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- 1 - Renzo Zagnoni La pieve di San pietRo di Roffeno neL Medioevo

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tonome; esse hanno infatti oramai acquisito un regime beneficiario separato da quello della <strong>pieve</strong>,<br />

spesso formatosi con donazioni degli stessi abitanti al fine <strong>di</strong> costituire un patrimonio, i cui red<strong>di</strong>ti<br />

servissero a mantenere in modo autonomo il loro cappellano-rettore. a tale proposito così si esprime<br />

Mario fanti a proposito <strong>di</strong> questa controversia: Come il pievano non si riteneva obbligato a contribuire alla<br />

riparazione delle chiese parrocchiali del suo plebanato, così gli abitanti delle parrocchie e i rispettivi parroci<br />

non intendevano addossarsi oneri per il mantenimento della chiesa plebana, oramai considerata una chiesa come<br />

le altre 60 . <strong>La</strong> controversia venne risolta col ricorso all’arbitrato <strong>di</strong> Segurano e folco figli <strong>di</strong><br />

Gerarduzzo da <strong>Roffeno</strong>, che risolsero la questione con l’aiuto <strong>di</strong> alcuni boni viri.<br />

Quanto al patrimonio fon<strong>di</strong>ario della <strong>pieve</strong>, possiamo tentare <strong>di</strong> descriverlo sommariamente utilizzando<br />

una documentazione quasi esclusivamente trecentesca. per il periodo precedente possiamo<br />

ricordare solamente la già citata ven<strong>di</strong>ta datata 1245 <strong>di</strong> una casa posta a Bologna nel borgo <strong>di</strong> <strong>San</strong>t’isaia,<br />

che documento la presenza <strong>di</strong> possessi anche all’interno della città <strong>di</strong> Bologna, sicuramente<br />

derivati da una donazione o da una conversione. anche la presenza <strong>di</strong> case o chiese all’interno della<br />

città è abbastanza <strong>di</strong>ffusa sia per i monasteri del contado, sia per le pievi più importanti della <strong>di</strong>ocesi;<br />

un altro rilevante esempio relativo a quest’ultimo tipo <strong>di</strong> enti ecclesiastici è quello della <strong>pieve</strong> <strong>di</strong> <strong>San</strong>ta<br />

Maria <strong>di</strong> Monteveglio che a Bologna, nei pressi del palazzo comunale, possedeva la chiesa <strong>di</strong><br />

<strong>San</strong>t’apollinare, assieme ad alcune case; nel 1252 venne <strong>di</strong>strutta assieme agli e<strong>di</strong>fici, cosicché il podestà<br />

citta<strong>di</strong>no compensò l’arciprete e i canonici montevegliesi del danno subito assegnando loro<br />

un’altra chiesa, intitolata a <strong>San</strong>t’ambrogio, che era <strong>di</strong> giuspatronato del comune 61 .<br />

per il trecento seguiremo la puntuale analisi <strong>di</strong> paola foschi 62 , che analizza innanzi tutto gli <strong>di</strong> elenchi<br />

<strong>di</strong> chiese del secolo Xiv, stesi per la maggior parte per fini fiscali, che quin<strong>di</strong> riportano anche la<br />

cifra pagata per le varie collette e ci permettono quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> comprendere lo stato patrimoniale della<br />

<strong>pieve</strong> nel corso <strong>di</strong> quel secolo <strong>di</strong> decadenza. <strong>La</strong> decima dell’anno 1300 mostra sia la <strong>pieve</strong> sia le chiese<br />

