. 21 dello<br />

Statuto del 1358 obbliga a “manutenere colderam unam”. Analogo obbligo valeva per l’alpe di Croce al Lucomagno “con<br />

due caldere”, ALP, p.110-111.<br />

246<br />

Lo sviluppo dell’alpe-villaggio e la gestione individualistica da parte di famiglie di contadini-allevatori appare come uno<br />

sviluppo “moderno” implicando anche una sorta di privatizzazione delle risorse. E’ possibile, come già osservato, che le alpivillaggio<br />

siano anche il risultato di usurpazioni del territorio indiviso o della <strong>tra</strong>sformazione in alpi di quelli che erano già<br />

precedentemente dei maggenghi privati a seguito del peggioramento climatico dopo il XV secolo. Le indicazioni circa la<br />

scarsità e precarietà dei fabbricati d’alpe medioevali paiono inoltre con<strong>tra</strong>dditorie con forme di insediamento che<br />

presupponevano la presenza di intere famiglie.<br />

247<br />

Gli statuti più vecchi si preoccupano anche di stabilire l’ammontare della sanzione pecuniaria prevista per ogni violazione<br />

248<br />

Vedi Statuto di Teglio, cit., Cap. 76: “E’ stato inoltre stabilito ed ordinato che nessuno, che non sia vicino di Teglio, possa<br />

avere l’assegnazione di alcuna alpe di Teglio e che nessuma persona di Teglio debba mandare i suoi animali su alcuna alpe<br />

che sia condotta da alcuna persona forestiera, che non sia vicina di Teglio, senza autorizzazione del consiglio. Nessun<br />

malgaro [orig. Latino calderarius = casaro] portà poi accettare nella sua malga alcuna bestia, con o senza latte, di persone<br />

forestiere, sotto pena di 20 soldi di imperiali per ognuna ed ogni volta e perda il diritto sull’alpe, se non sarà autorizzato dal<br />

consiglio” vedi anche nota 101.<br />

249<br />

Statuti di Bormio, cit., Cap. 305.<br />

250<br />

Ibidem, Cap. 306.<br />

251<br />

Statuto di Teglio, cit., Cap. 80.

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