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SPECIALE<br />

Aria<br />

Il protocollo di Kyoto in Italia<br />

tra approvazione PNA e nuovi strumenti (2 a e ultima parte)<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

Igiene degli edifici<br />

Il radon negli ambienti di lavoro e residenziali<br />

IGIENE e SICUREZZA<br />

<strong>Sicurezza</strong> in cantiere<br />

Il ruolo del CSE secondo la giurisprudenza<br />

AMBIENTE<br />

Bonifiche<br />

L'autorizzazione provvisoria<br />

per i siti di "interesse nazionale"<br />

Rifiuti<br />

MinAmb: le ceneri di pirite non sono rifiuti<br />

ARTICOLI DA PAGINA 16<br />

TESTI DA PAGINA 35<br />

ARTICOLI DA PAGINA<br />

ARTICOLO A PAGINA<br />

COMMENTO A PAGINA<br />

TESTO A PAGINA<br />

COMMENTO A PAGINA<br />

TESTO A PAGINA<br />

La redazione di <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong><br />

augura buone vacanze a tutti i lettori<br />

Il n. 18/2005 della rivista sarà in distribuzione dai primi di settembre<br />

44<br />

85<br />

98<br />

99<br />

100<br />

101<br />

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<strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong><br />

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23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

GAZZETTA UFFICIALE: GLI ULTIMI 15 GIORNI<br />

GAZZETTA UFFICIALE REPUBBLICA ITALIANA<br />

Tutti i testi sono disponibili on­line all’indirizzo<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

NOVITÀ<br />

ARGOMENTO PROVVEDIMENTO TITOLO PUBBLICATO IN<br />

Antincendio Decreto del Ministero<br />

dell’Interno<br />

5 luglio 2005<br />

<strong>Sicurezza</strong><br />

degli impianti<br />

Appalti<br />

verdi<br />

Legge 26 luglio 2005,<br />

n. 148<br />

Circolare del Ministero<br />

dell’<strong>Ambiente</strong> e della<br />

Tutela del territorio<br />

15 luglio 2005, n. 5205<br />

Energia Decreto del Ministero<br />

dell’Economia<br />

e delle Finanze<br />

21 luglio 2005<br />

Rifiuti Ordinanza del Presidente<br />

del Consiglio<br />

dei Ministri<br />

15 luglio 2005<br />

Sostanze<br />

pericolose<br />

Circolare del Ministero<br />

dell’<strong>Ambiente</strong> e della<br />

Tutela del territorio<br />

19 luglio 2005<br />

Decreto del Ministero<br />

delle Infrastrutture<br />

e dei Trasporti<br />

6 maggio 2005<br />

Decreto del Ministero<br />

delle Infrastrutture<br />

e dei Trasporti<br />

20 maggio 2005<br />

SICUREZZA<br />

«Integrazioni al decreto 14 maggio 2004, recante<br />

l’approvazione della regola tecnica di<br />

prevenzione incendi per l’installazione e<br />

l’esercizio dei depositi di gas di petrolio liquefatto,<br />

con capacità complessiva non superiore<br />

a 13 m 3 »<br />

«Conversione, con modificazioni, del decretolegge<br />

27 maggio 2005, n. 86, recante misure urgenti<br />

di sostegno nelle aree metropolitane per i<br />

conduttoridiimmobiliincondizionidiparticolare<br />

disagio abitativo conseguente a provvedimenti<br />

esecutivi di rilascio»<br />

AMBIENTE<br />

«Indicazioni per l’operatività nel settore edile,<br />

stradale e ambientale, ai sensi del decreto ministeriale<br />

8 maggio 2003, n. 203»<br />

«Contributo di funzionamento dell’Autorità<br />

per l’energia elettrica ed il gas da versare entro<br />

il 30 luglio 2005»<br />

«Disposizioni urgenti di protezione civile. (Ordinanza<br />

n. 3449)»<br />

«Indicazioni relative ai materiali riciclati e beni<br />

e manufatti ottenuti con materiale riciclato,<br />

proveniente da articoli in gomma, ai sensi del<br />

decreto ministeriale 8 maggio 2003, n. 203»<br />

«Recepimento della direttiva 2004/112/CE della<br />

Commissione del 13 dicembre 2004, che adegua<br />

al progresso tecnico la direttiva 95/50/CE<br />

del Consiglio, sull’adozione di procedure uniformi,<br />

in materia di controllo dei trasporti su<br />

strada di merci pericolose»<br />

«Determinazione degli incentivi e dei contributi<br />

al trasporto ferroviario combinato e di<br />

merci pericolose, ai sensi degli articoli 8 e 13 del<br />

decreto del Presidente della Repubblica 22 di­<br />

cembre 2004, n. 340»<br />

Gazzetta Ufficiale<br />

del 21 luglio 2005, n. 168<br />

Documento a pag. 60<br />

Gazzetta Ufficiale<br />

del 29 luglio 2005, n. 175<br />

In sintesi a pag. 93<br />

Gazzetta Ufficiale<br />

del 25 luglio 2005, n. 171<br />

In sintesi a pag. 104<br />

Gazzetta Ufficiale<br />

del 25 luglio 2005, n. 171<br />

In sintesi a pag. 105<br />

Gazzetta Ufficiale<br />

del 22 luglio 2005, n. 169<br />

In sintesi a pag. 105<br />

Gazzetta Ufficiale<br />

del 27 luglio 2005, n. 173<br />

Gazzetta Ufficiale<br />

del 20 luglio 2005, n. 167<br />

In sintesi a pag. 105<br />

Gazzetta Ufficiale<br />

del 20 luglio 2005, n. 167<br />

GAZZETTA UFFICIALE DELLE COMUNITÀ EUROPEE<br />

ARGOMENTO PROVVEDIMENTO PUBBLICATO IN<br />

AMBIENTE<br />

Aria «Direttiva 2005/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio<br />

2005, che modifica la direttiva 1999/32/CE in relazione al tenore di zolfo dei<br />

combustibili per uso marittimo»<br />

Energia «Direttiva 2005/32/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 6 luglio<br />

2005, relativa all’istituzione di un quadro per l’elaborazione di specifiche per<br />

la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia e recante<br />

modifica della direttiva 92/42/CEE del Consiglio e delle direttive 96/57/<br />

CE e 2000/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio»<br />

G.U.C.E. L del 22 luglio 2005,<br />

n. 191<br />

In sintesi a pag. 103<br />

G.U.C.E. L del 22 luglio 2005,<br />

n. 191<br />

In sintesi a pag. 103<br />

5


SOMMARIO<br />

In sintesi<br />

SPECIALE ................................................................................................................................. p. 11<br />

L’APPROFONDIMENTO ................................................................................................................ p. 11<br />

IGIENE E SICUREZZA ................................................................................................................... p. 11<br />

AMBIENTE ................................................................................................................................. p. 13<br />

DALLE REGIONI.......................................................................................................................... p. 14<br />

Articoli<br />

6<br />

Approfondimenti<br />

l Le ripercussioni per le imprese: il caso dell’industria cartaria italiana<br />

di Massimo Medugno e Massimo Ramunni ........................................................................ p. 16<br />

l La riduzione delle emissioni di gas serra secondo le norme ISO 14000<br />

di Stefano Sibilio ................................................................................................................. p. 22<br />

l L’attuazione del Protocollo di Kyoto tra obblighi di risparmio e nuovi business<br />

di Paolo Colombini .............................................................................................................. p. 25<br />

l Sull’attuazione del Protocollo di Kyoto l’incognita dello sviluppo sostenibile<br />

di Marcio Viegas e Luigi Casale ......................................................................................... p. 30<br />

l Radon e fumo: micidiale miscela nelle case e nei luoghi di lavoro<br />

di Elio Giroletti e Alberta Leonarda Vergine ........................................................................ p. 44<br />

l Aspetti normativi e tecnici per la protezione dei lavoratori esposti al radon<br />

di Laura Trinci...................................................................................................................... p. 48<br />

l Il controllo del radon negli ambienti residenziali: le indicazioni<br />

delle linee guida APAT/CTN-AGF<br />

di Laura Trinci...................................................................................................................... p. 55<br />

l Verifiche sugli impianti elettrici di messa a terra e protezione<br />

dalle scariche atmosferiche<br />

di Laura Alimandi e Gianluca Saputi ................................................................................... p. 62<br />

l Attività ispettiva 2005 e sicurezza del lavoro:<br />

parte la nuova campagna dei controlli<br />

di Mario Gallo...................................................................................................................... p. 65<br />

l Il coordinatore per l’esecuzione: “parafulmine” o gestore di processo?<br />

di Carmelo G. Catanoso...................................................................................................... p. 85<br />

l Introdotta l’autorizzazione provvisoria per le bonifiche di “interesse nazionale”<br />

di Fabio Dal Seno ............................................................................................................... p. 98<br />

l La circolare del MinAmb 30 giugno 2005 esclude le ceneri di pirite dai rifiuti<br />

di Marco Sertorio ................................................................................................................ p. 100<br />

l Al via un progetto della Regione Lombardia per la protezione degli asfaltatori<br />

di Maria Luisa Felici ............................................................................................................ p. 113<br />

l Piemonte: valutazione del clima acustico secondo la delibera n. 46-14762/2005<br />

di Carlo Tadini .................................................................................................................... p. 115<br />

Legislazione<br />

l Con il decreto legislativo n. 128/2005 al via la promozione dei biocarburanti<br />

Decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 128 ....................................................................... p. 38<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

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SOMMARIO<br />

l Dal MinInterno nuove distanze di sicurezza per i piccoli depositi di GPL<br />

Decreto del Ministero dell’Interno 5 luglio 2005 .................................................................. p. 61<br />

l Prorogato il Capo V del TU Edilizia<br />

Legge 26 luglio 2005, n. 148 .............................................................................................. p. 93<br />

l Introdotta l’autorizzazione provvisoria per le bonifiche di “interesse nazionale”<br />

Decreto del Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e della Tutela del territorio 2 maggio 2005, n. 127 ..... p. 99<br />

l Combustibili per uso marittimo<br />

Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 2005, n. 2005/33/CE ................. p. 103<br />

l Progettazione ecocompatibile di prodotti che consumano energia<br />

Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 2005, n. 2005/32/CE ................. p. 103<br />

l Contributo annuale per l’Autorità per l’energia elettrica e il gas<br />

Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 21 luglio 2005 .................................. p. 105<br />

l Controlli per il trasporto su strada di merci pericolose<br />

Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 6 maggio 2005 ............................ p. 105<br />

l Dalle Regioni<br />

Rassegna di delibere e leggi regionali luglio 2005 ............................................................. p. 120<br />

Prassi<br />

l Con la decisione del 25 maggio 2005 la Commissione ha approvato il PNA<br />

Decisione della Commissione 25 maggio 2005 ........................................................................................ p. 35<br />

l Attività ispettiva 2005 e sicurezza del lavoro:<br />

parte la nuova campagna dei controlli<br />

Protocollo d’intesa Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali - INPS - INAIL 7 aprile 2005 ....<br />

Documento programmatico dell’attività ispettiva<br />

del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ............................................................................<br />

Nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali 24 giugno 2005, Prot. n. 939 ..........<br />

l Piattaforme aeree: lavori in quota sicuri<br />

con dispositivo di arresto in condizioni limite<br />

Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali 14 luglio 2005, n. 29 ................ p. 75<br />

l Il Ministero del Lavoro risponde all’ANCE sulla legittimità del distacco<br />

Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali 11 luglio 2005, Prot. n. 1006 .... p. 78<br />

l Nuovi chiarimenti sulle modalità di rilascio<br />

del Documento unico di regolarità contributiva<br />

Circolare INPS, INAIL, Casse edili<br />

e Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali 26 luglio 2005, n. 92 ..................................<br />

p. 80<br />

l La circolare del MinAmb 30 giugno 2005 esclude le ceneri di pirite dai rifiuti<br />

Circolare del Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e della Tutela del territorio 30 giugno 2005 .............. p. 101<br />

l Manufatti e beni ottenuti da materiale riciclato<br />

Circolare del Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e della Tutela del territorio 15 luglio 2005, n . 5205 . p. 104<br />

l Rifiuti e fanghi di dragaggio<br />

Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 luglio 2005, n. 3449 ...................... p. 105<br />

l Sulla gestione degli imballaggi Accordo Comieco-Provincia di Torino<br />

Protocollo di intesa tra Provincia di Torino e Comieco ........................................................ p. 118<br />

Giurisprudenza<br />

l Condotta anomala del lavoratore: responsabilità del datore di lavoro<br />

Cassazione penale, sez. IV, 30 marzo 2005, n. 12237 ....................................................... p. 94<br />

l Nozione di rifiuto<br />

Cassazione penale, sez. III, 2 agosto 2004, n. 33205 .................................................. p. 106<br />

p.<br />

p.<br />

p.<br />

7<br />

67<br />

68<br />

73


8<br />

SOMMARIO<br />

Cassazione penale, sez. III, 11 novembre 2004, n. 43946 .................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 26 novembre 2004, n. 45779 .................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 1° dicembre 2004, n. 46680 ..................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 25 novembre 2004, n. 45582 .................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 9 febbraio 2005, n. 4702 ........................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 8 marzo 2005, n. 8890 ...........................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 15 marzo 2005, n. 9503 .........................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 22 marzo 2005, n. 11127 .......................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 13 maggio 2005, n. 17836 .....................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 17 maggio 2005, n. 18229 .....................................................<br />

l Gestione dei rifiuti<br />

Cassazione penale, sez. III, 25 gennaio 2005, n. 1989 ......................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 31 gennaio 2005, n. 2950 ......................................................<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

Direttore responsabile: FRANCESCO DEMURO<br />

Coordinatore editoriale: Massimo Cassani<br />

Redazione: Dario De Andrea (02/30223270),<br />

Donatella Bollani (02/30223272)<br />

Proprietario ed editore: IL SOLE 24 ORE S.p.A.<br />

Presidente: INNOCENZO CIPOLLETTA<br />

Amministratore Delegato: GIUSEPPE CERBONE<br />

Registrazione Tribunale di Milano n. 749 del 9 novembre<br />

1998.<br />

Sede legale: Via Monte Rosa, 91 ­ 20149 Milano.<br />

Amministrazione: Via Monte Rosa, 91 ­ 20149 Milano.<br />

Direzione, redazione: Via Monte Rosa, 91 ­ 20149 Milano<br />

­ Fax 02/30223992.<br />

IL SOLE 24 ORE S.p.A. Tutti i diritti sono riservati.<br />

Nessuna parte di questo periodico può essere riprodotta<br />

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l Raccolta e trasporto<br />

Cassazione penale, sez. III, 3 agosto 2004, n. 33281 ........................................................ p. 108<br />

l La discarica<br />

Cassazione penale, sez. III, 29 settembre 2004, n. 38318 .................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 29 settembre 2004, n. 38322 .................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 8 settembre 2004, n. 36062 ...................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 11 novembre 2004, n. 43955 .................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 27 ottobre 2004, n. 41775 .....................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 16 novembre 2004, n. 44426 .................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 16 gennaio 2005, n. 859 ........................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 10 febbraio 2005, n. 4883 ......................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 1° aprile 2005, n. 12349 ........................................................<br />

Cassazione penale, sez. III, 22 marzo 2005, n. 11139 .......................................................<br />

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con mezzi grafici e meccanici quali la fotoriproduzione e<br />

la registrazione. Manoscritti e fotografie su qualsiasi supporto<br />

veicolati, anche se non pubblicati, non si restituiscono.<br />

Servizio clienti periodici: IL SOLE 24 ORE S.p.A. Via<br />

Tiburtina Valeria (S.S. n. 5) km 68,700 ­ 67061 Carsoli<br />

(AQ).<br />

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I numeri non pervenuti potranno essere richiesti via fax al<br />

n. 02­06/30225402­06 o via e­mail a servizioclienti.periodici@ilsole24ore.com<br />

entro 2 mesi dall’uscita del numero<br />

stesso.<br />

Abbonamento per 12 mesi (Italia): 145 euro<br />

Gli abbonamenti possono essere sottoscritti telefonando<br />

direttamente e inviando una fotocopia della ricevuta di<br />

pagamento sul c.c.p. n. 31481203.<br />

La ricevuta di pagamento tramite c.c.p. può essere inviata<br />

per posta a Il Sole 24 ORE, Via Tiburtina Valeria Km<br />

68,700 ­ 67061 Carsoli (AQ) e via fax ai numeri 06/<br />

30225406 ­ 02/30225406.<br />

In questo ultimo caso non inviare la ricevuta per posta.<br />

Pubblicità: Il Sole 24 ORE Edagricole s.r.l. ­ Via Goito 13<br />

­ 40126 Bologna ­ Tel.: 051/65751<br />

Stampa: IL SOLE 24 ORE S.p.A. ­ Via Tiburtina Valeria<br />

(S.S. n. 5) km 68,700 ­ 67061 Carsoli (AQ).<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


RUBRICA<br />

OBBLIGHI, ADEMPIMENTI, SCADENZE<br />

a cura di Marco Fabrizio, avvocato in Roma<br />

30<br />

SETTEMBRE<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

SCADENZARIO<br />

QUALITÀ DELLE ACQUE PER IL CONSUMO UMANO: RELAZIONE SULLE DEROGHE<br />

Il 30 settembre 2005 scade il termine entro il quale le regioni e le province autonome, che si avvalgono<br />

della facoltà di deroga ai valori di parametro ex Allegato I, parte B, D.Lgs. n. 31/2001, già concesse per i<br />

parametri del Boro, dell’Arsenico, del Fluoro, del Vanadio, del Selenio, del Nichel, dei Cloriti e dei<br />

Trialometani, devono inviare ai Ministeri della Salute e dell’<strong>Ambiente</strong> e della Tutela del territorio, una<br />

relazione dettagliata concernente le deroghe medesime, secondo il contenuto previsto dall’art. 1,<br />

comma 5, D.M. 22 dicembre 2004.<br />

SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA<br />

Regioni e province autonome che<br />

si avvalgono della facoltà di deroga<br />

ai valori di parametro ex<br />

Allegato I, parte B, D.Lgs. n.<br />

31/2001, concernenti la qualità<br />

delle acque per consumo umano.<br />

­ ­<br />

COMUNICAZIONE MINISTERIALE ANNUALE SULLA QUALITÀ DELL’ARIA-AMBIENTE<br />

Entro il 30 settembre 2005 il Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e della Tutela del territorio dovrà comunicare<br />

alla Commissione europea le informazioni ricevute dalle regioni in materia di qualità<br />

dell’aria­ambiente in forza dell’art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 351/1999, «Attuazione della direttiva<br />

96/62/CE in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente», e successive<br />

attuazioni. (Art. 12, comma 2, lettera a), D.Lgs. n. 351/1999)<br />

SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA<br />

Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e della<br />

Tutela del territorio.<br />

Annuale 30 settembre 2006<br />

GRANDI IMPIANTI DI COMBUSTIONE: TERZA RATA TRIMESTRALE “CARBON TAX”<br />

Gli esercenti dei grandi impianti di combustione (GIC) ex direttiva n. 88/609/CEE devono versare la<br />

rata trimestrale dell’imposta sui consumi di carbone, coke di petrolio, bitume di origine naturale<br />

emulsionato con il 30% di acqua (orimulsion), impiegati negli impianti di combustione nell’anno<br />

precedente. Nell’ipotesi di ritardato adempimento sarà applicabile la sanzione amministrativa<br />

pecuniaria di una somma dal doppio al quadruplo della tassa dovuta, fermi restando i principi<br />

generali stabiliti dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. Per le inosservanze di diverso tipo sarà<br />

applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria da€ 258,23 a€ 1.549,37 (art. 50, D.Lgs. n. 504/1996).<br />

(Art. 8, commi 7 e 8, legge 23 dicembre 1998, n. 448)<br />

SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA<br />

Esercenti dei grandi impianti di<br />

combustione (GIC) ex direttiva n.<br />

88/609/CEE.<br />

Trimestrale 31 dicembre 2005<br />

GRANDI IMPIANTI DI COMBUSTIONE: TERZA RATA TRIMESTRALE DELLA TASSA SULLE EMISSIONI DI ANIDRIDE<br />

SOLFOROSA E OSSIDI DI AZOTO E CONGUAGLIO<br />

Gli esercenti dei grandi impianti di combustione (GIC) ex direttiva n. 88/609/CEE (potenza termica pari<br />

o superiore a 50 MW, indipendentemente dal tipo di combustibile utilizzato e destinati alla<br />

produzione di energia, a eccezione di quelli che utilizzano direttamente i prodotti di combustione in<br />

procedimenti di fabbricazione) e art. 1, comma 3, D.P.R. n. 416/2001, devono versare la rata trimestrale<br />

della tassa sulle emissioni di anidride solforosa (SO2) e di ossidi di azoto (NOx). In caso di ritardato<br />

adempimento, decorreranno l’indennità di mora e gli interessi previsti dall’art. 3, comma 4, D.Lgs. n.<br />

504/1996. Per l’omesso pagamento sarà applicabile l’indennità di mora e gli interessi dovuti per il<br />

ritardo oltre che la sanzione amministrativa pecuniaria di una somma dal doppio al quadruplo della<br />

tassa dovuta. Per le inosservanze di diverso tipo sarà applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria<br />

da€258,23 a€1.549,37 (art. 50, D.Lgs. n. 504/1996). (Art. 17, commi da 29 a 33, legge 27 dicembre<br />

1997, n. 449; art. 4, D.P.R. 26 ottobre 2001, n. 416)<br />

SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA<br />

Esercenti dei grandi impianti di<br />

combustione (GIC) ex direttiva n.<br />

88/609/CEE e art. 1, comma 3,<br />

D.P.R. n. 416/2001.<br />

Trimestrale 31 dicembre 2005<br />

9


10<br />

SCADENZARIO<br />

30<br />

SETTEMBRE<br />

RUBRICA<br />

RELAZIONE ANNUALE SULL’INQUINAMENTO INDUSTRIALE DA BIOSSIDO DI TITANIO<br />

Il 30 settembre 2005 scade il termine entro il quale le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano<br />

devono fornire al Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e del Territorio i risultati della sorveglianza e del controllo<br />

esercitati in materia di inquinamento provocato dall’industria del biossido di titanio. Questo<br />

rapporto, riguardante ciascun ambiente interessato, dovrà contenere almeno una descrizione del<br />

punto di campionamento e delle sue caratteristiche permanenti, unitamente ad altre notizie di tipo<br />

amministrativo e geografico, l’indicazione del metodo di campionamento e delle analisi usati, i risultati<br />

delle analisi, le modifiche apportate alla frequenza di campionamento e di analisi e al punto di<br />

campionamento. (Art. 8, comma 1, D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 100)<br />

SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA<br />

Regioni e province autonome di<br />

Trento e Bolzano.<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

Annuale 30 settembre 2006<br />

ELETTRODOTTI: COMUNICAZIONE TRIMESTRALE<br />

Gli esercenti di elettrodotti con tensione di esercizio non inferiore a 132 kV devono fornire agli organi<br />

di controllo, secondo le modalità fornite dagli stessi, 12 valori per ciascun giorno, corrispondenti ai<br />

valori medi delle correnti registrati ogni due ore nelle normali condizioni di esercizio. (Art. 5, comma<br />

4, D.P.C.M. 8 luglio 2003)<br />

SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA<br />

Esercenti di elettrodotti con tensione<br />

di esercizio non inferiore a<br />

132 kV.<br />

Trimestrale 30 dicembre 2005<br />

OLI VEGETALI PER USO ALIMENTARE: CONTRIBUTO CONSORTILE<br />

Il 30 settembre 2005 scade il termine per il versamento trimestrale del contributo di riciclaggio degli<br />

oli e dei grassi vegetali e animali esausti, da effettuare a favore del Consorzio obbligatorio nazionale<br />

di raccolta e trattamento degli oli dei grassi vegetali e animali esausti. (Art. 47, comma 9, lettera d),<br />

D.Lgs. n. 22/1997; art. 2, D.M. 27 novembre 2003).<br />

SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA<br />

Coloro che immettono sul mercato<br />

nazionale oli vegetali confezionati,<br />

anche importati, che cedono oli vegetali<br />

alle imprese che li utilizzano<br />

come ingredienti di prodotti composti,<br />

che importano oli vegetali<br />

per utilizzarli direttamente come<br />

ingredienti di prodotti composti.<br />

Trimestrale 30 dicembre 2005<br />

BATTERIE AL PIOMBO: ANTICIPO SOVRAPPREZZO DI VENDITA<br />

I produttori e gli importatori di batterie al piombo, nonché gli importatori di beni contenenti batterie<br />

al piombo, devono versare, entro il 30 settembre 2005, al COBAT ­ Consorzio obbligatorio delle batterie<br />

al piombo esauste e dei rifiuti piombosi ­ il sovrapprezzo unitario di vendita delle batterie al piombo,<br />

così come determinato dall’art. 1, D.M. 16 marzo 2005, fornendo, inoltre, le informazioni previste.<br />

SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA<br />

Produttori e importatori di batterie<br />

al piombo, nonché importatori<br />

di beni contenenti batterie al<br />

piombo.<br />

Trimestrale 31 dicembre 2005<br />

RELAZIONE MENSILE SULL’INQUINAMENTO ACUSTICO AEROPORTUALE<br />

Entro il 30 settembre 2005 le regioni devono trasmettere al Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e della Tutela del<br />

territorio nonché al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, la relazione mensile sul monitoraggio<br />

del rumore aeroportuale. Ciò al fine di verificare il rispetto da parte degli eventuali voli notturni compresi<br />

nella fascia oraria dalle ore 23.00 alle ore 6.00 locali, dei requisiti acustici previsti dal capitolo 3,<br />

parte II, volume I, Allegato XVI alla Convenzione relativa all’aviazione civile internazionale, stipulata a<br />

Chicago il 7 dicembre 1944 e ratificata in Italia con legge n. 561/1956. Dalle citate prescrizioni risultano,<br />

comunque, esentati i voli di Stato, sanitari e di emergenza. (Art. 1, D.P.R. 9 novembre 1999, n. 476)<br />

SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA<br />

Regioni Mensile 31 ottobre 2005<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


IN SINTESI<br />

Speciale<br />

ARIA<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

RUBRICA<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

SINTESI<br />

ARTICOLI .....................................................................................................................................................................................................................da pag. 16<br />

Attuazione del Protocollo di Kyoto: lo stato dell’arte (2 a e ultima parte) ­ Alla luce della recente decisione della commissione 25 maggio 2005 con la quale<br />

è stato approvato il Piano nazionale italiano per l’assegnazione delle quote di emissione proseguiamo con l’analisi sul processo di attuazione del Protocollo di Kyoto<br />

in Italia (la prima parte è stata pubblicata sul n. 14/2005 di <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>). Il caso dell’industria cartaria, se da un lato può servire a capire come un intero<br />

comparto produttivo possa partecipare attivamente al raggiungimento degli obiettivi posti dal Protocollo attraverso scelte che (in questo caso) vanno dalla<br />

cogenerazione alla conversione a gas naturale per l’alimentazione degli impianti, dall’altro è utile per porre in rilievo i problemi che possono inficiare o, addirittura,<br />

rendere penalizzanti decisioni di questo genere come, ad esempio, i costi italiani dell’energia, superiori del 30% a quelli dei principali player europei. Maggiore<br />

chiarezza su quantificazione, monitoraggio, rendicontazione dei gas serra e dei loro progetti di riduzione/rimozione nonché sul processo di verifica/validazione<br />

delle relative informazioni deriverà sicuramente dalle norme che l’ISO sta mettendo a punto (obiettivo 2006) all’interno delle ISO 14000, allo scopo di proporre<br />

strumenti unificati. Ma dall’attuazione del Protocollo di Kyoto possono anche derivare nuove opportunità di business, legate soprattutto a interventi di<br />

efficienza­risparmio energetico e alle chance offerte dal mercato e dalle nascenti Società di Servizi Energetici (ESCO), specializzate in interventi per il miglioramento<br />

dell'efficienza energetica di aziende pubbliche e private; una riflessione a parte deve essere fatta per le possibili ricadute sulle politiche di sviluppo sostenibile,<br />

soprattutto con riferimento ai Paesi in condizioni socio­economiche arretrate dove le iniziative di Clean Development Mechanism (CDM) o di Joint Implementation<br />

(JI), se gestite non correttamente, possono avere ripercussioni pesanti. Un altro segnale incoraggiante arriva, infine, dal recente decreto legislativo 30 maggio<br />

2005, n. 128, relativo alla promozione di biocarburanti o altri carburanti rinnovabili nei trasporti (in Gazzetta Ufficiale del 12 luglio 2005, n. 160).<br />

L’Approfondimento<br />

IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

ARTICOLI .....................................................................................................................................................................................................................da pag. 44<br />

Il radon: i rischi dell’esposizione negli ambienti di lavoro e residenziali ­ Elemento naturale a cui da sempre sono esposti tutti gli esseri viventi, il radon è<br />

considerato uno dei principali contaminanti dell’aria nei luoghi chiusi per la sua ormai accertata cancerogenità. Infatti, le abitudini di vita attuali, che portano<br />

l’individuo a trascorrere gran parte del suo tempo in luoghi chiusi con scarsa ventilazione, legata alla necessità sempre più imperante di adeguarsi a programmi di<br />

risparmi energetico, hanno portato a un aumento del rischio di esposizione sia al gas sia ai suoi prodotti di decadimento. Nel panorama normativo nazionale in<br />

materia di radioprotezione la legge quadro di riferimento è il D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230, che, con l’introduzione del decreto legislativo 26 maggio 2000, n.<br />

241, ha esteso il suo campo di applicazione e ha reso soggette a regolamentazione alcune attività lavorative dove sussiste la presenza di sorgenti naturali di<br />

radiazioni che espongono a esposizioni non trascurabili i lavoratori e le persone del pubblico., come accade in quelle attività che si svolgono in luoghi con<br />

particolari caratteristiche e che possono portare all’esposizione a concentrazioni anomale di gas radon. Per quanto riguarda, invece, il controllo del gas in<br />

ambienti diversi da quelli lavorativi, non esistono specifiche disposizioni normative, ma vari laboratori presenti sul territorio hanno avviato numerose campagne<br />

per la determinazione della concentrazione del radon nelle scuole e nelle abitazioni delle regioni italiane.<br />

Igiene e <strong>Sicurezza</strong><br />

ANTINCENDIO<br />

TESTO............................................................................................................................................................................................................................a pag. 61<br />

Nuove distanze di sicurezza per i piccoli depositi di GPL ­ Il Ministero dell’Interno, con decreto 5 luglio 2005, ha apportato alcune integrazioni alla regola<br />

tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio dei depositi di GPL con capacità inferiore o uguale ai 13 m 3 , approvata con D.M. 14 maggio<br />

2004. Oggetto della modifica sono le distanze di sicurezza che si riducono fino alla metà per i fabbricati e i locali destinati, anche parzialmente, a esercizi<br />

pubblici, a collettività, a luoghi di riunione, di intrattenimento o di pubblico spettacolo, sempre che questi siano serviti da un deposito con una capacità<br />

massima di 5 m 3 e che sia realizzato con serbatoi interrati. (in Gazzetta Ufficiale del 21 luglio 2005, n. 168)<br />

SICUREZZA DEGLI IMPIANTI<br />

ARTICOLO ......................................................................................................................................................................................................................a pag. 62<br />

Verifiche sugli impianti elettrici di messa a terra e protezione dalle scariche atmosferiche ­ Ancora non pienamente definito il quadro normativo in<br />

materia di procedure per la denuncia di installazioni e dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche, di dispositivi di messa a terra degli impianti<br />

elettrici anche pericolosi. Inizialmente, il D.M. 15 ottobre 1993, n. 519, prevedeva da parte dell’IPSESL, che gli impianti venissero omologati su richiesta del<br />

datore di lavoro e, a intervalli non superiori di due anni, l‘ASL provvedesse alle verifiche periodiche, scindendo, quindi, il momento omologativo da quello<br />

ispettivo. Con l’introduzione del D.P.R. n. 462/2001, la messa in esercizio degli impianti elettrici di messa a terra e dei dispositivi di protezione contro le scariche<br />

atmosferiche è successiva alla verifica eseguita dall’installatore che rilascia la dichiarazione di conformità, la quale equivale all’omologazione dell’impianto. In<br />

questo contesto viene a mancare l’atto omologativo.<br />

11


SINTESI<br />

RUBRICA<br />

SINTESI ...........................................................................................................................................................................................................................a pag. 93<br />

Prorogato il CapoVdel TU Edilizia ­ La legge 26 luglio 2005, n. 148, ha convertito in legge il decreto­legge 27 maggio 2005, n. 86, «recante misure urgenti<br />

di sostegno nelle aree metropolitane per i conduttori di immobili in condizioni di particolare disagio abitativo conseguente a provvedimenti esecutivi di rilascio<br />

» prorogando al 1° luglio 2006 l’entrata in vigore del capo V, parte II, decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, cosiddetto Testo Unico<br />

Edilizia. (in Gazzetta Ufficiale del 29 luglio 2005, n. 175 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com).<br />

SICUREZZA DEL LAVORO<br />

COMMENTO ...............................................................................................................................................................................................................da pag. 65<br />

TESTO...........................................................................................................................................................................................................................da pag. 67<br />

Attività ispettiva e sicurezza del lavoro: parte la nuova campagna dei controlli ­ Un Codice di comportamento destinato al personale ispettivo del<br />

Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, dell’INPS e dell’INAIL è il contenuto del protocollo 7 aprile 2005 firmato dalle parti interessate che ha lo scopo di<br />

semplificare e coordinare l’azione di controllo nei luoghi di lavoro. In seguito, lo stesso Ministero, ha pubblicato il Documento programmatico dell’attività<br />

ispettiva per il 2005 all’interno del quale sono tracciate le direttrici sostanziali dell’azione di vigilanza tra le quali emergono quelle inerenti alla lotta al lavoro<br />

sommerso, alla verifica delle condizioni di sicurezza e di igiene del lavoro in edilizia, la tutela del lavoro minorile ecc. Quest’ultimo documento, a seguito di<br />

richieste di chiarimento da parte di alcune Direzioni Regionali e Provinciali, è stato implementato dalle precisazioni contenute nella nota del Ministero del<br />

Lavoro e delle Politiche sociali 24 giugno 2005, n. 939.<br />

MASSIMA E NOTA .........................................................................................................................................................................................................a pag. 94<br />

Condotta anomala del lavoratore: responsabilità del datore ­ Le norme di prevenzione degli infortuni mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine a<br />

incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, cosicché la responsabilità del datore di lavoro può essere esclusa, per causa<br />

sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al<br />

procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, e che sia del tutto imprevedibile o inopinabile. Nel caso di assenza o inidoneità delle<br />

misure di prevenzione, nessuna efficacia causale può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento.<br />

(Cassazione penale, sez. IV, 30 marzo 2005, n. 12237)<br />

SICUREZZA DELLE MACCHINE<br />

TESTO.............................................................................................................................................................................................................................a pag. 75<br />

Piattaforme aeree: lavori in quota sicuri con dispositivo di arresto in condizioni limite ­ Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con circolare 14 luglio<br />

2005, n. 29, ha suggerito una maggiore cautela nell’impiego delle piattaforme aeree sviluppabili con operatore a bordo. Infatti, il Ministero evidenzia che molte di<br />

queste macchine, seppure targate CE, se provenienti da altri Stati membri della Comunità europea, potrebbero non possedere tutti i requisiti minimi di sicurezza<br />

che garantiscano la tutela del conduttore. Questo perché, molti costruttori esteri hanno interpretato in maniera restrittiva l’applicazione delle norme tecniche in<br />

materia, munendo le macchine unicamente di un segnale acustico che avverta nel caso di raggiungimento delle condizioni limite di sicurezza, differentemente da<br />

quanto avviene per quelle costruite in Italia, munite anche di un sistema meccanico frenante che blocchi la piattaforma al raggiungimento delle condizioni estreme.<br />

SICUREZZA IN CANTIERE<br />

TESTO.............................................................................................................................................................................................................................a pag. 78<br />

Il Ministero del Lavoro risponde all’ANCE sulla legittimità del distacco ­ Per la quarta volta il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha fornito<br />

alcuni chiarimenti sulle procedure che rendono la pratica del distacco legittima. Con la nota 11 luglio 2005, n. 1006, il Ministero è intervenuto a chiarire un<br />

quesito proposto dall’ANCE sulla compatibilità dell’art. 96 del CCNL, il quale richiede obbligatoriamente il consenso del lavoratore da distaccare, con le<br />

innovazioni introdotte dall’art. 30, D.Lgs. n. 276/2003, cosiddetta legge Biagi, che prevede questo consenso solamente quando la procedura di distacco<br />

comporti un cambiamento nelle mansioni del lavoratore.<br />

TESTO ...........................................................................................................................................................................................................................a pag. 80<br />

Dal MinLavoro le modalità di rilascio del Documento unico di regolarità contributiva ­ L’estensione del Documento unico di regolarità contributiva<br />

(DURC) anche ai lavori privati, soggetti a concessione o a DIA, è quanto riportato, tra le altre cose, nella circolare INPS, INAIL, Casse edili congiuntamente al<br />

Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali 26 luglio 2005, n. 92. La circolare chiarisce, sempre per i lavori privati, che il documento deve essere rinnovato<br />

annualmente a causa delle variazioni contributive che interessano il datore di lavoro. Invece, per quanto concerne gli appalti pubblici, le imprese, in fase di<br />

gara, devono presentare un’autocertificazione; unicamente l’impresa vincitrice della gara è soggetta alla presentazione del DURC, solo a seguito, però, della<br />

richiesta dell’appaltante.<br />

ARTICOLO......................................................................................................................................................................................................................a pag. 85<br />

Il coordinatore per l’esecuzione: “parafulmine” o gestore di processo? ­ Deputato alla funzione di coordinamento, tra quanto previsto nel PSC e<br />

quanto effettivamente avviene in cantiere, e di controllo in modo da poter segnalare al committente le inosservanze alle prescrizioni del PSC stesso, il<br />

coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione è una delle nuove figure introdotte dal D.Lgs. n. 494/1996. A causa di interpretazioni, spesso di parte, dei<br />

soggetti coinvolti, le funzioni del CSE vengono stravolte, facendolo apparire come un controllore che deve vigilare con continuità in cantiere e non come un<br />

12<br />

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23 agosto 2005 ­ N. 17


RUBRICA<br />

SINTESI<br />

gestore di processo, qual è effettivamente. Per avere un più opportuno inquadramento delle mansioni del coordinatore si propone un commento a<br />

una decisione della Suprema Corte, la recente sentenza 21 gennaio 2005, n. 1722.<br />

<strong>Ambiente</strong><br />

APPALTI VERDI<br />

SINTESI ...........................................................................................................................................................................................................................................................................................a pag. 104<br />

Manufatti e beni ottenuti da materiale riciclato ­ La circolare del Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e tutela del territorio 15 luglio 2005, n. 5205, rappresenta un<br />

importante documento esplicativo circa l’obbligo gravante a carico di enti pubblici e società a prevalente capitale pubblico (anche di gestione dei servizi), di<br />

garantire che i manufatti e i beni riciclati coprano almeno il 30% del proprio fabbisogno annuale. Ulteriori approfondimenti sui prossimi numeri di<br />

<strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong> (in Gazzetta Ufficiale del 25 luglio 2005, n. 171 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)<br />

ARIA<br />

SINTESI .........................................................................................................................................................................................................................a pag. 103<br />

Combustibili per uso marittimo ­ La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 2005, n. 2005/33/CE apporta alcune modifiche significative<br />

alla precedente disciplina di cui alla direttiva n. 1999/32/CE relativa al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo, nella considerazione che «le emissioni<br />

da navi derivanti dall’utilizzo di combustibili per uso marittimo ad alto tenore di zolfo contribuiscono all’inquinamento atmosferico » (in G.U.C.E. L del 22 luglio<br />

2005, n. 191 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)<br />

BONIFICHE<br />

COMMENTO .................................................................................................................................................................................................................a pag. 98<br />

TESTO ............................................................................................................................................................................................................................a pag. 99<br />

Introdotta l’autorizzazione provvisoria per le bonifiche di “interesse nazionale” ­ Uno dei problemi più frequenti nell’applicazione del procedimento di<br />

bonifica ai siti di interesse nazionale è quello dei ritardi legati alla presenza di numerosi soggetti e alla complessità delle problematiche che, di volta in volta,<br />

emergono sotto il profilo sia tecnico che giuridico. Conseguente il ritardo nell’approvare i progetti definitivi presentati dai soggetti inclusi all’interno del perimetro<br />

del sito, con un conseguente ritardo nell’avvio delle attività. A questo scopo il Ministero dell’<strong>Ambiente</strong>, con il D.M. n. 127/2005, ha previsto il ricorso a<br />

un’autorizzazione in via provvisoria per «l’avvio dei lavori per la realizzazione dei relativi interventi di bonifica», aggiungendo, di fatto, il comma 4­bis all’art. 15,<br />

D.M. n. 471/1999. Tra i presupposti per il rilascio del provvedimento la richiesta dell’interessato e il completamento dell’istruttoria tecnica (in Gazzetta Ufficiale<br />

dell’11 luglio 2005, n. 159).<br />

COMMENTO ...............................................................................................................................................................................................................a pag. 100<br />

TESTO ..........................................................................................................................................................................................................................a pag. 101<br />

La circolare del MinAmb 30 giugno 2005 esclude le ceneri di pirite dai rifiuti ­ Con la circolare 30 giugno 2005 il Ministero dell'<strong>Ambiente</strong> e della Tutela del<br />

territorio ha fornito un’interpretazione in ordine ai contenuti, al significato e alla portata dei valori delle concentrazioni delle varie componenti delle ceneri di pirite, che<br />

di fatto esclude questo materiale dai rifiuti. Vengono in soccorso a questa interpretazione la consistenza oggettiva delle ceneri che, essendosi consolidate con il terreno<br />

tanto da divenire “giacimento di cava”, necessitano, in caso di un successivo sfruttamento, di un ricorso all’autorizzazione per la coltivazione di cava con conseguente<br />

esclusione dalla disciplina dei rifiuti, e l’impiego diretto (senza trasformazione) nell’industria cementiera che, di fatto, ne esclude l’appartenenza all’ambito dei rifiuti,<br />

sulla scorta della recente sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 11 novembre 2004 (in Gazzetta Ufficiale del 7 luglio 2005, n. 156).<br />

ENERGIA<br />

SINTESI .........................................................................................................................................................................................................................a pag. 103<br />

Progettazione ecocompatibile di prodotti che consumano energia ­ La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 2005, n. 2005/32/CE,<br />

riporta una nuova disciplina quadro per l’elaborazione di specifiche comunitarie per la progettazione ecocompatibile dei «prodotti che consumano energia»,<br />

nell’intento di garantire la libera circolazione di questi prodotti nel mercato interno (in G.U.C.E. L del 22 luglio 2005, n. 191 e all’indirizzo http://www.am­<br />

bientesicurezza.ilsole24ore.com)<br />

SINTESI .........................................................................................................................................................................................................................a pag. 105<br />

Contributo annuale per l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ­ Il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 21 luglio 2005 conferma nella<br />

misura dello 0,3 per mille dei ricavi conseguiti nell’esercizio del 2004, l’entità del contributo annuale ex art. 2, comma 38, lettera b), legge n. 481/1995, dovuto<br />

a favore dell’Autorità per l’energia e elettrica e il gas dai soggetti esercenti il servizio di pubblica utilità nel settore dell’energia elettrica e il gas (in Gazzetta<br />

Ufficiale del 25 luglio 2005, n. 171 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com).<br />

RIFIUTI<br />

SINTESI .........................................................................................................................................................................................................................a pag. 105<br />

Rifiuti e fanghi di dragaggio ­ Gli artt. 2 e 9, ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 luglio 2005, n. 3449, contiene, nell’ambito di un<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

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SINTESI<br />

RUBRICA<br />

provvedimento omnibus, concernenti aspetti vari di protezione civile ­ da emergenze idrogeologiche alla recente emergenza terrorismo ­ riguardano,<br />

rispettivamente, emergenze nel settore dello smaltimento dei rifiuti in corso nella regione Campania e i livelli di contaminazione di alcuni fanghi di dragaggio<br />

estratti nell’area portuale di Trapani (in Gazzetta Ufficiale del 22 luglio 2005, n. 169 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)<br />

MASSIME .....................................................................................................................................................................................................................a pag. 106<br />

Corte di Cassazione e rifiuti: lo stato dell’arte (1 a parte) ­ Allo scopo di fare ordine tra le numerose pronunce emanate recentemente dalla Cassazione in materia di<br />

rifiuti, pubblichiamo le massime più importanti divise per argomenti specifici. In questa prima parte nozione di rifiuto (Cassazione penale, sez. III, 2 agosto 2004, n.<br />

33205, 11 novembre 2004, n. 43946, 26 novembre 2004, n. 45779, 1° dicembre 2004, n. 46680, 25 novembre 2004, n. 45582, 19 febbraio 2005, n. 4702, 8 marzo<br />

2005, n. 8890, 15 marzo 2005, n. 9503, 22 marzo 2005, n. 11127, 13 maggio 2005, n. 17836, 17 maggio 2005, n. 18229), gestione dei rifiuti (Cassazione penale,<br />

sez. III, 25 gennaio 2005, n. 1989 e 31 gennaio 2005, n. 2950), raccolta e trasporto (Cassazione penale, sez. III, 3 agosto 2004, n. 33281) e discariche (Cassazione<br />

penale, sez. III, 29 settembre 2004, n. 38318, 29 settembre 2004, n. 38322, 8 settembre 2004, n. 36062, 11 novembre 2004, n. 43955, 27 ottobre 2004, n. 41775,<br />

16 novembre 2004, n. 44426, 16 gennaio 2005, n. 859, 10 febbraio 2005, n. 4883, 1° aprile 2005, n. 12349, 22 marzo 2005, n. 11139).<br />

SOSTANZE PERICOLOSE<br />

SINTESI .........................................................................................................................................................................................................................a pag. 105<br />

Controlli per il trasporto su strada di merci pericolose ­ Il decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 6 maggio 2005 concerne il recepimento<br />

della direttiva della Commissione 13 dicembre 2004, n. 2004/112/CE, concernente l’adeguamento al progresso tecnico della direttiva del Consiglio n.<br />

95/50/CE, sull’adozione di procedure uniformi in materia di controllo dei trasporti su strada di merci pericolose (in Gazzetta Ufficiale del 20 luglio 2005, n. 167<br />

e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com).<br />

DalleRegioni<br />

IGIENE DEL LAVORO<br />

ARTICOLO...................................................................................................................................................................................................................a pag. 113<br />

Al via un progetto della Regione Lombardia per la protezione degli asfaltatori ­ La Regione Lombardia, di concerto con il Dipartimento di Medicina del<br />

Lavoro, la Scuola di Specializzazione dell’Università di Milano, le ASL di Lodi e Milano, i servizi PSAL, l’INAIL con la ConTARP e l’ASLE, ha avviato uno studio per<br />

verificare gli effetti nocivi sull’organismo umano derivanti dall’esposizione agli Idrocarburi Policiclici Aromatici che interessa, in principal modo, i lavoratori<br />

impegnati nelle opere di asfaltatura di strade, marciapiedi ecc. Questo Progetto Prevenzione dei Tumori Professionali ­ Progetto Operativo Protezione<br />

Asfaltatori ha individuato due gruppi di lavoratori, uno adibito a operazioni di asfaltatura, l’altro a lavori stradali di diverso tipo, e li ha sottoposti a indagini di<br />

monitoraggio ambientale e biologico. In realtà lo studio non ha evidenziato differenze sostanziali fra i due gruppi monitorati, anche perché si era in condizioni<br />

standard. Al fine della prevenzione, però, è comunque fondamentale ridurre l’esposizione agli IPA al valore più basso tecnicamente conseguibile.<br />

RUMORE<br />

ARTICOLO ..................................................................................................................................................................................................................a pag. 115<br />

Valutazione previsionale del clima acustico secondo la delibera n. 46­14762/2005 ­ In attuazione dell’art. 3, comma 3, lettera d), legge regionale n.<br />

52/2000, la Regione Piemonte ha dato approvazione alla delibera della Giunta Regionale 14 febbraio 2005, n. 46­14762, in merito ai criteri di redazione della<br />

documentazione di clima acustico, per il quale si intendono le condizioni sonore esistenti in una determinata area, derivanti dall’insieme di tutte le sorgenti<br />

sonore naturali e antropiche. Questa deliberazione si affianca alla D.G.R. 6 agosto 2001, n. 85­3802, e alla D.G.R. 2 febbraio 2004, n. 9­11616.<br />

RIFIUTI<br />

TESTO E NOTA .............................................................................................................................................................................................................a pag. 118<br />

Sulla gestione degli imballaggi accordo COMIECO­Provincia di Torino – Con l’Accordo siglato il 16 maggio 2005, COMIECO (Consorzio Nazionale per il<br />

Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica) e Provincia di Torino si sono impegnate a incentivare e razionalizzare la raccolta differenziata di carta, cartone<br />

e cartoncino, favorendo e disciplinando il reciproco scambio di informazioni sulle modalità organizzative e di gestione dei rifiuti di imballaggi a base cellulosica oltre<br />

a realizzare iniziative formative e di ricerca per migliorare la prevenzione e lo smaltimento di tali rifiuti. Il testo del Protocollo di intesa è on­line all’indirizzo<br />

http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.<br />

SINTESI .........................................................................................................................................................................................................................a pag. 120<br />

Delibere e leggi regionali luglio 2005 – Tra le delibere e leggi regionali pubblicate nel mese di luglio segnaliamo la determinazione del Direttore<br />

dell’<strong>Ambiente</strong> e della Protezione civile Regione Lazio 6 maggio 2005, n. 1760, sull’individuazione delle zone idonee alla balneazione, la delibera della Giunta<br />

Regione Piemonte 20 giugno 2005, n. 12­286, sull’individuazione dei comuni rivieraschi con funzioni amministrative in materia di Demanio Idrico, la legge<br />

Regione Sardegna 12 luglio 2005, n. 10, sulle norme per il trasferimento del personale dei soggetti gestori dei servizi idrici regionali al servizio idrico integrato,<br />

la delibera della Giunta Regione Veneto 28 giugno 2005, n. 1564, inerente al Piano Regionale di Tutela e Risanamento dell’Atmosfera, la delibera della Giunta<br />

Regione Campania 21 aprile 2005, n. 634, sulla valutazione complessiva attualizzata del Sistema Energia, l’ordinanza del Presidente della Giunta Regione<br />

Basilicata 20 giugno 2005, n. 5, recante disposizioni urgenti per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e, infine, la delibera della Giunta Regione Lombardia 8<br />

luglio 2005, n. 8/295, per la determinazione dei criteri e delle procedure per il rilascio delle autorizzazioni provinciali agli interventi estrattivi in fondi agricoli.<br />

14<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


PROTOCOLLO DI KYOTO IN ITALIA:<br />

STATO DELL’ARTE<br />

2<br />

Dopo la recente decisione della commissione 25 maggio 2005, con la<br />

quale è stato approvato il Piano nazionale italiano per l’assegnazione<br />

delle quote di emissione, resta da capire se e come partirà veramente<br />

l’emission trading system italiano. Prosegue, quindi, l’analisi di<br />

<strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong> dedicata allo stato dell’arte, come anche alle<br />

prospettive legate a nuovi possibili scenari. In questa seconda e ultima<br />

parte:<br />

l il caso dell’industria cartaria tra scelte proattive e costi energetici;<br />

l i lavori dell’ISO sulle nuove norme tecniche su quantificazione,<br />

monitoraggio, rendicontazione dei gas serra e dei loro progetti di<br />

riduzione/rimozione nonché sul processo di verifica/validazione delle<br />

relative informazioni;<br />

l le nuove opportunità di business legate agli interventi di<br />

efficienza­risparmio energetico e alle ESCO;<br />

l le conseguenze per le politiche di sviluppo sostenibile nei Paesi in<br />

condizioni socio­economiche arretrate;<br />

l la promozione di biocarburanti o altri carburanti rinnovabili nei<br />

trasporti (decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 128).<br />

Nella prima parte (n. 14/2005 di <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>):<br />

l ll regolamento n. 2216/2004, su un sistema standardizzato e sicuro di<br />

registri;<br />

l la decisione n. 166/2005/CE, che ha formalmente dato il via agli<br />

strumenti necessari per l’attuazione della precedente decisione n.<br />

280/2004/CE;<br />

l la direttiva 2004/101/CE, di modifica la direttiva 2003/87/CE;<br />

l la decisione 2005/381/CE, che ha istituito il questionario per il rapporto<br />

sull’applicazione della direttiva ET;<br />

l i decreti del Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e della Tutela del territorio 3<br />

novembre 2004 e 11 febbraio 2005, sui piani di finanziamento riferiti a<br />

programmi pilota per la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra.<br />

Contributi di:<br />

l Massimo Medugno e Massimo Ramunni<br />

l Stefano Sibilio<br />

l Paolo Colombini<br />

l Marcio Viegas e Luigi Casale


ARIA<br />

Articolo<br />

SPECIALE<br />

Grazie agli investimenti calano le emissioni di gas serra, a compensazione della crescita di produzione<br />

Le ripercussioni per le imprese:<br />

il caso dell’industria cartaria italiana<br />

di Massimo Medugno, Vicedirettore Assocarta e Massimo Ramunni, Area <strong>Ambiente</strong> Assocarta<br />

Già attenta da anni alle<br />

ripercussioni sull’ambiente<br />

derivante dai comparti produttivi,<br />

l’industria cartaria italiana è oggi<br />

impegnata, come altri comparti<br />

produttivi, nella sfida del<br />

raggiungimento degli obiettivi<br />

fissati dal Protocollo di Kyoto.<br />

Così, sviluppo della<br />

cogenerazione, scelta<br />

dei combustibili e ricerca<br />

della massima efficienza nei<br />

processi diventano strumenti<br />

indispensabili per conseguire<br />

i traguardi di cui sopra anche alla<br />

luce del fatto che, se da un lato<br />

le emissioni di gas serra emesse<br />

per la produzione<br />

di una tonnellata di carta sono<br />

diminuite negli anni, grazie agli<br />

investimenti fatti dal settore,<br />

dall’altro questo risultato è<br />

compensato dalla crescita di<br />

produzione cartaria italiana.<br />

Inoltre, tramite Assocarta, le<br />

imprese associate hanno preso<br />

parte alla procedura aperta<br />

e partecipata, indetta dalle<br />

Autorità competenti, per<br />

la definizione del piano<br />

di assegnazione italiano.<br />

16<br />

La struttura dell’industria<br />

cartaria italiana<br />

L’industria cartaria italiana è<br />

composta da quasi 200 stabilimenti<br />

distribuiti su tutto il territorio nazionale<br />

(con prevalenza nel centronord)<br />

e con un’area a particolare<br />

concentrazione di imprese che è la<br />

provincia di Lucca, in cui sussiste<br />

un distretto industriale. La produzione<br />

annua di carta e cartoni in<br />

Italia supera i 9 milioni di tonnellate,<br />

al quinto posto in Europa e nono<br />

nel mondo per volumi prodotti. Oltre<br />

la metà delle materie prime fibrose<br />

impiegate dall’industria italiana<br />

proviene da attività di recupero,<br />

mentre la produzione di cellulosa<br />

vergine è decisamente limitata,<br />

riuscendo a coprire solo il 12% (in<br />

Europa questo dato supera l’80%)<br />

della domanda interna a causa della<br />

carenza strutturale di risorse forestali.<br />

Questa particolare struttura<br />

produttiva, fortemente votata alla<br />

trasformazione di semilavorati, ovvero<br />

carta da macero e fibre vergini<br />

già estratte dal legno, non rappresenta<br />

la norma a livello europeo e fa<br />

sì che non si disponga, se non in<br />

quantità limitate, di sottoprodotti<br />

della lavorazione del legno normalmente<br />

destinati alla produzione di<br />

energia rinnovabile.<br />

L’industria italiana si caratterizza<br />

per una forte diversificazione<br />

della produzione, che va dalle carte<br />

grafiche, sia naturali che patinate,<br />

alle carte e cartoni per imballaggio,<br />

oltre alle carte per usi igienico-sanitario,<br />

di cui l’Italia è il principale<br />

produttore europeo. Significativa,<br />

infine, la produzione di carte speciali.<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

Il contributo alla<br />

mitigazione dell’effetto serra<br />

Le emissioni di gas serra emesse a<br />

fronte della produzione di una tonnellata<br />

di carta sono diminuite negli anni,<br />

grazie agli investimenti fatti dal<br />

settore. Questo risultato di estremo rilievo<br />

è però compensato, come visto<br />

in precedenza, dalla crescita di produzione<br />

cartaria italiana. Negli ultimi 10<br />

anni, infatti, a fronte di una crescite<br />

media di quasi il 3%, si è registrata<br />

una contrazione del fabbisogno di<br />

energia da parte del settore diminuito<br />

di quasi il 2% annuo, come ben evidenziato<br />

dal grafico 1.<br />

Le strade percorse dal settore per<br />

raggiungere i suddetti risultati in termini<br />

di riduzione delle emissioni specifiche<br />

di gas serra e il contenimento<br />

di quelle assolute sono principalmente<br />

lo sviluppo della cogenerazione, la<br />

scelta dei combustibili e la ricerca<br />

della massima efficienza nei processi.<br />

La cogenerazione è riconosciuta come<br />

tecnologia pulita dalla stessa direttiva<br />

comunitaria, nonché dal BAT<br />

Reference Report sulle migliori tecniche<br />

disponibili, in quanto, grazie alla<br />

sua migliore efficienza, determina un<br />

risparmio di energia primaria rispetto<br />

a quello che avverrebbe se le stesse<br />

quantità di energia elettrica e calore<br />

dovessero essere prodotte in maniera<br />

separata da centrali termiche convenzionali<br />

a combustibile fossile.<br />

Sul piano degli interessi generali,<br />

quindi, la cogenerazione, non solo<br />

non provoca un incremento di emissioni,<br />

ma ha il merito di ridurle concretamente.<br />

In aggiunta alla cogenerazione, in<br />

questi anni il settore ha attuato una<br />

quasi totale conversione dei propri<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


impianti, passando dall’impiego di<br />

olio combustibile al gas naturale, un<br />

combustibile fossile capace di ridurre<br />

significativamente le emissioni di<br />

anidride carbonica a parità di contenuto<br />

energetico. Gli impianti a olio<br />

combustibile ancora in esercizio sono<br />

impiegati essenzialmente nei casi di<br />

interruzione della fornitura di gas naturale<br />

o in caso di mancanza dell’allacciamento<br />

con il metanodotto. In<br />

questo ambito è necessario considerare<br />

che molte azioni che potevano essere<br />

utilmente intraprese sono state<br />

già realizzate dal settore cartario (cosiddette<br />

early action). Ad esempio, la<br />

conversione a gas naturale degli impianti<br />

è stata effettuata negli anni passati<br />

e, quindi, non potrà essere ripetuta<br />

in futuro per raggiungere l’obiettivo<br />

di ridurre le emissioni.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

SPECIALE<br />

L’efficienza energetica dei processi<br />

rappresenta l’altra strada percorsa<br />

dal settore nel contenimento delle<br />

emissioni di gas serra. È, tuttavia, necessario<br />

premettere come i costi dell’energia<br />

nazionali siano arrivati a essere<br />

del 30% superiori a quelli dei<br />

principali competitori europei, rendendo<br />

di fatto l’Italia soggetto a uno<br />

svantaggio competitivo che ha contribuito<br />

a spingere il settore verso un’ottimizzazione<br />

dell’impiego dell’energia<br />

superiore che altrove. Il settore<br />

cartario italiano presenta, non a caso,<br />

valori medi di efficienza nell’impiego<br />

di energia elettrica e calore di processo<br />

già allineati con i valori di riferimento<br />

ottenibili con l’applicazione<br />

delle migliori tecniche disponibili<br />

(cosiddette BAT), individuati dalla<br />

Comunità europea nel già citato BAT<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

ARIA<br />

Articolo<br />

Reference Report di settore [1] (cosiddetto<br />

BRef, consultabile all’indirizzo<br />

http://eippcb.jrc.es) ai fini dell’applicazione<br />

della direttiva 96/61/CE [2]<br />

(cosiddetto IPPC).<br />

Pesando i valori di riferimento del<br />

BRef relativi all’efficienza energetica<br />

per i quantitativi di carte prodotte in<br />

Italia per le varie tipologie, si ottengono<br />

dei valori medi di efficienza energetica<br />

che, nella tabella 1, sono confrontati<br />

con il dato medio italiano.<br />

L’elaborazione contempla le sole<br />

produzioni di carte da giornale, patinate,<br />

non patinate, carta da onda, cartoncino<br />

e tissue. Sono escluse le altre carte<br />

da imballo e le carte speciali, per le<br />

quali il BRef non individua valori di<br />

efficienza energetica di riferimento.<br />

Per meglio evidenziare la rilevanza<br />

del contributo dato al contenimento<br />

delle emissioni di gas serra, è possibile,<br />

preso a riferimento l’anno<br />

2000, confrontare le emissioni dirette<br />

e indirette del settore con le emissioni<br />

che si sarebbero avute qualora l’industria<br />

cartaria avesse prodotto il solo<br />

calore di cui necessita usando il mix<br />

di combustibili medio del Paese e<br />

avesse acquistato tutta l’energia elettrica<br />

dalla rete nazionale. Il risultato,<br />

riportato nella tabella 2, evidenzia<br />

che, a seguito degli interventi compiuti<br />

dal settore in anticipo rispetto<br />

alla direttiva 2003/87/CE, il settore ha<br />

aumentato le proprie emissioni dirette,<br />

ma, al contempo, ha evitato all’Italia<br />

128 milioni di tonnellate di CO 2eq.<br />

Per agevolare le attività di monitoraggio<br />

dei propri associati, Assocarta<br />

ha proceduto a redigere delle linee<br />

guida per il monitoraggio e la comunicazione<br />

delle emissioni di gas a effetto<br />

serra ai sensi della direttiva<br />

2003/87/CE [3] .<br />

[1] Per agevolare l’individuazione e l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili a livello nazionale, va segnalata la recente<br />

pubblicazione nel decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio 31 gennaio 2005 «Emanazione di linee guida per<br />

l’individuazione e l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili, per le attività elencate nell’allegato I del decreto legislativo 4<br />

agosto 1999, n. 372» (in S.O. n. 107 alla Gazzetta Ufficiale del 13 giugno 2005, n. 135) che verrà prossimamente commentato su<br />

<strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>. Per una prima analisi si veda a pag. 96 del n. 14/2005 di <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>.<br />

[2] «Direttiva 96/61/CE del Consiglio del 24 settembre 1996 sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento» (in G.U.C.E.<br />

L del 10 ottobre 1996, n. 257).<br />

[3] «Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 che istituisce un sistema per lo scambio di quote<br />

di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva n. 6/61/CE del Consiglio» (in G.U.C.E. L del 25<br />

ottobre 2003, n. 275). Si veda lo Speciale pubblicato sul n. 5/2004.<br />

17


18<br />

ARIA<br />

Articolo<br />

SPECIALE<br />

TABELLA 1<br />

Confronto tra l’efficienza media italiana (calcolata sulla base di un campione<br />

di 62 stabilimenti) e l’efficienza media calcolata sulla base dei dati del BRef<br />

Come detto in precedenza, opzioni<br />

quali la conversione degli impianti<br />

a gas naturale sono già state percorse<br />

dal settore e non potranno essere<br />

utilizzate nuovamente, mentre,<br />

in termini di efficienza nell’uso dell’energia<br />

nel processo, avendo il<br />

comparto già raggiunto livelli di eccellenza,<br />

è ora vincolato da costi<br />

marginali difficilmente sostenibili in<br />

un mercato aperto e competitivo<br />

quale quello cartario.<br />

Ulteriori riduzioni di emissioni,<br />

comprese tra 1,2 e 3,7 milioni di<br />

tonnellate di CO 2eq, potrebbero invece<br />

essere raggiunte dal settore<br />

qualora gli fosse consentito, con opportuni<br />

interventi sul piano economico<br />

e normativo previsti dalla direttiva<br />

2004/8/CE [4] , di sviluppare la<br />

massima capacità di generazione di<br />

energia elettrica per mezzo della cogenerazione.<br />

Il settore ha, infatti, ancora<br />

la potenzialità, a parità di calore<br />

richiesto dal processo, di installa-<br />

Calore Elettricità<br />

Valori di riferimento delle BAT al 2007 7,17 GJ/t 0,84 MWh/t<br />

Italia ­ 2003 6,51 GJ/t 0,90 MWh/t<br />

re nuova cogenerazione per 1.500<br />

MW, con la quale produrre 10.500<br />

GWh addizionali ogni anno, in sostituzione<br />

dell’energia elettrica prodotta<br />

dagli attuali impianti marginali<br />

(centrali termoelettriche a minore<br />

efficienza emissiva).<br />

Oltre alla cogenerazione, una fonte<br />

importante di riduzione delle<br />

emissioni di gas serra potrà essere il<br />

maggiore ricorso alla valorizzazione<br />

energetica dei residui di produzione,<br />

i quali sono caratterizzati da una prevalente<br />

matrice organica di origine<br />

naturale rinnovabile. Attraverso questa<br />

opzione, ancora poco utilizzata in<br />

Italia, si ottiene il duplice effetto di<br />

ridurre le quantità di residui che vengono<br />

inviati in discarica e di ridurre<br />

la dipendenza dalle fonti fossili responsabili<br />

dell’effetto serra. In Italia<br />

solo il 12% dei rifiuti dell’industria<br />

cartaria va a recupero energetico,<br />

contro una media europea che supera<br />

il 45%.<br />

[4] «Direttiva 2004/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 febbraio 2004 sulla promozione della cogenerazione basata su<br />

una domanda di calore utile nel mercato interno dell’energia e che modifica la direttiva 92/42/CEE» (in G.U.C.E. L del 21 febbraio<br />

2004, n. 52).<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

L’industria cartaria italiana<br />

e il PNA delle quote<br />

Nel procedimento per la definizione<br />

del piano di assegnazione italiano<br />

delle quote di emissione, le Autorità<br />

competenti hanno adottato una<br />

procedura aperta e partecipata a cui<br />

ha preso parte anche Assocarta, in<br />

rappresentanza delle proprie imprese<br />

associate. Il piano di assegnazione<br />

che ne è risultato riflette la situazione<br />

strutturale dell’industria italiana, in<br />

particolare riguardo agli aspetti energetici,<br />

per i quali si riconosce come<br />

prioritaria la necessità di salvaguardare<br />

la sicurezza energetica italiana e di<br />

contenere i costi dell’energia al consumo.<br />

Il piano, nel suo apprezzabile<br />

obiettivo di cercare di non penalizzare<br />

i settori industriali maggiormente<br />

esposti alla competitività internazionale,<br />

prevede, inoltre, l’allocazione<br />

gratuita delle quote e l’accesso alle<br />

quote anche per i nuovi entranti<br />

senza oneri aggiuntivi. L’impegno<br />

TABELLA 2<br />

Emissioni dirette ed indirette del settore:<br />

situazione reale e scenario in assenza di investimenti pregressi<br />

Anno 2000<br />

Situazione reale grazie<br />

alle early action<br />

adottate dal settore<br />

Scenario ipotetico<br />

basato sulle medie<br />

nazionali in assenza<br />

di early action<br />

Emissioni dirette 5.113.700 t. CO2eq 4.965.015 t. CO2eq<br />

Emissioni indirette 1.861.200 t. CO2eq 3.821.360 t. CO2eq<br />

Differenza<br />

Emissioni totali 6.974.900 t. CO2eq 8.786.376 t. CO2eq 1.811.476 t. CO2eq<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


del Governo a sostenere gli oneri derivanti<br />

dall’acquisto di quote di emissione,<br />

qualora le riserve settoriali non<br />

fossero sufficienti a soddisfare le industrie<br />

in grado di crescere, è da ritenersi<br />

particolarmente significativo. Si<br />

tratta, infatti, di un impegno forte nei<br />

confronti di quelle industrie, tra cui<br />

per certo rientra anche quella cartaria,<br />

che sono in grado di continuare a investire<br />

e a contribuire al benessere del<br />

Paese, anche in una congiuntura non<br />

brillante come l’attuale.<br />

Entrando nel merito per quanto<br />

attiene all’industria cartaria, il piano,<br />

riconoscendo gli elevati livelli di<br />

efficienza energetica raggiunti e le<br />

potenzialità di crescita che il settore<br />

è in grado di esprimere, non chiede<br />

all’industria cartaria di ridurre le<br />

emissioni assolute di anidride carbonica<br />

e concede una riserva utile alle<br />

nuove capacità produttive. Ciò nonostante,<br />

le quote allocate al settore,<br />

non saranno in grado di coprire per<br />

intero il fabbisogno, costringendo<br />

l’industria cartaria a rivolgersi al<br />

mercato per le quote rimanenti, restando<br />

le soluzioni interne difficilmente<br />

praticabili in quanto già percorse<br />

o percorribili con costi marginali<br />

di abbattimento delle emissioni<br />

di gas serra insostenibili.<br />

Come accennato in precedenza,<br />

per il settore cartario, il Governo ha<br />

stabilito un criterio “storico” per l’allocazione<br />

delle quote, attraverso il<br />

quale il piano riconosce agli impianti<br />

esistenti un numero di quote pari alla<br />

media delle emissioni prodotte durante<br />

il periodo storico di riferimento<br />

(2000-2003), escluso l’anno meno<br />

emissivo. Questo criterio è stato adottato<br />

in quanto unico tecnicamente applicabile<br />

al settore con i dati e le informazioni<br />

attualmente disponibili. Come<br />

già accennato, infatti, il settore è<br />

caratterizzato da emissioni dirette che<br />

non sono direttamente proporzionali<br />

al prodotto ottenuto, ovvero la carta.<br />

Inoltre, quest’ultima è un prodotto<br />

complesso, che si differenza significativamente<br />

per tipologie, materie prime<br />

impiegate e trattamenti a cui è sottoposto.<br />

Da ciò deriva che un criterio<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

