Leggi - I Cistercensi
Leggi - I Cistercensi
Leggi - I Cistercensi
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
NOTIZIE<br />
CISTERCENSI<br />
3<br />
ANNO TERZO<br />
MAGGIO - GIUGNO<br />
1970<br />
Periodico bimestrale - Spedizione in Abbonamento Postale - Gruppo IV
NOTIZIE CISTERCENSI<br />
Periodico bimestrale di vita cistercense<br />
SOMMARIO<br />
P. POLICARPO ZAKAR, Le origini dell'Ordine Cistercense<br />
(II). Brevi osservazioni sugli studi degli ultimi quindici<br />
anni (1954-1969)<br />
PIERO BARGELLINI, Bernardo, Santo come uomo<br />
Le contraddizioni di un santo<br />
Florilegio Cistercense<br />
Elementi principali della vita cistercense odierna<br />
P. MALACHIA FALLETTI, La Certosa di Pavia<br />
Cronaca<br />
Fr. M. STEFANO HOÀNG, La vita monastica nel monastero<br />
di Cbau-son<br />
P. ILDEBRANDODI FULVIO, Emissione del suono e fonetica<br />
delle vocali<br />
La distribuzione del Salterio secondo lo «Schema C » dei<br />
<strong>Cistercensi</strong> Str. Obs.<br />
Le preci aggiunte alle lodi e ai vespri .<br />
J. DE LA CROIX BOUTON, Storia dell'Ordine Cistercense<br />
(sesta puntata)<br />
I monaci e la scrittura secondo il Concilio Vaticano II<br />
Direttore e Redattore:<br />
Don. Filippo M. Agostini O. Cist.<br />
Monastero Cistercense<br />
Certosa del Galluzzo - 50]24 Firenze<br />
Tel. 289.226<br />
Conto corrente postale 5/7219<br />
Pago 89<br />
» 112<br />
» 114<br />
» 117<br />
» 123<br />
» .133<br />
» 139<br />
» 148<br />
» 154<br />
» 158<br />
}) 165<br />
» 175<br />
» 185<br />
Abbonamento annuo: Italia L. 2.000<br />
Abbonamento annuo: Estero L. 3.000
Le origini dell'Ordine Cistercense (II) *<br />
Brevi osservazioni sugli studi degli ultimi quindici anni<br />
(1954-1969)<br />
2. LA POSIZIONE DI P. JEAN DE LA CROIX BOUTON<br />
Il Padre Jean de la Croix Bouton O.C.S.O. dell'Abbazia di<br />
Aiguebelle fu il primo che, sotto lo pseudonimo di Gérard de Beaufort,<br />
mosse rilievi alle tesi di Lefèvre. Egli pubblicò uno studio sulla Carta<br />
Caritatis quasi contemporaneamente ai primi due articoli di Lefèvre<br />
e nel postscriptum prese posizione contro la tesi di quest'ultimo (42),<br />
posizione<br />
datta (43).<br />
che più tardi conservò nella storia dell'Ordine da lui re-<br />
Nel suo articolo P. Bouton analizzando la CC l<br />
la confrontò con<br />
la Summa CC, e giunse alle seguenti conclusioni: il prologo della Ccl<br />
è posteriore, perché Stefano Harding non poteva parlare di sé in terza<br />
persona (44); nei diversi manoscritti la Ccl non presenta un contenuto<br />
identico e le differenze non si limitano a minute varianti di manoscritti<br />
(45); egli dice che a prima vista la Summa CC appare di origine<br />
posteriore alla ce: infatti la Summa CC usa già la terminologia<br />
abbas-parer e abbas-filius per riferirsi alle generazioni di monasteri<br />
susseguenti alla prima, mentre la C(1 conosce solo il rapporto fra<br />
Citeaux e le abbazie-figlie fondate direttamente da Citeaux. La Summa<br />
CC inoltre compendia diverse volte le prescrizioni della CC 1 ; d'altra<br />
parte i due documenti si scostano l'uno dall'altro in alcuni punti (46).<br />
Le differenze principali, secondo lui, sono tre:<br />
(~f) La prima parte di questo studio è stata pubblicata nel fascicolo gennaio-aprile<br />
1970 di «Notizie <strong>Cistercensi</strong>» III (1970), 1-17.<br />
(42) BOUTON, 437.<br />
(43) Fiches 23-29, pago 89-116.<br />
(44) BOUTON, 394.<br />
(45) Ibid., 395.<br />
(46) Ibid., 395-6.<br />
- 89-
a) I diritti del visrtatore sono piu ampiamente descritti, cioè<br />
più esattamente limitati dalla Summa CC che dalla CC (47);<br />
b) La Summa CC non dice ancora nulla circa l'uniformità dell'osservanza<br />
e dei libri liturgici (48);<br />
c) La Summa CC non conosce il divieto fatto agli abati di una<br />
filiazione di venire assieme al capitolo annuale, divieto che invece è<br />
presente nella ce (49).<br />
Da ciò egli conclude che la Summa CC si riferisce ad un testo<br />
precedente alla ce, testo che noi non conosciamo e che, egli dice,<br />
dobbiam.o chiamare la primissima CC, Carta anteprior (50).<br />
Circa la datazione, il P. Bouton, specialmente nella già nominata<br />
Storia dell'Ordine, prende la seguente posizione:<br />
1) Il testo approvato da Callisto II nel 1119 non era la CCI,<br />
e nemmeno la Summa CC, ma un testo più breve e più semplice della<br />
CC', testo che noi ancora non conosciamo (51 ).<br />
2) La Summa CC ha avuto origine fra il 1120 e il 1123.<br />
3) La CC originaria (« CC primitive ») è dell'anno 1114 e<br />
contiene in sostanza i primi sette capitoli della CCI.<br />
4) Il capitolo ottavo fu scritto nel 1118 o 1119, dopo la fondazione<br />
di Trois Fontaines, la prima figlia di Clairvaux.<br />
(47) BOUTON,397: «On est déja surpris de voir le resumé plus détaillé que le<br />
texte ... ». La Summa CC Cap. III ha le seguenti prescrizioni che mancano nella CC:<br />
« ... non ejus novitium in monachum benedicere; non ejus monachum ipso invito inde<br />
abducete; non alium ad habitandurn introducere ».<br />
(48) BOUTON,397. Bisogna però notare che tra i «capitula» (X) si trova già<br />
lo statuto: Quos libros non licet babere diuersos. P. Bouton pensa tuttavia che i capitula<br />
siano di origine leggermente posteriore, altrimenti sarebbero stati inseriti nel<br />
testo. Egli scrive ancora: «II nous semble que l'encha1nement des idées dans le chapitre<br />
de generali statuto de la Summa parait plus Iogique dans le développement du<br />
principe posé en premier lieu: nullam exactionem imponere ».<br />
(49) La CC, cap. VIII: « Ipsi vero cum his quos genuerint, annuum capitulum<br />
non habebunt ». BOUTON,401, scrive: «Là encore il y a eu évolution, et la Summa<br />
se réIève une disposition à laquelle la CC prior a apporté une modification », Si potrebbe<br />
tuttavia obiettare a P. Bouton: Se la Summa CC è un compendio della CC ad<br />
uso dei noviziati (come egli sostiene seguendo Turk, nell'articolo citato, pago 432:<br />
«manuel d'histoire de l' Ordre ... en vue d'instruire Ies novices »), allora egli non deve<br />
meravigliarsi se è stato tralasciato qualche punto della CC che non era importante<br />
per i novizi.<br />
(50) BOUTON,401-402: «Constatons-le une fois de plus: la Summa se réfère à<br />
un texte antérieur au ms. 31 de Laybach ». Più tardi egli usò per la primitiva CC<br />
il titolo di «CC primitive» al posto della infelice espressione «Carta anteprior ».<br />
(51) Ficbes 23, p. 89.<br />
- 90-<br />
-
5) I capitoli nono e undicesimo non possono esser nati pnma<br />
del 1116.<br />
6) Il capitolo decimo fu preso dalla Summa CC e incorporato<br />
più tardi.<br />
7) La CC2 va situata fra il 1165 e il 1178; la sua divisione in<br />
cinque capitoli con i rispettivi titoli (De uniformitate Ordinis, etc ... )<br />
non è anteriore al 1316 (52).<br />
8) 1'Exordium Parvum è degli anni 1111-1112, poiché fu<br />
scritto dalla prima generazione dei <strong>Cistercensi</strong>, anzi dallo stesso Abate<br />
Stefano Harding, per la seconda generazione; il capitolo decimottavo<br />
fu aggiunto però soltanto nel 1120 (53).<br />
Dunque, P. Bouton non tiene né le tesi « tradizionali », né quella<br />
di Lefèvre.<br />
Anzi, nel già menzionato postscriptum del suo articolo (54),<br />
P. Bouton critica le tesi di Lefèvre:<br />
1) Egli non può credere che i <strong>Cistercensi</strong> abbiano presentato<br />
a Callisto II solamente un riassunto della CC (per lui infatti la Summa<br />
CC è solamente un riassunto, ciò che invece Lefèvre contesta);<br />
2) La tesi di Lefèvre secondo il quale la proposizione del secondo<br />
capitolo dell'Exordium Cistercii (55) «sicut ab eodem patre<br />
digesta ... munita est» è una interpolazione, non è provata (56);<br />
(52) Vedi specialmente Ficbes 28, p. 110-111, dove egli presenta la sua tesi in<br />
maniera schematica e cerca di datare tutti gli statuti della ce e CCZ.<br />
(53) Fiches 23, p. 90. Frattanto P. Bouton ha cambiato opinione. Nell'introduzione<br />
alla traduzione francese dell'Exordium Paroum, apparsa in ciclostile nel volume Autour<br />
de la spiritualité cistercienne III (volume 1Y della serie Pain de Citeaux, Chambarand,<br />
1962), p. 102, egli a causa del capitolo XVIII data YExordium Parvum tra l'ottobre<br />
del 1119 e l'ottobre del 1120.<br />
(54) BOUTON, 433.<br />
(55) Vedi pp. 10-11 Not. Cisto III (1970), n. 1-2.<br />
(56) A questa obiezione rispose fin dal 1955 A. D'HERBLAY, Le problème des<br />
origines cisterciennes, RHE 50 (1955) 164: Lefèvre ha dimostrato fin dall'inizio che<br />
il tutt'uno costituito da Exordium Cistercii - Summa CC - Capitula venne presentato a<br />
Callisto II. f: chiaro che nell'Exordium Cistercii presentato al Papa non poteva esserci<br />
alcun cenno alla approvazione. Se nel testo che oggi possediamo essa c'è, bisogna concludere<br />
che si tratta di una interpolazione: «la preuve qu'il réclame est déjà donnée<br />
car il est clair camme le jour - c'est une lapalissade - que dans un document présenté<br />
au Pape pour demander son approbation, il ne peut pas ètre question de trouver<br />
mention de cette approbation comme déjà obtenue. Si elle y figure, c'est qu'elle a été<br />
ajoutée postérìeurement. Rien d'étonnant qu'après l'approbation obtenue en 1119, Ies<br />
copistes se soient plus à en faire état dans leurs codifications ».<br />
-91-
3) L'Exordium Cistercii non può derivare da Stefano Harding,<br />
poiché vi si legge: «Venerabilis Pater Stephanus sagacitate pervigili<br />
mire providerat discretionis scriptum... Domnus Stephanus... religionis,<br />
paupertatis disciplinaeque regularis ardentissimus amator, fidelissimus<br />
aemulator ». Queste frasi non le avrebbe potute scrivere lo stesso<br />
Stefano Harding.<br />
Come si vede, P. Bouton ha contribuito con le sue osservazioni<br />
alla soluzione delle questioni riguardanti l'origine dell'Ordine Cistercense<br />
(57).<br />
3. LE VARIE REAZIONI ALLE TESI DI LEFEVRE<br />
Alla breve critica di P. Bouton (58) e del P. Colombano Spahr (59)<br />
seguirono varie recensioni. Le più importanti sono quelle di A. d'Herblay<br />
(60), F. Masai (61), J. Marilier (62), che accettano le tesi di Lefèvre.<br />
Alle tesi di Lefèvre si allinearono anche alcuni libri, quali L. J.<br />
(57) Qualche volta però egli ha veramente sbagliato. A pago 426 egli traduce<br />
lo statuto 34 dell'Instituta Generalis Capituli (Ed. TURK 2; 21) che suona così: «Quod<br />
filia semel per annum visitet rnatrem ecclesiam: Statuit... Cisterciensis conventus,<br />
quatinus... matrem ecclesiam per abbatem suum, si sanus fuerit, visitet filia », «Si<br />
sanus fuerit » (se egli è in buona salute) presso Bouton diviene: «s'il est de bon<br />
sens» (se egli è di buon senso), anziché « s'i! est en bonne santé » come aveva già<br />
notato A. D'Herblay. BOUTON, 426 ha anche un'altra osservazione che può indurre<br />
in errore: «L'Abbé di Citeaux qui n'avait que dix monastères à visiter en 1119, en<br />
avait 40 en 1130 (Cfr. lettre de S. Etienne Harding à l'Abbé de Sherborne, dans<br />
Collectanea O.c.R. 1936, t. III, p. 66-69) et deux cents en 1145 », Nella lettera di<br />
Santo Stefano cui Bouton si riferisce non c'è alcuna parola circa il suo diritto e dovere<br />
di visita in quelle quaranta abbazie. Santo Stefano scrive semplicemente così: « Nunc<br />
enim qui solus de terra mea et pauper egressus sum: dives et cum quadraginta turbis<br />
viam universae carnis laetus ingredior ... ». In nessuna maniera è dimostrato che l'abate<br />
di Citeaux ai primi tempi dell'Ordine abbia avuto - anche solo per un breve periodo -<br />
il diritto di visita su abbazie non direttamente fondate da Citeaux. Il testo della CC,<br />
capitolo IV, «Cum vero Novi Monasterii Abbas ad aliquod horum coenobiorum visitandi<br />
gratia venerit ... » (TURK 1, 54) si riferisce solo alle abbazie figlie dirette di Citeaux,<br />
L'affermazione delle 200 abbazie da visitarsi nell'anno 1145 cade da sé. Cfr. anche V.<br />
HERMANS, Commentarium Cisterciense bistorico-practicum in Codicis canones de religiosis,<br />
Roma 1961, 156-157.<br />
(58) Vedi sopra pago 90-91.<br />
(59) K. SPAHR ha scritto una piccola nota sull'ultimo articolo di LEFÈvRE: Die<br />
Anftinge von Citeaux, in Bernhard von Clairvaux, Internationaler Bernbardkongress Mainz<br />
1953, Wiesbaden 1955, 222, nota 19. Cfr. anche il suo articolo: Charta Caritatis, in Lexikon<br />
fur Theologie und Kircbe, 2 ed., II (1958) 1033, dove lo Spahr data la ce al 1152. Le tesi<br />
di LEFÈVRE saranno descritte anche da V. DAMMERTZ,Das Yeriassungsrecbs der benediktinischen<br />
Monchskongregationen, St. Ottilien 1963, 26-32.<br />
(60) Vedi sopra pago 91, nota 56.<br />
(61) Scriptorium 11 (1957) 119-123.<br />
(62) Annales de Bourgogne 29 (1957) 132.<br />
- 92-
Lekai (63) e C. Bock (64), e negli ultimi anni J. F. Lemarignier (65)<br />
e V. Dammertz (66). Solo C. Noschitzka espresse alcune riserve (67).<br />
4. LA CRITICA DI WINANDY<br />
J. Winandy, abate emerito di Clervaux (Lussemburgo) (68) fu<br />
il primo a sottoporre a critica profonda le tesi di Lefèvre. Egli riconosce<br />
a Lefèvre il grande merito di aver posto la questione in una<br />
maniera completamente nuova, pensa però che «la bella costruzione<br />
da lui edificata si presenti in alcune parti pericolosamente debole» (69).<br />
Riassumiamo così le sue osservazioni:<br />
1) La tesi secondo la quale l'Exordium Cistercii sia il prologo<br />
letterario della codificazione del 1119 non è accettabile, perché per<br />
l'autore del prologo l'approvazione papale è stata già data (« sigilli<br />
quoque apostolici auctoritate munita est ») e la teoria di Lefèvre che<br />
la frase sia una interpolazione tardiva non è in nessun modo provata (70).<br />
2) La Summa CC è un riassunto della CC (« hic breviter perstringemus<br />
»), e non il testo presentato al papa.<br />
(63) Les moines blancs, Histoire de l'Ordre Cistercien, Paris 1957, passim.<br />
P. Lekai ha però mitigato alcune tesi di Lefèvre, Un po' più tardi (Citeaux 11,<br />
1960, 159) scrisse la seguente frase: « Inoltre il problema è ancora soggetto ad ulteriori<br />
discussioni, e allo stato attuale delle ricerche è estremamente pericoloso proporre una<br />
qualche opinione attribuendole valore duraturo ».<br />
(64) Les Codifications du droit Cistercien (serie di articoli apparsi in Collectanea<br />
0.c.R. 1947 - 55); l'estratto: Westmalle 1955, 157-59.<br />
(65) Les institutions ecclésiastiques en France de la fin du X' à milieu du XII'<br />
siècle, Histoire des institutions [rançaises au Moyen Age (edito da F. Lot e R. Fawtier)<br />
volume III, Parigi 1962, 127-132.<br />
(66) Vedi pago 92, nota 59.<br />
(67) Die kirchenrechtliche Stellung des restgmerten Regularabtes ..., Analecta S.O.<br />
Cisto 13 (1957) 157-178, dove egli tratta dello jus constitutianale primigenium dell'Ordine.<br />
A pagina 171 scrive: «Per quanto riguarda la Summa CC potremmo dunque<br />
