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Le traduzioni shakespeariane in Eugenio Montale e Giovanni Giudici

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Pure ad esso si opponga la speranza che io metto<br />

Nei miei versi <strong>in</strong> tua lode e a tuo dispetto. 8<br />

(G. <strong>Giudici</strong>, Sonetto 60)<br />

Gli Scrittori d'Italia – XI Congresso Nazionale dell'ADI<br />

Gran parte del lavorio di correzione e rifacimento cui <strong>Giudici</strong> sottopone le<br />

<strong>traduzioni</strong> dai sonetti shakespeariani tende proprio al mantenimento della<br />

rima baciata dei versi f<strong>in</strong>ali. Riportiamo alcuni esempi di come <strong>in</strong> orig<strong>in</strong>e<br />

suonavano i distici conclusivi di alcuni sonetti: 9 «Non ti fidar del cuore, se<br />

il mio è sfatto; / Tu che mi desti il tuo, da non ridare» (sonetto 22) mutato<br />

<strong>in</strong> «Se il mio cuore è disfatto di lui non ti fidare / Tu che mi hai dato il tuo,<br />

da non ridare»; «Tu sarai viva ancora (tanto può la mia penna) / Dove spiri<br />

uno spirito pers<strong>in</strong>o a umane labbra» (sonetto 81) <strong>in</strong> «(Tanto può la mia<br />

penna) tu ancora sarai viva / Dove su labbra d’uomo un fiato sopravviva»;<br />

«Ma poi, se a quei monelli gli piace così tanto, / Dagli pur le tue dita, però<br />

ai baci le mie labbra» (sonetto 128) <strong>in</strong> «Ma poi, se a quei monelli tanto<br />

piaci, / Dagli pur le tue dita, ma le labbra ai miei baci». L’esigenza di<br />

“letteralità” 10 <strong>in</strong>duce il poeta, qui come <strong>in</strong> altre <strong>traduzioni</strong>, a mantenere,<br />

8 W. Shakespeare, Sonetto 60 [vv. 13-14] <strong>in</strong> G. <strong>Giudici</strong>, Da una soglia <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita. Prove e<br />

poesie 1983-2002, Grafiche Fioroni, Ascoli Piceno, 2004, p. 83.<br />

9 <strong>Le</strong> varianti dei sonetti si trovano <strong>in</strong> G. <strong>Giudici</strong>, Da una soglia <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita…, p. 17.<br />

10 La traduzione letterale non mira a riprodurre la fattività dell’orig<strong>in</strong>ale, ma la logica che<br />

presiede all’organizzazione di tale fattività. Riproduce questa logica là dove la l<strong>in</strong>gua<br />

traducente lo permette, nei suoi punti non-normati (che allo stesso tempo essa rivela). Per<br />

tradurre, il traduttore deve cercare <strong>in</strong>stancabilmente il non-normato della sua l<strong>in</strong>gua, la<br />

traduzione è questo «cercare-e-trovare il non-normato della l<strong>in</strong>gua materna per <strong>in</strong>trodurvi<br />

la l<strong>in</strong>gua straniera e il suo dire». Operando <strong>in</strong> tal modo anche le relazioni reciproche di<br />

sonorità possono essere recuperate e, là dove non si ecceda, la “letteralità” «mostra che,<br />

attraverso questa “commozione della l<strong>in</strong>gua straniera”, la l<strong>in</strong>gua materna, lungi<br />

dall’alienarsi, accede a strati <strong>in</strong>sospettati del proprio essere, i quali, secondo ogni<br />

probabilità, non potrebbe raggiungere con la sua sola letteratura». A. Berman, La<br />

traduzione e la lettera o l’albergo nella lontananza, Quodlibet, Macerata, 2003, pp. 91-110.

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