SPECIALE<br />

alternativo, basato su indici prestazionali<br />

(cosiddetto benchmark), e quindi<br />

in grado di riflettere meglio le efficienze<br />

dei singoli produttori, risulta<br />

non facilmente applicabile.<br />

L’elemento di maggiore criticità è<br />

rappresentato però dal periodo di riferimento<br />

utilizzato dal criterio storico,<br />

che è stato caratterizzato da una<br />

repentina flessione della produzione<br />

industriale. Come detto in precedenza,<br />

il settore ha potenzialità di crescita<br />

che il piano riconosce al 2,7%,<br />

che, tuttavia, nel periodo storico, si è<br />

limitata all’1,2%. Già l’anno successivo,<br />

il 2004, il settore ha visto una<br />

ripresa significativa della produzione<br />

(1,9%) e ulteriori miglioramenti sono<br />

attesi per il periodo 2005-2007.<br />

A confermare i trend di crescita<br />

registrati dal settore sono anche le<br />

previsioni formulate dalla FAO relativamente<br />

alla domanda interna e internazionale<br />

dei prodotti cartari, che<br />

continua a essere in notevole aumento.<br />

Peraltro, le potenzialità di ulteriore<br />

crescita nei consumi cartari nazionali<br />

sono dimostrate dal dato del consumo<br />

pro-capite di carte e cartoni in<br />

Italia (186 kg/abitante), che è ancora<br />

ben al di sotto della media Ue (203,7<br />

kg/abitante).<br />

Il settore si troverà, quindi, a non<br />

disporre di tutte le quote necessarie<br />

a coprire questa crescita, con il rischio<br />

di non poter cogliere questa opportunità<br />

di ripresa che si sta presentando.<br />

L’industria cartaria opera, infatti, in un<br />

mercato aperto e fortemente competitivo<br />

a livello globale, dove non è possibile<br />

trasferire sul prodotto finito gli<br />

extra-costi derivanti dall’emission trading,<br />

dai quali sono, invece, esentati i<br />

principali concorrenti internazionali.<br />

Alla preoccupazione dovuta ai costi<br />

diretti associati alla partecipazione<br />

al mercato delle emissioni, si aggiungono<br />

anche quelle derivanti dai costi<br />

indiretti provenienti dall’acquisto di<br />

energia elettrica. Alcuni dei principali<br />

produttori nazionali di energia elettrica<br />

hanno, infatti, già iniziato a inserire<br />

nei loro contratti di fornitura<br />

clausole cautelative con le quali pongono<br />

a carico dei consumatori tutti<br />

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ARIA<br />

Articolo<br />

gli oneri derivanti dalla direttiva<br />

2003/87/CE. Si tratta di clausole che<br />

Assocarta ha contestato in quanto<br />

fanno riferimento a oneri non definiti<br />

e sono sostanzialmente contrarie agli<br />

obiettivi della direttiva europea, in<br />

quanto non coerenti con l’obiettivo<br />

della direttiva stessa, che è quello di<br />

utilizzare il mercato (tramite appunto<br />

l’emission trading system) per incentivare<br />

le azioni di riduzione delle<br />

emissioni da parte dei produttori di<br />

energia.<br />

Per ultimo, si deve evidenziare<br />

come il piano di allocazione italiano,<br />

a differenza di quanto fatto in altri<br />

paesi europei, non prevede alcuna<br />

forma di riconoscimento dell’efficienza<br />

ottenuta con la cogenerazione<br />

industriale, rimandando ad altri strumenti<br />

ancora non definiti. In realtà,<br />

il Governo riconosce il ruolo importante<br />

di questa tecnologia pulita, facendo<br />

affidamento a essa in maniera<br />

rilevante per ottenere un contenimento<br />

complessivo delle emissioni<br />

di gas serra e prevedendo per essa<br />

una significativa riserva utilizzabile<br />

per l’installazione di nuove capacità<br />

produttive. Ciò nonostante, il piano<br />

non prevede nessun meccanismo di<br />

premio per le emissioni evitate, riconoscendo,<br />

tramite l’introduzione del<br />

coefficiente (1-IRE) nella formula di<br />

calcolo, unicamente le quote di<br />

emissioni necessarie a coprire lo<br />

stretto fabbisogno, con il rischio che<br />

l’applicazione di questa tecnologia<br />

risulti fortemente frenata e non contribuisca<br />

al raggiungimento degli<br />

obiettivi che il Governo stesso si è<br />

posto.<br />

Conclusioni<br />

Recentemente la Commissione<br />

europea ha approvato il Piano nazionale,<br />

ma a condizione che vengano<br />

ridotte le quote per circa 23 milioni<br />

di tonnellate di CO 2. In questo senso<br />

la Commissione, pur con la condizione<br />

di cui sopra, non ha disconosciuto<br />

l’impostazione del PNA che, comunque,<br />

prevede una crescita dei settori<br />

industriali.<br />

In merito alla ripartizione del-<br />

19


20<br />

ARIA<br />

Articolo<br />

l’onere della riduzione non si può<br />

non ricordare che il comparto elettrico<br />

non solo fornisce l’industria ma il<br />

terziario, i trasporti, le utenze civili<br />

ecc. ecc.<br />

Se dovesse passare un meccanismo<br />

per il quale si tende a “scaricare”<br />

l’onere sui settori industriali,<br />

potrebbe derivarne una forte pe-<br />

SPECIALE<br />

nalizzazione in quanto l’industria,<br />

che ha già fatto molti interventi,<br />

“pagherebbe” di nuovo, senza avere<br />

certezze sulle quote per garantirsi<br />

uno sviluppo nei prossimi.<br />

Ciò varrebbe anche per gli altri<br />

settori che ricevono energia dal<br />

comparto elettrico, i quali, come<br />

noto, ai sensi del Protocollo di<br />

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Kyoto, devono operare per la riduzione<br />

delle emissioni (si vedano in<br />

proposito le tabelle 3 e 4, estratte<br />

dalla delibera CIPE 19 dicembre<br />

2002 recante «Revisione delle linee<br />

guida per le politiche e misure<br />

nazionali di riduzione delle emissioni<br />

dei gas serra - legge 120/<br />

2002»). l<br />

TABELLA 3<br />

Misure già individuate incluse nello scenario di “riferimento”<br />

Riduzione<br />

(Mt CO2/anno)<br />

Industria elettrica 26,0<br />

Espansione CC per 3200 MW 8,9<br />

Espansione capacità import per 2300 MW 10,6<br />

Ulteriore crescita rinnovabili per 2800 MW 6,5<br />

Civile 6,3<br />

Decreti efficienza usi finali 6,3<br />

Trasporti 7,5<br />

Autobus e veicoli privati con carburanti a minor densità di carbonio (Gpl, metano) 1,5<br />

­ sistemi di ottimizzazione e collettivizzazione del trasporto privato;<br />

­ rimodulazione dell’imposizione sugli oli minerali;<br />

­ attivazione sistemi informatico­telematici.<br />

Sviluppo infrastrutture nazionali e incentivazione del trasporto combinato su rotaia<br />

e del cabotaggio 3,9<br />

Totale misure nazionali 39,8<br />

Crediti di carbonio da JI e CDM 12<br />

TOTALE MISURE 51,8<br />

Opzioni per ulteriori misure di riduzione delle emissioni<br />

2,1<br />

TABELLA 4<br />

A) OPZIONI PER ULTERIORI MISURE NAZIONALI DI RIDUZIONI<br />

Utilizzo di fonti energia<br />

Riduzione potenziale<br />

(Mt CO2eq/anno)<br />

Settore industriale<br />

Sostituzionedeimotoriindustrialiconmotoriadaltaefficienzaconrisparmiotra2­7,2TWh 1­3,6<br />

Sostituzione del parco trasformatori 1,0<br />

Standard COSFI con risparmio di 1 TWh 0,5<br />

Cogenerazione di piccola/media taglia con produzione tra 10­20 TWh 0,8­1,5<br />

Produzione di energia da biogas da rifiuti solidi urbani e da scarti delle lavorazioni agricole<br />

ed agroalimentari pari a 750 – 1.300 MW<br />

0,9­1,9<br />

Recupero rifiuti nei cementifici 0,9­1,1<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

SPECIALE<br />

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ARIA<br />

Articolo<br />

Rinnovabili<br />

Aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili tra 500­1200 MW 1,5­3,1<br />

Diffusione del solare termico 0,2<br />

Ricerca e sviluppo nel settore del fotovoltaico, con impieghi di “nicchia”<br />

Settore civile<br />

0,1<br />

Prolungamento decreti efficienza usi finali (MICA 24/4/01) e misure regionali con risparmi<br />

tra 1.5­2,9 MTep/anno<br />

Settore agricoltura<br />

3,8­6,5<br />

Riduzione CO2 da consumi di energia<br />

Settore trasporti<br />

­ misure tecnologiche<br />

0,28­0,34<br />

Sostituzione auto circolanti con auto a bassi consumi e emissioni (120 g CO2/Km) con risparmi<br />

tra 1,5­2,5 Mtep<br />

3,5­6<br />

Miglioramento efficienza energetica dei veicoli da trasporto pesante con risparmio tra<br />

0,1­0,3 Mtep<br />

0,3­0,8<br />

Miscelazione del gasolio per autotrazione con biodiesel fino al 5% 4<br />

Revisione metodo calcolo tassa proprietà veicoli e correlazione con revisioni periodiche<br />

­ misure infrastrutturali<br />

1,3<br />

Riorganizzazione traffico urbano 0,8<br />

Promozione reti ferroviarie regionali e connessioni con parcheggi scambiatori 0,6<br />

Piani urbani della mobilità (PUM) 1,5­3<br />

Soluzioni telematiche per i trasporti<br />

­ ricerca e sviluppo<br />

0,5<br />

Progetti pilota per l’impiego di sistemi di propulsione a idrogeno e a celle a combustibile,<br />

per la produzione di energia, per le motrici ferroviarie e per i motori auto<br />

0,1­0,3<br />

Sviluppo e impiego sperimentale di materiali e che consentano la riduzione della massa<br />

dei veicoli e dei convogli ferroviari<br />

0,2­0,6<br />

Realizzazione e diffusione di propulsori ottimizzati monofuel metano e monofuel GPL<br />

a iniezione diretta<br />

Da altre fonti<br />

Settore industriale<br />

0,5­1,2<br />

Riduzione emissioni di processo acido adipico e nitrico<br />

Settore agricoltura<br />

6,20<br />

Riduzione CH4 dagli stoccaggi delle deiezioni animali 0,15­0,83<br />

Riduzione N2O dai suoli<br />

Rifiuti<br />

0,46<br />

Stabilizzazione frazione organica<br />

Altro (solventi, fluorurati)<br />

0,64<br />

Riduzione emissioni PFC attraverso il riciclaggio dell’alluminio 0,05<br />

Adozione sistemi di abbattimento e sostanze a minore GWP nella produzione di semiconduttori<br />

0,02<br />

Riduzione perdite di HFC dai condizionatori degli autoveicoli 0,65<br />

Riduzione perdite SF6 dalle apparecchiature elettriche<br />

B) OPZIONI PER L’IMPIEGO DEI MECCANISMI JI E CDM<br />

Assorbimento di carbonio<br />

0,04<br />

Progetti JI 2­5<br />

Progetti CDM<br />

Progetti nel settore dell’energia<br />

3­5<br />

Progetti JI di aumento dell’efficienza nelle produzioni di energia elettrica e nelle attività<br />

industriali<br />

3­10<br />

Progetti CDM per la produzione di energia da fonti rinnovabili 1­5<br />

Progetti CDM di aumento dell’efficienza nelle produzioni di energia elettrica e nelle attività<br />

industriali<br />

1,5­3<br />

Progetti JI e CDM di gas flaring e gas venting in pozzi di estrazione del petrolio 10­20<br />

21


22<br />

ARIA<br />

Osservatorio UNI ­ Articolo<br />

SPECIALE<br />

La riduzione delle emissioni di gas serra<br />

secondo le norme ISO 14000<br />

di Stefano Sibilio<br />

Coordinatore Comparto Impresa e Società UNI<br />

UNI<br />

All’interno dell’articolato panorama di iniziative finalizzate a limitare la concentrazione in atmosfera dei gas responsabili<br />

del cosiddetto “effetto serra”, l’ISO si è attivato affinché la serie di norme tecniche volontarie per la gestione<br />

ambientale ­ ISO 14000 ­ si arricchisca, entro il 2006, di alcuni nuovi documenti, ideati e sviluppati in modo specifico per<br />

la misurazione e la riduzione dei gas responsabili dell’effetto serra. Scopo finale è, coerentemente con le caratteristiche<br />

chiave del protocollo di Kyoto, proporre strumenti unificati per la quantificazione, il monitoraggio, la rendicontazione<br />

dei gas serra e dei loro progetti di riduzione/rimozione e il processo di verifica/validazione delle relative informazioni. I<br />

benefici attesi vanno dalla chiarezza e coerenza delle modalità di raccolta e presentazione dei dati, al miglioramento<br />

della significatività ambientale di questi processi, fino alla possibilità di contribuire positivamente allo scambio di<br />

crediti di emissione sul mercato, senza dimenticare la spinta che l’ISO, con queste norme, può dare all’attuazione di<br />

progetti di riduzione delle emissioni e ai relativi ritorni economici o in termini di immagine per le organizzazioni<br />

coinvolte.<br />

I cambiamenti climatici e le relative<br />

implicazioni sull’uomo e sulla natura<br />

e, quindi, sull’economia globale, sono<br />

ritenuti una delle sfide principali per il<br />

prossimo futuro, tanto da coinvolgere<br />

i governi, il mercato e i cittadini di<br />

tutto il pianeta. Per limitare la concentrazione<br />

in atmosfera dei gas responsabili<br />

del cosiddetto “effetto serra”<br />

si stanno sviluppando numerose<br />

iniziative a livello internazionale, nazionale<br />

o locale, sia in ambito governativo<br />

che non­governativo, studiando<br />

strumenti sia legislativi sia volontari,<br />

attraverso scelte di interi Paesi o di<br />

singole aziende.<br />

Anche l’ISO si è attivato in questo senso,<br />

tanto che la serie di norme tecniche<br />

volontarie per la gestione ambientale<br />

­ ISO 14000 ­ si arricchirà, entro il<br />

2006, di alcuni nuovi documenti, ideati<br />

e sviluppati in modo specifico per la<br />

misurazione e la riduzione dei gas responsabili<br />

dell’effetto serra.<br />

Nel rispetto delle convenzioni internazionali<br />

e dei ruoli dei diversi organi­<br />

smi coinvolti, le norme ISO non sono<br />

state ideate come strumenti di governance<br />

in concorrenza con quanto in<br />

fase di realizzazione presso le Nazioni<br />

Unite, con il protocollo di Kyoto, o in<br />

Europa con la direttiva emission trading<br />

[1] e i relativi strumenti attuativi. Il<br />

ruolo dell’ISO è esclusivamente quello<br />

di mettere a disposizione del mercato<br />

strumenti tecnici che, come in questo<br />

caso, possano contribuire a unificare,<br />

per esempio, i piani e i protocolli per il<br />

monitoraggio o la registrazione dei dati<br />

e la verifica dei progetti, o, ancora, definire<br />

le tecniche applicabili per le misurazione<br />

della riduzione o della rimozione<br />

delle emissioni di gas serra, in modo da<br />

garantire la massima credibilità nella<br />

misurazione e nella rendicontazione<br />

delle emissioni.<br />

Né si può ipotizzare che le norme ISO<br />

siano strumenti esclusivi di attuazione<br />

del protocollo di Kyoto, essendo potenzialmente<br />

attuabili anche da imprese<br />

di Paesi che non hanno ratificato il<br />

protocollo, come USA o Australia; sa­<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

ranno, dunque, strumenti indipendenti<br />

e auto-sufficienti per le imprese<br />

che vorranno impostare un sistema<br />

di riduzione e di controllo delle proprie<br />

emissioni di gas serra o di progetti<br />

specifici di riduzione delle emissioni,<br />

ma anche potenziali supporti ai processi<br />

di attuazione sia del protocollo di<br />

Kyoto che della direttiva 2003/87/CE,<br />

non presentando alcun elemento di<br />

contrasto con essi.<br />

L’ISO, già nel 1998, attraverso le scelte<br />

del Technical Management Board<br />

(ISO/TMB), aveva costituito una task<br />

force nell’ambito dei lavori del comitato<br />

tecnico ISO/TC 207 “Environmental<br />

Management”, responsabile dell’elaborazione<br />

della ISO 14001 e delle<br />

altre norme della serie ISO 14000, con<br />

l’obiettivo di valutare l’opportunità<br />

della stesura di norme tecniche di<br />

supporto alla Convenzione Quadro<br />

delle Nazioni Unite sui Cambiamenti<br />

Climatici (UNFCC) e degli strumenti<br />

politici e legislativi definiti nel Protocollo<br />

di Kyoto.<br />

[1] «Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 che istituisce un sistema per lo scambio di quote<br />

di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio» (in G.U.C.E. L del 25 ottobre<br />

2003, n. 275). Si veda lo Speciale pubblicato sul n. 5/2004 di <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


programme<br />

specific<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

ISO 14064-1<br />

Design and Develop<br />

Organizational GHG<br />

Inventories<br />

GHG Inventory<br />

Documentation<br />

and Reports<br />

La proposta di messa allo studio di<br />

queste norme è nata, poi, ufficialmente,<br />

in occasione del vertice ONU sullo<br />

sviluppo sostenibile, tenuto a Johannesbugh<br />

nel 2002, a dieci anni di distanza<br />

dalla Conferenza di Rio sull’ambiente,<br />

dove l’ISO si è proposto, per<br />

l’appunto, di creare, con il consenso di<br />

tutte le parti interessate, strumenti utili<br />

al tema dei gas serra e dei cambiamenti<br />

climatici, utilizzando, come irrinunciabile<br />

base di partenza, gli studi<br />

dell’IPCC (Intergovernmental Panel on<br />

Climate Change) e lavorando in stretto<br />

contatto con il World Business Council<br />

on Sustainable Development e con il<br />

World Resources Institute. Di conseguenza,<br />

all’interno del TC207, si è co­<br />

SPECIALE<br />

Interrelazioni tra le nuove norme<br />

ISO 14064-2<br />

Design and Implement<br />

GHG Projects<br />

GHG Project<br />

Documentation<br />

and Reports<br />

GHG Assertion Level of assurance GHG Assertion<br />

Verification<br />

consistent with<br />

needs of<br />

intended user<br />

ISO 14065<br />

Requirements for<br />

Validation or<br />

Verification Bodies<br />

Validation and/or<br />

Verification<br />

ISO 14064-3<br />

Verification Process Validation and Verification Process<br />

stituito un nuovo gruppo di lavoro, il<br />

WG5 “Climate change”, coordinato da<br />

Malesia e Canada, che ha, di fatto,<br />

concluso la prima fase di elaborazione<br />

della ISO 14064, strutturata in tre parti,<br />

attualmente in inchiesta pubblica<br />

(ISO/DIS, draft international standard)<br />

presso gli enti normatori dei Paesi aderenti<br />

all’ISO (per l’Italia UNI, attraverso<br />

la propria Commissione <strong>Ambiente</strong> e i<br />

relativi gruppi di lavoro sulla gestione<br />

ambientale).<br />

Ipotizzando un processo di valutazione<br />

e verifica esterna dei dati riportati<br />

secondo le ISO 14064, il TC 207 ha<br />

poi costituito, congiuntamente al Comitato<br />

ISO sulla valutazione della conformità<br />

­ ISO/CASCO, un ulteriore<br />

programme<br />

specific<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

ARIA<br />

Osservatorio UNI ­ Articolo<br />

Figura 1<br />

Conformance<br />

With Applicable<br />

GHG<br />

Programme,<br />

Legislation,<br />

Regulations or<br />

Standards<br />

gruppo di lavoro, il WG6, per definire<br />

le specifiche per gli organismi che effettueranno<br />

queste verifiche e valutazioni,<br />

riportate nelle prime bozze della<br />

ISO 14065, attualmente in discussione<br />

(ISO/WD, working draft) tra gli esperti<br />

partecipanti al WG6.<br />

La struttura delle norme ISO sarà la<br />

seguente:<br />

1. ISO 14064­1 «Gas ad effetto serra ­<br />

Parte 1: Specifiche e linee guida, relative<br />

alle organizzazioni, per la quantificazione<br />

e la rendicontazione delle<br />

emissioni di gas ad effetto serra e della<br />

loro rimozione»;<br />

2. ISO 14064­2 «Gas ad effetto serra ­<br />

Parte 2: Specifiche e linee guida, relative<br />

ai progetti, per la quantificazione,<br />

23


24<br />

ARIA<br />

Osservatorio UNI ­ Articolo<br />

il monitoraggio e la rendicontazione<br />

delle riduzioni delle emissioni, o dei<br />

miglioramenti nella rimozione, di gas<br />

ad effetto serra»;<br />

3. ISO 14064­3 «Gas ad effetto serra ­<br />

Parte 3: Specifiche e linee guida per la<br />

validazione e la verifica delle asserzioni<br />

relative ai gas ad effetto serra»;<br />

4. ISO 14065 «Gas ad effetto serra ­<br />

Requisiti per gli organismi di validazione<br />

e verifica dei gas ad effetto serra<br />

per l’utilizzo ai fini dell’accreditamento<br />

o di altre forme di riconoscimento».<br />

In particolare:<br />

1. la prima norma fornirà il dettaglio<br />

dei principi e dei requisiti che le organizzazioni<br />

dovranno seguire nella progettazione,<br />

lo sviluppo e la gestione<br />

degli inventari di emissioni di gas serra.<br />

Si parte dalla definizione dei confini<br />

del sistema fino alla quantificazione<br />

delle emissioni e all’identificazione di<br />

specifiche azioni al fine di ridurre queste<br />

emissioni;<br />

EMAS<br />

SISTEMA COMUNITARIO<br />

DI ECOGESTIONE E AUDIT<br />

Paola Ficco e Marco Casini<br />

Per ulteriori informazioni: tel. 02.4587010<br />

SPECIALE<br />

2. la seconda parte interviene per inquadrare<br />

i progetti che verranno sviluppati<br />

in modo specifico per ridurre<br />

le emissioni di gas serra o per la rimozione<br />

degli stessi gas attraverso azioni<br />

ad hoc;<br />

3. la terza parte fornirà poi i requisiti<br />

per verificare gli inventari, validare i<br />

progetti e valutare la veridicità delle<br />

asserzioni finali, attraverso verifiche<br />

interne all’organizzazione e/o attraverso<br />

un processo di valutazione esterna<br />

della conformità;<br />

4. infine, la ISO 14065 specificherà i<br />

principi e i requisiti che gli organismi<br />

esterni di verifica e validazione dovranno<br />

rispettare e dimostrare in termini<br />

di competenza, trasparenza, imparzialità,<br />

ma anche in termini di impegno<br />

e di organizzazione interna.<br />

La figura 1 mostra le interrelazioni tra<br />

queste nuove norme in elaborazione<br />

presso l’ISO/TC207.<br />

L’obiettivo finale che, come accenna­<br />

I LIBRI DI AMBIENTE & SICUREZZA<br />

Il volume affronta, dapprima, il tema della certificazione ambientale, illustrandone<br />

le origini, l’evoluzione, gli strumenti, le norme di riferimento e i<br />

soggetti coinvolti. Successivamente l’opera si sofferma sul sistema EMAS:<br />

dalle attività di verifica del sistema e di convalida della dichiarazione<br />

ambientale alla domanda di registrazione all’organismo competente,<br />

all’uso del logo, agli indicatori ambientali e alle tipologie di organizzazioni.<br />

Da ultimo, il testo prende in esame l’efficacia del sistema EMAS,<br />

soffermandosi sui costi e sui tempi necessari per conseguire la registrazione<br />

e sui possibili vantaggi per le imprese e per la collettività.<br />

Il CD-Rom contiene, oltre al Regolamento (CE) del Parlamento<br />

europeo e del Consiglio del 19 marzo 2001, i testi integrali dei<br />

documenti orientativi e le più recenti procedure per la registrazione<br />

delle organizzazioni e per l’accreditamento, la sorveglianza e il<br />

controllo dei verificatori ambientali.<br />

Pagg. 344 – € 45,00<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

to, si inserisce all’interno di un quadro<br />

internazionale già esistente e in fase<br />

di consolidamento è, coerentemente<br />

con le caratteristiche chiave del protocollo<br />

di Kyoto, quello di proporre strumenti<br />

unificati per la quantificazione,<br />

il monitoraggio, la rendicontazione<br />

dei gas serra e dei loro progetti di<br />

riduzione/rimozione e il processo di<br />

verifica/validazione delle relative informazioni.<br />

I benefici attesi vanno dalla chiarezza<br />

e coerenza delle modalità di raccolta e<br />

presentazione dei dati, al miglioramento<br />

della significatività ambientale<br />

di questi processi, fino alla possibilità<br />

di contribuire positivamente allo scambio<br />

di crediti di emissione sul mercato,<br />

senza dimenticare la spinta che l’ISO,<br />

con queste norme, può dare all’attuazione<br />

di progetti di riduzione delle<br />

emissioni e ai relativi ritorni economici<br />

o in termini di immagine per le organizzazioni<br />

coinvolte. l<br />

Disponibile anche nelle migliori librerie<br />

Disponibile anche sul sito www.shopping24.it<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


SPECIALE<br />

ARIA<br />

Articolo<br />

Anche i certificati bianchi tra i meccanismi per realizzare gli interventi di efficienza energetica<br />

L’attuazione del Protocollo di Kyoto<br />

tra obblighi di risparmio e nuovi business<br />

di Paolo Colombini, Head of Energy & Utilities Practice ­ Key Partners<br />

La gestione dell’efficienza e del<br />

risparmio energetico rappresenta<br />

una delle principali sfide del<br />

prossimo futuro, con importanti<br />

ricadute sociali ed economiche<br />

sia per gli operatori energetici<br />

sia per i clienti finali. Le direttive<br />

internazionali, prima tra tutte<br />

il Protocollo di Kyoto, e<br />

l’evoluzione normativa nazionale,<br />

da un lato, offrono nuove<br />

opportunità di business, ma<br />

comportano, dall’altro, per gli<br />

operatori energetici, la necessità<br />

di dotarsi di nuove modalità<br />

operative per migliorare<br />

la gestione dei consumi.<br />

Attraverso l’esame delle direttive<br />

internazionali e dell’attuale<br />

normativa nazionale, è possibile<br />

analizzare in sintesi i principali<br />

meccanismi operativi per<br />

la realizzazione degli interventi<br />

di efficienza­risparmio energetico<br />

e le opportunità offerte dal<br />

mercato e dalle nascenti Società<br />

di Servizi Energetici (ESCO),<br />

specializzate in interventi per<br />

il miglioramento dell’efficienza<br />

energetica di aziende<br />

pubbliche e private.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

Efficienza<br />

e risparmio energetico<br />

La tematica dell’efficienza e del<br />

risparmio energetico assume ogni<br />

giorno maggiore importanza e risonanza<br />

sia presso il pubblico degli<br />

operatori del mercato energetico sia<br />

presso l’utenza finale.<br />

Nello specifico:<br />

l con il termine efficienza energetica<br />

si intende, generalmente,<br />

l’utilizzo razionale dell’energia,<br />

ovvero l’insieme di operazioni tecnologiche<br />

tramite le quali si intende<br />

conseguire l’obiettivo di realizzare<br />

gli stessi prodotti o servizi (in<br />

quantità e qualità) con un minor<br />

consumo di energia primaria e<br />

eventualmente con un maggior impegno<br />

di risorse d’altro tipo (capitale,<br />

lavoro, materiali, ecc.);<br />

l con il termine risparmio energetico<br />

si intendono, invece, tutte le<br />

iniziative economiche e sociali finalizzate<br />

a incentivare gli utenti<br />

(con la promozione, con le tariffe,<br />

con politiche di razionamento) a<br />

modificare le loro abitudini di consumo,<br />

per soddisfare i propri bisogni<br />

finali con modalità che comportino<br />

minori consumi di energia<br />

primaria. Il servizio offerto, in<br />

questo caso, avrà chiaramente differenti<br />

caratteristiche in termini di<br />

qualità.<br />

È importante sottolineare come<br />

tutte le tematiche afferenti il<br />

risparmio energetico siano oggi<br />

affrontate sia a livello internazionale,<br />

attraverso accordi specifici,<br />

sia a livello locale, attraverso<br />

lo sviluppo di norme e iniziative<br />

di pertinenza delle singole<br />

nazioni.<br />

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Il panorama internazionale:<br />

Kyoto e altri provvedimenti<br />

Sul fronte globale, la tematica dell’efficienza<br />

energetica e del risparmio<br />

è affrontata e indirizzata principalmente<br />

dall’Intergovernmental Panel<br />

on Climate Change (IPCC - Rapporto<br />

2001) e dalla United Nations<br />

Framework Convention on Climate<br />

Change (UNFCCC) con relativo programma<br />

attuativo, il Protocollo di<br />

Kyoto.<br />

L’Intergovernmental Panel on Climate<br />

Change (IPCC) è l’organismo<br />

scientifico internazionale preposto allo<br />

studio dei cambiamenti climatici.<br />

Dal 1990 al 2001, l’IPCC ha pubblicato<br />

diversi rapporti in cui sono riconosciuti<br />

l’esistenza e la gravità dei<br />

cambiamenti climatici e la responsabilità<br />

delle attività umane. I risultati di<br />

questi studi sono alla base dello sviluppo<br />

del protocollo di Kyoto.<br />

La “Convenzione Quadro delle<br />

Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici”<br />

è stata, invece, sottoscritta nel<br />

giugno 1992 a Rio de Janeiro, dai<br />

Paesi aderenti alle Nazioni Unite, con<br />

l’obiettivo di adottare programmi e<br />

misure per la prevenzione, il controllo<br />

e la mitigazione degli effetti delle attività<br />

umane sul pianeta. Nel dicembre<br />

1997, a Kyoto, è stato concordato un<br />

Protocollo attuativo della Convenzione<br />

che impegna i Paesi industrializzati<br />

e quelli in economia di transizione<br />

(i Paesi dell’est europeo), insieme responsabili<br />

di oltre il 70% delle emissioni<br />

mondiali di gas serra, a ridurre<br />

complessivamente, del 5,2% rispetto<br />

ai livelli del 1990, le emissioni entro<br />

il 2012.<br />

Il Protocollo, obbligatorio a livello<br />

internazionale dal 16 febbraio<br />

25


ARIA<br />

Articolo<br />

2005, dopo che il parlamento russo a<br />

novembre del 2004 ha completato<br />

l’iter di ratifica, specifica nel dettaglio<br />

le politiche e le misure per la<br />

riduzione delle emissioni:<br />

l promozione dell’efficienza energetica;<br />

l sviluppo delle fonti rinnovabili di<br />

energia e delle tecnologie innovative<br />

per la riduzione delle emissioni;<br />

l protezione ed estensione delle foreste<br />

per incrementare la capacità del pianeta<br />

di assorbire l’anidride carbonica;<br />

l promozione dell’agricoltura sostenibile;<br />

l limitazione e riduzione della produzione<br />

di metano nelle discariche di<br />

rifiuti e in altri settori energetici;<br />

l misure fiscali appropriate per disincentivare<br />

le emissioni di gas serra.<br />

Al fine di raggiungere gli obiettivi<br />

preposti, il Protocollo propone alcuni<br />

meccanismi operativi flessibili, tra cui:<br />

l l’emission trading, meccanismo<br />

che prevede lo sviluppo di un mercato<br />

dello scambio dei permessi di<br />

emissione;<br />

l i progetti di joint implementation,<br />

soluzioni che consentono, a soggetti<br />

pubblici o privati appartenenti a paesi<br />

con vincoli di emissione, di maturare<br />

26<br />

Piano risparmio<br />

(fonte D.M. 20 luglio 2004)<br />

Obiettivi risparmio energetico<br />

(distributori energia elettrica)<br />

Quantità Scadenza<br />

0,10 Mtep/a 2005<br />

0,20 Mtep/a 2006<br />

0,40 Mtep/a 2007<br />

0,80 Mtep/a 2008<br />

1,60 Mtep/a 2009<br />

SPECIALE<br />

crediti di emissione realizzando progetti<br />

per ridurre le stesse emissioni<br />

presso altri paesi soggetti a vincoli;<br />

l i programmi di clean development<br />

mechanism che consentono di<br />

maturare gli stessi crediti di emissione<br />

attraverso progetti di riduzione di<br />

emissioni ed efficienza energetica<br />

presso Paesi non soggetti a vincoli.<br />

La promozione<br />

del risparmio energetico<br />

in Italia<br />

Anche a livello nazionale si è recentemente<br />

assistito a un’importante<br />

innovazione della politica di promozione<br />

del risparmio energetico attraverso<br />

l’emanazione dei decreti del<br />

Ministro per le Attività Produttive di<br />

concerto con il Ministro dell’<strong>Ambiente</strong><br />

e della Tutela del territorio 20<br />

luglio 2004 [1] e di alcuni decreti ad<br />

hoc. Questa normativa si è posta i<br />

seguenti obiettivi:<br />

l determinare gli obiettivi quantitativi<br />

nazionali in termini di risparmio<br />

energetico;<br />

l stabilire i criteri per il raggiungimento<br />

degli obiettivi di risparmio ed<br />

efficienza energetica;<br />

l definire le modalità di controllo<br />

[1] «Nuova individuazione degli obiettivi quantitativi per l’incremento dell’efficienza energetica negli usi finali di energia, ai sensi<br />

dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79» e «Nuova individuazione degli obiettivi quantitativi nazionali di<br />

risparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili, di cui all’art. 16, comma 4, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164»<br />

(in Gazzetta Ufficiale del 1° settembre 2004, n. 205). Si veda anche il n. 21/2004 di <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>, pag. 53.<br />

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dell’attuazione delle misure e degli<br />

interventi.<br />

Il perseguimento degli obiettivi<br />

legati a un’effettiva riduzione dei<br />

consumi di energia primaria prevede<br />

lo sviluppo di misure e interventi ad<br />

hoc, da parte delle imprese di distribuzione<br />

sul territorio nazionale, secondo<br />

il piano riportato in tabella 1.<br />

Secondo quanto sancito nel decreto,<br />

le imprese di distribuzione che<br />

forniscono un numero non inferiore a<br />

100.000 utenti sono soggette agli obblighi<br />

di risparmio a partire dal 31<br />

dicembre 2001. Entro il 31 dicembre<br />

2005, invece, il Ministero delle Attività<br />

Produttive, di concerto con il<br />

Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e della Tutela<br />

del Territorio, emanerà le modalità<br />

di applicazione delle normative<br />

attuali anche per le aziende di distribuzione<br />

con un numero di utenze inferiore<br />

a 100.000.<br />

Tramite appositi allegati, i decreti<br />

in oggetto, oltre alle tipologie di interventi<br />

e misure che le aziende di<br />

distribuzione possono adottare, hanno<br />

indicato anche le caratteristiche<br />

e i requisiti normativi cui devono<br />

rispondere gli apparati e i dispositivi<br />

che vengono utilizzati nell’ambito<br />

Obiettivi risparmio energetico<br />

(distributori gas naturale)<br />

Quantità Scadenza<br />

0,10 Mtep/a 2005<br />

0,20 Mtep/a 2006<br />

0,40 Mtep/a 2007<br />

0,70 Mtep/a 2008<br />

1,30 Mtep/a 2009<br />

TABELLA 1<br />

N. B.: nella tabella, i risparmi di combustibili sono conteggiati in termini di potere calorifico inferiore, misurati in GJ<br />

(GigaJoule), tenendo conto che 1 tep (tonnellate di petrolio equivalenti) è pari a 41,860 GJ.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


delle iniziative finalizzate al risparmio<br />

energetico.<br />

L’effettiva realizzazione degli<br />

interventi previsti è monitorata<br />

dall’Autorità per l’Energia Elettrica<br />

e il Gas (AEEG) o tramite<br />

società incaricate attraverso il ricorso<br />

a specifiche procedure di<br />

controllo a campione. In partico-<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

Principali scadenze temporali<br />

(fonte: D.M. 20 luglio 2004)<br />

SPECIALE<br />

lare, sono previste tre modalità<br />

operative:<br />

l mediante azioni dirette da parte<br />

dei distributori;<br />

l tramite società controllate dai<br />

medesimi distributori;<br />

l ricorrendo a società terze operanti<br />

nel settore dei servizi energetici<br />

(ESCO).<br />

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ARIA<br />

Articolo<br />

TABELLA 2<br />

Scadenza Responsabile Attività<br />

Rende noto il rapporto valore dei titoli<br />

Comunicazione<br />

31 gennaio AEEG<br />

complessivamente emessi e valore d’obbligo<br />

in capo ai distributori<br />

(riferito all’anno precedente)<br />

31 maggio Distribution<br />

Trasmissione dei titoli di efficienza ener­ Ministero Attività produttive<br />

getica posseduti relativi all’anno prece­ Ministero <strong>Ambiente</strong> e Tutela<br />

dente<br />

del territorio<br />

Provincia o regione autonoma<br />

competente<br />

AEEG<br />

Verifica rispondenza dei certificati agli<br />

obiettivi annui<br />

Gestore Mercato Elettrico<br />

Il GME deve predisporre<br />

un mercato centralizzato<br />

dei titoli di efficienza<br />

Esito Verifica<br />

Comunicazione<br />

(entro 31 gennaio di ogni anno)<br />

Flussi e scadenze temporali<br />

AEEG<br />

Valore titoli<br />

emessi/ Valore<br />

obbligo<br />

Mercato Titoli efficienza<br />

GME<br />

Rilascio titoli<br />

Disponibilità certificati<br />

(entro 31 maggio di ogni anno)<br />

Eventuali sanzioni<br />

L’Autorità per l’energia elettrica<br />

e il gas comunica l’elenco di queste<br />

aziende al Ministero delle Attività<br />

Produttive, al Ministero dell’<strong>Ambiente</strong><br />

e della Tutela del Territorio e<br />

regioni e Province autonome.<br />

Al fine di certificare il valore corrispondente<br />

alla riduzione di consumi<br />

realizzata, il Gestore del mercato<br />

ESCO<br />

Società<br />

controllate<br />

Distributori<br />

Fondo<br />

Sanzioni<br />

Figura 1<br />

27


28<br />

ARIA<br />

Articolo<br />

SPECIALE<br />

Schema di funzionamento di una operazione FTT<br />

FORNITORI<br />

Forniscono materiali e macchinari necessari<br />

alla realizzazione dell'impianto<br />

Attrezzature Pagamenti<br />

ESCO<br />

Si assume l'onere dell'investimento e il conseguente<br />

rischio di un mancato risparmio.<br />

Possiede le competenze tecniche e le disponibilità<br />

economiche necessarie alla realizzazione<br />

dell'impianto<br />

Installazione<br />

UTENTI FINALI<br />

Soggetti pubblici o privati che fruiscono<br />

della migliore performance energetica<br />

dell'impianto installato, riconoscendo alla<br />

ESCO un corrispettivo contrattualmente<br />

prestabilito, sulla base del risparmio energetico<br />

derivante dall'intervento<br />

(fonte IPI)<br />

elettrico (GME) emette Titoli di efficienza<br />

energetica denominati certificati<br />

bianchi a favore dei distributori<br />

o delle società operanti nel settore dei<br />

servizi energetici (ESCO) che abbiano<br />

realizzato i progetti autonomamente.<br />

Questi certificati potranno essere<br />

oggetto di compravendita tra<br />

gli operatori ricorrendo a contratti bilaterali<br />

o tramite un apposito mercato<br />

centralizzato, istituito e regolato<br />

dal Gestore del mercato elettrico<br />

d’intesa con l’Autorità.<br />

Il meccanismo consente di raggiungere<br />

gli obiettivi di risparmio<br />

energetico contenendo i costi tramite<br />

meccanismi di mercato. In questo<br />

modo, infatti, operatori con costi di<br />

realizzazione di progetti di risparmio<br />

elevati possono decidere di acquisire<br />

sul mercato, a costi minori,<br />

Pagamenti<br />

con i risultati<br />

Prestiti<br />

Rimborsi<br />

Agevolazioni<br />

titoli di efficienza offerti da altri<br />

operatori più competitivi.<br />

Principali scadenze<br />

operative<br />

La normativa prevede, inoltre, che<br />

l’Autorità per l’energia elettrica e il<br />

gas renda noti ogni anno gli obblighi<br />

in termini di investimenti in efficienza<br />

energetica per i distributori. Le<br />

aziende di distribuzione, a partire dal<br />

2006 e nel rispetto di determinate<br />

scadenze temporali, dovranno, pertanto,<br />

dimostrare di aver realizzato<br />

gli interventi richiesti, comunicando<br />

il numero di certificati di efficienza<br />

energetica in proprio possesso.<br />

Qualora tale numero non raggiunga<br />

il quantitativo corrispondente al<br />

risparmio energetico da realizzare,<br />

l’Autorità sanziona il distributore con<br />

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Figura 2<br />

ISTITUTI DI CREDITO<br />

Forniscono alla ESCO le risorse finanziarie complementari<br />

alla realizzazione dell'impianto, valutandone<br />

il merito di credito sulla base della<br />

qualità e dell'innovatività del progetto<br />

IL RUOLO DELLA PUBBLICA<br />

AMMINISTRAZIONE<br />

La P.A. (Regioni, Comuni, Enti locali) può:<br />

● ricoprire il ruolo di Utente nell'operazione,<br />

nei casi in cui sia la proprietaria dell'impianto<br />

su cui si effettua l'intervento;<br />

● ricoprire il ruolo di committente di<br />

un'operazione nella quale il beneficiario è un<br />

soggetto pubblico o privato che intende effettuare<br />

un intervento di risparmio energetico;<br />

● predisporre strumenti di agevolazione finanziaria<br />

e fiscale per incentivare l'adozione di tecniche<br />

di FTT;<br />

● predisporre strumenti tecnici (ad es.: capitolati<br />

e contratti tipo) per facilitare l'utilizzo del FTT<br />

un’ammenda il cui valore supera il<br />

costo degli investimenti necessari per<br />

compensare le inadempienze.<br />

Nuovi business per enti<br />

pubblici e privati:<br />

ESCO e FTT<br />

La rivoluzione normativa scatenata<br />

dal Protocollo di Kyoto in poi<br />

ha aperto la strada, anche in Italia,<br />

allo sviluppo di nuove opportunità<br />

imprenditoriali non solo per le<br />

aziende di distribuzione energetica,<br />

ma anche per tutti gli operatori pubblici<br />

e privati che vogliano sviluppare<br />

i progetti di efficienza e risparmio<br />

energetico.<br />

A riguardo, un’opportunità interessante<br />

è rappresentata dal ricorso a<br />

una ESCO con la formula dei finanziamenti<br />

tramite terzi (FTT).<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


Costi energetici<br />

(bolletta)<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

Valutazione<br />

Possibile risparmio<br />

Secondo questa formula, la società<br />

ESCO si fa carico della realizzazione<br />

degli interventi e di tutti i costi<br />

a essi relativi (progetti, attrezzature,<br />

manodopera, capitale, attività gestionali<br />

e manutentive), facendosi, in seguito,<br />

rimborsare e remunerare dal<br />

cliente che beneficia dell’intervento<br />

in misura e in proporzione alle economie<br />

generate.<br />

Tipicamente, i contratti prevedono<br />

la definizione di un periodo di tempo<br />

durante il quale i benefici derivanti<br />

dai risparmi economici vengono riconosciuti<br />

dal cliente beneficiario alla<br />

ESCO secondo percentuali che sono<br />

legate alle diverse forme contrattuali.<br />

Esempi caratteristici sono i contratti<br />

FTT:<br />

l a cessione globale limitata (first<br />

out): hanno una durata tipica di 3-5<br />

anni e prevedono il riconoscimento<br />

della totalità dei risparmi alla ESCO;<br />

l a risparmio condiviso (shared saving):<br />

durano 5-7 anni e prevedono il<br />

riconoscimento alla ESCO di una quota<br />

percentuale dei risparmi (70%).<br />

L’effettivo valore aggiunto dell’iniziativa<br />

è rappresentato dal fatto<br />

che, al termine del periodo stabilito,<br />

SPECIALE<br />

Ripartizione risparmio<br />

Quota ESCO<br />

FTT<br />

First Out<br />

Quota ESCO<br />

Saving<br />

FTT<br />

Shared Saving<br />

Progetto di efficienza<br />

energetica tramite ESCO<br />

il cliente finale diviene proprietario<br />

degli impianti realizzati dalla ESCO,<br />

godendo in toto dei risparmi e delle<br />

efficienze energetiche.<br />

Conclusioni<br />

È indubbio che il processo di<br />

liberalizzazione in atto nel settore<br />

energetico comporti la necessità,<br />

sempre più inevitabile, di coniugare<br />

logiche di mercato con obiettivi<br />

di efficienza e risparmio energetico.<br />

Gli accordi internazionali<br />

e comunitari cui l’Italia ha aderito<br />

obbligheranno l’Italia allo sviluppo<br />

di iniziative doverose oltre che<br />

coraggiose, alla luce dell’attuale<br />

gap rispetto agli obiettivi di risparmio<br />

energetico imposti dal<br />

Protocollo di Kyoto. I DD.MM.<br />

20 luglio 2004 rappresentano il<br />

primo passo di un processo ancora<br />

in fase di completamento che, tuttavia,<br />

comporterà notevoli cambiamenti<br />

già a partire dal 2006.<br />

Sebbene gli adempimenti operativi<br />

richiesti da questi decreti non<br />

porteranno vantaggi economici diretti<br />

per la clientela finale, i benefici<br />

complessivi che ci si auspica<br />

di perseguire potranno consentire<br />

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ARIA<br />

Articolo<br />

Figura 3<br />

Saving<br />

Costi energetici<br />

(bolletta)<br />

al paese di avvicinarsi agli obiettivi<br />

di risparmio stabiliti.<br />

I nuovi provvedimenti normativi,<br />

nonostante, ancora oggi, riguardino<br />

le sole società di distribuzione con<br />

più di 100.000 clienti al 31 dicembre<br />

2001, consentono, infatti, lo sviluppo<br />

e la realizzazione di innovativi<br />

progetti di efficienza/risparmio energetico<br />

per enti pubblici e privati.<br />

Questa finalità risulta essere ancor<br />

più facilmente perseguibile se si<br />

considera il servizio fornito dalle Società<br />

di servizi energetici (ESCO),<br />

nuovi operatori del mercato che, impiegando<br />

un know-how specifico e<br />

facendosi carico dei rischi tecnologici<br />

ed economici che questa sfida<br />

comporta, rispondono efficacemente<br />

alle esigenze di risparmio energetico<br />

in accordo con i dettami della recente<br />

legislazione e con l’esigenza sempre<br />

più diffusa di rispetto dell’ambiente.<br />

In quest’ottica, gli investimenti<br />

in materia di efficienza e risparmio<br />

energetico rappresentano, di<br />

fatto, non solo un’opportunità, bensì<br />

una scommessa molto alta, dove<br />

l’interesse del singolo è il presupposto<br />

per la salvaguardia del benessere<br />

collettivo. l<br />

29


ARIA<br />

Articolo<br />

SPECIALE<br />

In assenza di criteri condivisi, possibile il ricorso a convenzioni o standard internazionali<br />

Sull’attuazione del Protocollo di Kyoto<br />

l’incognita dello sviluppo sostenibile<br />

di Marcio Viegas, global product manager ambiente, sicurezza e responsabilità sociale ­ BVQI SCS<br />

e Luigi Casale, responsabile del settore ambiente e certificazione ­ BVQI Italia Spa<br />

La discussione sull’importanza<br />

dei principi di sviluppo sostenibile<br />

nei progetti di riduzione delle<br />

emissioni dei gas cosiddetti<br />

“climalteranti” resta sospesa<br />

in un'atmosfera di incertezza,<br />

con particolare riferimento ai<br />

parametri da considerare.<br />

Fortunatamente, nuovi segnali<br />

arrivano dal Programma delle<br />

Nazioni Unite per l’ambiente<br />

(UNEP), relativamente alle<br />

iniziative sui cosiddetti “pozzi di<br />

CO 2” o allo “scambio dei crediti”<br />

di emissione. Particolare<br />

attenzione è stata, quindi, posta<br />

ai limiti che si manifestano<br />

durante la progettazione, la<br />

convalida e quindi l’investimento<br />

per la riduzione dei gas serra. Le<br />

iniziative di Clean Development<br />

Mechanism (CDM) o di Joint<br />

Implementation (JI), previste<br />

dall’art. 12, Protocollo di Kyoto,<br />

infatti, hanno ricadute anche<br />

sul piano economico e sociale,<br />

oltre che ambientale. La sfida,<br />

non da poco, è quella di iniziare<br />

ad armonizzare alcuni requisiti<br />

minimi da utilizzare a livello<br />

mondiale, anche per eliminare il<br />

più possibile il rischio finanziario<br />

legato a tali iniziative.<br />

[1] Gas ad effetto serra (Greenhouse Gases).<br />

30<br />

L’esempio<br />

delle discariche di rifiuti<br />

Anche in un Paese in via di sviluppo<br />

una discarica di rifiuti solidi<br />

urbani può costituire una buona fonte<br />

di recupero energetico attraverso la<br />

cosiddetta termovalorizzazione, ovvero<br />

il recupero e l’utilizzo del metano<br />

ottenuto dalla combustione dei rifiuti.<br />

I progetti per la produzione e lo<br />

sfruttamento di gas mediante la gestione<br />

e il trattamento dei rifiuti comportano,<br />

di solito, dei processi di<br />

combustione che trasformano il metano<br />

in energia termica con emissioni<br />

di CO 2. Tuttavia, i progetti di recupero<br />

e combustione del metano sono<br />

molto interessanti perché l’effetto<br />

serra prodotto dal metano libero in<br />

atmosfera è, a parità di massa, 21<br />

volte superiore a quello del biossido<br />

di carbonio. Inoltre, questi progetti<br />

prevedono lo sfruttamento dei gas<br />

“di risulta” per la produzione di energia<br />

elettrica, evitando così l’uso di<br />

altri combustibili fossili.<br />

In particolare, secondo il Protocollo<br />

di Kyoto, un intervento che realizzi<br />

un impianto di termovalorizzazione<br />

per una discarica produce crediti<br />

di riduzione dei GHG [1] , se condotti<br />

e verificati secondo le disposizioni<br />

internazionali di CDM.<br />

La riduzione delle emissioni e il<br />

recupero del gas metano rappresentano,<br />

al momento, circa il 20% della<br />

riduzione totale di emissioni di gas<br />

serra nell’embrionale mercato delle<br />

emissioni.<br />

Uno dei problemi legati all’inve-<br />

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stimento per la termovalorizzazione<br />

dei rifiuti in un Paese in via di sviluppo<br />

deriva dal fatto che, nelle parti<br />

più povere del pianeta, i rifiuti della<br />

discarica possono costituire un’impropria<br />

fonte di sopravvivenza e di<br />

reddito per i più poveri. In molti casi,<br />

nei dintorni della grande discarica<br />

si svolgono attività di recupero da<br />

parte della comunità locale che ripara,<br />

ricicla o utilizza i rifiuti urbani<br />

presenti nella grande distesa, per costruire<br />

case o altri beni di uso quotidiano.<br />

I rifiuti possono persino essere<br />

utilizzati per nutrire animali da<br />

allevamento e, in alcuni casi limite,<br />

le stesse persone. A questo scenario,<br />

occorre aggiungere un’ulteriore problematica<br />

tipica delle discariche di<br />

rifiuti urbani, nel senso che in queste<br />

avvengono tipicamente processi di<br />

decomposizione organica, con conseguente<br />

produzione di un liquido<br />

altamente inquinante (il percolato)<br />

che può inquinare le falde acquifere<br />

sottostanti, con un livello di rischio<br />

di diffusione della contaminazione a<br />

valle proporzionale al quantitativo di<br />

rifiuti. Inoltre, i rischi di contaminazione<br />

persistono anche dopo la copertura<br />

della discarica e la sua chiusura.<br />

Per questo motivo, per essere<br />

approvata come progetto di riduzione<br />

dei gas serra, una grande discarica<br />

metropolitana deve poter essere<br />

promossa a “discarica controllata” e<br />

sottoposta a verifiche, attenta gestione<br />

e monitoraggio. Il sistema di gestione<br />

di una discarica prevede anche<br />

la sua recinzione per impedire<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


che alcuni degli elementi considerati<br />

“rifiuti inquinanti” siano ri-utilizzati<br />

o ri-ciclati, finendo nel circuito di<br />

sopravvivenza della popolazione locale.<br />

Paradossalmente, è quindi possibile<br />

che l’iniziativa “di protezione<br />

ambientale” di fatto privi alcuni strati<br />

delle popolazione locale di una<br />

fonte di sussistenza. Questo esempio,<br />

che è meno surreale di quanto<br />

possa sembrare, fornisce una dimensione<br />

di come i progetti di riduzione<br />

dei gas serra possano causare anche<br />

effetti negativi da un punto di vista<br />

sociale, generando, addirittura, conflitti<br />

a livello locale. Anche se lo<br />

scopo dei progetti di cooperazione<br />

previsti da Kyoto [2] , in particolare<br />

dei CDM, è quello di offrire alla popolazione<br />

un maggior controllo dell’ambiente,<br />

più dignità e persino<br />

nuove possibilità occupazionali, tra i<br />

rischi e costi associati al controllo<br />

degli impatti ambientali si devono<br />

tenere in conto anche questi effetti<br />

indesiderati [3] .<br />

Altra criticità nei progetti di riduzione<br />

dei gas serra è che essi sono investimenti<br />

a lungo termine (anche alcuni<br />

decenni) e il loro effetto positivo si manifesta<br />

a livello globale e non locale. I<br />

benefici sono percepiti in periodi di<br />

tempo molto lunghi, specie per società<br />

in rapido cambiamento come quelle<br />

dei Paesi in via di sviluppo, dove trova<br />

attuazione la maggior parte dei progetti<br />

previsti dal Protocollo. In un lasso di<br />

tempo così lungo, le esigenze sociali e<br />

la percezione dei problemi ambientali<br />

possono cambiare in misura significativa.<br />

Ma, in un contesto di riduzione globale<br />

dei cambiamenti climatici, gli effetti<br />

tipicamente locali non devono essere<br />

dimenticati. Se si accetta il problema<br />

della riduzione dei cambiamenti<br />

climatici come strumento di sviluppo<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

SPECIALE<br />

sostenibile è prudente, dal punto di vista<br />

dell’investimento, considerare anche<br />

i rischi degli effetti correlati a tali<br />

cambiamenti.<br />

Tener conto di tutti i fattori in gioco,<br />

in un equilibrio tra sviluppo locale<br />

e beneficio globale, è quindi complesso<br />

e molto oneroso, ma solo in<br />

questo modo si può parlare di principi<br />

di sviluppo sostenibile (percepibile<br />

a livello locale) e non solo di riduzione<br />

dei gas serra (livello globale).<br />

Sviluppo sostenibile locale o<br />

riduzione di impatti globali?<br />

I principi di sviluppo sostenibile<br />

sono, quindi, alla base delle raccomandazioni<br />

sul più ampio programma<br />

di riduzione dei gas serra operato<br />

nei Paesi che aderiscono al Protocollo<br />

di Kyoto.<br />

Lo sviluppo sostenibile - definito<br />

come «uno sviluppo che soddisfa le<br />

esigenze attuali senza compromettere<br />

quelle delle generazioni future» - deve<br />

essere realizzato mediante il rafforzamento<br />

dei pilastri che lo sostengono:<br />

l sviluppo economico;<br />

l sviluppo sociale;<br />

l protezione dell’ambiente naturale.<br />

I requisiti di uno sviluppo sostenibile<br />

devono rispondere a criteri di<br />

eguaglianza, giustizia e libertà di definizione<br />

a livello locale e non devono<br />

essere imposti da altre società.<br />

Poiché lo sviluppo sostenibile è<br />

un problema complesso che interessa<br />

sia la comunità globale sia, soprattutto,<br />

le realtà locali, i Paesi ospitanti i<br />

progetti CDM devono godere, come<br />

diritto sovrano, della prerogativa di<br />

definire autonomamente i propri criteri<br />

di sostenibilità.<br />

Il problema da affrontare è che,<br />

non solo per differenze culturali, nell’emisfero<br />

meridionale è molto diffici-<br />

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ARIA<br />

Articolo<br />

le riscontrare l’esistenza di criteri solidi<br />

e chiari in grado di soddisfare gli<br />

interlocutori e infondere fiducia negli<br />

investitori assicurando loro una garanzia<br />

dei risultati. Quindi, anche se i singoli<br />

Paesi stabiliscono propri standard<br />

di sostenibilità, è necessario che siano<br />

definiti criteri minimi a livello globale<br />

per integrare e convalidare quanto<br />

hanno previsto i singoli investitori in<br />

progetti di tipo CDM.<br />

Quando si tratta di convalida, verifica<br />

e certificazione di progetti CDM<br />

secondo i requisiti UNFCCC [4] , non è,<br />

infatti, così ovvio ciò che debba essere<br />

valutato. Secondo alcune fonti, tra cui<br />

il comitato esecutivo CDM delle Nazioni<br />

Unite, è sufficiente una lettera<br />

ufficiale che attesti la conformità del<br />

progetto ai criteri di sviluppo sostenibile,<br />

controfirmata del Paese ospitante.<br />

Affiora, quindi, un elemento critico<br />

del programma, nel senso che esso<br />

è ritenuto ancora qualcosa di troppo<br />

generico e incerto per alcuni investitori,<br />

specialmente quando i cosiddetti<br />

criteri di sostenibilità non sono ancora<br />

definiti nei Paesi ospitanti.<br />

In definitiva, dal momento che i<br />

criteri di sviluppo sostenibile devono<br />

essere stabiliti localmente, il rischio<br />

che tutto il sistema sta correndo è<br />

che le organizzazioni e i “comitati”<br />

internazionali tendano a trascurare il<br />

lavoro sullo sviluppo di questi criteri.<br />

Se si aggiunge la difficoltà di affrontare<br />

l’argomento, come si è visto<br />

sopra, anche a livello internazionale,<br />

è comprensibile che la maggior parte<br />

dei Paesi in via di sviluppo non abbia<br />

ancora definito quali siano i propri<br />

criteri di sviluppo sostenibile o<br />

come questi debbano essere valutati.<br />

Si crea, perciò, un vuoto che rende<br />

difficile un avanzamento corretto dei<br />

progetti.<br />

[2] L’ art. 12, Protocollo di Kyoto e gli Accordi di Marrakech (novembre 2001) stabiliscono che «Il fine del meccanismo per uno<br />

sviluppo pulito è di assistere le Parti non incluse nell’All. I (in larga misura i paesi più poveri), nel raggiungimento di uno sviluppo<br />

sostenibile e di contribuire all’obiettivo finale della Convenzione, e di aiutare le Parti incluse nell’All. I (paesi più ricchi) ad<br />

adempiere ai loro impegni di riduzione delle loro emissioni gas serra W».<br />

[3] Si vedano anche gli Atti degli Accordi di Marrakech, approvati nel novembre 2001.<br />

[4] UNFCCC, United Nation Framework of Conference on Climate Change è l’organo di controllo della Certificazione dei crediti<br />

provenienti dai progetti CDM e quello che concede l’accreditamento a livello mondiale ai verificatori di Terza Parte (CDM -<br />

Accreditation Panel).<br />

31


32<br />

ARIA<br />

Articolo<br />

Iniziative in corso<br />

per la definizione dei criteri<br />

Con il principio della minimizzazione<br />

dei costi e massimizzazione dei<br />

risultati, il mercato dello scambio delle<br />

emissioni (emission trading) si sta<br />

diffondendo, con maggior forza dal<br />

16 febbraio 2005, anche se principalmente<br />

a livello europeo [5] o solo di<br />

SPECIALE<br />

UNEP: Esempi di indicatori per lo sviluppo sostenibile (SS)<br />

Fonte: UNEP, 2004<br />

singole nazioni. In questo contesto, il<br />

mercato delle quote di riduzione ha<br />

bisogno di investitori; alcune entità<br />

interessate all’acquisto di crediti da<br />

progetti di CDM, in assenza di criteri<br />

omogenei e condivisi per lo sviluppo<br />

sostenibile, stanno lavorando per definire<br />

le proprie condizioni.<br />

Un esempio di tavolo per la defini-<br />

[5] Si faccia riferimento alla direttiva 2003/87/CE «che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra<br />

nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio» (in G.U.C.E. L del 25 ottobre 2003, n. 275; si veda lo Speciale<br />

pubblicato sul n. 5/200 di <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>), in forza nei Paesi dell’unione europea dal 1° gennaio 2005 e recepita in Italia con<br />

la legge n. 316/2004 (in Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 2005, n. 2; si veda anche il n. 3/2005 di <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>).<br />

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TABELLA 1<br />

Criteri di Sviluppo<br />

Sostenibile<br />

Indicatore del livello<br />

settore/progetto<br />

Standard di misurazione<br />

Economico Quantitativo<br />

Efficacia dei costi Costi netti Costi finanziari<br />

Flussi finanziari Costi sociali<br />

Crescita Creazione di reddito Surplus netto<br />

Occupazione Occupazione Numero di anni/uomo creati o<br />

perduti<br />

Ambientale Quantitativo<br />

Cambiamento del clima Emissioni gas serra Emissioni gas serra (in tonnellate<br />

equivalenti di Co2)<br />

Inquinamento dell'aria Inquinamento locale, par­ Emissioni di SO2,Nox, particelle<br />

ticelle<br />

Valore monetario dei vantaggi<br />

Vantaggi per la salute am­ per la salute ambientale<br />

bientale<br />

Inquinamento dell’acqua Fiumi, laghi, irrigazione, Emissioni in unità fisiche<br />

acqua potabile, falde ac­ Danni in unità fisiche e monetaquifererie<br />

Sociale Quantitativo Qualitativo<br />

Struttura del contesto legale Normativa, diritti di pro­ Norme legate alla persona, valo­ Schema delle regole<br />

prietàre<br />

tassabile e ricavo<br />

principali e dei diritti di<br />

Distribuzione dei terreni proprietà<br />

Governabilità e Istituzioni Implementazione di ac­ Costo di gestione e applicazione Caratteristiche delle<br />

cordi internazionali, bi­la­ degli accordi e di gestione del autorità istituzionali e<br />

terali e applicazione dei progetto<br />

degli altri operatori<br />

programmi<br />

Numero di trasgressioni e sanzio­ economici.<br />

ni<br />

Livello di qualità della<br />

burocrazia.<br />

Applicabilità dei contratti<br />

Condivisione e scambio delle Istituzioni governative, Creazione di nuove istituzioni Descrizione delle reti di<br />

informazioni<br />

mercati, reti istituzionali Numero di Unità partecipanti scambio delle informa­<br />

internazionali e non istitu­ nell'implementazione delle polizioni: membri, ruoli, inzionalitiche<br />

(es. Aziende, proprietari, teressi<br />

settore pubblico, NGO’s, persone)<br />

zione dei criteri di sostenibilità è quello<br />

del Governo olandese (uno dei due<br />

principali compratori di crediti CDM),<br />

che ha già inserito nel suo piano di<br />

riferimento la conformità a specifici<br />

requisiti per progetti. Gli standard sono<br />

stabiliti dalle «OECD Guidelines<br />

for Multinational Enterprises», relative<br />

proprio all’applicazione dei progetti<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


CDM, stabiliti dall’art. 12, Protocollo<br />

di Kyoto. D’altro canto invece, il Protocol<br />

Carbon Fund (PCF), organo<br />

istituzionale della Banca Mondiale e<br />

acquisitore significativo di quote, al<br />

momento non impone requisiti altrettanto<br />

definiti. Il PCF, nel suo documento<br />

Approval of Clean Development<br />

Mechanism Projects by the Host<br />

Country (2003), richiede la conformità<br />

con le leggi nazionali, specialmente<br />

con quelle in materia finanziaria e ambientale,<br />

ma non con quelle sociali relative<br />

a lavoro, salute, sicurezza. Nonostante<br />

ciò, i compratori o finanziatori<br />

di crediti CDM sono sollecitati dalla<br />

Comunità Internazionale a utilizzare i<br />

criteri di sostenibilità dei loro progetti<br />

in modo chiaro. Tuttavia, le richieste<br />

dipendono dai vari gruppi di interlocutori<br />

a cui gli investitori si rivolgono e,<br />

spesso, le differenze di interpretazione<br />

possono ingrandirsi quando il compra-<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

SPECIALE<br />

tore impone sempre gli stessi criteri di<br />

sviluppo sostenibile in diversi Paesi<br />

ospitanti o progetti diversi.<br />

Le prospettive future<br />

La situazione sarebbe ovviamente<br />

peggiore se non si investisse affatto in<br />

progetti CDM o se fossero definiti<br />

requisiti così poco realistici da ostacolare<br />

gli investitori. Il mercato esige<br />

soluzioni economiche e rischi ridotti,<br />

o almeno ben noti, vale a dire investimenti<br />

interessanti e responsabili.<br />

Spesso i finanziatori trovano che<br />

la definizione dei criteri di sviluppo<br />

sostenibile riportata sopra sia corretta,<br />

ma troppo complicata. D’altra parte, i<br />

Paesi ospiti e gli autori dei progetti<br />

pensano che sia ingiusto e in qualche<br />

modo “disorientante” che i criteri siano<br />

imposti dai Paesi industrializzati e<br />

dai vari compratori. È necessaria<br />

quindi una semplificazione obiettiva<br />

Procedura per la valutazione degli impatti<br />

dello sviluppo sostenibile (SS) di progetti CDM<br />

Fonte: UNEP, 2004<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

ARIA<br />

Articolo<br />

e credibile. È urgente, quindi, chiarire<br />

come sia possibile condividere e definire<br />

questi criteri.<br />

L’UNEP [6] , nelle linee guida CDM<br />

Sustainable Development Impacts<br />

(2004), mentre da un lato riconosce<br />

che lo sviluppo sostenibile sia una<br />

questione suprema per ciascun Paese<br />

ospite, dall’altro mette a punto un<br />

elenco di criteri e una procedura per<br />

la loro valutazione. La tabella 1 ne<br />

riporta alcuni, detti anche indicatori,<br />

tra quelli suggeriti.<br />

Un altro percorso è quello delle<br />

convenzioni internazionali su problemi<br />

di ordine sociale ovvero occupazionale,<br />

ratificate da un significativo numero<br />

di Paesi, compresi quelli in via di<br />

sviluppo. Il loro valore sta nel fatto che<br />

sono già frutto di consenso internazionale<br />

e che sono patrocinate dalle Nazioni<br />

Unite, come è stato per il Protocollo<br />

di Kyoto. Queste convenzioni,<br />

TABELLA 2<br />

Punto 1<br />

In base alla valutazione dei piani di sviluppo nazionali, di strategie di settore<br />

Panoramica delle priorità delle politiche come anche di attività correlate ai documenti di strategia di riduzione della po­<br />

nazionali che rispecchiano il contesto di vertà (Poverty Reduction Strategy Papers ­ PRSP) e obiettivi di sviluppo del mil­<br />

sviluppo<br />

lennio (MDG).<br />

Le priorità delle politiche possono essere valutate nelle sessioni degli interlocutori.<br />

Punto 2<br />

I criteri devono comprendere le dimensioni sociali, economiche e ambientali<br />

Scelta dei criteri di sviluppo sostenibile in dello sviluppo sostenibile. Vanno aggiunte considerazioni sul valore relativo o<br />

base alle politiche di priorità dello svilup­ sulla probità dei diversi impatti delle politiche.<br />

po sostenibile nazionale<br />

Punto 3<br />

La trattazione di settori relativi a progetti CDM va inclusa nella valutazione di<br />

Screening iniziale di potenziali progetti collegamenti a politiche di sviluppo.<br />