dire in generale che essa, quando tratta il nostro tema, costituisce uno stato intermedio<br />
tra la CC' e la CCZ,. ma, stando alle parole e all'uso delle espressioni, la Summa CC<br />
è molto più vicina alla CC' », Due sono gli argomenti principali di C. Noschitzka:<br />
primo, la sostituzione dell'espressione «Abbas Novi Monasterii » della CC' coll'espressione<br />
« pater-abbas » della Summa CC (pater-abbas = abate della casa madre); secondo,<br />
nella Summa CC l'abate di Ctteaux assume la denominazione di «Abbas Cisterciensis »<br />
e non quella di «Abbas Novi Monasterii »,<br />
(68) Vedi nell'elenco delle abbreviazioni, sotto WINANDY.<br />
(69) WINANDY, 49: « ... les pages qui suivent voudraient relever, dans la belle<br />
construction édifiée par M. Lefèvre, les endroits qui me paraissent grevés d'une dangeureuse<br />
faiblesse »,<br />
(70) Ibid., 51.<br />
- 93-
3) Non è probabile che Santo Stefano nel 1119 abbia potuto<br />
scrivere frasi tanto laudative della sua persona quali quelle che si<br />
trovano nell'Exordium Cistercii (71).<br />
4) Winandy non crede che si possa correggere «viginti abbates»<br />
dell'Exordium Cistercii in «duodecim abbates», perché tutti i<br />
manoscritti hanno la lezione «viginti »; nella frase precedente dell'Exordium<br />
Cistercii non bisogna leggere «venti anni e dodici abbati<br />
», ma «venti abbati e dodici anni» (72). Secondo Winandy il<br />
terminus ad quem di questi dodici anni è il 1119, e il terminus a quo<br />
è il 1107, che, secondo lui, è l'anno della elezione di Stefano Harding<br />
ad abbate di Citeaux, e non l'anno 1112, che spesso è preso come<br />
anno dell'ingresso di San Bernardo a Citeaux (secondo Winandy, San<br />
Bernardo entrò a Citeaux nel 1113)(73).<br />
5) L'Exordium Parvum è, sempre secondo Winandy, di origine<br />
certamente posteriore all'Exordium Cistercii (come del resto pensa<br />
anche Lefèvre), ma esso non è l'introduzione storica della CC presentata<br />
ad Eugenio III: infatti Eugenio III, cistercense, non ne avrebbe<br />
avuto bisogno; per di più, la ce con gli Instituta Generalis Capituli<br />
non potevano essere presentati al papa a motivo del contenuto<br />
ibrido e di scarsa importanza. Winandy osserva anche che la CC non<br />
corri.sponde in alcuni punti alla bolla « Sacrosancta» di questo papa:<br />
questo è per lui un altro argomento contrario alle tesi di Lefèvre.<br />
L'Exordium Parvum e la CC, secondo Winandy, sono nati tra<br />
il 1134 (anno della morte di Santo Stefano Harding) ed il 1152 (74).<br />
(71) «Cui successit Domnus Stephanus, homo natione Anglicus, religioni s, paupertatis<br />
disciplinaeque regularis ardentissimus amator, fidelissimus aemulator ». Winandy<br />
scrive (pag, 53): «Pour parler en ces termes de saint Etienne, l'Exordium Cistercii a<br />
da ètre écrit soit après la mort de ce dernier (1134), soit ailleurs qu'à Citeaux; de<br />
toute façon, à I'insu de l'intéressé », Egli data il testo tra il 1119 e il 1148. (Nel 1148<br />
venne scritto il primo libro della Vita prima Bernardi, per la quale Guglielmo di S.<br />
Thierry usò certamente l'Exordium Cistercii.<br />
(72) Vedi pago io, nota 13, Not. Cist. III (1970), n. 1-2.<br />
(73) Il problema dell'anno di entrata di San Bernardo lo tratteremo più oltre,<br />
a pago 103, nota 114.<br />
(74) WINANDY, 69 contesta che la ce e gli Instituta Generalis Capituli siano<br />
una vera codificazione presentata alla Santa Sede, come sostiene la tesi principale di<br />
Lefèvre e scrive: «C'est une compilation informe, OÙ abondent les redites, où les<br />
status sont venus sans ordre s'ajouter les uns aux autres, au fur et à mesure qu'en<br />
édictaient les chapitres généraux successifs, où l'on passe et repasse des règles concernant<br />
la Constitution de l'Ordre à des prescriptions ayant trait aux détails les plus minimes<br />
de I'observance, où la mesure d'avoine à donner aux chevaux des moines de passage<br />
voisine avec la punition à infliger aux abbés négligents ou boudeurs qui, présents à<br />
Cìteaux, s'abstiennent à paraitre à une réunion du chapitre général. Y a-t-il quelque<br />
- 94-
Così D. Winandy è giunto a conclusioni del tutto diverse da<br />
quelle di Lefèvre, anche se egli riconosce che le sue tesi e le sue ipotesi<br />
devono molto ai lavori di Lefèvre (75).<br />
5. LE RICERCHE DI P. JEAN BAPTISTE VAN DAMME<br />
P. J. B. Van Damme O.C.S.O. dell'abbazia di Westmalle curò<br />
per primo una minuziosa indagine sulle singole questioni suscitate da<br />
Lefèvre. Egli scrisse prima cinque articoli nel Collectanea O.C.K (76),<br />
poi esaminò gli Instituta Generalis Capituli apud Cistércium (77),<br />
le questioni giuridiche degli inizi (78) e finalmente i singoli statuti<br />
della CC l che egli fa risalire al 1165 (79).<br />
P. Van Damme nei suoi articoli procede sistematicamente: tratta<br />
in primo luogo la questione della primissima, originaria CC, poi la CC<br />
del 1119, l'Exordium Parvum e in fine la CC l . Noi qui seguiamo la<br />
sua esposizione, ma aggiungiamo subito le nostre osservazioni.<br />
a) La primissima Carta Caritatis<br />
Secondo P. Van Damme la pnmrssima CC (« la véritable CC<br />
primitive») è del 1113, e risale quindi, al più tardi, al tempo della<br />
fondazione di La Ferté. Egli ammette che i documenti non ci dicono<br />
esplicitamente niente di ciò (80), ma pensa che la prima origine della<br />
apparence qu'un tel fatras ait été présenté à l'approbation pontificale? ». Winandy non<br />
dimostra che l'Exordium Parvum non ha avuto origine prima del 1134. Egli scrive<br />
soltanto (p. 70): « ... on le voit malaisément rédigé avant la mort de Saint Etienne<br />
(1134)>> - perché egli vede nell'Exordium Parvum una certa critica al terzo abate di<br />
Citeaux. Si noti inoltre che Winandy sbaglia riguardo alla canonizzazione di San Roberto<br />
di Molesme quando scrive: «Quant à l'opinion cistercienne, il ne faudrait pas<br />
oublier que c'est le chapitre général de Citeaux qui a demandé la canonisation de Saint<br />
Robert (cfr. lettre d'Honorius III aux évèques de Langres et de Valence et à l'abbé de<br />
Cluny, 25 janvier 1221, P.L. 157, 1228).<br />
On ne voit pas sur quoi M. Lefèvre peut s'appuyer pour attribuer cette démarche<br />
à l'habilité du successeur de Saint Robert à Molesme (Anal. Bolland., 1956, p. 8) »:<br />
Winandy 67, n. 3. L'Abate emerito di Clervaux evidentemente non conosceva lo statuto<br />
53 del capitolo generale dell'anno 1220: «Petitio Abbatis Molismensis de scribendo<br />
Domino Papae pro canonisatione venerabilis Roberti Abbatis exauditur ».<br />
(75) Ibid., 75: « ... si elles (les conclusions) s'écartent notablement de celles<br />
de M. Lefèvre, elles lui doivent néanmoins beaucoup ».<br />
(76) Vedi nell'elenco delle abbreviazioni, sotto VAN DAMME 1.<br />
(77) VAN DAMME 2. Questo articolo, che tratta un argomento molto complicato,<br />
è stato esaminato in Réponse aux «Quelques à-propos » du Père Van Damme sur<br />
les origines cisterciennes: quelques conclusions: Analecta Cisto 21 (1965), 155-162.<br />
(78) VAN DAMME 3.<br />
(79) VAN DAMME 4.<br />
(80) VAN DAMME 1, 1958, 30: «Si les documents n'en ont conservée aucune<br />
trace ali moment de la première fondation, celle de La Ferté en 1113 ... ».<br />
- 95-
Carta Caritatis debba farsi risalire a quegli anni, poiché in quegli anni<br />
Citeaux già pensava certamente alle nuove fondazioni, e senza un documento<br />
giuridico il nuovo Ordine non sarebbe stato al sicuro dalle<br />
ingerenze dei Vescovi. Una nuova fondazione di Citeaux, pur non essendo<br />
esente dalla giurisdizione vescovile, significava una limitazione<br />
del diritto del vescovo diocesano su questa nuova abbazia; per cui,<br />
al momento della fondazione diveniva necessario presentare al vescovo<br />
la Carta Caritatis, onde evitare eventuali futuri malintesi.<br />
P. Van Damme pensa di poter provare le sue asserzioni anche<br />
dalle parole dell'Exordium Cistercii dove si dice che l'abate Stefano<br />
«con grande previdenza aveva provveduto» (providerat) ed aveva<br />
redatto uno scritto improntato ad ammirevole discrezione e prudenza,<br />
e precisamente (come dal canto suo dice il prologo della CC) « antequam<br />
Abbatiae Cistercienses florere inciperent ». Secondo P. Van<br />
Damme dunque la CC primissima risale al più tardi al 1113 (81), come<br />
già aveva cercato di provare P. Otto Ducourneau con gli stessi argomenti<br />
(82). Egli vede confermata la sua teoria nel documento di fondazione<br />
di Pontigny, nel quale si fa menzione della CC (83).<br />
In seguito P. Van Damme cercò di identificare il testo di questa<br />
primissima CC, testo che Lefèvre e Winandy avevano identificato nei<br />
primi tre capitoli della CCI e p, Bouton nei primi sette (84),<br />
Da una attenta lettura della ce egli pensa si possa arguire che<br />
la primissima CC è costituita dal primo capitolo della CCI. Secondo<br />
(81) VANDAMME1, 1958, 40-41. Per intendere il metodo dell'autore dovremmo<br />
citare il relativo capoverso, cosa che non possiamo fare per mancanza di spazio. P. Van<br />
Damme in quelle pagine è dell'opinione che fin dal 1113 si pensava al capitolo generale<br />
di una grande famiglia (sous la dépendance... du Patriarche de la grande Famille »),<br />
Citiamo anche le ultime frasi:<br />
eu la prévoyance, « providerat »,<br />
«Enfin, on lit<br />
de rédiger un<br />
dans les sources qu'Etienne<br />
écrit admirable de discrétion<br />
avait<br />
et de<br />
prudence (Exordium Cistercii), et cela préalablement aux premières fondations, «antequam<br />
abbatiae Cistercienses florere inciperent » (CC prior et CC posteriori. Aucune<br />
raison ne permet pas de fìxer ce début à la seconde plutòt qu'à la première fondation.<br />
Les documents nous enseignent que la CC existait dès le début de l'expansion de<br />
l'Ordre, c'est-à-dire dès 1113, et aucun indice positif n'a été allégué jusqu'ici pour<br />
écarter de cette date ».<br />
(82) D. Othon DUCOURNEAU,Les origines<br />
(1933) 186-188. Per Doucourneau la parola «florere»<br />
cistercietmes, Reuue Mabillon 23<br />
significa solo «esistere» (« exister,<br />
prendre naissance»). Van Damme non cita il lavoro di Ducourneau, ma i suoi argomenti<br />
sono quasi identici. Egli non accetta la teoria di Ducourneau secondo il quale la<br />
frase del prologo della CC «decretum inter cisterciense coenobium et caetera ex eo<br />
natii» debba essere tradotta «l'accordo fra Citeaux e gli altri monasteri che sarebbero<br />
fondati da Citeaux »: egli ritiene che la suddetta frase sia una interpolazione posteriore:<br />
VAN DAMME 1, 1958, 159.<br />
(83) Cfr. pago 12, nota 20 Not. Cisto III (1970), n. 1-2, e le seguenti osservazioni<br />
subito in nota.<br />
(84) Vedi sopra, pag, 11 Not. Cist. III (1970), n. 1-2 e pago 90-92, e WINANDY, 52.<br />
- 96-
lui infatti la prima parola del prologo della ce «Antequam» è in<br />
stretto rapporto con la prima parola del secondo capitolo «Nunc ».<br />
Ciò che sta prima di questa parola « Nunc » del secondo capitolo e<br />
viene introdotto da «Antequam », prima parola del prologo, è stato<br />
scritto prima della fondazione di La Ferté e costituisce perciò la primissima<br />
Cc. Egli cerca anche di provare la sua argomentazione con<br />
un confronto tra il prologo della CC 1 e il primo capitolo della medesima<br />
ce: in ambedue i passi crede di trovare le medesime idee (85).<br />
Non è facile dire quale grado di certezza P. Van Damme voglia<br />
attribuire alle sue asserzioni. Si tratta di una tesi o semplicemente di<br />
una congettura più o meno probabile? Egli dice che non si hanno<br />
elementi positivi per precisare l'evoluzione della cc dal 1113 al Ili9:<br />
in queste condizioni si possono fare solo ipotesi e supposizioni, e lo<br />
storico dovrebbe conservare un prudente silenzio. Egli invece, nel titolo<br />
premesso a queste conclusioni promette una «risposta semplice<br />
e sicura »; e un po' oltre scrive: «Il confronto del prologo col primo<br />
capitolo della CC 1 ci mostra con evidenza che il redattore della ce<br />
intendeva isolare in qualche modo il primo capitolo della ce da tutto<br />
il resto appunto perché il capitolo primo della CCl costituiva da solo<br />
il testo del 1113 (86).<br />
L'esposizione dell'autore non ci ha convinto. Che SI SIa dovuto<br />
fare un accordo col vescovo di Chalon-sur-Saòne per la fondazione di<br />
La Ferté, è certo per il diritto generale della Chiesa (87). Ma da questo<br />
fatto alla conclusione di una CC originaria c'è un salto che diventa<br />
(85) VAN DAMME 1, 1958, 47-48: «Chose intéressante: cette introduction à la<br />
CC composée par Etienne et ses frères, avant l'expansion de l'Ordre, renferme trois<br />
idées que l'on retro uve exactement dans le chapitre premier de la CC-prior ». «A<br />
l'Antequam de l'introduction répond ... le nunc vero; le lien logique est clair ».<br />
(86) Ibid., 46: « Toutes ces réflexions nous engagent à garder un silence prudent<br />
sur le texte exacte de la CC primitive »; ma alla pagina 47 scrive: « ... La comparaison<br />
montre à l'évidence que, dans l'intention du rédacteur de la CC-prior, Celle de 1113<br />
fut constituée uniquement par le premier chapitre de la CC-prior ». In un seguente<br />
articolo (V AN DAMME 3, 129) qualifica la sua tesi come «opinione », ma la tratta come<br />
cosa che non possa essere messa in dubbio. In VAN DAMME 1, 1959, 155 si legge<br />
anche quanto segue: «D'après l'état actuel des textes, la CC originale date de 1113<br />
et nous est conservée integralement dans le chapitre 1 de la CC-prior ». Qui ci si deve<br />
di nuovo domandare che cosa voglia significare la frase «d'après l'état actuel des<br />
textes », O i testi che oggi conosciamo non ci danno alcuna sicura informazione, e<br />
allora dobbiamo Iimitarci ad avanzare semplici congetture senza proporre solide affermazioni<br />
come fa qui il P. Van Damme; oppure i testi sono già sufficienti per una<br />
solida affermazione, e allora lo «status quaestionis » non cambierà neppure se domani<br />
scoprissimo nuovi manoscritti.<br />
(87) Vedi per esempio ]. GAUDEMET, Histoire des Institutions [rançaises au<br />
Moyen Age, volume 3, Parigi 1962, 237-238.<br />
- 97-
tanto più grande se si vuole identificare questa pnmissima CC con il<br />
primo capitolo della ce. Gli argomenti portati non sono solidi.<br />
Sarebbe necessario esaminare attentamente ancora una volta il<br />
testo conosciuto come carta di fondazione di Pontigny. Il testo è sicuramente<br />
dell'anno 1114? (88). Non si potrebbe trattare di una interpoIazione<br />
posteriore nella frase «Cartam vero Caritatis et unanimitates<br />
inter Novum Monasterium et Abbatias ab eo propagatas compositam<br />
et corroborata m »? (89).<br />
Noi abbiamo l'impressione che dall'Exordium Cistercii e dal prologo<br />
della CCI P. Van Damme deduca molto più di quello che gli<br />
