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L'alpeggio nelle Alpi lombarde tra passato e presente - Ruralpini

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sia pure primitive, fossero già diffuse sulle alpi già dal mediovevo. Diversi documenti citano la<br />

presenza di cascine sulle alpi dei grandi proprietari ecclesiastici bergamaschi già nel XII secolo 112 . Il<br />

con<strong>tra</strong>tto di vendita dell’Alpe di Nocola in Val Calanca (Val Mesolcina,Grigioni) del 1290 indica la<br />

proprietà come “tota alpe cum cassinis” 113 . Lo statuto di Cimmo del 1372 prevede <strong>tra</strong> i compiti del<br />

casaro e degli “anziani” nominati per la gestione dell’alpe “faciendo seu reaptando caxinam”. Dal<br />

XVI-XVII secolo la crescente importanza commerciale dell’alpeggio determinerà in alcune aree, <strong>nelle</strong><br />

alpi unitarie cedute in affitto dai comuni ai mandriani <strong>tra</strong>nsumanti, con la lievitazione dei canoni<br />

d’affitto, anche una crescente attenzione da parte dei proprietari alle condizioni dei fabbricati, specie<br />

di quelli adibiti alla lavorazione del latte. Nel XVIII secolo in Val Taleggio troviamo veri e propri<br />

capitolati d’appalto per l’esecuzione dei lavori di manutenzione e costruzione dei fabbricati d’alpe.<br />

Tali capitolati prescrivono con precisione i materiali e le tecniche da utilizzare (la quantità di sabbia e<br />

di calce da utilizzare per la malta, il tipo di legname per le <strong>tra</strong>vi e i <strong>tra</strong>vetti) a testimonianza della<br />

qualità raggiunta delle opere murarie e dalle coperture 114 . L’utilizzo di stalle chiuse (stalún, stalù) in<br />

muratura, in grado di ospitare anche 50-80 capi, è, invece, recente. Tali tipologie si sono diffuse <strong>tra</strong> la<br />

fine del XIX e la metà del XX secolo, in relazione alla presenza di bestiame con maggior potenziale<br />

produttivo e, in particolar modo, alle ridotta capacità di adattamento alle brusche variazioni climatiche<br />

delle vacche che, ancora negli anni ’50 e ’60, giungevano in alpeggio direttamente dalle stalle a posta<br />

fissa della Bassa. In precedenza, durante la notte, il bestiame veniva comunemente mantenuto in<br />

bárech 115 , recinti di muriccia a secco ancora utilizzati in diverse alpi dell’ Alto Lario, bassa Valtellina,<br />

alta Val Brembana. Nelle Valli del Bitto, in Val Tartano e in alcune alpi dell’alta Val Brembana i<br />

numerosi bárech erano l’espressione di un sistema intensivo di alpeggio che implicava un’intensa<br />

opera di bonifica dei pascoli (spie<strong>tra</strong>mento) e di gestione del pascolamento delle malghe 116 .<br />

Spesso, invece, in caso di cattive condizioni atmosferiche (grandine, nevicate) si utilizzavano le fasce<br />

boscate ai margini delle aree a pascolo o le grotte naturali. In alcune situazioni (come per esempio la<br />

Val Taleggio) non esistevano nè tettoie nè bàrech e, dopo la mungitura serale, le vacche venivano<br />

legate con una corda ad un picchetto infisso nel terreno. Alla mattina esse venivano munte ancora<br />

legate al picchetto. Il sistema, oltre ad evitare la dispersione degli animali, consentiva la fertilizzazione<br />

apresso dell’Attuario della Comunità li nomi di Coloro a’ quali heverà designato detto legname quale non lo possa designare<br />

se non à persone che habbino del Suo”.<br />

112 F. Menant, op. cit., p. 146-147.<br />

113 C.G. Mor, Documenti per la storia delle <strong>Alpi</strong> della Calanca, Raetia, 1939, gen-mar. 20- 24<br />

114 ASM, Fondo Agricoltura, p.m., cartelle 45 e 46.<br />

115 Bàrech/barèch. Recinto di pietre a secco circolare o rettangolare utilizzato per la custodia della mandria durante la notte o<br />

il riposo diurno specie <strong>nelle</strong> alpi dove erano presenti burroni o altri pericoli, può essere adiacente alla cassìna o isolato. I siti<br />

dove la mandria è mantenuta confinata di notte prendono anche il nome di stàbi, màndra, còrt, cùrt.<br />