CDM<br />

Punto 4<br />

Comprende:<br />

Schema della procedura per la valutazione ­ scelta degli indicatori;<br />

degli impatti dello sviluppo sostenibile. ­ progetto dell’approccio per valutare gli indicatori;<br />

­ definizione del formato da utilizzare per i report sullo sviluppo sostenibile.<br />

Punto 5<br />

Comprendono:<br />

Procedure generali per il processo decisio­ ­ scelta del portafoglio di progetti CDM operata in base al dialogo tra governo,<br />

nale<br />

comunità nazionale e sviluppatori dei progetti;<br />

­ dettagliata valutazione degli impatti dei progetti CDM sui criteri di sviluppo<br />

sostenibile. Può richiedere la rielaborazione dei progetti per incorporare le<br />

priorità delle politiche di sviluppo sostenibile.<br />

Punto 6<br />

Le prestazioni vanno valutate rispetto ai criteri di sviluppo sostenibile predefiniti<br />

Valutazione delle prestazioni dei progetti in aggiunta alle procedure di monitoraggio, verifica e certificazione<br />

CDM implementati<br />

[6] United Nations Environmental Programme; è il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente.<br />

33


ARIA<br />

Articolo<br />

completate da requisiti locali, sono<br />

normalmente trasposte nella legislazione<br />

locale, anche se andrebbero definiti<br />

i criteri per la consultazione di interlocutori<br />

locali in modo attivo già<br />

nella fase preliminare dei progetti.<br />

Anche il ricorso a standard internazionali<br />

può contribuire in modo efficace<br />

alla definizione e al controllo<br />

dei requisiti. Per fare alcuni esempi,<br />

gli standard internazionali ISO 14001<br />

(Environmental Management Systems)<br />

[7] , SA 8000 (Social Accountability)<br />

e OHSAS 18001 (Health &<br />

Safety), possono essere utilizzati per<br />

l’impostazione e la verifica dei progetti<br />

di riduzione tipo CDM. Sul tema<br />

della responsabilità sociale [8] , inoltre,<br />

l’ISO (International Organization for<br />

Standardization), sta lavorando ad<br />

uno standard CSR, che sarà pubblicato<br />

però solo nel 2007.<br />

La tabella 2 consiglia una pro-<br />

34<br />

SPECIALE<br />

cedura di valutazione in sei punti.<br />

Il tentativo di questo primo schema<br />

UNEP è quello di utilizzare un<br />

approccio sufficientemente semplice<br />

e completo degli elementi necessari<br />

alla valutazione. Naturalmente, quegli<br />

investitori che vogliono distinguersi<br />

per essere “socialmente e ambientalmente<br />

responsabili” stanno richiedendo<br />

riscontri a tutti gli interlocutori<br />

sopra riportati; tuttavia, la proliferazione<br />

di standard diversi tra loro<br />

rischia di minare la fiducia di chi<br />

sta lavorando alla condivisione di<br />

questi criteri. Da non sottovalutare,<br />

inoltre, che queste premesse, la valutazione<br />

e la gestione dei fattori dello<br />

sviluppo sostenibile, possono provocare<br />

un aumento dei costi di progettazione.<br />

Tuttavia, è necessario rendersi<br />

subito conto di quanto questo<br />

sia necessario, nel lungo termine, per<br />

una drastica riduzione dei rischi di<br />

investimento.<br />

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Conclusioni<br />

La ratifica e l’applicazione del<br />

Protocollo di Kyoto sono passi importanti<br />

per la Comunità Internazionale<br />

e per una società che vuole diminuire<br />

le sue emissioni di CO 2.<br />

Gli attuali progetti di riduzione<br />

CDM o JI, tuttavia, non salveranno il<br />

pianeta dai cambiamenti climatici in<br />

misura significativa, almeno nel primo<br />

periodo di adempimento previsto<br />

(2008-2012) che tuttavia, con l’avvio<br />

dei processi di cooperazione internazionale<br />

e scambio di quote di emissione,<br />

deve essere visto come una<br />

concreta opportunità per verificare la<br />

loro efficacia. La situazione attuale<br />

non deve trascurare quindi le strette<br />

relazioni tra effetto serra e sviluppo<br />

sostenibile, in un’aspirazione molto<br />

più ampia del contemporaneo sviluppo<br />

delle società e della conservazione<br />

del pianeta. l<br />

[7] Sulla riduzione dei gas serra secondo la norma ISO 14001:2004, si veda l’articolo di S. Sibilio all’interno dello Speciale.<br />

[8] Si vedano i due Speciali pubblicati sui nn. 12-13/2005 di <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


SPECIALE<br />

ARIA<br />

Documento<br />

Imposte alcune modifiche. Prevista una riduzione pari a 23 milioni di tonnellate di CO 2<br />

Con la decisione del 25 maggio 2005<br />

la Commissione ha approvato il PNA<br />

a cura di Massimo Medugno, vicedirettore di Assocarta<br />

Come ormai noto, con la decisione 25 maggio 2005 è stato approvato il Piano Nazionale di Allocazione; in altri<br />

termini, non sono state «sollevate obiezioni» a condizione che vengano apportate (art. 2) le seguenti modifiche:<br />

l la quantità di quote che l’Italia intende assegnare ai singoli impianti per la produzione di energia elettrica<br />

da gas residui di acciaieria devono figurare nell’elenco degli impianti secondo le metodologie generali;<br />

l gli impianti esistenti soggetti ad aggiornamento delle autorizzazioni non devono essere autorizzati ad<br />

attingere nelle quote di riserva per i nuovi entranti per la parte di impianto modificato già esistente prima<br />

dell’aggiornamento dell’autorizzazione.<br />

Nell’articolato manca ogni riferimento alla riduzione di 23 milioni di tonnellate, segnalato con grande enfasi<br />

dal comunicato stampa della Commissione che annunciava la decisione finale per l’Italia. Se ne fa cenno, al<br />

contrario, nel considerando n. 7, dalla cui lettura ci si rende conto come l’estenuante negoziazione tra Italia e<br />

Commissione abbia prodotto “l’impegno” della prima a ridurre di 23 milioni di tonnellate le proprie emissioni<br />

di CO2; della cosa, la decisione non fa che prendere atto. Sebbene si sia distanti dalle prime richieste della<br />

Commissione (ai 23 milioni sarebbe stato necessario aggiungere altri 10­12 milioni) e la decisione stessa non<br />

respinga l’impostazione italiana del piano che prevede una crescita dei settori industriali, non si può negare che<br />

il provvedimento contribuisca a un quadro di maggiore certezza, anche se, prima che la decisione possa essere<br />

considerata definitivamente consolidata, occorrerà procedere all’aggiornamento delle autorizzazioni e alla<br />

ripartizione della riduzione di 23 milioni di tonnellate.<br />

In merito alla ripartizione dell’onere della riduzione si potrà agire secondo un criterio meramente “ragionieristico”<br />

oppure operare tenendo conto di una serie di considerazioni:<br />

l i settori, come riconosce la stesso piano, hanno già raggiunto una altissima efficienza;<br />

l è probabile che le quote disponibili non soddisfino pienamente le esigenze di crescita dei primi;<br />

l il settore elettrico “serve” non solo l’industria ma una serie di altri comparti.<br />

Oltre a ciò, dovrà anche essere considerata la situazione degli elevati prezzi dell’energia in Italia, in media<br />

superiori del 15­20% per il gas naturale e anche del 30% per l’energia elettrica rispetto a quelli dei principali<br />

paesi europei concorrenti, che si traduce in un pesante svantaggio competitivo per l’Italia.<br />

Decisione della Commissione 25 maggio 2005<br />

relativa al piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione<br />

dei gas a effetto serra notificato dall’Italia a norma<br />

della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio<br />

LA COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE,<br />

visto il trattato che istituisce la Comunità europea,<br />

vista la direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e<br />

el Consiglio, del 13 ottobre 2003, che istituisce un<br />

istema per Io scambio di quote di emissioni dei gas a<br />

ffetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva<br />

[1] G.U. L 275 del 25.10.2003, pag. 32.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

(Il testo in lingua italiana è il solo facente fede)<br />

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96/61/CE del Consiglio [1] , in particolare l’articolo 9, paragrafo<br />

3,<br />

considerando quanto segue:<br />

(1) I1 piano nazionale di assegnazione dell’Italia per il<br />

periodo 2005-2007, elaborato ai sensi dell’articolo 9, paragrafo<br />

1, della direttiva 2003/87/CE, è stato notificato parzial-<br />

35


ARIA<br />

Documento<br />

mente alla Commissione con lettera del 21 luglio 2004,<br />

protocollata dalla Commissione il 26 luglio 2004. Con lettera<br />

del 29 ottobre 2004, l’Italia ha presentato ulteriori informazioni<br />

sul piano notificato in risposta alle domande della<br />

Commissione. L’Italia ha inoltre inviato altre informazioni e<br />

assicurazioni a modifica e integrazione del piano notificato<br />

con lettera del 25 febbraio 2005, protocollata il 3 marzo<br />

2005, e con lettere del 29 aprile e del 17, del 20 e del 23<br />

maggio 2005.<br />

(2) Il comitato sui cambiamenti climatici ha preso in<br />

esame il piano nazionale di assegnazione e ha invitato la<br />

Commissione ad esaminare con attenzione l’andamento previsto<br />

dell’Italia verso il conseguimento dell’obiettivo di cui<br />

alla decisione 2002/358/CE. Il comitato sui cambiamenti<br />

climatici ha chiesto alla Commissione di comparare l’assegnazione<br />

proposta alle proiezioni e alle misure previste dall’Italia<br />

per i settori che partecipano al sistema di scambio e<br />

per i settori che non vi partecipano, comprese, in particolare,<br />

le ipotesi sui tassi di crescita e ha sollecitato la Commissione<br />

a paragonare le quote assegnate dall’Italia alle emissioni<br />

storiche recenti e previste, valutando i motivi addotti per<br />

giustificare gli scostamenti dalle emissioni storiche recenti e<br />

dalle emissioni previste per il settore che partecipa allo<br />

scambio delle quote. Vista l’importanza di preservare l’integrità<br />

del mercato interno e di evitare indebite distorsioni<br />

della concorrenza, il comitato sui cambiamenti climatici ha<br />

chiesto alla Commissione di esaminare con attenzione l’ammissibilità<br />

delle attività inserite nel piano alla luce del criterio<br />

n. 10. I1 comitato sui cambiamenti climatici ha sollecitato<br />

la Commissione ad accertarsi che l’utilizzo che l’Italia<br />

intende fare dei meccanismi di Kyoto sia comprovato attraverso<br />

lo stato di avanzamento della legislazione e delle<br />

disposizioni di esecuzione applicabili presentate nel piano. Il<br />

comitato sui cambiamenti climatici ha invitato la Commissione<br />

ad analizzare la metodologia prevista per l’assegnazione<br />

delle quote al settore di produzione di energia elettrica e a<br />

valutare l’ammissibilità, alla luce del criterio n. 10, degli<br />

adeguamenti a posteriori previsti per le quantità assegnate<br />

agli impianti di produzione di energia elettrica nuovi ed<br />

esistenti. Il comitato sui cambiamenti climatici ha sollecitato<br />

la Commissione a prendere in esame con attenzione la definizione<br />

di “nuovi entranti” presentata nel piano e le regole<br />

per l’accesso alla riserva per i nuovi entranti. Il parere del<br />

comitato sui cambiamenti climatici è stato tenuto in considerazione.<br />

(3) Il piano nazionale di assegnazione, compresa la quantità<br />

totale di quote ivi indicata, è stato valutato in base alla<br />

comunicazione della Commissione sugli orientamenti destinati<br />

ad assistere gli Stati membri nell’applicazione dei criteri<br />

elencati all’allegato III della direttiva 2003/87/CE [2] . elementi<br />

del piano nazionale di assegnazione sono stati ritenuti incompatibili<br />

con i suddetti criteri, in particolare con il criterio n. 10.<br />

[2] COM(2003) 830 def.<br />

36<br />

SPECIALE<br />

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(4) Le quote da assegnare alla produzione di energia elettrica<br />

da gas residui di acciaieria non sono state assegnate ai singoli<br />

impianti e non sono indicate nell’elenco degli impianti. Ciò<br />

rappresenta una violazione del criterio n. 10, perché il piano non<br />

contiene un elenco completo degli impianti con le quantità delle<br />

quote complessive da assegnare a ciascuno di essi.<br />

(5) L’intenzione dell’Italia di consentire agli impianti esistenti<br />

che devono aggiornare le rispettive autorizzazioni di attingere<br />

alla riserva di quote per i nuovi entranti per la parte<br />

dell’impianto modificato già esistente prima dell’aggiornamento<br />

dell’autorizzazione è contraria al criterio n. 10, secondo il<br />

quale la quantità di quote da assegnare a ciascun impianto<br />

esistente deve essere indicata preventivamente nel piano nazionale<br />

di assegnazione relativo al periodo di cui all’articolo 11,<br />

paragrafo 1, della direttiva 2003/87/CE.<br />

(6) Per rendere il piano nazionale di assegnazione conforme<br />

al criterio n. 10 dell’allegato III della direttiva 2003/87/CE, il<br />

piano deve essere modificato e deve indicare, nell’elenco degli<br />

impianti, le quantità di quote che l’Italia intende assegnare ai<br />

singoli impianti per la produzione di energia elettrica da gas<br />

residui di acciaieria; tali quantità devono essere determinate in<br />

base alle metodologie generali descritte nel piano nazionale di<br />

assegnazione. Il piano deve inoltre essere modificato al fine di<br />

non consentire agli impianti esistenti che devono aggiornare le<br />

rispettive autorizzazioni di attingere alla riserva per i nuovi<br />

entranti per la parte dell’impianto modificato già esistente prima<br />

dell’aggiornamento dell’autorizzazione. L’Italia deve notificare<br />

tempestivamente alla Commissione le modifiche apportate al<br />

piano ai sensi della presente decisione.<br />

(7) Nel valutare il piano nazionale di assegnazione rispetto ai<br />

criteri nn. l, 3 e l0 dell’allegato III della direttiva 2003/87/CE, la<br />

Commissione tiene conto delle informazioni e delle assicurazioni<br />

fornite dall’Italia nelle lettere del 29 aprile e del 17, del 20 e<br />

del 23 maggio 2005, in particolare l’impegno a ridurre di 23,0<br />

milioni di tonnellate l’assegnazione media annua complessiva<br />

di quote rispetto a quanto indicato nel piano notificato in parte il<br />

21 luglio 2004 e modificato con lettera del 25 febbraio 2005,<br />

portando così le emissioni medie annue massime del settore<br />

interessato agli scambi a 232,5 milioni di tonnellate.<br />

(8) Come indicato al criterio n. 5, la Commissione ha<br />

verificato se il piano favorisce indebitamente alcune imprese<br />

o attività contrariamente a quanto previsto dal trattato, in<br />

particolare dagli articoli 87 e 88. In base alle informazioni<br />

presentate dallo Stato membro e a condizione che le ultime<br />

modifiche che l’Italia si è impegnata ad apportare nelle<br />

lettere del 17, del 20 e del 23 maggio 2005 siano applicate in<br />

maniera non discriminatoria, la Commissione ritiene che<br />

qualsiasi aiuto potenziale possa essere compatibile con il<br />

mercato comune nell’eventualità di una sua valutazione a<br />

norma dell’articolo 88, paragrafo 3, del trattato.<br />

(9) Le informazioni contenute nel piano nazionale di assegnazione<br />

ritenute non rilevanti per l’assegnazione delle quote<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


per il periodo di cui all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva<br />

2003/87/CE non sono state prese in considerazione ai fini della<br />

presente decisione.<br />

(10) La presente decisione si applica fatti salvi gli obblighi<br />

dell’Italia a norma della direttiva 2001/77/CE del Parlamento<br />

europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione<br />

dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili<br />

nel mercato interno dell’elettricità [3] .<br />

(11) Le relazioni sull’attuazione di politiche e misure e<br />

sull’utilizzo dei meccanismi previsti dal protocollo di Kyoto<br />

presentate dagli Stati membri ai sensi della decisione n. 280/<br />

2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 febbraio<br />

2004, relativa ad un meccanismo per monitorare le emissioni<br />

di gas a effetto serra nella Comunità e per attuare il<br />

protocollo di Kyoto [4] sono elementi importanti per valutare i<br />

piani nazionali di assegnazione alla luce del criterio n. 2 dell’allegato<br />

III della direttiva 2003/87/CE,<br />

HA ADOTTATO LA PRESENTE DECISIONE:<br />

Art. 1<br />

I seguenti elementi del piano nazionale di assegnazione dell’Italia<br />

sono incompatibili con il criterio n. 10 dell’allegato III<br />

della direttiva 2003/87/CE:<br />

a) mancata indicazione, nell’elenco degli impianti, delle<br />

quantità di quote da assegnare ai singoli impianti per la produzione<br />

di energia elettrica da gas residui di acciaieria;<br />

b) intenzione di consentire agli impianti esistenti soggetti<br />

ad aggiornamento delle autorizzazioni di attingere quote dalla<br />

riserva per i nuovi entranti per la parte di impianto modificato<br />

già esistente prima dell’aggiornamento dell’autorizzazione.<br />

[3] G.U. L 283 del 27.10.2001, pag. 33.<br />

[4] G.U. L 49 del 19.2.2004, pag. 1.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

SPECIALE<br />

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ARIA<br />

Documento<br />

Art. 2<br />

Non vengono sollevate obiezioni al piano nazionale di assegnazione,<br />

a condizione che ad esso siano apportate le seguenti<br />

modifiche e che queste siano tempestivamente notificate alla<br />

Commissione:<br />

a) le quantità di quote che l’Italia intende assegnare ai singoli<br />

impianti per la produzione di energia elettrica da gas residui di<br />

acciaieria devono figurare nell’elenco degli impianti; tali quantità<br />

devono essere determinate in base alle metodologie generali<br />

descritte nel piano nazionale di assegnazione;<br />

b) gli impianti esistenti soggetti ad aggiornamento delle<br />

autorizzazioni non devono essere autorizzati ad attingere quote<br />

dalla riserva per i nuovi entranti per la parte di impianto modificato<br />

già esistente prima dell’aggiornamento dell’autorizzazione.<br />

Art. 3<br />

1. La quantità totale di quote che l’Italia intende attribuire,<br />

in base al proprio piano nazionale di assegnazione, agli<br />

impianti ivi elencati, comprese le informazioni e le assicurazioni<br />

successive notificate alla Commissione con lettere del<br />

17, del 20 e del 23 maggio 2005, non deve essere superata;<br />

non deve altresì essere superata la quantità totale di quote da<br />

assegnare ai nuovi entranti.<br />

2. Il piano nazionale di assegnazione può essere modificato<br />

senza l’accordo preventivo della Commissione se la<br />

modifica consiste nella rettifica delle quote assegnate ai<br />

singoli impianti dovuta alla migliore qualità dei dati disponibili,<br />

purché non sia superata la quantità totale da assegnare<br />

agli impianti elencati nel piano.<br />

Art. 4<br />

La Repubblica italiana è destinataria della presente decisione.l<br />

37


ARIA<br />

Documento<br />

SPECIALE<br />

Entro fine anno andrà immessa in consumo una quantità pari all’1% del mercato totale<br />

Con il decreto legislativo n. 128/2005<br />

al via la promozione dei biocarburanti<br />

Il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto passa anche attraverso la promozione<br />

dell’utilizzazione di biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili in sostituzione del diesel o della<br />

benzina nei trasporti, come disposto decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 128, il cui scopo è quello di<br />

contribuire al raggiungimento degli obiettivi nazionali in materia di riduzione delle emissioni di gas a<br />

effetto serra e di sicurezza dell’approvvigionamento di fonti di energia nel rispetto dell’ambiente<br />

nonché di promuovere le fonti di energia rinnovabili. Il provvedimento, che non a caso tra i considerando<br />

cita la legge 1° giugno 2002, n. 120 «Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione<br />

quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997» (in S.O. n. 129<br />

alla Gazzetta Ufficiale n. 142 del 19 giugno 2002; si veda anche il n. 15/2002 di <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>) e<br />

la successiva delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 123, di approvazione del Piano Nazionale per la<br />

riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e il potenziamento degli assorbimenti di carbonio, oltre<br />

a definire i termini «biocarburante» (le cui diverse tipologie sono elencate in Allegato I), «biomassa»,<br />

«altri carburanti rinnovabili» e «tenore energetico», indica gli obiettivi nazionali per l’immissione in<br />

consumo, le modalità di promozione, le disposizioni per incentivare la destinazione di prodotti agricoli<br />

non destinati alla alimentazione, la promozione della ricerca e della diffusione di biocarburanti o di<br />

altri carburanti rinnovabili, per i quali vengono indicate le modalità per la valutazione del bilancio<br />

ecologico.<br />

38<br />

Decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 128<br />

Attuazione della direttiva 2003/30/CE relativa alla promozione<br />

dell’uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti<br />

in Gazzetta Ufficiale del 12 luglio 2005, n. 160<br />

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA<br />

Visti gli articoli 76, 87 e 117 della Costituzione;<br />

Vista la legge 31 ottobre 2003, n. 306, ed in particolare<br />

l’articolo 1, comma 1, della legge 31 ottobre 2003, n. 306, e<br />

l’allegato A;<br />

Vista la direttiva 2003/30/CE del Parlamento europeo e<br />

del Consiglio, dell’8 maggio 2003, che stabilisce che gli<br />

Stati membri provvedono affinché una percentuale minima<br />

di biocarburanti e di altri carburanti rinnovabili sia immessa<br />

sui loro mercati e a tal fine stabiliscono obiettivi indicativi<br />

nazionali;<br />

Visto il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, concernente<br />

l’attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione<br />

dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili<br />

nel mercato interno dell’elettricità;<br />

Visto l’articolo 1, commi 520 e 521, della legge 30 dicembre<br />

2004, n. 311, recante disposizioni per la formazione del bilancio<br />

annuale e pluriennale dello Stato, legge finanziaria 2005;<br />

Vista la legge 1° giugno 2002, n. 120, di ratifica del Protocollo<br />

di Kyoto e la successiva delibera CIPE, n. 123 del 19 dicembre<br />

2002 di approvazione del Piano Nazionale per la riduzione delle<br />

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emissioni di gas ad effetto serra ed il potenziamento degli assorbimenti<br />

di carbonio;<br />

Considerato che l’articolo 7 della legge 7 aprile 2003, n. 80,<br />

di delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, prevede<br />

di privilegiare l’uso di prodotti ecocompatibili, tra i quali ricadono<br />

i biocarburanti e altri carburanti rinnovabili;<br />

Ritenuto di dover fissare obiettivi indicativi nazionali realistici,<br />

compatibili con il potenziale nazionale di produzione<br />

dì biocarburanti a partire dalla biomassa, anche alla luce degli<br />

obiettivi indicativi nazionali fissati ai sensi della direttiva<br />

2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27<br />

settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta<br />

da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità;<br />

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata<br />

nella riunione del 27 maggio 2005;<br />

Sulla proposta del Ministro per le politiche comunitarie, del<br />

Ministro delle attività produttive e del Ministro dell’economia e<br />

delle finanze, di concerto con i Ministri dell’ambiente e della<br />

tutela del territorio, degli affari esteri, della giustizia e delle<br />

politiche agricole e forestali;<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

Emana<br />

il seguente decreto legislativo:<br />

Art. 1<br />

Finalità<br />

1. Il presente decreto è finalizzato a promuovere l’utilizzazione<br />

di biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili in<br />

sostituzione di carburante diesel o di benzina nei trasporti, al<br />

fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi nazionali<br />

in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra<br />

e di sicurezza dell’approvvigionamento di fonti di energia<br />

rispettando l’ambiente, e di promozione delle fonti di energia<br />

rinnovabili.<br />

Art. 2<br />

Definizioni<br />

1. Ai fini del presente decreto si intende per:<br />

a) biocarburante: un carburante liquido o gassoso per i trasporti<br />

ricavato dalla biomassa;<br />

b) biomassa: la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e<br />

residui provenienti dall’agricoltura, comprendente sostanze<br />

vegetali e animali, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse,<br />

nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e<br />

urbani;<br />

c) altri carburanti rinnovabili: carburanti rinnovabili, diversi<br />

dai biocarburanti, originati da fonti energetiche rinnovabili come<br />

definite nel decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e<br />

utilizzati per i trasporti;<br />

d) tenore energetico: il potere calorifico inferiore di un carburante.<br />

2. Sono considerati biocarburanti i prodotti di cui all’Allegato I.<br />

3. Ai fini del presente decreto, l’immissione in consumo ha<br />

luogo al verificarsi dei presupposti per il pagamento dell’accisa,<br />

anche per i prodotti destinati ad usi esenti.<br />

Art. 3<br />

Obiettivi indicativi nazionali<br />

1. Sono fissati i seguenti obiettivi indicativi nazionali, calcolati<br />

sulla base del tenore energetico, di immissione in consumo<br />

di biocarburanti e altri carburanti rinnovabili, espressi come<br />

percentuale del totale del carburante diesel e di benzina nei<br />

trasporti immessi al consumo nel mercato nazionale:<br />

a) entro il 31 dicembre 2005: 1,0 per cento;<br />

b) entro il 31 dicembre 2010: 2,5 per cento.<br />

Art. 4<br />

Modalità di promozione dei biocarburanti<br />

e degli altri carburanti rinnovabili<br />

1. Le modalità di prima promozione dei biocarburanti e<br />

degli altri carburanti rinnovabili nei trasporti sono quelle fissate,<br />

fino all’anno 2007, dall’articolo 1, commi 520 e 521, della<br />

legge 30 dicembre 2004, n. 311.<br />

2. Ulteriori modalità di promozione dei biocarburanti e degli<br />

altri carburanti rinnovabili nei trasporti saranno previste mediante<br />

apposite norme.<br />

SPECIALE<br />

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ARIA<br />

Documento<br />

Art. 5<br />

Disposizioni per incentivare la destinazione<br />

di prodotti agricoli non destinati alla alimentazione<br />

alla produzione di biocarburanti<br />

e altri carburanti rinnovabili<br />

1. Sulla base del parere consultivo espresso dalla commissione<br />

di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 29 dicembre<br />

2003, n. 387, i provvedimenti di cui all’articolo 5, comma 5, del<br />

medesimo decreto legislativo n. 387 del 2003, sono estesi anche<br />

alla incentivazione di colture dedicate alla produzione di biocarburanti<br />

e altri carburanti rinnovabili, fermo restando che dai<br />

medesimi provvedimenti non possono derivare oneri aggiuntivi<br />

per la finanza pubblica.<br />

2. I provvedimenti di cui al comma 1 possono, altresì, prevedere<br />

misure incentivanti per la stipula di accordi di filiera con le<br />

principali organizzazioni del settore agricolo e del settore dei<br />

carburanti per trasporti.<br />

Art. 6<br />

Promozione della ricerca e della diffusione<br />

di biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili<br />

1. Le attività di ricerca e di sviluppo di biocarburanti e delle<br />

relative tecnologie, nonché le attività di promozione delle stesse,<br />

costituiscono uno degli obiettivi generali dell’accordo di<br />

programma quinquennale da stipulare con l’ENEA senza oneri<br />

aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, di cui all’articolo 9<br />

del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387.<br />

2. Le attività di cui al comma 1 sono svolte in collaborazione<br />

con la Stazione sperimentale per i combustibili, di cui al decreto<br />

legislativo 29 ottobre 1999, n. 540, con modalità stabilite nel<br />

medesimo accordo di programma.<br />

Art. 7<br />

Modalità per la valutazione del bilancio ecologico<br />

dei biocarburanti e di altri carburanti rinnovabili<br />

e dell’effetto del loro uso in veicoli non adattati<br />

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente<br />

decreto, il Ministero delle attività produttive con il Ministero<br />

dell’ambiente e della tutela del territorio ed il Ministero delle<br />

politiche agricole e forestali, sentite le parti sociali interessate,<br />

avvalendosi degli organismi da ciascuno controllati o vigilati,<br />

approva e avvia un programma per la valutazione del bilancio<br />

ecologico dei biocarburanti e di altri carburanti rinnovabili, nonché<br />

per la valutazione dell’effetto dell’uso dei biocarburanti in<br />

miscele superiori al 5 per cento in veicoli non adattati, in particolare<br />

ai fini del rispetto delle normative in materia di emissioni.<br />

2. Dall’attuazione del programma di cui al comma 1, non<br />

devono derivare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica.<br />

Art. 8<br />

Disposizioni varie<br />

1. Le miscele combustibile diesel-biodiesel con contenuto in<br />

biodiesel inferiore o uguale al 5 per cento, che rispettano le<br />

caratteristiche del combustibile diesel previste dalla normativa<br />

vigente, possono essere immesse in consumo sia presso utenti<br />

39


ARIA<br />

Documento<br />

extra-rete che in rete. Le miscele con contenuto in biodiesel in<br />

misura superiore al 5 per cento possono essere avviate al consumo<br />

solo presso utenti extra rete, e impiegate esclusivamente in<br />

veicoli omologati per l’utilizzo di tali miscele.<br />

2. Sulla base dei risultati del programma di cui all’articolo<br />

7, comma 1, o di nuove risultanze tecnico scientifiche e fermo<br />

restando quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, della legge 8<br />

luglio 1986, n. 349, il Ministro dell’economia e delle finanze, di<br />

concerto con il Ministro delle attività produttive, con il Ministro<br />

dell’ambiente e della tutela del territorio e con il Ministro delle<br />

politiche agricole e forestali, può, con propri decreti, incrementare<br />

il contenuto percentuale di biodiesel delle miscele combustibile<br />

diesel-biodiesel che possono essere avviate al consumo<br />

presso utenti in rete.<br />

3. Qualora, in attuazione delle disposizioni del comma 2,<br />

siano avviate al consumo in rete miscele combustibile dieselbiodiesel<br />

con contenuto in biodiesel in misura superiore al 5 per<br />

cento, i punti vendita nei quali tali miscele sono distribuite sono<br />

obbligati ad esporre idonee etichette di descrizione del prodotto,<br />

unitamente all’elenco dei veicoli omologati per l’uso dei predetti<br />

biocarburanti.<br />

4. Entro il 1° luglio di ogni anno, il Ministero dell’economia<br />

e delle finanze, d’intesa con i Ministeri dell’ambiente e della<br />

tutela del territorio, delle attività produttive e delle politiche<br />

40<br />

SPECIALE<br />

1. Sono considerati biocarburanti i seguenti prodotti:<br />

a) bioetanolo: etanolo ricavato dalla biomassa ovvero dalla parte biodegradabile dei rifiuti, destinato<br />

ad essere usato come biocarburante;<br />

b) biodiesel: estere metilico ricavato da un olio vegetale o animale, di tipo diesel destinato ad essere<br />

usato come biocarburante;<br />

c) biogas carburante: gas combustibile ricavato dalla biomassa ovvero dalla parte biodegradabile dei<br />

rifiuti, che può esseretrattato in un impianto di purificazione onde ottenere una qualità analoga a<br />

quella del gas naturale, al fine di essere usato come biocarburante o gas di legna;<br />

d) biometanolo: metanolo ricavato dalla biomassa destinato ad essere usato come biocarburante;<br />

e) biodimetiletere: etere dimetilico ricavato dalla biomassa destinato ad essere usato come biocarburante;<br />

f) bio­ETBE, etil­ter­butil­etere: ETBE prodotto partendo da bioetanolo. La percentuale in volume di<br />

bio­ETBE considerata biocarburante ai fini del presente decreto legislativo è del 47 per cento;<br />

g) bio­MTBE, metil­ter­butil­etere: MTBE prodotto partendo da biometanolo. La percentuale in<br />

volume di bio­MTBE considerata biocarburante ai fini del presente decreto legislativo è del 36 per<br />

cento;<br />

h) biocarburanti sintetici: idrocarburi sintetici o miscele di idrocarburi sintetici prodotti a partire dalla<br />

biomassa:<br />

i) bioidrogeno: idrogeno ricavato dalla biomassa ovvero dalla frazione biodegradabile dei rifiuti<br />

destinato ad essere usato come biocarburante;<br />

l) olio vegetale puro: olio prodotto da piante oleaginose mediante pressione, estrazione o processi<br />

analoghi, greggio o raffinato ma chimicamente non modificato, qualora compatibile con il tipo di<br />

motore usato e con i corrispondenti requisiti in materia di emissioni.<br />

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agricole e forestali, comunica alla Commissione i dati di cui<br />

all’Allegato II e trasmette la relativa relazione.<br />

5. Il presente provvedimento entra in vigore il giorno successivo<br />

a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale<br />

della Repubblica italiana.<br />

Art. 9<br />

Adeguamenti tecnici<br />

1. Alle norme comunitarie non autonomamente applicabili,<br />

che modificano modalità esecutive e caratteristiche di ordine<br />

tecnico della direttiva recepita con il presente decreto, è data<br />

attuazione con decreto dei Ministri dell’ambiente e della tutela<br />

del territorio e delle attività produttive, di concerto con i Ministri<br />

dell’economia e delle finanze e delle politiche agricole e forestali,<br />

a norma dell’articolo 13 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.<br />

2. Dei decreti adottati a norma del comma 1 è data<br />

tempestiva comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei<br />

Ministri - Dipartimento per il coordinamento delle politiche<br />

comunitarie.<br />

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà<br />

inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della<br />

Repubblica italiana.<br />

È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo<br />

osservare. l<br />

Allegato I<br />

(Articolo 2, comma 2)<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

SPECIALE<br />

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ARIA<br />

Documento<br />

Allegato II<br />

(Articolo 8, comma 4)<br />

1. Anteriormente al 1° luglio di ogni anno sono comunicati alla Commissione:<br />

a) le misure adottate per promuovere l’utilizzazione di biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili in<br />

sostituzione di carburante diesel o di benzina nei trasporti;<br />

b) le risorse nazionali assegnate alla produzione di biomassa per usi energetici diversi dai trasporti;<br />

c) il totale delle vendite di carburanti da trasporto e la quota dei biocarburanti, puri o miscelati, e di altri<br />

carburanti rinnovabili immessi sul mercato per l’anno precedente. Se del caso sono segnalate le condizioni<br />

eccezionali nell’offerta di petrolio greggio o di prodotti petroliferi che hanno influenzato la commercializzazione<br />

dei biocarburanti e di altri carburanti rinnovabili.<br />

2. Nella prima relazione successiva all’entrata in vigore del presente decreto è inserito il livello dell’obiettivo<br />

nazionale indicativo per la prima fase. Nella relazione riguardante l’anno 2006 è inserito l’obiettivo indicativo<br />

nazionale per la seconda fase.<br />

3. Nelle relazioni le differenziazioni dell’obiettivo nazionale rispetto ai valori di riferimento di cui all’articolo<br />

3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/30/CE, sono motivate anche sugli elementi seguenti:<br />

a) fattori obiettivi quali il limitato potenziale nazionale di produzione di biocarburanti a partire dalla<br />

biomassa;<br />

b) l’ammontare delle risorse assegnate alla produzione di biomassa per usi energetici diversi dai<br />

trasporti e le specifiche caratteristiche tecniche o climatiche del mercato nazionale dei carburanti per il<br />

trasporto;<br />

c) politiche nazionali che assegnino risorse comparabili alla produzione di altri carburanti per il trasporto<br />

basati su fonti energetiche rinnovabili e che siano coerenti con gli obiettivi della citata direttiva.<br />

41


Contributi di:<br />

l Elio Giroletti<br />

l Laura Trinci<br />

l Alberta Leonarda Vergine<br />

IL RADON<br />

Nel panorama normativo nazionale, la legge quadro in materia di<br />

radioprotezione è costituita dal D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230, modificato e<br />

integrato dal D.Lgs. 26 maggio 2000, n. 241, e dal D.Lgs. 9 maggio 2001, n. 257, a<br />

recepimento e attuazione della direttiva n. 96/29/Euratom, che disciplina, nella<br />

Comunità europea, i criteri di base per la protezione sanitaria della popolazione e<br />

dei lavoratori contro i rischi derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti.<br />

L’introduzione del D.Lgs. n. 241/2000 ha esteso il campo di applicazione del D.Lgs.<br />

n. 230/1995, rendendo soggette a regolamentazione alcune particolari attività<br />

lavorative in cui la presenza di sorgenti naturali di radiazioni può comportare<br />

esposizioni non trascurabili dei lavoratori e di persone del pubblico.<br />

In questi luoghi di lavoro, gli esercenti hanno l’obbligo di procedere a<br />

periodiche misurazioni della concentrazione di attività del radon in aria e di<br />

verificare il rispetto del livello di azione di 500 Bq/m 3 , stabilito nell’Allegato I­bis al<br />

D.Lgs. n. 230/1995 e seguenti modifiche e integrazioni.<br />

Qualora il valore misurato superi il livello di azione, l’esercente, avvalendosi di un<br />

esperto qualificato, è tenuto a mettere in atto azioni di rimedio finalizzate a<br />

ottenere la riduzione delle grandezze misurate a valori inferiori al livello di<br />

azione.<br />

Il CTN­AGF, nell’ambito della task coordinata dall’APAT e costituita dalle ARPA di<br />

Veneto, Piemonte e Valle d’Aosta e dalle APPA delle Province autonome di Trento<br />

e Bolzano, ha invece sviluppato il documento «Linee guida per le misure di radon<br />

in ambienti residenziali» (RTI CTN-AGF 4/2004) allo scopo di fornire indicazioni e<br />

riferimenti operativi circa le metodologie di indagine da impiegare per una<br />

corretta valutazione della concentrazione di radon all’interno degli ambienti a<br />

uso abitativo. Atteso che la normativa nazionale non prevede alcuna particolare<br />

disposizione per il controllo del radon in ambienti diversi da quelli di lavoro, la<br />

linea guida sviluppata si rivolge soprattutto a considerare il problema dei privati<br />

che si trovino nell’esigenza di effettuare valutazioni sulla presenza di radon<br />

all’interno delle proprie abitazioni, attraverso misure della concentrazione di<br />

attività, tipicamente mediante servizi a pagamento.<br />

Le Linee guida per le misure di Radon in ambienti residenziali dell’APAT<br />

Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici,<br />

sono disponibili on-line all’indirizzo<br />

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IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

L’incidenza del carcinoma polmonare imputabile al gas oscilla tra 2000 e 5000 casi di decesso all’anno<br />

Radon e fumo: micidiale miscela<br />

nelle case e nei luoghi di lavoro<br />

di Elio Giroletti, esperto qualificato dell’Università degli Studi e dell’INFN di Pavia e<br />

Alberta Leonarda Vergine, docente di diritto penale dell’ambiente ­ Università degli Studi di Pavia<br />

Uno studio pubblicato sul British<br />

Medical Journal conferma la<br />

funesta sinergia esistente tra<br />

fumo di sigaretta ed esposizione<br />

al radon, nota da tempo agli<br />

specialisti. Dallo studio emerge<br />

che la probabilità di induzione<br />

di tumori ai polmoni in un<br />

soggetto esposto al radon<br />

è 25 volte maggiore se lo stesso<br />

è anche un fumatore accanito.<br />

Quindi, unitamente a una<br />

disamina del fenomeno radon,<br />

vengono riassunti gli obblighi<br />

normativi connessi alla<br />

esposizione al gas sul luogo<br />

di lavoro alla luce anche della<br />

campagna atta a individuare<br />

le zone a rischio radon<br />

(radon prone areas) che alcune<br />

regioni stanno per concludere,<br />

in osservanza al disposto<br />

normativo.<br />

44<br />

Il radon è un gas inerte ed è il<br />

risultato di una serie di decadimenti<br />

di sostanze radioattive<br />

naturali contenenti uranio, torio e<br />

attinio, che producono rispettivamente<br />

il radon 222 (detto radon, il<br />

maggiore responsabile della dose<br />

alla popolazione), il radon 220<br />

(detto toron, ha un breve tempo di<br />

decadimento e la sua esposizione in<br />

alcune situazioni non è affatto trascurabile,<br />

specialmente in Italia) e<br />

il radon 219 (la cui esposizione è<br />

trascurabile). Il maggior responsabile<br />

della dose alla popolazione è<br />

l’isotopo 222, il 222 Rn.<br />

Quest’ultimo, essendo radioattivo,<br />

produce, a sua volta, radionuclidi<br />

metallici radioattivi (i cosiddetti<br />

figli), alcuni dei quali decadono<br />

per la maggior parte nell’aria<br />

dell’ambiente in cui sono prodotti.<br />

I più importanti sono il 218 Po, 214 Pb<br />

e il 214 Bi, che, legandosi al pulviscolo<br />

presente in aria o rimanendo<br />

liberi in aria, possono essere inalati<br />

e depositarsi, quindi, sulle superfici<br />

dell’apparato respiratorio, irraggiandole.<br />

Il radon, per le sue proprietà chimico-fisiche,<br />

penetra con relativa<br />

facilità negli ambienti interni, in<br />

particolare in quelli interrati, dove<br />

si concentra fino a raggiungere livelli<br />

decine o centinaia di volte superiori<br />

a quelli dell’esterno.<br />

La stabilità atmosferica è un fat-<br />

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tore che influenza l’accumulo di radon,<br />

le variazioni diurne esterne<br />

mostrano un massimo nella prima<br />

mattina e un minimo nel pomeriggio.<br />

Anche il comportamento umano<br />

è responsabile della sua concentrazione<br />

negli edifici; per esempio,<br />

nei climi freddi e temperati si tende,<br />

per una parte dell’anno, a ridurre<br />

il ricambio di aria tra interno ed<br />

esterno, per ragioni energetiche, favorendone<br />

così la concentrazione.<br />

L’andamento (temporale e spaziale)<br />

del radon è stato relazionato<br />

anche ai terremoti e si è pure evidenziato<br />

un andamento subitaneo<br />

quasi di tipo caotico [1] . Ciò dimostra<br />

che la sua presenza è, di fatto,<br />

imprevedibile spazialmente e temporalmente.<br />

Per rilevarlo, pertanto,<br />

è necessaria una campagna di misure<br />

puntuale e sufficientemente<br />

protratta nel tempo. Per questo motivo<br />

la normativa vigente richiede<br />

la verifica della concentrazione media<br />

annuale di radon in aria in tutti i<br />

luoghi di lavoro a rischio.<br />

La concentrazione media annuale<br />

di radon gas in aria presente nelle<br />

abitazioni italiane è di 75 Bq/<br />

m 3[2] . L’incidenza stimata del carcinoma<br />

polmonare imputabile al radon<br />

oscilla tra i 2000 e i 5000 casi<br />

di decesso annui. Negli interrati italiani,<br />

non sono infrequenti concentrazioni<br />

superiori al livello di azione,<br />

500 Bq/m 3 , che è il livello di<br />

[1] Si veda, per maggiori informazioni, di Elio Giroletti, Fractal analysis of radon indoor time series, with rescaled range and box<br />

counting methods, Proc. of IInd Workshop on radon monitoring in radioprotection, enviroinmental and/or earth sciences, Trieste, G.<br />

Furlan, L. Tommasino eds; ICTP-IAEA, pag. 197, World Scientific, Singapore, 1991<br />

[2] Il becquerel, Bq, è l’unità di misura dell’attività (quantità) di materiale radioattivo presente in una determinata matrice: 1 Bq = 1<br />

disintegrazione/secondo; il Bq/m 3 misura la concentrazione di radon in aria.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

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IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

TABELLA 1<br />

Livelli di rischio per i soggetti fumatori e non esposti al radon<br />

Concentrazione di radon gas<br />

in aria, Bq/m 3<br />

attenzione stabilito dalla normativa.<br />

Infatti, per esempio, anche negli<br />

interrati dell’area di Milano, geologicamente<br />

non considerata a rischio<br />

radon, si sono registrate concentrazioni<br />

superiori anche a 1000 Bq/<br />

m 3 .<br />

Radon e fumo di sigaretta<br />

Come si è anticipato, recentemente<br />

è stato pubblicato un articolo<br />

sul British Medical Journal [3] che<br />

richiama l’attenzione sulla sinergia<br />

esistente tra radon e fumo di sigaretta.<br />

Lo studio, oltre a confermare alcuni<br />

aspetti ben noti della tossicità<br />

del radon nelle abitazioni civili e<br />

nei luoghi di lavoro frequentati da<br />

persone, quali, per esempio:<br />

l l’incremento dell’incidenza di<br />

carcinoma polmonare dovuto alla<br />

esposizione al radon negli ambienti<br />

chiusi che sembra essere direttamente<br />

proporzionale (lineare<br />

con la concentrazione) e senza soglia<br />

anche per concentrazioni inferiori<br />

a 200 Bq/m 3 (anche una<br />

minima concentrazione potrebbe<br />

far male);<br />

l l’incremento del rischio che sarebbe<br />

pari ad almeno 8,4% ogni<br />

100 Bq/m 3 di radon gas in aria;<br />

Non fumatori<br />

Livello di rischio assoluto, % (*)<br />

l il fatto che il radon nelle abitazioni,<br />

in Europa, sarebbe responsabile<br />

del 9% delle morti per carcinoma<br />

polmonare e circa del 2% dei<br />

decessi per tumore.<br />

Soprattutto, il lavoro conferma<br />

anche quanto sospettato da tempo<br />

dagli specialisti e, cioè, che il rischio<br />

assoluto di tumori ai polmoni<br />

relativamente ai frequentatori di<br />

questi locali chiusi risulta essere<br />

25,8 volte (con un minimo da 21,3<br />

a un massimo di 31,2) superiore nei<br />

fumatori di sigarette (incalliti) rispetto<br />

ai non fumatori. Nella tabella<br />

1 e nel grafico 1 viene riportato<br />

l’eccesso di rischio assoluto di tumore<br />

ai polmoni in funzione della<br />

concentrazione di radon in aria, per<br />

i fumatori e i non fumatori. Come<br />

si può vedere l’incremento del rischio<br />

per i primi è notevolmente<br />

superiore che per i secondi.<br />

Questa sinergia era nota da tempo<br />

fra gli specialisti [4] , ma il lavoro<br />

sul British Medical Journal ha il<br />

merito di essere uno dei primi, a<br />

livello mondiale, che tenta di proporre<br />

una metanalisi dei dati disponibili<br />

in vari studi effettuati negli<br />

anni precedenti.<br />

Posto quanto appurato in questo<br />

studio e riducendo le considerazio-<br />

Fumatori<br />

di sigarette<br />

0 0,41 10.1<br />

100 0,47 11,6<br />

400 0,67 16,0<br />

800 0,93 21,6<br />

(*) all’età di 75 anni, fonte: Darby et al., BMJ, dic. 2004.<br />

ni all’Italia, va anzitutto segnalato<br />

che esiste una normativa che regolamenta<br />

l’esposizione al radon solo<br />

sui luoghi di lavoro, al contrario,<br />

nulla è stato stabilito per le<br />

abitazioni civili, in altri termini<br />

nulla è disposto per quei luoghi<br />

nei quali si trascorre la maggior<br />

parte della vita. Esiste unicamente<br />

una Raccomandazione Europea,<br />

che, come tale, è rimasta inascoltata,<br />

fatta esclusione per alcune regioni.<br />

Campagna di misure<br />

sul radon<br />

La normativa vigente, D.Lgs n.<br />

230/1995 e seguenti modifiche e<br />

integrazioni, impone agli esercenti<br />

le attività lavorative nei seguenti<br />

ambienti di lavoro:<br />

l tunnel;<br />

l sottovie;<br />

l catacombe;<br />

l grotte;<br />

l tutti i luoghi sotterranei (interrati,<br />

fogne, metropolitane):<br />

- entro due anni dall’inizio delle<br />

attività (ed entro il 3 marzo 2004<br />

per le attività in vigore alla data di<br />

emanazione del D.Lgs. n. 241/<br />

2000) di effettuare una valutazione,<br />

comprovata dalla stesura di una re-<br />

[3] Per maggiori informazioni si veda, di Darby et alii, Radon in homes and risk of lung cancer: collaborative analysis of individual<br />

data from 13 european case control studies, BMJ, dicembre 2004.<br />

[4] Si vedano, per esempio, le pubblicazioni UNSCEAR del 2000 ed il BEIR VI del National Research Council, 1999.<br />

45


IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

lazione che verifichi la concentrazione<br />

media annuale di radon gas<br />

in aria e confrontarlo con il livello<br />

di azione, 500 Bq/m 3 (allegato Ibis);<br />

- se la concentrazione è 80% del<br />

livello di azione (400 Bq/m 3 ), il rischio<br />

è considerato contenuto e il<br />

compito è terminato, e sul datore di<br />

lavoro non incombono altri oneri,<br />

salvo quello di prevedere una nuova<br />

rivalutazione della situazione<br />

qualora variassero le condizioni di<br />

lavoro, per esempio, se venissero<br />

modificati i sistemi di aspirazione o<br />

condizionamento ecc.;<br />

- se la concentrazione è compresa<br />

tra l’80% e il 100% del livello di<br />

azione, si deve ripetere la valutazione<br />

l’anno successivo;<br />

- se la concentrazione è superiore<br />

al livello di azione, l’esercente<br />

deve:<br />

1. spedire, entro un mese, la re-<br />

46<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

lazione all’ARPA, all’ASL e alla<br />

Direzione Provinciale del Lavoro;<br />

2. avvalersi dell’esperto qualificato<br />

[5] per progettare interventi migliorativi,<br />

per mantenersi al di sotto<br />

del livello di azione, e realizzarli<br />

entro tre anni ovvero con urgenza<br />

se il livello è alto (la norma non<br />

specifica alcun valore al riguardo).<br />

Gli interventi possono essere evitati<br />

qualora la dose assorbita dai<br />

lavoratori sia < 3 mSv/anno [6] , tuttavia,<br />

questa deroga al regime non<br />

opera con riferimento ad asili e a<br />

scuole.<br />

Al termine degli interventi migliorativi,<br />

l’esercente deve richiedere<br />

la valutazione all’esperto qualificato<br />

e conseguentemente:<br />

l se i valori sono rientrati nella<br />

norma, gli obiettivi si intendono<br />

raggiunti, ferma restando la ripetizione<br />

delle misure qualora variassero<br />

le condizioni;<br />

Rischio assoluto ed esposizione al radon<br />

Grafico 1<br />

[5] Professionista della radioprotezione, iscritto in appositi elenchi di cui all’Allegato V.<br />

[6] Il sievert, Sv, è l’unità di misura della dose efficace, HE, grandezza che si ipotizza essere direttamente proporzionale al rischio<br />

derivante dalla esposizione alle radiazioni ionizzanti, sulla base della pericolosità della radiazione e della differente radiosensibilità<br />

degli organi irraggiati; 3 mSv corrisponde alla dose efficace assorbita da un lavoratore che sosti nell’interrato per 2000 ore/anno<br />

ad una concentrazione 500 Bq/m 3 .<br />

[7] Per maggiori informazioni si veda, di Vergine e Elio Giroletti, Protezione dalle radiazioni ionizzanti, SE edizione Napoli, 2001.<br />

[8] Per maggiori informazioni sull’argomento si veda, degli stessi autori, Linee guida per le misure di concentrazione di radon in aria<br />

nei luoghi di lavoro sotterranei, in <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong> n. 6/2003, pag. II.<br />

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l se la dose permane > 3 mSv/<br />

anno, essendo considerato questo<br />

un livello di un rischio non trascurabile,<br />

l’esercente deve garantire<br />

la radioprotezione dei lavoratori<br />

prevista dal capo VIII, D.Lgs.<br />

n. 230/1995 (salvo alcune eccezioni)<br />

[7] . Occorre sottolineare, non<br />

senza perplessità, che queste misure<br />

andrebbero effettuate seguendo<br />

le linee guida che avrebbero<br />

dovuto esser state da tempo<br />

emanate da una apposita Commissione<br />

ministeriale, che, tuttavia,<br />

a 5 anni dalla pubblicazione<br />

del decreto e a termini ormai ampiamente<br />

scaduti per gli esercenti<br />

le attività, non è stata nemmeno<br />

costituita. Per fortuna sono state<br />

pubblicate le «Linee guida per le<br />

misure di concentrazione di radon<br />

in aria nei luoghi di lavoro<br />

sotterranei» edite a cura del Coordinamento<br />

delle Regioni e delle<br />

Province autonome di Trento e<br />

Bolzano 6 febbraio 2003 [8] che<br />

aiutano chi voglia effettuare valutazioni<br />

corrette, ma che, ragionando<br />

in via di stretto diritto, non<br />

possono assolutamente essere<br />

considerate sostitutive di quelle<br />

previste dalla legge.<br />

Normativa sul fumo<br />

di sigaretta<br />

È necessario sottolineare come<br />

la cosiddetta “legge antifumo” non<br />

possa che disciplinare le situazioni<br />

che attengono ai luoghi pubblici,<br />

aperti al pubblico e ai luoghi di<br />

lavoro e non alle case private; ma il<br />

fenomeno preoccupante segnalato<br />

dall’articolo del British Medical<br />

Journal, ovviamente, non conosce<br />

distinzioni tra case di abitazione<br />

privata e luoghi di lavoro, tra siga-<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


ette consumate mentre si lavora o<br />

mentre si guarda la televisione.<br />

Quindi, vale la pena richiamare<br />

l’attenzione sul grave effetto sinergico,<br />

indipendentemente dall’ambito<br />

dell’operatività della normativa<br />

in questione.<br />

Radioattività naturale<br />

Il D.Lgs. n. 230/1995 e seguenti<br />

modifiche e integrazioni, regolamenta<br />

non solo l’esposizione al radon,<br />

ma anche ad altre sorgenti naturali<br />

di radiazioni ionizzanti, la cui<br />

individuazione è compito del Responsabile<br />

del servizio di prevenzione<br />

e protezione, all’interno della<br />

sua collaborazione con il datore di<br />

lavoro durante il processo di valutazione<br />

dei rischi lavorativi (ex capo<br />

III-bis e Allegato I-bis, D.Lgs.<br />

n. 230/1995 e seguenti modifiche e<br />

integrazioni) e in particolare:<br />

l quando nell’attività produttiva<br />

si faccia uso o stoccaggio di mate-<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

riali ovvero produzione di residui,<br />

abitualmente non considerati radioattivi,<br />

ma che contengano radioisotopi<br />

naturali in quantità non<br />

trascurabile ai fini dell’esposizione,<br />

quali:<br />

- industria dei fertilizzanti, che<br />

utilizza minerali fosfatici, e depositi<br />

per il commercio all’ingrosso;<br />

- lavorazione di minerali nell’estrazione<br />

di:<br />

1. stagno;<br />

2. ferro-niobio da pirocloro;<br />

3. alluminio da bauxite;<br />

- lavorazione di sabbie zirconifere<br />

e produzione di materiali refrattari<br />

(produzione di smalti e piastrelle);<br />

- lavorazione di terre rare;<br />

- lavorazione e impiego di composti<br />

del torio, per elettrodi di saldatura<br />

con torio, produzione di lenti<br />

e di vetri (industria ottica) e reticelle<br />

per lampade a gas;<br />

- produzione di pigmento al<br />

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IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

biossido di titanio;<br />

- estrazione e raffinazione del<br />

petrolio ed estrazione di gas, presenza<br />

e rimozione di fanghi e incrostazioni<br />

in tubazioni e contenitori;<br />

l quando l’attività produttiva sia<br />

relativa a stabilimenti termali e industrie-attività<br />

estrattive (di materiali<br />

non propriamente considerati<br />

radioattivi);<br />

l quando l’attività produttiva sia<br />

relativa al settore aeronautico e ci<br />

si riferisca al personale navigante<br />

(generalmente a quote superiori a<br />

8000 m).<br />

In questi casi la valutazione del<br />

rischio radiologico è più complessa<br />

e, pertanto, deve essere affrontata<br />

con il supporto dell’esperto<br />

qualificato, il quale è tenuto anche<br />

a valutare le dosi a cui sono esposti<br />

i lavoratori e la popolazione e a<br />

proporre eventuali interventi migliorativi.<br />

l<br />

47


IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

Il D.Lgs. n. 230/1995 prevedeva entro il 1° marzo 2001 l’istituzione di una Sezione speciale per le esposizioni a sorgenti naturali di radiazioni<br />

Aspetti normativi e tecnici per la protezione<br />

dei lavoratori esposti al radon<br />

di Laura Trinci, Ingegnere per l’ambiente e il territorio<br />

Il decreto legislativo 17 marzo<br />

1995, n. 230, dà piena attuazione<br />

ai criteri base per la protezione<br />

sanitaria della popolazione e dei<br />

lavoratori contro i rischi derivanti<br />

dall’esposizione alle radiazioni<br />

ionizzanti contenuti<br />

nella direttiva europea<br />

n. 96/29/Euratom. Con<br />

l’emanazione del decreto<br />

legislativo 26 maggio 2000,<br />

n. 241, il D.Lgs. n. 230/1995<br />

ha ampliato il suo campo di<br />

applicazione anche ad alcune<br />

attività caratterizzate dalla<br />

possibile esposizione di lavoratori<br />

e di persone a sorgenti naturali<br />

di radiazioni. Quindi, nei luoghi<br />

di lavoro che possono portare<br />

all’esposizione a concentrazioni<br />

elevate di gas radon, soggette a<br />

costanti misurazioni dell’attività<br />

dello stesso nell’aria, è necessario<br />

verificare che queste non<br />

superino il livello di azione di 500<br />

Bq/m 3 , oltrepassato il quale<br />

il datore di lavoro deve<br />

procedere ad adottare tutte<br />

le opportune precauzioni<br />

finalizzate a ottenere la riduzione<br />

delle grandezze misurate.<br />

48<br />

Nel panorama normativo nazionale<br />

la legge quadro in<br />

materia di radioprotezione è<br />

costituita dal D.Lgs. 17 marzo 1995,<br />

n. 230, modificato e integrato dal<br />

D.Lgs. 26 maggio 2000, n. 241, e<br />

dal D.Lgs. 9 maggio 2001, n. 257, di<br />

recepimento e di attuazione della direttiva<br />

n. 96/29/Euratom, che disciplina,<br />

nella Comunità europea, i criteri<br />

di base per la protezione sanitaria<br />

della popolazione e dei lavoratori<br />

contro i rischi derivanti dall’esposizione<br />

alle radiazioni ionizzanti.<br />

L’introduzione del D.Lgs. n. 241/<br />

2000 ha, tra l’altro, esteso il campo di<br />

applicazione del D.Lgs. n. 230/1995,<br />

rendendo soggette a regolamentazione<br />

alcune particolari attività lavorative in<br />

cui la presenza di sorgenti naturali di<br />

radiazioni può comportare esposizioni<br />

non trascurabili dei lavoratori e/o di<br />

persone del pubblico.<br />

È il caso, per esempio, delle attività<br />

lavorative che, svolgendosi in luoghi<br />

di lavoro con caratteristiche particolari,<br />

possono provocare esposizione a<br />

concentrazioni anomale di gas radon.<br />

In questi luoghi di lavoro, gli esercenti<br />

hanno l’obbligo di procedere a<br />

periodiche misurazioni della concentrazione<br />

di attività del radon in aria e<br />

di verificare il rispetto del livello di<br />

azione di 500 Bq/m 3 , stabilito nell’Allegato<br />

I-bis al D.Lgs. n. 230/1995 e<br />

seguenti modifiche e integrazioni.<br />

Qualora il valore misurato superi<br />

il livello di azione, l’esercente, avvalendosi<br />

di un esperto qualificato,<br />

è tenuto a mettere in atto azioni di<br />

rimedio finalizzate a ottenere la riduzione<br />

delle grandezze misurate a<br />

valori inferiori al livello di azione.<br />

Il D.Lgs. n. 230/1995 e seguenti<br />

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modifiche e integrazioni prevedeva,<br />

entro il 1° marzo 2001, l’istituzione,<br />

nell’ambito della Commissione tecnica<br />

per la sicurezza nucleare e la protezione<br />

sanitaria, di una apposita Sezione<br />

speciale per le esposizioni a sorgenti<br />

naturali di radiazioni, a cui spettavano<br />

una serie di compiti, tra i quali:<br />

l la formulazione di criteri per l’individuazione,<br />

sul territorio nazionale, a<br />

opera delle Regioni e delle Province<br />

autonome, delle zone a elevata probabilità<br />

di alte concentrazioni di attività<br />

di radon;<br />

l l’emanazione di linee guida per<br />

l’esecuzione delle misure e per la<br />

valutazione delle relative esposizioni.<br />

La Sezione speciale della Commissione<br />

tecnica non si è a oggi ancora<br />

insediata e, di conseguenza, non si<br />

hanno a disposizione criteri e procedure<br />

definite a livello nazionale per<br />

l’identificazione delle aree a elevato<br />

rischio radon e per le modalità di conduzione<br />

delle misure di radon in aria.<br />

In mancanza delle linee guida<br />

della Sezione speciale, la Conferenza<br />

dei Presidenti delle Regioni e<br />

delle Province autonome ha pubblicato<br />

nel febbraio 2003 delle proprie<br />

«Linee guida per le misure di concentrazione<br />

di radon in aria nei luoghi<br />

di lavoro sotterranei», allo scopo<br />

di fornire dei riferimenti sulle<br />

metodologie e sulle tecniche più appropriate<br />

per il rilevamento del gas<br />

negli ambienti di lavoro sotterranei.<br />

Il decreto legislativo<br />

n. 230/1995<br />

Campo di applicazione - Art. 10-bis<br />

Le disposizioni del Capo III-bis si<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


applicano a particolari attività lavorative<br />

in cui la presenza di sorgenti naturali<br />

di radiazioni conduce a un significativo<br />

aumento dell’esposizione dei<br />

lavoratori o di persone del pubblico,<br />

che non può essere trascurato dal punto<br />

di vista della radioprotezione.<br />

Nell’ambito di queste attività, quelle<br />

che possono comportare rischio di<br />

esposizione al radon sono:<br />

l attività lavorative che si svolgono<br />

in luoghi di lavoro sotterranei, quali,<br />

per esempio, tunnel, sottovie, catacombe,<br />

grotte;<br />

l attività lavorative che si svolgono<br />

in luoghi di lavoro, diversi da quelli<br />

sotterranei, in zone ben individuate o<br />

con caratteristiche determinate, a elevata<br />

probabilità di alte concentrazioni<br />

di radon.<br />

Il compito di individuare le aree a<br />

elevata probabilità di alte concentrazioni<br />

di radon spetta, in base all’art.<br />

10-sexies, alle Regioni e alle Province<br />

autonome.<br />

Obblighi degli esercenti le attività<br />

lavorative - Art. 10-ter<br />

Nell’art. 10-ter è stabilito che nei<br />

luoghi di lavoro definiti all’art. 10-bis,<br />

lettere a) e b), gli esercenti hanno<br />

l’obbligo di effettuare misure delle<br />

concentrazioni di attività di radon medie<br />

in un anno, nel rispetto delle seguenti<br />

scadenze:<br />

l per i luoghi di lavoro sotterranei,<br />

entro 24 mesi dall’inizio dell’attività<br />

o, per attività già in corso, entro 24<br />

mesi dal 1° marzo 2002;<br />

l per i luoghi di lavoro diversi da<br />

quelli sotterranei, con elevata probabilità<br />

di alte concentrazioni di radon, entro<br />

24 mesi dall’individuazione delle<br />

aree o dall’inizio dell’attività, se posteriore<br />

(a partire dai locali seminterrati<br />

o al piano terreno).<br />

È, inoltre, stabilito che le misure<br />

debbano essere condotte secondo le<br />

indicazioni delle linee guida della Sezione<br />

speciale per le esposizioni a<br />

sorgenti naturali di radiazioni (art. 10septies)<br />

della Commissione tecnica<br />

per la sicurezza nucleare e la protezione<br />

sanitaria (art. 9), avvalendosi di<br />

organismi “riconosciuti” (art. 107,<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

comma 3) o, nelle more dei riconoscimenti,<br />

di organismi “idoneamente<br />

attrezzati”, che rilascino una relazione<br />

tecnica contenente il risultato della<br />

misura.<br />

In conseguenza del mancato insediamento<br />

della Sezione speciale, le<br />

linee guida per le misure non sono<br />

state ancora emanate, lasciando nella<br />

completa confusione sia gli esercenti,<br />

sia gli organismi di misura nonché gli<br />

organi di controllo. Per supplire, in<br />

parte, all’assenza delle direttive ufficiali<br />

sulle modalità di esecuzione delle<br />

misure di radon in aria, è possibile<br />

fare riferimento al documento della<br />

Conferenza dei Presidenti delle Regioni<br />

e delle Province autonomedel<br />

2003.<br />

Livelli di azione - Allegato I-bis<br />

Nell’Allegato I-bis vengono fissati,<br />

per i luoghi di lavoro di cui all’art. 10bis,<br />

comma 1, lettere a) e b), i seguenti<br />

livelli di azione:<br />

l concentrazione di attività di radon<br />

media in una anno - 500 Bq/m 3 ;<br />

l dose efficace - 3 mSv/anno.<br />

I livelli di azione rappresentano soglie<br />

che non devono essere superate<br />

dai valori misurati per le grandezze a<br />

cui essi si riferiscono.<br />

Obblighi degli esercenti -<br />

Art. 10-quater e art. 10-quinquies<br />

Nei luoghi di lavoro di cui all’art.<br />

10-bis, comma 1, lettere a) e b), i valori<br />

misurati secondo le procedure di<br />

cui all’art. 10-ter, della concentrazione<br />

di attività di radon in aria, non devono<br />

superare il livello di azione<br />

(LdA) di 500 Bq/m 3 stabilito nell’Allegato<br />

I-bis.<br />

In particolare, possono verificarsi<br />

tre differenti situazioni (si veda lo<br />

schema 1):<br />

l concentrazione misurata < 80% del<br />

LdA - l’esercente conserva la relazione<br />

tecnica rilasciata dall’organismo di<br />

misura e assicura la ripetizione delle<br />

misurazioni a distanza di 3 anni;<br />

l concentrazione misurata compresa<br />

tra l’80% e il 100% del LdA - l’esercente<br />

conserva la relazione tecnica rilasciata<br />

dall’organismo di misura e as-<br />

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IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