<strong>di</strong>pendenti piuttosto impoverite dall’imminente crisi: solo la prima paga all’episcopio la decima, e<br />

solamente 27 sol<strong>di</strong> e 10 denari, poco più <strong>di</strong> una lira; mentre le pievi <strong>di</strong> Calvenzano e verzuno, ad<br />

esempio, pagano rispettivamente 2 lire e 38 sol<strong>di</strong> 63 . <strong>La</strong> decima del 1315 mostra una situazione aggravata:<br />

la <strong>pieve</strong> paga solo 2 sol<strong>di</strong>, come <strong>San</strong>t’andrea <strong>di</strong> Casigno e <strong>San</strong> Salvatore, mentre <strong>San</strong> Michele<br />

rifiuta <strong>di</strong> pagare e <strong>San</strong> Martino <strong>di</strong> Musiolo, probabilmente perché è la chiesa del centro abitato più<br />

importante, è quella che paga <strong>di</strong> più, 8 sol<strong>di</strong> 64 . anche nel 1366 e nel 1378 troviamo somme piuttosto<br />

basse: nei due anni rispettivamente 18 e 10 lire la <strong>pieve</strong>, circa 3 lire S. Martino, <strong>San</strong>t’andrea e S. Salvatore,<br />

mentre S. Michele paga una lira e 6 sol<strong>di</strong> 65 . infine l’estimo ecclesiastico del 1392 mostra una<br />

situazione oramai definitivamente deteriorata, con la grave decadenza sia del castello, sia della chiesa,<br />

tanto che <strong>San</strong> Michele, che si trovava all’interno della fortificazione, è del tutto scomparsa,<br />

mentre S. Salvatore paga 67 lire, S. Martino solo 20, S. andrea 6 e la <strong>pieve</strong> 90 e sol<strong>di</strong> 10 66 . Quest’ultimo<br />

estimo documenta in modo più ampio i beni delle cappelle <strong>di</strong>pendenti, che oramai si sono ridotti<br />

<strong>di</strong> consistenza e che troviamo solamente <strong>di</strong>stribuiti in un breve raggio, nella sola vallata del vergato;<br />

solo la <strong>pieve</strong> ha possessi anche a vimignano, Cereglio e tolè, ma molti beni sono in zone franose, testimoniate<br />

da toponimi come ruina o terra ruinata, oppure in terre lamate, cioè in acquitrini. Questi<br />

terreni sono normalmente coltivati a cereali, a castagneto o a bosco, per lo più <strong>di</strong> querce utili per l’allevamento<br />

suino; solo poche superfici sono improduttive, come attesta il toponimo bedusto. <strong>La</strong><br />

presenza dell’allevamento suino è testimoniata da un altro documento che attesta della raccolta delle<br />

ghiande da querce appartenenti alla <strong>pieve</strong>: il 14 settembre 1379 <strong>La</strong>ygonno, arciprete <strong>di</strong> <strong>Roffeno</strong>,<br />

compare a Casio davanti al capitano delle montagne per reclamare da pietro <strong>di</strong> tommasino <strong>di</strong> <strong>Roffeno</strong><br />

il pagamento <strong>di</strong> 10 sol<strong>di</strong> relativi ad una certa quantità <strong>di</strong> ghiande, raccolte da una pezza <strong>di</strong> terra,<br />

evidentemente appartenente alla <strong>pieve</strong> 67 .<br />

dall’analisi dell’estimo della fine del trecento risulta che questi appezzamenti <strong>di</strong> terreno erano fortemente<br />

frazionati, anche perché la maggior parte <strong>di</strong> essi provenivano da lasciti, simili a quello <strong>di</strong> un<br />

uomo <strong>di</strong> <strong>Roffeno</strong>, che nel 1415 assegnò alla <strong>pieve</strong> un terreno col cui ricavato ogni anno, nell’anniversario<br />

della sua morte, si sarebbero dovute suonare le campane a morto 68 . L’estimo del 1392<br />

documenta un’unica zona in cui i terreni sono più ampi e soprattutto più articolati in relazione alla<br />

varietà delle destinazioni colturali, ed è quello attorno alla <strong>pieve</strong> stessa, che risulta solo in piccola<br />

parte incolto.<br />

proprio della fine del Me<strong>di</strong>oevo posse<strong>di</strong>amo un documento che ci informa come nel 1491 la <strong>pieve</strong><br />

possedesse in totale 41 pezze <strong>di</strong> terra 69 .<br />

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