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PADOVA PER FRANCESCO DI VANNOZZO<br />
A tal fine, concorrono tutte le maggiori autorità poetiche.<br />
Il <strong>di</strong>stacco dalla patria produce nell’autore un venir meno dei sensi,<br />
in mo<strong>di</strong> già danteschi e petrarcheschi; ma dal Ninfale fiesolano<br />
del Boccaccio sembra piuttosto venire l’immagine della «fontana<br />
viva» (quale lì era Mensola per Africo), sola in grado <strong>di</strong> nutrire <strong>di</strong><br />
piacere il cuore del poeta 70 . Dietro, invece, ai benefici effetti della<br />
materna città d’origine, c’è solo Petrarca: non solo nella ripresa<br />
d’inconfon<strong>di</strong>bili locuzioni, ma anche attraverso un’abile sostituzione<br />
funzionale della città alla figura <strong>di</strong> Laura, la cui per<strong>di</strong>ta aveva<br />
suscitato sentimenti analoghi nel poeta aretino 71 . Materiali anche<br />
questi aggiornatissimi (entrati nel canzoniere petrarchesco solo<br />
nelle sue ultimissime redazioni), e gestiti con tale padronanza da<br />
confermarci quanto stu<strong>di</strong>ata fosse nelle rime vannozziane l’incidenza<br />
tutt’altro che esorbitante del modello petrarchesco, rispetto<br />
a pre<strong>di</strong>letti mo<strong>di</strong> espressionistici, fondati ora su Dante e magari<br />
Antonio da Ferrara, ora piuttosto su un esuberante quanto localistico<br />
repertorio proverbiale e gergale.<br />
Ed infatti, sin dalla seconda quartina, a impe<strong>di</strong>re uno sviluppo<br />
coerente con l’incipit nostalgico, irrompe il carattere intimamente<br />
colloquiale e polemico dell’arte del Vannozzo: carattere che qui<br />
spinge l’autore a volgere rapidamente lo sguardo dal vagheggia-<br />
70 Per i ricor<strong>di</strong> delle prime due “corone”, basti il rinvio a «il mio [valor] sento<br />
mancare» (DANTE ALIGHIERI, Rime, XCI 5); «i’ temo forte <strong>di</strong> mancar tra via» (Rvf<br />
81, 5), o «venieno i miei spirti mancando» (Rvf 258, 7). «Tu se’ viva fontana <strong>di</strong> bellezza»<br />
(Ninf. fies. 275, 1) è invece il testo forse all’origine dell’immagine citata; sempre<br />
che non si opti piuttosto per una derivazione da un verso del Don<strong>di</strong> («d’ogni<br />
altra vertù viva fontana», XXXIII 3): tematicamente assai più affine, essendo l’epiteto<br />
anche lì riferito a una città (in quel caso Roma), ma purtroppo non con certezza<br />
anteriore al nostro sonetto (e si noti che, se lo fosse, ne trarrebbe anche conferma la<br />
datazione del sonetto vannozziano qui proposta, in quanto quello del Don<strong>di</strong> pare<br />
databile al 1375: cfr. DONDI, Rime, cit., p. 78). L’immagine, peraltro, gode <strong>di</strong> una<br />
ricca tra<strong>di</strong>zione: se «l’espressione fons acquae vive ricorre nelle Scritture» (MANETTI,<br />
Le rime, cit., p. 132), ricordo che «<strong>di</strong> speranza fontana vivace» e «fontana viva de<br />
misericor<strong>di</strong>a» era stata la Vergine Maria per Dante (Par. XXXIII 12) e Antonio da<br />
Ferrara (II 137). D’altro canto, come detto, il contesto a suo modo sentimentale ci<br />
rimanda piuttosto al Ninfale fiesolano: tanto più che proprio da quest’opera (102, 6:<br />
«hai in balia tutti i sensi miei») sembra provenire la clausola «i sensi tutti» (meno<br />
probabilmente memore <strong>di</strong> Purg. XXXII 3: «li altri sensi m’eran tutti spenti»).<br />
71 Cfr. «quanto manca / agli occhi miei che mai non fien asciutti!» (Rvf 299,<br />
14); o più ancora, con ingegnosa inversione: «tenne gli occhi mei [...] / bramosi e<br />
lieti, or li ten tristi e molli» (Rvf 320, 4). Per la ripresa anche <strong>di</strong> semplici locuzioni,<br />
cfr. «il mio cor lasso» (Rvf 260, 4).<br />
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