sicura la ripetizione delle misurazioni<br />

nel corso dell’anno successivo;<br />

l concentrazione misurata > LdA -<br />

l’esercente deve:<br />

- entro 1 mese dal rilascio della<br />

relazione tecnica delle misure, inviare<br />

alle Agenzie Regionali o alle Province<br />

autonome competenti per il territorio,<br />

agli organi del Servizio sanitario nazionale<br />

e alla Direzione provinciale<br />

del lavoro, una comunicazione con<br />

l’indicazione del tipo di attività lavorativa<br />

e la relazione tecnica rilasciata<br />

dall’organismo che ha effettuato le<br />

misure;<br />

- porre in essere, avvalendosi di un<br />

esperto qualificato, azioni di rimedio<br />

volte a ridurre le grandezze misurate<br />

al di sotto del LdA entro 3 anni dal<br />

rilascio della relazione delle misure e<br />

tenendo conto dell’urgenza correlata<br />

all’entità del superamento del livello<br />

di legge;<br />

- procedere all’esecuzione di nuove<br />

misure al fine di verificare l’efficacia<br />

delle azioni di rimedio attuate;<br />

- ove, nonostante l’adozione di<br />

azioni di rimedio, le grandezze misurate<br />

risultino ancora superiori al livello<br />

prescritto, adottare i provvedimenti<br />

per la protezione sanitaria dei<br />

lavoratori previsti dal Capo VIII (a<br />

eccezione delle disposizioni dell’art.<br />

61, commi 2 e 3, lettera g), degli artt.<br />

69 e 79, commi 2 e 3), fintanto che<br />

ulteriori azioni di rimedio non riducano<br />

le grandezze al di sotto del livello<br />

di azione, tenendo conto del<br />

principio di ottimizzazione.<br />

A fronte del superamento del limite<br />

di 500 Bq/m 3 di concentrazione di<br />

attività del radon in aria, gli esercenti -<br />

con l’esclusione degli esercenti degli<br />

asili-nido, scuole materne e scuole<br />

dell’obbligo, possono essere esonerati<br />

dall’obbligo di adottare azioni di rimedio<br />

entro 3 anni quando, avvalendosi<br />

dell’esperto qualificato, dimostrino<br />

che nessun lavoratore è esposto a<br />

una dose efficace superiore al livello<br />

di azione di 3 mSv/anno, stabilito per<br />

questa grandezza nell’Allegato I-bis.<br />

Questa situazione può, per esempio,<br />

verificarsi per particolari ambienti<br />

di un dato luogo di lavoro, occupati<br />

49


50<br />

IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

< 80% LdA<br />

Conservazione della relazione<br />

della misura e ripetizione<br />

delle misure dopo 3 anni<br />

Applicazione delle norme<br />

a protezione dei lavoratori<br />

del Capo VIII, con alcune<br />

esclusioni e fino al successo<br />

di ulteriori provvedimenti<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

Attività lavorative con radon<br />

D.Lgs. n. 230/1995 e s.m.i.<br />

Capo III-bis, art. 10-bis, comma 1, lettere a) e b)<br />

Misure di concentrazione di attività di radon in aria (media in 1 anno)<br />

80% LdA - 100% LdA<br />

Conservazione della relazione<br />

della misura e ripetizione<br />

delle misure dopo 1 anno<br />

Esonero dall'obbligo<br />

di adottare azioni di<br />

rimedio entro 3 anni<br />

No<br />

Altre<br />

attività<br />

Con l'applicazione delle<br />

azioni di rimedio i valori<br />

risultano < LdA?<br />

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> LdA<br />

Schema 1<br />

Invio della relazione delle<br />

misure agli organi competenti<br />

Dose efficace < 3 mSv/anno<br />

per ciascun lavoratore?<br />

Sì<br />

Valutazione tramite<br />

esperto qualificato<br />

Asili nido, scuole<br />

materne o<br />

dell'obbligo<br />

No<br />

Azioni di rimedio<br />

entro tre anni<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


solo saltuariamente dal personale<br />

(magazzini, spogliatoi ecc.) per i quali<br />

un’eventuale elevata concentrazione<br />

del radon, superiore al livello di legge,<br />

comporta, comunque, una modesta<br />

esposizione ovvero un livello di dose<br />

inferiore al valore limite, in conseguenza<br />

dei ridotti tempi di permanenza<br />

che caratterizzano questi ambienti.<br />

Compiti delle istituzioni<br />

Art. 10-quater<br />

Nei casi di superamento del livello<br />

di azione di 500 Bq/m 3 , le ARPA o le<br />

APPA competenti per il territorio, gli<br />

organi del Servizio sanitario nazionale<br />

e le Direzioni provinciali del lavoro,<br />

ricevono dall’esercente l’attività lavorativa,<br />

la comunicazione corredata<br />

della relazione prodotta dall’organismo<br />

di misura.<br />

Le Direzioni provinciali del lavoro<br />

provvedono, a loro volta, a trasmettere<br />

queste comunicazioni al Ministero<br />

del Lavoro e delle Politiche Sociali,<br />

che organizza i dati ricevuti in un archivio<br />

nazionale e, su richiesta, li fornisce<br />

alle autorità di vigilanza e ai ministeri<br />

interessati.<br />

Organismi di misura<br />

Art. 107, comma 3<br />

L’art. 107, comma 3, stabilisce<br />

che gli organismi di misura vengano<br />

“riconosciuti”, in base ai tipi<br />

di apparecchi di misura e alle metodiche<br />

impiegate, da istituti previamente<br />

abilitati.<br />

Viene, inoltre, stabilito che le<br />

modalità per l’abilitazione dei predetti<br />

istituti siano disciplinate con<br />

decreto del Ministro del Lavoro e<br />

delle Politiche sociali, di concerto<br />

con i Ministri dell’Industria, del<br />

Commercio e dell’Artigianato, dell’Interno<br />

e della Sanità, sentiti<br />

l’ANPA (ora APAT), l’istituto di<br />

metrologia primaria delle radiazioni<br />

ionizzanti e l’ISPESL.<br />

Al momento, in attesa dell’emanazione<br />

del decreto per l’abilitazione degli<br />

istituti al riconoscimento degli organismi<br />

di misura e per i 3 anni successivi<br />

alla sua entrata in vigore, all’APAT<br />

e all’ISPESL sono attribuite,<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

ai sensi dell’art. 160, comma 4, funzioni<br />

di istituti abilitati.<br />

I due istituti non hanno, tuttavia,<br />

stabilito criteri comuni per il riconoscimento<br />

e per la disciplina delle caratteristiche<br />

e dei requisiti minimi degli<br />

organismi di misura, di fatto, quindi,<br />

le misure possono essere condotte<br />

da organismi idoneamente attrezzati,<br />

sulla base di una sorta di “autoreferenziazione”.<br />

Contravvenzioni al Capo III-bis<br />

Art. 142-bis<br />

L’esercente che viola gli obblighi<br />

di cui agli articoli 10-ter, 10-quater,<br />

10-quinquies è punito con l’arresto sino<br />

a 3 mesi o con l’ammenda da €<br />

2.582 ad€10.329.<br />

Individuazione delle aree<br />

Art. 10-sexies<br />

L’art. 10-sexies stabilisce che l’individuazione<br />

delle zone o luoghi di<br />

lavoro con caratteristiche determinate,<br />

a elevata probabilità di alte concentrazioni<br />

di radon, di cui all’art.<br />

10-bis, lettera b), venga effettuata<br />

dalle Regioni o dalle Province autonome<br />

localmente competenti, sulla<br />

base di linee guida e criteri emanati<br />

dalla Sezione speciale della Commissione<br />

tecnica. A tal fine, è inoltre<br />

stabilito che, qualora siano già disponibili<br />

dati e valutazioni tecnicoscientifiche,<br />

le Regioni o le Province<br />

autonome debbano sottoporre alla<br />

Commissione tecnica i metodi e i criteri<br />

utilizzati al fine di ottenere un<br />

parere sulla congruenza con i criteri<br />

definiti a livello nazionale; in alternativa,<br />

dovranno avviare apposite campagne<br />

di indagine per la raccolta dei<br />

dati nei rispettivi territori.<br />

L’elenco delle zone a rischio radon<br />

dovrà essere aggiornato ogni qual volta<br />

i risultati di nuove indagini ne suggeriscano<br />

la necessità.<br />

Il termine per la prima individuazione<br />

delle aree a rischio radon è il 31<br />

agosto 2005.<br />

In conseguenza del mancato insediamento<br />

della Sezione speciale non<br />

sono stati elaborati i criteri per l’individuazione<br />

delle aree a elevato rischio<br />

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IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

radon e, pertanto, le Regioni e le Province<br />

autonome non hanno a disposizione<br />

per le valutazioni degli standard<br />

definiti a livello nazionale.<br />

La Commissione tecnica - Art. 9<br />

L’art. 9 stabilisce che, con decreto<br />

del Presidente del Consiglio dei Ministri,<br />

vengano nominati i membri di<br />

una «Commissione tecnica per la sicurezza<br />

nucleare e la protezione sanitaria»,<br />

istituita presso l’APAT e costituita<br />

da 16 esperti in questioni di sicurezza<br />

nucleare o di protezione sanitaria<br />

dalle radiazioni ionizzanti o di difesa<br />

contro gli incendi.<br />

La Sezione speciale della Commissione<br />

tecnica - Art. 10-septies<br />

L’art. 10-septies prevede che, nell’ambito<br />

della Commissione tecnica<br />

per la sicurezza nucleare e la protezione<br />

sanitaria, venga istituita una «Sezione<br />

speciale per le esposizioni a sorgenti<br />

naturali di radiazioni» con i seguenti<br />

compiti:<br />

l elaborare linee guida per le misure<br />

del radon e per la valutazione delle<br />

relative esposizioni;<br />

l definire i criteri per l’individuazione<br />

delle zone e dei luoghi di lavoro<br />

con elevata probabilità di alta concentrazione<br />

di radon;<br />

l formulare proposte di adeguamento<br />

e aggiornamento della normativa,<br />

l formulare proposte ai fini dell’adozione<br />

omogenea di misure correttive e<br />

provvedimenti volti ad assicurare un<br />

livello ottimale di radioprotezione nelle<br />

attività del Capo III-bis;<br />

l fornire indicazioni sui programmi<br />

dei corsi di istruzione e di aggiornamento<br />

per la misura del radon e del<br />

toron e per l’applicazione di azioni di<br />

rimedio.<br />

La Sezione speciale della Commissione<br />

tecnica avrebbe dovuto<br />

insediarsi entro i 6 mesi successivi<br />

alla data di pubblicazione del<br />

D.Lgs. n. 241/2000, ovvero entro il<br />

1° marzo 2001 e, entro l’anno successivo<br />

al suo insediamento, avrebbe<br />

dovuto emanare le linee guida<br />

per le misure del radon e per la<br />

valutazione delle relative esposi-<br />

51


52<br />

IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

Riquadro 1<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


zioni nonché i criteri per l’individuazione<br />

delle zone e dei luoghi di<br />

lavoro con elevata probabilità di alta<br />

concentrazione di radon. Il mancato<br />

insediamento della Sezione<br />

speciale non ha consentito l’emanazione<br />

di queste linee guida e dei<br />

criteri, rendendo difficile, sia agli<br />

esercenti, sia agli organismi di misura,<br />

sia alle istituzioni, lo svolgimento<br />

dei rispettivi compiti.<br />

Le linee guida<br />

per le misure del radon<br />

Per fare fronte alla mancanza di<br />

criteri nazionali sulle metodologie e<br />

sulle tecniche di misura della concentrazione<br />

di radon, la Conferenza dei<br />

Presidenti delle Regioni e delle Province<br />

Autonome ha pubblicato, nel<br />

febbraio 2003, il documento «Linee<br />

guida per le misure di concentrazione<br />

di radon in aria nei luoghi di lavoro<br />

sotterranei», elaborato da un gruppo<br />

tecnico composto da rappresentanti<br />

delle Regioni Emilia Romagna, Lombardia,<br />

Toscana, Umbria e Veneto, coordinato<br />

dalla Regione Lombardia.<br />

Questo documento può essere preso<br />

a riferimento dagli esercenti, dagli<br />

organismi di misura e dagli organi di<br />

vigilanza, per la definizione delle modalità<br />

di misura del radon in ambienti<br />

confinati - anche differenti da quelli di<br />

lavoro sotterranei - in attesa che vengano<br />

emanate le linee guida della Sezione<br />

speciale della Commissione tecnica,<br />

secondo le procedure previste<br />

dal D.Lgs. n. 230/1995 e seguenti modifiche<br />

e integrazioni<br />

Definizione di locale<br />

o ambiente sotterraneo<br />

Un locale o un ambiente con almeno<br />

tre pareti sotto il piano di<br />

campagna è definito sotterraneo (in<br />

questa definizione sono inclusi i locali<br />

con un’apertura verso l’esterno<br />

e quelli circondati da un’intercapedine<br />

aerata).<br />

Metodi di misura<br />

Il livello di azione per il radon negli<br />

ambienti di lavoro è fissato dalla<br />

normativa in termini di concentrazio-<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

ne di attività media annua in aria. Poiché<br />

in Italia non si hanno attualmente<br />

a disposizione fattori di correzione<br />

stagionale che permettano di ricondurre<br />

misure di durata inferiore all’anno<br />

a valori medi annuali, è necessario<br />

impiegare tecniche di misura di lunga<br />

durata che garantiscano cioè, mediante<br />

una o più esposizioni, la copertura<br />

dell’intero anno solare.<br />

Le tecniche di misura di lunga durata<br />

sono di tipo passivo e possono<br />

impiegare rivelatori a tracce nucleari o<br />

a elettrete.<br />

Per assicurare l’affidabilità e la ripetibilità<br />

delle misure, il sistema impiegato<br />

dovrà essere periodicamente<br />

sottoposto a taratura e a un programma<br />

di assicurazione della qualità dei<br />

dati che comprenda la partecipazione<br />

a circuiti di interconfronto presso un<br />

centro SIT (Sistema Italiano di Taratura),<br />

se esistente, o presso un analogo<br />

centro europeo.<br />

Collocazione degli<br />

strumenti di misura<br />

Nei luoghi di lavoro sotterranei<br />

sottoposti a monitoraggio, la scelta del<br />

posizionamento dei rivelatori deve essere<br />

fatta in modo tale che la misura<br />

registrata sia rappresentativa della reale<br />

esposizione dei lavoratori addetti.<br />

Non dovranno, pertanto, essere selezionati<br />

per le misure gli ambienti di<br />

norma non frequentati o, comunque,<br />

non occupati con continuità dal personale,<br />

quali, per esempio, corridoi, bagni<br />

o spogliatoi.<br />

Gli ambienti che restano chiusi per<br />

lunghi periodi e che non sono occupati<br />

da vere e proprie postazioni di lavoro<br />

(per esempio, i magazzini o i bunker<br />

delle banche) andranno monitorati solo<br />

se il personale nel suo complesso vi<br />

trascorre una frazione di tempo superiore<br />

indicativamente a 10 ore mensili.<br />

In linea generale, la concentrazione<br />

di radon andrà rilevata in tutti i locali<br />

fisicamente separati di un dato edificio<br />

da sottoporre a monitoraggio.<br />

Qualora nell’edificio vi sia un gran<br />

numero di locali separati di caratteristiche<br />

“analoghe”, in termini di tipo di<br />

attività che vi si svolge, caratteristiche<br />

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IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

costruttive e entità della ventilazione,<br />

previa produzione di un’apposita relazione<br />

in merito da tenere a disposizione<br />

degli organi di vigilanza, potrà essere<br />

giustificata la riduzione del numero<br />

degli ambienti da monitorare. In<br />

ogni caso, qualora la concentrazione<br />

di radon rilevata negli ambienti selezionati<br />

per la misura, superasse il livello<br />

di azione di 500 Bq/m 3 stabilito<br />

dalla normativa, dovranno essere sottoposti<br />

a misura anche tutti gli altri<br />

locali inizialmente esclusi.<br />

Vengono raccomandate le due<br />

strategie di misura riportate nella tabella<br />

1.<br />

I dosimetri per la rilevazione della<br />

concentrazione di radon dovranno essere<br />

collocati a un’altezza da terra variabile<br />

tra 1 e 3 metri, lontano da fonti<br />

di calore o da fonti di ricambio di aria,<br />

quali, per esempio, porte, finestre o<br />

ventilatori.<br />

In luoghi di lavoro sotterranei particolari,<br />

quali tunnel, sottovie, catacombe<br />

e grotte, le misure andranno eseguite<br />

in corrispondenza dei punti in cui, di<br />

norma, stazionano i lavoratori addetti e<br />

impiegando una strumentazione adatta,<br />

in relazione ai possibili elevati livelli di<br />

concentrazione e alle particolari condizioni<br />

microclimatiche.<br />

Trasporto e conservazione<br />

dei dosimetri e dei rivelatori<br />

I dosimetri e i rivelatori dovranno<br />

essere opportunamente conservati prima<br />

e dopo l’utilizzo, in modo da evitare<br />

contributi di esposizioni aggiuntive.<br />

Scheda informativa<br />

L’esercente dell’attività lavorativa<br />

dovrà comunicare all’organismo incaricato<br />

dell’effettuazione delle misure<br />

un certo numero di informazioni sintetizzate<br />

in un modello come quello allegato<br />

al documento della Conferenza<br />

dei Presidenti delle Regioni e delle<br />

Province Autonome (si veda il riquadro<br />

1).<br />

Al laboratorio di misura andranno,<br />

inoltre, comunicati, per ciascun dosimetro<br />

posizionato, dati relativi a:<br />

l identificativo del luogo di posizionamento;<br />

53


54<br />

IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

Strategie di misura<br />

l data e ora di inizio esposizione;<br />

l data e ora di fine esposizione.<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

Categoria di ambiente Numero di misura<br />

Locali fisicamente separati di piccole dimensioni<br />

(> 50 m 2 )<br />

Ambienti di medie e grandi dimensioni 1 misura ogni 100 m 2<br />

Requisiti minimi<br />

degli organismi di misura<br />

Fintanto che non vengano disciplinate<br />

con apposito decreto, secondo le<br />

procedure stabilite nel D.Lgs. n. 230/<br />

1995 e seguenti modifiche e integrazioni,<br />

le modalità per l’abilitazione<br />

degli istituti al riconoscimento degli<br />

organismi di misura, si possono considerare<br />

“idoneamente attrezzati” gli organi<br />

di misura dotati, almeno, dei seguenti<br />

requisiti:<br />

l responsabile tecnico con adeguata<br />

formazione tecnico-scientifica ed<br />

esperienza documentata in materia di<br />

misure della concentrazione di radon<br />

in aria;<br />

l chiara individuazione dei compiti e<br />

delle responsabilità delle persone abilitate<br />

all’esecuzione delle misure e all’attestazione<br />

della loro validità;<br />

l utilizzo di una tecnica di misura<br />

idonea e garanzia che tutto il ciclo<br />

della misura sia tenuto sotto controllo:<br />

- gli organismi che impiegano rivelatori<br />

a elettrete dovranno essere dotati<br />

anche di strumentazione per la misura<br />

della radiazione gamma, che andrà<br />

sottratta come contributo di fondo;<br />

- gli organismi di misura che utilizzano<br />

due rivelatori per ciascuna postazione<br />

di misura dovranno fornire come<br />

risultato la media delle due rilevazioni,<br />

a meno che lo scarto tra le due<br />

misure non sia superiore al 20-30%, a<br />

seconda del livello di concentrazione<br />

rilevato;<br />

- nei casi in cui il livello medio<br />

annuo sia misurato mediante diverse<br />

esposizioni su periodi consecutivi, il<br />

risultato dovrà essere fornito come<br />

media pesata sulla durata dei diversi<br />

periodi di esposizione;<br />

- ai risultati delle misure dovrà essere<br />

sempre associata l’incertezza, da<br />

calcolare secondo la norma UNI CEI<br />

ENV 13005;<br />

l periodica taratura della tecnica di<br />

misura e controllo del funzionamento<br />

delle apparecchiature prima di ogni<br />

serie di misure:<br />

- per i rivelatori ad elettrete:<br />

1. taratura del sistema di lettura<br />

una volta all’anno;<br />

2. verifica del corretto funzionamento<br />

del sistema di lettura mediante<br />

elettreti di riferimento, con periodicità<br />

dipendente dalla frequenza di utilizzo<br />

del sistema;<br />

- per i rivelatori a tracce:<br />

1. taratura del sistema di misura<br />

(materiale e strumenti) all’acquisto e,<br />

in seguito, ogni qual volta vi sia una<br />

modifica (partita del materiale, strumento,<br />

condizioni di utilizzo);<br />

2. verifica del corretto funzionamento<br />

delle apparecchiature prima di<br />

ogni serie di misure o con una periodicità<br />

stabilita;<br />

- la taratura dei metodi di misura<br />

dovrà garantire la riferibilità a campioni<br />

primari, tramite un centro SIT<br />

(se esistente) o un istituto equivalente;<br />

- per i luoghi di lavoro sotterranei<br />

particolari quali tunnel, sottovie,<br />

catacombe e grotte, la taratura<br />

dovrà essere riferita a condizioni<br />

ambientali analoghe a quelle reali<br />

di misura, a meno che i dati a disposizione<br />

non mostrino una sostanziale<br />

indipendenza del fattore<br />

di taratura rispetto a queste condizioni;<br />

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TABELLA 1<br />

1 misura in ciascun locale (salvo quanto sopra previsto<br />

per locali di caratteristiche “analoghe”)<br />

l periodico controllo della qualità<br />

dei dati e partecipazione a circuiti di<br />

interconfronto organizzati da centri<br />

SIT o da istituti europei equivalenti:<br />

- almeno una volta ogni tre anni e<br />

assicurando l’adozione di azioni correttive<br />

a garanzia del ripristino dell’affidabilità<br />

del sistema, qualora i risultati<br />

dell’interconfronto non siano adeguati;<br />

l utilizzo di procedure e istruzioni<br />

scritte per le misure, le tarature, i<br />

controlli di funzionamento e di qualità;<br />

l rilascio del resoconto delle misure<br />

firmato dal responsabile tecnico,<br />

contenente le seguenti informazioni:<br />

- intestazione dell’organismo che<br />

rilascia il documento;<br />

- codice di identificazione del documento;<br />

- dati anagrafici del committente;<br />

- tecnica di misura utilizzata;<br />

- periodi di esposizione dei rivelatori<br />

e relativi risultati in termini di<br />

concentrazione;<br />

- risultato della concentrazione di<br />

radon media annua associato al luogo<br />

della misura, chiaramente individuato<br />

(se in un luogo di lavoro vengono effettuate<br />

misure in più locali/ambienti<br />

o più misure in uno stesso ambiente, è<br />

necessario che nella scheda informativa<br />

compilata dal committente sia<br />

identificato ciascun punto di misura e<br />

che lo stesso identificativo sia riportato<br />

nella relazione);<br />

- incertezza associata a tutti i risultati<br />

delle misure;<br />

- firma della persona che ha effettuato<br />

le misure e di chi autorizza il<br />

rilascio del risultato;<br />

- eventuali note relative ai risultati.<br />

l<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


L'APPROFONDIMENTO<br />

IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

L’isotopo 222 ( 222 Rn) è un gas inodore e incolore discendente della catena di decadimento radioattivo dell’uranio 238<br />

Il controllo del radon negli ambienti residenziali:<br />

le indicazioni delle linee guida APAT/CTN-AGF<br />

di Laura Trinci, Ingegnere per l’ambiente e il territorio<br />

Il radon è un elemento naturale<br />

a cui tutti gli esseri viventi sono<br />

da sempre, in misura variabile,<br />

naturalmente esposti.<br />

Le abitudini di vita e, in<br />

particolare, il fatto di trascorrere<br />

gran parte del tempo all’interno<br />

di ambienti confinati, nonché<br />

la riduzione della ventilazione<br />

negli edifici legata ai programmi<br />

di risparmio energetico, hanno<br />

prodotto un incremento<br />

del rischio di esposizione al gas<br />

e ai suoi prodotti di decadimento.<br />

Il radon è considerato uno<br />

dei principali contaminanti<br />

dell’aria indoor a causa della<br />

sua accertata cancerogenicità<br />

nei confronti dell’uomo. Secondo<br />

le più recenti stime dell’UNSCEAR<br />

­ United Nations Scientific<br />

Committee on the Effects of<br />

Atomic Radiation ­ tra tutte<br />

le sorgenti naturali di radiazioni<br />

ionizzanti, esso è responsabile<br />

della parte più rilevante<br />

del valore di 2,4 mSv/anno<br />

stimato per la dose efficace<br />

all’uomo (ovvero l’irradiazione<br />

al corpo intero) derivante<br />

dall’esposizione al cosiddetto<br />

fondo naturale di radiazioni.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

In Italia la normativa radioprotezionistica,<br />

costituita dal D.Lgs. n.<br />

230/1995 modificato e integrato<br />

dal D.Lgs. n. 241/2000 e dal D.Lgs.<br />

n. 257/2001, prevede l’obbligo del<br />

monitoraggio della concentrazione di<br />

attività del radon in aria (e il rispetto<br />

di un valore di soglia di 500 Bq/m 3 )<br />

solo all’interno di alcuni particolari<br />

ambienti di lavoro, mentre restano<br />

esclusi da regolamentazione gli edifici<br />

a uso abitativo.<br />

Sono disponibili a livello sopranazionale<br />

alcune autorevoli indicazioni<br />

in merito ai livelli di radon in aria<br />

all’interno delle abitazioni, a garanzia<br />

della tutela della salute pubblica.<br />

In particolare l’OMS ha suggerito un<br />

livello medio annuo di concentrazione<br />

di attività di radon pari a 200 Bq/<br />

m 3 , mentre la Comunità Europea, attraverso<br />

la raccomandazione n. 90/<br />

143/Euratom, ha indicato agli Stati<br />

membri un livello di 400 Bq/m 3 per<br />

il risanamento di edifici già esistenti<br />

e di 200 Bq/m 3 per edifici di nuova<br />

realizzazione. Queste indicazioni non<br />

sono ancora state recepite dalla normativa<br />

italiana.<br />

Nonostante l’assenza di normative<br />

specifiche per il controllo del radon in<br />

ambienti diversi da quelli di lavoro, i<br />

vari laboratori (per esempio i Centri<br />

di Riferimento Regionali per la Radioattività)<br />

presenti sul territorio italiano,<br />

hanno intrapreso numerose<br />

campagne di misura volte a determi-<br />

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nare la concentrazione di radon nelle<br />

scuole e nelle abitazioni delle varie<br />

regioni italiane.<br />

Di particolare rilievo è l’Indagine<br />

Nazionale sulla radioattività naturale<br />

nelle abitazioni, condotta nei primi<br />

anni novanta con il coordinamento<br />

dell’ISS e dell’ENEA-DISP (oggi<br />

APAT) [1] .<br />

Uno studio effettuato dal CTN-<br />

AGF - Centro Tematico Nazionale<br />

per gli Agenti Fisici - conferma che<br />

in Italia, a tutto il 2001, erano state<br />

condotte (o erano in corso di svolgimento)<br />

diverse campagne di misura a<br />

valenza territoriale, in scuole ed edifici<br />

a uso abitativo [2] . Da questo rapporto<br />

emerge una notevole varietà<br />

degli approcci di indagine impiegati,<br />

in particolare per quanto riguarda<br />

le strategie per il campionamento,<br />

gli strumenti di misura e le durate dei<br />

periodi di esposizione dei rivelatori.<br />

Anche nel contesto delle attività<br />

lavorative regolamentate in materia<br />

di radon dal D.Lgs. n. 230/1995 e<br />

successive modifiche e integrazioni,<br />

non si ha a disposizione una norma<br />

tecnica che orienti i laboratori e gli<br />

operatori del settore nella selezione<br />

delle metodologie di indagine più appropriate<br />

e nelle modalità di esecuzione<br />

delle misure. Il compito di redigere<br />

linee guida per le misure di<br />

radon in aria e per la valutazione delle<br />

relative esposizioni, spettava a una<br />

apposita «Sezione speciale per le<br />

[1] ISS-ANPA- Indagine nazionale sulla radioattività naturale nelle abitazioni - ISTISAN Congressi 34; 1994.<br />

Bochicchio et al.- Results of the representative Italian national survey on radon indoors - Health Phys. 71 (5): 743-750; 1996.<br />

Bochicchio et al. - Results of the National Survey on radon indoors in all the 21 Italian regions - Proc. Workshop “Radon in the<br />

Living Environment”, 19-23 April 1999, Athens, Greece, 997-1006; 1999.<br />

[2] CTN-AGF- Task 06-12-2001 “Rassegna nazionale delle iniziative di monitoraggio in tema di radon per la caratterizzazione del<br />

territorio”; 2001.<br />

55


IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

esposizioni a sorgenti naturali di radiazioni<br />

ionizzanti» della «Commissione<br />

tecnica per la sicurezza nucleare<br />

e la protezione sanitaria» (art. 10septies<br />

del D.Lgs. n. 230/1995 e seguenti<br />

modifiche e integrazioni) tuttavia,<br />

non ancora insediatasi.<br />

In mancanza delle linee guida della<br />

Sezione speciale della Commissione<br />

tecnica, la Conferenza dei Presidenti<br />

delle Regioni e delle Province<br />

Autonome ha emanato nel febbraio<br />

2003 delle proprie «Linee guida per<br />

le misure della concentrazione di radon<br />

in aria nei luoghi di lavoro sotterranei»,<br />

che possono essere prese a<br />

riferimento per le procedure da seguire<br />

nell’esecuzione delle misure<br />

anche in luoghi diversi da quelli sotterranei.<br />

Cos’è il radon<br />

Il radon, inteso come l’isotopo<br />

222 ( 222 Rn), è un gas inodore e incolore<br />

discendente della catena di decadimento<br />

radioattivo dell’uranio 238.<br />

A sua volta radioattivo, il radon è<br />

caratterizzato da un tempo di dimezzamento<br />

pari a circa 4 giorni e, per<br />

effetto del decadimento spontaneo,<br />

genera una serie di radionuclidi figli<br />

cosiddetti a vita breve, con tempi di<br />

dimezzamento non superiori a poche<br />

decine di minuti.<br />

Questo gas è emanato da alcune<br />

tipologie di rocce costituenti la crosta<br />

terrestre, dai suoli e dai materiali da<br />

costruzione (in particolare tufi, pozzolane<br />

e graniti), nonché in misura<br />

molto minore dalle acque, in cui è<br />

solubile. Può, inoltre, essere rilasciato<br />

da materiali di origine artificiale.<br />

Il rischio da esso posto è principalmente<br />

imputabile all’esposizione<br />

in ambienti confinati (per esempio<br />

uffici e abitazioni), in ragione del fatto<br />

che all’aria aperta tende a disperdersi<br />

rapidamente, raggiungendo valori<br />

di concentrazione in genere poco<br />

rilevanti dal punto di vista della radioprotezione.<br />

Il radon presente all’interno di un<br />

edificio deriva essenzialmente dal<br />

suolo sul quale poggia l’edificio stesso,<br />

penetrando attraverso fessure o<br />

56<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

spaccature nelle pavimentazioni. Il<br />

tasso di emissione dipende dalle caratteristiche<br />

chimiche (essenzialmente<br />

contenuto di uranio), dalle caratteristiche<br />

fisiche (permeabilità) e dallo<br />

stato (secco, umido, ricoperto di<br />

ghiaccio o neve) del suolo, nonché<br />

dalle condizioni meteorologiche<br />

(temperatura del suolo e dell'aria,<br />

pressione, venti).<br />

Il radon può, inoltre, essere emesso<br />

dalle pareti degli edifici qualora i<br />

materiali impiegati per la loro costruzione<br />

contengano significative quantità<br />

di radionuclidi naturali, ovvero risalire<br />

attraverso di esse nel caso di<br />

vecchie case con mura molto spesse,<br />

rea-lizzate con pietre e ricoperte solo<br />

esternamente con intonaco.<br />

In linea generale, all’interno di<br />

un’abitazione, la pressione è leggermente<br />

inferiore alla pressione esterna,<br />

di conseguenza l’aria tende a permanere<br />

all’interno della casa; ciò,<br />

ovviamente, anche in funzione delle<br />

condizioni di ventilazione sia passiva<br />

(perdite dovute a difetti di isolamento),<br />

sia attiva (circolazione d’aria per<br />

apertura delle finestre). L’esposizione<br />

al radon indoor è, pertanto, correlata<br />

anche alle abitudini di vita, in termini<br />

non solo di entità della ventilazione,<br />

ma anche, per esempio, di tempi di<br />

permanenza all’interno dell’abitazione<br />

e nelle diverse parti di essa.<br />

Le linee guida APAT/CTN­AGF<br />

Il CTN-AGF, nell’ambito della<br />

task coordinata dall’APAT e costituita<br />

dalle ARPA di Veneto, Piemonte e<br />

Valle d’Aosta e dalle APPA delle<br />

Province autonome di Trento e Bolzano,<br />

ha sviluppato il documento<br />

«Linee guida per le misure di radon<br />

in ambienti residenziali» (RTI CTN-<br />

AGF 4/2004). Questo documento è<br />

stato elaborato allo scopo di fornire<br />

indicazioni e riferimenti operativi<br />

circa le metodologie di indagine da<br />

impiegare per una corretta valutazione<br />

della concentrazione di radon all’interno<br />

degli ambienti a uso abitativo.<br />

Atteso che la normativa nazionale<br />

non prevede alcuna particolare disposizione<br />

per il controllo del radon<br />

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in ambienti diversi da quelli di lavoro,<br />

la linea guida sviluppata si rivolge<br />

soprattutto a considerare il problema<br />

dei privati che si trovino nell’esigenza<br />

di effettuare valutazioni sulla presenza<br />

del gas all’interno delle proprie<br />

abitazioni, attraverso misure della<br />

concentrazione di attività, tipicamente<br />

mediante servizi a pagamento.<br />

Vengono individuate sei possibili<br />

situazioni di interesse:<br />

l misure di controllo in un’abitazione<br />

già esistente;<br />

l misure in previsione dell’adozione<br />

di azioni di bonifica a seguito di<br />

rischio accertato di presenza elevata<br />

di radon;<br />

l misure in vista di attività di ristrutturazione<br />

dell’edificio;<br />

l misure in previsione della realizzazione<br />

di una nuova costruzione;<br />

l misure per la verifica del buon<br />

funzionamento delle misure di abbattimento<br />

del radon;<br />

l misure per il monitoraggio ambientale<br />

e la mappatura del radon sul<br />

territorio.<br />

Inoltre, vengono indicate alcune<br />

regole di carattere generale per una<br />

corretta valutazione della concentrazione<br />

del gas nelle abitazioni:<br />

l le misure dovranno essere preferibilmente<br />

condotte all’interno di<br />

una stanza regolarmente utilizzata,<br />

disposta cautelativamente al piano<br />

più basso dell’abitazione, prediligendo<br />

le camere da letto (se presenti<br />

quelle dei bambini), in ragione degli<br />

elevati tempi di permanenza in questi<br />

ambienti. Vanno, inoltre, tenute<br />

in considerazione per la selezione<br />

del locale le caratteristiche tecnicoedilizie,<br />

favorendo, per esempio, locali<br />

con pareti a diretto contatto con<br />

il terreno;<br />

l non sono ritenuti luoghi adeguati<br />

per le misure le stanze oggetto di<br />

elevata ventilazione (per esempio la<br />

cucina) o le zone della casa caratterizzate<br />

da ridotti tempi di permanenza<br />

(bagni, corridoi, cantine,<br />

ecc.);<br />

l lo strumento di misura andrà posizionato<br />

in un luogo sicuro, lontano<br />

da fonti di calore e dai raggi diretti<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


del sole e lontano da eventuali ventilatori.<br />

Dovrà, inoltre, essere disposto<br />

a distanza di almeno 1 metro da porte<br />

e finestre, a 1 metro da pavimento e<br />

soffitto e ad almeno 30 cm dalle pareti.<br />

Non andrà collocato all’interno<br />

di armadi o contenitori chiusi.<br />

Nel dettaglio delle singole situazioni<br />

di interesse sopra individuate,<br />

vengono fornite una serie di indicazioni<br />

da osservare per la progettazione<br />

della campagna di misura per la<br />

stima del radon indoor.<br />

Misure di controllo in<br />

un’abitazione già esistente<br />

Verranno impiegate, ove possibile,<br />

misure integrate su un periodo di<br />

1 anno, condotte in un locale significativo<br />

dell’abitazione. Le condizioni<br />

nelle quali eseguire le misure dovranno<br />

essere quelle di normale utilizzo<br />

dell’abitazione, in termini, per<br />

esempio, di ventilazione.<br />

Misure in previsione<br />

dell’adozione di azioni di bonifica<br />

Nei casi in cui venga accertata<br />

una elevata presenza di radon le misure<br />

sono finalizzate alla pianificazione<br />

e alla selezione delle migliori<br />

contromisure per l’abbattimento del<br />

gas. Si cercherà di individuare, mediante<br />

strumentazione attiva, i punti<br />

deboli in relazione al radon e, pertanto,<br />

le condizioni di misura da<br />

adottare saranno quelle maggiormente<br />

critiche (stagione invernale,<br />

sistemi di riscaldamento accesi, strumentazione<br />

installata in locali ai piani<br />

più bassi dell’abitazione, eventuale<br />

creazione di aperture nella pavimentazione<br />

e impiego di sistemi per<br />

creare una depressione nella stanza<br />

al fine di favorire il richiamo del<br />

radon).<br />

Misure in vista di attività<br />

di ristrutturazione dell’edificio<br />

A monte di interventi di ristrutturazione<br />

di un edificio, le misure hanno<br />

lo scopo di appurare l’eventuale<br />

opportunità di pianificare degli interventi<br />

per la mitigazione della concentrazione<br />

di radon. In funzione<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

delle caratteristiche dell’abitazione,<br />

del progetto di ristrutturazione e del<br />

tempo a disposizione, si sceglierà il<br />

sistema di misura migliore (in genere<br />

misura in continuo con strumentazione<br />

attiva). Per una valutazione di<br />

massima del problema si potrà anche<br />

tener conto, se esistente, della mappa<br />

del radon relativa al territorio di interesse.<br />

Previsione per la realizzazione<br />

di una nuova costruzione<br />

Nel caso di progettazione di nuovi<br />

edifici, la misura viene condotta al<br />

fine di valutare l’adozione di accorgimenti<br />

costruttivi per il controllo della<br />

concentrazione di radon. In questi casi,<br />

per ottenere una stima di quella<br />

che potrà essere la concentrazione di<br />

radon indoor nell’edificio di nuova<br />

realizzazione, le misure potranno essere<br />

eseguite in un’abitazione esistente<br />

limitrofa. Anche in queste situazioni<br />

si potrà alternativamente tener conto,<br />

se esistente, della mappa del radon<br />

relativa al territorio di interesse.<br />

Verifica del buon funzionamento<br />

delle misure di abbattimento<br />

Per verificare il corretto funzionamento<br />

dei provvedimenti adottati per<br />

l’abbattimento del radon in un’abitazione,<br />

vengono condotte delle misure<br />

di controllo. Nel caso in cui i sistemi<br />

di abbattimento siano di tipo passivo<br />

(ventilazione naturale, isolamento) si<br />

dovrà eseguire una valutazione accurata<br />

attraverso misure integrate su un<br />

periodo di 1 anno; nel caso di sistemi<br />

attivi (ventilazione forzata, sistemi<br />

per creare depressioni negli ambienti<br />

cantina o nel sottosuolo) le misure<br />

più idonee saranno quelle in continuo<br />

con strumentazione portatile, della<br />

durata di alcuni giorni, da condursi<br />

con sistema di abbattimento alternativamente<br />

acceso e di seguito spento o<br />

viceversa.<br />

Monitoraggio ambientale<br />

e mappatura del radon sul territorio<br />

Per le misure di monitoraggio ambientale<br />

finalizzate alla mappatura<br />

del radon, sarà l’ente preposto al co-<br />

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IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

ordinamento delle indagini a definire<br />

condizioni e tipologie di misura.<br />

Stime accurate<br />

o di breve durata<br />

Quando sia necessario ottenere<br />

una stima rappresentativa della concentrazione<br />

di radon indoor, da poter<br />

confrontare con i livelli di azione stabiliti<br />

dalla normativa comunitaria per<br />

gli ambienti residenziali e da quella<br />

nazionale per il caso di ambienti lavorativi,<br />

si dovrà effettuare una “valutazione<br />

accurata”, attraverso misure<br />

integrate su un periodo di osservazione<br />

di 1 anno (o, eventualmente, di<br />

alcuni mesi nel caso in cui sia possibile<br />

ricondurre il valore misurato a<br />

una stima annuale). Questa tipologia<br />

di misura è in grado di mediare i<br />

molteplici fattori di variabilità della<br />

presenza del gas indoor, legati, per<br />

esempio, alle fluttuazioni giornaliere<br />

o stagionali. Tra gli accorgimenti di<br />

carattere generale da adottare nel corso<br />

di queste misure, sarà, in particolare,<br />

opportuno mantenere, nel locale<br />

prescelto per la valutazione, normali<br />

condizioni di uso in termini, per<br />

esempio, di ventilazione. Ai piani superiori<br />

dell’abitazione, dove il rischio<br />

di presenza di radon è inferiore, si<br />

eseguiranno delle misure solo in casi<br />

specifici e solo nelle stanze maggiormente<br />

frequentate. La strumentazione<br />

impiegata è di norma passiva.<br />

È, inoltre, possibile eseguire misure<br />

cosiddette di “breve durata” (di<br />

norma 1-2 settimane) che esulano dal<br />

protocollo standard, ma possono comunque<br />

risultare utili in fase di studio.<br />

Le condizioni per l’esecuzione<br />

di misure di breve durata dovranno<br />

essere favorevoli all’ingresso e all’accumulo<br />

del radon; vengono a<br />

questo scopo indicati alcuni accorgimenti:<br />

l a monte della misura, per almeno<br />

12 ore, porte e finestre della stanza<br />

prescelta andranno tenute chiuse e, anche<br />

nel corso della misura, la ventilazione<br />

dovrà essere ridotta al minimo;<br />

l al fine di favorire l’istaurarsi di<br />

condizioni critiche, la misura andrà<br />

eseguita di preferenza nella stagione<br />

57


IGIENE DEGLI EDIFICI<br />

Articolo<br />

fredda, con i riscaldamenti accesi ed<br />

eventualmente mettendo in depressione<br />

la stanza mediante appositi sistemi<br />

di ventilazione;<br />

l si dovrà evitare di eseguire la misura<br />

in condizioni meteorologiche<br />

estreme;<br />

l nel caso di esecuzione di nuove<br />

misure, lo strumento andrà posizionato<br />

nella medesima postazione delle<br />

misure precedenti.<br />

Requisiti dei laboratori<br />

di misura<br />

Il documento APAT/CTN-AGF fa<br />

riferimento alle «Linee guida per le<br />

58<br />

L'APPROFONDIMENTO<br />

misure della concentrazione di radon<br />

in aria nei luoghi di lavoro sotterranei»,<br />

approvato dalla Conferenza dei<br />

Presidenti delle Regioni e delle Province<br />

Autonome, per quanto attiene<br />

ai requisiti minimi che il laboratorio<br />

che effettua le misure di radon in aria<br />

con strumentazione passiva deve possedere<br />

al fine di poter essere considerato<br />

“idoneamente attrezzato”. In particolare,<br />

i laboratori dovranno essere<br />

in grado di garantire l’adeguata formazione<br />

tecnico-scientifica e la comprovata<br />

esperienza del responsabile<br />

tecnico, l’impiego di tecniche di misura<br />

appropriate e soggette a periodi-<br />

Glossario<br />

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ca taratura e il periodico controllo<br />

della qualità dei dati. A conclusione<br />

dell’indagine dovrà essere rilasciato,<br />

inoltre, un resoconto delle misure, firmato<br />

dal responsabile tecnico e contenente<br />

una serie di informazioni tra<br />

cui, per esempio, quelle relative a:<br />

l tecnica di misura utilizzata;<br />

l periodo di esposizione dei rivelatori<br />

e relativi risultati in termini di<br />

concentrazione;<br />

l risultato, se esistente, della concentrazione<br />

di radon media annua associato<br />

al luogo della misura;<br />

l incertezza associata a tutti i risultati<br />

della misura. l<br />

Radionuclide: nucleo instabile di un atomo che decade spontaneamente emettendo radiazioni ionizzanti<br />

e trasformandosi, per effetto del decadimento radioattivo, in un altro nucleo che a<br />

sua volta può essere stabile ovvero ancora instabile.<br />

Isotopo: nucleo instabile di un atomo che decade spontaneamente emettendo radiazioni ionizzanti<br />

e trasformandosi, per effetto del decadimento radioattivo, in un altro nucleo che a<br />

sua volta può essere stabile ovvero ancora instabile.<br />

Attività: numero di trasformazioni nucleari spontanee di un determinato radionuclide nell’unità<br />

di tempo. Rappresenta la velocità di decadimento di un materiale radioattivo. L’unità di<br />

misura dell’attività è il becquerel (Bq).<br />

Concentrazione<br />

di attività in aria:<br />

rappresenta l’attività di un dato radionuclide per unità di volume di aria. La concentrazione<br />

di attività si misura in becquerel per metro cubo (Bq/m 3 ).<br />

Dose: è la grandezza direttamente connessa agli effetti sanitari delle radiazioni ionizzanti e utilizzata<br />

in radioprotezione per esprimere i livelli di azione ritenuti accettabili per l’esposizione<br />

dell’uomo ai materiali radioattivi. L’unità di misura della dose è il Sievert (Sv).<br />

Fondo naturale<br />

di radiazioni<br />

ionizzanti:<br />

l’ambiente naturale è pervaso di un certo livello di radioattività il cui valore viene appunto<br />

definito ”fondo naturale”. Le sorgenti radioattive costituenti il fondo naturale di radiazioni<br />

ionizzanti sono i raggi cosmici (radiazioni a elevata energia provenienti dallo spazio)<br />

e i radionuclidi delle serie radioattive naturali dell’uranio ( 238 U), tra cui il radon, e del torio<br />

( 232 Th), nonché del potassio ( 40 K).<br />

Radon indoor: concentrazione di attività del radon in un ambiente confinato.<br />

Radon outdoor: concentrazione di attività del radon all’aria aperta.<br />

Tempo<br />

di dimezzamento:<br />

Livelli di azione<br />

per il radon:<br />

tempo necessario affinché una data attività di un dato radionuclide si riduca alla metà per<br />

effetto del decadimento radioattivo.<br />

limiti massimi fissati per la concentrazione di attività del radon (Bq/m 3 ) o per la dose efficace<br />

(mSv/anno) derivante dall’esposizione al radon, disciplinati nel D.Lgs. n. 230/1995 e seguenti<br />

modifiche e integrazioni per i luoghi di lavoro (e suggeriti a livello comunitario per<br />

le abitazioni). Il superamento di questi limiti richiede l’adozione di misure di rimedio per la<br />

riduzione delle grandezze al di sotto dei valori limite accettabili.<br />

Mappa del radon: definizione su base cartografica dei valori di concentrazione di radon ipotizzabili in ambienti<br />

confinati con determinate caratteristiche costruttive, stimati elaborando con criteri<br />

statistici e modelli matematici i dati sul radon in abitazioni campione, acquisiti tramite opportune<br />

campagne di misura.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

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ANTINCENDIO<br />

Documento<br />

ntegrate le disposizioni della regola tecnica di prevenzione incendi sui serbatoi di capacità non superiore ai 13 m 3<br />

al MinInterno nuove distanze di sicurezza<br />

er i piccoli depositi di GPL<br />

di Stefano Zanut, architetto, funzionario del Corpo Nazionale VVF<br />

Le modalità per ridurre le distanze di sicurezza indicate nel punto 7, comma 2, dell’allegato al D.M. 14 maggio 2004 [1] ,<br />

«Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio dei depositi di gas di petrolio<br />

liquefatto con capacità complessiva non superiore a 13 m 3 » sono state recentemente modificate da una specifica<br />

disposizione ministeriale, il D.M. 5 luglio 2005, «Integrazioni al decreto 14 maggio 2004, recante l’approvazione della<br />

regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio dei depositi di gas di petrolio liquefatto, con<br />

capacità complessiva non superiore a 13 m 3 », pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 luglio 2005, n. 168. Ciò che si<br />

modifica rispetto alle disposizioni originali è la possibilità di ridurre fino alla metà la distanza di sicurezza anche<br />

rispetto ai fabbricati e/o i locali che possono essere destinati, totalmente o in parte, a esercizi pubblici, a collettività, a<br />

luoghi di riunione, di intrattenimento o di pubblico spettacolo, purché siano serviti dal deposito, la capacità massima<br />

di questo sia pari a 5 m 3 e, infine, che il deposito stesso sia realizzato con serbatoi interrati.<br />

Decreto del Ministero dell’Interno 5 luglio 2005<br />

Integrazioni al decreto 14 maggio 2004, recante l’approvazione della regola tecnica<br />

di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio dei depositi di gas<br />

di petrolio liquefatto, con capacità complessiva non superiore a 13 m 3<br />

.<br />

In Gazzetta Ufficiale del 21 luglio 2005, n. 168<br />

Il Ministro dell’Interno<br />

Vista la legge 27 dicembre 1941, n. 1570, recante nuove norme<br />

per l’organizzazione dei servizi antincendi;<br />

Vista la legge 13 maggio 1961, n. 469, concernente l’ordinamento<br />

dei servizi antincendi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;<br />

Vista la legge 26 luglio 1965, n. 966, recante disciplina delle<br />

tariffe, delle modalità di pagamento e dei compensi al personale del<br />

Corpo nazionale dei vigili del fuoco per i servizi a pagamento;<br />

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n.<br />

577, e successive modificazioni, concernente il regolamento per<br />

l’espletamento dei servizi di prevenzione e di vigilanza antincendi;<br />

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 1998,<br />

n. 37, concernente il regolamento per i procedimenti relativi alla<br />

prevenzione incendi;<br />

Visto il proprio decreto 14 maggio 2004, pubblicato nella Gazzetta<br />

Ufficiale della Repubblica italiana n. 120 del 24 maggio 2004, concernente<br />

l’approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per<br />

l’installazione e l’esercizio dei depositi di gas di petrolio liquefatto con<br />

capacità complessiva non superiore a 13 m 3 ;<br />

Rilevata la necessità di apportare limitate integrazioni all’allegato<br />

al suddetto decreto ministeriale 14 maggio 2004 per la parte riguardante<br />

le distanze di sicurezza da osservare rispetto agli elementi<br />

pericolosi dei depositi di gas di petrolio liquefatto;<br />

Acquisito il parere del Comitato centrale tecnico scientifico per la<br />

prevenzione incendi di cui all’art. 10 del decreto del Presidente della<br />

Repubblica 29 luglio 1982, n. 577, come modificato dall’art. 3 del<br />

decreto del Presidente della Repubblica 10 giugno 2004, n. 200;<br />

Decreta:<br />

Art. 1<br />

1. Il punto 7 «Distanze di sicurezza», comma 2, del titolo III<br />

«Elementi pericolosi e relative distanze di sicurezza» dell’allegato al<br />

decreto 14 maggio 2004 è così sostituito:<br />

«2. Le distanze di sicurezza di cui al precedente comma 1, lettere<br />

a), b), c) e d), possono essere ridotte fino alla metà secondo quanto di<br />

seguito indicato:<br />

distanze di cui alle lettere a) e c), mediante interramento dei<br />

serbatoi oppure, in alternativa, interposizione di muri fra gli elementi<br />

pericolosi del deposito e gli elementi da proteggere in modo che il<br />

percorso orizzontale di un eventuale rilascio di gas, abbia uno sviluppo<br />

non minore della distanza di sicurezza. I muri devono elevarsi di<br />

almeno 0,5 m oltre il più alto elemento pericoloso da schermare;<br />

distanze di cui alla lettera b), limitatamente ai fabbricati e/o locali<br />

serviti dal deposito, destinati anche in parte ad esercizi pubblici, a<br />

collettività, a luoghi di riunione, di trattenimento o di pubblico spettacolo,<br />

per capacità fino a 3 m 3 e fino a 5 m 3 , esclusivamente mediante<br />

interramento dei serbatoi;<br />

distanze di cui alla lettera d), esclusivamente mediante interramento<br />

dei serbatoi».<br />

Il presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della<br />

Repubblica italiana.<br />

[1] Per maggiori informazioni, si veda dello stesso autore, La nuova regola tecnica di prevenzione per i piccoli depositi di GPL, in<br />

<strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong> n. 13/2004, pag. 38.<br />

61


SICUREZZA DEGLI IMPIANTI<br />

Osservatorio ISPESL ­ Articolo<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

erifiche sugli impianti elettrici di messa a terra<br />

e protezione dalle scariche atmosferiche<br />

62<br />

di Laura Alimandi e Gianluca Saputi<br />

Dipartimento Omologazione e Certificazione ISPESL<br />

ISPESL<br />

A più di tre anni dall’entrata in vigore del D.P.R. n. 462/2001, in attesa dell’emanazione dei decreti ministeriali di adeguamento<br />

alla normativa vigente, previsti all’art. 1, comma 2, in materia procedura per la denuncia di installazioni e dispositivi di<br />

protezione contro le scariche atmosferiche, di dispositivi di messa a terra degli impianti elettrici anche pericolosi, permangono<br />

alcune lacune normative che danno origine a contrastanti interpretazioni sulle modalità procedurali relative agli obblighi di<br />

legge. Queste difficoltà, riguardanti in modo particolare l’ambito di applicazione, la periodicità delle verifiche e la natura di<br />

queste ultime, stanno creando non pochi disagi agli operatori del settore in fase applicativa.<br />

In questa disamina vengono indicate alcune possibili interpretazioni del D.P.R. n. 462/2001.<br />

L’entrata in vigore del D.P.R. n. 462/2001,<br />

«Regolamento di semplificazione del procedimento<br />

per la denuncia di installazioni<br />

e dispositivi di protezione contro le scariche<br />

atmosferiche, di dispositivi di messa a<br />

terra di impianti elettrici e di impianti elettrici<br />

pericolosi», ha abrogato gli artt. 40 e<br />

328, D.P.R. n. 547/1955 e gli artt. 2, 3 e<br />

4, D.M. 12 settembre 1959.<br />

La previgente normativa, il D.M. 15 ottobre<br />

1993, n. 519, prevedeva che gli impianti<br />

dovessero essere omologati dall’ISPESL,<br />

su richiesta del datore di lavoro,<br />

con successiva comunicazione della avvenuta<br />

omologazione da parte dell’istituto<br />

all’unità sanitaria locale, affinché l’ente<br />

ispettivo, a intervalli non superiori a due<br />

anni, provvedesse alle verifiche periodiche.<br />

Il provvedimento omologativo, emesso a<br />

seguito della prima verifica ISPESL, rivestiva,<br />

pertanto, la natura tipica di provvedimento<br />

abilitativo, la cui peculiarità consiste<br />

nel consentire un’attività, sulla base di<br />

un riscontro di carattere tecnico circa la<br />

sussistenza dei requisiti di idoneità richiesti<br />

dalla legge. Precisamente, un atto<br />

omologativo di sicurezza ha l’effetto di<br />

rimuovere l’impedimento alla immissione<br />

di un determinato prodotto sul mercato e<br />

alla sua utilizzazione, sul presupposto della<br />

verifica del possesso di requisiti tecnici<br />

presenti in sede normativa per ragioni di<br />

sicurezza. Si tratta, pertanto, di un atto<br />

basato ed emesso non su una valutazione<br />

Osservatorio a cura dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico<br />

discrezionale, bensì su accertamenti tecnici.<br />

L’impianto normativo precedente (si veda<br />

la tabella 1), seppur disatteso nella pratica,<br />

scindeva perfettamente, il momento<br />

omologativo legato al controllo della rispondenza<br />

dell’impianto a norme tecniche<br />

da quello ispettivo, legato alla messa<br />

in esercizio e alla utilizzazione dello stesso<br />

in un luogo di lavoro. Da questa messa in<br />

esercizio insorgeva, infatti, l’obbligo per il<br />

datore di lavoro della tutela effettiva del<br />

lavoratore.<br />

Ambito di applicazione<br />

Il D.P.R. n. 462/2001, all’art. 1, «Ambito<br />

di applicazione», si riferisce solo ed esclusivamente<br />

agli impianti collocati nei luoghi<br />

di lavoro, inserendosi precisamente<br />

nel solco della normativa antinfortunistica<br />

del D.P.R. n. 547/1955, considerando luoghi<br />

di lavoro quelli in cui vi è la presenza<br />

di un lavoratore subordinato, dove per<br />

lavoratore subordinato si intende colui<br />

«che fuori dal proprio domicilio presta il<br />

proprio lavoro alle dipendenze e sotto la<br />

direzione altrui, con o senza retribuzione,<br />

anche al solo scopo di apprendere un mestiere,<br />

un’arte o una professione» (art. 3,<br />

D.P.R. n. 547/1955).<br />

Se ne deve dedurre, pertanto, una continuità<br />

di ispirazione normativa, che deve<br />

portare a considerare momento caratterizzante<br />

della valutazione preventiva di si­<br />

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curezza, in visione antinfortunistica, quello<br />

della messa in esercizio (artt. 2, 3 e 4,<br />

D.M. 12 settembre 1959) e non quello<br />

della dichiarazione di conformità, come si<br />

vedrà nella successiva analisi tecnico­giuridica<br />

del D.P.R. n. 462/2001.<br />

L’art. 2, comma 1, prevede che la messa in<br />

esercizio degli impianti elettrici di messa a<br />

terra e dei dispositivi di protezione contro<br />

le scariche atmosferiche non può essere<br />

effettuata prima della verifica eseguita dall’installatore<br />

che rilascia la dichiarazione di<br />

conformità ai sensi della normativa vigente<br />

(legge n. 46/1990) e che la dichiarazione di<br />

conformità equivale, a tutti gli effetti, a<br />

omologazione dell’impianto. Stabilisce,<br />

quindi, quanto agli effetti giuridici prodotti,<br />

una identità fra dichiarazione di conformità<br />

e omologazione.<br />

A questo proposito si segnala che alcuni<br />

impianti elettrici e di protezione dalle scariche<br />

atmosferiche non rientrano nel<br />

campo di applicazione della legge n. 46/<br />

1990 e, per questo, non sono soggetti a<br />

dichiarazione di conformità, come, per<br />

esempio, gli impianti di pubblica illuminazione<br />

e gli impianti di protezione dalle<br />

scariche atmosferiche negli stabilimenti<br />

industriali. Gli esempi citati sembrano,<br />

però, chiaramente rientrare nell’art. 1,<br />

comma 1, D.P.R. n. 462/2001 e, di conseguenza,<br />

richiedono gli adempimenti degli<br />

obblighi descritti all’art. 2, comma 2, dello<br />

stesso decreto. A questo punto, non<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


potendo usufruire della dichiarazione di<br />

conformità, verrebbe a mancare l’atto<br />

omologativo, di cui all’art. 2, comma 1,<br />

dello stesso decreto. In sostituzione di esso,<br />

si può ipotizzare l’effettuazione, da<br />

parte dell’installatore, di una dichiarazione<br />

di realizzazione e verifica dell’impianto<br />

ai sensi degli artt. 1 e 2, legge n. 186/<br />

1968 che regolano una fattispecie dal carattere<br />

più generale:<br />

l «Art. 1 ­ Tutti i materiali, le apparecchiature,<br />

i macchinari, le installazioni e gli<br />

impianti elettrici ed elettronici devono essere<br />

realizzati e costruiti a regola d’arte»;<br />

l «Art. 2 ­ I materiali, le apparecchiature,<br />

i macchinari, le installazioni e gli impianti<br />

elettrici ed elettronici realizzati secondo<br />

le norme del comitato elettrotecnico<br />

italiano si considerano costruiti a regola<br />

d’arte».<br />

Dichiarazione di conformità<br />

L’art. 2, comma 2, D.P.R. n. 462/2001<br />

prevede che, entro trenta giorni dalla<br />

messa in esercizio, il datore di lavoro invii<br />

la dichiarazione di conformità all’ISPESL<br />

per l’espletamento della verifica a campione<br />

sulla conformità alla normativa vigente<br />

e all’Asl/Arpa territorialmente competenti,<br />

per lo svolgimento dei compiti di<br />

vigilanza.<br />

La nozione di dichiarazione di conformità è<br />

data nell’art. 9, legge n. 46/1990. Questo,<br />

nel sancire che «al termine dei lavori l’impresa<br />

installatrice è tenuta a rilasciare al<br />

committente la dichiarazione di conformità<br />

degli impianti nel rispetto delle norme di<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

Riferimenti normativi prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 462/2001<br />

cui all’art. 7», stabilisce una vera e propria<br />

presunzione di conformità alla legge. Secondo<br />

l’art 7, infatti, «le imprese sono tenute<br />

ad eseguire gli impianti a regola d’arte<br />

utilizzando allo scopo materiali parimenti<br />

costruiti a regola d’arte. I materiali ed i<br />

componenti realizzati secondo le norme<br />

tecniche di sicurezza dell’ente italiano di<br />

unificazione UNI e comitato elettrotecnico<br />

italiano CEI nonché nel rispetto della legislazione<br />

tecnica vigente in materia si considerano<br />

costruiti a regola d’arte».<br />

Questa previsione normativa, peraltro, ricalca<br />

alla perfezione gli artt. 1 e 2, legge<br />

n. 186/1968, a conferma dell’ipotesi precedentemente<br />

formulata per i casi non<br />

compresi nel campo di applicazione della<br />

legge n. 46/1990.<br />

Nella fattispecie dell’art. 2, comma 1,<br />

D.P.R. n. 462/2001, il provvedimento abilitativo<br />

di omologazione è sostituito dalla<br />

presunzione ex lege della dichiarazione di<br />

conformità che, però, avendo come oggetto<br />

solo la conformità alla regola dell’arte,<br />

non assorbe il momento ispettivo<br />

di salvaguardia della sicurezza del lavoratore<br />

che si realizza nelle verifiche periodiche<br />

di competenza della Asl/Arpa o degli<br />

Organismi abilitati.<br />

Natura delle verifiche<br />

Dalle verifiche periodiche si differenzia<br />

per natura e scopo la prima verifica a<br />

campione dell’ISPESL. Essa, infatti, ha natura<br />

di controllo successivo di legittimità<br />

sull’osservanza alle norme tecniche vigenti<br />

e ricopre una funzione assimilabile alla<br />

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SICUREZZA DEGLI IMPIANTI<br />

Osservatorio ISPESL ­ Articolo<br />

TABELLA 1<br />

D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 Art. 40 ­ Obbligo da parte del datore di lavoro di sottoporre gli impianti di scariche<br />

atmosferiche a controllo periodico biennale.<br />

Art. 328 ­ Obbligo da parte del datore di lavoro di sottoporre gli impianti di messa<br />

a terra alla verifica prima della messa in esercizio e periodicamente ad intervalli<br />

non superiori a due anni.<br />

D.M. 12 settembre 1959 Artt. 2, 3 e 4 ­ Obbligo di denuncia da parte del datore di lavoro entro trenta giorni<br />

dalla messa in servizio dell’impianto utilizzando i modelli A, B, C allegati al<br />

decreto.<br />

D.M. 15 ottobre 1993, n. 519 Art. 1 ­ Attribuisce all’ISPESL l’attività omologativa di primo nuovo impianto sugli<br />

impianti di terra e scariche atmosferiche.<br />

Art. 2 ­ Modifica i modelli A e B del D.M. 12 settembre 1959.<br />

Art. 3 ­ Attribuisce le verifiche periodiche alle Unità sanitarie locali.<br />

sorveglianza del mercato, usando questo<br />

termine in senso improprio non trattandosi,<br />

nel caso di specie, di immissione di<br />

un prodotto. Per questo motivo non può<br />

essere presa come riferimento per il calcolo<br />

dei tempi necessari ai fini dell’effettuazione<br />

delle verifiche periodiche.<br />

La separazione, rispondenza dell’impianto<br />

a norme tecniche da un lato, sicurezza<br />

del lavoratore dall’altro, emerge inoltre,<br />

dall’analisi del successivo art. 4, D.P.R. n.<br />

462/2001, che, seppure indirettamente,<br />

conferma questa impostazione stabilendo<br />

che «il datore di lavoro è tenuto ad<br />

effettuare regolari manutenzioni dell’impianto<br />

nonché a far sottoporre lo stesso a<br />

verifica periodica ogni cinque anni, ad<br />

esclusione di quelli installati in cantieri, in<br />

locali adibiti ad uso medico e negli ambienti<br />

a maggior rischio in caso di incendio<br />

per i quali la periodicità è biennale».<br />

Da questa previsione emerge, in tutta la<br />

sua evidenza, che il contenuto della verifica<br />

periodica non è limitato alla manutenzione,<br />

ma comprende il momento ispettivo<br />

in funzione della peculiarità del sistema<br />

di garanzia della sicurezza del lavoratore.<br />

Quindi, esso è più ampio della mera<br />

rispondenza dell’impianto a norme tecniche<br />

e all’esistenza di un corretto funzionamento<br />

in fase di installazione ed è, invece,<br />

in funzione del rispetto dell’obbligo<br />

di sicurezza a tutela del lavoratore, in visione<br />

della prevenzione degli infortuni nel<br />

luogo di lavoro.<br />

Ciò si desume tanto più chiaramente laddove<br />

si afferma che le verifiche ispettive<br />

63


SICUREZZA DEGLI IMPIANTI<br />

Osservatorio ISPESL ­ Articolo<br />

non sostituiscono le “verifiche di manutenzione”,<br />

di cui, peraltro, ai sensi dell’art.<br />

32, D.Lgs. n. 626/1994, il datore di<br />

lavoro è comunque responsabile.<br />

A ulteriore conferma di questa ricostruzione<br />

va aggiunto che la dichiarazione di<br />

conformità non ha effetti omologativi<br />

nel caso disciplinato dall’art. 5, D.P.R. n.<br />

462/2001 avente come oggetto gli impianti<br />

in luoghi con pericolo di esplosione.<br />

A causa della pericolosità di questi<br />

impianti, infatti, anche se il datore di lavoro<br />

deve ugualmente inviare, entro<br />

trenta giorni dalla messa in esercizio dell’impianto,<br />

la dichiarazione di conformità,<br />

non opera più il sistema delineato<br />

nell’art. 2 basato sulla identità tra quest’ultima<br />

e l’atto omologativo. In questo<br />

caso, la messa in esercizio avviene ugualmente<br />

in seguito alla verifica di conformità<br />

rilasciata al datore di lavoro dall’installatore,<br />

ma, come previsto all’art. 5,<br />

comma 4, sotto condizione della successiva<br />

omologazione eseguita dalla Asl/Arpa<br />

che verifica e conferma la risponden­<br />

64<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

za degli impianti alla normativa vigente.<br />

L’art. 5, comma 4, «L’omologazione è effettuata<br />

dalle ASL o dall’ARPA competenti<br />

per territorio, che effettuano la prima<br />

verifica sulla conformità alla normativa vigente<br />

di tutti gli impianti denunciati»,<br />

prevede, pertanto, la necessità di un controllo<br />

preventivo in fase di prima verifica<br />

omologativa su tutti gli impianti e sancisce<br />

la non sufficienza di un controllo a<br />

campione ex post in vista di un’attività di<br />

sorveglianza.<br />

Lo stesso comma chiarisce che la verifica<br />

omologativa dell’Asl/Arpa ha una natura<br />

ben diversa dalla verifica periodica che<br />

può essere effettuata dalla stessa Asl/Arpa<br />

o dagli Organismi Abilitati. Infatti,<br />

l’art. 6, comma 1, «Il datore di lavoro è<br />

tenuto ad effettuare regolari manutenzioni<br />

dell’impianto, nonché a far sottoporre<br />

lo stesso a verifica periodica ogni<br />

due anni», ricalca la precedente previsione<br />

dell’art. 4, sottolineando la natura<br />

ispettiva di quest’ultime e la differenza<br />

con la verifica omologativa che ha natura<br />

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di controllo sulla conformità alla normativa<br />

vigente, analogamente a quanto previsto<br />

nell’art. 3, comma 1, per la verifica a<br />

campione dell’ISPESL.<br />

Per questo, la prima verifica periodica<br />

non può essere calcolata dalla data di<br />

omologazione bensì da quella di messa in<br />

esercizio, in quanto quest’ultima sottolinea<br />

l’insorgere dell’obbligo da parte del<br />

datore di lavoro alla tutela della sicurezza<br />

nei confronti dei propri dipendenti.<br />

Dall’analisi d’insieme delle norme previste<br />

nel D.P.R. n. 462/2001 sembra, pertanto,<br />

potersi affermare che momento caratterizzante<br />

di tutto il sistema normativo in<br />

sede di prevenzione dell’obbligo di sicurezza<br />

nei confronti del lavoratore nei luoghi<br />

di lavoro, appare essere e rimanere,<br />

come già nella normativa previgente<br />

(D.M. 12 settembre 1959), quello della<br />

messa in esercizio e non quello della dichiarazione<br />

di conformità. Questa indicazione<br />

vale soprattutto ai fini del calcolo<br />

dei tempi per l’espletamento delle verifiche<br />

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23 agosto 2005 ­ N. 17


23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

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SICUREZZA DEL LAVORO<br />

Documento Commento<br />

Il protocollo d’intesa tra MinLavoro, INPS e INAIL prevede un modello unificato di verbale di rilevazione degli illeciti<br />

Attività ispettiva 2005 e sicurezza del lavoro:<br />

parte la nuova campagna dei controlli<br />

di Mario Gallo, docente di Diritto della <strong>Sicurezza</strong> del Lavoro presso il Corso di Perfezionamento<br />

per Consulenti del Lavoro ­ Università degli Studi di Cassino, componente Comitato Formazione AIAS<br />