stessi testi riferiscono. « Porro a principio cum novos in ramos novella<br />
coepisset pullurare plantatio » (Exordium Cistercii) significa difficilmente<br />
la fondazione di La Ferté: è più probabile che questa frase si<br />
riferisca ad anni successivi (pullulare) (90). Il testo del prologo della<br />
CCI in nessun caso voleva precisare l'anno della composizione della<br />
Cc. P. Van Damme stesso sa che il testo del prologo è problematico<br />
m alcuni punti (91), ed ha avuto difficoltà per la sua datazione (92).<br />
Noi siamo quindi d'accordo col P. Van Damme nel riconoscere<br />
(88) ]. B. MAHN, L/Ordre Cistercien et son gouuernement dès origines au milieu<br />
du XIII" siècle (1098-1265), Parigi 1945, 64, n. 2 scrive già: « ... rien ne prouve que<br />
cette notice soit bien de 1114 », Il testo che oggi conosciamo proviene dal Cartularium<br />
Pantiniacense che fu scritto intorno al 1170 (oggi ms. 9887 della Biblioteca Nazionale<br />
di Parigi). Nel testo non c'è nessuna data. VAN DAMME 1, 1958; 41, al n. 13: « ... Dans<br />
la charte de fondation de Pontigny, mème dans l'hypothèse que son rédacteur en 1125<br />
aurait eu I'intention ... », dove egli non spiega perché abbia datato il documento al 1125.<br />
]. MARILIER, Cbartes et documents concernant l'Abbaye de Citeaux, Biblioteca Cisterciensis,<br />
Roma 1961, 66 pensò che il testo fosse stato redatto dopo la morte del Vescovo<br />
Humboldo, e dunque dopo il 1116. È un fatto che il suddetto Vescovo Humboldo<br />
mori ad Auxerre al più tardi il 20 novembre 1115. Osserviamo anche che in questo<br />
testo Citeaux viene chiamato «Novum Monasterium id est Cistercium ».<br />
(89) Vedi la spiegazione di Lefèvre sulla già uirtualiter avvenuta fondazione<br />
di Pontigny, a pago 12, nota 4, Not. Cisto III (1970), n. 1-2.<br />
(90) Pullulare dice già secondo Lattanzio, San Girolamo ed altri autori una<br />
proliferazione non solo continua, ma anche abbondante. Cfr. A. BLAISE - H. CHIRAT,<br />
Dictionnaire latin - [rançais des auteurs cbrétiens, Turnhout 1963, 684.<br />
(91) Cosi per esempio l'espressione «per abbatias in diversis mundi partibus<br />
corporibus divisis ». Van Damme pensa che l'autore del prologo (l'abate Stefano Harding,<br />
secondo lui) volesse nominare soltanto diverse provincie e intendesse provvedere al<br />
futuro. In base al capitolo XVIII dell'Exot'dium Parvum egli pensa anche che l'espressione<br />
«quorum exernplo senes, juvenes diversaeque aetatis homines in diuersis mundi<br />
partibus animati ... superba colla jugo Christi suavi subdere » si debba applicare a coloro<br />
che sarebbero entrati nelle dodici abbazie esistenti allora in Francia: VAN DAMME 1,<br />
1958, 158. Certo nel secolo XII ci si rappresentava le « partes mundi» diversamente<br />
da come ce le rappresentiamo noi oggi: tuttavia ci sembra che l'interpretazione surriferita<br />
non sia priva di difficoltà. C'è infatti da domandarci ancora se si può, qui, col<br />
capitolo XVIII provare qualche cosa. Torneremo più avanti su questa questione. Perfino<br />
Van Damme pensa che il prologo della CC oggi conosciuto sia stato interpolato<br />
in epoche successive. Vedi sotto, a pago 100, nota 99.<br />
(92) VAN DAMME 1, 1958, 167-168: « Avant de formuler la conclusion de ce<br />
paragraphe, extrayons de ce long examen la liste des passages dont l'appartenance à<br />
- 98
che fino a questo momento non esiste una prova posrtiva per dimostrare<br />
che la primissima CC non possa risalire fino al 1113; pensiamo<br />
però non sia neppur provato che fin dal 1113 esistesse già una parte<br />
della CC, fosse pure il solo capitolo primo. Il compito dello storico<br />
non consiste nel dimostrare che una possibilità debba essere esclusa,<br />
bensì quello di risalire dalle fonti ai fatti.<br />
b) La Carta Caritatis del 1119<br />
Relativamente alla CC del 1119 il P. Van Damme concorda con<br />
la tesi di Dom Winandy, secondo il quale il testo approvato da Callisto<br />
II nel 1119 non era in nessun modo la Summa CC che noi conosciamo<br />
oggi (93); discorda però da Dom Winandy quando si tratta di determinare<br />
il testo del 1119. P. Van Damme pensa cioè che Dom Winandy<br />
abbia sostenuto la tesi secondo la quale la CC del 1119 fosse costituita<br />
dai capitoli 3°, 4° e 9° del manoscritto ritrovato a Trento (Ms.<br />
1711) (94), e si meraviglia non poco che l'Abate emerito di Clervaux<br />
non abbia provato la sua (pretesa) tesi (95). Inoltre P. Van Damme<br />
esclude il 1119 e fa risalire la Summa CC al 1123-1124 (96).<br />
Dopo questa esposizione, egli si sforza di ricostruire il testo approvato<br />
nel 1119, sottomette ad analisi la CC} e tenta di respingere<br />
l'asserzione di Lefèvre e Winandy circa la pretesa ibridità della CC<br />
mostrandone la sua logica costruzione (97).<br />
la teneur originale de la CC-prior est exclue ou douteuse: Introduction: la première<br />
partie date d'après 1119 », Intanto egli non precisa quando la seconda parte abbia<br />
avuto origine, non dice cioè con esattezza in quale degli anni successivi al 1119 la<br />
prima parte sia stata scritta. BOUTON394, pensava che il prologo fosse del 1120, mentre<br />
egli, nel Fiches 28, pago 110-111 menziona il prologo soltanto assieme alla CCI del 1151.<br />
(93) Vedi sopra, a pago 93-95. Van Damme aggiunge un nuovo argomento: l'Exordium<br />
Cistercii e la Summa CC formano un tutt'uno ed hanno lo stesso autore; nell'Exordium<br />
Cistercii si parla di Santo Stefano in terza persona; quindi Santo Stefano<br />
non è l'autore dell'Exordium Cistercii e non è neppure l'autore della Summa CC,<br />
mentre egli è, secondo tutte le fonti, l'autore (principale) della Cc. Si potrebbe però<br />
obiettare a Van Damme che anche nel prologo della CC si parla di Santo Stefano Harding<br />
in terza persona. E se Van Damme accetta Santo Stefano quale autore del prologo<br />
della CC (VAN DAMME 1, 1958, 48), si potrebbe accettarlo anche come autore della<br />
Summa Cc.<br />
(94) VANDAMME1, 1958,57: « Examinons maintenant la thèse de Dom Winandy<br />
qui voit la CC de 1119 dans une partie seulement de la Summa Cc. Cette partie comprendrait<br />
trois passages, retrouvés respectivement dans les chapitres III, IV et IX du<br />
Trente 1711 ».<br />
(95) Ibid., 57-58: «Pour déterminer ce choix le Révérendissime Père n'apporre<br />
aucune preuve tirée directement des découvertes paléographiques ... pour soutenir cles<br />
thèmes tellement neufs ..., on aurait aimé une argumentation solide et détaillée ».<br />
(96) Torneremo sulla questione nel prossimo punto.<br />
(97) WINANDY,52: « Lorsqu'on lit attentivement la Summa CC, on s'aperçoit<br />
bientòt qu'on est en présence d'un texte hybride, aussi hybride que la CC Prior », Cfr.<br />
pago 94-95, nota 74.<br />
- 99-
Alla fine della sua analisi P. Van Damme giunge alla conclusione<br />
che la CC «presenta una forma lievemente evoluta rispetto alla CC<br />
del 1119 »(98). In particolare egli pensa che:<br />
1) il prologo fu interpolato più tardi, perché la disposizione<br />
di presentare la CC ai vescovi per la ratifica fu stabilita dopo l'approvazione<br />
papale; i vescovi erano quelli nelle cui diocesi venivano fondati<br />
i monasteri (99).<br />
2) Nel sesto capitolo, forse un periodo è di origine posteriore<br />
(100).<br />
3) L'autenticità del capitolo decimo non è del tutto sicura.<br />
4) Fatte queste eccezioni, il testo della CC che nOI oggi cono-<br />
SCIamo è il testo approvato da Callisto II.<br />
Noi siamo d'accordo col P. Van Damme nell'ammettere che il<br />
testo presentato al Papa nel 1119 non era la Summa CC, ma la CC,<br />
anche se possiamo pensare che questa CC del 1119 fosse un po' più<br />
breve e più semplice della CCI che conosciamo oggi.<br />
La ricostruzione del prologo fatta dall'autore non ci ha convinti.<br />
Noi siamo molto più inclini ad ammettere che tutta la prefazione sia di<br />
ongine posteriore. L'espressione del testo «in diversis mundi partibus<br />
», il fatto che si parli di Santo Stefano Harding in terza persona<br />
(98) VAN DAMME 1, 1958, 168: «A la rigueur on peut reconnaitre que la CCprior<br />
représente un état légèrernent évolué de la CC de 1119 ».<br />
(99) VAN DAMME 1, 1958, 159-160: Egli cita anche il testo del manoscritto 30<br />
di Laibach (cfr. TURK 1, 61): «Supradictum itaque decretum seu Cartam Caritatis<br />
cum praedicti patres ipsius conditores ab Apostolicae Sedis gratia confirmatum jure<br />
perpetuo obtinuissent, inter se non improvide statuerunt... quod nulla deinceps abbatia<br />
Ordinis in alicujus antistitis dyocesi fundaretur, antequam praedictum decreturn ... ipse<br />
ratum haberet propter materiam discordiae ac scandali inter alterutrum evitandum ».<br />
Diamo qui il testo ricostruito da Van Damme accanto al testo dei manoscritti (in<br />
corsivo le parole che Van Damme ritiene interpolate):<br />
Testo dei manoscritti: Prefazione della CC del 1119 secondo<br />
Van Damme:<br />
«Antequam abbatiae<br />
Cistercienses florere inciperent<br />
Domnus Stephanus Abbas<br />
et fratres sui<br />
ordinauerunt, ut nullo modo in alicujus<br />
antistitis dioecesi [undarentur, ...<br />
«Antequam abbatiae (ecclesiae?)<br />
I n hoc ergo decreto praedicti [ratres<br />
mutuae pacis futurum praecaventes nau- mutuae pacis futurum praecaventes naufragium,<br />
elucidaverunt et statuerunt...» fragium, elucidaverunt et statuerunt...»<br />
(100) Si tratta di questa frase: « si vero (Abbas Novi Monasteri) praesens fuerit,<br />
nihil horum agat, sed in refectorio cornedat; prior autem loci negocia cenobii disponat ».<br />
- 100-<br />
florere inciperent<br />
Stephanus Abbas<br />
et fratres sui<br />
-
(mentre nel primo capitolo se ne parla in prima persona plurale) sembrano<br />
indicare un' origine posteriore (101).<br />
Non sappiamo invece spiegarci come abbia fatto P. Van Damme<br />
ad attribuire a Dom Winandy la tesi secondo la quale il testo approvato<br />
nel 1.119 consiste nei capitoli 3 o, 4 o e 9 o del manoscritto 1711 di<br />
Trento (e cioè i capitoli 3 o e 4 o della cosiddetta Summa CC e il capitolo<br />
9 0 dei Capitula). Noi abbiamo letto attentamente più volte il<br />
testo di Dom Winandy, ma non abbiamo trovato in nessun punto una<br />
simile asserzione. La tesi di Dom Winandy relativamente ai capitoli<br />
in questione ha il senso seguente: L'Exordium Cistercii, che con la<br />
Summa CC forma un tutt'uno, è di origine posteriore al 1119, e per<br />
conseguenza non poté essere presentato al Papa nel 1119 (102). Inoltre,<br />
secondo Dom Winandy la Summa CC non è giunta a noi nella<br />
sua forma originale. La Summa CC coi Capitula che conosciamo ha un<br />
carattere ibrido: anche per questo motivo non poté essere presentata<br />
al Papa nella forma che conosciamo oggi. Dom Winandy cercò poi di<br />
ricostruire la forma originale della Summa CC, che egli pensa di aver<br />
ritrovato nei tre capitoli in questione; ma non solo non sostiene mai<br />
che questi vennero presentati nel 1119 a Callisto II; ché anzi esclude<br />
una tale possibilità quando pensa che l'Exordium Cistercii fu redatto<br />
dopo il 1119 (e prima del 1148) e che questi tre capitoli seguivano<br />
l'Exordium Cistercii e formavano un tutt'uno con esso (103).<br />
(101) Conosciamo un solo manoscritto (Codex Lat. Monacensis 28224) della ce<br />
che non abbia la prefazione; ma ciò può anche significare che il testo giaceva bene<br />
anche senza prefazione. Vale la pena citare la prefazione della ce dal manoscritto di<br />
Laibach 30 (testo di TURK 1, 57): « Antequam Ordo Cysterciensium esset plurimum<br />
dilatatus, Domnus Stephanus abbas Cisterciensis curo conventu suo ceterique abbates<br />
praedicti Ordinis de conventuum suorum consensu unanimi quoddam statutum seu<br />
decretum concorditer ediderunt, in quo idem patres mutuae pacis, caritatis disciplinaeque<br />
naufragium praecaventes dilucide statuerunt ac in suis scriptis suis posteris<br />
reliquerunt quo pacto, quo modo, qua caritate tam ipsi quam monachi eorundem per<br />
abbatias diversis mundi partibus corporibus divisi animis indissolubiliter unirentur ... ».<br />
(102) Vedi sopra, pago 94, nota 71.<br />
(103) WINANDY, 53: « ... le texte actuel de la Summa CC ne représente nullement<br />
la codification présentée à l'approbation de Calliste II en 1119, mais une compilation<br />
postérieure, laquelle a rassemblé tant bien que mal, à la suite de l'Exordium Cistercii,<br />
le resumé qui suivait primitivement ce dernier ». Ibid., 75 scrive sopra la datazione dell'Exordium<br />
Cistercii: «Le premier de ces textes (Exordium Cistercii) a été rédigé entre 1119<br />
et 1148. Il a dù se présenter dabord sous une forme purement narrative et descriptive: après<br />
un bref récit des origines de Citeaux, il donnait un aperçu succinct de la Charte de Charité,<br />
que l'on peut, semble-t-il, retrouver au moins en partie dans l'amalgame juridique qui<br />
l'a remplacé dans la suite ». A pagina 53 egli ha già fatto la seguente costatazione:<br />
« Si donc il est vrai, comme je crois l'avoir montré, que le Exordium Cistercii est posrérieur<br />
au 23 décembre 1119, date de l'approbation par Calliste II de la Charte de<br />
Charité ... », La Summa CC da sola non sarà datata da lui né nella forma conservataci<br />
dai manoscritti né nel suo (di Winandy) testo ricostruito, perché essa secondo lui forma<br />
un tutt'uno con l'Exordium Cistercii; e quindi se l'Exordium Cistercii è posteriore al<br />
1119, posteriore al 1119 dovrà essere anche la Summa Cc.<br />
- 101-
Lo stesso P. Van Damme tenta di costruire un «sistema », sistema<br />
che egli pensa sia sostenuto anche da Dom Winandy (104). Ma<br />
l'abate di Clervaux era prudente, corresse la tesi di Lefèvre (105) in<br />
punti essenziali e rinunciò a costruire un sistema completo, che egli riteneva<br />
cosa prematura.<br />
c) L'Exordium Cistercii e la Summa Cartae Caritatis<br />
P. Van Damme formula cosi le sue tesi:<br />
« La Summa CC risale all'anno 1123 o 1124 e ci dà fedelmente<br />
il contenuto della CC del 1119. Questa però non vuole<br />
essere un riassunto servi le della cc completa, ma ne costituisce<br />
una redazione molto personale» (106).<br />
Egli rifiuta con Dom Winandy la proposta, fatta da Turk e da<br />
Lefèvre, di correggere tutti i manoscritti riducendo il numero degli abbati<br />
da venti a dodici (107) e riferisce l'espressione citata ai venti abbati<br />
già attivi nel loro incarico (108). Cosi è dato il terminus post quem:<br />
il 1123, l'anno in cui l'Ordine contava venti monasteri. Un altro elemento<br />
utile alla datazione della Summa CC, il P. Van Damme lo trova<br />
in un luogo dell' Exordium Cistercii nel quale si dice che l'Ordine in<br />
circa dodici anni aveva venti monasteri (109), mentre l'Exordium Parvum<br />
(Cap. XVIII) ci riferisce che l'Ordine in otto anni possedeva dodici<br />
monasteri. Secondo P. Van Damme il terminus a quo di questi due<br />