116 “si è veduto come sia lodevole in questa zona sopratutto, il buon turno di pascolo e il razionale e rigoroso governo del<br />

bestiamen pascolante; come molti rinettamenti da pietre siano stati eseguiti, servendosi in modo assai lodevole delle pietre<br />

raccolte per compiere una suddivisione del pascolo in molti recinti IPASoIII p. 88; “La concimazione è praticata in modo<br />

uniforme per tutte le alpi della zona, col sistema detto dello smandramento. Cioè su appezzamenti già pascolati, recinti dai<br />

barech, si fa pernottare il bestiame; a brevi periodi di pochi giorni si muta il recinto di pernottamento; e così si compie questa<br />

stabbiatura in tutte le zone <strong>nelle</strong> quali essa sia possibile, per le condizioni di pendenza.” Ibidem p. 84. “In alcune alpi si<br />

migliora il sistema, estendendo più che possibile la mandratura (Postareggio). E cioè riuscendo a far pernottare il bestiame<br />

anche in località piuttosto ripide, col costruire nell’interno dei barech piccoli spiazzi o ripiani, su ciascuno dei quali può<br />

riposare una bestia, e donte poi le deiezioni si spargono facilmente tutt’intorno”, ibidem p. 85; “In tutta questa zona si segue<br />

un turno di pascolo abbastanza regolare. La mandra si tiene gereralmente riunita coll’aiuto dei barech e dei pastori, che<br />

continuamente la sorvegliano. Solo <strong>nelle</strong> parti ripide, <strong>nelle</strong> piccole zone di pastura, interrotte da altre zone non pascolabili, la<br />

mandria si dissocia. La regola è quella di passare successivamente dalle parti più basse alle più alte secondo lo stato della<br />

vegetazione e ritornare poi indietro. Così le parti più alte si pascolano una sol volta, le altre due. Le zone che nel salire si<br />

mandrano, nel discendere offrono poi poca erba di ributto pascolabile. E poichè si trova utile di consociare nello stesso<br />

giorno un po’ di pascolo nei magri nella prima parte della giornata, fino alla seconda mungitura, e un po’ di pascolo nei<br />

grassi (cena) dopo la seconda mungitura fino a notte, perciò nel primo viaggio dal basso all’alto si lasciano spesso alcuni<br />

<strong>tra</strong>tti non pascolati, sui quali nel viaggio di ritorno si fa cena. Solo <strong>nelle</strong> parti più basse è impossibile lasciare quest’erba<br />

intatta, perché al ritorno sarebbe troppo dura. Allora la cena si fa <strong>nelle</strong> parti migliori che hanno ributtato meglio”, ibidem,<br />

p.86. Questi sistemi di utilizzo dei pascoli, attenti a sfruttare ogni differente qualità e caratteristica morfologica delle diverse<br />

aree si riflettevano in una ricca microtoponomastica che rappresenta un’interessantissima testimonianza culturale che oggi<br />

rischia di andare perduta (G. Rinaldi, P. Zucchelli P. I nomi dei luoghi dell’Alpe Neel: appunti per una toponomastica di<br />

dettaglio. in: Alpe Neel. Caratteristiche e interventi di miglioramento dell’alpeggio pilota della Provincia di Bergamo,<br />

Provincia di Bergamo, Settore Sviluppo Agricolo e Forestale, 2001, pp. 15-16).

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