Dopo la riforma dei servizi<br />

ispettivi a opera del D.Lgs.<br />

23 aprile 2004, n. 124, il Ministero<br />

del Lavoro e delle Politiche sociali<br />

vara due nuovi importanti<br />

provvedimenti finalizzati a dare<br />

piena operatività al rinnovato<br />

sistema di vigilanza; il primo<br />

consiste in un protocollo d’intesa<br />

siglato il 7 aprile 2005 con INPS<br />

e INAIL, con il quale si gettano<br />

le basi comuni di coordinamento,<br />

mentre il secondo è l’attesa<br />

programmazione dell’attività<br />

di vigilanza per l’anno 2005, che,<br />

a seguito di numerose richieste di<br />

chiarimento da parte di alcune<br />

Direzioni Regionali e Provinciali, il<br />

Ministero stesso ha ulteriormente<br />

chiarito con nota 24 giugno 2005,<br />

Prot. n. 939, soprattutto per<br />

quanto riguarda il settore delle<br />

costruzioni. I due strumenti fanno<br />

parte di una strategia unitaria,<br />

straordinaria in termini numerici<br />

e per settori produttivi interessati,<br />

orientata al conseguimento<br />

di risultati significativi sul fronte<br />

della lotta al lavoro irregolare<br />

e su quello della tutela del diritto<br />

alla salute dei lavoratori.<br />

Il protocollo d’intesa stipulato del<br />

Ministero del Lavoro con INPS e<br />

INAIL 7 aprile 2005 rappresenta<br />

un nuovo tentativo di semplificare e<br />

coordinare l’azione ispettiva. Nato<br />

nel segno dell’art. 10, D.Lgs. n. 124/<br />

2004, l’accordo prevede, in primo<br />

luogo, la costituzione di un gruppo di<br />

lavoro al quale spetterà il compito di<br />

elaborare il nuovo modello unificato<br />

di verbale di rilevazione degli illeciti<br />

a uso del personale ispettivo; in realtà,<br />

questo modello doveva essere già<br />

emanato dal Ministero entro il 27 novembre<br />

2004 e questa previsione appare<br />

evidentemente solo un tentativo<br />

di diluire ulteriormente i tempi. Pertanto,<br />

nelle more che questa razionalizzazione<br />

avvenga, ciascun soggetto<br />

eleverà un PSC secondo i propri<br />

schemi; sotto questo profilo, giova<br />

ricordare che i verbali d’accertamento<br />

del personale che effettua vigilanza<br />

costituiscono fonte di prova in ordine<br />

agli elementi di fatto acquisiti e<br />

documentati e possono essere reciprocamente<br />

utilizzati per l’adozione<br />

di eventuali provvedimenti sanzionatori<br />

amministrativi e civili di competenza<br />

dei relativi organi ispettivi [1] .<br />

Sotto quest’ultimo profilo, assume<br />

notevole rilievo anche l’utilizzabilità<br />

diretta delle acquisizioni effettuate<br />

dai vari organi di controllo che, come<br />

affermato precedentemente dal Ministero,<br />

è conforme ai principi di buon<br />

andamento ed efficacia della pubblica<br />

amministrazione in quanto con-<br />

sente l’utilizzazione degli elementi<br />

acquisiti in sede di vigilanza anche<br />

da altri soggetti, purché questi elementi<br />

siano contenuti nei verbali<br />

d’accertamento che, com’è noto, godono<br />

tutti della medesima fede privilegiata<br />

(si veda ex multis, Cass. civ,<br />

11 giugno 2001, n. 7832) [2] . Altra<br />

previsione di rilievo contenuta nel<br />

protocollo d’intesa è la costituzione<br />

di gruppi congiunti di lavoro che dovranno<br />

elaborare altre misure di razionalizzazione.<br />

In particolare, nella<br />

convenzione, è previsto un nuovo codice<br />

di comportamento degli ispettori,<br />

ossia norme deontologiche e operative<br />

sostitutive attualmente contenute<br />

nella circolare 16 luglio 2001, n.<br />

70; lo sviluppo di strumenti e procedure<br />

tali da favorire lo scambio d’informazioni,<br />

anche per evitare la duplicazione<br />

degli interventi ispettivi e,<br />

infine, la previsione di programmi<br />

comuni d’aggiornamento e informazione<br />

del personale dei vari enti.<br />

Il potenziamento<br />

della macchina ispettiva<br />

Dopo il protocollo d’intesa del 7<br />

aprile 2005, il Ministero del Lavoro,<br />

a completamento della propria strategia<br />

di controllo, ha predisposto il documento<br />

programmatico dell’attività<br />

ispettiva per il 2005. In modo quasi<br />

chirurgico, nel nuovo provvedimento<br />

sono delineate le direttrici fondamentali<br />

dell’azione di vigilanza tra le<br />

quali, le più significative, riguardano<br />

[1] Si confronti con il testo della circolare del Ministero del Lavoro 24 giugno 2004, n. 24.<br />

[2] Per maggiori chiarimenti sull’argomento si veda, di Mario Gallo, Dalla circolare MinLavoro n. 24/2004 nuovi chiarimenti sulla<br />

riforma dei servizi ispettivi, in <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong> n. 15/2004, pag. 90.<br />

65


66<br />

SICUREZZA DEL LAVORO<br />

Documento Commento<br />

la lotta al lavoro sommerso, la verifica<br />

delle condizioni di sicurezza e di<br />

igiene del lavoro in edilizia, la tutela<br />

del lavoro minorile, il monitoraggio<br />

sul cosiddetto lavoro atipico, il rispetto<br />

delle disciplina sulle pari opportunità<br />

e sui fenomeni di mobbing<br />

(si veda le tabella 1). Senza mezzi<br />

termini il Ministero precisa alle direzioni<br />

che la nuova strategia non deve<br />

mirare solo ai numeri, ossia alla<br />

quantità dei controlli da eseguire, ma<br />

anche alla qualità degli interventi.<br />

Quest’ultimo concetto viene ancorato<br />

a due precisi parametri:<br />

l selezione mirata delle realtà<br />

aziendali da sottoporre a controllo,<br />

specie quelle in odore di sommerso;<br />

l elevazione significativa della «percentuale<br />

delle visite ispettive da cui<br />

scaturisca l’adozione di provvedimenti<br />

sanzionatori amministrativi e/o penali<br />

o provvedimenti di recupero contributivo.<br />

Più specificatamente, l’obiettivo<br />

in termini quantitativi è quello di attestare<br />

le percentuali di irregolarità intorno<br />

al 65-70% delle aziende ispezionate,<br />

a fronte dell’attuale 40%».<br />

Questa affermazione lascia molto<br />

perplessi in quanto il Ministero, in<br />

via prioritaria, vincola il proprio personale<br />

a raggiungere una percentuale<br />

minima d’irregolarità riscontrate, sintomo<br />

evidente, questo, di una disfunzione<br />

patologica del sistema centrale.<br />

Nel complesso sono previsti ben<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

Sintesi del programma delle ispezioni 2005<br />

95.300 accessi ispettivi da eseguire<br />

in tutte le regioni, specie in quelle del<br />

mezzogiorno:<br />

l Calabria (9.255);<br />

l Campania (9.405);<br />

l Puglia (10.750);<br />

l Sicilia (9.530).<br />

Tra le regioni del nord e del centro,<br />

invece, l’azione sarà più pressante<br />

in Lombardia (6.430), Lazio<br />

(7.040) e Toscana (8.080). Di questi<br />

ben 48.500 si concentreranno sulla<br />

lotta al lavoro sommerso, con particolare<br />

attenzione all’impiego di lavoratori<br />

clandestini, attraverso azioni di<br />

intelligence coordinate con gli sportelli<br />

unici per l’immigrazione, con le<br />

forze di polizia e gli istituti previdenziali;<br />

la direttiva prevede anche verifiche<br />

indirizzate verso «quelle realtà<br />

economiche gestite o organizzate<br />

mediante minoranze etniche (per<br />

esempio i cinesi), operanti al di fuori<br />

di qualunque regolamentazione di<br />

carattere lavoristico, previdenziale e<br />

fiscale e che realizzano vere e proprie<br />

forme di sfruttamento della manodopera<br />

impegnata».<br />

Agricoltura e pubblici<br />

esercizi: i nuovi controlli<br />

Nella lotta al sommerso, i settori<br />

prescelti della direttiva ministeriale<br />

sono prioritariamente l’agricoltura<br />

e i pubblici esercizi. Il primo, com’è<br />

noto, è anche ai primi posti nel<br />

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TABELLA 1<br />

Principali azioni di vigilanza<br />

Numero minimo di<br />

interventi complessivi<br />

l Manodopera irregolare dei cittadini stranieri immigrati 15.000<br />

l Agricoltura 14.000<br />

l Pubblici esercizi (bar, ristoranti, alberghi, lidi, strutture turistiche, ecc.) 19.500<br />

l Edilizia:<br />

Interventi a carattere prioritario:<br />

­ PMI non iscritte a casse edili;<br />

­ Appalti pubblici<br />

34.000<br />

l Lavoro minorile 9.000<br />

l Somministrazione e altre forme di lavoro della legge Biagi (D.Lgs. n. 276/2003) 2.500<br />

l Rispetto delle pari opportunità e mobbing 300<br />

fenomeno infortunistico e rappresenta<br />

attualmente il principale catalizzatore<br />

del lavoro irregolare in<br />

cui, ricorda il Ministero, si annida<br />

ancora oggi il fenomeno del caporalato.<br />

Certamente si tratta di una<br />

scelta obbligata che, anche sotto il<br />

profilo della tutela del diritto alla<br />

salute, deve essere accolta molto<br />

positivamente; infatti, l’agricoltura,<br />

ancora oggi, costituisce in molte realtà<br />

la cenerentola della sicurezza,<br />

a fronte di rischi elevati sia sul piano<br />

della sicurezza (macchine, attrezzature,<br />

ambiente di lavoro,<br />

ecc.) sia dell’igiene (agenti chimici,<br />

agenti biologici, movimentazione<br />

manuale dei carichi, rumore, vibrazioni,<br />

ecc.). Un giro di vite interessa<br />

anche l’universo dei pubblici<br />

esercizi, bar, ristoranti, alberghi,<br />

strutture turistiche. Per questo settore,<br />

in considerazione dei particolari<br />

orari di lavoro, il Ministero ha<br />

disposto azioni mirate da condurre<br />

al di fuori delle tradizionali fasce di<br />

attività settimanale e oraria (orario<br />

notturno, fine settimana, periodi festivi,<br />

ecc.).<br />

Edilizia: una stagione<br />

di controlli a tappeto<br />

Tra i settori destinatari delle attenzioni<br />

della macchina ispettiva non<br />

poteva mancare anche l’edilizia, in<br />

considerazione della gravità dei feno-<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


meni infortunistici e della diffusione<br />

di forme di lavoro irregolare. Per il<br />

2005 l’azione ispettiva si concentrerà<br />

con più attenzione sia sulle piccole e<br />

medie imprese non iscritte alle Casse<br />

Edili sia sull’area degli appalti pubblici.<br />

Per effetto delle competenze riconosciute<br />

alle Direzioni Provinciali<br />

del Lavoro (DPL) dall’art. 23, D.Lgs.<br />

19 settembre 1994, n. 626, gli interventi<br />

saranno volti a verificare sia le<br />

complessive condizioni di sicurezza<br />

dei luoghi di lavoro, sia l’eventuale<br />

esistenza di fenomeni di lavoro irregolare.<br />

Per questo settore si preannuncia<br />

una stagione molto intensa di<br />

controlli; basti pensare che nel 2004,<br />

per effetto della circolare 16 marzo<br />

2004, n. 351 e della nota ministeriale<br />

16 maggio 2003, n. 710, il Ministero<br />

si era posto un obiettivo di 6.000 interventi<br />

ispettivi. Nel documento<br />

programmatico in esame, invece, per<br />

il 2005 il numero minimo degli interventi<br />

da realizzare è salito a 34.000,<br />

distribuiti in tutte le regioni italiane,<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

con maggiore intensità in quelle del<br />

mezzogiorno:<br />

l Calabria (2.000);<br />

l Campania (3.800);<br />

l Puglia (4.400);<br />

l Sicilia (4.800).<br />

Sia pure in assenza di precise direttive<br />

operative all’interno del<br />

provvedimento in esame, è lecito attendersi<br />

una riconferma degli indirizzi<br />

ormai consolidati di tecnica<br />

ispettiva nel settore delle costruzioni;<br />

la prevenzione delle cadute dall’alto<br />

- quindi ponteggi, cinture, parapetti,<br />

ecc. - e il rispetto delle prescrizioni<br />

contenute nel D.Lgs. n.<br />

494/1996:<br />

l nomine dei coordinatori;<br />

l corretta redazione del PSC e dei<br />

POS;<br />

l ecc.<br />

Gli altri interventi ispettivi<br />

Il quadro degli interventi che interessa<br />

la tutela del diritto alla salute<br />

dei lavoratori è completato da diversi<br />

Protocollo d’intesa Ministero del Lavoro<br />

e delle politiche sociali ­ INPS ­ INAIL<br />

7 aprile 2005<br />

Modello unificato di verbale<br />

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SICUREZZA DEL LAVORO<br />

Documento<br />

interventi mirati da notevole portata.<br />

In primo luogo viene rafforzata la<br />

vigilanza sul lavoro minorile; purtroppo,<br />

bisogna osservare che lo<br />

sfruttamento dei minori costituisce<br />

ancora oggi una piaga sociale molto<br />

grave e le disposizioni poste a tutela<br />

dei bambini e degli adolescenti - contenute<br />

nella legge 17 ottobre 1967, n.<br />

977 - non la riescono a sanare. Complessivamente<br />

sono previsti almeno<br />

9.000 accessi, circa il 62,00% concentrati<br />

tra Calabria, Campania, Puglia,<br />

Sicilia, Toscana e Lombardia.<br />

Interventi massicci sono stati predisposti<br />

anche sulle nuove forme di lavoro<br />

del D.Lgs. n. 276/2003 - cosiddetta<br />

legge Biagi - con particolare<br />

riferimento alle somministrazione di<br />

manodopera e il lavoro a progetto<br />

(almeno 2.500 accessi). Molto innovativa,<br />

infine, è la previsione di<br />

un’attività di vigilanza sulle pari opportunità<br />

e il mobbing anche se il<br />

numero degli interventi previsti (300)<br />

è poco significativo.<br />

1. Le parti stipulanti la presente convenzione provvedono alla costituzione di un gruppo di lavoro incaricato<br />

di predisporre un modello unificato di verbale di rilevazione degli illeciti ad uso degli organi di vigilanza in<br />

materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria.<br />

2. Tale gruppo di lavoro è costituito da un numero paritario di rappresentanti di ciascuna amministrazione<br />

che periodicamente riferiscono alle rispettive Direzioni di appartenenza sull’andamento dei lavori, evidenziando<br />

in particolare le problematicità riscontrate.<br />

Codice di comportamento ad uso del personale ispettivo<br />

del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’Inps e dell’Inail<br />

1. Le parti stipulanti la presente convenzione provvedono alla costituzione di un gruppo di lavoro incaricato<br />

di predisporre un codice di comportamento ad uso comune del personale ispettivo del Ministero del lavoro e<br />

delle politiche sociali, dell’Inps e dell’Inail.<br />

2. Tale gruppo di lavoro è costituito da un numero paritario di rappresentanti di ciascuna amministrazione<br />

che periodicamente riferiscono alle rispettive Direzioni di appartenenza sull’andamento dei lavori, evidenziando<br />

in particolare le problematicità riscontrate.<br />

3. Il codice di comportamento di cui al comma 1 contiene norme di carattere deontologico e istruzioni<br />

operative concernenti procedure e modalità da seguire durante l’attività di vigilanza.<br />

67


Premessa<br />

68<br />

SICUREZZA DEL LAVORO<br />

Documento<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

Scambio di informazioni<br />

1. Al fine di migliorare i risultati qualitativi legati all’attività di vigilanza, le parti predispongono strumenti e<br />

procedure che consentono un maggiore scambio di informazioni utili alla pianificazione dell’attività di<br />

vigilanza in materia di lavoro e previdenza e assistenza obbligatoria.<br />

2. Le parti provvedono alla costituzione di un gruppo di lavoro incaricato di studiare strumenti e procedure<br />

per la consultazione delle informazioni di cui al comma precedente.<br />

4. Tale gruppo di lavoro è costituito da un numero paritario di rappresentanti di ciascuna amministrazione<br />

che periodicamente riferiscono alle rispettive Direzioni di appartenenza sull’andamento dei lavori, evidenziando<br />

in particolare le problematicità riscontrate.<br />

5. Le parti forniscono istruzioni ai propri uffici territoriali, anche mediante un documento di comune<br />

elaborazione, finalizzate allo scambio di informazioni utili ad evitare la duplicazione degli interventi<br />

ispettivi.<br />

Aggiornamento ed informazione del personale ispettivo del Ministero<br />

del lavoro e delle politiche sociali, dell’Inps e dell’Inail<br />

1. Le parti stipulanti la presente convenzione provvedono alla costituzione di un gruppo di lavoro<br />

incaricato di predisporre un programma comune di aggiornamento ed informazione rivolto al<br />

personale ispettivo in forza presso ciascuna amministrazione.<br />

2. Tale gruppo di lavoro è costituito da un numero paritario di rappresentanti di appartenenza di<br />

ciascuna amministrazione che periodicamente riferiscono alle rispettive Direzioni di appartenenza<br />

sull’andamento dei lavori, evidenziando in particolare le problematicità riscontrate.<br />

3. L’attività di aggiornamento e di informativa di cui al comma 1 è organizzata anche mediante<br />

corsi telematici.<br />

Documento programmatico dell’attività ispettiva<br />

del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali<br />

Direzione generale per l’attività ispettiva<br />

Programmazione 2005<br />

Nell’ambito delle priorità politiche individuate dalla Direttiva generale per l’attività amministrativa e la<br />

gestione per l’anno 2005 ed al fine di delineare le direttive operative di carattere generale rivolte a tutti gli<br />

organismi istituzionalmente preposti all’attività di vigilanza, si ritiene opportuno fornire le seguenti indicazioni,<br />

già oggetto di confronto e di comune valutazione con gli Istituti previdenziali.<br />

In primo luogo va evidenziato che l’attività di vigilanza svolta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali<br />

e dagli Enti previdenziali deve privilegiare ambiti settoriali e tematici ben delineati e meritevoli di particolare<br />

attenzione in quanto caratterizzati da fenomeni di rilevante impatto economico­sociale. Inoltre, ove<br />

sussistano i presupposti normativi, appare necessario utilizzare quanto più possibile gli strumenti<br />

conciliativi recentemente introdotti dal D.Lgs. n. 124/2004, anche in via alternativa allo svolgimento<br />

dell’attività di vigilanza.<br />

Per quanto attiene i profili quantitativi della vigilanza, si ritiene in via preliminare che, per l’anno 2005,<br />

debba essere almeno confermato il numero di interventi ispettivi effettuati nell’anno precedente, avendo<br />

particolare cura di evitare il fenomeno delle duplicazioni e sovrapposizioni delle attività di vigilanza.<br />

Particolare attenzione deve essere altresì dedicata al miglioramento dei risultati qualitativi dell’attività<br />

ispettiva, da realizzarsi mediante una più mirata selezione delle realtà aziendali da sottoporre a controllo,<br />

con l’obiettivo di concentrare quanto più possibile gli interventi nei soli confronti di quelle aziende<br />

maggiormente a rischio di fenomeni di lavoro sommerso. La finalità tendenziale da perseguire quindi è<br />

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23 agosto 2005 ­ N. 17


IGIENE E SICUREZZA<br />

SICUREZZA DEL LAVORO<br />

Documento<br />

quella di incrementare in maniera significativa il riscontro effettivo di tali fenomeni diminuendo conseguentemente<br />

gli interventi non produttivi di risultati sotto il profilo dell’efficacia dell’azione ispettiva. In<br />

altri termini, si sottolinea la necessità di elevare significativamente la percentuale delle visite<br />

ispettive da cui scaturisca l’adozione di provvedimenti sanzionatori amministrativi e/o penali o<br />

provvedimenti di recupero contributivo. Più specificatamente, l’obiettivo in termini quantitativi<br />

è quello di attestare le percentuali di irregolarità intorno al 65­70% delle aziende ispezionate, a<br />

fronte dell’attuale 40%.<br />

1. Lavoro sommerso<br />

La centralità delle azioni di contrasto al lavoro irregolare, ribadita dalla direttiva ministeriale, impone di<br />

considerare quale preminente ambito d’intervento dell’attività ispettiva il fenomeno del c.d. “sommerso<br />

totale”.<br />

Più in particolare possono individuarsi alcuni obiettivi strategici volti ad esplicitare con maggiore precisione<br />

gli ambiti di attività cui rivolgere prioritariamente l’azione di vigilanza:<br />

a) lavoro irregolare dei cittadini stranieri immigrati<br />

l’attività lavorativa dei cittadini stranieri immigrati deve svolgersi nell’integrale rispetto della normativa<br />

vigente e, pertanto, vanno contrastate tutte le forme di impiego irregolare di tale manodopera, intervenendo<br />

mediante azioni di intelligence coordinate con gli Sportelli unici per l’immigrazione, con le forze di<br />

polizia e gli Istituti previdenziali. In particolare va privilegiata l’azione di vigilanza nei confronti di quelle<br />

realtà economiche gestite o organizzate mediante minoranze etniche, operanti al di fuori di qualunque<br />

regolamentazione di carattere lavoristico, previdenziale e fiscale e che realizzano vere e proprie forme di<br />

sfruttamento della manodopera impegnata.<br />

b) lavoro nel settore dell’agricoltura<br />

l’addensarsi di forme di lavoro sommerso in agricoltura deve essere fronteggiato da un’azione comune e<br />

coordinata fra gli organi ispettivi degli Istituti e di questo Ministero, dedicando particolare attenzione al perdurante<br />

fenomeno del caporalato, ancora significativamente diffuso in particolare nelle regioni del meridione.<br />

c) lavoro nel settore dei pubblici esercizi<br />

a fronte dell’introduzione delle nuove forme di lavoro flessibile, vanno contrastati con la massima decisione<br />

tutti quei comportamenti non riconducibili a tali nuove tipologie negoziali, comportamenti che concretano<br />

fenomeni di lavoro totalmente irregolare. A tal fine, si dovrà procedere ad azioni mirate condotte in<br />

particolare al di fuori delle tradizionali fasce di attività settimanale e oraria (orario notturno, fine settimana,<br />

periodi festivi, etc.).<br />

Si individua, nella tabella che segue, il numero minimo degli interventi da realizzare nei rispettivi ambiti di<br />

riferimento.<br />

TABELLA 1<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

Immigrati Agricoltura Pubblici esercizi<br />

Abruzzo 490 500 600<br />

Basilicata 400 600 300<br />

Calabria 1.500 2.200 2.600<br />

Campania 1.250 1.300 1.500<br />

Emilia Romagna 1.000 450 1.000<br />

Friuli V. G. 300 150 250<br />

Lazio 1.600 550 1.500<br />

Liguria 400 150 350<br />

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69


70<br />

SICUREZZA DEL LAVORO<br />

Documento<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

Lombardia 1.500 300 1.700<br />

Marche 700 500 1.200<br />

Molise 200 200 400<br />

Piemonte 800 450 1.200<br />

Puglia 1.000 3.000 1.000<br />

Sardegna 400 200 700<br />

Sicilia 600 1.800 1.300<br />

Toscana 1.500 1.100 2.300<br />

Umbria 250 150 400<br />

Val D’Aosta 110 100 200<br />

Veneto 1.000 300 1.000<br />

Totali 15.000 14.000 19.500<br />

2. Edilizia<br />

In considerazione della gravità dei fenomeni infortunistici e della diffusione di forme di lavoro irregolare nel<br />

settore considerato, si pone l’esigenza di intensificare l’azione ispettiva con particolare riguardo alle<br />

piccole e medie aziende non iscritte alle Casse Edili e al settore degli appalti pubblici. Tali interventi<br />

devono essere volti a verificare sia le complessive condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro, sia l’eventuale<br />

esistenza di fenomeni di lavoro irregolare.<br />

Si individua, nella tabella che segue, il numero minimo degli interventi da realizzare.<br />

Edilizia<br />

Abruzzo 1.400<br />

Basilicata 1.400<br />

Calabria 2.000<br />

Campania 3.800<br />

Emilia Romagna 1.500<br />

Friuli V. G. 200<br />

Lazio 2.500<br />

Liguria 1.000<br />

Lombardia 1.900<br />

Marche 2.000<br />

Molise 1.000<br />

Piemonte 1.300<br />

Puglia ­4.400<br />

Sardegna 1.000<br />

Sicilia 4.800<br />

Toscana 2.000<br />

Umbria 800<br />

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TABELLA 2<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

Val D’Aosta 200<br />

Veneto 800<br />

Totale 34.000<br />

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SICUREZZA DEL LAVORO<br />

Documento<br />

2. Lavoro minorile<br />

Un’attenzione particolare dovrà essere rivolta al fenomeno del lavoro minorile, in specie nelle regioni in cui<br />

esso appare più evidente. Tale azione dovrà essere preceduta da un ampio monitoraggio del fenomeno<br />

effettuato di intesa con i servizi sociali degli enti locali, con le autorità scolastiche, e con le forze di polizia<br />

operanti sul territorio. Attenzione particolare, in questa prospettiva, dovrà essere dedicata altresì al controllo<br />

analitico di tutte le forme di impiego dei minori nel settore dello spettacolo, per le quali viene rilasciato<br />

l’apposito provvedimento autorizzatorio da parte delle Direzioni provinciali del lavoro.<br />

Si individua, nella tabella che segue, il numero minimo degli interventi da realizzare.<br />

Minori<br />

Abruzzo 300<br />

Basilicata 300<br />

Calabria 800<br />

Campania 1.400<br />

Emilia Romagna 600<br />

Friuli V. G. 100<br />

Lazio 500<br />

Liguria 200<br />

Lombardia 600<br />

Marche 200<br />

Molise 200<br />

Piemonte 300<br />

Puglia 1.200<br />

Sardegna 300<br />

Sicilia 800<br />

Toscana 800<br />

Umbria 100<br />

Val D’Aosta 100<br />

Veneto 200<br />

Totale 9.000<br />

TABELLA 3<br />

3. Interventi mirati<br />

Oltre ai profili sopra considerati si ritiene opportuno orientare l’attività di vigilanza anche su specifiche<br />

fattispecie di rilevante impatto sociale, quali l’inserimento lavorativo dei disabili e degli altri soggetti di<br />

cui alla legge 68/1999, l’attività delle agenzie per il lavoro e la corretta applicazione delle tipologie<br />

contrattuali introdotte dalla riforma Biagi, il rispetto della legislazione sulle pari opportunità, anche<br />

con riferimento al cosiddetto fenomeno del mobbing e i fenomeni di delocalizzazione ovvero di<br />

dismissione.<br />

71


SICUREZZA DEL LAVORO<br />

Documento<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

Rispetto della disciplina sull’inserimento lavorativo dei soggetti disabili<br />

Sulla base dei dati acquisiti presso i Centri per l’impiego è opportuno verificare il corretto adempimento da<br />

parte delle aziende private e delle pubbliche amministrazioni della disciplina in esame, utilizzando il potere<br />

di diffida in particolare ai fini della copertura della aliquota d’obbligo.<br />

Vigilanza sui soggetti esercitanti l’attività di somministrazione e mediazione di lavoro<br />

Sulla base degli annunci effettuati sui quotidiani nonché su altri mezzi di comunicazione (ad es. internet) si<br />

rileva l’opportunità di svolgere accertamenti sul rispetto della normativa introdotta dal D.Lgs. n. 276/2003<br />

per contrastare eventuali fenomeni di abusivismo.<br />

Monitoraggio sulla corretta applicazione delle nuove tipologie contrattuali<br />

introdotte dalla riforma Biagi<br />

Sulla base di una attenta e accurata attività di “intelligence” da sviluppare con gli Istituti previdenziali,<br />

è opportuno esaminare a campione le fattispecie che presentano maggiori profili di criticità concernenti<br />

l’applicazione dei nuovi istituti contrattuali, con particolare riferimento al lavoro a progetto.<br />

Rispetto della disciplina sulle pari opportunità ed eventuali fenomeni di mobbing<br />

Previe apposite intese con la rete delle Consigliere di parità presenti sul territorio, occorre verificare<br />

l’esistenza di eventuali fenomeni discriminatori, concentrando altresì l’attenzione su eventuali fenomeni di<br />

costrittività organizzativa che possono integrare azioni mobbizzanti.<br />

Delocalizzazione o dismissione di rami d’azienda<br />

In tutte quelle ipotesi ove, in ambito territoriale, si verificano fenomeni di delocalizzazione o dismissione di<br />

rami d’azienda, si ritiene opportuno attivare interventi congiunti con gli Istituti previdenziali per verificare,<br />

sotto un punto di vista complessivo, la regolarità dei comportamenti aziendali posti in essere.<br />

Si individua, nella tabella che segue, il numero minimo degli interventi da realizzare nei rispettivi ambiti di<br />

riferimento.<br />

72<br />

Legge<br />

n. 68/1999<br />

Attività di somministrazione<br />

e mediazione<br />

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Monitoraggio nuovi<br />

istituti contrattuali<br />

TABELLA 4<br />

Pari<br />

opportunità<br />

Abruzzo 40 20 80 10<br />

Basilicata 15 10 30 5<br />

Calabria 40 20 80 15<br />

Campania 40 20 80 15<br />

Emilia Romagna 70 40 140 15<br />

Friuli V. G. 30 20 60 10<br />

Lazio 90 40 240 20<br />

Liguria 60 30 120 20<br />

Lombardia 130 60 200 40<br />

Marche 30 15 60 10<br />

Molise 15 10 30 5<br />

Piemonte 90 40 180 30<br />

Puglia 40 20 80 10<br />

Sardegna 30 15 60 10<br />

Sicilia 60 30 120 20<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


IGIENE E SICUREZZA<br />

SICUREZZA DEL LAVORO<br />

Documento<br />

Toscana 100 50 200 30<br />

Umbria 30 15 60 10<br />

Val D’Aosta 20 10 40 5<br />

Veneto 70 35 140 20<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

Totali 1.000 500 2.000 300<br />

Tabella riassuntiva degli interventi di iniziativa in ambito regionale<br />

Abruzzo 3.440<br />

Basilicata 3.060<br />

Calabria 9.255<br />

Campania 9.405<br />

Emilia Romagna 4.815<br />

Friuli V. G. 1.120<br />

Lazio 7.040<br />

Liguria 2.330<br />

Lombardia 6.430<br />

Marche 4.715<br />

Molise 2.060<br />

Piemonte 4.390<br />

Puglia 10.750<br />

Sardegna 2.715<br />

Sicilia 9.530<br />

Toscana 8.080<br />

Umbria 1.815<br />

Val D’Aosta 785<br />

Veneto 3.565<br />

Totale 95.300<br />

Nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali<br />

Direzione generale per l’Attività Ispettiva<br />

24 giugno 2005, Prot. n. 939<br />

Programmazione attività di vigilanza tecnica<br />

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TABELLA 5<br />

Sono pervenute, per vie brevi, da parte di alcune Direzioni Regionali e Provinciali, richieste di ulteriori<br />

precisazioni sulla programmazione dell’attività di vigilanza tecnica con particolare riferimento al settore<br />

delle costruzioni. Al riguardo questa Direzione fa presente che a livello europeo non è stata reiterata, per<br />

l’anno 2005, la campagna nelle costruzioni, e pertanto l’attività di vigilanza proseguirà secondo le indicazioni<br />

di carattere generale già fornite con il documento di programmazione 2005.<br />

Inoltre, come è noto, il Governo ha deciso di ritirare lo schema di decreto legislativo recante il testo unico<br />

73


SICUREZZA DEL LAVORO<br />

Documento<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

delle norme in materia di sicurezza del lavoro escludendo di proporre al Parlamento una proroga del<br />

termine per l’esercizio della delega, questo nuovo elemento elimina le perplessità legate ad una più<br />

puntuale programmazione della vigilanza tecnica per il secondo semestre del 2005.<br />

Per quanto attiene alla vigilanza nel settore delle costruzioni si richiama la strategia concordata, lo scorso<br />

anno, con il Coordinamento Tecnico delle Regioni che prevede:<br />

1) Le Direzioni Regionali assumeranno nell’ambito dei Comitati di cui all’art. 27 del D.Lgs. n. 626/94, ove<br />

operanti, diversamente si farà riferimento a momenti di coordinamento similari, i necessari contatti con le<br />

competenti strutture regionali delle AA.SS.LL. al fine di individuare i criteri operativi e di rilevazione degli<br />

interventi;<br />

2) Le Direzioni Provinciali ricercheranno un forte coordinamento con le AA.SS.LL., che preveda un‘attenzione<br />

particolare delle DPL agli aspetti di regolarità del lavoro in modo particolare nelle aree in cui le AA.SS.LL.<br />

sono in grado di garantire un’importante azione di vigilanza in materia di igiene e sicurezza, in maniera da<br />

integrare gli interventi ed evitare ogni possibile duplicazione e/o sovrapposizione degli stessi;<br />

3) Le Direzioni Provinciali, contestualmente alle verifiche in materia di igiene e sicurezza, controlleranno la<br />

regolarità dei rapporti di lavoro affiancando all’ispettore tecnico, ove possibile, un ispettore amministrativo.<br />

In ogni caso, e quindi anche in sede di vigilanza ordinaria, tenuto conto della precipua incidenza del<br />

fenomeno infortunistico rilevante con riferimento alle tipologie dei contratti atipici, sarà opportuno evidenziare,<br />

per ciascun cantiere visitato, la presenza di lavoratori “atipici” e le lavorazioni cui vengono adibiti, tali<br />

dati verranno poi semestralmente trasmessi a questa direzione;<br />

4) Dovranno essere promosse iniziative congiunte con le Regioni e Province Autonome, le Parti Sociali, i<br />

Comitati Paritetici per l’edilizia e le Istituzioni interessate per un’opera di sensibilizzazione;<br />

5) I cantieri saranno individuati anche sulla base delle notifiche preliminari agli atti di codesti Uffici<br />

integrando la ricerca con la vigilanza “a vista” in modo da coprire tutto il territorio di competenza.<br />

Particolare attenzione dovrà essere rivolta ai cantieri definibili “sotto il livello minimo etico di sicurezza”<br />

dove si rileva “scarsa o nessuna osservanza” delle norme e dove sono presenti, generalizzati, gravi ed<br />

imminenti rischi di infortunio, direttamente riscontrati con particolare riguardo alle cadute dall’alto, al<br />

rischio di seppellimento o alla possibilità di folgorazione. In tali situazioni, ove le violazioni non siano<br />

sanabili con interventi contestuali ed efficaci, l’ispettore valuterà l’applicazione dei provvedimenti repressivi<br />

in grado di produrre la sospensione dei lavori.<br />

Con riferimento poi al miglioramento dei risultati qualitativi riferibili più specificamente alla sicurezza e<br />

salute nei luoghi di lavoro, si dovrà porre particolare attenzione anche a quanto previsto dalle più recenti<br />

normative in materia (D.P.R. 222/2003 ­ Regolamento sui contenuti minimi dei piani di sicurezza nei cantieri<br />

temporanei o mobili, nonché D.Lgs. 235/2003 che determina i requisiti minimi di sicurezza e salute per l’uso<br />

delle attrezzature di lavoro per l’esecuzione di lavori temporanei in quota).<br />

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23 agosto 2005 ­ N. 17


IGIENE E SICUREZZA<br />

SICUREZZA DELLE MACCHINE<br />

Documento<br />

Il Ministero del Welfare sconsiglia l’uso di alcuni ponti sviluppabili anche se targati CE<br />

Piattaforme aeree: lavori in quota sicuri<br />

con dispositivo di arresto in condizioni limite<br />

Maggiore cautela nell’utilizzo delle piattaforme aeree sviluppabili con operatore a bordo è quanto proposto<br />

nella circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali 14 luglio 2005, n. 29, di risposta a un quesito<br />

posto dalla Giunta Regione Lombardia ­ Direzione Generale Sanità. Inizialmente, con l’art. 52, D.P.R. n.<br />

164/1956, vigeva il divieto di impiego dei ponti sviluppabili su carro in modalità traslativa, successivamente<br />

riconsiderato vista l’evoluzione tecnica e l’esistenza di normativa armonizzata (la prEN 280 e la EN 280) che<br />

permettevano di realizzare e commercializzare macchine più sicure. Infatti, le norme tecniche prevedono che<br />

sia installato sulla macchina sia un segnale acustico che avverta l’operatore nel caso di raggiungimento dei<br />

limiti di inclinazione, sia un sistema meccanico che blocchi la struttura estensibile in modo da evitare il<br />

ribaltamento della piattaforma o il superamento delle sollecitazioni ammesse. In realtà, alcuni costruttori<br />

esteri hanno interpretato in maniera più restrittiva l’applicazione di queste norme, con l’approvazione,<br />

inoltre, di alcuni Organismi notificati, dotando le macchine unicamente di un segnale acustico. Ciò ha<br />

comportato conseguenze non trascurabili sia per i costruttori italiani, traducendosi in una minore competitività<br />

con maggiori costi di progettazione e costruzione, sia per gli utilizzatori italiani, i quali potrebbero<br />

trovarsi a operare con un livello di protezione non adeguato. Per questo motivo, il Ministero del Lavoro e<br />

delle Politiche sociali ha ritenuto opportuno richiamare l’attenzione dei datori di lavoro, che utilizzano<br />

macchine non dotate di dispositivo di arresto della piattaforma in caso di superamento della pendenza<br />

massima raggiungibile, di provvedere affinché le operazioni che prevedono la traslazione vengano di volta<br />

in volta valutate e programmate in maniera tale che le procedure risultino compatibili con le indicazioni<br />

riportate nel manuale d’uso della macchina. Sull’argomento, <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>, nel n. 12/2005, ha pubblicato<br />

un inserto che propone un breve inquadramento normativo nonché un approfondimento che guida<br />

all’individuazione dei rischi legati alle principali caratteristiche e modalità di impiego della macchina.<br />

Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali<br />

14 luglio 2005, n. 29<br />

Piattaforme di lavoro elevabili - Traslazione con operatore a bordo delle piattaforme sviluppate<br />

Con lettera prot. n. 20321 del 27/2/03, di cui per opportuna<br />

conoscenza in appendice si riporta il testo, il Ministero del<br />

Lavoro e delle Politiche Sociali, ha espresso il parere che l’art.<br />

52 del DPR 164, riguardante il divieto di traslazione dei ponti<br />

sviluppabili su carro, poteva considerarsi superato alla luce<br />

delle innovazioni introdotte dal DPR n. 459/96 di recepimento<br />

della direttiva macchine. Infatti, riconoscendo che, con riferimento<br />

al citato nuovo regime legislativo, l’evoluzione tecnica e<br />

l’esistenza di norme costruttive armonizzate consentivano di<br />

realizzare e mettere in commercio e in uso macchine ragionevolmente<br />

più sicure che nel passato, per i ponti sviluppabili su<br />

carro ovvero le piattaforme di lavoro elevabili costruiti in conformità<br />

al DPR 459/96 è stata ammessa la possibilità di traslazione<br />

con operatori a bordo.<br />

Uno dei presupposti, quindi, su cui si basava il citato parere<br />

era che i documenti normativi armonizzati disponibili per tali<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

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macchine, a fronte di un requisito di sicurezza ben individuato<br />

dalla Direttiva (cfr. all. 1, p. 1.3.1), offrissero soluzioni costruttive<br />

adeguate.<br />

Si deve invece constatare - anche sulla base di quanto fatto<br />

rilevare dall’ISPESL - che, con specifico riferimento al citato<br />

requisito, i documenti normativi generalmente utilizzati dai fabbricanti<br />

(prEN 280, EN 280) si prestano ad una non chiara ed<br />

univoca interpretazione.<br />

Più precisamente, per quanto riguarda le caratteristiche del<br />

“carro di base” (punto 5.2.2 della prEN 280 e 5.3.2 della EN<br />

280), è stabilito che “per le piattaforme di lavoro elevabili di<br />

tipo 3 - cioè quelle per le quali la traslazione è controllata da un<br />

punto di comando sulla piattaforma di lavoro - il raggiungimento<br />

degli estremi limiti di inclinazione deve essere indicato da un<br />

segnale udibile dalla piattaforma”, mentre per quel che riguarda<br />

la “struttura estensibile” (punto 5.3.1. del prEN 280/98 e<br />

75


SICUREZZA DELLE MACCHINE<br />

Documento<br />

5.4.1.3.1 della EN 280/01) si richiede che “per evitare il ribaltamento<br />

della piattaforma di lavoro mobile elevabile o il superamento<br />

delle sollecitazioni ammesse nella struttura della piattaforma<br />

di lavoro mobile elevabile, le posizioni consentite della<br />

struttura estensibile devono essere limitate automaticamente da<br />

arresti meccanici, da dispositivi di limitazione non meccanici o<br />

da dispositivi di sicurezza elettrici”<br />

Nella pratica applicazione delle disposizioni appena richiamate<br />

si è, infatti, osservato che alcuni costruttori esteri, con<br />

l’approvazione di taluni Organismi notificati, hanno ritenuto di<br />

interpretare restrittivamente la norma ed hanno dotato le piattaforme<br />

in questione solo di un segnale acustico, mentre risulta<br />

che molti costruttori italiani, segnatamente di piattaforme a<br />

pantografo, hanno adottato un’interpretazione più rigorosa e<br />

cautelativa ed abbinano al segnale acustico anche un dispositivo<br />

che arresta o impedisce i movimenti pericolosi quando il carro<br />

di base supera la pendenza nominale.<br />

Questo differente modo di interpretare le medesime disposizioni<br />

normative sopramenzionate comporta alcune non trascurabili<br />

conseguenze sia per i costruttori sia per gli utilizzatori di<br />

questa tipologia di macchine.<br />

Per i costruttori che adottano soluzioni tecniche di maggiore<br />

prudenza (applicazione di dispositivi di controllo e inibizione<br />

dei movimenti pericolosi del solo carro di base, ovvero degli<br />

elementi sviluppabili o di entrambi) esso si traduce in una<br />

fattore di minor competitività, a causa dei corrispondenti maggiori<br />

costi di progettazione e costruzione.<br />

Per gli operatori addetti all’uso di macchine prive dei suddetti<br />

dispositivi di arresto dei movimenti pericolosi esso comporta<br />

- rispetto al rischio di rovesciamento - un livello di protezione<br />

minore che per gli operatori che utilizzano macchine che<br />

ne siano dotate. Infatti piattaforme di lavoro elevabili del tipo 3<br />

non dotate dei dispositivi anzidetti possono trovarsi ad operare<br />

(in versione fuoristrada, con assali oscillanti, in cantieri edili, su<br />

terreno sconnesso, o declive) in condizioni nelle quali le pendenze<br />

massime ammesse dal costruttore possono essere superate<br />

(anche involontariamente) in conseguenza del fatto che la<br />

stima delle effettive condizioni di pendenza in cui si opera è<br />

rimessa unicamente al soggettivo apprezzamento dell’operatore<br />

- particolarmente quando si utilizzano macchine concepite per<br />

76<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

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operare su piccole pendenze nominali - non eccedenti 1,5° o 2 -<br />

ed i cui i margini residui di sicurezza sono necessariamente<br />

ristretti.<br />

La situazione descritta è stata presa in considerazione anche<br />

da altri Paesi della UE, i quali, a seguito di incidenti, hanno<br />

considerato non condivisibile una interpretazione di tipo restrittivo<br />

(vedi documento 2004.07 presentato in sede di Comitato<br />

ADCO). In particolare, la Francia, ritenendo che l’attuale versione<br />

sia carente e pericolosa ai fini della sicurezza, ha chiesto<br />

che nella revisione della norma EN 280 venga reso obbligatorio<br />

un dispositivo di sicurezza che arresti i movimenti pericolosi in<br />

caso di superamento della pendenza prevista dal costruttore<br />

(vedi doc. CEN 89 E).<br />

A livello nazionale, la questione è stata portata all’attenzione<br />

del Ministero delle Attività Produttive che sta esaminando la<br />

possibilità di richiedere la revisione urgente della norma 280/01<br />

ovvero di attivare presso la Commissione europea la clausola di<br />

salvaguardia nei confronti della norma EN 280/01, limitatamente<br />

ai RES in argomento.<br />

Indipendentemente dai successivi sviluppi delle questioni ancora<br />

aperte sia sotto il profilo normativo sia di quello dei provvedimenti<br />

di salvaguardia del mercato, non può non osservarsi che<br />

la situazione sopra illustrata può riflettersi ancor più negativamente<br />

sulle condizioni di sicurezza dei lavoratori italiani i quali,<br />

come rilevato in apertura, sono passati da un regime di utilizzazione<br />

caratterizzato dal divieto assoluto di traslazione con piattaforma<br />

sviluppata ad una condizione esattamente opposta.<br />

Pertanto, ad integrazione della nota citata in apertura, si<br />

ritiene opportuno richiamare l’attenzione dei datori di lavoro,<br />

ove utilizzino macchine non dotate di dispositivi per l’arresto<br />

dei descritti movimenti pericolosi in caso di superamento della<br />

pendenza massima ammissibile, sulla necessità di provvedere<br />

affinché le attività operative comportanti la traslazione con operatore<br />

a bordo della piattaforma sviluppata siano, di volta in<br />

volta, valutate e programmate in modo che le effettive condizioni<br />

ambientali e le modalità e procedure operative previste risultino<br />

compatibili con le indicazioni e limitazioni di uso fornite<br />

dal costruttore - e riportate nel manuale d’istruzione della macchina<br />

- di modo che possano ritenersi esclusi i rischi di instabilità<br />

in precedenza descritti.<br />

APPENDICE<br />

Lettera della Giunta Regione Lombardia - Direzione Generale Sanità<br />

Prevenzione 27 febbraio 2003, Prot. n. 20320/PR/MAC/Q/MA<br />

Art. 52, u.c. del D.P.R. n. 164/1956 - Divieto di traslazione dei ponti sviluppabili su carro - Applicabilità<br />

alle attrezzature recanti la marcatura CE - Parere<br />

Si fa riferimento al quesito posto con la nota in riscontro e volto a conoscere se, stante la situazione<br />

regolamentare determinatasi con l’entrata in vigore delle disposizioni del D.P.R. n. 459/1996 e della legge n.<br />

128/1998, la limitazione di impiego di cui all’art. 52, u.c. del D.P.R. n. 164/1956 si debba considerare<br />

applicabile anche alle attrezzature indicate in oggetto e recanti la marcatura CE.<br />

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IGIENE E SICUREZZA<br />

SICUREZZA DELLE MACCHINE<br />

Documento<br />

Al riguardo, pur tenendo presenti le competenze delle Regioni in materia di sicurezza e salute sui<br />

luoghi di lavoro ai sensi del nuovo Titolo V della Costituzione, si ritiene comunque opportuno esprimere<br />

alcune indicazioni in merito alla suddetta problematica al fine di fornire utili elementi di valutazione<br />

per un’omogenea applicazione della normativa di sicurezza.<br />

L’u.c. dell’art. 52 del D.P.R. n. 164/1956 stabilisce il divieto di traslazione dei ponti sviluppabili su carro<br />

(PSSC) quando su di essi si trovano lavoratori o sovraccarichi tranne che si tratti di lavori per le linee<br />

elettriche di contatto.<br />

In effetti con questa disposizione il legislatore degli anni ’50 ha applicato il principio, costantemente<br />

seguito, di imporre limitazioni d’uso ogni volta che la tecnica al momento disponibile non consente di<br />

attuare soluzioni costruttive in grado di far fronte con il necessario livello di sicurezza e di affidabilità ai<br />

rischi derivanti da particolari destinazioni d’uso o specifiche modalità di impiego delle attrezzature di<br />

volta in volta considerate.<br />

Nello specifico caso dei PSSC la limitazione al solo uso per il tipo di lavori su richiamati traeva la sua<br />

ragion d’essere nel fatto che al momento in cui la disposizione veniva emanata le tecnologie costruttive<br />

non consentivano di porre a disposizione degli utilizzatori attrezzature sufficientemente sicure ­ rispetto<br />

al rischio di ribaltamento ­ da permetterne un impiego generalizzato su qualsiasi suolo, o terreno, o<br />

teatro operativo.<br />

Tale quadro giuridico di riferimento è stato profondamente innovato dall’emanazione del D.P.R. n.<br />

459/1996 che, recependo la direttiva 89/392/CEE e successive integrazioni e modifiche (cd. “direttiva<br />

macchine”), ha stabilito un diverso regime che prevede per i fabbricanti di macchine l’obbligo di<br />

applicare precise disposizioni procedurali e di osservare determinate prescrizioni di carattere tecnico­costruttivo<br />

per garantire che le macchine messe in commercio risultino conformi ai requisiti essenziali di<br />

sicurezza per le stesse stabiliti.<br />

Pertanto, anche per le attrezzature in oggetto i fabbricanti, nel regime stabilito dalla direttiva in<br />

argomento, sono obbligati a:<br />

l costruire i PSSC nel rispetto degli specifici requisiti di sicurezza individuati in maniera esplicita (§ 6<br />

dell’all. I al citato D.P.R. n. 459/1996) a fronte dei particolari rischi riguardanti il sollevamento e il<br />

trasporto di persone,<br />

l sottoporre il prototipo del PSSC alla procedura di esame CE da parte di appositi Organismi Notificati<br />

ai sensi della direttiva macchine per la certificazione del possesso dei requisiti di cui sopra (quando il<br />

rischio di caduta superi i tre metri).<br />

Attualmente per la costruzione di PSSC sono disponibili documenti normativi armonizzati (cfr. norma<br />

EN 280) che codificano l’effettivo stato dell’arte e delle conoscenze tecnologiche nel settore e l’applicazione<br />

delle cui prescrizioni tecniche comporta per gli Stati membri la presunzione della conformità di<br />

dette attrezzature ai predetti requisiti di sicurezza.<br />

Giova, altresì, rilevare che tale diversa impostazione è stata adottata dal legislatore comunitario anche<br />

in riferimento all’utilizzo delle attrezzature di lavoro e del pari ripresa da quello nazionale (si veda l’art.<br />

35, comma 4­bis, lett. b) del D.Lgs. n. 626/1994 come modificato dal D.Lgs n. 359/1999 di recepimento<br />

della direttiva 95/63/CE) il quale al riguardo stabilisce che il trasporto di lavoratori su attrezzature di<br />

lavoro mobili mosse meccanicamente avvenga esclusivamente su posti sicuri, predisposti a tale fine, e<br />

che, se si devono effettuare lavori durante lo spostamento, la velocità dell'attrezzatura sia adeguata.<br />

Infine e per completezza di informazione, si rileva che anche nel regime vigente precedentemente al<br />

D.P.R. n. 459/1996 era stata avvertita l’esigenza di superare la limitazione di uso di che trattasi attraverso<br />

l’applicazione dei meccanismi di aggiornamento della regolamentazione di sicurezza ­ attualmente<br />

non più applicabile alle macchine recanti la marcatura CE ­ mediante l’emanazione del D. M. 4 marzo<br />

1982, che ha, in pratica, preso atto dei progressi dello stato dell’arte nel frattempo sopravvenuti in<br />

materia.<br />

In base alle considerazioni sopra riportate è avviso di questa Amministrazione che il disposto dell’ultimo<br />

comma dell’art. 52 del D.P.R. n. 164/1956 possa ritenersi superato dalle disposizioni regolamentari<br />

successivamente emanate e di conseguenza non applicabile ai PSSC costruiti in conformità al D.P.R. n.<br />

459/1996.<br />

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SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Documento<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

Il lavoratore può essere “prestato” previo suo consenso solo se sussiste un mutamento delle mansioni<br />

Il Ministero del Lavoro risponde all’ANCE<br />

sulla legittimità del distacco<br />

i Mario Gallo, docente di Diritto della <strong>Sicurezza</strong> del lavoro presso il Corso di Perfezionamento<br />

er Consulenti del Lavoro ­ Università degli Studi di Cassino, componente Comitato Formazione AIAS<br />

Che il distacco del personale sia sotto il profilo storico uno degli istituti giuridici più controversi è<br />

un dato ben noto nel panorama giuslavoristico italiano; tuttavia, con l’avvento dell’art. 30, D.Lgs.<br />

276/2003 – cosiddetta legge Biagi ­ anziché prodursi effetti calmieranti di quel coacervo di tensioni<br />

legate alla dissociazione nel rapporto di lavoro sembra che, all’atto pratico, si rafforzi un effetto<br />

riverbero, portatore di nuove perplessità e di nuovi ambiti di discussione. In questo scenario il<br />

Ministero del Lavoro è stato chiamato per la quarta volta in poco più di un anno a fornire<br />

chiarimenti su una materia particolarmente magmatica, molto delicata sotto il profilo della tutela<br />

economica e del diritto alla salute del lavoratore [1] . Infatti, con la nota 11 luglio 2005, prot. n. 1006,<br />

il Ministero è intervenuto sulla questione sollevata dall’Associazione Nazionale Costruttori Edili<br />

(ANCE) in ordine alla compatibilità dell’art. 96 del contratto collettivo nazionale di lavoro dell’edilizia<br />

con le innovazioni introdotte dal già citato art. 30. In particolare, l’ANCE aveva posto in primo<br />

luogo il problema dell’eventuale contrasto tra la previsione dell’art. 96 del CCNL, laddove richiede<br />

obbligatoriamente per il distacco in edilizia il consenso del lavoratore, e le norme della legge Biagi<br />

che prevedono che il consenso del personale da distaccare si debba richiedere solo quando il<br />

distacco «comporti un mutamento delle mansioni». Il Ministero, pur richiamando il principio dello<br />

jus variandi, ossia il potere del datore di lavoro di variare entro certi limiti le mansioni alle quali è<br />

adibito il lavoratore (art. 2103 cod. civ.), ritiene che la norma contrattuale sia pienamente compatibile<br />

con la previsione dell’art. 30, D.Lgs. n. 276/2003, in quanto, secondo i comuni principi giuslavoristici,<br />

è consentito derogare alle norme di legge prevedendo condizioni contrattuali di miglior<br />

favore per il lavoratore (deroghe in melius). Al contrario, invece, non sono ammesse deroghe in<br />

pejus. Pertanto, conclude il Ministero, il datore di lavoro potrà distaccare il proprio dipendente,<br />

prevedendo un miglioramento delle mansioni; in tal caso, nella specie, «diventa superflua la<br />

previsione di cui al terzo comma dell’articolo 30, D.Lgs. n. 276/2003 posto che il consenso va in ogni<br />

caso (ossia, come sopra specificato, a prescindere dal mutamento di mansioni) richiesto al lavoratore».<br />

Naturalmente, tutto ciò è ammesso sempre all’interno della sfera del distacco genuino, ossia<br />

della dissociazione temporanea del rapporto di lavoro nell’interesse del distaccante, che non<br />

coincida con la mera somministrazione del lavoro altrui.<br />

Infine, occorre osservare che, per riallacciarsi alla recente circolare del Ministero del Lavoro 24<br />

giugno 2005, n. 28, questo richiamo alla contrattazione collettiva contenuto nella nota ministeriale<br />

dell’11 luglio 2005 e, in particolare, il suo carattere vincolante nella gestione di alcuni<br />

aspetti del rapporto di lavoro ha dei riflessi anche sugli obblighi di sicurezza; infatti, nella<br />

gestione del distacco, così come in altre fattispecie, bisognerà non solo osservare le norme del<br />

D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 e degli altri provvedimenti normativi, ma verificare attentamente<br />

anche la sussistenza di disposizioni dei contratti collettivi che impongono determinati obblighi<br />

in materia di sicurezza e di igiene del lavoro (cosiddetta «contrattualizzazione dell’obbligazione<br />

di sicurezza»).<br />

[1] Si ricorda che il Ministero del Lavoro già è intervenuto in materia di distacco con la circolare 15 gennaio 2004, n. 3, con la risposta<br />

all’interpello avanzata da Federazione Italiana Trasporti - CGIL del 12 aprile 2005 (ammissibilità del distacco nel contratto a<br />

termine) e con la circolare 24 giugno 2005, n. 28. Per un approfondimento si veda, dello stesso autore, Distacco del personale: dal<br />

MinLavoro chiarimenti su condizioni di liceità e sicurezza del lavoro, in <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>, n. 16/2005, pag. 71.<br />

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IGIENE E SICUREZZA<br />

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SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Documento<br />

Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali<br />

Direzione Generale per l’Attività ispettiva<br />

11 luglio 2005, Prot. n. 1006<br />

Distacco di manodopera - Art. 96 CCNL Edilizia - D.Lgs. n. 276/2003,<br />

art. 30 e circolare n. 3/2004<br />

L’associazione Nazionale Costruttori Edili (AN-<br />

CE) ha sollevato la problematica relativa alla compatibilità<br />

della previsione di cui all’art. 96 del<br />

CCNL dell’edilizia, alla luce dell’art. 30 D.Lgs.<br />

276/03, che ha introdotto nell’ordinamento la disciplina<br />

del distacco.<br />

L’art. 96 citato stabilisce in particolare che “nell’ambito<br />

di quanto consentito dal sistema legislativo<br />

e dalla prassi giuridica, il lavoratore edile può essere<br />

temporaneamente distaccato, previo suo consenso<br />

e con mansioni equivalenti, da un’impresa edile ad<br />

un’altra, qualora esista l’interesse economico produttivo<br />

dell’impresa distaccante, anche con riguardo<br />

alla salvaguardia delle proprie professionalità, a<br />

che il lavoratore svolga la propria attività a favore<br />

dell’impresa distaccataria”.<br />

Il consenso del lavoratore - salvo che il distacco<br />

comporti un mutamento di mansioni - non è un<br />

elemento costitutivo della fattispecie, norma che<br />

conferma, tra l’altro, il consolidato orientamento<br />

giurisprudenziale già formatosi ancor prima del<br />

D.Lgs. 276 del 2003. Se, infatti, il distacco si configura<br />

quale legittimo esercizio del potere del datore<br />

di lavoro, jus variandi, il consenso del lavoratore<br />

non è richiesto, dato il suo dovere di obbedienza ex<br />

art. 2104 c.c.<br />

Solo qualora il distacco implichi un mutamento di<br />

mansioni, come anticipato, sarà necessario il consenso<br />

del lavoratore, coerentemente con quanto stabilito<br />

dall’art. 2103 c.c.<br />

La norma contrattuale, nel prevedere il consenso<br />

del lavoratore ai fini del distacco, si configura quale<br />

norma di maggior favore rispetto a quanto previsto<br />

dall’art. 30 del D.Lgs. 276/03, il quale invece stabilisce<br />

che il consenso del personale da distaccare si<br />

debba richiedere solo quando il distacco “comporti<br />

un mutamento delle mansioni”.<br />

La norma contrattuale appare pertanto pienamente<br />

compatibile con la previsione di cui all’articolo<br />

30, D.Lgs. 276/2003 essendo certamente consentito<br />

alle parti stabilire deroghe in melius rispetto alla<br />

fonte normativa.<br />

Benché l’articolo 96 del contratto collettivo disponga<br />

che il lavoratore possa essere distaccato solo<br />

con mansioni equivalenti, ben potrà il datore di<br />

lavoro distaccare il proprio dipendente prevedendo<br />

un miglioramento delle mansioni: in tal caso, nella<br />

specie, diventa superflua la previsione di cui al terzo<br />

comma dell’articolo 30, D.Lgs. 276/2003 posto che<br />

il consenso va in ogni caso (ossia, come sopra specificato,<br />

a prescindere dal mutamento di mansioni)<br />

richiesto al lavoratore.<br />

Per quanto concerne l’interesse sottostante la procedura<br />

di distacco, si ricorda che l’art. 30 ne consente<br />

una interpretazione piuttosto ampia, tale che il<br />

distacco può essere legittimato, come chiarito da<br />

questo Ministero con circolare n. 3/2004 da qualsiasi<br />

interesse produttivo del distaccante “che non<br />

coincida con quello alla mera somministrazione di<br />

lavoro altrui”. Tale interpretazione evidenzia pertanto<br />

la necessità a che il distacco del lavoratore non<br />

sia legato esclusivamente a fini di lucro, come invece<br />

con riferimento alla somministrazione di lavoro.<br />

In linea generale l’interesse in argomento può ritenersi<br />

coincidente con una qualsiasi motivazione tecnica,<br />

produttiva ed organizzativa del distaccante purché<br />

effettivamente esistente, rilevante e legittima.<br />

Al riguardo, l’articolo 96 del contratto collettivo<br />

in oggetto, nel subordinare la liceità del distacco<br />

all’esistenza dell’interesse produttivo dell’impresa<br />

distaccante, pare specificare che tale interesse può<br />

anche essere individuato con particolare riguardo<br />

alla salvaguardia delle professionalità dei lavoratori<br />

distaccati. Previsione questa che non pare porsi in<br />

contraddizione con l’articolo 30 del D.Lgs. 276/<br />

2003, ben potendo rientrare la salvaguardia delle<br />

professionalità dei lavoratori distaccati nella più ampia<br />

categoria degli interessi economico produttivi di<br />

un impresa.<br />

Alla luce di quanto sopra non sembrano rinvenirsi<br />

profili di incompatibilità del citato art. 96 del CCNL<br />

edilizia con la definizione di distacco genuino, giacché<br />

l’interesse messo in rilievo dall’articolo non<br />

appare di natura esclusivamente economica, bensì<br />

legato “alla salvaguardia delle professionalità” dei<br />

lavoratori distaccati, la quale rientra sicuramente<br />

nell’ambito della più ampia categoria degli interessi<br />

economico produttivi che fanno capo all’impresa. l<br />

79


SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Documento<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

Per i lavori privati il DURC deve essere rinnovato mensilmente con la nuova posizione del datore di lavoro<br />

Nuovi chiarimenti sulle modalità di rilascio<br />

del Documento unico di regolarità contributiva<br />

Approvata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, la circolare INPS, INAIL ed enti bilaterali 26 luglio<br />

2005, n. 92, individua le condizioni a cui devono attenersi le aziende per potersi considerare in regola con gli<br />

adempimenti contributivi, attraverso il Documento unico di regolarità contributiva (DURC). La circolare<br />

chiarisce che, secondo quanto stabilito dall’art. 20, D.Lgs. n. 251/2004, l’applicazione del DURC deve essere<br />

estesa anche ai lavori privati, soggetti a concessione o a DIA, e per questi la sua validità ha durata di un<br />

mese, trascorso il quale deve essere aggiornato con la nuova posizione contributiva del datore di lavoro. Per<br />

quanto attiene agli appalti pubblici, invece, il documento deve essere presentato, previa richiesta, solamente<br />

dall’impresa vincitrice della gara, mentre, per le imprese che partecipano, è sufficiente un’autocertificazione<br />

della situazione contributiva. Il testo del provvedimento riporta, inoltre, le procedure per la richiesta<br />

del DURC, precisando l’esistenza di un apposito modulo che dovrà essere compilato in funzione della<br />

tipologia della richiesta.<br />

80<br />

Circolare INPS, INAIL, Casse edili congiuntamente<br />

al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali<br />

26 luglio 2005, n. 92<br />

Rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva INPS-INAIL-Casse Edili.<br />

Testo congiunto approvato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali<br />

SOMMARIO:<br />

l Decreto Legislativo n. 276/2003;<br />

l Legge n. 266/2002;<br />

l Legge n. 109/1994 e successive modifiche ed integrazioni;<br />

l Decreto Legislativo n. 157/1995 e successive modifiche ed<br />

integrazioni;<br />

l Decreto Legislativo n. 358/1992 e successive modifiche ed<br />

integrazioni;<br />

l Decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999 e successive<br />

modifiche ed integrazioni;<br />

l Decreto del Presidente della Repubblica n. 34/2000 e successive<br />

modifiche ed integrazioni;<br />

l Decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 e successive<br />

modifiche ed integrazioni;<br />

l Decreto Legislativo n. 196/2003.<br />

1. Premessa<br />

La Legge n. 266/2002 ed il Decreto Legislativo n. 276/2003<br />

hanno stabilito che INPS, INAIL e Casse Edili stipulino convenzioni<br />

al fine del rilascio di un Documento Unico di Regolarità<br />

Contributiva (DURC).<br />

Per Documento Unico di Regolarità Contributiva deve intendersi<br />

il certificato che, sulla base di un’unica richiesta, attesti<br />

contestualmente la regolarità di un’impresa per quanto concerne<br />

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gli adempimenti INPS, INAIL e Cassa Edile verificati sulla<br />

base della rispettiva normativa di riferimento (cfr. “requisiti<br />

regolarità”).<br />

Il DURC rappresenta un utile strumento per l’osservazione<br />

delle dinamiche del lavoro ed una nuova forma di contrasto al<br />

lavoro sommerso e consente il monitoraggio dei dati e delle<br />

attività delle imprese affidatarie di appalti, anche ai fini della<br />

creazione di un’apposita banca-dati utile per ostacolare la concorrenza<br />

sleale nella partecipazione alle gare.<br />

In attuazione della citata normativa, in data 3 dicembre 2003<br />

è stata stipulata una prima convenzione tra Inps e Inail e,<br />

successivamente,<br />

in occasione dell’ampliamento dell’oggetto del DURC ai<br />

lavori privati, in data 15 aprile 2004, è stata sottoscritta una<br />

seconda convenzione tra INPS, INAIL e Casse Edili che ha<br />

regolamentato, in particolare, il settore dei lavori in edilizia.<br />

Tali convenzioni, che trovano attuazione nella presente Circolare,<br />

hanno, tra gli altri, l’obiettivo di ricondurre ad uniformità<br />

le varie iniziative avviate sul territorio in via sperimentale.<br />

2. Ambito di applicazione del DURC<br />

A) Oggetto<br />

La regolarità contributiva oggetto del DURC riguarda tutti<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


li appalti pubblici nonché i lavori privati in edilizia soggetti al<br />

ilascio di concessione ovvero a denuncia inizio attività (DIA).<br />

La definizione di appalto pubblico deve essere ampiamente<br />

ntesa, dovendo ricomprendersi non solo gli appalti di lavori<br />

ubblici in senso stretto [1] , ma anche gli appalti di servizi e<br />

orniture [2] . La sfera di operatività è altresì ampliata ed estesa<br />

nche alla gestione di servizi ed attività pubbliche in convenzioe<br />

o concessione.<br />

Il DURC potrà poi essere utilizzato ai fini del rilascio del-<br />

’attestazione SOA e dell’iscrizione all’Albo dei Fornitori nonhé<br />

in tutti i casi in cui sia necessario ai fini dell’assegnazione di<br />

gevolazioni, finanziamenti e sovvenzioni.<br />

In questa circolare verranno rese indicazioni sulle problemaiche<br />

relative all’edilizia sia con riguardo ai lavori pubblici che a<br />

uelli privati.<br />

) Richiedenti il DURC<br />

Sulla base delle disposizioni in esame, richiedente principale<br />

el Documento Unico è l’impresa, anche attraverso i consulenti<br />

el lavoro e le associazioni di categoria provviste di delega (cd.<br />

ntermediari).<br />

Sono soggetti richiedenti del DURC anche le Pubbliche<br />

mministrazioni appaltanti, gli Enti privati a rilevanza pubblica<br />

ppaltanti e le SOA [3] .<br />

) Rilascio del DURC<br />

Ai fini del rilascio del DURC si specifica quanto segue:<br />

I) Appalti pubblici:<br />

Al momento della partecipazione alla gara pubblica e fino<br />

’aggiudicazione, l’impresa può dichiarare l’assolvimento degli<br />

bblighi contributivi [4] . Per la verifica di tali dichiarazioni dovrà<br />

ssere rilasciata la regolarità contributiva sulla base dei requisiti<br />

lencati al punto 3.<br />

Per gli appalti/subappalti di lavori pubblici in edilizia, la<br />

ertificazione di regolarità contributiva dovrà essere altresì rilaciata:<br />

per la verifica della dichiarazione;<br />

per l’aggiudicazione dell’appalto, ove pretesa;<br />

per la stipula del contratto;<br />

per il pagamento degli stati di avanzamento lavori;<br />

per il collaudo e del pagamento del saldo finale.<br />

L’adempimento previsto dall’art. 9, comma 2, del D.P.C.M.<br />

0 gennaio 1991 n. 55 può essere assolto mediante presentazioe<br />

del DURC alle scadenze previste.<br />

Il Direttore dei lavori ha tuttavia facoltà di richiedere il<br />

URC in sede di emissione dei certificati di pagamento per gli<br />

tati di avanzamento lavori e il saldo finale.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

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SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Documento<br />

II) Lavori privati in edilizia:<br />

l prima dell’inizio dei lavori oggetto di concessione o di denuncia<br />

di inizio attività.<br />

III) Attestazione SOA:<br />

l prima dell’inoltro della relativa istanza agli organismi preposti<br />

al rilascio.<br />

3. Requisiti regolarità<br />

A) Requisiti generali<br />

L’INPS, l’INAIL e la Cassa Edile sono tenuti a verificare la<br />

regolarità dell’impresa sulla base della rispettiva normativa di<br />

riferimento.<br />

Per regolarità contributiva deve intendersi la correntezza nei<br />

pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali ed<br />

assicurativi nonché di tutti gli altri obblighi previsti dalla normativa<br />

vigente riferita all’intera situazione aziendale (salvo<br />

quanto previsto per le Casse Edili nel successivo punto III),<br />

rilevati alla data indicata nella richiesta e, ove questa manchi,<br />

alla data di redazione del certificato, purché nei termini stabiliti<br />

per il rilascio o per la formazione del silenzio assenso. In<br />

particolare, per la verifica dell’autocertificazione, è necessario<br />

che la regolarità sussista alla data in cui l’azienda ha dichiarato<br />

la propria situazione, essendo irrilevanti eventuali regolarizzazioni<br />

avvenute successivamente.<br />

Il riferimento all’intera situazione aziendale è da ricondursi<br />

all’unicità del rapporto assicurativo e previdenziale instaurato<br />

tra l’impresa e gli enti al quale vanno riferiti tutti gli adempimenti<br />

connessi, nonché alla finalità propria delle recenti disposizioni<br />

dirette a consentire l’accesso agli appalti solo alle imprese<br />

“qualificate”.<br />

In particolare, la regolarità contributiva si può considerare<br />

acquisita:<br />

I) Ai fini INPS, quando ricorrono le seguenti condizioni:<br />

l che sussista la correntezza degli adempimenti mensili o,<br />

comunque, periodici;<br />

l che si accerti che i versamenti effettuati corrispondano all’importo<br />

del saldo denunciato entro il termine, a tal fine determinato,<br />

dell’ultimo giorno del mese successivo a quello di<br />

riferimento;<br />

l che non esistano inadempienze in atto;<br />

l che non esistano note di rettifica notificate, non contestate e<br />

non pagate.<br />

L’impresa è altresì regolare quando:<br />

l vi sia richiesta di rateazione per la quale la Struttura periferica<br />

competente abbia espresso parere favorevole motivato;<br />

[1] Legge n. 109/1994 e successive modifiche ed integrazioni.<br />

[2] Decreti Legislativi n. 358/1992 e n. 157/1995 e successivi.<br />

[3] Società di attestazione e qualificazione delle aziende con il compito istituzionale di accertare ed attestare l’esistenza, nei soggetti<br />

esecutori di lavori pubblici, dei necessari elementi di qualificazione, tra cui quello della regolarità contributiva (art. 8, comma 3,<br />