enunciati è l'anno 1112, cioè l'anno in cui, secondo lui, San Bernardo<br />
entrò nell'Ordine (110). Stando cosi le cose, la Summa CC<br />
può essere datata al 1124.<br />
Una certa difficoltà presenta anche il fatto che dopo l'approvazione<br />
della CC da parte dei venti abbati, il testo dell' Exordium Cistercii<br />
(104) VAN DAMME 1, 1958, 57.<br />
(105) Vedi sopra, pago 93-95.<br />
(106) VAN DAMME l, 1959, 156: «La Summa-Cc. date de 1123 ou 1124, et donne<br />
fidèlement le contenu de la CC authentique de 1119. Cette Summa-CC ne veut cependant<br />
pas ètre un résumé servile de la CC complète, mais elle en consti tue une rédaction très<br />
personnelle ».<br />
(107) Vedi a pago 10-11, Not. Cisto III (1970), n. 1-2.<br />
(108) WINANDY,58 pensa che fin dal 1119 potevano esserci 20 abati, alcuni dei<br />
quali però erano forse semplici monaci, già designati abati di nuove fondazioni non ancora<br />
realizzate.<br />
(109) Questo testo è stato da noi citato a pago 9-10, Not. Cisto III (1970), n. 1-2.<br />
(110) VAN DAMME 1, 1958, 55: « Quant au terminus a quo de ces douze ans<br />
environ il est aussi plus conforme aux sources et à la tradition de la placer à l'entrée<br />
de Saint Bernard, dont la date la plus probable est le mois d'avril 1112 »,<br />
- 102-
parla di una conferma papale: « quae quidem carta, sicut ... a praefatis<br />
viginti abbatibus confirmata, sigilli quoque apostolici auctoritate munita<br />
est ... ». Ma noi non sappiamo nulla di una conferma papale della CC<br />
intorno al 1124. P. Van Damme tuttavia pensa che la espressione non<br />
significhi una conferma susseguente all'approvazione dei venti abbati,<br />
ma che si tratti semplicemente di quella del 1119. Non si dice infatti<br />
che la CC « dopo di ciò » fu confermata anche dal papa, ma che<br />
essa aveva « anche» (quoque) questa conferma. P. Van Damme crede<br />
di poter interpretare cosi la frase surriferita, anche se il testo dell' Exordium<br />
Cistercii parla prima dell'approvazione dei venti abbati e poi<br />
della conferma papale (111).<br />
P. Van Damme vede il terminus ante quem nell'anno 1124, pur<br />
ammettendo che questa datazione presenta una certa difficoltà (112).<br />
Egli si appoggia in primo luogo sugli studi miranti a provare che la<br />
Summa CC fu usata dai Premonstratensi e dai Canonici di Arrouaise<br />
nel 1128-1130 per i loro statuti, e in secondo luogo sul fatto che la<br />
Summa CC nel manoscritto 1711 di Trento forma un tutt'uno con gli<br />
Ecclesiastica Officia, che sono da datarsi fra il 1130 e il 1134(113).<br />
Egli crede di poter fissare le date con sufficiente precisione servendosi<br />
dei testi dell' Exordium Cistercii perché « una relazione storica, a meno<br />
che non vi siano ragioni positive contrarie, viene datata in base all'ultimo<br />
avvenimento in essa menzionato» (114). L'Exordium Cistercii<br />
parla di venti abbati esistenti nell' Ordine tra la fine del 1123 e l'inizio<br />
del 1124: quindi la Summa CC, come pure l'Exordium Cistercii<br />
sono di questo tempo.<br />
Circa la datazione dell' Exordium Cistercii e della Summa CC<br />
P. Van Damme è andato per la sua strada. La sua tesi può essere presa<br />
(111) Ibid., 54-55.<br />
(112) Ibid., 59: « Le terminus ad quem est plus difficile à déterminer ».<br />
(113) Vedi pago 9, nota 8, Not. Cisto III (1970), n. 1-2.<br />
(114) Vedi WINANDY 60-63. Frattanto H. Bredero ha pubblicato il suo lavoro<br />
fondamentale sulla «Vita prima» di San Bernardo: Analecta S.O.Cist. 17 (1961) 3-72;<br />
215-260 e 18 (1962) 3-59. Bredero ha dimostrato che tutti i manoscritti della prima<br />
recensione (A) e quelli più antichi della seconda recensione (B) indicano il 1113 come<br />
anno di ingresso di San Bernardo nell'Ordine. Cfr. Analecta S.O.Cist., 17 (1961) 33<br />
nota 1, e ibid., pago 62, nota 2, dove per un errore di stampa «anno ... millesimo<br />
tertio» è naturalmente da leggersi «anno ... millesimo tertio decimo ». Bredero conclude<br />
affermando che lo spostamneto della data di ingresso di San Bernardo dal 1113 al 1112,<br />
ed in alcuni manoscritti più tardivi persino al 1111, sia una cosciente falsificazione per<br />
attribuire a San Bernardo un ruolo maggiore nella espansione dell'Ordine: « L'anticipation<br />
de la date d'entrée dans certains mss est une falsifìcation volontaire, qui avait<br />
pour but de mettre le développement de l'Ordre Cistercien entièrernent à l'actif de<br />
Saint Bernard, et de détruire ainsi l'objection de La Ferté qui se savait fondée dès<br />
avant l'entrée dc: Saint Bernard à Cìteaux ». Cfr. Ibid., pago 217, numero 1.<br />
- 103-
come una ipotesi probabile, anche se alcuni elementi di cui egli si è<br />
servito rimangono problematici: non è in nessun modo sicuro, per esempio,<br />
che San Bernardo sia entrato a Citeaux nel 1112; le migliori tradizioni<br />
manoscritte e molti grandi dotti che precedettero Vacandard,<br />
quali Manrique, Mabillon e i Bollandisti hanno fissato l'entrata di San<br />
Bernardo a Citeaux nel 1113 (115).<br />
Sorge ora la questione se l' Exordium Cistercii e l' Exordium<br />
Parvum abbiano in comune il terminus a quo (116). Anche la cronologia<br />
delle prime fondazioni è molto incerta: lo si può constatare attraverso<br />
una accurata lettura di ]anauschek (117). P. Van Damme si<br />
serve del principio in base al quale una relazione storica è contemporanea<br />
all'ultimo avvenimento in essa menzionato. Ma se questo principio<br />
è generalmente valido per il terminus post quem , non lo è altrettanto<br />
per il terminus ante quem. Del resto le ricerche circa il diritto<br />
primitivo dell' Ordine dei Premonstratensi e dei Canonici di Arrouaise<br />
sono in alto mare e ancora cariche di molte ipotesi (118).<br />
d) L'Exordium Parvum<br />
Lefèvre pensa che l'Exordium Parvum sia stato scritto solo nel<br />
1151 e che contenga molti anacronismi (119). P. Van Damme confuta<br />
in due articoli gli argomenti di Lefèvre (120), quindi in un terzo articolo<br />
ten ta di provare la sua tesi che suona così:<br />
«L'Abate Stefano Harding compilò l'Exordium Parvum in<br />
nome e con la collaborazione di quelli tra i primi fondatori<br />
di Citeaux che al tempo della compilazione erano ancora in<br />
(115) VAN DAMME, 1, 1958, 60: « Un récit historique est généralement daté, a<br />
moins de raisons positives en sens contraire, de l'événement qui le termine ».<br />
(116) Vedi sopra, a pago 102, nota 110, dove abbiamo citato il testo. Se San Bernardo<br />
è entrato a Citeaux nel 1113, allora gli otto anni dell'Exordium Paruum terminano<br />
nel 1121, e nOI1 nel 1119 come pensa P. Van Damme.<br />
(117) Cfr. L. JANAUSCHEK,Originum Cisterciensium t. 1, Vienna 1877, 3-11 e<br />
WINANDY56, al n. 4.<br />
(118) Secondo I. J. VAN DEN WESTELAKEN,Premonstratenser ioetgeuing (1120-65)<br />
Analecta Praemonstratensia 38 (1962) 7-43, il testo della prima codificazione dei Premostratensi<br />
(che deve essere anteriore al 1131, perché ratificata nell'aprile 1131 da<br />
Innocenzo II) è finora sconosciuta. La codificazione pubblicata da R. Van Waefelghem<br />
(Cfr. TURK 2, 142-43) viene da lui attribuita agli anni 1140-1165. Ma Van de Westelaken<br />
crede che in questa codificazione degli anni 1140-1165 si possano trovare elementi che<br />
i Premostratensi presero dai <strong>Cistercensi</strong> ancor prima del 1131.<br />
(119) Vedi pago 15, Not. Cisto III (1970), n. 1·2.<br />
(120) VAN DAMME 1, 1958, 374·390 e 1959, 70·86. Non vogliamo discutere questo<br />
argomento. Le relative teorie di Lefèvre furono confutate da CH. DEREINE, La [ondation<br />
de Clteaux d'après l'Exordium Cistercii et l'Exordium Paruum, Citeaux lO (1959), 125·139.<br />
- 104-<br />
-
vita. La compilazione si svolse in diverse fasi e terminò prima<br />
del 23 dicembre 1119» (121).<br />
Dalle parole della introduzione «Nos Cistercienses primi hujus<br />
Ecc1esiae fundatores » P. Van Damme pensa si debba arguire che alcuni<br />
tra i primi fondatori presero parte alla redazione del lavoro. Secondo<br />
lui, tuttavia, l'Abate Stefano Harding rimane l'autore principale<br />
perché la prefazione del Hymnarium (scritta certamente da questo<br />
abbate) concorda in molte cose con l'introduzione dell' Exordium Parvum.<br />
Inoltre l' Exordium Parvum somiglia molto alla CC!: ambedue<br />
« hanno lo stesso tono, la stessa levatura mistica, lo stesso zelo per l'osservanza<br />
regolare» (122).<br />
Il nostro autore tenta anche, allo stesso modo, di rispondere ad<br />
una possibile obiezione: il capitolo XVII dell' Exordium Parvum parla<br />
dell' Abate Stefano Harding in terza persona e lo loda; si può ancora<br />
conciliare ciò con la sua paternità ed umiltà? P. Van Damme è dell'opinione<br />
che questo testo non è in alcun modo inconciliabile con l'umiltà<br />
del grande abate poiché i confratelli avrebbero imposto il testo alla redazione.<br />
Con ciò si spiegherebbe anche l'uso della terza persona.<br />
Circa la datazione al 1119, egli si appoggia all'ultimo (XVIII) capitolo<br />
dell' Exordium Paruum, dove si dice che l'Ordine, dopo otto<br />
anni, oltre a Citeaux contava già dodici monasteri. La dodicesima fondazione<br />
(Fontenay) ebbe luogo nell'ottobre del 1119, e la tredicesima<br />
(Tiglieto) nell'ottobre del 1120. E dato che nell' Exordium Parvum non<br />
è ancora menzionata la bolla di Callisto II del 23 dicembre 1119, egli<br />
pensa di poter sostenere con molta probabilità che l' Exordium Parvum<br />
era stato definitivamente redatto prima del 23 dicembre 1119.<br />
Le nostre osservazioni:<br />
Gli argomenti avanzati da P. Van Damme circa la partecipazione<br />
di alcuni tra i fondatori di Citeaux alla redazione dell' Exordium Parvum<br />
non convmcono.<br />
Né molto meglio è dimostrato che Stefano Harding sia l'autore<br />
dell' Exordium Parvum. È vero che nella prefazione all' Hymnarium<br />
e nella introduzione all' Exordium Parvum si trovano molte espressioni<br />
simili. Certo però, la prefazione all' Hymnarium può anche<br />
non essere stata scritta dallo stesso Abate Stefano, bensì da un altro che<br />
(121) VAN DAMME 1, 1959, 156: «L'abbé Etienne Harding rédigea l'Exordium<br />
Parvum au nom et avec le concours des co-fondateurs encore en vie au moment de<br />
la composition, qui se fit par étapes et se termina avant le 23 décembre 1119 ». Ibid.,<br />
156, dice anche che a questa datazione egli attribuisce una grande probabilità.<br />
(122) VAN DAMME, 1, 1959, 152.<br />
- 105-
scriveva a nome suo. Né lo stile vale a dimostrare l'identità dell'autore:<br />
non si tratta infatti di uno stile molto caratteristico e personale.<br />
Una difficoltà molto più grave contro questa tesi noi la vediamo<br />
nel tenore stesso del capitolo XVII: «Huic successit quidam frater<br />
Stephanus nomine... qui et ipse... de Molismo illuc advenerat, qui<br />
amator Regulae et loci erat. Hujus temporibus ... ». È molto difficiledire<br />
che la parola erat sia una esigenza della grammatica (advenerat - erat).<br />
Erat viene detto di Stefano Harding al passato, come di uno il quale<br />
non è più in vita. L'autore dell' Exordium Parvum scrive, certo, per<br />
i posteri (« Nos... fundatores successoribus nostris... »); tuttavia egli<br />
non può parlare del suo tempo come di una cosa ormai passata (123).<br />
Questa maniera di parlare non solo esclude Santo Stefano quale autore<br />
dell' Exordium Parvum, ma rende anche impossibile datare l'Exordium<br />
Parvum al 1119. Almeno, così ci sembra.<br />
Né più stringente è l'argomento portato da P. Van Damme per il<br />
capitolo XVIII. Nel capitolo XVII il discorso era sullo sviluppo dell'Ordine.<br />
Che in otto anni siano nati dodici monasteri, viene addotto<br />
come esempio di ritmo dello sviluppo (124). Ma può darsi che l'autore<br />
citi proprio questo esempio con l'intenzione di limitarsi agli inizi dell'Ordine<br />
(125).<br />
Il silenzio dell' Exordium Parvum circa la bolla papale del 1119<br />
non è un argomento per dimostrare che l'Exordium Parvum sia stato<br />
scritto prima della concessione della bolla papale. L'autore voleva appunto<br />
limitarsi ai primi documenti, e probabilmente pensò che la CC<br />
con la sua introduzione e la seguente bolla del 1119 completassero in<br />
maniera eminente il suo testo (126).<br />
(123) È bene ricordare che lo stile della introduzione all'Exordium Paroum non<br />
è ccnseguente: « Nos... fundatores successoribus nostris stilo praesenti notificamus,<br />
quam canonice... cenobium et tenor vitae illorum exordiurn sumpserit ». Dove ci aspetteremmo<br />
un pronome di prima persona, troviamo la parola «illorum », la quale non è<br />
del tutto ben riferita alla parola «successoribus ».<br />
(124) La divisione in diciotto capitoli avvenne probabilmente più tardi.<br />
(125) P. Van Damme pensa che il capitolo XVIII sia solo un'appendice all'Exor·<br />
dium Parvum perché esso non tratta più dell'exordium di Cìteaux. Effettivamente<br />
questo capitolo manca in alcuni manoscritti. Cfr. Lefèvre 14. Inoltre ci sembra che per<br />
l'autore dell'Exordium Parvum il terminus a quo dell'« esempio» siano gli otto anni<br />
dalla fondazione di La Ferté la quale del resto coincide con l'anno di ingresso di San<br />
Bernardo a Citeaux, Cfr. a pago 104, nota 115. Sorprende infatti la mancanza, nel capitolo<br />
XVIII, dei nomi delle prime fondazioni di Citeaux, e di un accenno alla CC, la quale<br />
secondo Van Damme doveva esistere nella sua forma primitiva al più tardi fin dal 1113.<br />
(126) Forse varrebbe la pena esaminare la connessione esistente fra il capitolo<br />
XVIII dell'Exordium Parvum e la prefazione della CC, la cui origine molto probabilmente<br />
è posteriore alla CC stessa: vedi sopra a pago 100. Abbiamo l'impressione<br />
- ed è solo un'impressione - che nella prefazione con la parola «antequam» si risalga<br />
al tempo in cui esistevano già alcune abbazie ma non dodici fondazioni.<br />
- 106-
e) Lo sviluppo posteriore della CC<br />
Turk pensava che una prima forma della CC 2 fosse stata approvata<br />
da Eugenio III nel 1152 perché nella bolla di questo papa si<br />
trovano statuti che, mentre mancano nella CCI, sono invece conservati<br />
nella CC 2 (127). L'opinione di Lefèvre dice invece che la CCI sarebbe<br />
stata confermata solo nel 1152 (128), e colloca la CC 2 fra il 1190 e il<br />
1200 (129).<br />
Ciò induce P. Van Damme a indagare sul processo di trasformazione<br />
per il quale la CCI diventò la CC 2 • Egli affronta la questione<br />
in un lungo articolo (130), in cui si avvale anche delle ricerche di Turk<br />
e di P. Bouton (131).<br />
Secondo P. Van Damme il testo della CC approvato da Callisto<br />
II nel 1119 subì modifiche fin dal 1124 (132); alle prime modifiche<br />
ne seguirono altre più tardi. Pur non conoscendo tutti i motivi per cui<br />
la CCI si trasformò nella CC 2 , il nostro autore non si trattiene dall'indagare<br />
