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PADOVA PER FRANCESCO DI VANNOZZO<br />

Marsilio da Carrara, Petrarca, Don<strong>di</strong>, ma non solo. Il Vannozzo<br />

nei primi anni settanta era in ottimi rapporti anche con l’influente<br />

famiglia da Lion. Nel sonetto in<strong>di</strong>rizzato a Nicolò da Lion (Io vegio<br />

ben che tu se’ gionto al passo), che sarà sul finire degli anni ottanta<br />

fattore <strong>di</strong> Francesco Novello, e per la sua fedeltà al Carrarese sarà<br />

anche imprigionato dai rettori viscontei, troviamo il poeta condannare<br />

Amore, e tentare <strong>di</strong> alleviare le pene che affliggevano il<br />

cuore del destinatario 39 ; anzi ancora una volta, come a me sembra,<br />

nell’ultimo verso proporre il proprio canto, recapitato a domicilio,<br />

quale me<strong>di</strong>cina del «dolore» sentimentale:<br />

Idem F.V. ad Nicolaum de Leone<br />

Io vegio ben che tu se’ gionto al passo<br />

dove zascun amante si <strong>di</strong>spoglia<br />

d’ogni alegrezza e vestesi <strong>di</strong> doglia,<br />

con dolce lagrimar piangendo lasso,<br />

perch’el mi par vederti al collo un sasso<br />

che ti dà morte, vita, pianto e zoglia,<br />

e tanto più si sente pena e noglia,<br />

quanto più magno e nobil è ’l conpasso,<br />

però fra sé medesmo leggie e spone,<br />

sì che per forza convien che sia scarco<br />

enn-un sol corpo quel de due persone.<br />

Però, fratello, io mala<strong>di</strong>co l’arco<br />

che <strong>di</strong> tal morte t’à dato casone;<br />

ma poi che tu se’ giunto a cotal varco,<br />

non ti nasconder più, mo fa’ che parte<br />

del tuo dolore io venga a mitigarte. 40<br />

Va da sé che anche questo sonetto offre un valido esempio<br />

della lirica vannozziana <strong>di</strong> questi anni a soggetto amoroso, non<br />

39 Su Niccolò da Lion non abbiamo notizie anteriori al biennio 1388-1389: quando,<br />

col Novello già prossimo alla resa <strong>di</strong> fronte allo strapotere visconteo, fu da questo<br />

incaricato della ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sue proprietà e della custo<strong>di</strong>a <strong>di</strong> altri suoi beni; per poi<br />

vedersi inserire coi fratelli, dopo la resa del signore, tra i proposti al bando da <strong>Padova</strong>,<br />

ed essere ricordato tra i citta<strong>di</strong>ni padovani imprigionati (cfr. GALEAZZO e BARTOLOMEO<br />

GATARI, Cronaca Carrarese, a cura <strong>di</strong> A. MEDIN e G. TOLOMEI, in Rerum Italicarum<br />

Scriptores, vol. XVII, parte I, Bologna 1931, pp. 331-334, 336, 355, 403 [documenti], e<br />

pp. 724 [sintesi]).<br />

40 Il son. è il n. XV ed. MEDIN, XI ed. MANETTI. Riguardo all’arduo dettato dei<br />

vv. 7-11, così ancora MANETTI (Le rime, cit., p. 115): «L’intervento sul ms. si evita<br />

[...] intendendo: ‘e tanto più [l’amante, con ripresa del sogg. della prima quartina]<br />

sente pena e tormento (commisurati alla grandezza dell’oggetto che suscita il desiderio<br />

insod<strong>di</strong>sfatto), poiché rimugina tra sé e sé [leggie e spone si rifà al linguaggio<br />

scolastico], sicché finisce per scaricarsi addosso ad una persona sola quel peso che<br />

sarebbe proporzionato per due persone’».<br />

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