Legge n. 109/1994).<br />

[4] Art. 46, comma 1, lettera p) e art. 77-bis del Decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 così come modificato dall’art. 15<br />

della Legge n. 3/2003.<br />

81


SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Documento<br />

vi siano sospensioni dei pagamenti a seguito di disposizioni<br />

egislative (es. calamità naturali);<br />

sia stata inoltrata istanza di compensazione per la quale sia<br />

tato documentato il credito;<br />

via siano crediti iscritti a ruolo per i quali sia stata disposta la<br />

ospensione della cartella amministrativa o in seguito a ricorso<br />

iudiziario.<br />

Va infine precisato che, relativamente ai crediti non ancora<br />

scritti a ruolo:<br />

in pendenza di contenzioso amministrativo, la regolarità porà<br />

essere dichiarata unicamente qualora il ricorso verta su quetioni<br />

controverse o interpretative, sia adeguatamente motivato e<br />

on sia manifestamente presentato a scopi dilatori o pretestuosi;<br />

in pendenza di contenzioso giudiziario, la regolarità potrà<br />

ssere dichiarata, in considerazione della disposizione contenuta<br />

ell’art. 24 del D.Lgs. 26/2/1999 n. 46, secondo la quale l’acertamento<br />

effettuato dall’ufficio ed impugnato dinanzi all’auorità<br />

giudiziaria consente l’iscrizione a ruolo solo in presenza<br />

i un provvedimento esecutivo del giudice.<br />

Per la regolarità INPS di ditte con posizioni in più province e<br />

on autorizzate all’accentramento degli adempimenti contribuivi,<br />

dovranno essere tempestivamente attivati i necessari conatti<br />

tra le strutture territoriali competenti per la verifica di ogni<br />

ingola posizione contributiva.<br />

II) Ai fini INAIL, l’azienda è regolare quando:<br />

risulta titolare di codice cliente con PAT attive;<br />

ha regolarmente dichiarato le retribuzioni imponibili in misua<br />

congrua rispetto ai lavori svolti ed alla dimensione aziendale;<br />

ha versato quanto dovuto per premi ed accessori.<br />

L’impresa è altresì da intendersi regolare quando:<br />

il rischio assicurato corrisponde, per natura ed entità, a quelo<br />

proprio dell’appalto;<br />

vi sia richiesta di rateazione accolta favorevolmente dal reponsabile<br />

della struttura ovvero, nel caso di competenza supeiore,<br />

sia stato dallo stesso responsabile inoltrato motivato paree<br />

favorevole;<br />

vi siano sospensioni dei pagamenti previste da disposizioni<br />

egislative (es. calamità naturali, condoni, emersione) ovvero da<br />

orme speciali (es. art. 45, comma 2, del D.P.R. 30 giugno 1965<br />

. 1124);<br />

siano state effettuate compensazioni su modello di pagameno<br />

unificato F24, ovvero la struttura verifichi che l’azienda è<br />

reditrice di importi a qualsiasi altro titolo compensabili;<br />

vi siano crediti iscritti a ruolo per i quali sia stata disposta la<br />

ospensione della cartella in via amministrativa o a seguito di<br />

icorso giudiziario.<br />

Va infine precisato che, relativamente ai crediti non ancora<br />

scritti a ruolo:<br />

in pendenza di contenzioso amministrativo, la regolarità porà<br />

essere dichiarata unicamente qualora il ricorso verta su quetioni<br />

controverse o interpretative, sia adeguatamente motivato e<br />

[5] Autorizzazione al subappalto ex art. 18, Legge n. 55/1990.<br />

82<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

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non sia manifestamente presentato a scopi dilatori o pretestuosi;<br />

l in pendenza di contenzioso giudiziario, la regolarità potrà<br />

essere dichiarata, in considerazione della disposizione contenuta<br />

nell’art. 24 del D.lgs. 26.02.1999, n. 46, secondo la quale l’accertamento<br />

effettuato dall’ufficio ed impugnato dinanzi all’autorità<br />

giudiziaria consente l’iscrizione a ruolo solo in presenza<br />

di un provvedimento esecutivo del giudice.<br />

III) Ai fini della Cassa Edile:<br />

l la posizione di regolarità contributiva dell’impresa è verificata<br />

dalla Cassa Edile ove ha sede l’impresa per l’insieme dei<br />

cantieri attivi e degli operai occupati nel territorio di competenza<br />

della Cassa stessa; la Cassa Edile emette il certificato di regolarità<br />

contributiva a condizione che la verifica di cui sopra abbia<br />

dato esito positivo e la Cassa medesima abbia verificato a livello<br />

nazionale che l’impresa non sia tra quelle segnalate come irregolari;<br />

ogni Cassa Edile è tenuta a fornire mensilmente all’apposita<br />

banca dati nazionale di settore l’elenco delle imprese non in<br />

regola e di aggiornare tale elenco con la medesima cadenza; alla<br />

banca dati nazionale è affidato il compito di tenere l’elenco delle<br />

imprese non in regola e di rispondere tempestivamente alle<br />

richieste di verifica della regolarità delle imprese;<br />

l l’impresa si considera in regola quando ha versato i contributi<br />

e gli accantonamenti dovuti, compresi quelli relativi all’ultimo<br />

mese per il quale è scaduto l’obbligo di versamento all’atto<br />

della richiesta di certificazione;<br />

l condizione per la regolarità dell’impresa, anche ai fini del<br />

successivo punto, è che la stessa dichiari nella denuncia alla Cassa<br />

Edile, per ciascun operaio, un numero di ore lavorate e non (specificando<br />

le causali di assenza), non inferiore a quello contrattuale;<br />

l per i lavori pubblici la certificazione di regolarità contributiva<br />

in occasione dello stato di avanzamento dei lavori (SAL) o<br />

dello stato finale è rilasciata a norma di legge dalla Cassa Edile<br />

competente per territorio per il periodo e per il cantiere per il<br />

quale è effettuata la richiesta di certificazione; a tal fine è<br />

necessario che l’impresa inserisca nella denuncia mensile<br />

l’elenco completo dei cantieri attivi, indicando per ciascun lavoratore<br />

il singolo cantiere in cui è occupato;<br />

l il rilascio della certificazione di regolarità contributiva ai<br />

sensi dell’art. 9, comma 76, Legge n. 415/1998 può essere<br />

effettuato esclusivamente dalle Casse Edili regolarmente costituite<br />

a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei<br />

prestatori di lavoro che siano, per ciascuna parte, comparativamente<br />

più rappresentative nell’ambito del settore edile.<br />

B) Subappalto<br />

Nel caso specifico del subappalto, l’impresa subappaltatrice<br />

deve possedere, ai fini della regolarità contributiva, i medesimi<br />

requisiti generali e speciali di qualificazione previsti per l’impresa<br />

appaltatrice e, pertanto, il certificato dovrà essere rilasciato<br />

sull’intera situazione aziendale osservando i criteri sopra<br />

esposti [5] .<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


Nel caso di subappalto, l’impossibilità di dichiarare la<br />

ropria regolarità per l’impresa subappaltatrice discende dala<br />

natura privatistica del rapporto (appaltatrice-subappaltatrie)<br />

nonché da oggettive esigenze di rigore e di interesse<br />

ubblico.<br />

. Procedimento DURC<br />

Per la richiesta del DURC è stato elaborato un apposito<br />

odulo unificato che andrà compilato (secondo le istruzioni ad<br />

sso allegate) in base alla tipologia della richiesta.<br />

Il modulo sarà disponibile on-line (nei siti di seguito elencai)<br />

e potrà essere scaricato ovvero compilato direttamente per<br />

’inoltro in via telematica [6] ; lo stesso sarà, altresì, disponibile in<br />

orma cartacea presso ogni Struttura Territoriale degli Enti conenzionati<br />

in caso di presentazione della richiesta per le vie<br />

radizionali.<br />

) Modalità di richiesta<br />

Il Documento Unico potrà essere richiesto, alternativamente,<br />

n via telematica (modalità principale) ovvero allo Sportello<br />

nico costituito presso le Casse Edili.<br />

Deputata a rilasciare il DURC è la Cassa Edile competente<br />

er territorio.<br />

In particolare, le Stazioni Appaltanti e gli Enti privati a<br />

ilevanza pubblica appaltanti dovranno richiedere il DURC<br />

sclusivamente per via telematica.<br />

La richiesta per via telematica potrà essere effettuata acceendo<br />

alternativamente a:<br />

Portale orizzontale (www.sportellounicoprevidenziale.it) per<br />

ziende, intermediari, Stazioni Appaltanti ed Enti a rilevanza<br />

ubblica;<br />

Portale verticale INAIL (www.inail.it) per aziende ed interediari;<br />

Portale verticale INPS (www.inps.it) per aziende ed intermeiari;<br />

Portale verticale Casse Edili (in corso di realizzazioe).<br />

In caso di accesso tramite Portale INPS o Portale INAIL,<br />

’utente (azienda o intermediario), per la necessaria identifiazione,<br />

deve utilizzare i codici di accesso già rilasciati dai<br />

ispettivi Enti per la fruizione dei servizi on-line (INAIL:<br />

odici di accesso ai servizi di Punto Cliente; INPS: codice<br />

iscale e P.I.N.). In caso di richiesta avanzata per il tramite<br />

el consulente e/o associazione di categoria, ai soli fini del<br />

ilascio del Documento Unico, il riconoscimento, da parte di<br />

no degli Enti convenzionati, della validità della delega e<br />

ell’autorizzazione ad accedere, è esteso anche agli altri<br />

nti. In caso di accesso tramite il Portale telematico “Sporello<br />

Unico Previdenziale” verranno rilasciati alle altre tipoogie<br />

di utenti (diversi da aziende ed intermediari) appositi<br />

odici di accesso.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

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SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Documento<br />

Il modulo per la richiesta del DURC viene visualizzato<br />

e compilato a video dall’utente che inserisce i dati utilizzando<br />

la procedura informatica relativa allo specifico servizio<br />

ed inoltra la richiesta stessa attraverso il canale telematico.<br />

La procedura, in seguito ad una automatica verifica formale<br />

delle informazioni inserite, attesta l’inoltro della richiesta del<br />

DURC e comunica l’assegnazione del C.I.P. (codice identificativo<br />

pratica). Il CIP, che individua lo specifico appalto e viene<br />

rilasciato solo ad inoltro della prima richiesta, dovrà essere<br />

indicato per ogni richiesta, relativa allo stesso appalto, successiva<br />

alla prima.<br />

In alternativa alla via telematica, l’utente (azienda o<br />

intermediario) può rivolgersi presso lo Sportello Unico<br />

costituito presso le Casse Edili identificandosi secondo le<br />

consuete modalità ovvero inoltrando la richiesta tramite<br />

posta.<br />

Il ricevente dovrà provvedere in prima battuta alla verifica<br />

della completezza formale della stessa (compilazione di<br />

tutti i campi del modulo previsti dalla procedura come “obbligatori”).<br />

Qualora venisse riscontrata la mancanza di alcuni<br />

dati, il ricevente dovrà provvedere a richiedere all’utente le<br />

informazioni omesse, assegnandogli il termine di 10 giorni,<br />

con la specifica che, scaduto inutilmente lo stesso, la domanda<br />

si riterrà non ammissibile.<br />

L’operatore ricevente inserisce in procedura le informazioni<br />

prelevandole dal modulo di richiesta, inoltra la stessa attraverso<br />

il canale telematico e rilascia all’utente l’attestazione, contenente<br />

anche il C.I.P., prodotta dalla procedura dell’avvenuto inoltro<br />

della richiesta.<br />

Inseriti i dati in procedura, la richiesta del DURC è immediatamente<br />

disponibile per la trattazione (istruttoria e validazione<br />

da parte di ciascuno degli Enti convenzionati).<br />

B) Modalità di rilascio<br />

Il DURC dovrà essere rilasciato sulla base degli atti che<br />

esistono presso le Strutture rilevati alla data indicata nella richiesta<br />

e, ove questa manchi, alla data di redazione del certificato,<br />

purché nei termini stabiliti per il rilascio o per la formazione<br />

del silenzio assenso.<br />

Il funzionario di ciascuna struttura competente, in possesso<br />

delle informazioni relative alla richiesta, effettua l’istruttoria di<br />

propria competenza per accertare la regolarità contributiva della<br />

ditta.<br />

Nell’ipotesi di temporanea indisponibilità degli atti necessari<br />

(che può verificarsi, ad esempio, nel caso di operazioni<br />

di data recente non ancora acquisite in archivio), e<br />

comunque in tutti i casi in cui sia ritenuto necessario, la<br />

verifica dello stato di aggiornamento degli adempimenti può<br />

essere effettuata richiedendo alla ditta le quietanze dei versamenti<br />

(es. modello F24) o altra documentazione ritenuta<br />

[6] In attesa di definizione delle procedure di accreditamento ai servizi telematici, i soggetti richiedenti diversi dalle imprese non<br />

ancora in possesso delle relative chiavi di accesso potranno rivolgersi esclusivamente allo Sportello “fisico”.<br />

83


SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Documento<br />

tile, assegnando alla stessa il termine di dieci giorni per la<br />

resentazione di quanto richiesto.<br />

Decorso inutilmente tale termine di dieci giorni, l’Ente<br />

he ha richiesto l’integrazione della documentazione si<br />

ronuncerà sulla base delle informazioni in suo possesso.<br />

La richiesta di documentazione, utile ai fini istruttori,<br />

ospende il termine di rilascio del DURC.<br />

L’esito dell’istruttoria, operata separatamente da ciacuno<br />

degli Enti, e sottoposto alla validazione del funionario<br />

responsabile del provvedimento, viene poi inseito<br />

nella specifica procedura informatica al fine di certiicare<br />

la regolarità/irregolarità per la parte di propria<br />

pettanza.<br />

) Tempi di rilascio<br />

La Cassa Edile competente per territorio provvede all’emisione<br />

del Documento Unico concernente la posizione contribuiva<br />

dell’impresa presso di sé ed attesta quanto acquisito dagli<br />

ltri Enti.<br />

Il DURC verrà prodotto dal sistema solo nel momento<br />

n cui tutti gli Enti avranno inserito in procedura l’esito<br />

ell’istruttoria e, comunque, entro trenta giorni (calcolati<br />

alla data di protocollazione della richiesta al “netto” del-<br />

’eventuale sospensione a fini istruttori - cfr. “modalità di<br />

ilascio”).<br />

Qualora anche uno solo degli Enti dovesse dichiarare<br />

’impresa irregolare, verrà rilasciato un Documento Unico<br />

ttestante la non regolarità dell’impresa.<br />

Nel caso in cui decorra il termine dei trenta giorni senza<br />

ronuncia da parte di INPS o INAIL, scatterà relativamente<br />

lla regolarità nei confronti di tali Enti la procedura del<br />

ilenzio-assenso (che non può essere estesa alle Casse Edili<br />

tante la natura privata di tali Organismi).<br />

Pertanto, allorché uno o entrambi gli Enti suddetti non<br />

i sia pronunciato in tempo utile, il responsabile del proceimento<br />

della Cassa Edile competente dovrà comunque<br />

mettere il DURC entro trenta giorni sulla base della verifia<br />

effettuata anche solo da uno degli Enti che hanno espreso<br />

il proprio giudizio di regolarità/irregolarità.<br />

Il responsabile del procedimento dovrà sempre verificae,<br />

prima del rilascio, che non vi sia in atto una sospensione<br />

fini istruttori.<br />

Il DURC, stampato in duplice originale (uno per il<br />

ichiedente ed uno da tenere agli atti) sarà firmato dal<br />

esponsabile dell’iter procedimentale e trasmesso al rihiedente<br />

utilizzando il canale postale (con raccomandata<br />

/R) [7] . Nel caso in cui il richiedente sia diverso dall’imresa,<br />

copia del certificato dovrà essere comunque inviata a<br />

uest’ultima.<br />

84<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

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D) Periodo di validità<br />

Considerato il termine mensile previsto per i versamenti dei<br />

contributi all’INPS, le dichiarazioni di regolarità emesse ai sensi<br />

dell’art. 86, comma 10, del decreto legislativo n. 276/2003,<br />

limitatamente ai lavori privati in edilizia, sono valide per un<br />

periodo di un mese dalla data di rilascio. L’utilizzo della dichiarazione<br />

di regolarità, non più rispondente a verità, equivale ad<br />

uso di atto falso ed è punito ai sensi del codice penale. Resta<br />

ferma la facoltà degli enti accertatori di verificare il permanere<br />

delle condizioni di regolarità anche durante il citato periodo di<br />

validità.<br />

5. Precisazioni<br />

Presso qualsiasi Struttura Territoriale degli Enti convenzionati<br />

potrà essere richiesta una “Ristampa” del<br />

DURC, la quale verrà rilasciata solo successivamente all’emissione<br />

del DURC originale da parte della Struttura<br />

competente.<br />

L’utente, attraverso il C.I.P., potrà verificare in qualunque<br />

momento lo stato di avanzamento della propria pratica,<br />

sia accedendo in modalità di consultazione alla specifica<br />

procedura informatica, sia richiedendo ad una qualunque<br />

Struttura Territoriale degli Enti di effettuare tale controllo.<br />

Ove successivamente al rilascio del DURC dovessero<br />

emergere circostanze tali da modificare sostanzialmente la<br />

situazione di regolarità già attestata, la Struttura dovrà<br />

darne immediata comunicazione al richiedente e, per opportuna<br />

conoscenza, alla Stazione Appaltante, assumendo<br />

nel contempo le necessarie iniziative per il recupero di<br />

quanto dovuto.<br />

Non avendo il DURC effetti liberatori per l’impresa,<br />

rimarrà impregiudicata l’azione per l’accertamento ed il<br />

recupero di eventuali somme che dovessero successivamente<br />

risultare dovute.<br />

Si rammenta che per i lavori privati in edilizia la<br />

mancata regolarità contributiva sospende l’efficacia del titolo<br />

abilitativo per cui si è richiesto il DURC (concessione<br />

e/o DIA).<br />

Per l’INAIL, si fa presente che il modulo di richiesta<br />

del DURC potrà essere utilizzato anche per effettuare contestualmente<br />

a tale richiesta la denuncia di nuovo lavoro.<br />

Ogni Ente è responsabile, per la parte di propria competenza,<br />

della correttezza dei contenuti delle singole attestazioni,<br />

che confermano o non confermano la regolarità dell’impresa.<br />

Le Strutture dovranno porre in essere ogni iniziativa<br />

utile ad evitare il perfezionarsi del silenzio-assenso.<br />

Al fine di dare piena attuazione alla convenzione, si<br />

raccomanda a tutte le Strutture di adeguare la propria organizzazione<br />

alle attuali esigenze, attenendosi scrupolosamente<br />

alle nuove disposizioni. l<br />

[7] Nel caso in cui richiedente sia l’impresa, l’indirizzo cui inoltrare il DURC sarà quello della sede legale ovvero della sede operativa<br />

indicate dall’impresa stessa al momento della richiesta.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


IGIENE E SICUREZZA<br />

SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Articolo<br />

Per la Cassazione il CSE deve segnalare le inadempienze del committente o del responsabile dei lavori<br />

Il coordinatore per l’esecuzione:<br />

“parafulmine” o gestore di processo?<br />

di Carmelo G. Catanoso, Ingegneria della <strong>Sicurezza</strong><br />

Una delle nuove figure introdotte<br />

con la pubblicazione del D.Lgs.<br />

n. 494/1996, è quella del<br />

Coordinatore della sicurezza<br />

per l’esecuzione (CSE). Secondo<br />

quanto previsto dall’art. 5<br />

del decreto legislativo, il CSE<br />

ha la duplice funzione<br />

di coordinamento di quanto<br />

è stato previsto nel PSC con<br />

quanto realmente avviene<br />

in cantiere, e di controllo<br />

finalizzato alla segnalazione<br />

al committente o al responsabile<br />

dei lavori delle eventuali<br />

inosservanze alle prescrizioni<br />

del PSC. Questa azione<br />

di controllo dovrebbe essere<br />

di tipo propositivo, e il CSE deve<br />

solo limitarsi a evidenziare quelle<br />

che potrebbero essere le azioni<br />

più opportune per migliorare<br />

il livello di sicurezza. Purtroppo,<br />

un’interpretazione troppo<br />

restrittiva della normativa, porta<br />

a uno stravolgimento delle<br />

funzioni del CSE, facendolo<br />

diventare un “ufficiale di polizia<br />

giudiziaria onorario” anziché<br />

un coordinatore delle attività<br />

di cantiere.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

Aoltre otto anni dall’entrata in<br />

vigore del D.Lgs. n. 494/<br />

1996, l’andamento degli infortuni<br />

e delle malattie professionali<br />

nel settore delle costruzioni non mostra<br />

alcun segno di flessione.<br />

Ancor oggi, si continua a morire<br />

in cantiere con le stesse modalità di<br />

ieri; infatti, si continua a cadere dall’alto<br />

o si viene colpiti da carichi o da<br />

materiali. In un documento diffuso<br />

recentemente dalla Regione Lombardia<br />

è emerso che, in questa regione,<br />

nel 2004, queste tre modalità hanno<br />

costituito oltre l’80% degli eventi<br />

(58% per la sola caduta dall’alto).<br />

Analogamente, nel resto del paese, i<br />

dati che emergono da statistiche similari,<br />

mostrano che la situazione<br />

inerente a questi eventi, evidenzia le<br />

stesse peculiarità.<br />

Parallelamente, continua la polverizzazione<br />

delle imprese e un impoverimento<br />

della professionalità degli attori<br />

del processo costruttivo, particolarmente<br />

concentrata tra gli operatori<br />

di cantiere, grazie anche al massiccio<br />

afflusso di lavoratori extracomunitari,<br />

spesso mancanti, per le differenze socio-culturali<br />

d’origine, anche delle abilità<br />

manuali di base per poter operare<br />

nel settore. Proprio in questa particolare<br />

fascia di lavoratori si evidenzia, in<br />

questi ultimi anni, un significativo incremento<br />

del numero di infortuni mortali<br />

e totali.<br />

Allora, dovendo fare un bilancio<br />

dell’applicazione di questa normativa<br />

che, nelle intenzioni del legislatore<br />

avrebbe dovuto provocare una brusca<br />

inversione di tendenza nell’andamento<br />

degli infortuni sul lavoro nel<br />

settore delle costruzioni, non si può<br />

non constatare che esso continua a<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

essere in profondo rosso. In altre parole,<br />

è palese che il D.Lgs. n. 494/<br />

1996 abbia fallito nei suoi obiettivi.<br />

Forse sarebbe ora che, anche nel<br />

nostro Paese, così come già avviene<br />

da decenni in altri Paesi europei, socialmente<br />

ed economicamente evoluti,<br />

si modifichino le leggi quando<br />

queste non producono, in un arco di<br />

tempo predefinito, gli effetti previsti.<br />

Il coordinatore della<br />

sicurezza per l’esecuzione<br />

In questo particolare contesto si<br />

trova a operare una delle nuove figure<br />

introdotte dal D.Lgs. n. 494/1996,<br />

e cioè il coordinatore della sicurezza<br />

per l’esecuzione (CSE).<br />

Quest’ultima figura, in particolare,<br />

è sistematico testimone delle dinamiche<br />

organizzative e gestionali<br />

esistenti in cantiere, all’interno delle<br />

quali, le attività per la prevenzione e<br />

la protezione dei rischi, occupano ancor<br />

oggi, nella migliore delle ipotesi,<br />

un ruolo marginale.<br />

Contestualmente, aumentano le<br />

pressioni sul CSE, provenienti da alcune<br />

frange degli enti di vigilanza e<br />

della magistratura, affinché assuma<br />

una funzione di “garante” della sicurezza<br />

in cantiere, dimenticando che,<br />

la normativa vigente, non gli fornisce<br />

strumenti adeguati né, tantomeno,<br />

tende a sensibilizzare gli altri attori<br />

del processo costruttivo.<br />

Gli obblighi del CSE<br />

L’art. 5, D.Lgs. n. 494/1996, successivamente<br />

modificato dal D.Lgs.<br />

n. 528/1999, definisce gli obblighi del<br />

CSE durante l’esecuzione dei lavori.<br />

Quanto previsto dalla normativa<br />

vigente a carico del CSE, ha fatto<br />

85


SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Articolo<br />

nascere molte discussioni, frutto<br />

d’interpretazioni spesso di parte, con<br />

rigide prese di posizione tra i soggetti<br />

coinvolti, coordinatori, imprese,<br />

committenti e responsabili dei lavori,<br />

enti di vigilanza e magistratura. A<br />

complicare tutto ciò hanno concorso<br />

un numero indefinito di linee guida<br />

per l’applicazione del decreto; tra di<br />

esse quelle dove, in aggiunta agli obblighi<br />

previsti a carico del CSE, sono<br />

state introdotte le cosiddette «azioni<br />

di supporto che il coordinatore per<br />

l’esecuzione dovrebbe assumersi per<br />

favorire il committente nell’espletamento<br />

dei suoi compiti ma comunque<br />

utili per far girare il sistema» [1] (si<br />

veda la tabella 1). Si pensi, per esempio,<br />

al “compito” di verificare (di cui<br />

paragrafo 4.0, punti 22 e 23 delle<br />

citate linee guida) la regolarità, dal<br />

punto di vista contributivo e assicurativo,<br />

dei lavoratori delle imprese<br />

presenti in cantiere, dimenticando<br />

che questo è un obbligo posto a carico<br />

di ben altri soggetti; per esempio,<br />

nei lavori pubblici, è l’art. 124, comma<br />

4, D.P.R. n. 554/1999 che richiede<br />

al direttore dei lavori di «verificare<br />

periodicamente il possesso e la<br />

regolarità da parte dell’appaltatore,<br />

della documentazione prevista dalle<br />

leggi vigenti in materia d’obblighi<br />

nei confronti dei dipendenti».<br />

Andando a guardare gli obblighi<br />

previsti, secondo quanto richiesto dal<br />

citato art. 5, comma 1, il CSE deve<br />

«verificare, con opportune azioni di<br />

coordinamento e controllo, l’applicazione<br />

da parte delle imprese esecutrici<br />

e dei lavoratori autonomi, delle<br />

disposizioni loro pertinenti contenute<br />

nel piano di sicurezza e coordinamento<br />

di cui all’art. 12 e la corretta<br />

applicazione delle relative procedure<br />

di lavoro». Questa definizione, però,<br />

interpretata rigidamente dagli organi<br />

di vigilanza, può portare allo stravolgimento<br />

delle funzioni del CSE, facendolo<br />

apparire come un controllore<br />

aggiunto, un ufficiale di polizia giudiziaria<br />

onorario o sostitutivo che de-<br />

86<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

ve vigilare con continuità in cantiere<br />

e non con le mansioni di un “gestore<br />

di processo”, come avvenuto nel resto<br />

degli altri Stati membri che hanno<br />

recepito la direttiva n. 92/57/CEE.<br />

Non bisogna mai dimenticare che la<br />

legislazione in materia di sicurezza,<br />

emanata negli ultimi cinquanta anni,<br />

assegna all’appaltatore-datore di lavoro,<br />

al direttore tecnico di cantiere/<br />

capocantiere e cioè ai soggetti d’impresa,<br />

tutta una serie d’obblighi e responsabilità<br />

penalmente sanzionate.<br />

Per chiarire i concetti appena riportati<br />

e presentare uno “spaccato”<br />

della realtà operativa del settore e<br />

della confusione regnante in merito<br />

agli obblighi del CSE, è utile fare un<br />

esempio attingendo dalla vasta casistica<br />

che in questi anni ci si è trovati<br />

ad affrontare.<br />

In un cantiere per l’esecuzione di<br />

un’opera pubblica, in cui i lavori sono<br />

formalmente sospesi con verbale<br />

ai sensi dell’art. 133, D.P.R. n. 554/<br />

1999 (Regolamento Lavori Pubblici),<br />

avviene un grave infortunio in<br />

cui è coinvolto il personale di un’impresa<br />

subappaltatrice, presente in<br />

cantiere solo per mantenere l’opera<br />

eseguita in condizioni tali da facilitare<br />

la ripresa dei lavori stessi. Durante<br />

le indagini emerge che il subappalto<br />

non era stato richiesto al committente<br />

e, quindi, espressamente autorizzato,<br />

e la presenza in cantiere dell’impresa<br />

non era mai stata comunicata al CSE.<br />

L’ente di vigilanza, intervenuto in seguito<br />

all’evento, ha formalmente richiesto<br />

al coordinatore copia del contratto<br />

di subappalto tra l’appaltatore e<br />

il subappaltatore, la documentazione<br />

relativa alla regolarità contributiva e<br />

assicurativa di questa impresa e la<br />

documentazione inerente alla macchina<br />

operatrice coinvolta nella genesi<br />

dell’infortunio.<br />

Commentando le richieste dell’ente<br />

di vigilanza, appare evidente<br />

che questo non fosse al corrente che,<br />

in merito alla sospensione dei lavori,<br />

nei lavori pubblici, è l’art. 133,<br />

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D.P.R. n. 554/1999 che disciplina le<br />

modalità di sospensione e ripresa dei<br />

lavori e i soggetti responsabili. Infatti,<br />

il Direttore dei lavori (DL) è il<br />

soggetto che ha il potere di ordinare<br />

la sospensione dei lavori, nelle circostanze<br />

indicate al comma 1, art. 133<br />

del citato decreto. Anche il responsabile<br />

unico del procedimento (RUP)<br />

può, per ragioni di pubblico interesse<br />

o per necessità, ordinare la sospensione<br />

dei lavori ma nei limiti e con<br />

gli effetti previsti dal capitolato generale.<br />

Sempre lo stesso articolo prevede<br />

che il DL compili il verbale di<br />

sospensione, alla presenza dell’appaltatore,<br />

indicando le ragioni dell’interruzione<br />

dei lavori e ne invii copia<br />

al RUP entro 5 giorni. Nel verbale<br />

sono indicate lo stato di avanzamento<br />

lavori (SAL), le opere la cui<br />

esecuzione è interrotta e le cautele<br />

adottate affinché, alla ripresa, le stesse<br />

possano essere continuate e ultimate<br />

senza eccessivi oneri e, infine,<br />

la consistenza della forza lavoro (persone<br />

presenti) e dei mezzi d’opera in<br />

cantiere al momento della sospensione.<br />

È sempre obbligo del DL (art.<br />

133, comma 5, D.P.R. n. 554/1999)<br />

disporre visite al cantiere a intervalli<br />

di tempo non superiori a 90 giorni,<br />

per accertare le condizioni delle opere<br />

e la consistenza della forza lavoro<br />

e dei mezzi d’opera eventualmente<br />

presenti. La presenza di questi, in misura<br />

strettamente necessaria, in un<br />

cantiere in cui i lavori sono sospesi, è<br />

un’attività volta a mantenere le opere<br />

eseguite in condizioni tali da facilitare<br />

la ripresa dei lavori stessi. Sempre<br />

il DL è il soggetto che può autorizzare<br />

la ripresa dei lavori, redigendo un<br />

verbale controfirmato dall’appaltatore<br />

e da inviare, poi, al RUP.<br />

Altro aspetto ignorato dall’ente di<br />

vigilanza è che è obbligo del DL verificare<br />

periodicamente il possesso e<br />

la regolarità da parte dell’appaltatore<br />

e dei subappaltatori della documentazione<br />

prevista dalle leggi vigenti in<br />

materia d’obblighi nei confronti dei<br />

[1] Coordinamento delle regioni e delle Province autonome, «Linee guida per l’applicazione del D.Lgs. n. 494/1996 così come<br />

modificato dal D.Lgs. n. 528/1999», a cura del Gruppo tecnico Edilizia della Regione Emilia Romagna<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


dipendenti (art. 124, comma 4,<br />

D.P.R. n. 554/1999).<br />

Riguardo, poi, alla presenza di<br />

nuove imprese in un cantiere, va ricordato<br />

che sono il committente o il<br />

RUP (in quanto responsabile dei lavori<br />

- RL), i soggetti che devono informare<br />

il CSE di questa situazione<br />

e, cioè, coloro che hanno l’obbligo<br />

della Notifica Preliminare e dei successivi<br />

aggiornamenti (art. 11,<br />

D.Lgs. n. 494/1996). Infatti, quest’ultimo<br />

non ha la possibilità di verificare<br />

se gli operatori presenti in cantiere,<br />

pur rispettando il criterio dimensionale<br />

di presenza per la fase di<br />

lavoro in atto in quel momento, rispondano<br />

all’appaltatore o a un subappaltatore<br />

autorizzato e non siano<br />

invece soggetti “imbucati” irregolarmente<br />

in cantiere per far fronte a esigenze<br />

di contenimento dei costi.<br />

Quindi, nell’esempio citato, le informazioni<br />

inerenti all’impresa il cui<br />

subappalto non era stato autorizzato dal<br />

committente, devono essere chieste<br />

dall’ente di vigilanza al committente e<br />

all’appaltatore e non al CSE (art. 18,<br />

legge n. 55/1990 e art. 3, comma 8,<br />

lettera a), D.Lgs. n. 494/1996).<br />

Allora, la verifica dell’eventuale<br />

presenza di forza lavoro e mezzi<br />

d’opera, in un cantiere in cui i lavori<br />

sono sospesi, è a carico del DL (art.<br />

133, comma 5, D.P.R. n. 554/1999);<br />

naturalmente, questi può richiedere<br />

la collaborazione del CSE durante le<br />

visite programmate anche se quest’ultimo,<br />

è bene ricordarlo, non è<br />

obbligato dalla legge a visitare autonomamente<br />

cantieri in cui i lavori<br />

sono formalmente sospesi.<br />

Resta inteso che, durante il normale<br />

sviluppo dei lavori in cantiere,<br />

anche se non è obbligo del CSE verificare<br />

la regolarità dei rapporti contrattuali<br />

in un cantiere, nel caso in cui<br />

questi venisse a conoscenza della<br />

presenza di un’impresa il cui subappalto<br />

non è stato autorizzato o di imprese<br />

in condizioni di irregolarità<br />

contributiva/assicurativa, è per lui<br />

eticamente e professionalmente corretto<br />

darne comunicazione scritta al<br />

RUP/RL e al DL affinché questi pongano<br />

in atto le azioni che la normati-<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

va vigente pone a loro carico.<br />

In merito, poi, al contratto di subappalto,<br />

questo è un documento stipulato<br />

tra l’appaltatore e il subappaltatore<br />

ed è a questi soggetti che l’ente<br />

di vigilanza deve chiederne visione;<br />

infatti, le norme vigenti non prevedono<br />

tra i compiti del CSE l’acquisizione<br />

dei contratti stipulati tra Pubbliche<br />

Amministrazioni e appaltatori e tra<br />

appaltatori e subappaltatori.<br />

Per quanto riguarda la richiesta al<br />

CSE della documentazione riguardante<br />

la macchina operatrice coinvolta<br />

nell’evento (libretto d’istruzioni,<br />

registrazione delle manutenzioni<br />

ecc.), l’ente di vigilanza deve richiederli<br />

al datore di lavoro dell’impresa<br />

che ne aveva la disponibilità al momento<br />

dell’evento e non al CSE, non<br />

essendoci alcun specifico obbligo<br />

d’acquisizione degli stessi da parte di<br />

quest’ultimo, né prima e né durante<br />

l’esecuzione dei lavori. Una recente<br />

sentenza della Corte di Cassazione<br />

(Cassazione penale, sez. III, 7 luglio<br />

2003, n. 28874) ha chiarito questo<br />

punto indicando che non è compito<br />

del CSE ma dei datori di lavoro delle<br />

imprese esecutrici il controllo e la<br />

manutenzione di macchine, di impianti<br />

e di dispositivi di sicurezza.<br />

Pertanto, non è possibile non distinguere<br />

nettamente queste figure e<br />

le rispettive responsabilità da quella<br />

del coordinatore per l’esecuzione, in<br />

quanto ben diversi sono gli ambiti di<br />

competenza. Infatti, la predisposizione<br />

di una misura di sicurezza era, è e<br />

sarà un obbligo posto in capo all’appaltatore<br />

nell’ambito del suo esercizio<br />

d’impresa. Pretendere che il coordinatore<br />

per l’esecuzione controlli<br />

con continuità l’assolvimento di questo<br />

obbligo come, per esempio, l’uso<br />

della cintura di sicurezza da parte degli<br />

operatori durante il montaggio di<br />

un ponteggio, vorrebbe dire stravolgere<br />

completamente la sua funzione<br />

che, come detto prima, è quella di<br />

gestire un processo in modo armonico<br />

e coerente con gli obiettivi di tutela<br />

dell’integrità psicofisica del personale<br />

addetto all’esecuzione dell’opera<br />

e non fare il sorvegliante aggiunto.<br />

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SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Articolo<br />

Le azioni di coordinamento<br />

e di controllo del CSE<br />

Quanto richiesto al CSE dall’art.<br />

5, comma 1, D.Lgs. n. 494/1996, deve<br />

essere inteso come un’attività da<br />

espletare all’interno dell’azione di<br />

coordinamento e controllo delle attività<br />

in cantiere, prima e durante<br />

l’esecuzione dei lavori:<br />

l coordinamento che deve riguardare<br />

la corrispondenza tra quanto previsto<br />

nel PSC, con riferimento ai rischi<br />

derivanti dalla presenza nello stesso<br />

luogo di più imprese e/o lavoratori<br />

autonomi e alle conseguenti e necessarie<br />

misure preventive e protettive, e<br />

quanto realmente avviene in cantiere<br />

durante l’esecuzione dei lavori;<br />

l controllo che, secondo quanto<br />

previsto dall’art. 5, comma 1, lettera<br />

e), D.Lgs. n. 494/1996, è finalizzato<br />

alla segnalazione al committente o al<br />

responsabile dei lavori, previa contestazione<br />

scritta alle imprese e ai lavoratori<br />

autonomi, delle eventuali inosservanze<br />

alle disposizioni degli artt.<br />

7, 8 e 9 e alle prescrizioni del PSC,<br />

previste dall’art. 12 del citato provvedimento<br />

legislativo.<br />

L’azione di controllo, che si esplicita<br />

nell’eventuale segnalazione al<br />

committente o al responsabile dei lavori,<br />

è di tipo propositivo, in quanto<br />

il CSE deve limitarsi solo a indicare,<br />

a suo giudizio, quale possa essere<br />

l’azione correttiva più consona da attuare<br />

per migliorare il livello di sicurezza<br />

in cantiere. Se per il CSE quest’azione<br />

è penalmente sanzionata,<br />

altrettanto non può dirsi per il committente<br />

o per il responsabile dei lavori,<br />

visto che il legislatore ha lasciato<br />

alla discrezionalità dei due citati<br />

soggetti, la valutazione sul da farsi.<br />

Ovviamente, la mancata attivazione<br />

del committente o del responsabile<br />

dei lavori, in caso di situazioni che<br />

palesemente lo imponevano, farà sì<br />

che questi sia chiamato, in caso di<br />

grave infortunio, a rispondere di questa<br />

omissione, a titolo di colpa specifica,<br />

per omicidio colposo o lesioni<br />

colpose (artt. 589 e 590 c.p.).<br />

Il coordinatore per l’esecuzione,<br />

dunque, dovrà organizzare il proprio<br />

lavoro in modo tale da coordinare le<br />

87


SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Articolo<br />

attività di cantiere, per esempio, mediante<br />

riunioni periodiche per il coordinamento,<br />

sopralluoghi in cantiere<br />

in particolari momenti dello sviluppo<br />

dei lavori per la verifica della corretta<br />

attuazione di quanto pianificato e<br />

programmato nel piano ecc.<br />

In conclusione, è facilmente percepibile<br />

che si sia guardato e si continui<br />

a guardare al CSE come a un<br />

soggetto in grado di poter “tamponare<br />

le falle” di un sistema prevenzionale<br />

che nel settore delle costruzioni<br />

è da sempre inattuato, vuoi per le<br />

particolarità del settore, vuoi per l’assenza<br />

di una seria strategia prevenzionale<br />

che incida realmente anche<br />

sui meccanismi di accesso e permanenza<br />

sul mercato da parte delle imprese<br />

e dei lavoratori autonomi.<br />

L’obbligo di comunicazione<br />

alla ASL e alla DPL<br />

Il coordinatore dell’esecuzione è<br />

chiamato, secondo l’art. 5 comma 1,<br />

lettera e), oltre a dover effettuare la<br />

segnalazione al committente o al responsabile<br />

dei lavori, nel caso in cui<br />

questi soggetti non adottino alcun<br />

provvedimento in merito alla segnalazione<br />

senza fornirne idonea motivazione,<br />

a dare comunicazione dell’inadempienza<br />

alla ASL e alla direzione<br />

provinciale del lavoro (DPL)<br />

territorialmente competenti.<br />

La Corte di Cassazione, sez. III,<br />

con una recente sentenza 21 gennaio<br />

2005, n. 1722 (la cui massima è riportata<br />

nel riquadro 1), ha condannato<br />

un CSE per aver omesso di comunicare<br />

alla ASL e alla Direzione Provinciale<br />

del Lavoro (DPL) competenti<br />

territorialmente, l’inerzia del<br />

proprio committente a fronte di una<br />

precedente comunicazione inerente<br />

alle inadempienze riscontrate in cantiere<br />

e ai rimedi proposti.<br />

Commentando questa decisione<br />

della Suprema Corte non può che<br />

constatarsi che la stessa ha giudicato<br />

applicando quanto la legge prevede.<br />

Il problema, però, è che la scelta<br />

del legislatore di imporre la “denuncia”<br />

del committente, da parte del<br />

CSE, in caso di un suo mancato in-<br />

88<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

tervento sulle imprese inadempienti,<br />

è da ritenersi errata per tutta una serie<br />

di motivazioni.<br />

Innanzi tutto, il legislatore dimentica<br />

che tra committente o responsabile<br />

dei lavori e CSE, c’è un rapporto<br />

fiduciario e, poi, il primo è chiamato<br />

a vigilare sull’operato del secondo<br />

(art. 6, comma 2). Infine, la convinzione<br />

dell’errore, è rafforzata dal fatto<br />

che non è possibile imporre questa<br />

scelta motivandola con la necessità<br />

di creare un vigilante aggiunto con il<br />

compito di supplire alla cronica carenza<br />

di controllo sui cantieri da parte<br />

degli enti di vigilanza. In altre parole,<br />

non si può chiedere al CSE di<br />

sostituirsi all’attività degli ufficiali di<br />

polizia giudiziaria in quanto non si<br />

può prescindere sia dalla natura del<br />

rapporto che lo lega al committente o<br />

al responsabile dei lavori, sia dallo<br />

status della figura del CSE che non è<br />

certo quella di un incaricato di pubblico<br />

servizio o di un pubblico ufficiale<br />

il quale, è bene ricordarlo, è il<br />

solo a essere istituzionalmente preposto<br />

a far osservare la legge.<br />

Inoltre, resta da chiarire cosa intenda<br />

il legislatore per “idonea motivazione”<br />

quando il committente non<br />

adotta, a seguito delle ripetute segnalazioni<br />

del CSE, alcun provvedimento.<br />

In altre parole, è necessario precisare<br />

quando una motivazione addotta<br />

dal committente o dal RUP/RL può<br />

ritenersi “idonea” per giustificare il<br />

suo mancato intervento nonostante le<br />

richieste del CSE.<br />

Si presenta un caso concreto realmente<br />

avvenuto.<br />

In una città del nord Italia si sta<br />

realizzando, sulla già esistente tangenziale,<br />

una rotatoria con l’obiettivo<br />

di sostituire un incrocio semaforico a<br />

raso e snellire il traffico diminuendo<br />

il tempo d’attesa. L’impresa appaltatrice<br />

è “poco attenta” alle problematiche<br />

della sicurezza sul lavoro così<br />

come le imprese subappaltatrici regolarmente<br />

presenti. Le situazioni di<br />

rischio sono palesi e coinvolgono<br />

non solo il personale addetto ma anche<br />

terzi rappresentati dal traffico ordinario<br />

(segnalazione inadeguata,<br />

barriere insufficienti, mezzi movi-<br />

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mento terra che invadono la parte di<br />

carreggiata fruibile ecc.).<br />

In concreto, la situazione si continua<br />

a protrarre con il CSE che si<br />

trova a dover continuamente “inseguire”<br />

le imprese per richiedere loro<br />

il rispetto di quanto previsto dal PSC<br />

e dai vari POS.<br />

Il CSE, libero professionista incaricato,<br />

si trova a dover più volte segnalare<br />

al RL/RUP le inosservanze<br />

dell’impresa appaltatrice e dei subappaltatori,<br />

proponendo le azioni indicate<br />

dall’art. 5, comma 1, lettera e),<br />

D.Lgs. n. 494/1996 ma senza che<br />

quest’ultimo si attivi intervenendo<br />

adeguatamente sulle imprese.<br />

Richieste dal CSE le motivazioni<br />

di questa inerzia, il RUP/RL risponde<br />

affermando che qualunque sospensione<br />

dei lavori, allontanamento delle<br />

imprese o la rescissione del contratto<br />

con l’impresa appaltatrice avrebbe<br />

provocato disagi alla cittadinanza ma<br />

anche rischi maggiori in caso di rescissione<br />

del contratto, dovendo abbandonare<br />

l’area di cantiere in condizioni<br />

non certo adeguate per garantire<br />

la sicurezza dell’utenza stradale.<br />

Pertanto, secondo il RL/RUP,<br />

l’unica strada percorribile è quella di<br />

“una costante presenza del CSE in<br />

cantiere al fine di controllare i lavori<br />

e imporre alle imprese il rispetto degli<br />

standard di sicurezza fissati.”<br />

Allora, ci si chiede se questa “motivazione”<br />

possa rientrare tra quelle<br />

che possono essere ritenute “idonee”<br />

o meno. Il legislatore non lo dice né<br />

tanto meno, ancora, vi sono indirizzi<br />

specifici della Cassazione. Naturalmente,<br />

oltre agli indirizzi giurisprudenziali<br />

generali, anche il buon senso<br />

non porterebbe a un’opportunità di<br />

questo tipo ma, per una serie di motivi,<br />

non sempre questo può essere realmente<br />

utilizzato in situazioni quali<br />

quella descritta, fortemente influenzata<br />

da ben altri elementi.<br />

Inoltre, l’interrogativo se, a fronte<br />

in una situazione di “non intervento”,<br />

il CSE può ritenersi tutelato a fronte<br />

d’eventuali sopralluoghi ispettivi. Facendo<br />

riferimento alla sentenza n.<br />

1722/2005, la risposta non può che<br />

essere negativa. Allora, il CSE si tro-<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


va a dover subire, da una parte, le<br />

pressioni del committente che, ovviamente,<br />

ha come obiettivo quello di<br />

veder realizzata l’opera nei tempi<br />

previsti e ai costi fissati mentre, dall’altra,<br />

il CSE è perennemente sotto<br />

la pressione dell’ente di vigilanza che<br />

lo può sanzionare proprio per la mancata<br />

comunicazione.<br />

Quindi, in concreto, le maggiori<br />

pressioni sono esercitate sul soggetto<br />

che risulta più “debole” tra gli attori<br />

di riferimento sia perché sostituibile<br />

in qualunque momento dal committente<br />

(art. 3, comma 7, D.Lgs. n. 494/<br />

1996), sia perché totalmente privo di<br />

“armi” efficaci se non quella “risolutiva”<br />

(molto probabilmente anche del<br />

proprio incarico fiduciario) della comunicazione<br />

all’ente di vigilanza.<br />

Casi come quello prima presentato<br />

rappresentano la norma e non certo<br />

l’eccezione; infatti, risulta difficile<br />

credere che un libero professionista<br />

come il CSE attuerebbe la previsione<br />

della norma citata, comunicando agli<br />

enti di vigilanza l’inerzia del committente<br />

o del RL/RUP, violando<br />

l’incarico fiduciario ricevuto. Probabilmente,<br />

potrebbe farlo solo un CSE<br />

che avesse deciso di rimettere il proprio<br />

incarico.<br />

Lo stesso discorso risulta valido<br />

per i committenti privati.<br />

Infatti, nessun professionista si farebbe<br />

“terreno bruciato intorno” attuando<br />

quanto previsto dalla citata<br />

norma in merito alla comunicazione<br />

all’ente di vigilanza.<br />

Sarebbe stato molto più logico, in<br />

casi come questi, imporre la comunicazione<br />

del CSE agli enti di vigilanza<br />

non riguardo l’inerzia del committente<br />

ma riguardo quella dei soggetti realmente<br />

inadempienti e cioè le imprese.<br />

Questa scelta avrebbe potuto produrre<br />

effetti positivi costituendo così<br />

un deterrente reale in grado di indurre<br />

progressivamente le imprese a<br />

comportamenti virtuosi.<br />

Sperando in un prossimo ravvedimento<br />

del legislatore, avrebbe molto<br />

più senso ed efficacia adottare, a cominciare<br />

dal settore dei lavori pubblici,<br />

un sistema di penali contrattuali<br />

nel rapporto con le imprese per:<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

l la mancata regolarizzazione nei<br />

tempi previsti delle inadempienze riscontrate<br />

(mancato rispetto del piano<br />

di sicurezza e coordinamento, sovrapposizioni<br />

lavorative vietate ecc.);<br />

l la ritardata consegna dell’opera tenendo<br />

conto delle sospensioni delle<br />

lavorazioni resesi necessarie per “normalizzare”<br />

le irregolarità riscontrate.<br />

Nel primo caso, le penali potrebbero<br />

essere destinate a un apposito<br />

fondo destinato alle famiglie delle<br />

vittime degli infortuni sul lavoro in<br />

edilizia, gestito dalla Casse Edili o da<br />

Enti similari.<br />

Gli altri obblighi del CSE<br />

Un altro compito del coordinatore<br />

per l’esecuzione deriva dal collegamento<br />

con la Merloni-ter; infatti,<br />

l’art. 5, comma 1, lettera b), introduce<br />

l’obbligo di verificare l’idoneità<br />

del piano operativo di sicurezza redatto<br />

dalle imprese esecutrici, assicurandone<br />

la coerenza con il piano di<br />

sicurezza e coordinamento.<br />

Il CSE deve anche provvedere:<br />

l all’adeguamento del piano di sicurezza<br />

e coordinamento e del fascicolo<br />

in relazione all’evoluzione dei lavori<br />

e alle eventuali modifiche intervenute;<br />

l alla valutazione delle proposte<br />

delle imprese esecutrici dirette a migliorare<br />

la sicurezza in cantiere.<br />

Il CSE deve, inoltre, verificare,<br />

che le imprese esecutrici adeguino,<br />

se necessario, i rispettivi piani operativi<br />

di sicurezza. È sempre attribuito<br />

a questo soggetto il compito di organizzare<br />

la cooperazione e la reciproca<br />

informazione tra i datori di lavoro<br />

e tra i lavoratori autonomi (art. 5,<br />

comma 1, lettera c). Secondo quanto<br />

previsto al comma 1, lettera d) dello<br />

stesso articolo, il CSE deve verificare<br />

«l’attuazione di quanto previsto negli<br />

accordi tra le parti sociali al fine<br />

di realizzare il coordinamento tra i<br />

rappresentanti della sicurezza finalizzato<br />

al miglioramento della sicurezza<br />

in cantiere». Questo obbligo è<br />

concretamente di difficile attuazione<br />

sia per le particolarità dimensionali<br />

delle imprese di costruzioni, sia per il<br />

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SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Articolo<br />

ridottissimo numero dei rappresentanti<br />

dei lavoratori per la sicurezza<br />

territoriali (RLST) operanti.<br />

Il D.Lgs. n. 528/1999, inoltre, ha<br />

aggiunto all’art. 5, il comma 1-bis;<br />

con questo nuovo comma il CSE, oltre<br />

a svolgere i compiti di cui al comma<br />

1, deve redigere il piano di sicurezza<br />

e coordinamento e predisporre<br />

il fascicolo nei casi in cui, dopo l’affidamento<br />

dei lavori a un’unica impresa,<br />

l’esecuzione dei lavori o di<br />

parte di essi sia affidata a una o più<br />

imprese (art. 3, comma 4-bis).<br />

La sospensione<br />

delle singole lavorazioni<br />

La figura del Coordinatore per<br />

l’esecuzione definita nel D.Lgs. n.<br />

494/1996, così come modificato dal<br />

D.Lgs. n. 528/1999, sembra denotare,<br />

sotto un’analisi superficiale, marcate<br />

caratteristiche da “controllore” o<br />

da “sorvegliante” in cantiere.<br />

Infatti, il significato dell’art. 5 del<br />

citato decreto, richiede al CSE di verificare<br />

l’osservanza e il rispetto, da<br />

parte di tutte le imprese esecutrici<br />

presenti in cantiere, del PSC e dei<br />

rispettivi POS. Non sembra, però,<br />

che gli sia concessa alcuna autonomia<br />

d’intervento visto che la sua funzione<br />

è prevalentemente indirizzata<br />

verso un’attività di monitoraggio e<br />

verifica e, quando necessario, di richiesta<br />

di regolarizzazione delle “non<br />

conformità riscontrate”. È solo nei<br />

casi previsti dalla lettera f), art. 5, e,<br />

cioè, in caso di «pericolo grave e<br />

imminente, direttamente riscontrato»,<br />

che il CSE acquista il potere, ma<br />

anche il dovere, di ordinare la sospensione<br />

delle singole lavorazioni,<br />

fino all’avvenuta verifica degli adeguamenti,<br />

da parte delle imprese esecutrici,<br />

necessari per ripristinare le<br />

condizioni di sicurezza in cantiere.<br />

Allora, appare chiaro che la sospensione<br />

delle singole lavorazioni<br />

nei casi citati, deve essere considerata<br />

non un’azione sistematica del CSE<br />

ma solo un intervento giustificabile da<br />

situazioni lavorative in cui è palese la<br />

condizione di pericolo grave e imminente<br />

direttamente riscontrato. Ciò si-<br />

89


SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Articolo<br />

gnifica che il CSE è obbligato a intervenire<br />

solo quando, durante lo svolgimento<br />

delle sue funzioni di verifica,<br />

ravvisasse situazioni tali da poter potenzialmente<br />

mettere gravemente a rischio<br />

l’incolumità non solo degli addetti<br />

ai lavori ma anche di terzi.<br />

Ciò, però, non deve far pensare<br />

che il CSE debba essere obbligato a<br />

essere “sempre” presente in cantiere;<br />

egli, invece, dovrà pianificare e programmare<br />

la propria attività in funzione<br />

dell’evoluzione dei lavori, tenendo<br />

conto dei periodi di particolare<br />

criticità. In altre parole, questa figura<br />

dovrà garantire, con tutte le azioni<br />

tecniche, organizzative e procedurali<br />

che metterà in atto, l’efficacia prevenzionale<br />

della propria funzione.<br />

Il problema, però, rimane sempre<br />

quello di andare a definire quando un<br />

potenziale pericolo può ritenersi sia<br />

“grave” sia “imminente”, anche perché<br />

il D.Lgs. n. 494/1996 nulla dice<br />

al riguardo. Purtroppo, è palese la<br />

difficoltà nel dover definire, da parte<br />

del CSE, se una o più violazioni, a<br />

quanto previsto dal PSC o dalle norme<br />

prevenzionali o, ancora, dalle<br />

procedure di lavoro, possono non essere<br />

considerate tali da rappresentare<br />

un pericolo grave e imminente.<br />

Sicuramente si può affermare che,<br />

solo nei casi in cui la situazione sia<br />

così palesemente pericolosa e facilmente<br />

riconoscibile da chiunque abbia<br />

un minimo di competenza nel settore<br />

delle costruzioni, il CSE è gravato dall’obbligo<br />

di sospendere le singole lavorazioni<br />

in cui si concretizza il potenziale<br />

grave pericolo per il personale;<br />

nel caso in cui, invece, permettesse la<br />

continuazione delle attività lavorative<br />

e ciò portasse a un grave infortunio,<br />

allora, la sua condotta omissiva assumerebbe<br />

rilevanza significativa per<br />

stabilire l’esistenza di un nesso causale<br />

tra il suo mancato intervento e il grave<br />

infortunio avvenuto.<br />

Pertanto, nei casi in cui il CSE<br />

avesse richiamato l’impresa alla regolarizzazione<br />

delle “non conformità”<br />

riscontrate e comunicato al committente<br />

o al responsabile dei lavori<br />

la situazione esistente, l’ente di vigilanza<br />

non può pensare di sanzionare<br />

90<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

il CSE solo perché, durante l’ispezione,<br />

sono state rilevate delle inosservanze<br />

alle misure prevenzionali già<br />

contestate formalmente all’appaltatore<br />

responsabile e segnalate al committente<br />

o al responsabile dei lavori<br />

con tanto di proposte quali la sospensione<br />

lavori, l’allontanamento delle<br />

imprese o dei lavoratori autonomi o,<br />

ancora, la risoluzione del contratto.<br />

Altrettanto può dirsi in un cantiere<br />

nel caso in cui si fosse verificato un<br />

infortunio mortale, dopo che il CSE<br />

avesse:<br />

l sospeso una o più lavorazioni per<br />

l’esistenza di un pericolo grave e imminente<br />

direttamente riscontrato durante<br />

una sua visita in cantiere;<br />

l richiesto gli adeguamenti all’impresa<br />

esecutrice;<br />

l richiesto l’intervento del committente<br />

o del responsabile dei lavori. In<br />

questo caso, oltre al datore di lavoro,<br />

cioè il soggetto obbligato all’apprestamento<br />

delle misure di prevenzione<br />

e protezione, il committente o il responsabile<br />

dei lavori rischiano di essere<br />

coinvolti nel procedimento per<br />

omicidio colposo (art. 589 c.p.) se<br />

fossero rimasti sordi alle richieste del<br />

CSE e non avessero attuato quanto<br />

necessario per ricondurre l’impresa a<br />

comportamenti più consoni alla sicurezza<br />

e tutela della salute avallando<br />

le richieste del CSE.<br />

Allora, l’art. 5, D.Lgs. n. 494/<br />

1996 non ha fatto nascere, in capo al<br />

CSE, quella che gli addetti ai lavori<br />

chiamano “posizione di garanzia”,<br />

quale controllore aggiunto della sicurezza<br />

in cantiere o ufficiale di polizia<br />

giudiziaria supplente e responsabile<br />

del rispetto delle norme prevenzionali<br />

da parte di tutti i soggetti presenti a<br />

vario titolo in cantiere. In caso contrario,<br />

il CSE dovrebbe avere l’obbligo<br />

sistematico di controllare con<br />

continuità e, nei casi sopracitati, di<br />

intervenire immediatamente per eliminare<br />

la situazione di pericolo per il<br />

personale addetto, pena il suo coinvolgimento,<br />

in caso di eventi lesivi,<br />

nei conseguenti procedimenti penali<br />

(omicidio colposo o lesioni colpose<br />

gravi o gravissime).<br />

Volendo estremizzare, si pùò affermare<br />

che, a rafforzare la convinzione<br />

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che il CSE non ha assunto alcuna posizione<br />

di garanzia, concorre anche il<br />

fatto che, per esempio, nessun ispettore<br />

delle ASL, in quanto ufficiale di<br />

polizia giudiziaria, è mai stato coinvolto<br />

in un procedimento penale per<br />

eventi lesivi avvenuti dopo un suo<br />

intervento in cantiere, dove aveva rilevato<br />

situazioni di grave pericolo per<br />

i lavoratori presenti dovute a palesi<br />

inadempienze alla normativa prevenzionale<br />

e aveva emanato le conseguenti<br />

prescrizioni e disposizioni. Se<br />

si pensasse all’operato dell’ispettore<br />

della ASL con lo stesso approccio di<br />

coloro che vedono il CSE con una<br />

posizione di garanzia, essendo il primo<br />

gravato dall’obbligo di adottare<br />

gli opportuni provvedimenti per evitare<br />

che le situazioni di pericolo riscontrate<br />

siano portate a ulteriori conseguenze,<br />

questi potrebbe essere inquisito<br />

per avere contribuito, con la<br />

propria omissione, a cagionare<br />

l’evento lesivo, non impedendone il<br />

verificarsi, pur avendo l’obbligo giuridico<br />

di adoperarsi per farlo, così come<br />

stabilito dall’art. 55 del c.c.p.<br />

Il ruolo del Coordinatore<br />

Il ruolo del Coordinatore per<br />

l’esecuzione, parzialmente rivisto<br />

dalle norme del D.Lgs. n. 528/1999,<br />

pur sgravato della responsabilità di<br />

dover “assicurare” (garantire) con<br />

azioni di coordinamento e controllo<br />

l’applicazione delle disposizioni<br />

contenute nei Piani di <strong>Sicurezza</strong> e<br />

Coordinamento, si è arricchito di ulteriori<br />

obblighi e compiti che ne rafforzano<br />

la centralità (assieme al<br />

committente) nel sistema prevenzionistico,<br />

ora definitivamente costruito,<br />

posto a tutela della salute e sicurezza<br />

dei lavoratori nei cantieri temporanei<br />

o mobili.<br />

Oltre agli specifici obblighi e<br />

compiti del coordinatore per l’esecuzione<br />

(riportati nella tabella 1), sembra<br />

utile elencare una serie di azioni<br />

di supporto che il coordinatore dovrebbe<br />

assumersi per favorire il committente<br />

nell’espletamento dei suoi<br />

compiti ma comunque utili per far<br />

“girare” il sistema. l<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

Linee Guida per l’applicazione del D.Lgs. n. 494/1996<br />

Azioni del Coordinatore<br />

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SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Articolo<br />

TABELLA 1<br />

1 Collaborare con il committente (o con il responsabile dei lavori) nella selezione delle imprese e dei lavoratori<br />

autonomi fornendo utili parametri per la valutazione della loro idoneità tecnico­professionale.<br />

2 Verificare l’avvenuta consegna del PSC, da parte del committente o del responsabile dei lavori, a tutte le<br />

imprese invitate a presentare offerte per l’esecuzione dei lavori.<br />

3 Integrare il Piano di <strong>Sicurezza</strong> e Coordinamento (PSC) con le generalità delle imprese e dei lavoratori<br />

autonomi selezionati e completarlo con ogni altro elemento previsto all’atto della sua elaborazione.<br />

4 Verificare che le imprese esecutrici e i lavoratori autonomi abbiano ricevuto il PSC dall’impresa aggiudicataria<br />

(obbligo del Datore di Lavoro); verificare l’apposizione sul PSC delle firme del committente, dei<br />

datori di lavoro e dei lavoratori autonomi (in quanto parte integrante del contratto di appalto).<br />

5 Collaborare alla redazione ed effettuazione della notifica preliminare e suo eventuale aggiornamento.<br />

Verificare che la notifica venga tenuta in cantiere.<br />

6 Richiedere a ogni impresa di fornire libro matricola, o sua copia, e di detenere in cantiere il registro delle<br />

presenze giornaliere.<br />

7 Collaborare con il committente nella raccolta della documentazione da richiedere, ex art. 3, comma 8, a<br />

tutte le imprese e i lavoratori autonomi.<br />

8 Verificare con azioni di coordinamento e controllo l’applicazione del PSC e delle procedure di lavoro (*).<br />

Superare, nella pratica, la diffusa esperienza di effettuare sopralluoghi che evidenzino, al massimo, la<br />

sussistenza di inosservanze ma che non stimolino il coordinamento ed il rispetto del PSC per le fasi lavorative<br />

successive. Nella presente elencazione sono rinvenibili possibili azioni di coordinamento e controllo;<br />

queste azioni non possono e non vogliono costituire altro che una corretta esemplificazione; in ogni<br />

caso sarà utile istituire, per esempio:<br />

l un registro delle azioni di coordinamento;<br />

l un registro delle azioni di controllo.<br />

9 Adeguare le prescrizioni del PSC in relazione all’evoluzione dei lavori e alle modifiche intervenute, valutando<br />

anche le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere (*).<br />

10 Adeguare il fascicolo dell’opera in relazione alla evoluzione dei lavori e alle modifiche intervenute (*).<br />

11 Verificare l’idoneità dei Piani Operativi di <strong>Sicurezza</strong> (POS) quali piani complementari e di dettaglio del<br />

PSC assicurandone la coerenza con quest’ultimo (*).<br />

12 Verificare che le imprese adeguino, se necessario (quindi, se richiesto dal coordinatore), i rispettivi POS<br />

(*).<br />

13 Informare il committente (o il responsabile dei lavori) e, successivamente, ogni impresa e lavoratore autonomo,<br />

dell’obbligo del coordinatore di sospendere le lavorazioni con pericolo grave e imminente.<br />

14 Organizzare tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione e il coordinamento<br />

delle attività nonché la loro reciproca informazione (*). Nella sostanza si tratta di dare seguito a quanto<br />

disposto nel PSC per dare attuazione alla lettera “r)” dell’art.12, comma 1; qualora il PSC non contenesse<br />

queste disposizioni, deve essere lo stesso coordinatore per l’esecuzione ad aggiornare il piano in tal senso<br />

(art. 5, comma 1, lettera b), individuando ed eseguendo la cooperazione e il coordinamento delle<br />

attività e la reciproca informazione aziendale rispetto ai rischi, alle problematiche, alle avvertenze e alle<br />

misure di sicurezza.<br />

15 Verificare l’attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento<br />

tra i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in<br />

cantiere (*).<br />

16 Adottare il provvedimento, per iscritto, di sospensione delle singole lavorazioni con pericolo grave e imminente<br />

al presentarsi della situazione (*).<br />

91


SICUREZZA IN CANTIERE<br />

Articolo<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

17 Segnalare per iscritto al committente (o al responsabile dei lavori), previa contestazione scritta alle imprese<br />

o lavoratori autonomi interessati (che non abbia sortito effetto), le inosservanze degli artt. 7, 8 e 9<br />

e delle prescrizioni del PSC, con proposta di sospendere i lavori, ovvero allontanare le imprese o lavoratori<br />

autonomi, ovvero risolvere il contratto (*).<br />

18 Comunicare per iscritto all’Azienda USL e alla Direzione Provinciale del Lavoro le inosservanze di cui al<br />

punto 17 se il committente o il responsabile dei lavori non adotta provvedimenti, tra quelli proposti dal<br />

coordinatore, e non fornisce idonea motivazione individuando altre possibili soluzioni da adottare per<br />

eliminare le inosservanze segnalate (*).<br />

19 Effettuare una o più riunioni di pianificazione e coordinamento prima dell’avvio dei lavori (con le imprese<br />

e i lavoratori autonomi già interessati ai lavori).<br />

20 Ammettere in cantiere nuove imprese e lavoratori autonomi solo a seguito di riunione di pianificazione<br />

e coordinamento (e verificare, in caso di sub­appalto, dell’avvenuta consegna del PSC da parte dell’impresa<br />

assegnataria).<br />

21 Richiedere ai lavoratori autonomi di fornire schede di sicurezza (uso, manutenzione, installazione, verifiche,<br />

caratteristiche tecniche e di protezione, dati di acquisto, generalità del proprietario ecc.) su macchine<br />

e attrezzature che potranno essere introdotte in cantiere.<br />

22 Controllarecheleimpreseeilavoratoriautonomientrinoincantiereallecondizionicontrattualistabilite.<br />

23 Controllare la presenza in cantiere delle imprese e dei lavoratori autonomi autorizzati.<br />

24 All’atto dei controlli in cantiere, da effettuarsi con la cadenza più utile a seconda dell’importanza dell’opera,<br />

delle fasi o lavorazioni critiche, del numero di imprese e lavoratori autonomi da coordinare, delle<br />

sensibilità aziendali al rispetto delle norme di sicurezza, della criticità del contesto territoriale in cui si<br />

opera ecc., il coordinatore, oltre ad adottare i provvedimenti elencati nel presente lavoro, dovrà effettuare<br />

riunioni di coordinamento con i responsabili di ogni impresa e relativi RLS e con i lavoratori autonomi<br />

presenti, al fine di prendere in considerazione la fase o le fasi lavorative che verranno eseguite nei<br />

giorni successivi, con l’evidenziazione delle criticità, delle necessità di coordinamento, dell’uso promiscuo<br />

di macchine e attrezzature ecc., verificando sul PSC i relativi oneri di sicurezza.<br />

25 Nel caso di nomina del coordinatore ai sensi dell’art. 3, comma 4­bis, il coordinatore consente l’inizio dei<br />

lavori solo dopo la stesura del PSC e del Fascicolo e nel rispetto di quanto ai punti precedenti (*).<br />

26 Consegnare il fascicolo tecnico dell’opera, al termine dei lavori, al committente.<br />

* Specifico obbligo del coordinatore per l’esecuzione previsto dall’art. 5 e punito dall’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 494/1996.<br />

92<br />

Sentenza della Corte di Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 18 novembre 2004) 21 gennaio 2005, n. 1722<br />

