A DAY IN MATERDEI COSMO-RUSHDIE FUORI ORARIO - Urban
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<strong>MATERDEI</strong> NON OFFRIVA SPUNTI PER EVENTUALI SOPRALLUOGHI SE NON PER IL FIDANZAMENTO CON UN <strong>IN</strong>DIGENO<br />
ottocenteschi e ben tenuti, la linea C53 che serve, piccolo<br />
bus, gli anziani della zona, a Materdei – come a<br />
Soho, Tribeca o chissacchè – rischi di incontrarci di tutto,<br />
e anche di più: alla luce del sole come all’ombra delle<br />
fresche – esotiche e non solo – frasche, metti, di un orto<br />
giardino di 7mila metri quadri nel quale convivono armoniosamente<br />
una ventina di anatre allegrotte, qualche<br />
simpatica tartaruga, colombi e colombelle tubami-cheti-tubo<br />
e un’orrenda, enorme, ovviamente onnivora scrofa<br />
vietnamita, mascotte di casa di una residenza bella<br />
quanto inimmaginabile. “Il bello di Materdei è anche<br />
questo: il fatto che, dietro queste vecchie facciate secolari,<br />
esistano ancora bellissimi orti e giardini, fertili e<br />
silenziosi, ideali per una scelta di vita più sana, naturale,<br />
e per lavorare a progetti di genere creativo”. A parlare<br />
è un giovane artista greco, da qualche anno a Napoli<br />
e da pochissimo “in” Materdei, dal nome mitologico e<br />
inconfondibile, Telemaco. Nella quiete insospettabile del<br />
megappartamento pieno zeppo di libri e delle confetture<br />
che, con il suo compagno, sono piacevolmente “co-<br />
stretti” a produrre per non gettare i chili e chili di frutta<br />
e ortaggi che spuntano rigogliosi ogniddì, Telemaco<br />
costruisce le sue intriganti sculture in ferro, enormi,<br />
vibranti, ancora mai esposte o allestite, espressione di<br />
una nuova corrente che, chissà, un gallerista potrebbe<br />
lanciare come “made in Materdei”. Telemaco, ammette,<br />
non ha mai preso la metropolitana: “Preferisco girare in<br />
Vespa, o a piedi. Certo, tutto nella zona è migliorato, ma<br />
appena lasci le strade principali e ti addentri nel complicato<br />
intrico di vicoli e vicoletti, allora ritrovi il solito<br />
degrado, i cassonetti che mancano, i motorini in controsenso,<br />
i palazzi decadenti”.<br />
Giovanni, che ha un cognome che comincia con “de”,<br />
tanto per capirci, è nato e vissuto a Posillipo in villa<br />
sul mare con giardino, ma è venuto in zona per ragioni<br />
di praticità e di investimento: “Qui ci sono bellissime<br />
case, ma la gente, per la verità, non ha quel savoir faire<br />
grazie al quale mi sentivo così a mio agio a Posillipo”.<br />
Noblesse oblige. La gentile signora Lisa, invece, adora<br />
Materdei. Ci è nata, cresciuta e vi ha fatto ritorno pochi<br />
mesi fa dopo dieci anni negli Stati Uniti (suo marito è<br />
ricercatore universitario, lei insegna a scuola): “Materdei<br />
è ancora come un piccolo paese. Ci si conosce tutti. Noi<br />
famiglie storiche, intendo. Certo, il metrò è stata una<br />
cosa fantastica. I miei figli lo usano continuamente, ci<br />
si sposta una meraviglia. E poi sì, un po’ tutti si sono<br />
messi in riga, i negozianti hanno ristrutturato, ci sono<br />
nuove palestre, la nuova piazzetta con la Guglia quattrocentesca...”.<br />
Verso l’una la stazione di Materdei è piena<br />
di gente in attesa. Gente che passa distrattamente sotto<br />
agli altorilievi di Luigi Ontani, che si guarda alle spalle<br />
nel tentativo di riconoscere un volto televisivo tra le<br />
gigantografie di Mao, di Jeanne Moreau, di Pasolini, di<br />
– che sollievo – Totò. E allora scusi signora, non è canalecinque,<br />
siamo un giornale, le dispiacerebbe posare<br />
accanto ai pannelli policromi di Sol Lewitt? “Sol che?!<br />
Giuvinò (in italiano: giovanotto, à la Tina Pica), ma che<br />
volete da me, io conosco ‘o Sole mio...”. Ecco, appunto,<br />
Materdei, the days after.<br />
URBAN 33