su questo processo di trasformazione; ché anzi vuoI precisare<br />
anche il tempo in cui le varie modifiche furono approvate da Roma.<br />
Secondo la sua opinione, l'Ordine avrebbe prima modificato qualche<br />
punto della CCI e poi avrebbe presentato alla Santa Sede il testo modificato<br />
(133).<br />
Dal giorno in cui Lefèvre scopri la bolla di Alessandro III del<br />
1163 (134), noi conosciamo cinque conferme papali, che cominciano<br />
sempre con la parola «Sacrosancta ». La prima fu data da Eugenio<br />
III nel 1152, la seconda nel 1153, la terza nel 1157, la quarta nel<br />
(127) TURK 1, 28-34, dove tuttavia egli ha visto che la visita di Clteaux fatta dai<br />
primi quattro proto-abati venne prescritta soltanto sotto Alessandro III, e quindi la<br />
ce poté avere solo allora la forma da noi oggi conosciuta.<br />
(128) Vedi pago 12-1.3,Not. Cisto III (1970), n. 1-2.<br />
(129) LEPEVRE 15, 13. Il manoscritto 601 (già 354) di Digione il quale contiene<br />
già la ce, è stato scritto secondo Guignard, LXX tra il 1191 e il 1194. Cosi la ce<br />
potrebbe sicuramente essere stata redatta prima del 1194. Va tuttavia osservato che<br />
della CCZnon c'è traccia nel manoscritto 114 (già 82) il quale è stato scritto tra il 1173<br />
e il 1191.<br />
(130) VAN DAMME 4.<br />
(131) Vedi TURK 1, 28-34; TURK 2, 114-128 e Fiches 28, pago 111-112. Citiamo<br />
le conclusioni del P. Bouton: « Après la dernière approbation d'Alexandre III en 1165,<br />
il fallait un simple remaniement dans l'ordre des status pour transformer la CC prior<br />
ainsi évoluée en CC posterior. A quelle date fut operé ce remaniement? Avant 1191,<br />
sans aucun doute ... ». Egli pensa inoltre di poter precisare: « Si cette hypothèse est<br />
exacte (cioè che l'Ordine di Chalais assunse nel 1178 la ce dei <strong>Cistercensi</strong>), c'est<br />
entre 1165 et 1178 que la CC posterior a été établie ». Circa la CC di Chalais vedi<br />
J. B. Van Damme, La Cbarte de Cbarité de Cbalais, Cueau« 14 (1963) 81-104.<br />
(132) Ibid., 52. Crediamo di capire che per il P. Van Damme la Summa CC e<br />
il compendio della CC trasformata nel 1124 si identifichino.<br />
(133) VAN DAMME 4, 52 e 55.<br />
(134) LEFEVRE Il.<br />
- 107-
1163, e l'ultima il 5 agosto 1165. Queste bolle riportano spesso alla<br />
lettera gli statuti della CC ed hanno quasi tutte lo stesso tenore; si differenziano<br />
proprio in quei punti in cui approvano le modifiche intervenute.<br />
P. Van Damme riporta, uno accanto all'altro, i testi distribuiti in<br />
30 statuti (135) della CCI, della CC 2 e delle bolle; poi confronta i testi e<br />
analizza le modifiche che spesso cerca anche di spiegare in base a dati<br />
storici. Egli conclude che con la quinta bolla « Sacrosanta» gli statuti<br />
della CC 2 erano ormai completi, e che completa era la CC 2 già prima<br />
del 5 agosto 1165 (136): egli tuttavia presenta questa tesi come un risultato<br />
non assolutamente definitivo (137).<br />
Questo lavoro diventa in alcune sue parti un commento ad ambedue<br />
le CC. L'autore determina sistematicamente lo sviluppo dell'Ordine<br />
Cistercense tra il 1119 e il 1165 (138), e ci fa vedere chiaramente<br />
come i padri del capitolo generale del secolo XII, aperti alle circostanze<br />
di tempo che andavano mutando, sapevano adattarsi ad esse, modificando,<br />
quando era necessario, anche la cc.<br />
Questo articolo ci pare il più utile e prezioso fra quanti ne sono<br />
apparsi finora: con esso si giunge davvero ad una migliore intelligenza<br />
della cc. L'abbondante materiale raccolto da P. Van Damme con<br />
tanta diligenza merita da solo il nostro plauso. Grande importanza, anche<br />
se non sono del tutto nuove, hanno le precisazioni circa l'unità di<br />
osservanza nel secolo XII (specialmente dopo l'affiliazione di Cadouin<br />
e di Savigny) (139), le osservazioni sul capitolo genreale (140) e sui<br />
diri tti dell' abate di Citeaux (141).<br />
Altra questione è invece affermare che l'autore sia riuscito a dimostrare<br />
la sua tesi, secondo la quale la CC 2 esisteva già prima del<br />
5 agosto 1165. Facciamo queste riserve non solo a causa dello statuto<br />
18 (conferma del neo-abate da parte dell'abate-padre), che l'autore,<br />
come egli stesso ammette, non è riuscito a datare (142), ma anche<br />
(135) Cfr. TURK 1, 57-61. La ce venne divisa in capitoli da Van Damme in<br />
base ai manoscritti della Clementina (VAN DAMME4, 55 n. 1). A nostro parere sarebbe<br />
stato meglio omettere del tutto i titoli di questa divisione posteriore, o almeno<br />
cercare di chiarirli e meglio comprenderli. Solo nel secolo decimoquarto, probabilmente,<br />
furono introdotti i titoli dei singoli capitoli, titoli che in seguito influirono non poco<br />
nella interpretazione dei testi.<br />
(136) VAN DAMME4, 52.<br />
(1.37) Ibid., 55: « Ces remarques, si elles nous mettent d'une part en garde contre<br />
la prétention d'une information complète et de conclusions définitives... »,<br />
(138) Ibid., 99-104.<br />
(139) Ibid., 59-67.<br />
(140) Ibid., 78-79.<br />
(141) Ibid., 102-103.<br />
(142) Ibid., 87-88.<br />
- 108-
perché nutriamo dei dubbi circa la maniera di modificare la CC come la<br />
(maniera) espone ilP. Van Damme. È vero che conosciamo alcuni manoscritti<br />
(per esempio il ms. 31 di Laibach) i quali, pur conservando la forma<br />
della ce, presentano già alcuni nuovi statuti nella forma propria della<br />
CC 2 (143), tuttavia ci pare non sia stato dimostrato che i cistercensi<br />
si siano sempre comportati come dice P. Van Damme, e cioè che prima<br />
abbiano modificato la CC e poi abbiano presentato all'approvazione<br />
papale il testo appositamente modificato. In questo caso l'ordine progressivo<br />
degli statuti contenuti nelle bolle dovrebbe corrispondere all'ordine<br />
progressivo degli statuti contenuti nelle CC corrette: il che<br />
non avviene nella bolla del 1165, la quale segue molto più da vicino<br />
l'ordine progressivo della CC.<br />
Possiamo dunque affermare che tutti gli statuti della CC 2 avevano<br />
la conferma papale fin dal 1165. Essi tuttavia, con grandissima probabilità,<br />
non erano ancora riuniti nella forma della CC 2 che noi conosciamo<br />
oggi. P. Van Damme non ha studiato sufficientemente questa<br />
problematica (144 ).<br />
f) Il libretto «Documenta pro Cisterciensis Ordinis historiae ac [uris<br />
studio»<br />
Nel 1959 P. Van Damme ha pubblicato un libriccino che, per<br />
il suo formato (sono solo 28 pagine) e per il modico prezzo, ha reso<br />
possibile a molte persone una facile consultazione dei primi testi della<br />
storia dell' Ordine Cistercense. In esso sono riportati anche due documenti<br />
riguardanti Molesme: il primo si riferisce alla erezione di<br />
Aulps in abbazia (1097); il secondo tratta la sistemazione dei rapporti<br />
fra Molesme, Aulps e Balerne (1110) e da P. Colombano Spahr è chiamato<br />
« Concordia Molismensis » (145). Nello stesso libriccino sono riportati<br />
anche l'Exordium Parvum, la CCI secondo un manoscritto di<br />
Zurigo (146) e i primi 26 capitoli del manoscritto 1711 di Trento.<br />
Questo libriccino ci è stato spesso utile nelle nostre lezioni; ed<br />
ottima fu l'idea di darlo alle stampe. Purtroppo l'edizione lascia molto<br />
a desiderare: non vengono riportate importanti varianti dei manoscritti<br />
(147); l'edizione segue nella numerazione dei capitoli la numerazione<br />
(143) Cfr. LEFEVRE 1, 7, nota 7.<br />
(144) Cfr. l'opinione di P. Bouton, sopra a pago 90, nota 47.<br />
(145) Il significato di questi documenti venne bene illustrato da VAN DAMME3,<br />
128-131.<br />
(146) Zurigo, Biblioteca Centrale, Car C. 175.<br />
(147) P. Van Damme afferma che non voleva in nessun modo dare una edizione<br />
« critica ». A pagina 5 egli scrive: «In adnotationibus ... solummodo prout intellectui necessarium<br />
videtur, comparatio fit istius codicis (T) cum aliis codd. », Ma in un libro<br />
- 109-
del manoscritto di Zurigo, che non è quella abituale, il che può causare<br />
difficoltà nelle citazioni (148); l'interpunzione è difettosa e alcuni errori<br />
tipografici sono di fastidio alla lettura (149).<br />
È desiderabile una seconda edizione in cui vengano corretti questi<br />
difetti: intanto sarebbe bene avvertire i lettori con un foglio da<br />
allegarsi al volumetto.<br />
a carattere scientifico, il testo, oltre che essere in qualche modo comprensibile, deve<br />
essere anche preciso. Nelle seguenti righe, L. significa Laibach 31, ed. NOSCHITZKA,<br />
Analecta S.O.Cist. 6 (1950); P. significa Paris, Bibl. S. Geneoièoe 1207, ed. TURK 2,<br />
81-82 e LEFEvRE 2, 97-104.<br />
A pago 6 riga 5 e 9: « Privìl. Romanorum », mentre gli altri codici hanno «Privil.<br />
Romanum », come del resto anche nel libriccino, a pago lO riga 9.<br />
A pago lO riga 23, viene data a «Romanorum» quale lectio varians « L D Romano»<br />
anziché « Romanum »,<br />
A pago 12 riga l, si trova di nuovo «Privil. Romanorum ».<br />
A pago lO riga Ll , « prudentiae » - L. ha « providentiae ».<br />
A pago 11 riga lO, « prornìserunt » - L. « proposuerant »,<br />
A pago 15 riga 26, « domnus Stephanus et fratres sui» - 1.: «Domnus Stephanus<br />
abbas et ... ».<br />
A pago 16 riga 6, « exactionis » - 1.: «exactionem »,<br />
A pago 17 riga 9, « abbates » - 1.: « abbatias ».<br />
A pago 17 riga 28, « gaudeat (fìlia) » - 1.: «gaudeant (monachi) »,<br />
A pago 20 riga 24, « ecclesiae abbatem qui» - L.: «ecc1esiae abbatem quae ».<br />
A pago 22 riga 9, « discedere » - P.: « dissidere ».<br />
A pago 21 riga 20, nel testo si dovrebbe mettere il titolo: «De egressu Cisterciensium<br />
monachorum de Molismo» (secondo il codice P. e l'elenco dei capitoli di Trento<br />
1711). La frase « Incipit usus cisterciensium rnonachorum » dovrebbe essere riportata<br />
meglio nell'apparato.<br />
(148) Gli « Instituta Monachorum Cisterciensium de Molismo venientium» costituiscono<br />
il capitolo XV dell'Exordium Parvum in tutte le edizioni, nella maggior parte<br />
dei manoscritti, ed anche nell'elenco dei capitoli del manoscritto di Zurigo. Ma nel<br />
testo di questo manoscritto il capitolo non è numerato (p. 13), così che il capitolo<br />
seguente appare come capitolo XV ecc ..., anziché come capitolo XVI ecc... P. Van Damme<br />
quando pubblicava questo manoscritto avrebbe dovuto correggere l'errore del copista<br />
e uniformare l'enumerazione della sua edizione alla enumerazione delle altre edizioni.<br />
(149) Ai lettori del libriccino sarà utile indicare alcuni errori tipografici:<br />
pagina riga: invece di: leggi:<br />
5 22 carni sarcina carnis sarcina<br />
Il 22 ne pauperes utpote pauperes<br />
Il 33 assunt adsunt<br />
15 27 antistis antistitis<br />
17 37 die qua inter se constituent die quam inter se constituent<br />
19 21 diffusione discussione<br />
21 1 statuimus statuistis<br />
21 33 qui singulos movent quod singulos movet<br />
26 18 regulam regula<br />
26 26 cibro cribro<br />
Non abbiamo potuto consultare il manoscritto di Zurigo. Ma le varianti di T si<br />
trovano nell'apparato di TURK 1, 53-56. È tuttavia possibile che alcune delle varianti<br />
riportate a pagina 133 numero 3 siano lezioni errate oppure siano errori tipografici.<br />
Anche gli errori tipografici da noi riportati possono essere varianti, che tuttavia dovrebbero<br />
almeno essere corrette nell'apparato. Se si eccettuano i due primi documenti che<br />
sono stati tratti dalla edizione di ]. Laurent, l'ortografia degli altri documenti è lunatica.<br />
Sarebbe stato bene anche numerare i righi onde renderne più facile e spedita la<br />
consultazione.<br />
- 110-<br />
.
P. Van Damme cominciò ad interessarsi delle origini dell' Ordine<br />
Cistercense quando volle confutare le tesi di Lefèvre. In molti punti<br />
egli ha raggiunto il suo scopo, tanto più facilmente in quanto Dom<br />
Winandy con stringenti argomentazioni aveva già confutato la tesi fondamentale<br />
di Lefèvre, il quale supponeva che la Summa CC fosse la<br />
Costituzione dell' Ordine del 1119 e che la CCJ fosse la Costituzione<br />
dell' Ordine del 1152.<br />
In questo suo lavoro P. Van Damme ha quasi sempre riproposto le<br />
tesi tradizionali. Purtroppo non ha sempre attentamente distinto dò<br />
che è scientificamente provato da ciò che può essere accettato come semplice<br />
ipotesi, o addirittura da ciò che deve rimanere indeterminato data<br />
la povertà delle fonti.<br />
Alcune ipotesi, che sono semplici possibilità, sono usate più tardi<br />
da P. Van Damme come tesi dimostrate, senza avvedersi che con tale<br />
procedimento viene compromessa la stabilità di tutta la sua costruzione.<br />
Nonostante questi difetti che ci permettiamo di segnalare, dobbiamo<br />
riconoscere che il vasto materiale raccolto dal noto studioso e<br />
le sue osservazioni rendono un grande servizio alle ricerche sulle OrIgini<br />
dell' Ordine Cistercense.<br />
- 111 -<br />
P. POLICARPO ZAKAR<br />
Ordinario di Storia Ecclesiastica<br />
all'Ateneo «S. Anselmo» in Roma<br />
(continua)
Bernardo, Santo come uomo<br />
« Bernardo, l'innamorato della verità, non poteva non innamorarsi<br />
di quella creatura umana, che fu piena di Grazia al di sopra di ogni<br />
altra creatura e che, al di sopra degli Angioli, è la Regina della gloria.<br />
Ed eccolo innamorato della Madonna, cavaliere della Vergine, castellano<br />
della tutta bella. Le Corti d'amore impallidivano, al cospetto<br />
di quella Corte celeste, dove una Donna era il termine fisso d'ogni più<br />
alto consiglio.<br />
La Madonna era per Bernardo la creatura amabile su tutte le creature,<br />
nella quale l'amore di Dio si era, per così dire, posato con maggiore<br />
dilettazione. Amando Lei, s'amava Dio stesso, che non aveva<br />
sdegnato di farsi sua fattura.<br />
La perfetta ortodossia del ( martello degli eretici " la sublime pietà<br />
del ( maestro dei mistici', l'intrepida fermezza del 'campione del Papato',<br />
la dolce dottrina del (dottore mellifluo' derivano dall'amore<br />
per la Madre di Dio, che l'Abate bianco coltivò come il più delicato<br />
fiore di Chiaravalle.<br />
Quell'amore illuminante e fervoroso, quel sentimento di devozione<br />
e di fedeltà sorresse e guidò l'ultimo (Padre della Chiesa' in<br />
tutte le sue impervie controversie, in tutte le sue dure imprese. D'ogni<br />
sua vittoria incoronò la Vergine Madre, da vero innamorato, che attribuisce<br />
ogni grazia all'amata.<br />
Da vero innamorato non si stancò mai di salutarla e di lodarla,<br />
con l'incessante AVE MARIA, con la ripetuta SALVE REGINA. Nella<br />
cattedrale di Spira, rapito nel canto della lode a Maria, continuò da<br />
solo la preghiera, mentre gli altri tacevano, aggiungendo spontaneamente<br />
la triplice invocazione, che ancora non chiudeva la SALVE<br />
REGINA: (O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria '. Era il sospiro<br />
della sua anima d'innamorato.<br />