Lavoro - Lavoro subordinato - In genere - <strong>Sicurezza</strong> e prevenzione degli infortuni nei cantieri -<br />

Reato di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 495/1996 - Omessa comunicazione delle inadempienze - Ingiusti-<br />

ficato ritardo nella comunicazione - Sufficienza - Fondamento<br />

La violazione dell’art. 5, lett. c) del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, obbligo di dare comunicazione alla<br />

ASL e alla direzione provinciale del lavoro della inadempienza del committente o del responsabile dei<br />

lavori in tema di eliminazione delle irregolarità riscontrate in materia di appalti, si integra anche in<br />

ipotesi di ingiustificato ritardo nella comunicazione, atteso che le disposizioni del citato decreto n.<br />

494 prevedono che le comunicazioni siano effettuate il più presto possibile trattandosi di prescrizioni<br />

imposte per assicurare la sicurezza e la prevenzione degli infortuni nei cantieri.<br />

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Riquadro 1<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


IGIENE E SICUREZZA<br />

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE<br />

a cura di Marco Fabrizio, avvocato in Roma<br />

ITALIA<br />

PROROGATO IL CAPO V DEL TU EDILIZIA<br />

Legge 26 luglio 2005, n. 148<br />

«Conversione in legge, con modificazioni dal decretolegge<br />

27 maggio 2005, n. 86, recante misure urgenti di<br />

sostegnonelle areemetropolitane per iconduttoridiimmobili<br />

in condizioni di particolare disagio abitativo conseguente<br />

a provvedimenti esecutivi di rilascio» (G.U. del 29 luglio<br />

2005, n. 175)<br />

La legge 26 luglio 2005, n. 148 di conversione del decreto­legge<br />

27 maggio 2005, n. 86, proroga al 1° luglio<br />

2006 l’entrata in vigore del Capo V, Parte II, Decreto del<br />

Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Si<br />

segnala l’applicabilità del Capo V a tutti i fabbricati qua­<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

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LEGISLAZIONE<br />

In breve<br />

lunque sia la destinazione d’uso. Diverranno, inoltre,<br />

applicabili le disposizioni che prevedono la possibilità di<br />

installazione, trasformazione, ampliamento e manutenzione<br />

degli impianti solamente per gli iscritti all’apposito<br />

Albo depositato presso le Camere di Commercio.<br />

Tale disciplina coinvolge gli impianti di produzione, di<br />

trasporto, di distribuzione e di utilizzazione dell’energia<br />

elettrica all’interno degli edifici, gli impianti radiotelevisivi<br />

ed elettronici in genere, le antenne e gli impianti di<br />

protezione da scariche atmosferiche, gli impianti di riscaldamento<br />

e climatizzazione azionati da fluido liquido,<br />

aeriforme, gassoso e di qualsiasi natura o specie, gli<br />

impianti idrosanitari nonché quelli di trasporto, di trattamento,<br />

di uso, di accumulo e di consumo di acqua<br />

all’interno degli edifici, gli impianti per il trasporto e<br />

l’utilizzazione di gas allo stadio liquido o aeriforme all’interno<br />

degli edifici, gli impianti di sollevamento di<br />

persone o di cose per mezzo di ascensori, di montacarichi,<br />

di scale mobili e simili e gli impianti di protezione<br />

antincendio.<br />

93


GIURISPRUDENZA<br />

Massime<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA<br />

a cura di Pierguido Soprani, avvocato<br />

94<br />

CONDOTTA ANOMALA DEL LAVORATORE:<br />

RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO<br />

Cassazione penale. sez. IV,<br />

(ud. 14 gennaio 2005) 30 marzo 2005,<br />

n. 12237<br />

Prevenzione degli Infortuni - Lesioni personali<br />

- Datore di lavoro - Obbligo di garantire<br />

la sicurezza nel luogo di lavoro - Comportamento<br />

negligente del lavoratore - Incidenza<br />

sul nesso causale - Rilevanza - Limiti - Valutazione<br />

- Responsabilità del datore di lavoro -<br />

Valutazione.<br />

Le norme di prevenzione degli infortuni mirano a<br />

tutelare il lavoratore anche in ordine a incidenti<br />

che possano derivare da sua negligenza, imprudenza<br />

e imperizia, cosicché la responsabilità del<br />

datore di lavoro può essere esclusa, per causa<br />

sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento<br />

del lavoratore che presenti i caratteri dell’eccezionalità,<br />

dell’abnormità, dell’esorbitanza<br />

rispetto al procedimento lavorativo e alle precise<br />

direttive organizzative ricevute, e che sia del tutto<br />

imprevedibile o inopinabile. Nel caso di assenza<br />

o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna<br />

efficacia causale può essere attribuita al<br />

comportamento del lavoratore infortunato, che<br />

abbia dato occasione all’evento.<br />

Nota<br />

La Corte di Cassazione ha ancora una volta affermato<br />

il principio in base al quale i soggetti gravati<br />

dal debito di sicurezza (datore di lavoro, dirigenti<br />

e loro delegati) hanno l’obbligo di dare<br />

attuazione alla normativa prevenzionistica secondo<br />

parametri di oggettività idonei a neutralizzare<br />

i cosiddetti fattori di pericolosità individuale.<br />

Questi ultimi, normalmente, consistono nelle<br />

conseguenze negative derivanti da patologie dell’attenzione,<br />

della diligenza, della prudenza, che<br />

si verificano durante e per effetto dello svolgimento<br />

dell’attività lavorativa. Non (sol)tanto un<br />

malessere fisico improvviso, ma più spesso l’eccessivo<br />

affaticamento, la smodata familiarità con le<br />

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mansioni di lavoro, l’assenza di organizzazione<br />

e/o di procedure, sono all’origine degli eventi infortunistici,<br />

costituendone gli stimoli originari e<br />

involontari. Di qui l’esigenza imprescindibile e<br />

prioritaria che il sistema di prevenzione aziendale<br />

sia in grado di prevedere, fronteggiare e neutralizzare<br />

le azioni pericolose dei lavoratori, eliminando<br />

alla radice, ove possibile, i fattori di rischio<br />

professionale, e, in via subordinata riducendoli al<br />

livello minimo (con obbligo di privilegiare ­ come<br />

impone l’art. 3, comma 1, lettera c), D.Lgs. n. 626/<br />

1994 ­ gli interventi di riduzione alla fonte del<br />

rischio, implementando così un sistema di tutela<br />

oggettiva del luogo di lavoro).<br />

Essendo nozione di comune esperienza che, nella<br />

quasi totalità dei casi, l’infortunio sul lavoro ha<br />

causa materiale in condotte del lavoratore derivanti<br />

da sua negligenza, imprudenza e imperizia,<br />

la Giurisprudenza è concorde nel ritenere che la<br />

responsabilità del datore di lavoro, quale principale<br />

destinatario dell’obbligo di adottare le misure<br />

di prevenzione e di protezione, può essere<br />

esclusa solo in presenza di comportamenti che<br />

presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità,<br />

dell’esorbitanza rispetto al procedimento<br />

lavorativo e alle precise direttive organizzative<br />

ricevute, in modo da risultare assolutamente imprevedibili<br />

o inaspettati (ex plurimis, Cass. pen.,<br />

sez. IV, 25 settembre 1995, n. 10733; Cass. pen.,<br />

sez. III, 13 giugno 2002, n. 331679; Cass. pen., sez.<br />

IV, 16 settembre 2003, n. 35571), ovvero nel caso<br />

di “comportamento doloso” o di “macroscopica<br />

imprudenza” (Cass. pen., sez. IV, 30 settembre<br />

1993, n. 8962; Cass. pen., sez. IV, 14 dicembre<br />

1984, n. 11032; Cass. pen., sez. IV, 28 ottobre<br />

1988, n. 10598), ma che «l’eventualità che il dipendente<br />

commetta una leggerezza durante il<br />

lavoro non integra gli estremi del rischio elettivo<br />

che interrompe il nesso di causalità, non trattandosi<br />

di condotta anomala e imprevedibile» (Cass.<br />

pen., sez. IV, 6 novembre 2001, n. 39320).<br />

Come si vede, sussiste un limite alla esigibilità<br />

della condotta giuridicamente doverosa da parte<br />

del datore di lavoro, superato il quale, il profilo di<br />

responsabilità incombe totalmente sul lavoratore<br />

vittima dell’infortunio da lui stesso causato.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


Resta, peraltro, indiscutibile il principio per cui la<br />

condotta del lavoratore può assumere rilevanza,<br />

ai fini penalistici, solo dopo che i soggetti destinatari<br />

degli obblighi di sicurezza abbiano realizzato<br />

gli adempimenti prescritti (Cass. pen., sez. IV, 22<br />

maggio 2002; Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio 1999;<br />

Cass. pen., sez. IV, 18 marzo 1986) e che al datore<br />

di lavoro non è consentito fare affidamento sull’esperienza<br />

professionale del lavoratori (Cass.<br />

pen., sez. IV, 28 febbraio 2001; Cass. pen., 4 febbraio<br />

1981; contra, Cass. pen., sez. IV, 9 febbraio<br />

1993), a maggior ragione se egli abbia omesso di<br />

predisporre nel migliore dei modi le operazioni<br />

da compiere per l’esecuzione del lavoro. Illuminante<br />

in questo senso la pronuncia della Pretura<br />

di Torino, 27 ottobre 1983, in un caso di violazione<br />

dell’art. 72, D.P.R. n. 547/1955 (blocco degli<br />

apparecchi di protezione), ove si è affermato che<br />

«Non sussiste colpa concorrente del lavoratore<br />

quando l’infortunio dipende unicamente dalla<br />

violazione di legge (ispirata) a chiara logica di<br />

garanzia assoluta (c.d. protezione oggettiva), diretta<br />

ad evitare il sorgere di qualsiasi situazione<br />

di rischio ed a prevenire comportamenti imprudenti<br />

degli operatori». In senso analogo Cass.<br />

pen., sez. IV, 4 agosto 1990, e da ultimo Cass.<br />

pen., sez. IV, 18 novembre 1997, le quali hanno<br />

ritenuto che «le reazioni nervose ed emotive, che<br />

possono essere dovute a stanchezza, a non perfette<br />

condizioni di salute, a screzi tra colleghi, a<br />

disappunto per la non perfetta riuscita del lavoro,<br />

ecc., sono stati d’animo tutt’altro che infrequenti<br />

in un essere umano e, pertanto, del tutto prevedibili,<br />

cosicché debbono essere previste e prevenute<br />

anche le conseguenze negative ­ gli errori e<br />

le conseguenze degli errori ­ che da quegli stati<br />

d’animo possono scaturire».<br />

Se è principio giurisprudenziale consolidato che<br />

l’esperienza del lavoratore non scrimina la responsabilità<br />

del datore di lavoro inadempiente<br />

rispetto all’osservanza degli obblighi prevenzionistici,<br />

nondimeno l’esperienza del lavoratore<br />

non può assumere ­ come impropriamente ha<br />

ritenuto il Supremo collegio in qualche pronuncia<br />

(ex aliis Cass. pen., sez. IV, 6 novembre 2001, n.<br />

39320) ­ un’efficacia addirittura aggravante del<br />

grado della colpa del datore di lavoro, con riguardo<br />

al coefficiente di prevedibilità dell’evento<br />

dannoso. Del resto, altra giurisprudenza di legittimità<br />

accredita al datore la possibilità di fare<br />

affidamento anche sulla «pregressa affidabilità<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

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GIURISPRUDENZA<br />

Massime<br />

antinfortunistica del lavoratore» (si veda, in proposito,<br />

Cass. pen., sez. IV, 22 ottobre 1999, n.<br />

12115), ritenere il contrario significa negare rilevanza<br />

sia all‘attività di formazione del lavoratore<br />

rispetto ai rischi connessi all’attività lavorativa (si<br />

veda sul tema il D.M. 17 gennaio 1997, in materia<br />

di «Individuazione dei contenuti minimi della formazione<br />

dei lavoratori») sia al riferimento che<br />

l’art. 2087 c.c. fa all’“esperienza” quale fattore di<br />

tutela dell’integrità fisica del lavoratore sia al<br />

principio, avente portata generale, enunciato all’art.<br />

5, comma 1, D.Lgs. n. 626/1994, ripreso con<br />

ampiezza di argomentazioni dalla sentenza in<br />

commento. Nel senso che «l’accertamento dell’idoneità<br />

del lavoratore a svolgere un lavoro di<br />

elevata complessità e pericolosità non esclude,<br />

ma attenua, l’obbligo del datore di lavoro di rendere<br />

edotto il lavoratore dei rischi specifici», Cass.<br />

pen., sez. IV, 24 giugno 2000.<br />

Invero, nel nuovo assetto di relazioni intersoggettive<br />

delineato dal D.Lgs. n. 626/1994, anche il lavoratore<br />

deve considerarsi a sua volta responsabile<br />

della sicurezza propria e dei propri compagni<br />

di lavoro «non diversamente che il datore di lavoro,<br />

o chi altri individuato dalla legge come responsabile<br />

per conto ed in luogo di costui». L’elevazione<br />

del lavoratore a “soggetto della sicurezza”<br />

sul luogo di lavoro lo fa ­ diversamente che<br />

nel passato ­ titolare di una posizione al tempo<br />

stesso creditoria nei confronti del datore di lavoro<br />

(credito d’informazione, di formazione e di<br />

una serie di misure generali di prevenzione), ma<br />

anche di una posizione debitoria, finanche verso<br />

se stesso, oltre che nei confronti dei suoi colleghi<br />

di lavoro. Dunque, nel nuovo sistema della sicurezza<br />

aziendale, il lavoratore è divenuto a pieno<br />

titolo soggetto titolare di quella duplice posizione<br />

creditoria/debitoria della propria e dell’altrui<br />

sicurezza, che caratterizza il suo ruolo di garanzia<br />

attiva, all’interno del sistema prevenzionale<br />

aziendale, sia per effetto del citato art. 5, D.Lgs.<br />

n. 626/1994, sia del dovere di diligenza che, in<br />

base a quanto prevede l’art. 2104 del Codice civile,<br />

grava sul lavoratore subordinato, all’interno<br />

dello schema contrattuale del rapporto di lavoro.<br />

Non è un caso che, al riguardo, l’indagine conoscitiva<br />

sulla sicurezza e l’igiene del lavoro, disposta<br />

dal Parlamento nell’anno 1997, abbia correttamente<br />

osservato che la tutela della sicurezza e<br />

della salute, dipende «dal coincidere di due condizioni<br />

indispensabili ma di per sé non sufficienti:<br />

“che l’ambiente, le macchine e gli impianti siano<br />

95


GIURISPRUDENZA<br />

Massime<br />

sicuri e che il comportamento dei lavoratori sia<br />

conforme alle esigenze di sicurezza».<br />

Per Cass. pen., sez. IV, 16 settembre 2003, n.<br />

35571, il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio<br />

occorso al lavoratore scarsamente informato<br />

circa l’effettiva entità della situazione di<br />

pericolo insita nell’attività di lavoro, potendo,<br />

l’imprudente condotta del dipendente, assumere<br />

rilevanza esclusivamente sulla determinazione<br />

del grado della colpa concorrente.<br />

A scorrere la copiosa giurisprudenza sul tema,<br />

vengono in evidenza anche altri profili non meno<br />

secondari, tutti legati in qualche modo con l’obbligo<br />

informativo e di formazione professionale<br />

sui rischi legati alla lavorazione in corso:<br />

l che l’esperienza del lavoratore non scrimina la<br />

responsabilità del datore di lavoro che sia inadempiente<br />

rispetto agli obblighi prevenzionistici<br />

e che l’eventualità che il dipendente commetta<br />

una leggerezza durante il lavoro non integra gli<br />

estremi del rischio elettivo che interrompe il nesso<br />

di causalità, non trattandosi di condotta anomala<br />

né imprevedibile (Cass. pen., sez. IV, 6 novembre<br />

2001, n. 39320);<br />

l che il datore di lavoro è responsabile per non<br />

aver vietato o, comunque, aver tollerato l’uso di<br />

un’attrezzatura di lavoro da parte di un lavoratore<br />

inesperto (Cass. pen., sez. IV, 4 ottobre 2001, n.<br />

35771);<br />

l che il datore di lavoro è responsabile, in via<br />

esclusiva, dell’infortunio occorso al lavoratore dotato<br />

di attrezzatura di lavoro non sottoposta a<br />

regolare controllo e manutenzione, senza che la<br />

condotta imprudente del dipendente possa assumere<br />

rilevanza sotto il profilo della colpa concorrente<br />

(Cass. pen., sez. IV, 12 novembre 2003, n.<br />

433624).<br />

Resta fermo, in ogni caso, il principio generale<br />

per il quale il lavoratore non può mai essere considerato<br />

soggetto attivo degli obblighi che incombono<br />

sul datore di lavoro e, al contempo,<br />

beneficiario della tutela che l’osservanza di detti<br />

obblighi comporta; in tal senso, da ultimo, Cass.<br />

pen., sez. IV, 20 maggio 2001.<br />

Un caso concluso con la condanna di un lavoratore<br />

per omessa segnalazione di una situazione di<br />

lavoro pericolosa è quello deciso da Cass. pen.,<br />

sez. III, 13 febbraio 2001; analogamente, un caso<br />

di condotta anomala del lavoratore, avente efficacia<br />

scriminante della responsabilità dei vertici<br />

aziendali, è quello affrontato da Cass. pen., sez.<br />

IV, 27 settembre 2001. In altra fattispecie recente,<br />

la Suprema Corte (Cass. pen., sez. IV, 20 settembre<br />

2002) ha ritenuto l’assenza di colpa in capo al<br />

96<br />

IGIENE E SICUREZZA<br />

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datore di lavoro (assente al momento dell’evento<br />

infortunistico), con riguardo a una soluzione di<br />

lavoro estemporanea assunta, di esclusiva iniziativa<br />

da parte del lavoratore, e non prevedibile al<br />

momento di inizio dei lavori.<br />

Secondo Cass. pen., sez. IV, 3 ottobre 2001, si può<br />

parlare di colpa concorrente del lavoratore solo<br />

se l’improprio modo di operare è conseguenza di<br />

una libera scelta e non quando esso sia indotto<br />

dalla necessità derivante dall’assenza di idonee<br />

attrezzature di lavoro.<br />

Particolarmente interessante la pronuncia di Cass.<br />

pen., sez. IV, 30 gennaio 2001, che ha riconosciuto<br />

la colpa concorrente del collega di lavoro più<br />

esperto a cui l’infortunato era stato affidato nello<br />

svolgimento delle mansioni di lavoro.<br />

Secondo Cass. pen., sez. IV, 18 maggio 2001, l’art.<br />

5, D.Lgs. n. 626/1994, prevede l’obbligo del lavoratore<br />

di segnalare tempestivamente al datore di<br />

lavoro solo le carenze che si manifestino improvvisamente<br />

durante il lavoro e non anche quelle<br />

preesistenti «che il datore di lavoro avrebbe dovuto<br />

conoscere ed eliminare di propria iniziativa,<br />

indipendentemente dalla noncuranza o dalla relativa<br />

inerzia dei dipendenti».<br />

Recentemente, è stato ritenuto che la valutazione<br />

relativa alla sussistenza di una condotta anomala<br />

da parte del lavoratore deve essere compiuta<br />

con riguardo alle ordinarie modalità di svolgimento<br />

delle mansioni e delle direttive impartite<br />

dal datore di lavoro, dal momento che la “normalità”<br />

del comportamento va commisurata in<br />

termini di tipicità o meno alle modalità ordinariamente<br />

seguite nel procedimento lavorativo e solo<br />

con riferimento a queste indagini può trarsi una<br />

giustificata conclusione di anomalia o meno della<br />

condotta tenuta (Cass. civ., sezione lavoro, 24<br />

marzo 2004, n. 5920).<br />

Una pronuncia che riconosce il nuovo ruolo del<br />

lavoratore, ai sensi dell’art. 5, D.Lgs. n. 626/1994,<br />

è quella di Cass. pen., sez. IV, 7 novembre 2002,<br />

sebbene resti fermo il principio generale che fa<br />

divieto a che il lavoratore subordinato sia al tempo<br />

stesso soggetto destinatario degli obblighi che<br />

incombono sul datore di lavoro, dirigenti e preposti,<br />

e soggetto beneficiario della tutela che le<br />

norme comportano; ossia soggetto protettore e<br />

protetto, vigilante e vigilato, in evidente inottemperanza<br />

del disposto normativo che distingue<br />

chiaramente i rispettivi obblighi e doveri (così<br />

Cass. pen., sez. IV, 8 maggio 2001). l<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


BONIFICHE<br />

Commento<br />

AMBIENTE<br />

La misura nel D.M. n. 127/2005, che ha aggiunto il comma 4-bis all’art. 15, D.M. n. 471/1999<br />

Introdotta l’autorizzazione provvisoria<br />

per le bonifiche di “interesse nazionale”<br />

di Fabio Dal Seno, Butti Peres & Partner, avvocati<br />

A distanza di quasi 5 anni<br />

dalla pubblicazione del D.M.<br />

n. 471/1999, la fase applicativa<br />

del procedimento di bonifica<br />

dei cosiddetti «siti di interesse<br />

nazionale» continua a porre<br />

notevoli difficoltà legate,<br />

soprattutto, alla presenza<br />

di numerosi soggetti e alla<br />

complessità delle problematiche<br />

tecnico­giuridiche che, di volta in<br />

volta, emergono. La conseguenza<br />

è un allungamento dei tempi<br />

necessari per giungere<br />

all’approvazione dei progetti<br />

definitivi presentati, che<br />

determina, in ultima analisi,<br />

un ritardo nell’avvio delle attività<br />

in sito. Sul punto è intervenuto<br />

il Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> che,<br />

aggiungendo un apposito<br />

comma (4­bis) all’art. 15,<br />

D.M. n. 471/1999, con<br />

il D.M. n. 127/2005, ha introdotto<br />

la possibilità di autorizzare in via<br />

provvisoria «l’avvio dei lavori<br />

per la realizzazione dei relativi<br />

interventi di bonifica».<br />

Numerosi i presupposti<br />

per il rilascio<br />

del provvedimento, tra cui<br />

la richiesta dell’interessato<br />

e il completamento<br />

dell’istruttoria tecnica.<br />

98<br />

Tramite il regolamento approvato<br />

con D.M. 2 maggio 2005, n.<br />

127 [1] , è stata introdotto nel procedimento<br />

di bonifica dei siti di interesse<br />

nazionale lo strumento della autorizzazione<br />

provvisoria, allo scopo di consentire<br />

una più rapida esecuzione degli interventi<br />

di risanamento, cercando così di<br />

porre rimedio a una difficoltà riscontrata<br />

in fase applicativa.<br />

Come noto, l’art. 15, D.M. 25 ottobre<br />

1999, n. 471 [2] , disciplina una particolare<br />

tipologia di interventi di bonifica definiti<br />

«di interesse nazionale», da individuarsi<br />

in base ai seguenti criteri direttivi:<br />

l la bonifica riguardi aree e territori,<br />

compresi i corpi idrici, di particolare pregio<br />

ambientale;<br />

l la bonifica riguardi aree e territori tutelati<br />

ai sensi del decreto legge 27 giugno<br />

1985, n. 312 (parzialmente abrogato dal<br />

D.Lgs. n. 490/1999, a sua volta abrogato<br />

dal Codice dei beni culturali e del paesaggio<br />

approvato con D.Lgs. n. 42/2004);<br />

l il rischio sanitario e ambientale che<br />

deriva dall’inquinamento risulti particolarmente<br />

elevato in ragione della densità<br />

della popolazione o dell’estensione dell’area<br />

interessata;<br />

l l’impatto socio-economico causato<br />

dall’inquinamento dell’area sia rilevante;<br />

l l’inquinamento costituisca un rischio<br />

per i beni di interesse storico e culturale<br />

di rilevanza nazionale;<br />

l la bonifica riguardi siti compresi nel<br />

territorio di più regioni.<br />

I commi da 2 a 4 del citato art. 15<br />

delineano, inoltre, il complesso iter del<br />

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procedimento di bonifica che prevede le<br />

seguenti fasi e attività:<br />

l il responsabile dell’inquinamento presenta<br />

al Ministero dell’<strong>Ambiente</strong>:<br />

- il piano della caratterizzazione,<br />

- il progetto preliminare,<br />

- il progetto definitivo,<br />

comunicando, inoltre, gli eventuali intereventi<br />

di messa in sicurezza adottati;<br />

l per l’istruttoria tecnica degli elaborati,<br />

il Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> si avvale dell’APAT,<br />

delle ARPA delle regioni interessate<br />

e dell’Istituto Superiore di Sanità;<br />

l il progetto definitivo viene approvato<br />

dal Ministero dell’<strong>Ambiente</strong>:<br />

- di concerto con i Ministri delle Attività<br />

produttive e della Salute,<br />

- d’intesa con la Regione territorialmente<br />

competente,<br />

- tenendo conto delle conclusioni dell’istruttoria<br />

tecnica;<br />

l con l’approvazione del Progetto definitivo<br />

viene autorizzata la realizzazione<br />

degli interventi.<br />

Una volta avvenuta l’individuazione<br />

(o, meglio, la perimetrazione) dei siti di<br />

interesse nazionale tramite appositi decreti<br />

ministeriali, si è cercato di dare attuazione<br />

al procedimento di bonifica così<br />

come delineato dalla norma citata. Tuttavia,<br />

la fase applicativa ha evidenziato notevoli<br />

difficoltà, legate in particolare alla<br />

presenza di numerosi soggetti e alla complessità<br />

delle problematiche che, di volta<br />

in volta, emergono sotto il profilo sia tecnico<br />

che giuridico. Tutto ciò ha causato (e<br />

continua a comportare) una dilatazione<br />

dei tempi necessari per giungere all’ap-<br />

[1] In Gazzetta Ufficiale dell’11 luglio 2005, n. 159.<br />

[2] «Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati,<br />

ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni» (in S.O. n. 218 alla<br />

Gazzetta Ufficiale del 15 dicembre 1999, n. 293). Si vedano anche i nn. 2/2000 e 5/2001 e il Supplemento n. 6/2002 di<br />

<strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong>.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


provazione dei progetti definitivi presentati<br />

dai soggetti inclusi all’interno del perimetro<br />

del sito di interesse nazionale,<br />

con un conseguente ritardo nell’avvio<br />

delle attività in sito. Allo scopo, quindi, di<br />

anticipare l’esecuzione degli interventi di<br />

bonifica, il D.M. n. 127/2005 ha aggiunto<br />

il comma 4-bis all’art. 15, D.M. n. 471/<br />

1999, in base al quale il Ministero dell’<strong>Ambiente</strong><br />

può autorizzare in via provvisoria<br />

«l’avvio dei lavori per la realizzazione<br />

dei relativi interventi di bonifica».<br />

I presupposti per il rilascio del provve-<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

AMBIENTE<br />

dimento sono, tuttavia, numerosi e rilevanti,<br />

vale a dire:<br />

l la richiesta dell’interessato;<br />

l il completamento dell’istruttoria tecnica;<br />

l la presenza di motivi d’urgenza;<br />

l la pronuncia positiva del giudizio di<br />

compatibilità ambientale (ove prevista);<br />

l la valutazione positiva degli interventi<br />

da parte della Conferenza di Servizi (la<br />

quale può aggiungere eventuali prescrizioni).<br />

Infine, tramite un espresso richiamo<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

BONIFICHE<br />

Legislazione<br />

Commento<br />

all’art. 10, comma 10, D.M. n. 471/1999,<br />

il comma 4-bis dell’art. 15 ha stabilito<br />

che la predetta autorizzazione provvisoria:<br />

l sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni,<br />

le concessioni, i concerti, le intese,<br />

i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti<br />

dalla legislazione vigente;<br />

l costituisce variante urbanistica;<br />

l comporta dichiarazione di pubblica<br />

utilità, di urgenza e indifferibilità dei lavori<br />

qualora la realizzazione e l’esercizio<br />

degli impianti e delle attrezzature rivesta<br />

carattere di pubblica utilità. l<br />

Decreto del Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e della Tutela del territorio<br />

2 maggio 2005, n. 127<br />

Regolamento recante modifica dell’articolo 15 del decreto del Ministro dell’<strong>Ambiente</strong><br />

e della Tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle Attività produttive e della Salute,<br />

25 ottobre 1999, n. 471, in materia di realizzazione di interventi di bonifica dei siti inquinati<br />

in Gazzetta Ufficiale dell’11 luglio 2005, n. 159<br />

IL MINISTRO DELL’AMBIENTE<br />

E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO<br />

di concerto con<br />

IL MINISTRO DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE<br />

e<br />

IL MINISTRO DELLA SALUTE<br />

Visto il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, recante<br />

«Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE<br />

sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di<br />

imballaggio», modificato ed integrato dal decreto legislativo 8<br />

novembre 1997, n. 389 e dalla legge 9 dicembre 1998, n. 426,<br />

ed in particolare gli articoli 17, 18, comma 1, lettera n), e 22,<br />

comma 5, che dettano le disposizioni generali in materia di<br />

bonifica dei siti inquinati;<br />

Visto l’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;<br />

Visto il decreto del Ministro dell’ambiente di concerto con il<br />

Ministro dell’industria, commercio e artigianato e il Ministro della<br />

sanità 25 ottobre 1999, n. 471 che, in attuazione del citato articolo<br />

17 del decreto legislativo n. 22 del 1997, disciplina i criteri, le<br />

procedure e le modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il<br />

ripristino ambientale dei siti inquinati ed in particolare l’articolo<br />

15, comma 1, che individua i principi e i criteri direttivi per la<br />

classificazione degli interventi di interesse nazionale;<br />

Vista la legge 9 dicembre 1998, n. 426, recante «Nuovi<br />

interventi in campo ambientale», ed in particolare l’articolo 1,<br />

che individua i primi interventi di bonifica di interesse nazionale<br />

e prevede l’adozione, d’intesa con la Conferenza permanente<br />

per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di<br />

Trento e Bolzano, previo parere delle competenti Commissioni<br />

parlamentari, di un programma nazionale di bonifica e il ripristino<br />

ambientale dei siti inquinati;<br />

Considerata la necessità di assicurare nel più breve tempo<br />

possibile l’inizio delle attività di bonifica e di procedere quindi<br />

con gli interventi necessari per la realizzazione dei nuovi impianti<br />

ed il recupero dell’area;<br />

D’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo<br />

Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;<br />

Udito il parere del Consiglio di Stato espresso dalla sezione<br />

consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 4 aprile 2005;<br />

Vista la comunicazione al Presidente del Consiglio dei<br />

Ministri, ai sensi della citata legge n. 400 del 1988, in data 28<br />

aprile 2005;<br />

Adotta<br />

il seguente regolamento:<br />

Art. 1<br />

1. Dopo il comma 4 dell’articolo 15 del decreto 25 ottobre<br />

1999, n. 471, è aggiunto il seguente comma:<br />

«4-bis. In attesa del perfezionamento del provvedimento di<br />

autorizzazione di cui al comma precedente, completata l’istruttoria<br />

tecnica, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio<br />

autorizza in via provvisoria, su richiesta dell’interessato,<br />

ove ricorrano i motivi d’urgenza e fatta salva l’acquisizione<br />

della pronuncia positiva del giudizio di compatibilità ambientale<br />

ove prevista, l’avvio dei lavori per la realizzazione dei relativi<br />

interventi di bonifica, secondo il progetto valutato positivamente,<br />

con eventuali prescrizioni, dalla Conferenza di servizi convocata<br />

ai sensi dell’articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n.<br />

241, e successive modificazioni. L’autorizzazione provvisoria<br />

produce gli effetti di cui al comma 10 dell’articolo 10.».<br />

Il presente regolamento, munito del sigillo dello Stato, sarà<br />

inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica<br />

italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di<br />

farlo osservare. l<br />

99


100<br />

RIFIUTI<br />

Documento Commento<br />

AMBIENTE<br />

Il documento provvede a inquadrarle nelle risorse minerarie di origine non naturale<br />

La circolare del MinAmb 30 giugno 2005<br />

esclude le ceneri di pirite dai rifiuti<br />

di Marco Sertorio, docente di Istituzioni di diritto privato ­ Facoltà di Economia ­ Università di Torino<br />

Preziosi spunti interpretativi dalla<br />

circolare MinAmb 30 giugno<br />

2005, non solo sulle ceneri di<br />

pirite (materiale tutt’altro di<br />

nicchia, visto l’impiego<br />

nell’industria cementiera), ma<br />

anche su come<br />

si debba affrontare il tema in<br />

generale della nozione di rifiuto<br />

con particolare riferimento alla<br />

delimitazione estensiva dei casi<br />

e dell’esclusione. Oltre a<br />

considerazioni dal punto di vista<br />

della consistenza oggettiva<br />

e della commercializzazione<br />

diretta che ne indicano<br />

chiaramente un’esclusione<br />

dall’ambito dei rifiuti,<br />

l’assimilazione delle ceneri<br />

di pirite all’ambito prettamente<br />

minerario garantisce sia una<br />

valorizzazione di un<br />

sottoprodotto secondo<br />

il principio di “prevenzione”<br />

sia un risparmio di materie prime<br />

in funzione del corrispondente<br />

mantenimento delle risorse<br />

naturali. Appare, quindi, evidente<br />

la necessità e l’urgenza con cui<br />

il Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> deve<br />

provvedere a promuovere<br />

l’eliminazione del materiale<br />

in esame dalla normativa<br />

sui rifiuti, attraendola alla sfera<br />

della disciplina estrattiva.<br />

La vicenda, presa in considerazione<br />

dalla circolare del Ministero<br />

dell’<strong>Ambiente</strong> e della<br />

Tutela del Territorio 30 giugno<br />

2005, relativa alle «concentrazioni<br />

delle varie componenti delle<br />

ceneri di pirite», offre lo spunto<br />

per un ripensamento su come si<br />

debba affrontare il tema in generale<br />

della nozione di rifiuto con particolare<br />

riferimento alla delimitazione<br />

estensiva dei casi e dell’esclusione.<br />

Innanzitutto, viene in rilievo la<br />

consistenza oggettiva del bene<br />

preso in considerazione dalla circolare<br />

in esame, unitamente alla<br />

destinazione diretta del materiale<br />

estratto. Sotto un primo profilo, va<br />

rilevato che trattasi di minerale,<br />

oggetto di trattamento originario<br />

successivamente alla sua estrazione<br />

e, quindi, depositato nel sito,<br />

così che nel tempo esso si consolida<br />

con il suolo, tale da diventarne<br />

parte; questo minerale, così depositato,<br />

costituisce bene immobile<br />

(in quanto legato in via inscindibile<br />

con il suolo) pur se contraddistinto<br />

nella sua autonomia di bene<br />

qualificato da particolari specificazioni<br />

fisico-chimiche.<br />

Sotto altro profilo (utilizzazione<br />

economica del detto bene) va<br />

preso atto - e la circolare in esame<br />

ne fa espressa esplicitazione - che<br />

questo bene, proprio per tali sue<br />

qualità, può essere direttamente<br />

utilizzato - una volta separato dal<br />

suolo - nell’industria cementiera.<br />

[1] Federici, Contributo allo studio dei beni minerari, Padova, CEDAM, 1996, passim.<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

Dal primo angolo visuale occorre<br />

prendere le mosse dalla definizione<br />

del giacimento di miniera<br />

o di cava, inteso come insieme di<br />

sostanze minerali esistenti in natura<br />

in un determinato fondo con<br />

precisi confini sia rispetto alle residue<br />

proprietà fondiarie sia rispetto<br />

al sottosuolo che allo spazio<br />

aereo [1] .<br />

Il fenomeno delle ceneri di pirite<br />

ricalca lo stesso schema, consistendo<br />

in un insieme di materiale<br />

coeso, ben individuato rispetto al<br />

suolo (anche se ormai facente parte<br />

di esso).<br />

La formazione di questa entità<br />

(giacimento di ceneri di pirite) si<br />

modella in stretta similitudine all’analogo<br />

fenomeno che viene talora<br />

a prodursi anche nel campo<br />

minerario; si ritiene, invero, che il<br />

materiale depositato in discarica<br />

mineraria (nella fase di coltivazione<br />

dei giacimenti di pietre ornamentali)<br />

costituisca giacimento di<br />

cava e che nel tempo si sia consolidato<br />

con il terreno; tale formazione<br />

diventa, a propria volta, giacimento<br />

di cava. Da qui, la necessità<br />

del ricorso all’autorizzazione<br />

per la coltivazione di cava in caso<br />

di un suo successivo sfruttamento<br />

e conseguente esclusione dalla disciplina<br />

dei rifiuti.<br />

La differenza consiste unicamente<br />

nel seguente carattere di<br />

due beni:<br />

l connotazione naturalistica del<br />

minerale (in caso di miniere e cave);<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


l bene che, avendo subito a monte<br />

un trattamento, ha così perso la<br />

sua essenza di origine squisitamente<br />

naturalistica (nel caso preso<br />

in esame dalla circolare).<br />

Ma questo carattere differenziale<br />

non giustifica una così profonda<br />

differenza di disciplina giuridica e<br />

di inquadramento giuridico, non<br />

appena si consideri il secondo angolo<br />

visuale, ovvero quello della<br />

commercializzazione diretta del<br />

materiale estratto.<br />

Come è consolidato principio in<br />

tema di minerale estratto, un prodotto<br />

di estrazione (miniere o cave)<br />

non rientra tra i rifiuti, ove sia<br />

certo il suo riutilizzo senza previa<br />

trasformazione; questo principio è<br />

stato ancora di recente ribadito anche<br />

dalla Corte di Giustizia delle<br />

Comunità europee l’11 novembre<br />

2004 [2] .<br />

L’esigenza di escludere il materiale<br />

in esame dalla disciplina dei<br />

rifiuti si impone così per un duplice<br />

ordine di ragioni:<br />

l l’estrazione di questo materiale<br />

non riguarda in alcun modo il<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

AMBIENTE<br />

fenomeno “rifiuti”, ma attiene<br />

strettamente alle tematiche tipiche<br />

estrattive che impongono<br />

l’intervento amministrativo nella<br />

vicenda, al fine sia di armonizzare<br />

le esigenze estrattive con la<br />

tutela del suolo su cui insiste l’attività<br />

sia di attuare la sicurezza<br />

dei lavoratori e dei terzi nelle<br />

operazioni di scavo;<br />

l l’impiego diretto del materiale<br />

estratto nella industria cementiera<br />

(o altro impiego industriale) fa venir<br />

meno l’esigenza di assicurare il<br />

controllo sulla collocazione del<br />

materiale stesso (esigenza che è,<br />

viceversa, propria dei rifiuti).<br />

A queste notazioni di carattere<br />

strutturale si aggiunge un ulteriore<br />

considerazione di carattere economico-ambientale.<br />

Assimilando<br />

questo materiale a quello minerario<br />

si perviene a un duplice risultato<br />

utile di pubblico interesse:<br />

l da un lato, la valorizzazione di<br />

un sottoprodotto secondo il principio<br />

di “prevenzione” (eliminando i<br />

problemi di eliminazione);<br />

l da altro lato, il risparmio di ma-<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

RIFIUTI<br />

Documento<br />

terie prime in funzione del corrispondente<br />

mantenimento delle risorse<br />

naturali e con conseguente<br />

riduzione dell’impatto ambientale<br />

(a causa, appunto, del non sfruttamento<br />

delle risorse naturali).<br />

Conclusioni<br />

In base al principio tale per cui<br />

laddove esista lo stesso criterio in<br />

materia di legge, esiste pure la<br />

stessa disposizione di legge, appare<br />

evidente la necessità e l’urgenza<br />

che il Ministero dell’<strong>Ambiente</strong><br />

provveda a promuovere<br />

l’eliminazione del materiale in<br />

esame dalla normativa sui rifiuti,<br />

attraendola alla sfera della disciplina<br />

estrattiva.<br />

Esiste già un precedente; la Spagna<br />

ha, infatti, incluso questo materiale<br />

tra le risorse minerarie di origine<br />

non naturale. Un esempio da seguire;<br />

infatti, risponde a corretto principio<br />

di tecnica legislativa imprimere<br />

lo stesso inquadramento e la<br />

medesima disciplina a situazioni e<br />

fenomeni strettamente e funzionalmente<br />

analoghi. l<br />

Circolare del Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e della Tutela del territorio<br />

30 giugno 2005<br />

Interpretazione in ordine ai contenuti, al significato e alla portata dei valori<br />

delle concentrazioni delle varie componenti delle ceneri di pirite<br />

in Gazzetta Ufficiale del 7 luglio 2005, n. 156<br />

In ordine a quanto in oggetto, perviene notizia a<br />

questo Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio<br />

che da parte di organi tutori sono insorte perplessità<br />

interpretative in ordine ai contenuti, al significato<br />

ed alla portata da attribuire ai valori minimi e<br />

massimi delle concentrazioni delle varie componenti<br />

delle ceneri di pirite, così come riportate al punto<br />

13.18.bis.3 dell’allegato al decreto interministeriale<br />

in parola. Quanto sopra, in particolare, relativamente<br />

ai contenuti dello zolfo e dell’arsenico.<br />

Va premesso, in merito, che il rapporto finale del<br />

tavolo di consultazione ed approfondimento tra il<br />

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e<br />

l’Associazione italiana tecnico economica del cemento<br />

(AITEC) relativo all’impiego di materie prime non<br />

tradizionali nella produzione del cemento, istituito<br />

con nota GAB/203/4939 dell’8 maggio 2003, aveva<br />

concluso i suoi lavori ritenendo che le ceneri di pirite<br />

[2] Per testo e commento si veda il n. 23/2004; per i legami con il settore estrattivo si veda M. Sertorio, Materiali da attività estrattiva:<br />

anche la CGE li esclude dai rifiuti, in <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong> n. 4/2005, pag. 89.<br />

101


RIFIUTI<br />

Documento<br />

costituiscono un materiale idoneo ai fini della sua<br />

utilizzazione quale materia prima secondaria per la<br />

produzione del cemento.<br />

Quanto sopra anche nella considerazione che risultano<br />

giacenti sull’intero territorio nazionale consistenti<br />

quantitativi di ceneri di pirite e che le stesse<br />

rappresentano, nei contenuti, i minerali costituenti il<br />

minerale «pirite» dal cui arrostimento esse derivano.<br />

Va ancora considerato che l’elemento caratterizzante,<br />

ai fini dell’utilizzo del materiale per la produzione<br />

del cemento, è rappresentato dall’ossido di ferro,<br />

contenuto come Fe2O3, mentre tutti gli altri componenti<br />

residuali derivano dai contenuti presenti nell’originario<br />

minerale e che gli stessi, nell’ambito del<br />

processo produttivo del cemento, non interagiscono<br />

tra loro e non danno pertanto luogo a composti inquinanti.<br />

In tale spirito, ed anche al fine di non provocare<br />

danno o limitazioni di competitività alle industrie<br />

nazionali del cemento rispetto a quelle di altri Paesi,<br />

anche appartenenti all’Unione europea, che utilizzano<br />

usualmente il detto materiale, si è proceduto all’emanazione<br />

del decreto interministeriale in oggetto avendo<br />

particolare cura nel fissarne i contenuti in ragione<br />

di una opportuna tutela dell’ambiente.<br />

102<br />

AMBIENTE<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

Nell’allegato al decreto interministeriale, pertanto,<br />

alla voce 13.18.bis, che classifica le ceneri di pirite<br />

come «polveri di ossidi di ferro fuori specifica», è<br />

presente il punto 13.18.bis.3 che definisce le caratteristiche<br />

delle materie prime e dei prodotti ottenuti<br />

dall’attività di recupero, nonché delle concentrazioni<br />

minime e massime delle varie componenti.<br />

In ragione di tutto quanto sopra, quindi, si conferma<br />

che le ceneri di pirite, o «polveri di ossidi di ferro<br />

fuori specifica», sono materie prime per l’industria<br />

del cemento e che i valori minimi e massimi indicati<br />

nell’allegato al decreto interministeriale 27 luglio<br />

2004 si intendono come «caratteristiche tipo» di riferimento<br />

e che, pertanto, gli stessi non vanno intesi o<br />

assunti come limiti inderogabili per la caratterizzazione<br />

del materiale nelle concentrazioni minime ma,<br />

viceversa, costituiscono limite inderogabile nelle concentrazioni<br />

massime.<br />

Per quanto attiene al contenuto in zolfo, si conferma<br />

che il limite massimo è del 6%; per quanto attiene<br />

al contenuto in arsenico, il valore massimo, prescritto<br />

inferiore a 0,09%, si assume conforme almeno fino al<br />

valore di 0,099%, in quanto la scala 0,09%, indicata<br />

nell’allegato in parola, ricomprende anche tutti i valori<br />

fino allo 0,099%. l<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


AMBIENTE<br />

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE<br />

a cura di Marco Fabrizio, avvocato in Roma<br />

EUROPA<br />

COMBUSTIBILI PER USO MARITTIMO<br />

Direttiva del Parlamento europeo<br />

e del Consiglio 6 luglio 2005,<br />

n. 2005/33/CE<br />

«Direttiva 2005/33/CE del Parlamento europeo<br />

e del Consiglio 6 luglio 2005 che<br />

modifica la direttiva 1999/32/CE in relazione<br />

al tenore di zolfo dei combustibili per uso<br />

marittimo» (G.U.C.E. L del 22 luglio 2005, n.<br />

191)<br />

La direttiva apporta alcune modifiche significative<br />

alla precedente disciplina di cui alla<br />

direttiva n. 1999/32/CE relativa al tenore di<br />

zolfo dei combustibili per uso marittimo,<br />

nella considerazione che «le emissioni da<br />

navi derivanti dall’utilizzo di combustibili<br />

per uso marittimo ad alto tenore di zolfo<br />

contribuiscono all’inquinamento atmosferico»<br />

e che, di conseguenza, «gli uomini e la<br />

natura nelle zone costiere e nelle vicinanze<br />

dei porti sono particolarmente colpiti dall’inquinamento<br />

causato dalle navi che utilizzano<br />

combustibili ad elevato tenore di<br />

zolfo» (IV° e V° considerando).<br />

Risulta, quindi, modificato l’art. 1, paragrafo<br />

2, della citata direttiva, prevedendosi un<br />

ampio campo di applicazione dei limiti al<br />

tenore di zolfo di questi combustibili, valida<br />

sia nelle acque territoriali, sia nella zona<br />

economica esclusiva o, anche, semplicemente<br />

nelle zone di controllo dell’inquinamento<br />

degli Stati membri, salvo eccezioni.<br />

Rileva, in tal senso, la definizione di «combustibile<br />

per uso marittimo» valida per<br />

«qualsiasi combustibile liquido derivato<br />

dal petrolio destinato all’uso o in uso a<br />

bordo di una nave, compresi i combustibili<br />

definiti nella norma ISO 8217». Le modifi­<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

LEGISLAZIONE<br />

In breve<br />

che apportate dal provvedimento in oggetto<br />

concernono, inoltre, il tenore massimo<br />

di zolfo ammissibile nell’olio combustibile<br />

pesante (nuovo art. 3, direttiva n.<br />

1999/32/CE), il tenore massimo di zolfo dei<br />

combustibili per uso marittimo utilizzati<br />

nelle zone di controllo delle emissioni di<br />

SOx e dalle navi passeggeri da o verso porti<br />

della Comunità (nuovo art. 4­bis), e il tenore<br />

massimo di zolfo dei combustibili per<br />

uso marittimo utilizzati dalle navi adibite<br />

alla navigazione interna e dalle navi all’ormeggio<br />

nei porti comunitari (nuovo art.<br />

4­ter, direttiva citata).<br />

Entro l’11 agosto 2006 gli Stati comunitari<br />

dovranno conformare le proprie disposizioni<br />

nazionali alla nuova disciplina.<br />

PROGETTAZIONE ECOCOMPATIBILE DI PRODOTTI<br />

CHE CONSUMANO ENERGIA<br />

Direttiva del Parlamento europeo<br />

e del Consiglio 6 luglio 2005,<br />

n. 2005/32/CE<br />

«Direttiva 2005/32/CE del Parlamento europeo<br />

e del Consiglio del 6 luglio 2005<br />

relativa all’istituzione di un quadro per l’elaborazione<br />

di specifiche per la progettazione<br />

ecocompatibile dei prodotti che consumano<br />

energia e recante modifica della direttiva 92/<br />

42/CEE del Consiglio e delle direttive 96/57/<br />

CE e 2000/55/CE del Parlamento europeo e<br />

del Consiglio» (G.U.C.E. L del 22 luglio 2005,<br />

n. 191)<br />

Si tratta di una nuova disciplina quadro per<br />

l’elaborazione di specifiche comunitarie<br />

per la progettazione ecocompatibile dei<br />

«prodotti che consumano energia», nell’intento<br />

di garantire la libera circolazione di<br />

questi prodotti nel mercato interno (art. 1,<br />

paragrafo 1) e nelle considerazioni che «ai<br />

prodotti che consumano energia è imputa­<br />

103


LEGISLAZIONE<br />

In breve<br />

bile una quota consistente dei consumi di<br />

risorse naturali e di energia» e che, soprattutto,<br />

«è necessario agire nella fase progettuale<br />

del prodotto che consuma energia,<br />

poiché è emerso che è in tale fase che si<br />

determina l’inquinamento provocato durante<br />

il ciclo di vita del prodotto» (II e V<br />

considerando).<br />

Rileva, in tal senso, l’ampia portata della<br />

definizione di «prodotto che consuma<br />

energia», da intendersi, in generale, quale<br />

un prodotto che, dopo l’immissione sul<br />

mercato e/o la messa in servizio, dipende<br />

da un input di energia (energia elettrica,<br />

combustibili fossili e energie rinnovabili)<br />

per funzionare secondo l’uso a cui è destinato,<br />

nonché il prodotto per la generazione,<br />

il trasferimento e la misurazione di questa<br />

energia (art. 2, paragrafo 1).<br />

Per perseguire le finalità della direttiva, gli<br />

Stati comunitari dovranno adottare tutte le<br />

opportune disposizioni affinché possano<br />

essere immessi sul mercato e/o messi in servizio<br />

soltanto prodotti conformi alle disposizioni<br />

in materia di marcatura CE previste<br />

(artt. 3 e 5, direttiva citata), con una presunzione<br />

di conformità qualora il prodotto<br />

abbia ricevuto questa marcatura (art. 9).<br />

Più in particolare, saranno considerati in<br />

regola con le disposizioni in materia di progettazione<br />

ecocompatibile, tutti i prodotti<br />

consumanti energia ai quali sia stato assegnato<br />

il marchio comunitario di qualità<br />

ecologica ex regolamento (CE) n. 1980/2000<br />

(art. 9, paragrafo 3).<br />

La Commissione europea dovrà tener conto<br />

di eventuali iniziative a favore delle PMI e<br />

delle microimprese, al fine di integrare alcuni<br />

aspetti ambientali, tra cui, espressamente,<br />

l’efficienza energetica, in sede di<br />

progettazione dei propri prodotti, mentre i<br />

fabbricanti dovranno far si che, a favore<br />

dei consumatori, siano fornite informazioni<br />

sull’uso sostenibile del prodotto, sul profilo<br />

ecologico del prodotto e sui vantaggi dell’ecoprogettazione<br />

(artt. 13 e 14).<br />

Il termine per il recepimento della nuova<br />

disciplina scadrà l’11 agosto 2007.<br />

104<br />

AMBIENTE<br />

ITALIA<br />

MANUFATTI E BENI OTTENUTI<br />

DA MATERIALE RICICLATO<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

Circolare del Ministero dell’<strong>Ambiente</strong><br />

e Tutela del territorio 15 luglio 2005,<br />

n. 5205<br />

«Indicazioni per l’operatività nel settore<br />

edile, stradale e ambientale, ai sensi del<br />

decreto ministeriale 8 maggio 2003, n. 203»<br />

(G.U. del 25 luglio 2005, n. 171)<br />

Si tratta di un importante documento esplicativo<br />

circa l’obbligo gravante a carico di enti<br />

pubblici e società a prevalente capitale pubblico<br />

(anche di gestione dei servizi), di garantire<br />

che i manufatti e i beni riciclati coprano<br />

almeno il 30% del proprio fabbisogno annuale<br />

(art. 1, D.M. 8 maggio 2003, n. 203). In<br />

particolare, la circolare fissa le condizioni per<br />

adempiere a questa prescrizione in riferimento<br />

all’utilizzo di rifiuti post­consumo da<br />

costruzione e demolizione, ascrivendo, in tal<br />

senso, nel Repertorio del riciclaggio, «l’aggregato<br />

riciclato risultante dal trattamento<br />

di rifiuti inorganici post­consumo derivanti<br />

dalla demolizione e dalla manutenzione, anche<br />

parziale di opere edili e infrastrutturali»<br />

nonché «il conglomerato bituminoso riciclato<br />

confezionato con rifiuti post­consumo derivanti<br />

dalla scarifica della sovrastruttura statale»<br />

(esempi inseriti nella circolare a titolo<br />

esemplificativo e non esaustivo).<br />

Per l’effetto, la circolare fissa il limite in peso<br />

imposto dalla tecnologia (invero assente e,<br />

dunque, con un ampio range di riciclo dei<br />

rifiuti inerti, da un minimo del 60%, fino al<br />

100% dell’opera, abbassato al 20% di rifiuto<br />

inerte nel caso di rifiuto proveniente da scarifica),<br />

le categorie di prodotti e di aggregato<br />

riciclato ammissibili all’iscrizione nel Repertorio,<br />

indicando, inoltre, le relative metodologie<br />

di calcolo, da considerare per verificare il<br />

rispetto della percentuale minima di materiali<br />

riciclati rispetto al fabbisogno annuale. Sono<br />

fissati anche il momento in cui si determina<br />

l’obbligo di copertura, i criteri per deter­<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


minare la congruità del prezzo del materiale<br />

e le modalità per ottenere l’iscrizione di un<br />

“prodotto” nel repertorio del riciclaggio.<br />

CONTRIBUTO ANNUALE<br />

PER L’AUTORITÀ PER L’ENERGIA ELETTRICA E IL GAS<br />

Decreto del Ministero dell’Economia<br />

e delle Finanze 21 luglio 2005<br />

«Contributo di funzionamento dell’Autorità<br />

per l’energia e elettrica e il gas da<br />

versare entro il 30 luglio 2005» (G.U. del 25<br />

luglio 2005, n. 171)<br />

Il decreto conferma nella misura dello 0,3 per<br />

mille dei ricavi conseguiti nell’esercizio del<br />

2004, l’entità del contributo annuale ex art.<br />

2, comma 38, lettera b), legge n. 481/1995,<br />

dovuto a favore dell’Autorità per l’energia e<br />

elettrica e il gas dai soggetti esercenti il servizio<br />

di pubblica utilità nel settore dell’energia<br />

elettrica e il gas. Il versamento, da effettuare<br />

entro il 31 luglio 2005, deve avvenire secondo<br />

le modalità previste dall’Autorità.<br />

RIFIUTI E FANGHI DI DRAGAGGIO<br />

Ordinanza del Presidente del Consiglio<br />

dei Ministri 15 luglio 2005, n. 3449<br />

«Disposizioni urgenti di protezione civile»<br />

(G.U. del 22 luglio 2005, n. 169)<br />

Nell’ambito del provvedimento omnibus,<br />

concernenti aspetti vari di protezione civile ­<br />

da emergenze idrogeologiche alla recente<br />

emergenza terrorismo ­ si segnala, a valenza<br />

ambientale, quanto previsto dagli artt. 2 e 9.<br />

La prima disposizione interviene nell’emergenza<br />

nel settore dello smaltimento dei rifiuti<br />

in corso nella regione Campania, tra l’altro<br />

potenziando i poteri già previsti a favore del<br />

Commissario delegato per il superamento<br />

dell’emergenza medesima, che, ora, potrà<br />

anche adottare determinazioni in deroga a<br />

buona parte della disciplina prevista dal<br />

D.Lgs. n. 42/2004, «Codice dei beni culturali e<br />

del paesaggio», in particolare in ordine al<br />

regime di immodificabilità dei beni e aree<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

AMBIENTE<br />

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LEGISLAZIONE<br />

In breve<br />

vincolati e alle relative disposizioni contenute<br />

nei piani paesaggistici. L’art. 9 dell’ordinanza<br />

interviene, invece, a propria volta, su<br />

una delicata questione in corso nell’area portuale<br />

di Trapani circa i livelli di contaminazione<br />

di alcuni fanghi di dragaggio estratti, sostanzialmente<br />

autorizzando il Dipartimento<br />

della protezione civile della Presidenza del<br />

Consiglio dei Ministri a ricorrere ad affidamento<br />

diretto per assegnare l’incarico di caratterizzazione<br />

del materiale.<br />

CONTROLLI PER IL TRASPORTO SU STRADA<br />

DI MERCI PERICOLOSE<br />

Decreto del Ministero<br />

delle Infrastrutture e dei Trasporti<br />

6 maggio 2005<br />

«Recepimento della direttiva 2004/112/<br />

CE della Commissione del 13 dicembre<br />

2004, che adegua al progresso tecnico la direttiva<br />

95/50/CE del Consiglio, sull’adozione<br />

di procedure uniformi in materia di controllo<br />

dei trasporti su strada di merci pericolose»<br />

(G.U. del 20 luglio 2005, n. 167)<br />

Il decreto concerne il recepimento della direttiva<br />

della Commissione 13 dicembre 2004,<br />

n. 2004/112/CE, concernente l’adeguamento<br />

al progresso tecnico della direttiva del Consiglio<br />

n. 95/50/CE, sull’adozione di procedure<br />

uniformi in materia di controllo dei trasporti<br />

su strada di merci pericolose, modificando gli<br />

Allegati I, II e III al D.M. 3 marzo 1997 recante<br />

la precedente disciplina in materia. In particolare,<br />

i tre allegati riguardano il prospetto<br />

riepilogativo (Allegato I) dei controlli che devono<br />

essere svolti in materia di trasporto su<br />

strada di merci pericolose (per esempio, documenti<br />

di bordo, generalità del trasporto,<br />

operazioni di trasporto svolte ­ classi ADR e<br />

tipi di merci trasportate ­ nonché equipaggiamenti<br />

di bordo), le tipologie varie di infrazioni<br />

configurabili (Allegato II) e il modello di<br />

formulario normalizzato per la stesura della<br />

relazione destinata alla Commissione e relativa<br />

alle infrazioni rilevate e relative sanzioni<br />

(Allegato III). l<br />

105


GIURISPRUDENZA<br />

Massime<br />

AMBIENTE<br />

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA<br />

a cura di Vincenzo Paone, Procura della Repubblica di Asti<br />

106<br />

NOZIONE DI RIFIUTO<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 8 giugno 2004)<br />

2 agosto 2004, n. 33205,<br />

Pres. Postiglione, Rel. Gentile<br />

Il siero che residua dall’attività di lavorazione del<br />

latte costituisce un rifiuto e non un sottoprodotto<br />

liberamente commerciabile nel settore degli alimenti<br />

per allevamenti zootecnici secondo la normativa<br />

giuridica attinente al mercato de quo<br />

(nella fattispecie al rappresentante legale di un<br />

caseificio è stato contestato il reato di cui all’art.<br />

51, comma 1, D.Lgs. n. 22/1997 perché faceva<br />

commercio del siero vendendolo ad aziende agricole<br />

quale alimento per suini).<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 21 settembre 2004)<br />

11 novembre 2004, n. 43946,<br />

Pres. Postiglione, Rel. Grillo<br />

La riutilizzazione come concime agricolo del cosiddetto<br />

“pastazzo” di agrumi, composto da buccia e<br />

polpa di agrumi residuati dalla loro lavorazione,<br />

non esclude lo stesso dal regime dei rifiuti, atteso<br />

che sotto il profilo oggettivo rientra tra i residui di<br />

produzione e sotto il profilo soggettivo la destinazione<br />

ad operazioni di smaltimento e di recupero<br />

rientra nell’ipotesi nella quale il detentore del rifiuto<br />

abbia deciso di disfarsi dello stesso in quanto tra<br />

le operazioni di recupero indicate nell’Allegato C,<br />

D.Lgs. n. 22/1997 è compresa quella di spandimento<br />

sul suolo a beneficio dell’agricoltura (R10).<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 5 ottobre 2004)<br />

26 novembre 2004, n. 45779,<br />

Pres. Papadia, Rel. Sarno<br />

Rassegna giurisprudenziale delle principali sentenze del 2004­2005<br />

emesse dalla Cassazione in materia di rifiuti<br />

1 a parte<br />

In tema di interpretazione autentica della nozione<br />

di rifiuto (art. 14, legge n. 178/2002), vanno<br />

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considerati rifiuti i materiali ferrosi provenienti<br />

da attività di demolizione in quanto devono essere<br />

sottoposti ad ulteriori selezioni e lavorazioni<br />

quali la fusione ad opera di diverso operatore<br />

prima del suo utilizzo finale. Né può assumere<br />

rilievo discriminante la circostanza che il rifiuto<br />

conservi un valore di uso o di scambio; che permanga<br />

la possibilità di reimpiego presso diverso<br />

utente; che il trattamento dei rifiuti avvenga ad<br />

opera di soggetto diverso da colui al quale il materiale<br />

dimesso è stato inizialmente consegnato<br />

(fattispecie relativa a sequestro preventivo di un<br />

motocarro utilizzato per il trasporto di materiale<br />

ferroso rispetto al quale l’indagato, per negare la<br />

natura di rifiuto, asseriva che egli vendeva beni<br />

economicamente valutabili a società che, a sua<br />

volta, commercializzava tali prodotti).<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 12 ottobre 2004)<br />

1° dicembre 2004, n. 46680,<br />

Pres. Papadia, Rel. Gentile<br />

I residui delle atttività di demolizioni edili costituiscono<br />

rifiuti speciali ex art. 7, D.Lgs. n. 22/1997 salvo<br />

non sia provato che essi sono destinati ad essere<br />

riutilizzati, secondo quanto previsto dall’art. 14, legge<br />

n. 178/2002 e cioè risulti certa: a) l’individuazione<br />

del produttore e/o detentore dei materiali; b) la<br />

provenienza degli stessi; c) la sede ove sono destinati;<br />

d) il loro riutilizzo in un ulteriore ciclo produttivo.<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 27 ottobre 2004)<br />

25 novembre 2004, n. 45582,<br />

Pres. Dell’Anno, Rel. Grillo<br />

L’attività consistente nella “selezione, taglio, imballaggio<br />

e vendita di indumenti usati” non è<br />

penalmente rilevante perché ricorre l’eccezione<br />

prevista dal comma 2, lett. b) dell’art. 14, legge n.<br />

178/2002, in quanto, pur volendo ravvisare la volontà<br />

dei precedenti proprietari di disfarsi degli<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


indumenti, invece che quella di cederli magari<br />

anche a titolo oneroso, quantunque “usati”, non<br />

può in alcun modo contestarsi la loro riutilizzazione,<br />

in diverso ciclo produttivo o di consumo,<br />

dopo un trattamento preventivo (selezione, taglio,<br />

imballaggio, ecc.), senza la necessità di alcuna<br />

operazione di recupero tra quelle individuate<br />

nell’Allegato C, D.Lgs. n. 22/1997.<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 19 gennaio 2005)<br />

9 febbraio 2005, n. 4702,<br />

Pres. Savignano, Rel. Onorato<br />

I pneumatici usati dei quali il detentore si disfa o<br />

che vende a terzi perché siano riutilizzati previa<br />

rigeneratura o ricopertura non rientrano nella<br />

deroga alla nozione di rifiuto di cui all’art. 14,<br />

legge n. 78/2002, atteso che i pneumatici sono in<br />

questo caso destinati ad una operazione di recupero<br />

quale individuata dalla lettera R5 dell’Allegato<br />

C del decreto n. 22/1997, circostanza che<br />

esclude l’applicabilità della citata normativa.<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 10 febbraio 2005)<br />

8 marzo 2005, n. 8890,<br />

Pres. Vitalone, Rel. Petti<br />

L’esclusione delle materie fecali (nella specie provenienti<br />

da un alpeggio di bovini in una malga)<br />

dalla disciplina di cui al D.Lgs. n. 22/1997, prevista<br />

dall’art. 8, lett. c), opera a condizione che le stesse<br />

provengano da attività agricola e che siano riutilizzate<br />

nella stessa attività agricola.<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 10 febbraio 2005)<br />

15 marzo 2005, n. 9503,<br />

Pres. Vitalone, Rel. Grillo<br />

Nel caso di accumulo in un piazzale, da parte di<br />

impresa esercente attività di produzione di conglomerato<br />

bituminoso per la realizzazione di<br />

manti stradali, di materiali inerti forniti da altre<br />

ditte, nonché di materiale proveniente da rifacimenti/demolizioni<br />

di strade da parte della stessa<br />

ditta, triturato nel luogo di prelievo e poi trasportato<br />

presso il proprio piazzale, non si ha stoccaggio<br />

di rifiuti perché il detentore non solo non si<br />

disfa dei predetti materiali, ma neppure ne ha<br />

l’intenzione, mantenendo gli stessi un valore economico,<br />

pur se probabilmente modesto.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

AMBIENTE<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 22 febbraio 2005)<br />

22 marzo 2005, n. 11127,<br />

Pres. Vitalone, Rel. Grillo<br />

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GIURISPRUDENZA<br />

Massime<br />

L’attività di recupero di rifiuti speciali, costituiti<br />

da materiale proveniente da demolizioni edilizie,<br />

mediante il loro impiego nella realizzazione<br />

del sottofondo di un piazzale, adibito a parcheggio<br />

di autovetture, ove effettuata in assenza<br />

delle prescritte comunicazioni, integra il reato<br />

di cui all’art. 51, comma 1, D.Lgs. n. 22/1997<br />

(nella fattispecie si è accertato che gli inerti, impiegati<br />

nell’operazione di riempimento del terreno,<br />

erano composti da “materiale eterogeneo<br />

non avente caratteristiche oggettive tali da indurre<br />

a ritenerlo immediatamente riutilizzabile”<br />

senza preventivo trattamento e senza pericolo<br />

per l’ambiente).<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 4 marzo 2005)<br />

13 maggio 2005, n. 17836,<br />

Pres. Zumbo, Rel. Onorato<br />

La volontà o l’obbligo di disfarsi di un materiale<br />

costituisce quest’ultimo come rifiuto secondo il<br />

diritto comunitario, sicché il legislatore nazionale<br />

non può controqualificarlo coma materia prima<br />

solo sulla base di una attuale o potenziale riutilizzazione.<br />

L’art. 14, legge n. 78/2002, benché abbia ristretto<br />

la nozione di rifiuto dettata dall’art. 1 della<br />

direttiva europea 75/442, è vincolante per il giudice<br />

nazionale che non può disapplicarlo, giacché<br />

detta direttiva non è self executing, avendo<br />

necessità di essere (fedelmente) recepita dagli<br />

ordinamenti nazionali per diventare efficace<br />

verso questi ultimi. Il giudice nazionale può soltanto<br />

sollevare questione di legittimità costituzionale<br />

della norma interna confliggente con il<br />

diritto comunitario per contrasto con gli artt. 11<br />

e 117 Cost.<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 19 aprile 2005)<br />

17 maggio 2005, n. 18229,<br />

Pres. Zumbo, Rel. Franco<br />

La riutilizzazione nel ciclo produttivo della sansa<br />

residuata dalla lavorazione delle olive senza alcun<br />

intervento preventivo di trattamento esclude<br />

la natura di rifiuto della stessa.<br />

107


108<br />

GIURISPRUDENZA<br />

Massime<br />

GESTIONE DEI RIFIUTI<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 1° dicembre 2004)<br />

25 gennaio 2005, n. 1989,<br />

Pres. Papadia, Rel. Postiglione<br />

Anche una sola operazione di smaltimento di rifiuti,<br />

tramite incenerimento sul terreno di materiale<br />

plastico, integra il reato di cui all’art. 51,<br />

comma 1: a) perché i reati previsti in tale articolo<br />

sono riferibili a “chiunque”, salva l’ipotesi di cui<br />

al comma 2 che fa riferimento ai titolari di imprese<br />

ed ai responsabili di enti”; b) perché il titolo è<br />

necessariamente onnicomprensivo riferendosi ad<br />

“attività di gestione di rifiuti non autorizzata”,<br />

laddove il testo specifica successivamente la gamma<br />

dinamica delle attività del ciclo dei rifiuti, ricomprendendo,<br />

anche separatamente, la raccolta,<br />

il trasporto, il recupero, lo smaltimento, il<br />

commercio e l’intermediazione e la necessità del<br />

controllo preventivo della P.A., tramite una specifica<br />

ed espressa autorizzazione; c) perché anche<br />

una singola operazione può cagionare pericolo<br />

per la salute e l’ambiente (ex art. 2, comma 2); d)<br />

perché la legge citata mira ad assicurare la responsabilizzazione<br />

e cooperazione di tutti i soggetti<br />

coinvolti nella produzione, utilizzo e consumo<br />

dei beni da cui originano i rifiuti (art. 2, comma<br />

3) , e non solo dei soggetti titolari di imprese<br />

ed enti; e) perché nelle operazioni di smaltimento<br />

dei rifiuti rientra anche “l’incenerimento a terra”<br />

(art. 6, comma 1, lett. g) in relazione all’Allegato<br />

B, D.Lgs. n. 22/1997, punto D.10).<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 11 gennaio 2005)<br />

