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ITALO PANTANI<br />
Completamente <strong>di</strong>verso, <strong>di</strong>cevo, il tenore delle corrispondenze<br />
con Giovanni Don<strong>di</strong>: il quale, con la sua consueta attitu<strong>di</strong>ne<br />
moraleggiante, in altre due occasioni trovò qualcosa da insegnare<br />
al Vannozzo. Nel primo caso, dopo aver letto un sonetto amoroso<br />
del nostro autore, nel suo Io temo che tu non doventi cervo<br />
Giovanni invitò l’amico ad affidarsi alla guida della ragione, per<br />
non farsi ridurre, dalla passione per l’«eguana» (fata, incantatrice)<br />
da lui esaltata, alla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> «bruto animale»; ed è probabile<br />
che il testo vannozziano ispiratore <strong>di</strong> questa esortazione fosse il<br />
seguente:<br />
Leone isnello con le creni sparte,<br />
aquila magna, falcon pelegrino,<br />
color <strong>di</strong> perla netta [o]pur d’or fino,<br />
come potrà giamai morte desfarte?<br />
Ché i dei, natura, il cielo, ingegno et arte<br />
non porrà mai con forza de destino<br />
formar quel chiaro tuo vis pala<strong>di</strong>no,<br />
che tanto ben col busto si conparte;<br />
le chiare luci d’ogni bel pianeta<br />
<strong>di</strong> Iuppiter, <strong>di</strong> Febo e <strong>di</strong> Dïana<br />
lo scontro tuo per gran tema <strong>di</strong>veta,<br />
perché san ben che tu sei sola eguana,<br />
con quelle carni eburne over <strong>di</strong> setta<br />
che paron latte con color <strong>di</strong> grana.<br />
Or va’, che gli occhi tuoi, la fronte e ’l riso<br />
àn fatto en terra un altro para<strong>di</strong>so. 33<br />
scritto i vv. 1-10, meglio si comprende se si tien conto che il «berrozzo» è il membro<br />
virile (secondo il glossario <strong>di</strong> MEDIN), o il “deretano” (secondo quello della MANETTI);<br />
il «Castellecto» è un famoso bordello veneziano, con bisca annessa, situato nei pressi<br />
del ponte <strong>di</strong> Rialto; «a la ca’ da Bigozzo» pare equivalere a “come un miserabile”<br />
(cfr. FRANCESCO DI VANNOZZO, Rime, cit., p. 35). Si noti poi che, pur in un contesto<br />
linguistico così espressivistico, non mancano mo<strong>di</strong> desunti da illustri modelli: per il<br />
v. 1, cfr. Rvf 244, 9 («bench’i’ non sia <strong>di</strong> quel grand’onor degno»), o meglio Antonio<br />
da Ferrara IV 68 («bench’io non ne sia degno»); per il v. 5, cfr. Guittone 71, 1; 127,<br />
13; Dante da Maiano 15, 4, 19, 7; Boccaccio, Teseida, V 8, 4 («in fede mia»); per il<br />
v. 6, cfr. Inf. IX 99 («gozzo»); per il v. 9, cfr. Rvf 72, 39 («consuma et strugge»).<br />
33 Il son. del Don<strong>di</strong> è il n. XIX ed. DANIELE; quello del Vannozzo probabilmente<br />
alla sua origine è il n. LXXXII ed. MEDIN, LXIV ed. MANETTI. L’esistenza <strong>di</strong> un rapporto<br />
<strong>di</strong>retto tra i due testi può sollevare dei dubbi, così sintetizzati da MANETTI (Le rime,<br />
cit., p. 224): «Me<strong>di</strong>n <strong>di</strong>chiara responsivo a questo [sonetto del Vannozzo] il son. XIX<br />
del Don<strong>di</strong>; i motivi (taciuti dal Me<strong>di</strong>n) saranno ovviamente la rubrica preposta al son.<br />
del Don<strong>di</strong> nel ms. Mc 2 [= Venezia, Bibl. Marciana, Lat. XIV, 223 (= 4340)], c. 31v<br />
(“Idem Francisco de Padua deviato de stu<strong>di</strong>o amore cuiusdam”) e l’accenno, al v. 7,<br />
alla donna come eguana. Tutto sommato un po’ poco per identificare con certezza,<br />
specie in assenza <strong>di</strong> rime o almeno <strong>di</strong> schema metrico in comune fra i due sonn. in<br />
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