Il saluto dell'amata sarà sempre il desiderio di tutti gli innamorati<br />
e San Bernardo giunse ad averlo, un giorno, ad AfIlingen, nel Belgio,<br />
dove una statua della Madonna, chinando il capo, gli disse 'Salve<br />
Bernardo! '.<br />
Il saluto della Vergine rappresentava la salute dell'anima e la beatitudine<br />
dello spirito.<br />
Per questo Bernardo non cessò mai di proclamare Maria fonte di<br />
tutte le grazie, sostenendo la dottrina non ancora dogmaticamente<br />
definita, della universale intercessione della Vergine.<br />
- 112-
Nessuna grazia è concessa da Dio se non per merito di Gesù e<br />
per intercessione di Maria. Nessuna preghiera sale a Dio, nessuna richiesta<br />
viene esaudita se non attraverso il canale purissimo dell'umile<br />
ancella di Nazaret.<br />
San Bernardo intitolò una sua opera mariana DE ACQUAEDUCTU.<br />
Dall'Abbazia di Chiaravalle quell'acquedotto irrorò di nuova devozione<br />
tutto il giardino della Cristianità. Portò una fresca onda di pietà<br />
dentro i Monasteri cistercensi, dai quali traboccò per mille vene e fu<br />
rugiada anche sugli sterpi, che più tardi fiorirono nella grazia e nella<br />
paesia.<br />
Dante Alighieri, uscito, per intercessione della Vergine, dalla' selva<br />
selvaggia', quando giunse nel giardino dei beati, per salutare la<br />
Regina del cielo, mise la sua parafrasi poetica sulle labbra del monaco<br />
bianco ».<br />
P. BARGELLINI, Santi come uomini,<br />
Firenze, Vallecchi, 1956; pagg. 62-63<br />
- 113-
Le contraddizioni di un Santo<br />
Nel luglio 1121 Chiaravalle fonda l'Abbazia-figlia di Foigny. S.<br />
Bernardo affida questa nuova fondazione (la terza) a uno tra i suoi<br />
monaci più fedeli e vigilanti, a uno dei suoi figli più cari: Rainaldo.<br />
Entrato al noviziato nel 1117, dopo appena quattro anni, ancora<br />
giovane e senza esperienza, Rainaldo è strappato al dolce nido di Chiaravalle<br />
ed è posto a capo di una nuova comunità. In breve si trova<br />
a dover risolvere i gravi problemi che sempre si accompagnano ad una<br />
nuova fondazione: problemi di alloggio, di vitto, di bonifica, ecc....<br />
Una baracca di legno serviva da dormitorio e da refettorio. Allora<br />
era estate; ma presto sarebbe arrivato l'inverno ...<br />
Anche a Chiaravalle, Rainaldo aveva conosciuto rudi privazioni.<br />
Ma a Chiaravalle c'era Bernardo, focolare di luce e di calore che faceva<br />
tutto sopportare.<br />
Ora, invece, è solo, e brancola nell'incertezza.<br />
Scriverà a Bernardo, e lo supplicherà di venire ad illuminarlo.<br />
E Bernardo gli risponde (lettera 72): gli dice che se non si fosse<br />
trattato della volontà di Dio, non avrebbe mai potuto sopportare di<br />
vivere lontano dal suo Rainaldo, compagno tanto caro e necessario,<br />
tanto obbediente e zelante, dalla memoria cosi pronta che lo rendeva<br />
utile nel disbrigo di tanti affari.<br />
Ma non va a trovarlo e a consolarlo.<br />
Rainaldo, deluso, non sa far di meglio che riprendere in mano<br />
la penna per una seconda lettera che, purtroppo, non possediamo.<br />
Bernardo gli risponde (lettera 73) con tanta tenerezza, materna<br />
e paterna insieme, tenerezza che aveva ereditata da Aletta la sua santa<br />
madre, tenerezza della quale tanti suoi figli non sanno più fare a meno:<br />
«Tu ti lamenti, mio carissimo figlio Rainaldo, di tutte le tue<br />
tribolazioni; e i tuoi lamenti spingono a lamentarmi anche me: non<br />
è possibile che se tu sei in pena non soffra io stesso; non posso sentirti<br />
raccontare le tue ansie e le tue angosce senza essere anch'io ansioso<br />
e preoccupato per te.<br />
Ma, io avevo previsto i mali che ora ti càpitano, e te li avevo<br />
anche predetti, se ben ricordi. Penso quindi che potrai sopportarli<br />
facilmente, e risparmiarmene il peso. Sono già troppo afflitto di averti<br />
perduto, di non vederti più, di non più godere della tua dolce conversazione,<br />
tanto che alle volte mi pento di averti allontanato da me.<br />
È la carità, lo sai, che mi ha spinto a farlo. E tuttavia, pur sapendo<br />
- 114-
che da forza maggiore sono stato costretto a mandarti là dove non<br />
posso più vederti, ti piango come se ti avessi perduto. Ma ora, oltre<br />
alla pena della tua lontananza, tu che dovresti essere il bastone che mi<br />
sostiene, tu mi colpisci, permettimi l'espressione, col bastone della tua<br />
pusillanimità. Tu aggiungi tristezza a tristezza, croce a croce. Certo,<br />
è un gran segno di affetto raccontarmi le tue difficoltà; ma quanto<br />
m'è duro sentire l'elenco delle tue sofferenze. Ti sembra proprio necessario<br />
aumentare, con le tue, le mie preoccupazioni già tanto gravi?<br />
Ti sembra proprio necessario torturare con dolori crudeli l'affetto di<br />
un padre affranto dalla tua lontananza? Avevo diviso con te il mio<br />
fardello, perché eri il mio figlio, il mio fedele e indispensabile compagno.<br />
È così che porti il fardello paterno? In questo modo, invece<br />
di alleggerirmene, tu me lo appesantirai di più. Te ne sarai addossato<br />
il peso senza che io me ne sia alleggerito. Si tratta, tu lo sai bene,<br />
del fardello delle anime malate. Le altre, quelle che godono buona<br />
salute, non hanno bisogno di sostegno, non sono un peso. Ma quelle<br />
che vedrai tristi, inquiete, mormoratrici, di queste soprattutto ricòrdati<br />
che sei padre, abate. Consolare le une, esortare le altre, rimproverare<br />
le ultime: in ciò consiste veramente il tuo còmpito di abate. Sostenendole,<br />
le guarisci; guarendole, le sostieni... Perché lamentarti quindi<br />
che la presenza di queste anime malate, invece di consolarti, ti opprime?<br />
Tu sei l'uomo di tutti, l'hai dimenticato? Tu solo, di tutti:<br />
perché sei il più sano, il più forte, perché di tutti, con la grazia di<br />
Dio, devi essere l'appoggio, senza aver bisogno di altri che ti aiuti.<br />
Ricorda inoltre che quanto maggiore sarà il peso della tua carica, altrettanto<br />
aumenterà il tuo tesoro nel cielo; quanto più cercherai aiuto<br />
dagli altri, altrettanto diminuirà la ricompensa. Scegli dunque! E ricorda<br />
di essere il vicario di Colui che è venuto a servire, e non ad<br />
essere servito...<br />
Vorrei scriverti ancora tante cose per consolarti, ma non è necessario:<br />
che bisogno c'è di riempire di parole superflue un foglio<br />
inanimato? Sto guardando il mio priore che ti consegnerà questa lettera:<br />
penso che la sua presenza basterà a rianimarti. Non avrai più<br />
bisogno di sollecitare il conforto delle mie lettere, perché le parole<br />
del priore basteranno a farti coraggio».<br />
Con questa lettera, pur tanto affettuosa, Bernardo diceva chiaramente<br />
a Rainaldo di smetterla con le lamentele. E un cuore che ama<br />
non s'inganna: Rainaldo amava Bernardo, e non scrisse più.<br />
Ma ben presto è Bernardo che comincia a tormentarsi: la sua<br />
lettera, pensa, potrebbe aver ferito Rainaldo abbandonandolo alla<br />
- 115-
sua solitudine. Bernardo non ha pace; prende la penna, e giù ... un'altra<br />
lettera all' abate-figlio (lettera 74) (1):<br />
«Mio carissimo, speravo porre fine alle mie preoccupazioni per<br />
te, quando ti suggerii di non comunicarmi più le tue difficoltà. Ricordo<br />
di averti scritto che, nonostante le tue attestazioni di pietà filiale, era<br />
per me penoso sentirti raccontare le ansie che ti affliggono. Ma ecco,<br />
quel che credevo servisse ad alleviare la mia inquietudine, proprio<br />
questo è per me motivo di maggiore afflizione. Prima soffrivo e mi<br />
rattristavo per le contrarietà delle quali tu mi informavi; ora, ogni<br />
male che ti potrebbe capitare, tutto io temo. Come dice il tuo indimenticato<br />
Ovidio (2): "Sempre i pericoli temuti mi son sembrati più<br />
gravi di quel che fossero in realtà ", tutto mi sembra sospetto perché<br />
sono incerto di tutto, e spesso mi sforzo a reprimere una angoscia<br />
causata da mali immaginari; il cuore, una volta intenerito dall'amore,<br />
non è più padrone di sé; teme ciò che ignora, si affligge senza motivo,<br />
si tormenta, turbato più di quanto vorrebbe, in modo diverso da ogni<br />
previsione, diventa compassionevole senza volerlo, si intenerisce contro<br />
voglia. Vedi, figlio mio, che i miei calcoli prudenti e la tua discrezione<br />
filiale non mi hanno molto giovato. Ti prego dunque d'ora<br />
innanzi di non nascondermi più nulla di ciò che ti riguarda: altrimenti<br />
c'è pericolo che cercando di risparmiarmi, tu finirai col desolarmi<br />
ancor più ».<br />
Ora, ci sia consentita una piccola, brevissima riflessione: sappiamo<br />
tutti che il 1400 fu il secolo dell'umanesimo. Ma, sarebbe davvero<br />
un grave errore affermare che l'umanesimo era già iniziato quando<br />
San Bernardo scriveva le sue lettere?<br />
(l) Le tre lettere citate (72-73-74) pare siano state scritte a breve distanza di tempo<br />
l'una dall'altra: fra l'agosto 1121 e l'inizio dell'anno seguente.<br />
(2) Rainaldo era un «letterato », o, come allora si diceva, uno «scolastico », Altri<br />
« letterati» della prima generazione cistercense erano Stefano Harding, Guglielmo di Saint-<br />
Thierry e, sopra tutti, Bernardo. Di Rainaldo si ricorda, in modo particolare, la predilezione<br />
per il poeta classico Ovidio. San Bernardo, in vari passi dei suoi scritti cita o riecheggia<br />
spesso brani della letteratura classica.<br />
- 116-
Florilegio Cistercense<br />
1. Il misticismo di Santa Ludgarde.<br />
« Il misticismo di Santa Ludgarde fu in costante, intima relazione<br />
col ciclo liturgico, e le sue visioni nelle feste dei Santi e del Proprio<br />
del tempo attestano l'intelligenza e l'amore con cui seguiva le differenti<br />
stagioni dell'anno ecclesiastico e partecipava alle grazie di ciascun<br />
tempo. È un fatto che non si può mai sottolineare abbastanza quando<br />
si parla di spiritualità monastica. L'opera principale dei Benedettini e<br />
dei <strong>Cistercensi</strong> consiste nella lode corale di Dio, nell'armonioso quoti.<br />
diano susseguirsi degli Uffici intorno al centro spirituale della Messa.<br />
Due ragioni in particolare fanno della Liturgia la fonte di gran lunga<br />
più ricca di grazie e il mezzo più efficace per giungere al più alto grado<br />
di contemplazione e di unione con Dio. La prima di queste ragioni è<br />
che, se Dio volle che San Benedetto stabilisse un Ordine contemplativo<br />
e volle che il principale mezzo di contemplazione prescritto dalla sua<br />
Regola fosse l'Ufficio divino, l'OPUS DEI, a cui ' nulla deve essere<br />
anteposto' ne segue che è intenzione di Dio elargire in via normale<br />
ai suoi servi grazie di preghiera e di unione attraverso la Liturgia. La<br />
seconda ragione è che essendo l'Ufficio parte di un tutto integrale di<br />
cui il centro e il cuore è il sacrificio della Messa, tutte le Ore Canoniche<br />
diventano canali che comunicano le grazie e i benefici del Sacrificio<br />
redentore di Cristo anzitutto a coloro che partecipano al canto, e poi,<br />
attraverso ad essi, alla Chiesa universale ».<br />
2. Solo Dio basta.<br />
(Thomas MERToN, Che sono queste ferite?,<br />
Milano, Garzanti, 1952, pagg. 135-136<br />
« Come è difficile per un cistercense esprimere le sue impressioni<br />
sul suo Monastero!<br />
Alcuni anni fa si trovava in questa abbazia un giovane mondano<br />
colla testa piena di... non so che cosa...<br />
Trascorse alcuni giorni ospite di questi buoni monaci e, siccome<br />
era un innamorato della musica, del colore e di tutto ciò che ha sapore<br />
di arte, fu profondamente impressionato nell'udire la salmodia del coro,<br />
si emozionò per il silenzio di questi uomini che, lontani dal mondo,<br />
- 117
menano una santa vita e godette indicibilmente al vedere nei campi<br />
allietati dalla primavera e pieni di frutti e fiori, alcuni uomini vestiti di<br />
bianco che lavoravano e che, col sudore sulla fronte e i calli alle mani,<br />
cercano di sostenere il loro corpo fin quando durerà il loro esilio, e che<br />
nello stesso tempo lavorano per guadagnare il riposo nella vera patria.<br />
Quando quel giovane ebbe veduto ciò che vide, la sua anima subì<br />
una trasformazione, e forse il Signore si valse dell'impressione dei suoi<br />
sensi per farlo meditare. Il giovane meditò. Oggi c'è un cistercense di<br />
più nel coro, un lavoratore in più nei campi, un uomo che, nell'intento<br />
di dimenticare il mondo, cerca il silenzio delle creature e la pace con<br />
Dio.<br />
n giovane meditò! Dio si valse di quell'apparato esterno per giungere<br />
con la sua luce divina alla sua anima un po' sognatrice. Quant'è<br />
grande la misericordia del Signore!<br />
Trascorsero alcuni anni e l'uomo mutò gli abiti del mondo con<br />
quelli del monaco cistercense.<br />
Mutò le vecchie abitudini di uomo mondano con le semplici Regole<br />
dettate dal nostro Padre San Benedetto.<br />
Mutò il cammino della sua vita e, lasciando da parte i sentieri<br />
tortuosi che nel mondo conducono al benessere, alla fortuna, magari<br />
alla gloria, abbandonò la sua carriera e diresse i suoi passi e i suoi pensieri<br />
per la via che conduce alla vita eterna, lungo il sentiero che hanno<br />
battuto e batteranno gli amanti di Dio.<br />
Tutto subì una trasformazione e, perché non restasse nulla di<br />
quello che c'era prima, cambiò anche la sua maniera di sentire.<br />
Ora, vedendosi come parte integrante e non come semplice spettatore<br />
del quadro che ammirava anni prima, si è reso conto con sua<br />
grande sorpresa, che un tempo mancava una cosa alle sue impressioni<br />
e ai suoi sentimenti: mancava in quel quadro il senso di Dio.<br />
L'arte lo aveva colpito profondamente, tuttavia non aveva ancora<br />
trovato Dio in quella esteriorità. Oggi la cosa è differente ... oggi questo<br />
cistercense, l'antico giovane stordito e sognatore, non dà più importanza<br />
alle campane, né agli uccelli, né al sole ...<br />
Ora ha visto, con l'aiuto di Maria, che la cosa principale in un<br />
Monastero è Dio. Ora non inneggia più all'arte delle creature, ma<br />
all'arte di Dio. È riuscito a comprendere che tutto ciò che è esteriore<br />
è vanità ..., che tutto ciò che impressiona soltanto i sensi è fumo, e<br />
come tale svanisce e si dissolve ..., i fiori avvizziscono, l'allegro sole<br />
primaverile impallidisce e torna il triste inverno, gli uccelli del cielo<br />
si nascondono e i campi perdono il loro verde smeraldo ...<br />
- 118-
Tutte le antiche impressioni di quel giovane nel contemplare un<br />
Monastero si sono oggi trasformate in una sola cosa, una cosa che un<br />
tempo gli mancava: Dio!<br />
Che importa il colore dell'abito? E che le campane abbiano un<br />
suono acuto o grave? Che importanza ha per il nostro fine che sia<br />
estate o inverno? Prescindiamo da tutto dò che è esterno e cerchiamo<br />
le nostre impressioni in Dio solo e nella pura fede.<br />
Per questo, com'è difficileper un cistercense scrivere le sue impressioni<br />