31 gennaio 2005, n. 2950,<br />

Pres. Papadia, Rel. Vitalone<br />

Il concetto di gestione del rifiuto di cui all’art. 51,<br />

D.Lgs. n. 22/1997 non va inteso in senso imprenditoriale,<br />

ovvero come esercizio professionale dell’attività<br />

tipicizzata, ma in senso ampio, comprensivo<br />

di qualsiasi contributo, sia attivo che passivo,<br />

diretto a realizzare una attività di raccolta, trasporto,<br />

recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione<br />

del rifiuto.<br />

RACCOLTA E TRASPORTO<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 24 giugno 2004)<br />

3 agosto 2004, n. 33281,<br />

Pres. Savignano, Rel. Novarese<br />

AMBIENTE<br />

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A seguito della condanna per il reato di trasporto<br />

di rifiuti in difetto di autorizzazione, non è applicabile<br />

la confisca dei mezzi di trasporto appartenenti<br />

a terzi estranei al reato a condizione che nei<br />

loro confronti non si individui la violazione di obblighi<br />

di diligenza da cui sia derivata la possibilità<br />

dell’uso illecito della cosa e a condizione che non<br />

esistano collegamenti, diretti o indiretti, ancorché<br />

non punibili, con la consumazione del reato.<br />

LA DISCARICA<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 2 luglio 2004 )<br />

29 settembre 2004, n. 38318,<br />

Pres. Papadia, Rel. Lombardi<br />

Il reato di realizzazione di discarica abusiva è integrato<br />

dall’allestimento di un’area con l’effettuazione<br />

di opere, quali spianamento del terreno,<br />

apertura di accessi, sistemazione, perimetrazione<br />

o recinzione; è configurabile il reato di gestione di<br />

discarica abusiva allorché sussiste una organizzazione,<br />

anche se rudimentale, di persone e cose<br />

diretta al funzionamento della medesima, né assume<br />

rilevanza che il quantitativo di rifiuti presenti<br />

in loco non risulti di particolare entità.<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 12 luglio 2004)<br />

29 settembre 2004, n. 38322,<br />

Pres. Vitalone, Rel. Piccialli<br />

Il rinvenimento su un’area di rifiuti di vario genere<br />

(tra i quali materiali derivanti da demolizioni<br />

edilizie) nonché la presenza di una vera e propria<br />

stabile organizzazione di uomini e mezzi concretano<br />

gli estremi oggettivi del reato di cui all’artt.<br />

51, comma 3 e non quelli di un semplice episodico<br />

deposito incontrollato o abbandono di rifiuti<br />

(nella specie era infatti da escludere la possibilità<br />

di una riutilizzazione immediata, senza trattamenti<br />

o procedimenti di separazione, degli eterogenei<br />

materiali inerti giacenti nel sito, per la loro<br />

intima commistione, la sistematicità della raccolta<br />

e del deposito dei rifiuti, di varia provenienza).<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 12 luglio 2004)<br />

8 settembre 2004, n. 36062,<br />

Pres. Vitalone, Rel. Lombardi<br />

I materiali provenienti da demolizioni edilizie costituiscono<br />

rifiuti speciali e pertanto la destinazio­<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


ne di una determinata area a centro di raccolta di<br />

tali rifiuti, cui faccia seguito una condotta ripetuta<br />

nel tempo, attraverso la quale si verifica lo<br />

scarico di rifiuti di tale natura nella stessa zona,<br />

configura la realizzazione e gestione di una discarica,<br />

per la quale occorre la prescritta autorizzazione<br />

pur in assenza di una particolare organizzazione<br />

di persone e mezzi, che per la loro natura,<br />

gli indicati rifiuti non rendono necessaria. Né il<br />

reato prevede quale elemento costitutivo l’esistenza<br />

di un fine di lucro o comunque di un guadagno<br />

da parte di colui che realizza o gestisce la<br />

discarica abusiva (nella fattispecie, per il rilevante<br />

quantitativo di rifiuti accumulati abusivamente<br />

[stimato in circa 3.000 mc] con il conseguente<br />

accertamento dell’alterazione permanente dello<br />

stato dei luoghi, ricorreva anche il requisito del<br />

degrado dell’area adibita a discarica).<br />

Ricorre la responsabilità del proprietario di<br />

un’area in ordine al reato di cui all’art. 51, comma<br />

3, anche se l’abbandono dei rifiuti sul terreno sia<br />

avvenuto a sua insaputa ad opera di terzi in considerazione<br />

del fatto che il proprietario non ha<br />

mai denunciato l’effrazione del lucchetto o della<br />

sbarra che aveva apposto per impedire l’accesso<br />

di estranei nell’area di sua proprietà.<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 28 settembre 2004)<br />

11 novembre 2004, n. 43955,<br />

Pres. Postiglione, Rel. Mancini<br />

A giustificare la realizzazione di una discarica<br />

abusiva di materiale risultante da operazioni di<br />

scavo (nella fattispecie una vastissima area, di oltre<br />

15 mila metri quadrati, su cui sono stati abbandonati<br />

terre e rocce escavate frammiste a materiale<br />

ligneo, cemento e bitume) non si può addurre<br />

la circostanza della risoluzione di un contratto<br />

di appalto trattandosi di materia ­ quella<br />

dello smaltimento dei rifiuti ­ che attiene a rilevanti<br />

interessi pubblicistici e che non può dunque<br />

essere subordinata all’alea ed all‘attesa della risoluzione,<br />

in un senso o nell’altro, di questioni meramente<br />

privatistiche. Neppure può rilevare la<br />

condotta asseritamene omissiva del Comune (per<br />

non avere proceduto alla rimozione dei rifiuti) in<br />

quanto per legge l’obbligazione che grava sul<br />

proprietario del terreno è di carattere solidale:<br />

dal che scaturisce che l’obbligazione dell’autore<br />

dei lavori rimane in ogni caso intatta come intatta<br />

è la sua responsabilità per l’inosservanza della<br />

stessa. Infine, il fatto che il soggetto proprietario<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

AMBIENTE<br />

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GIURISPRUDENZA<br />

Massime<br />

del terreno, su cui altri abbia illegalmente formato<br />

il deposito di rifiuti, sia abilitato a rimuovere il<br />

deposito stesso non può costituire una sorta di<br />

causa di esenzione da responsabilità per l’autore<br />

dell’illecito.<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 5 ottobre 2004)<br />

27 ottobre 2004, n. 41775,<br />

Pres. Papadia, Rel. Teresi<br />

L’attività di custodia di autoveicoli e motoveicoli in<br />

sequestro non configura attività di realizzazione e<br />

gestione di discarica, in quanto detti beni non sono<br />

destinati all’abbandono, sempre che non si abbia<br />

disordinato spargimento sul terreno di carcasse di<br />

autoveicoli in pessime condizioni, di pneumatici ed<br />

altro materiale carbonizzato, e conseguente trasformazione<br />

dei veicoli sequestrati in rifiuti inquinanti<br />

destinati in via obiettiva all’abbandono, tale<br />

da costituire una discarica con una situazione di<br />

assoluto degrado ambientale dell’area.<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 7 ottobre 2004)<br />

16 novembre 2004, n. 44426,<br />

Pres. Zumbo, Rel. Squassoni<br />

Con la sentenza di condanna, o di applicazione<br />

concordata della pena, per il reato di realizzazione<br />

o gestione di discarica abusiva, va disposta<br />

la confisca dell’area sulla quale la discarica<br />

insisteva anche nel caso in cui la stessa appartenga<br />

ad una società, atteso che quando l’attività<br />

illecita è posta in essere attraverso i propri<br />

organi rappresentativi, mentre a costoro sono<br />

addebitabili le responsabilità per i singoli reati,<br />

le conseguenze patrimoniali ricadono sull’ente<br />

esponenziale in nome e per conto del quale gli<br />

organi hanno agito, salvo che si dimostri che<br />

l’imputato abbia agito di propria esclusiva iniziativa.<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 25 novembre 2004)<br />

16 gennaio 2005, n. 859,<br />

Pres. Postiglione, Rel. Petti<br />

Il sindaco che realizzi e gestisca una discarica comunale<br />

per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani,<br />

senza essere in possesso della prescritta autorizzazione,<br />

è responsabile del reato di cui all’art.<br />

51, comma 3, e la sua condotta non può conside­<br />

109


GIURISPRUDENZA<br />

Massime<br />

rarsi giustificata né in base agli artt. 12, D.P.R. n.<br />

915/1982 e 13, D.Lgs. n. 22/1997 (infatti, l’ordinanza<br />

ex art. 12 fu adottata non per risolvere una<br />

situazione emergenziale, ma per la normale gestione<br />

dei rifiuti nell’attesa della costruzione ed<br />

approvazione della discarica consorziale) né in<br />

base ad una situazione di forza maggiore (infatti,<br />

in attesa della costruzione di tale discarica, i rifiuti<br />

potevano essere smaltiti in altra discarica autorizzata<br />

eventualmente anche nel circondario di altro<br />

comune).<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 14 gennaio 2005)<br />

10 febbraio 2005, n. 4883,<br />

Pres. Zumbo, Rel. Teresi<br />

Se un Comune è autorizzato alla gestione di<br />

una discarica di seconda categoria tipo A nella<br />

quale possono essere conferiti solo rifiuti inerti,<br />

non è consentito il conferimento nell’impianto<br />

dei fanghi di dragaggio sia perché non compresi<br />

tra gli inerti specificati nella deliberazione del<br />

Comitato Interministeriale 27/7/1984, tuttora in<br />

vigore, sia perché l’autorizzazione della discarica<br />

prevedeva espressamente solo lo stoccaggio<br />

di inerti.<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 9 febbraio 2005)<br />

1° aprile 2005, n. 12349,<br />

Pres. Savignano, Rel. Petti<br />

Il gestore di una discarica autorizzata per i soli<br />

rifiuti della tipologia 2/a (più precisamente “cemento,<br />

mattoni, mattonelle, ceramica, materiali<br />

da costruzione a base di gesso”) non può smaltire<br />

anche altri rifiuti come residui legnosi, ferrosi,<br />

plastici, vegetali freschi, imballaggi cartacei, nonché<br />

vecchi elettrodomestici quali lavatrici, frigoriferi.<br />

Il fatto configura gli estremi del reato di cui al<br />

comma 3 dell’art. 51 e non quelli di cui al comma<br />

3 del medesimo articolo: infatti, questa disposizione<br />

trova applicazione nel caso in cui il trasgressore<br />

si muova nell’ambito della tipologia di rifiuto<br />

per la quale è autorizzato, mentre il trattamento<br />

di un rifiuto diverso da quello autorizzato<br />

equivale a trattamento di rifiuto senza autorizzazione.<br />

Tuttavia, l’agente risponde della contravvenzione<br />

di cui all’art. 51, comma 3 sempreché per i rifiuti<br />

non autorizzati sia configurabile l’esistenza di<br />

110<br />

AMBIENTE<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

una discarica ossia sempreché si tratti di abbandono<br />

definitivo e comunque per un tempo considerevole<br />

non inferiore all’anno di una notevole<br />

quantità di rifiuti, a nulla rilevando la circostanza<br />

che quel sito fosse comunque noto alla pubblica<br />

amministrazione.<br />

Premesso che la confisca dell’area ove sorge la<br />

discarica abusiva si può disporre solo se di proprietà<br />

dell’autore del reato o di un compartecipe,<br />

l’appartenenza dell’area all’autore del reato o a<br />

un compartecipe costituisce un presupposto per<br />

l’applicabilità della confisca stessa e deve pertanto<br />

essere provata dall’accusa (nella fattispecie, la<br />

sentenza di merito si era limitata ad affermare<br />

che il bene non risultava di proprietà del terzo<br />

senza tuttavia accertare l’appartenenza in favore<br />

del reo).<br />

Cassazione penale, sez. III,<br />

(ud. 22 febbraio 2005)<br />

22 marzo 2005, n. 11139,<br />

Pres. Vitalone, Rel. Petti<br />

Il reato di realizzazione e gestione di una discarica<br />

abusiva ha natura permanente e la permanenza<br />

cessa o con il conseguimento dell’autorizzazione<br />

o comunque con la cessazione dell’attività,<br />

la quale si può verificare anche a seguito di sequestro.<br />

Ancor prima del decreto legislativo n. 36/2003,<br />

che ha dato la definizione di discarica, si considerava<br />

tale sia in base all’art. 25, D.P.R. n. 915/<br />

1982 che in base all’art. 51, comma 3 del decreto<br />

Ronchi, l’area nella quale i rifiuti, con una<br />

condotta ripetuta, venivano abbandonati in<br />

maniera da trasformare di fatto quel suolo in<br />

un ricettacolo di immondizie. Perciò, uno stoccaggio<br />

provvisorio di rifiuti destinati allo smaltimento<br />

non poteva durare a tempo indeterminato<br />

altrimenti si trasformava in vera e propria<br />

discarica essendo il concetto di stoccaggio provvisorio<br />

incompatibile con una giacenza protratta<br />

nel tempo senza un programma di smaltimento.<br />

Il decreto legislativo dianzi citato, fissando il termine<br />

massimo di un anno per lo stoccaggio finalizzato<br />

allo smaltimento, ha in definitiva reso<br />

esplicito ciò che prima si desumeva a livello interpretativo<br />

(nella fattispecie, numerosi rifiuti giacevano<br />

da oltre dieci anni e comunque per un arco<br />

temporale assolutamente incompatibile con il<br />

concetto di stoccaggio provvisorio finalizzato allo<br />

smaltimento). l<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


LOMBARDIA: LOTTA ALLE NEOPLASIE<br />

DEI LAVORATORI ADDETTI ALL’ASFALTATURA<br />

Articolo.....................................................................................................pag. 112<br />

PIEMONTE: OBBLIGATORIA LA REDAZIONE<br />

DELLA DOCUMENTAZIONE SUL CLIMA ACUSTICO<br />

Articolo.................................................................................................... pag. 115<br />

SULLA GESTIONE DEGLI IMBALLAGGI<br />

ACCORDO COMIECO-PROVINCIA DI TORINO<br />

Nota e testo..............................................................................................pag. 118<br />

RASSEGNA DI DELIBERE<br />

E LEGGI REGIONALI LUGLIO 2005<br />

Sintesi........................................................................................................pag. 120


DALLE REGIONI<br />

IGIENE DEL LAVORO<br />

Articolo<br />

È necessario l’utilizzo di opportuni sistemi di aspirazione o di diluizione degli IPA nell’aria attraverso la ventilazione forzata<br />

Al via un progetto della Regione Lombardia<br />

per la protezione degli asfaltatori<br />

di Maria Luisa Felici, geologo e giornalista scientifico<br />

L’analisi degli effetti nocivi<br />

sull’organismo umano derivanti<br />

dalla inalazione e dal contatto<br />

con gli Idrocarburi Policiclici<br />

Aromatici a cui sono esposti<br />

i lavoratori impiegati nei processi<br />

di asfaltatura di strade,<br />

marciapiedi ecc., è l’oggetto<br />

di uno studio effettuato<br />

dalla Regione Lombardia<br />

in collaborazione con il<br />

Dipartimento di Medicina<br />

del Lavoro, la Scuola<br />

di Specializzazione dell’Università<br />

di Milano, le ASL di Lodi<br />

e Milano, i Servizi PSAL, l’INAIL<br />

con la ConTARP e l’ASLE. In<br />

questo Progetto Prevenzione<br />

dei Tumori Professionali è stato<br />

individuato un gruppo<br />

di lavoratori impegnato in opere<br />

di asfaltatura e uno di addetti<br />

ad altri lavori stradali; ogni<br />

individuo è stato sottoposto<br />

a indagini di monitoraggio<br />

ambientale e biologico. Messi<br />

a confronto i risultati delle due<br />

indagini tra loro e con quelli<br />

provenienti da misurazioni<br />

effettuate in aree metropolitane<br />

è stato evidenziato che i valori,<br />

rilevati in condizioni standard,<br />

non sono molto diversi tra loro.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

Il mondo scientifico è sempre<br />

più attento verso quei processi<br />

lavorativi industriali in cui<br />

l’inalazione e/o l’assorbimento<br />

per via cutanea di specifiche sostanze<br />

possono fornire un contributo<br />

all’aumento del rischio di<br />

sviluppo di neoplasie nei lavoratori.<br />

La Regione Lombardia, in collaborazione<br />

con il Dipartimento di<br />

Medicina del Lavoro e la Scuola<br />

di Specializzazione dell’Università<br />

di Milano, le Aziende Sanitarie<br />

Locali di Lodi e Milano con i Servizi<br />

PSAL dei Dipartimenti di<br />

Prevenzione, l’INAIL Direzione<br />

regionale Lombardia con la Con-<br />

TARP (Consulenza Tecnica Accertamento<br />

Rischi e Prevenzione)<br />

e l’Associazione per la <strong>Sicurezza</strong><br />

dei Lavoratori dell’Edilizia<br />

(ASLE-RLST) ha promosso lo<br />

studio PPTP-POPA (Progetto Prevenzione<br />

dei Tumori Professionali<br />

- Progetto Operativo Protezione<br />

Asfaltatori), una ricerca degli<br />

eventuali effetti nocivi sull’organismo<br />

umano da parte degli Idrocarburi<br />

Policiclici Aromatici<br />

(IPA), in particolare, l’esposizione<br />

per via aerea e per via cutanea<br />

degli operatori nel corso dei lavori<br />

di asfaltatura di strade, marciapiedi<br />

ecc.<br />

In base alle disposizioni specifiche<br />

contenute nel titolo VII,<br />

«Protezione da agenti cancerogeni<br />

e mutageni», e nel titolo VIIbis,«Protezione<br />

da agenti chimici»,<br />

decreto legislativo n. 626/1994, le<br />

operazioni di asfaltatura prevedono<br />

l’utilizzo di sostanze o preparati<br />

attualmente non classificati<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

come cancerogeni o pericolosi per<br />

l’organismo umano. Ciò nonostante,<br />

gli addetti possono venire<br />

a contatto con gli IPA che si sprigionano<br />

durante le lavorazioni; alcuni<br />

di essi, riconosciuti come<br />

cancerogeni o pericolosi, sono<br />

presenti sia nelle materie prime<br />

(asfalto, emulsione bituminosa)<br />

sia nei fumi di scarico provenienti<br />

dai mezzi d’opera.<br />

Per misurare la possibile esposizione<br />

dei lavoratori, lo studio ha<br />

scelto un gruppo di addetti alle<br />

opere di asfaltatura e un gruppo di<br />

addetti ad altri lavori stradali,<br />

coinvolgendo complessivamente<br />

22 aziende operanti nella provincia<br />

di Lodi e nel Comune di Milano,<br />

100 operai appartenenti al primo<br />

gruppo e 22 al secondo.<br />

Ogni soggetto è stato sottoposto<br />

a indagini di monitoraggio ambientale<br />

e biologico. I dati ottenuti<br />

sono stati poi confrontati sia tra i<br />

due gruppi di addetti sia con i<br />

valori riscontrabili in aree metropolitane.<br />

I risultati delle determinazioni<br />

mostrano che i livelli ambientali<br />

misurati non sono molto diversi<br />

delle concentrazioni ambientali di<br />

fondo misurabili in aree metropolitane<br />

e sono in media inferiori ai<br />

valori proposti in via cautelativa<br />

da associazioni ed enti scientifici<br />

internazionali. Anche una analisi<br />

per mansione non mostra significative<br />

differenze tra gli addetti alla<br />

produzione, alla vibrofinitrice,<br />

al rullo, gli autisti e agli asfaltatori<br />

manuali (si veda la tabella 2).<br />

Complessivamente, i risultati dei<br />

due progetti non indicano signifi-<br />

113


IGIENE DEL LAVORO<br />

Articolo<br />

catività nel rischio per la salute<br />

correlato all’esposizione a IPA.<br />

Lo studio, però, sottolinea che<br />

le misurazioni sono state condotte<br />

su lavoratori che operavano all’aperto<br />

in condizioni standard,<br />

ovvero con alta pressione, umidità<br />

relativa intorno al 50%, bava di<br />

vento a direzione variabile ecc.<br />

Pertanto, non si può escludere che<br />

in diverse condizioni di lavoro,<br />

come, per esempio, in ambiente<br />

chiuso, tipico delle gallerie, o interrato,<br />

l’accumulo di IPA possa<br />

comportare un diverso livello di<br />

rischio.<br />

Ai fini della prevenzione dei<br />

rischi per la salute degli addetti<br />

alle opere di asfaltatura, è, comunque,<br />

fondamentale ridurre<br />

l’esposizione agli IPA al più basso<br />

valore tecnicamente conseguibile,<br />

tenendo conto anche di due<br />

fattori:<br />

l il possibile assorbimento cutaneo;<br />

l l’impossibilità, almeno allo stato<br />

attuale, della sostituzione delle<br />

materie prime utilizzate per<br />

114<br />

DALLE REGIONI<br />

l’asfaltatura (bitume, emulsione<br />

bituminosa, conglomerato bituminoso)<br />

con altre meno pericolose.<br />

L’esposizione professionale<br />

può essere ridotta lavorando in<br />

posizione sopravento rispetto alla<br />

stesa del conglomerato bituminoso<br />

e, nel caso di asfaltatura dei<br />

marciapiedi, aspergendo acqua<br />

sul materiale colato appena steso,<br />

al fine di abbassarne la temperatura.<br />

Nel caso di lavori al chiuso<br />

o in locali interrati, occorrerà prevedere<br />

un eventuale utilizzo di<br />

opportuni sistemi di aspirazione o<br />

di diluizione dell’aria attraverso<br />

la ventilazione forzata. In situazioni<br />

di accumulo degli inquinanti,<br />

gli addetti devono ricorrere all’uso<br />

di opportuni DPI per la protezione<br />

delle vie respiratorie, come<br />

il facciale filtrante antipolvere<br />

di classe 2 con filtro in carbone<br />

attivo (FFP2SL), da sostituire dopo<br />

ogni turno di lavoro o successivamente<br />

se munito di bordo di<br />

tenuta.<br />

L’indagine rientra nel Progetto<br />

Obiettivo Regionale Prevenzione<br />

Confronto dei dati provenienti da rilevazioni durante<br />

la lavorazione dell’asfalto e nelle aree metropolitane<br />

IPA<br />

Studio<br />

PPTP-POPA *<br />

Media Deviazione<br />

standard Mediana<br />

5°<br />

percentile<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

e <strong>Sicurezza</strong> negli Ambienti di Lavoro<br />

per il triennio 2000-2003 ai<br />

fini della prevenzione dei tumori<br />

professionali. I risultati ottenuti<br />

dal progetto PPTP-POPA saranno<br />

poi successivamente estesi e diffusi<br />

a livello regionale nel rispetto<br />

del Titolo VII dei decreti legislativi<br />

n. 626/1994, n. 66/2000 e n.<br />

25/2002.<br />

In occasione del coinvolgimento<br />

di INAIL nel progetto PPTP-<br />

POPA, l’ente ha realizzato un<br />

opuscolo informativo, «Salute e<br />

<strong>Sicurezza</strong> nelle opere di asfaltatura»,<br />

rivolto ai lavoratori. La pubblicazione<br />

presenta il modello<br />

partecipativo della prevenzione,<br />

fornisce gli elementi essenziali<br />

delle lavorazioni e approfondisce<br />

le tematiche di salute e sicurezza,<br />

illustrando le potenziali situazioni<br />

di rischio a cui prestare attenzione<br />

e i danni che ne possono derivare<br />

sia nel breve sia nel lungo<br />

termine. Infine, l’opuscolo elenca<br />

alcuni consigli per attuare una<br />

corretta prevenzione sul luogo di<br />

lavoro. l<br />

95°<br />

percentile<br />

TABELLA 1<br />

Aree<br />

metropolitane **<br />

Minimo Massimo<br />

Benzo[a]Antracene 1,06 2,76 0,09 0,04 4,87 ­ ­<br />

Benzo[a]Pirene 1,61 5,83 0,33 0,02 4,81 0,2 9,6<br />

Benzo[b]Fluorantene 1,7 3,6 0,8 0,1 4,7 0,2 4,8<br />

Benzo[k]Fluorantene 0,87 3,17 0,14 0,02 1,83 0,1 1,1<br />

Crisene 0,78 1,83 0,11 0,04 2,52 0,1 7,0<br />

diBenzo[a,h]Antracene 1,07 3,60 0,21 0,03 1,69 ­ ­<br />

Indeno[1,2,3-c,d]pirene 1,2 3,0 0,2 0,1 5,8 0,1 1,4<br />

Naftalene 493 364 408 147 1258 ­ ­<br />

* IPA adesi al Particolato Totale Sospeso e in fase di vapore.<br />

** IPA adesi al PM10 ­ valori medi rilevati tra 1990 e 2001 (Fonti: Campagna “Treno Verde” FFSS, ARPA, Ministero dell’<strong>Ambiente</strong>)<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


DALLE REGIONI<br />

RUMORE<br />

Articolo<br />

In atto nella Regione lo studio delle condizioni sonore derivanti dall’insieme delle sorgenti sonore naturali e antropiche<br />

Piemonte: valutazione del clima acustico<br />

secondo la delibera n. 46-14762/2005<br />

di Carlo Tadini, tecnico competente in acustica<br />

La materia della tutela<br />

dell’inquinamento acustico è<br />

disciplinata, a livello nazionale,<br />

dalla legge n. 447/1995, «Legge<br />

quadro sull’inquinamento<br />

acustico», e, nel caso specifico in<br />

esame, dalla legge regionale 20<br />

ottobre 2000, n. 52, (Regione<br />

Piemonte) contenente<br />

«Disposizioni per la tutela<br />

dell’ambiente in materia<br />

di inquinamento acustico»,<br />

integrata dalla D.G.R. 6 agosto<br />

2001, n. 85­3802 «Criteri di<br />

classificazione acustica del<br />

territorio» (la cosiddetta<br />

“zonizzazione acustica”).<br />

Si aggiunge la deliberazione della<br />

Giunta Regionale 2 febbraio<br />

2004, n. 9­11616, in attuazione<br />

dell’art. 3, comma 3, lettera c),<br />

legge regionale 25 ottobre 2000,<br />

n. 52, «criteri per la redazione<br />

della documentazione di impatto<br />

acustico». Nel bollettino giuridico<br />

ambientale del 2005, la Regione<br />

Piemonte ha deliberato<br />

l’approvazione della D.G.R. 14<br />

febbraio 2005, n. 46­14762,<br />

in merito ai criteri di redazione<br />

della documentazione di clima<br />

acustico in attuazione dell’art. 3,<br />

comma 3, lettera d), L.R. n.<br />

52/2000.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

La relazione previsionale di clima<br />

acustico è prevista nell’art.<br />

8, comma 3, legge n. 447/<br />

1995 [1] , «Disposizioni in materia di<br />

impatto acustico» ove si legge testualmente<br />

«È fatto obbligo produrre<br />

una valutazione previsionale del clima<br />

acustico (che non è il documento<br />

di analisi dell’impatto acustico che è<br />

finalizzato allo studio della riduzione<br />

del disturbo generato dall’attività<br />

in analisi nei confronti dei ricettori<br />

sensibili al contorno) delle aree interessate<br />

alla realizzazione delle seguenti<br />

tipologie di insediamenti:<br />

a) scuole e asili nido;<br />

b) ospedali;<br />

c) case di cura e riposo;<br />

d) parchi pubblici urbani ed extraurbani<br />

qualora la quiete rappresenti<br />

elemento di base per la loro<br />

fruizione;<br />

e) insediamenti residenziali prossimi<br />

agli impianti, opere, insediamenti,<br />

infrastrutture o sedi di attività<br />

appartenenti a tipologie soggette all’obbligo<br />

di presentazione della documentazione<br />

di impatto acustico di<br />

cui all’art. 10, comma 1, della l.r. n.<br />

52/2000 (si veda, in proposito, la<br />

D.G.R. 2 febbraio 2004, n. 9-11616,<br />

recante i criteri per la redazione della<br />

documentazione di impatto acustico)<br />

con facoltà ai Comuni di regolare<br />

procedure e modulistica, armonizzandole<br />

nell’ambito delle proprie<br />

norme urbanistico-edilizie (regolamento<br />

edilizio, norme tecniche di attuazione<br />

ecc.)».<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

Il comma 5, art. 8, legge n. 447/<br />

1995, indica che «la documentazione<br />

di cui ai commi 2 (impatto acustico),<br />

3 (clima acustico) e 4 (impatto acustico)<br />

del presente articolo è resa,<br />

sulla base dei criteri stabiliti ai sensi<br />

dell’art. 4, comma 1, lettera l), della<br />

presente legge, con le modalità di cui<br />

all’articolo 4 della legge 4 gennaio<br />

1968, n. 15». Leggendo l’art. 4, comma<br />

1, lettera l), legge n. 447/1995,<br />

sulle competenze della regione, si determina<br />

che è prevista l’emanazione<br />

dei criteri da seguire per la redazione<br />

della documentazione di impatto<br />

acustico e di clima acustico; diviene<br />

chiaro e comprensivo il significato e<br />

lo scopo della D.G.R. 14 febbraio<br />

2005, n. 46-14762 [2] .<br />

Le disposizioni della<br />

D.G.R. n. 46-14762/2005<br />

Nella D.G.R. 14 febbraio 2005,<br />

n. 46-14762, si legge che per clima<br />

acustico si intendono le condizioni<br />

sonore esistenti in una determinata<br />

area, derivanti dall’insieme di tutte<br />

le sorgenti sonore naturali e antropiche.<br />

La valutazione del clima acustico<br />

è una ricognizione delle condizioni<br />

sonore abituali e tipiche in<br />

una determinata area, al fine di studiare<br />

e valutare se il sito su cui si<br />

intende realizzare un insediamento<br />

sensibile al rumore, sia caratterizzato<br />

da condizioni di rumorosità o da<br />

livelli di rumore ammissibile, non<br />

compatibili con l’utilizzo dell’insediamento<br />

stesso. In parole semplici<br />

[1] Per ulteriori informazioni si veda, dello stesso autore, Modalità di valutazione di impatto acustico secondo le direttive della Regione<br />

Piemonte, in <strong>Ambiente</strong>&<strong>Sicurezza</strong> n. 9/2005, pag. 114.<br />

[2] In B.U. Piemonte del 24 febbraio 2005, n. 8.<br />

115


RUMORE<br />

Articolo<br />

vuol dire valutare se l’opera in futura<br />

esecuzione, conforme agli strumenti<br />

urbanistici, non venga eccessivamente<br />

disturbata dal clima acustico<br />

presente in un area, valutando,<br />

quando necessario, quelle misure<br />

tecniche di protezione nonché quei<br />

requisiti costruttivi di base in tema<br />

di acustica architettonica previsti<br />

dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997,<br />

«Determinazione dei requisiti acustici<br />

passivi degli edifici», al fine di<br />

garantire un uso conforme alla destinazione<br />

progettata e preventivata.<br />

Il rispetto del D.P.C.M. 5 dicembre<br />

1997 sui requisiti acustici degli edifici<br />

è un elemento di notevole importanza<br />

tecnica, in quanto consente all’opera<br />

edile edificata di possedere quei requisiti<br />

di isolamento acustico di facciata<br />

nei confronti dei rumori che si immettono<br />

dall’esterno e che potrebbero disturbare<br />

l’ambiente di vita e di utilizzo<br />

dei locali interni, secondo la loro destinazione<br />

di progetto. La conformità<br />

a questa normativa si raggiunge con<br />

116<br />

DALLE REGIONI<br />

l’uso di elementi costruttivi che consentano<br />

di realizzare le pareti esterne e<br />

i relativi serramenti con un adeguato<br />

grado di isolamento acustico dal rumore<br />

aereo. Le caratteristiche sono<br />

testabili, collaudabili e verificabili in<br />

sito con l’uso di generatori di rumore<br />

rosa o bianco posti in facciata e con<br />

misura interna fonometrica, nonché<br />

successivo raffronto con le norme tecniche<br />

di riferimento.<br />

Nel riquadro 1 si riporta il testo<br />

del punto 5, delibera n. 46-14762/<br />

2005, che definisce quali sono i contenuti<br />

che deve includere la valutazione<br />

di clima acustico.<br />

Al paragrafo 6 della delibera, riportato<br />

nel riquadro 2, è prevista una<br />

“semplificazione” procedurale, nell’ottica<br />

similare della D.G.R. afferente<br />

alla valutazione di impatto acustico;<br />

la valutazione del clima acustico<br />

deve essere tanto più dettagliata<br />

quanto più rilevanti sono gli effetti<br />

del disturbo, derivanti dalle sorgenti<br />

sonore presenti nell’area di ricognizione.<br />

Pertanto, la relazione può non<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

contenere tutti gli elementi riassunti<br />

in precedenza e previsti nel paragrafo<br />

5 a condizione che nella relazione sia<br />

giustificata l’inutilità di ciascuna informazione<br />

omessa.<br />

Al paragrafo 7, «Verifiche», si indica<br />

che, avuto riguardo della rilevanza<br />

degli effetti acustici subiti dall’insediamento<br />

oggetto di valutazione<br />

del clima acustico, nonché anche<br />

in base al grado di incertezza degli<br />

studi previsionali, è facoltà dell’ente<br />

che rilascia il provvedimento autorizzativo<br />

richiedere al proponente, nell’ambito<br />

del medesimo provvedimento,<br />

l’effettuazione di misure strumentali<br />

secondo le tecniche di rilevamento<br />

previste dal D.M. 16 marzo<br />

1998; queste misure devono essere<br />

effettuate a lavori conclusi, al fine di<br />

verificare la conformità dei livelli sonori<br />

immessi dalle fonti acustiche<br />

esterne in conformità ai limiti di legge<br />

(di zonizzazione acustica). Questa<br />

relazione di verifica strumentale deve<br />

essere inviata anche all’ARPA di<br />

competenza. l<br />

5. Contenuto della relazione di valutazione del clima acustico<br />

Riquadro 1<br />

La relazione di valutazione di clima acustico deve contenere:<br />

1. descrizione della tipologia dell’insediamento in progetto, della sua ubicazione, del contesto in cui viene inserito,<br />

corredata da planimetrie e prospetti in scala adeguata, e indicazione delle destinazioni d’uso dei locali e delle pertinenze.<br />

Nel caso di insediamenti complessi, si raccomanda di porre particolare cura nell’ubicazione degli edifici e delle aree fruibili,<br />

nonché nella distribuzione funzionale degli ambienti interni al fine di minimizzare l’interazione con il campo acustico<br />

esterno;<br />

2. descrizione della metodologia utilizzata per individuare l’area di ricognizione, elencazione e descrizione delle principali<br />

sorgenti sonore presenti nella stessa, con particolare riguardo alle infrastrutture dei trasporti, planimetria orientata,<br />

aggiornata e in scala adeguata in cui siano indicate l’ubicazione dell’insediamento in progetto, il suo perimetro, l’ubicazione<br />

delle principali sorgenti sonore che hanno effetti sull’insediamento stesso, nonché le relative quote altimetriche;<br />

3. indicazione della classificazione acustica definitiva dell’area di ricognizione ai sensi dell’art. 6 della legge regionale n.<br />

52/2000. Nel caso non sia ancora stata approvata la classificazione definitiva devono essere considerate le classi acustiche<br />

assegnate nella proposta di zonizzazione acustica adottata dal Comune; in mancanza anche di quest’ultima il proponente,<br />

tenuto conto dello strumento urbanistico vigente, delle destinazioni d’uso del territorio e delle linee guida regionali<br />

(D.G.R. 6 agosto 2001, n. 85 ­ 3802), ipotizza la classe acustica assegnabile all’insediamento e all’area di ricognizione. In<br />

particolare gli elaborati devono evidenziare le fasce di rispetto delle infrastrutture dei trasporti;<br />

4. quantificazione, tramite misure o simulazioni effettuate in punti significativi dell’area destinata all’insediamento in<br />

progetto e tenendo altresì conto dell’altezza dal suolo degli ambienti abitativi, dei livelli assoluti di immissione (LAeqTR)<br />

complessivi e dei contributi derivanti da ciascuna infrastruttura dei trasporti, e dalle rimanenti sorgenti sonore presenti<br />

nell’area di ricognizione, nel periodo diurno e notturno. La rappresentazione dei dati può avvenire in modo puntuale o<br />

attraverso mappe acustiche utilizzando intervalli di livello sonoro non superiori a 3dB(A). Qualora siano effettuate<br />

simulazioni devono essere esplicitati i parametri e i modelli di calcolo utilizzati;<br />

5. quantificazione tramite misure o simulazioni del livello differenziale diurno e notturno, all’interno o in facciata<br />

dell’insediamento in progetto, conseguente alle emissioni sonore delle sorgenti tenute al rispetto di tale limite. Qualora<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


DALLE REGIONI<br />

RUMORE<br />

Articolo<br />

nell’area di ricognizione siano presenti sorgenti sonore rilevanti sotto questo profilo, la previsione è effettuata nelle<br />

condizioni di potenziale massima criticità del livello differenziale, esplicitando i parametri e i modelli di calcolo utilizzati;<br />

6. valutazione della compatibilità del sito prescelto per la realizzazione dell’insediamento in progetto con i livelli di<br />

rumore esistenti e con quelli massimi ammissibili;<br />

7. descrizione degli eventuali interventi di mitigazione previsti dal proponente a salvaguardia dell’insediamento in<br />

progetto e stima quantificata dei benefici da essi derivanti, considerando anche quelli conseguenti all’applicazione del<br />

D.P.C.M. 5 dicembre 1997, “Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici”. Tali interventi di mitigazione<br />

devono garantire la tutela dell’insediamento in progetto secondo le normative e i principi indicati in premessa; per<br />

quanto riguarda i parchi, gli interventi di mitigazione possono essere costituiti dall’istituzione di zone di preparco o zone<br />

di salvaguardia aventi finalità di graduale raccordo tra il loro regime di tutela e le aree circostanti;<br />

8. indicazione del provvedimento con cui il tecnico che ha predisposto la valutazione di clima acustico è stato riconosciuto<br />

“competente in acustica ambientale” ai sensi della legge n. 447/1995, art. 2, commi 6 e 7.<br />

I punti da 1 a 8 devono essere contenuti anche nella valutazione di clima acustico presentata a seguito di cambio di<br />

destinazione d’uso di immobile esistente, come evidenziato in premessa.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

6. Semplificazione<br />

La valutazione di clima acustico deve essere tanto più dettagliata e approfondita quanto più rilevanti sono gli effetti di<br />

disturbo, o di potenziale inquinamento acustico, derivanti dalle sorgenti sonore presenti nell’area di ricognizione o<br />

insediabili nella stessa in quanto compatibili con la classificazione acustica del territorio; pertanto può non contenere<br />

tutti gli elementi indicati al paragrafo 5 a condizione che nella relazione sia puntualmente giustificata l’inutilità di<br />

ciascuna informazione omessa. Per chiarezza espositiva e semplificazione istruttoria le informazioni omesse e le relative<br />

giustificazioni devono fare esplicito riferimento alla numerazione del paragrafo 5.<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

Riquadro 2<br />

117


118<br />

RIFIUTI<br />

Documento<br />

DALLE REGIONI<br />

Siglato un protocollo d’intesa sul tema della formazione e dell’informazione<br />

Sulla gestione degli imballaggi<br />

Accordo Comieco-Provincia di Torino<br />

a cura di Carlo Montalbetti, Direttore Generale di COMIECO<br />

Comieco ­ Consorzio Nazionale per il Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica ­ e la Provincia di<br />

Torino hanno firmato il 16 maggio 2005 un accordo volontario per incentivare e razionalizzare la raccolta<br />

differenziata di carta, cartone e cartoncino. Con questo accordo le parti intendono favorire e disciplinare il<br />

reciproco scambio di informazioni sulle modalità organizzative e di gestione dei rifiuti di imballaggi a base<br />

cellulosica, oltre a realizzare iniziative formative e di ricerca per migliorare la prevenzione e lo smaltimento<br />

di questi rifiuti.<br />

Nello specifico, le attività programmate saranno volte a migliorare:<br />

­ lo scambio di informazioni sulle attività di raccolta differenziata di carta, cartone e cartoncino con specifico<br />

riferimento alle quantità, al grado di copertura, alle modalità e alla qualità del servizio dei comuni;<br />

­ lo scambio di informazioni sul riciclo e recupero;<br />

­ il monitoraggio congiunto sulle modalità e qualità dei servizi;<br />

­ la definizione degli indici di efficienza dei servizi di raccolta differenziata;<br />

­ l’organizzazione di attività formativa per gli operatori pubblici;<br />

­ la ricerca e la promozione di attività per la prevenzione della produzione di rifiuti;<br />

­ agevolare la diffusione dei cosiddetti «acquisti verdi».<br />

L’accordo non solo sancisce una più stretta collaborazione tra il Consorzio e la Provincia di Torino, ma anche<br />

l’inaugurazione di un gruppo di lavoro congiunto che faciliterà il flusso incrociato di informazioni sul riciclo<br />

e recupero degli imballaggi cellulosici, oltre ad agevolare l’acquisto di prodotti realizzati in materiali riciclati<br />

(i cosiddetti «acquisti verdi» previsti dal decreto del Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e della Tutela del Territorio 8<br />

maggio 2003, n. 203) e organizzare corsi di formazione per gli addetti alla raccolta nonché iniziative nelle<br />

scuole del territorio.<br />

Protocollo d’intesa tra provincia di Torino e Comieco<br />

formazione ed informazione nella gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio<br />

La Provincia di Torino<br />

(omissis)<br />

Il Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi<br />

a base cellulosica (di seguito “COMIECO”)<br />

(omissis)<br />

convengono e concordano quanto segue:<br />

Art. 1<br />

(Oggetto)<br />

1. Con il presente atto le parti intendono favorire e disciplinare<br />

il reciproco scambio di informazioni sulle modalità<br />

organizzative e di gestione dei rifiuti di imballaggio a base<br />

cellulosica nonché idonee iniziative di ricerca, formative ed<br />

operative per migliorare la prevenzione e l’espletamento del<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

Servizio di gestione dei rifiuti urbani ed assimilati.<br />

2. Ai fini di cui al comma 1, il presente Accordo disciplina:<br />

a) lo scambio di informazioni sulle modalità di svolgimento<br />

e sulla qualità del servizio di raccolta differenziata di<br />

carta e cartone;<br />

b) lo scambio di informazioni sulla raccolta su superfici<br />

private, sul riciclaggio e sul recupero;<br />

c) il monitoraggio congiunto sulle modalità e sulla qualità<br />

del servizio di raccolta differenziata, delle operazioni di<br />

ritiro, prelievo e cernita dei rifiuti provenienti dalla raccolta<br />

differenziata e di raccolta dei rifiuti su superfici private;<br />

d) lo svolgimento di attività formative per operatori pubblici;<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


e) la ricerca e la promozione di attività per la prevenzione<br />

della produzione di rifiuti.<br />

Art. 2<br />

(Scambio di informazioni)<br />

1. COMIECO si impegna a rendere disponibili e trasmettere<br />

alla Provincia di Torino le informazioni sui quantitativi<br />

di rifiuti di imballaggio e f.m.s. avviati a riciclo nell’ambito<br />

del sistema delle convenzioni Comieco, ed in particolare i<br />

dati relativi a:<br />

a) i quantitativi complessivi avviati a riciclo a livello<br />

regionale;<br />

b) i quantitativi avviati a riciclo a livello provinciale;<br />

2. La Provincia di Torino, attraverso l’Osservatorio Provinciale<br />

Rifiuti, si impegna a rendere disponibili e trasmettere<br />

al COMIECO i dati e le informazioni sulle modalità di<br />

svolgimento e sul grado di copertura del servizio di raccolta<br />

differenziata nell’Ambito Territoriale Ottimale (ATO), nonché<br />

a comunicare i quantitativi di raccolta differenziata di<br />

carta e cartone relativi ai singoli comuni dell’ATO.<br />

3. Le informazioni di cui al comma 1 sono trasmesse da<br />

Comieco alla Provincia di Torino entro il 30 giugno di ogni<br />

anno. Le informazioni di cui al comma 2 sono trasmesse<br />

dalla Provincia di Torino a Comieco entro il 30 giugno di<br />

ogni anno.<br />

4. La trasmissione delle informazioni avviene secondo<br />

modalità da concordare tra le parti.<br />

Art. 3<br />

(Monitoraggio)<br />

1. Al fine di incrementare il livello qualitativo della raccolta,<br />

con particolare riferimento alle caratteristiche dei rifiuti<br />

ed alle modalità di espletamento del servizio di raccolta<br />

differenziata, nonché al fine di migliorare la logistica e di<br />

conseguire progressivamente l’omogenea ed integrale copertura<br />

del territorio nazionale, COMIECO e la Provincia di<br />

Torino si impegnano a cooperare per promuovere ed attivare<br />

forme di monitoraggio congiunto sull’espletamento del servizio<br />

di raccolta differenziata, sulle operazioni di ritiro, prelievo<br />

e cernita dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata<br />

e sulla raccolta dei rifiuti su superfici private.<br />

Art. 4<br />

(Informazione agli utenti)<br />

1. Le parti, sulla base dei dati disponibili e dei risultati<br />

delle attività di monitoraggio, assicurano una corretta informazione<br />

e sensibilizzazione dei cittadini per conseguire e<br />

consentire la collaborazione necessaria al corretto conferimento<br />

dei rifiuti, e, quindi, ottimizzare le fasi di raccolta e<br />

ridurre la presenza di impurità nei rifiuti. A tal fine le Parti si<br />

impegnano ad attribuire particolare rilevanza alle operazioni<br />

di promozione congiunta di un “sistema di educazione ambientale”<br />

nelle scuole di ogni ordine e grado nonché alle<br />

tematiche ambientali che coinvolgono i problemi della gestione<br />

integrata dei rifiuti.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

DALLE REGIONI<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

RIFIUTI<br />

Documento<br />

Art. 5<br />

(Azioni e iniziative)<br />

1. Al fine di conseguire lo scambio di informazioni ed<br />

attuare le iniziative di cui all’art. 1 del presente Accordo,<br />

Comieco, nell’ambito delle proprie competenze istituzionali,<br />

si impegna a collaborare all’attività dei gruppi di lavoro<br />

previsti dall’aggiornamento del Programma Provinciale di<br />

Gestione dei Rifiuti inerenti i temi della Raccolta Differenziata,<br />

Riduzione della produzione dei rifiuti e Comunicazione.<br />

2. Comieco garantisce la partecipazione con propri docenti<br />

qualora la Provincia di Torino organizzi corsi di formazione<br />

per gli operatori del settore e per gli insegnanti.<br />

3. Le parti si impegnano inoltre a promuovere attività di<br />

comunicazione e sostegno relativamente alla tematica degli<br />

acquisti verdi.<br />

Art. 6<br />

(Ricerca)<br />

1. Tenuto conto del ruolo dell’innovazione tecnologica<br />

nello sviluppo sostenibile, le parti si impegnano a favorire<br />

con apposite iniziative la ricerca e lo sviluppo di attività per<br />

la prevenzione e la riduzione dei rifiuti.<br />

Art. 7<br />

(Clausole finali)<br />

1. Le parti firmatarie del presente Accordo si riservano la<br />

possibilità di verificare e di coordinare i loro interventi per<br />

migliorare lo stato di attuazione delle presenti disposizioni e<br />

di integrare o modificare le stesse in base alle necessità che<br />

saranno rilevate sui territorio, in relazione alla attuazione di<br />

nuovi progetti territoriali di raccolta differenziata e di nuove<br />

aree attrezzate sovracomunali. Tali interventi terranno in<br />

particolare considerazione l’evoluzione delle possibilità di<br />

raccolta e di recupero, nonché le innovazioni tecnologiche<br />

dei processi produttivi di riciclaggio dei rifiuti di imballaggio<br />

e dei materiali di riciclaggio.<br />

2. Le parti si impegnano ad individuare un sistema di<br />

consultazione reciproca che consenta di attivare le più idonee<br />

procedure di controllo e verifica nonché a coordinare<br />

eventuali iniziative in materia sul territorio.<br />

3. Le parti daranno vita ad un gruppo di verifica per<br />

l’applicazione del presente accordo composto da rappresentanti<br />

della Provincia di Torino e del COMIECO. Tale gruppo<br />

potrà anche progettare iniziative territoriali specifiche nell’ambito<br />

di eventi particolari.<br />

4. Le parti convengono che il termine di efficacia del<br />

presente accordo è fissato in quattro anni a decorrere dalla<br />

data di sottoscrizione ed è rinnovato di quattro anni in quattro<br />

anni anche tacitamente, salvo contraria ed espressa manifestazione<br />

di volontà comunicata da una parte all’altra mediante<br />

raccomandata con ricevuta di ritorno inviata almeno<br />

trenta giorni prima della scadenza di ciascuno dei periodi<br />

quadriennali di efficacia dell’accordo medesimo. l<br />

119


118<br />

RIFIUTI<br />

Documento<br />

DALLE REGIONI<br />

Siglato un protocollo d’intesa sul tema della formazione e dell’informazione<br />

Sulla gestione degli imballaggi<br />

Accordo Comieco-Provincia di Torino<br />

a cura di Carlo Montalbetti, Direttore Generale di COMIECO<br />

Comieco ­ Consorzio Nazionale per il Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica ­ e la Provincia di<br />

Torino hanno firmato il 16 maggio 2005 un accordo volontario per incentivare e razionalizzare la raccolta<br />

differenziata di carta, cartone e cartoncino. Con questo accordo le parti intendono favorire e disciplinare il<br />

reciproco scambio di informazioni sulle modalità organizzative e di gestione dei rifiuti di imballaggi a base<br />

cellulosica, oltre a realizzare iniziative formative e di ricerca per migliorare la prevenzione e lo smaltimento<br />

di questi rifiuti.<br />

Nello specifico, le attività programmate saranno volte a migliorare:<br />

­ lo scambio di informazioni sulle attività di raccolta differenziata di carta, cartone e cartoncino con specifico<br />

riferimento alle quantità, al grado di copertura, alle modalità e alla qualità del servizio dei comuni;<br />

­ lo scambio di informazioni sul riciclo e recupero;<br />

­ il monitoraggio congiunto sulle modalità e qualità dei servizi;<br />

­ la definizione degli indici di efficienza dei servizi di raccolta differenziata;<br />

­ l’organizzazione di attività formativa per gli operatori pubblici;<br />

­ la ricerca e la promozione di attività per la prevenzione della produzione di rifiuti;<br />

­ agevolare la diffusione dei cosiddetti «acquisti verdi».<br />

L’accordo non solo sancisce una più stretta collaborazione tra il Consorzio e la Provincia di Torino, ma anche<br />

l’inaugurazione di un gruppo di lavoro congiunto che faciliterà il flusso incrociato di informazioni sul riciclo<br />

e recupero degli imballaggi cellulosici, oltre ad agevolare l’acquisto di prodotti realizzati in materiali riciclati<br />

(i cosiddetti «acquisti verdi» previsti dal decreto del Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e della Tutela del Territorio 8<br />

maggio 2003, n. 203) e organizzare corsi di formazione per gli addetti alla raccolta nonché iniziative nelle<br />

scuole del territorio.<br />

Protocollo d’intesa tra provincia di Torino e Comieco<br />

formazione ed informazione nella gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio<br />

La Provincia di Torino<br />

(omissis)<br />

Il Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi<br />

a base cellulosica (di seguito “COMIECO”)<br />

(omissis)<br />

convengono e concordano quanto segue:<br />

Art. 1<br />

(Oggetto)<br />

1. Con il presente atto le parti intendono favorire e disciplinare<br />

il reciproco scambio di informazioni sulle modalità<br />

organizzative e di gestione dei rifiuti di imballaggio a base<br />

cellulosica nonché idonee iniziative di ricerca, formative ed<br />

operative per migliorare la prevenzione e l’espletamento del<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

Servizio di gestione dei rifiuti urbani ed assimilati.<br />

2. Ai fini di cui al comma 1, il presente Accordo disciplina:<br />

a) lo scambio di informazioni sulle modalità di svolgimento<br />

e sulla qualità del servizio di raccolta differenziata di<br />

carta e cartone;<br />

b) lo scambio di informazioni sulla raccolta su superfici<br />

private, sul riciclaggio e sul recupero;<br />

c) il monitoraggio congiunto sulle modalità e sulla qualità<br />

del servizio di raccolta differenziata, delle operazioni di<br />

ritiro, prelievo e cernita dei rifiuti provenienti dalla raccolta<br />

differenziata e di raccolta dei rifiuti su superfici private;<br />

d) lo svolgimento di attività formative per operatori pubblici;<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


e) la ricerca e la promozione di attività per la prevenzione<br />

della produzione di rifiuti.<br />

Art. 2<br />

(Scambio di informazioni)<br />

1. COMIECO si impegna a rendere disponibili e trasmettere<br />

alla Provincia di Torino le informazioni sui quantitativi<br />

di rifiuti di imballaggio e f.m.s. avviati a riciclo nell’ambito<br />

del sistema delle convenzioni Comieco, ed in particolare i<br />

dati relativi a:<br />

a) i quantitativi complessivi avviati a riciclo a livello<br />

regionale;<br />

b) i quantitativi avviati a riciclo a livello provinciale;<br />

2. La Provincia di Torino, attraverso l’Osservatorio Provinciale<br />

Rifiuti, si impegna a rendere disponibili e trasmettere<br />

al COMIECO i dati e le informazioni sulle modalità di<br />

svolgimento e sul grado di copertura del servizio di raccolta<br />

differenziata nell’Ambito Territoriale Ottimale (ATO), nonché<br />

a comunicare i quantitativi di raccolta differenziata di<br />

carta e cartone relativi ai singoli comuni dell’ATO.<br />

3. Le informazioni di cui al comma 1 sono trasmesse da<br />

Comieco alla Provincia di Torino entro il 30 giugno di ogni<br />

anno. Le informazioni di cui al comma 2 sono trasmesse<br />

dalla Provincia di Torino a Comieco entro il 30 giugno di<br />

ogni anno.<br />

4. La trasmissione delle informazioni avviene secondo<br />

modalità da concordare tra le parti.<br />

Art. 3<br />

(Monitoraggio)<br />

1. Al fine di incrementare il livello qualitativo della raccolta,<br />

con particolare riferimento alle caratteristiche dei rifiuti<br />

ed alle modalità di espletamento del servizio di raccolta<br />

differenziata, nonché al fine di migliorare la logistica e di<br />

conseguire progressivamente l’omogenea ed integrale copertura<br />

del territorio nazionale, COMIECO e la Provincia di<br />

Torino si impegnano a cooperare per promuovere ed attivare<br />

forme di monitoraggio congiunto sull’espletamento del servizio<br />

di raccolta differenziata, sulle operazioni di ritiro, prelievo<br />

e cernita dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata<br />

e sulla raccolta dei rifiuti su superfici private.<br />

Art. 4<br />

(Informazione agli utenti)<br />

1. Le parti, sulla base dei dati disponibili e dei risultati<br />

delle attività di monitoraggio, assicurano una corretta informazione<br />

e sensibilizzazione dei cittadini per conseguire e<br />

consentire la collaborazione necessaria al corretto conferimento<br />

dei rifiuti, e, quindi, ottimizzare le fasi di raccolta e<br />

ridurre la presenza di impurità nei rifiuti. A tal fine le Parti si<br />

impegnano ad attribuire particolare rilevanza alle operazioni<br />

di promozione congiunta di un “sistema di educazione ambientale”<br />

nelle scuole di ogni ordine e grado nonché alle<br />

tematiche ambientali che coinvolgono i problemi della gestione<br />

integrata dei rifiuti.<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

DALLE REGIONI<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

RIFIUTI<br />

Documento<br />

Art. 5<br />

(Azioni e iniziative)<br />

1. Al fine di conseguire lo scambio di informazioni ed<br />

attuare le iniziative di cui all’art. 1 del presente Accordo,<br />

Comieco, nell’ambito delle proprie competenze istituzionali,<br />

si impegna a collaborare all’attività dei gruppi di lavoro<br />

previsti dall’aggiornamento del Programma Provinciale di<br />

Gestione dei Rifiuti inerenti i temi della Raccolta Differenziata,<br />

Riduzione della produzione dei rifiuti e Comunicazione.<br />

2. Comieco garantisce la partecipazione con propri docenti<br />

qualora la Provincia di Torino organizzi corsi di formazione<br />

per gli operatori del settore e per gli insegnanti.<br />

3. Le parti si impegnano inoltre a promuovere attività di<br />

comunicazione e sostegno relativamente alla tematica degli<br />

acquisti verdi.<br />

Art. 6<br />

(Ricerca)<br />

1. Tenuto conto del ruolo dell’innovazione tecnologica<br />

nello sviluppo sostenibile, le parti si impegnano a favorire<br />

con apposite iniziative la ricerca e lo sviluppo di attività per<br />

la prevenzione e la riduzione dei rifiuti.<br />

Art. 7<br />

(Clausole finali)<br />

1. Le parti firmatarie del presente Accordo si riservano la<br />

possibilità di verificare e di coordinare i loro interventi per<br />

migliorare lo stato di attuazione delle presenti disposizioni e<br />

di integrare o modificare le stesse in base alle necessità che<br />

saranno rilevate sui territorio, in relazione alla attuazione di<br />

nuovi progetti territoriali di raccolta differenziata e di nuove<br />

aree attrezzate sovracomunali. Tali interventi terranno in<br />

particolare considerazione l’evoluzione delle possibilità di<br />

raccolta e di recupero, nonché le innovazioni tecnologiche<br />

dei processi produttivi di riciclaggio dei rifiuti di imballaggio<br />

e dei materiali di riciclaggio.<br />

2. Le parti si impegnano ad individuare un sistema di<br />

consultazione reciproca che consenta di attivare le più idonee<br />

procedure di controllo e verifica nonché a coordinare<br />

eventuali iniziative in materia sul territorio.<br />

3. Le parti daranno vita ad un gruppo di verifica per<br />

l’applicazione del presente accordo composto da rappresentanti<br />

della Provincia di Torino e del COMIECO. Tale gruppo<br />

potrà anche progettare iniziative territoriali specifiche nell’ambito<br />

di eventi particolari.<br />

4. Le parti convengono che il termine di efficacia del<br />

presente accordo è fissato in quattro anni a decorrere dalla<br />

data di sottoscrizione ed è rinnovato di quattro anni in quattro<br />

anni anche tacitamente, salvo contraria ed espressa manifestazione<br />

di volontà comunicata da una parte all’altra mediante<br />

raccomandata con ricevuta di ritorno inviata almeno<br />

trenta giorni prima della scadenza di ciascuno dei periodi<br />

quadriennali di efficacia dell’accordo medesimo. l<br />

119


LEGISLAZIONE<br />

In breve<br />

DALLE REGIONI<br />

RASSEGNA DI DELIBERE E LEGGI REGIONALI<br />

a cura di Alessandro Jazzetti, magistrato<br />

120<br />

LUGLIO 2005<br />

Regione Ambito Estremi e nota<br />

CALABRIA Acqua<br />

LAZIO Acqua<br />

PIEMONTE Acqua<br />

SARDEGNA Acqua<br />

SARDEGNA Acqua<br />

UMBRIA Acqua<br />

LOMBARDIA Aria<br />

AMBIENTE<br />

Decreto Dirigenziale 15 giugno 2005, n. 9675<br />

«Attuazione della Delib. G.R. 6 giugno 2005, n. 561. Interventi urgenti di<br />

pulizia e disinquinamento delle acque marine superficiali costiere,<br />

finalizzati ad offrire ai turisti ed ai cittadini calabresi un mare pulito e<br />

balneabile»<br />

(inB.U.Calabria30giugno2005,s.s.n.5alB.U.16giugno2005,n.11)<br />

Con il decreto n. 9675/2005 è stata data attuazione alla Delibera della<br />

Giunta Regionale 6 giugno 2005, n. 561, concernente Interventi urgenti<br />

di pulizia e disinquinamento delle acque marine superficiali costiere,<br />

finalizzati a offrire ai turisti e ai cittadini calabresi un mare pulito e<br />

balneabile.<br />

Determinazione Direttore Regionale dell’<strong>Ambiente</strong> e della<br />

Protezione civile 6 maggio 2005, n. 1760<br />

«Nuova individuazione delle zone idonee alla balneazione per la<br />

stagione 2005, ai sensi della legge 30 maggio 2003, n. 121 di<br />

conversione del decreto­legge 31 marzo 2003, n. 51»<br />

(in B.U. Lazio 30 giugno 2005, n. 18)<br />

Delibera Giunta Regionale 20 giugno 2005, n. 12-286<br />

«Terza individuazione dei Comuni piemontesi rivieraschi a cui<br />

vengono attribuite le funzioni amministrative in materia di<br />

Demanio Idrico, di cui all’articolo 98, comma 1, lettera a), della L.R. n.<br />

44/2000 e successive modifiche ed integrazioni»<br />

(in B.U. Piemonte 30 giugno 2005, n. 26)<br />

Legge Regionale 12 luglio 2005, n. 10<br />

«Norme sul trasferimento del personale dei soggetti gestori dei<br />

servizi idrici regionali al servizio idrico integrato, in attuazione del<br />

comma 3 dell’articolo 12 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e dell’articolo<br />

16 della legge regionale 17 ottobre 1997, n. 29, modificata con<br />

legge regionale 7 maggio 1999, n. 15»<br />

(in B.U. Sardegna 15 luglio 2005, n. 22)<br />

Legge Regionale 12 luglio 2005, n. 11<br />

«Integrazioni e modifiche alla legge regionale 17 ottobre 1997, n. 29,<br />

sull’istituzione del servizio idrico integrato, in attuazione della legge 5<br />

gennaio 1994, n. 36.»<br />

(in B.U. Sardegna 15 luglio 2005, n. 22)<br />

Delibera Giunta Regionale 8 giugno 2005, n. 903<br />

«Delib. G.R. n. 1577/2000. Direttive tecniche provv. per corretta gest. e<br />

utilizz. agron. reflui zootec. acque reflue frantoi oleari e fanghi<br />

depuraz. al fine salvaguardia tutela acque inquinam. Modifica»<br />

(in B.U. Umbria 13 luglio 2005, n. 30)<br />

Delibera Giunta Regionale 22 giugno 2005, n. 8/196<br />

«Integrazione e modificazione della Delib. G.R. 20 dicembre 2002, n.<br />

7/11667. Allegati tecnici per il controllo e la riduzione delle emissioni di<br />

polveri e Composti Organici Volatili (COV) da fonti di origine industriale<br />

per le lavorazioni dei settori verniciatura, sgrassaggio e inerti<br />

(conglomerati, cementizi, lapidei)»<br />

(in B.U. Lombardia 5 luglio 2005, I S.S. al B.U. 4 luglio 2005, n. 27)<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

23 agosto 2005 ­ N. 17


23 agosto 2005 ­ N. 17<br />

VENETO Aria<br />

CAMPANIA Energia<br />

BASILICATA Rifiuti<br />

FRIULI-VENEZIA<br />

GIULIA<br />

Suolo<br />

LOMBARDIA Suolo<br />

TRENTINO A.-A.<br />

Provincia<br />

Autonoma di<br />

Bolzano<br />

SARDEGNA<br />

TRENTINO A.-A.<br />

Provincia<br />

Autonoma di<br />

Bolzano<br />

Suolo<br />

Tutela<br />

ambientale<br />

Tutela<br />

ambientale<br />

DALLE REGIONI<br />

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com<br />

LEGISLAZIONE<br />

In breve<br />

Delibera Giunta Regionale 28 giugno 2005, n. 1564<br />

«Piano Regionale di Tutela e Risanamento dell’Atmosfera.<br />

Comitato di Indirizzo e Sorveglianza sui problemi di tutela<br />

dell’atmosfera. Riunione del 21 giugno 2005: applicazione del “Bollino<br />

Blu”»<br />

(in B.U. Veneto 19 luglio 2005, n. 68)<br />

Delibera Giunta Regionale 21 aprile 2005, n. 634<br />

«Sistema Energia della Regione: Valutazione complessiva<br />

attualizzata ­ Aggiornamenti»<br />

(in B.U. Campania 4 luglio 2005, n. 33)<br />

Con la Delibera n. 634/2005 la Regione ha deciso di procedere a una<br />

valutazione complessiva attualizzata dello stato del Sistema Energia<br />

della Regione prevedendo un aggiornamento dello studio «Analisi<br />

delle proposte relative alla realizzazione dei nuovi insediamenti<br />

termoelettrici nella Regione Campania», recepito con propria Delibera<br />

della Giunta Regionale 25 marzo 2004, n. 469, che preveda, inoltre,<br />

l’individuazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche<br />

tipologie di impianti.<br />

Ordinanza Presidente Giunta Regionale 20 giugno 2005, n. 5<br />

«Disposizioni urgenti per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani<br />

prodotti nel territorio della C.M. “Alto Agri”»<br />

(in B.U. Basilicata 1° luglio 2005, n. 44)<br />

Con l’ordinanza n. 5/2005 è stato autorizzato l’abbancamento di rifiuti<br />

solidi urbani, sino alla volumetria massima di m 3 162.000, nella discarica<br />

per rifiuti non pericolosi sita in Località Tempa la Guarella del Comune<br />

di Moliterno (PZ), secondo i profili di colmata riportati nei grafici<br />

prodotti dalla C.M. “Alto Agri”.<br />

Delibera Giunta Regionale 23 maggio 2005, n. 1149<br />

«Obiettivo 2 ­ Docup 2000­2006 ­ asse III “Valorizzazione e tutela delle<br />

risorse ambientali, naturali e culturali” ­ misura 3.3 “Difesa del suolo e<br />

protezione dal dissesto idrogeologico in area montana”. Approvazione<br />

del Piano degli interventi ed impegno»<br />

(in B.U. Friuli-Venezia Giulia 6 luglio 2005, n. 27)<br />

Delibera Giunta Regionale 8 luglio 2005, n. 8/295<br />

«Determinazione dei criteri e delle procedure per il rilascio delle<br />

autorizzazioni provinciali agli interventi estrattivi in fondi agricoli<br />

di cui al comma 2­bis dell’art. 36 della L.R. 8 agosto 1998, n. 14 “Nuove<br />

norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava”<br />

P.R.S. 9.8.2»<br />

(in B.U. Lombardia 18 luglio 2005, n. 29)<br />

Decreto Presidente Provinciale 6 giugno 2005, n. 24<br />

«Regolamento di esecuzione alla legge provinciale sulle cave e<br />

torbiere»<br />

(in B.U. Trentino-Alto Adige 19 luglio 2005, n. 29)<br />

Decreto Assessore Regionale Industria 1° aprile 2005, n. 245<br />

«Legge 27 ottobre 1994, n. 598, art. 11, lettera b), 2 a parte ­<br />

Interventi per innovazione tecnologica, tutela ambientale,<br />

innovazione organizzativa, innovazione commerciale e sicurezza sui<br />

luoghi di lavoro ­ Approvazione ed emanazione delle Direttive di<br />

attuazione di cui alla Delib. G.R. 15 marzo 2005, n. 11/12»<br />

(in B.U. Sardegna 30 giugno 2005, n. 20)<br />

Legge Provinciale 20 giugno 2005, n. 4<br />

«Modifiche di leggi provinciali nei settori dell’agricoltura, della<br />

protezione civile, delle acque pubbliche e della tutela dell’ambiente e<br />

altre disposizioni»<br />

(in II S.S. al B.U. Trentino-Alto Adige 19 luglio 2005, n. 29)<br />

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v a l u t a r e e g e s t i r e l ’ a m b i e n t e<br />

ESTIMO E<br />

TERRITORIO<br />

r i v i s t a<br />

m e n s i l e<br />

Estimo e Territorio nasce dall’evoluzione<br />

di Genio Rurale, fondata<br />

nel 1937. La rivista si rivolge a<br />

tecnici e professionisti impegnati<br />

nella valutazione, pianificazione<br />

e gestione del territorio<br />

(agronomi, architetti, chimici,<br />

geologi, geometri, forestali,<br />

ingegneri, responsabili uffici tecnici)<br />

e ha un approccio interdisciplinare, che<br />

spazia dall’estimo immobiliare e territoriale, all’uso,<br />

gestione e pianificazione del territorio, al diritto ambientale, fino alla<br />

valutazione d’impatto e l’ecologia del paesaggio.<br />

nel numero di settembre<br />

Dossier:<br />

•Governo del territorio,<br />

infrastrutture lineari<br />

ed espropri<br />

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e-mail: abbona@gce.it sito: www.edagricole.it<br />

•Modello multicriteri nella<br />

valutazione dei capitali<br />

sociali<br />

•Analisi costi benefici della<br />

filiera foresta-legnoenergia<br />

•Metriche del paesaggio:<br />

definizioni ed utilizzo<br />

•Indice di funzionalità<br />

fluviale per un fiume<br />

toscano<br />

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GRE5<br />

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