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Bollettino n°4-2010 - unita' pastorale sant'ercolano

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Nel 1965 l’incarico di eremita fu affidato ad Antonio<br />

Pasini, che era nativo di Gaino ma si era trasferito già<br />

da molti anni a Fornico. Era soprannominato èl Balerì:<br />

si trattava, probabilmente, di un antico soprannome di<br />

famiglia, dato che nel 1790 era morto a Toscolano un<br />

Francesco Pasini, nativo di Gaino e detto “il Ballarino”.<br />

Anche Antonio Pasini ha caratterizzato, come Leonida,<br />

la vita di Supina nel secolo ventesimo. Era un personaggio<br />

simpatico, amava la lettura e, nei pomeriggi<br />

d’estate, leggeva libri e giornali seduto sulla soglia del<br />

santuario, in una zona ombrosa. Curava la chiesa e<br />

l’abitazione e coltivava l’orto. Nella stalla che si trovava<br />

nel vano sottostante la cucina (dove oggi viene allestito<br />

il presepio) allevava un asino dal quale otteneva un<br />

rinomato salame. Antonio rimase a Supina fino al mese<br />

di settembre del 1971, quando lasciò l’attività perché<br />

ammalato. Morì nell’ospedale di Salò il 22 giugno<br />

1972, all’età di 83 anni. Egli è stato l’ultimo eremita di<br />

Supina.<br />

Dal 2005 la casa nella quale hanno vissuto gli eremiti è<br />

sede del museo del santuario: le due sale che accolgono<br />

le tele raffiguranti le Stazioni della Via Crucis (rimosse<br />

dalla chiesa durante i restauri del 2004 perché non<br />

facenti parte della decorazione originaria) sono dedicate<br />

a Giovanni Battista Archetti e a Giovanni Battista<br />

Calcinardi, gli eremiti sepolti nella chiesa rispettivamente<br />

nel 1754 e nel 1786.<br />

Questo lungo excursus, iniziato nell’articolo precedente<br />

con i decreti relativi agli eremiti presenti a Supina nel<br />

1667, ci ha condotti dal secolo XVII ai giorni nostri.<br />

I tempi sono cambiati, ed oggi la figura dell’eremita<br />

PARROCCHiA Di CECinA 39<br />

(almeno nel significato che si attribuiva a questo termine<br />

parlando del “romito” al quale era affidata la cura<br />

della chiesa dedicata alla Beata Vergine Annunciata)<br />

non esiste più.<br />

Fino a qualche decennio fa, nel linguaggio locale, era<br />

ancora viva l’espressione èl rumìt dé Süpina. Era una<br />

definizione antica, che risaliva forse al secolo XVII o<br />

XVIII, e riguardava un personaggio entrato nell’immaginario<br />

collettivo e nella simpatia generale. In alcune<br />

case dei paesi del nostro territorio l’arrivo dèl rumìt<br />

dé Süpina per la questua era atteso con gioia: a lui si<br />

donavano i pochi generi alimentari che venivano appositamente<br />

messi da parte per contribuire al suo sostentamento.<br />

La figura dell’eremita pareva appartenere ad un mondo<br />

lontano, quasi leggendario, ma avvolto da un alone di<br />

spiritualità e di misticismo.<br />

Certamente coloro che avevano scelto di vivere in solitudine<br />

nella casa annessa alla chiesa di Supina avevano<br />

risposto ad un’esigenza di carattere spirituale, forse ad<br />

una chiamata soprannaturale: questo può essere affermato<br />

soprattutto per gli eremiti dei secoli XVII e XVIII<br />

i quali, come abbiamo visto, erano terziari di qualche<br />

ordine religioso e ne vivevano la spiritualità.<br />

Sul colle di Supina, lungo lo scorrere dei giorni e degli<br />

anni, gli eremiti avevano sicuramente avvertito nella<br />

luce, nella pace e nello splendore della natura, la presenza<br />

di Dio e della Vergine Madre. Di fronte al cielo<br />

e al lago, nelle albe luminose e nelle notti stellate,<br />

essi avevano quotidianamente sperimentato l’incanto<br />

espresso dal salmista nel Salmo 19: “I cieli narrano la<br />

gloria di Dio, il firmamento annuncia l’opera delle sue<br />

mani onnipotenti”.<br />

Letizia Erculiani

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