sui monasteri cistercensi.<br />
Colui che arriva dal mondo trova in queste abbazie motivi sufficienti<br />
per meditare, pensare e riflettere, e se è un po' artista potrà godere<br />
del silenzio e della pace del monastero, ma non creda che si trovi<br />
Dio in tutto ciò, anzi per trovare Dio si deve prescindere da tutto ciò.<br />
Solo Dio deve occupare l'anima. La pace non viene dal silenzio, né<br />
dai cipressi del chiostro, né dal canto degli uccelli.., la pace del monaco<br />
è Dio, e all'infuori di Lui non c'è nulla che valga qualcosa.<br />
Signore, Tu solo. Tu solo rimani... non c'è nulla sotto il sole che<br />
possa appagare il cuore dell'uomo all'infuori di Te. E il mio cuore è<br />
assetato di Te e Ti cerca come il cervo le fonti, secondo l'espressione<br />
di Davide. All'infuori di ciò che Tu sei, tutto è tenebra ».<br />
(Dagli scritti di Fr. M. Rafael Arnàiz y Baròn)<br />
«Il piacere della speranza, Milano 1967, pago 237-241 passim »<br />
* * *<br />
Rafael Arnàiz y Baròn nacque nel 1911 da una agiata famiglia<br />
spagnola e visse fino a 23 anni in un ambiente di raffinate comodità.<br />
Per indossare l'abito cistercense abbandonò il successo nella vita,<br />
l'avvenenza e la prestanza fisica, abbandonò intelligenza, cultura, denaro,<br />
e una famiglia disposta ad assecondarlo in tutto.<br />
Nell'Abbazia di S. Isidoro a Venta de Baiios fu sùbito per tutti<br />
esempio di santità di vita, di soprannaturale letizia che traspariva costantemente<br />
dalla sua persona e dai suoi atti; fu specchio di umiltà,<br />
di mansuetudine, di pazienza nell'esercizio dei suoi doveri quotidiani.<br />
Entrato in monastero il 16 gennaio 1934, dovette uscirne due<br />
volte, minato da un male inesorabile, e due volte vi ritornò, deciso a<br />
percorrere fino in fondo il cammino intrapreso.<br />
Quest'anima nobile ha voluto celare la sua luce sotto il moggio<br />
- 119-
della clausura; ma i suoi raggi illuminano tuttora le nostre tenebre; le<br />
sue parole risuonano come rintocchi di speranza nel frastuono della<br />
esistenza.<br />
3. Dignità e santità del Sacerdote.<br />
Nessuna umana dignità è paragonabile alla sublimità del Sacerdote.<br />
Il Sacerdote supera il fulgore dei principi e la potestà dei re. Re e<br />
principi esercitano il loro potere sulle cose terrene; la potenza del Sacerdote<br />
si estende alle cose eterne e celesti. Per queste, principi e re<br />
ricorrono al Sacerdote, implorano il suo aiuto, non temono di sottomettersi<br />
al suo giudizio.<br />
L'Apostolo Paolo dice che il Sacerdote è scelto fra gli uomini « per<br />
offrire doni e sacrifici»: posto al di sopra degli altri, trascende la umana<br />
condizione quale mediatore fra Dio e gli uomini.<br />
Il Profeta Malachia pone sullo stesso piano Angeli e Sacerdoti:<br />
« Le labbra del Sacerdote custodiscono la scienza, e la legge emana<br />
dalla sua bocca: egli è l'Angelo del Dio degli eserciti »,<br />
Anzi, il potere di assolvere i peccati e di consacrare il Corpo e il<br />
Sangue di Cristo lo fa superiore agli Angeli.<br />
S. Gregorio Nazianzeno afferma che il Sacerdote è in un certo<br />
senso Dio, e rende dei anche gli altri.<br />
Se tu sei un Sacerdote di Cristo, cerca di meditare attentamente<br />
su queste idee. Nulla in te sappia di terreno. Il tuo conversare sia un<br />
conversare angelico, la tua sia una vita divina, i tuoi costumi siano<br />
illibati.<br />
È cosa davvero turpe unire in te un onore tanto sublime e una vita<br />
deforme, la professione di vita santa e un illecito comportamento. Devi<br />
esaminarti, e vedere se le tue azioni corrispondono alla tua fama, i tuoi<br />
costumi alla tua dignità.<br />
Ai Sacerdoti dell'Antico Testamento Dio comandò di essere santi<br />
per offrire degnamente l'incenso e i pani della propiziazione: quanto<br />
maggiore deve essere la tua santità, tu che ogni giorno offri il Figlio<br />
di Dio sull'altare e lo ricevi nella tua anima.<br />
Il corpo assimila la quantità dei cibi dei quali si nutre: è quindi<br />
conveniente che tu esprima fedelmente le virtù di Cristo che si nasconde<br />
nell'Eucarestia e del quale ti nutri tanto spesso.<br />
Da Gesù, nascosto sotto le specie del pane e del vino, impara a<br />
non fare bella mostra di te e dei doni che Dio ti ha dato; sii contento<br />
quando ti vedi trascurato; non prendertela a male quando non ti si<br />
esprime stima.<br />
- 120-
Gesù rimane là nell'Ostia, esposto ad ogni possibile ingiuria: sottomettiti<br />
anche tu; sii paziente quando ti capita di essere disprezzato<br />
od ingiuriato.<br />
Gesù si offre in cibo a tutti senza distinzione di persone: tu devi<br />
essere a disposizione di tutti; il tuo zelo delle anime deve essere sincero,<br />
sia diretto alle anime, non alle persone.<br />
Se le Sacre Specie vengono divise, Gesù non se ne adonta affatto:<br />
anche tu, conserva l'animo pacato e imperturbabile in ogni contrarietà.<br />
Gesù non disdegna alcun luogo, e rimane Il dove il Sacerdote lo<br />
pone: impara anche tu ad accettare luoghi ed uffici con santa indifferenza;<br />
non rifiutare mai un incarico che i superiori ti vogliono affidare.<br />
Nella Santa Eucarestia cessa di esistere la sostanza del pane e<br />
del vino, e ne rimangono solo le specie: in te cessi di esistere ciò<br />
che è terreno, tutti gli affetti disordinati, ogni desiderio di gloria,<br />
ogni ambizione, in una parola tutto ciò che ti impedisce di essere<br />
un santo Sacerdote.<br />
4. Quid retribuam Domino?<br />
(Da «Il sacrificio della Messa»<br />
di Giovanni Bona, card. cisterc.;<br />
Primo Capitolo della Terza Parte)<br />
Che cosa renderò io al Signore in cambio di tutti i suoi benefici?<br />
La ragione e un naturale senso di giustizia spingono il pagano<br />
ad offrire tutto il suo essere a colui dal quale ha tutto ricevuto. A me<br />
la fede domanda sicuramente d'amarlo molto di più, perché molto di<br />
più capisco quanto debbo stimarlo. Egli è colui che mi ha dato non<br />
solo ciò che sono, ma anche se medesimo. Del resto, quando ancora<br />
non era giunto il tempo della fede, quando ancora Dio non s'era<br />
fatto conoscere nella carne, non era ancora morto sulla croce, non era<br />
ancora uscito dal sepolcro, quando ancora non ci aveva manifestato il<br />
suo grande amore, già era stato comandato all'uomo di amare il Signore<br />
Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze.<br />
Ma, se devo a Dio tutto me stesso perché sono stato creato da<br />
Lui, che cosa dovrò aggiungere per essere stato ri-creato, e ti-creato<br />
in questo modo? Infatti io non sono stato ri-creato con la stessa facilità<br />
con la quale ero stato creato. Perché di me, e non solo di me,<br />
ma di tutte le cose create, sta scritto: «Egli disse, ed esse furono<br />
fatte». Ma colui che mi ha creato dicendo una sola parola, e dicendola<br />
- 121 -
una volta sola, nel ri-crearmi ha detto molte parole, ha operato molti<br />
prodigi, ha sofferto molti dolori. « Che cosa dunque renderò al Signore<br />
per tutti i benefici ricevuti? ». Nella prima creazione Dio donò me<br />
a me stesso; nella seconda mi donò se medesimo, e, nel darmi se<br />
stesso, restituì anche me a me stesso. Prima beneficiato col dono<br />
della vita, poi nuovamente beneficiato, sono debitore di me in cambio<br />
di me stesso, e due volte sono debitore di me. Ma che cosa renderò<br />
a Dio per il dono che mi ha fatto di sé? Se anche potessi spendere<br />
mille volte la mia vita, che cosa sono io in cambio di un Dio?<br />
Vedi bene quindi che la misura con cui dobbiamo amare Dio è di<br />
amarlo senza misura. È Dio che ci ama, la cui grandezza non ha fine,<br />
la cui sapienza non ha misura, la cui pace supera ogni intelligenza:<br />
e noi dovremmo contraccambiarlo con misura?<br />
« Che io ti ami, o Signore, mia forza, mio sostegno, mio rifugio,<br />
e mio liberatore (Salmo 17, 2-3).Mio Dio, mio aiuto, che io ti ami per i<br />
tuoi doni e nella mia misura, certamente inferiore a quanto ti è dovuto,<br />
ma tuttavia non inferiore a quanto è in mio potere, perché anche<br />
se non posso amarti quanto dovrei, io non posso amarti più di<br />
quanto è nelle mie possibilità. Lo potrò, certo, anche di più, quando tu<br />
ti degnerai di farmene capace; e tuttavia mai per quanto tu meriteresti.<br />
"I tuoi occhi hanno visto quanto c'è in me di imperfetto ",<br />
ma tuttavia "nel tuo libro saranno scritti tutti" coloro che fanno<br />
quanto possono, anche se non possono quanto debbono ».<br />
(San Bernardo: De diligendo Deo, 15-16)<br />
- 122-
Elementi principali<br />
della vita Cistercense odierna 1969 (*)<br />
Dichiarazione del Capitolo Generale dell' Ordine Cistercense<br />
parte quarta<br />
C. LE CONGREGAZIONI CISTERCENSI<br />
1. Origine) ragione e fine delle Congregazioni <strong>Cistercensi</strong>.<br />
a) Origine delle Congregazioni.<br />
108. San Benedetto nella sua Regola non prevede monasteri uniti<br />
tra loro. Egli coordina solamente la vita interna di un monastero. Tuttavia,<br />
nel corso dei secoli, i monasteri si unirono tra loro in maniere<br />
varie, per organizzare e garantire le osservanze proprie della vita religiosa.<br />
Talune di queste unioni per ovviare ai pericoli dell'isolamento<br />
si organizzarono in congregazioni, pur rispettando sempre la legittima<br />
autonomia dei monasteri; in altre unioni si giunse invece ad una forma<br />
di centralizzazione in cui i singoli monasteri dipendevano da una abbazia<br />
centrale, come avvenne a Cluny e, in genere, nelle fondazioni di<br />
Molesme.<br />
109. I fondatori di Cistercio, fedeli ai principi esposti nella « Charta<br />
Charitatis », istituirono i Capitoli Generali e le Visite Annuali: e<br />
con queste due istituzioni cercarono di assicurare la legittima autonomia<br />
dei monasteri senza mettere in pericolo la necessaria unione e l'aiuto<br />
scambievole fra un monastero e l'altro. Tuttavia, cresciuto l'Ordine a<br />
dismisura, e mutate non poco nel corso dei secoli le condizioni di vita,<br />
sorsero in seno all'Ordine le Congregazioni, come abbiamo brevemente<br />
visto nel n. 24 e sego<br />
(*) Le altre parti della Dichiarazione sono state pubblicate nel fascicolo gennaiofebbraio<br />
di «Notizie <strong>Cistercensi</strong> », II (1969), pp. 3-30 e fascicolo gennaio-aprile III (1970),<br />
pp. 26-39.<br />
- 123-
Cosi, questo Capitolo Generale Speciale ha esplicitamente riconosciuto<br />
che oggi l'Ordine Cistercense consta « de facto» delle seguenti<br />
Congregazioni Monastiche «ad normam juris»: .<br />
1 - Congregazione del SS. Cuore di Gesù, in Austria<br />
2 - Congregazione Augiense di San Giuseppe<br />
3 - Congregazione di San Bernardo in Italia<br />
4 - Congregazione della Madonna Mediatrice di tutte le Grazie,<br />
in Belgio e Olanda<br />
5 - Congregazione della Immacolata Concezione o di Sénanque<br />
6 - Congregazione del Purissimo Cuore di Maria, o Boema<br />
7 - Congregazione di Zircz<br />
8 - Congregazione di Casamari<br />
9 - Congregazione della Corona di Aragona, in Spagna<br />
lO - Congregazione della Madonna Regina del Cielo e della<br />
Terra, in Polonia<br />
Il - Congregazione della Santa Croce, in Brasile<br />
12 - Congregazione della Sacra Famiglia, in Viet-Nam<br />
Inoltre fanno parte nell'Ordine Cistercense alcuni monasteri maschili<br />
e femminili che non sono incorporati in alcuna Congregazione.<br />
b) Il principio di sussidiarietà e del legittimo pluralismo nell' ambito<br />
della Congregazione<br />
110. I principi della sussidiaretà e del legittimo pluralismo hanno<br />
gran.de importanza nella struttura delle Congregazioni. Infatti deve<br />
essere lasciato fare ai monasteri ciò che essi, per la parte che li riguarda,<br />
possono fare con efficace competenza e con più esatta cognizione delle<br />
condizioni locali. È compito degli organi centrali della Congregazione<br />
incoraggiare col consiglio fraterno e aiutare i progetti delle singole comunità,<br />
coordinare i loro sforzi ai comuni programmi, ed eliminare gli<br />
abusi che sorgessero. Le Congregazioni hanno anche il compito di rappresentare<br />
le singole comunità sia presso le autorità ecclesiastiche che presso<br />
le autorità civili. Secondo il principio del pluralismo vanno riconosciute<br />
le caratteristiche specifiche ed i compiti particolari dei singoli monasteri;<br />
e la varietà dei doni va coordinata ai vari fini comuni, senza porre<br />
in pericolo l'unità della Congregazione.<br />
111.Non ostante il principio del pluralismo, deve esistere fra<br />
i monasteri non solo un legame di organizzazione giuridica, ma anche<br />
un certo ideale comune. Definire questo ideale ed i più importanti mezzi<br />
- 124-<br />
....
adatti al suo conseguimento spetta alle Costituzioni di ciascuna Congregazione.<br />
Le Costituzioni, a loro volta, devono essere elaborate dal<br />
Capitolo della Congregazione dopo aver consultato le singole Comunità,<br />
e devono essere approvate dalla Santa Sede.<br />
112. Lo scopo principale per cui i Monasteri <strong>Cistercensi</strong> si uniscono<br />
sotto il Capitolo della rispettiva Congregazione e sotto I'Abate<br />
Preside è di far sì che negli stessi monasteri la vita cistercense fiorisca<br />
rigogliosa, l'osservanza regolare non corra pericoli, nelle circostanze difficili<br />
sia più agevole prestare quegli aiuti vicendevoli che la carità suggerisce.<br />
Così unite, le forze delle singole Comunità, al momento opportuno,<br />
potranno collaborare alla realizzazione di progetti maggiori, sarà<br />
più facile superare le difficoltà che ostacolano la vita dei monasteri, e<br />
prestare alla Chiesa e alla società contemporanea il servizio che dai<br />
monasteri è atteso. Oltre a questo scopo, identico per tutte, le singole<br />
Congregazioni <strong>Cistercensi</strong> possono prefiggersi un determinato fine proprio<br />
che, nel caso, deve essere chiaramente enunciato nelle proprie<br />
Costituzioni.<br />
2. Il Capitolo della Congregazione.<br />
113. Il Capitolo della Congregazione, alla luce dei principi su<br />
esposti, è la suprema potestà nell'ambito della Congregazione stessa.<br />
In esso, oltre ai Superiori Maggiori, sono presenti con diritto di voto<br />
anche i delegati eletti a questo incarico da tutti i religiosi della Congregazione,<br />
a norma delle proprie Costituzioni.<br />
114. Il Capitolo della Congregazione è prima di tutto un foro<br />
di fraterna deliberazione, in cui:<br />
a) si elaborano Costituzioni adatte ai nostri tempi, esponendo<br />
m esse chiaramente fini, ideali, compiti comuni della Congregazione;<br />
b) si compilano e si pubblicano «Consuetudini», «Dichiarazioni<br />
», e altre « Istruzioni », che servono ad applicare alle varie circostanze<br />
di luogo e di tempo i principi delle Costituzioni della Congregazione;<br />
c) si cercano nuove forme di vita e di lavoro, si partecipano a<br />
tutti le esperienze e le iniziative dei singoli monasteri;<br />
- 125 ---.
d) si preparano progetti e piani da realizzarsi poi con la collaborazione<br />
di tutti; si cerca nello sforzo comune la soluzione delle difficoltà;<br />
e) si suggerisce l'uso migliore e più razionale delle forze materiali<br />
e individuali.<br />
Per provvedere nel modo migliore al bene comune, il Capitolo<br />
della Congregazione sia convocato spesso, e se sarà opportuno, si favoriscano<br />
anche convegni di altro genere tra i membri del Capitolo della<br />
Congregazione.<br />
3. L'Abate Preside della Congregazione.<br />
115. L'Abate Preside governa la Congregazione secondo le direttive<br />
del Capitolo della Congregazione, ed è il simbolo dell'unione<br />
fraterna dei Monasteri tra loro. Egli presta il suo servizio perché, secondo<br />
le Costituzioni della sua Congregazione, nelle famiglie monastiche<br />
fiorisca, si consolidi e si sviluppi la vita monasteriale.<br />
Per il bene della Congregazione incrementi le relazioni fra i monasteri.<br />
Gli Abati e i monaci dei singoli monasteri aiutino l'Abate<br />
Preside a coltivare tra loro rapporti fraterni, a incontrarsi volentieri<br />
gli uni gli altri, a collaborare negli studi, a promuovere convegni di<br />
natura spirituale e amministrativa, a conoscersi e a stimarsi sempre<br />
di più.<br />
4. Le visite regolari.<br />
116. La «Charta Charitatis » stabilì la VISIta annuale che, secondo<br />
la legge della «filiazione », doveva essere fatta dall'Abate del<br />
monastero fondatore o da un suo delegato. La visita aveva lo scopo di<br />
esortare alla carità, e, se necessario, di correggere fraternamente e caritatevolmente.<br />
La visita annuale era il perno della struttura giuridica<br />
dell'Ordine Cistercense; era stimata da tutti, anche dagli estranei all'Ordine,<br />
e giovò moltissimo a consolidare e a sviluppare la vita nei<br />
monasteri.<br />
Il visitatore infatti, dopo la visita, può spesso suggerire ottimi<br />
consigli all'Abate del luogo, può richiamarne l'attenzione su punti e<br />
problemi che egli forse non aveva avvertito o dei quali non aveva<br />
valutato pienamente la interdipendenza e gli aspetti personali. Se poi<br />
rilevasse che nel monastero visitato fossero violate leggi dell'Ordine,<br />
- 126-
allora egli, col consiglio dell'Abate del luogo potrà correggere con<br />
carità.<br />
La legge della «filiazione» oggi non vige che in pochi casi: all'antico<br />
legame quasi naturale che si chiamò « filiazione », è sostituita<br />
l'unione di Monasteri in Congregazioni, così che, in genere, il Visitatore<br />
ordinario è l'Abate Preside della Congregazione, salvo i casi nei quali<br />
è in vigore la legge della « filiazione» o le Costituzioni delle rispettive<br />
Congregazioni non provvedono diversamente.<br />
117. Lo scopo delle visite non è mutato neppur oggi, anche se<br />
alcune formalità nel modo di effettuare le visite devono essere adattate<br />
alle attuali condizioni di vita. Per provvedere tempestivamente alle<br />
necessità dei monasteri, le visite siano frequenti anche oggi; ma non è<br />
necessario che siano sempre visite canoniche.<br />
Un visitatore non è certamente un legislatore né un « riformatore »,<br />
ma deve esortare tutti ad un esame di coscienza. La soluzione dei problemi<br />
non nasce infatti dalla imposizione ma dalla intima convinzione;<br />
e ciò richiede molto impegno sia da parte del visitatore che da parte<br />
dei visitati.<br />
Dato che svolge soprattutto un servizio di carità, il visitatore<br />
prima di ogni altra cosa cerchi di conoscere lo stato d'animo della<br />
comunità. Dovrà anche badare alla legittima autonomia del monastero<br />
e ai suoi fini particolari legalmente approvati: solo così la visita recherà<br />
un vero profitto al monastero.<br />
È necessario però che i visitati con umiltà e sincerità aprano<br />
l'animo alla ricerca del vero bene delle anime e del progresso della<br />
comunità nel servizio di Dio. Abbiano presenti anche i vari limiti di<br />
una visita, perché ristretto è il campo in cui il visitatore può intervenire<br />
e scarse le reali possibilità dei suoi provvedimenti. Spesso una visita<br />
rimane senza frutto a causa della sconsiderata e infondata attesa di<br />
molti membri della comunità, i quali prima chiedono al visitatore cose<br />
impossibili, quindi non tardano a dichiararsi da lui ingannati.<br />
5. Importanza delle Congregazioni nella struttura dell'Ordine Cistercense.<br />
118. Le Congregazioni hanno una importanza vitale nell'Ordine<br />
Cistercense: se infatti i singoli monasteri sono troppo piccoli e deboli<br />
per vivere e lavorare in piena ed assoluta indipendenza e autosufficienza,<br />
l'Ordine d'altronde raggruppa tanto varie e differenti osservanze e forme<br />
- 127-
di vita, che spesso non può essere governato con leggi e metodi uniformi.<br />
Pertanto la Congregazione rappresenta o dovrebbe rappresentare<br />
una viva e concreta unità di azione che riunisce le forze di molte<br />
case mosse dagli stessi ideali e dalle stesse attività. Da ciò risulta evidente<br />
la necessità e l'utilità delle Congregazioni nella struttura dell'Ordine<br />
Cistercense.<br />
D. IL GOVERNO DELL'ORDINE CISTERCENSE<br />
1. L'Ordine Cistercense - Unione di Congregazioni - Unità e diversità.<br />
119. Le Congregazioni <strong>Cistercensi</strong> unite tra loro costituiscono l'Ordine<br />
Cistercense e tendono a raggiungere fini e ideali comuni servendosi<br />
di strutture e organi giuridici comuni. Il fine principale della unione<br />
è la reciproca emulazione e il mutuo concreto aiuto a praticare la vita<br />
monastica sempre più perfettamente.<br />
Le Congregazioni <strong>Cistercensi</strong>, per la diversa evoluzione storica e<br />
per la varietà delle condizioni culturali e sociali, presentano differenze<br />
di forme, di tradizioni monastiche e di attività. Tali differenze tuttavia<br />
non danneggiano la più ampia unità dell'Ordine; ché anzi la mutua<br />
partecipazione al dono di una grazia varia e molteplice giova allo sviluppo<br />
e al rigoglio della vita dell'Ordine. Perciò è bene che il pluralismo<br />
sia approvato come un valore positivo sia nel campo spirituale che in<br />
quello sociale. In questo modo, forze diverse integrandosi a vicenda<br />
collaboreranno in maniera pratica ed efficace.<br />
2. Il Capitolo Generale e il sinodo dell'Ordine Cistercense.<br />
120. Il Capitolo Generale dell'Ordine Cistercense è il foro centrale<br />
legislativo e giudiziale per fraterne deliberazioni, nel rispetto della<br />
legittima autonomia, che secondo il diritto comune e il diritto particolare<br />
spetta ad ogni Congregazione e ad ogni Monastero.<br />
Il Capitolo Generale deve promuovere lo sforzo teso a realizzare<br />
gli ideali comuni dell'Ordine Cistercense. Spetta quindi al Capitolo<br />
Generale:<br />
a) Dichiarare ed esporre i valori fondamentali che costituiscono<br />
la nostra vocazione comune (cristiana, religiosa, monastica, cistercense)<br />
- 128-
anche se detti valori non possono essere concretamente attuati da tutti<br />
nel medesimo modo;<br />
b) Promuovere relazioni efficaci tra le Congregazioni, il reciproco<br />
aiuto, la collaborazione negli impegni comuni.<br />
121. L'attività tipicamente legislativa ha grande importanza; tuttavia<br />
oggi essa non costituisce il compito specifico del Capitolo Generale.<br />
Infatti il pluralismo di vita delle nostre comunità e il celere<br />
mutamento delle condizioni di vita rendono spesso impossibile ed inutile<br />
l'uniformità rigorosa della legislazione. Quindi il Capitolo Generale<br />
raramente formulerà leggi che obblighino tutto l'Ordine. Ed anche allora<br />
si limiterà per lo più a determinare norme di azione generali che<br />
si potranno adattare alle particolari necessità delle singole regioni e<br />
delle singole Congregazioni. Ma se la funzione legislativa del Capitolo<br />
Generale verrà in parte a ridursi nel futuro, in cambio molto maggiore<br />
importanza dovrà darsi ad altre funzioni del Capitolo Generale, quali<br />
l'interpretazione dei fini e dei valori della nostra vita, la fraterna decisione<br />
di aiuto scambievole nelle difficoltà comuni.<br />
122. Nei primi secoli della vita dell'Ordine Cistercense, i Capitoli<br />
Generali si celebravano annualmente, seguendo le prescrizioni della<br />
« Charta Charitatis » e dei Romani Pontefici. Oggi, i Capitoli Generali<br />
ordinari si celebrano ogni cinque anni, data la frequenza dei Capitoli<br />
delle Congregazioni, ed anche perché le spese di viaggio sono troppo<br />
elevate per non pochi membri del Capitolo. Più frequenti tuttavia saranno<br />
le sessioni del Sinodo dell'Ordine.<br />
Il Sinodo dell'Ordine Cistercense è un collegio da convocarsi per<br />
discutere, attraverso uno scambio di idee, problemi dell'Ordine intero,<br />
che saranno poi proposti al Capitolo Generale e da esso decisi. In via<br />
previa, il Sinodo dell'Ordine dovrà anche decidere affari urgenti, che<br />
poi dovranno essere sottoposti alla decisione finale del prossimo Capitolo<br />
Generale, a norma delle Costituzioni dell'Ordine.<br />
È inoltre compito del Sinodo sollecitare l'esecuzione delle disposizioni<br />
della Santa Sede e delle decisioni del Capitolo Generale. Il Sinodo<br />
provvederà anche a raccogliere informazioni sicure sulla situazione<br />
dell'Ordine per curare il suo migliore sviluppo; e infine ascolterà<br />
la relazione dell'Abate Generale sulla situazione dell'Ordine e le relazioni<br />
degli Abati Presidi sulle loro Congregazioni.<br />
- 129-
3. L'Abate Generale dell'Ordine Cistercense.<br />
123. L'Abate Generale, eletto dal Capitolo Generale, governa<br />
l'Ordine Cistercense secondo le decisioni del Capitolo stesso, a norma<br />
delle Costituzioni, e promuove i fini della nostra unione.<br />
L'Abate Generale:<br />
a) È animatore e centro della fraterna unione nell'ambito dell'Ordine<br />
Cistercense; e disposto soprattutto a servire, esorta e rappresenta<br />
tutte le comunità dell'Ordine. Fa suoi i valori e gli ideali comuni<br />
dell'Ordine sia con la sua azione che con i suoi atti ufficiali. Ha gli<br />
stessi sentimenti dell'Ordine e delle comunità, e con animo aperto fa<br />
proprie le loro preoccupazioni, tendenze ed opinioni.<br />
b) È promotore e coordinatore dei progetti e degli sforzi comuni,<br />
che pur superando la forza delle singole comunità o Congregazioni,<br />
sono tuttavia utili a tutte o alla maggior parte di esse. Nell'impostare<br />
ed elaborare tali progetti, egli ha un ruolo attivo; favorisce le<br />
iniziative degli altri, quindi col consiglio e con l'azione sprona alla loro<br />
esecuzione.<br />
c) Usando a servizio di tutti l'autorità riconosciutagli dalle<br />
Costituzioni, è padre, anzi fratello tra i fatelli, e desidera, secondo la<br />
volontà di Cristo, di essere utile più che di comandare. Nelle lettere,<br />
allocuzioni, e altre comunicazioni dirette all'Ordine si esprime con stile<br />
fraterno, condiscepolo e servo del Signore, cercando insieme agli altri<br />
confratelli la verità e la volontà di Dio. Convinto egli stesso dei valori<br />
della vocazione religiosa, si industria per manifestare ai fratelli e alle<br />
comunità le nuove prospettive e possibilità, e a infondere in loro la<br />
speranza del futuro.<br />
E. COLLABORAZIONE CON GLI ALTRI ORDINI MONASTICI E CON LA SACRA<br />
GERARCHIA<br />
124. L'Ordine Cistercense ha necessariamente molte cose in comune<br />
con gli altri Ordini monastici. Perciò è molto utile collaborare<br />
con essi in tutti i campi comuni, quali gli studi del patrimonio monastico,<br />
le questioni liturgiche, le materie giuridiche, le lecite forme di<br />
vita comunitaria, le occupazioni giornaliere, le direttive pratiche.<br />
- 130-
Inoltre ci proponiamo di sostenerci a vicenda con la preghiera, di<br />
offrire volentieri il nostro aiuto nella carità, di partecipare agli altri nel<br />
modo migliore possibile le realizzazioni dell'Ordine, delle Congregazioni,<br />
delle comunità.<br />
125. I Romani Pontefici, grazie alloro primato su tutta la Chiesa,<br />
hanno esentato l'Ordine Cistercense, le Congregazioni, i monasteri maschili<br />
e femminili e tutti i loro membri dalla giurisdizione dell'Ordinario<br />
del luogo, anche se con varie sfumature a seconda dei luoghi. Questo<br />
privilegio è stato concesso per poter meglio provvedere alla perfezione<br />
della vita monastica secondo l'indole propria dell'Ordine. L'esenzione<br />
non impedisce tuttavia che i monasteri siano in qualche punto sottoposti<br />
alla giurisdizione dei Vescovi, uniformandosi alle leggi del diritto<br />
comune e particolare; né vieta che i monasteri cistercensi collaborino<br />
intimamente con la Chiesa locale pur seguendo la propria vocazione.<br />
Professiamo ossequio e riverenza al Romano Pontefice e ai Vescovi,<br />
quali successori degli Apostoli, e vogliamo essere loro di aiuto<br />
in quanto possiamo e dobbiamo, tenendo conto della nostra vocazione.<br />
È di grande importanza collaborare ordinatamente con la Sacra Gerarchia<br />
e con tutto il clero diocesano e regolare attraverso i sinodi diocesani<br />
e altri convegni.<br />
Cosi, vogliamo promuovere la comunione ecclesiale alla quale teniamo<br />
moltissimo e il cui culmine si attinge nella celebrazione eucaristica,<br />
nella quale preghiamo tutti i giorni per la Sacra Gerarchia e<br />
per tu tto il popolo di Dio.<br />
CONCLUSIONE<br />
NECESSITA' DI UN CONTINUO RINNOVAMENTO<br />
126. Terminando la Dichiarazione circa gli elementi principali<br />
della vita cistercense odierna, non dobbiamo credere che le cose dette,<br />
anche se attuate in pieno, bastino a rinnovare la nostra vita. Come la<br />
Chiesa peregrinante in terra è chiamata da Cristo ad un continuo rinnovamento<br />
nel suo aspetto umano e terreno, altrettanto ed ancor più<br />
dovrà fare l'Ordine Cistercense, le Congregazioni, i Monasteri e i loro<br />
membri.<br />
Questo continuo rinnovamento è necessario perché le vicende umane<br />
si evolvono sempre più velocemente creando circostanze nuove con<br />
- 131-
nuovi problemi positivi e negativi: ad essi la nostra vita va adattata nei<br />
suoi aspetti mutevoli. Tuttavia la necessità di questo continuo rinnovamento<br />
deriva ancor più dal fatto che mai noi potremo realizzare alla<br />
perfezione il nostro ideale. Avremo quindi sempre bisogno di quella<br />
conversione continua e sincera mediante la quale, e come individui e<br />
come comunità, potremo uniformarci all'immagine di Cristo Figlio di Dio.<br />
N. B. - La Commissione incaricata di elaborare lo schema<br />
di dichiarazione circa « Gli elementi principali della<br />
vita cistercense odierna» era cosi composta:<br />
Rev.mo Abate Carlo Braunstorfer, presidente<br />
Rev.mo Abate Cassiano Lauterer, consulente<br />
M. Rev.do Padre Policarpo Zakar, relatore.<br />
La versione italiana è stata curata dal M. Rev.do<br />
Padre Goffredo Viti.<br />
Ringraziamo gli Abbonati che hanno rinnovato l'impegno<br />
per il 1970, e contiamo che la Rivista si imponga da sola<br />
presso tutti coloro, confratelli e laici, che amano conoscere<br />
la vita dello spirito che nasce e vive nel nostro Ordine.<br />
- 132-
I NOSTRI MONASTERI<br />
La Certosa di Pavia<br />
«Ho sempre pensato che la pianura<br />
lombarda ha il suo cuore vicino<br />
alla Certosa, la quale mescola la sua<br />
storia con quella della terra che non<br />
muta. Come è certamente la più bella<br />
Certosa d'Italia, anche se nessun Stendhal<br />
l'ha mai descritta in prosa di<br />
romanzo, e nessun D'Annunzio ha mai<br />
colto violette tra le pietre rosse dei<br />
suoi piccoli orti, dove generazioni di<br />
monaci bianchi riposano in pace nell'estasi<br />
dell'ultima preghiera ».<br />
(Mons. Cesare Angelini)<br />
« Sortendo dalla Città di Pavia per andare a Milano, sempre costeggiando<br />
il nuovo Canale del Naviglio, dopo il cammino di cinque miglia<br />
vedesi uno stradone della lunghezza di mezzo miglio il quale per lo<br />
passato era tutto spalleggiato d'altissime piante, in capo al quale si presenta<br />
l'insigne Basilica della Certosa di Pavia, fra tutte le altre in diversi<br />
tempi costruita, a dir il vero la più bella, e la più ricca ancora» (Baggi<br />
Luigi).<br />
A parte i pioppi che hanno lasciato il posto ai tigli, tutto è rimasto<br />
come allora, e la Certosa continua ad essere meta di visitatori, incantati<br />
da tante meraviglie unite in un unico monumento.<br />
La Certosa nel suo passato.<br />
Sorta alla fine del secolo XIV, cinquantacinque anni dopo la Certosa<br />
di Firenze, per volere del duca di Milano Gian Galeazzo Visconti,<br />
continuata sotto il ducato degli Sforza e mai del tutto terminata, la<br />
Certosa è, nel suo complesso, un immenso monumento del rinascimento<br />
lombardo.<br />
La tua storia è molto tormentata. I primi tre secoli, sono i secoli<br />
della costruzione: iniziata, interrotta e ripresa più volte. È cosa presso<br />
- 133-
che impossibile elencare tutti gli artisti che hanno prestato la loro opera<br />
alla Certosa.<br />
Tra gli architetti si ricordano in modo particolare: nel quattrocento<br />
Bernardo da Venezia, Giacomo da Campione, Cristoforo da<br />
Conigo, Giovanni e Guiniforte Solari; nel cinquecento il perugino Galeazzo<br />
Alessi. Assai più numerosi sono gli scultori: i fratelli Cristoforo<br />
e Antonio Mantegazza, Giovanni Antonio Amadeo, Benedetto Briosco,<br />
Stefano da Sesto, Biagio da Vairone, Alberto Maffioli, Cristoforo Romano,<br />
Angelo Marini, Ambrogio Volpi, Francesco Brambilla, Bernardino<br />
da Novate, Giuseppe Rusnati, Dionigi Bussola, Tommaso Orsolino,<br />
Carlo Simonetta, il Volpino (G. B. Maestri), Annibale Fontana,<br />
Giovanni da Cairate, Rinaldo de Stauris, Baldassarre degli Embriaci,<br />
Macrino d'Alba, Antonio da Lecco, Cristoforo Solari.<br />
Ci sono poi gli intarsiatori sia in legno che in marmo: i Fratelli<br />
Sacchi di Pavia (sec. XVII), Bartolomeo dei Polli e Pietro da Vailate.<br />
Tra i pittori non si possono dimenticare Bernardino Luini, B. F. Barbieri<br />
(Guercino), Ambrogio da Fossano (Bergognone) col fratello Bernardino,<br />
Jacopo de Mottis, Bernardino de Rossi, Carlo Cane, G. B.<br />
Carlene, Ottavio Semini, Daniele Crespi, G. B. Crespi (il Cerano), C. F.<br />
Nuvolone, Camillo, Ercole, Cesare e Giuseppe Procaccini, il Montagna.<br />
Ci sono poi alcuni specialisti nella lavorazione del vetro: Antonio de<br />
Pandino, Nicola da Varaldo e sopratutto Cristoforo de Mottis.<br />
Gli anni che vanno dal 1700 ai giorni nostri sono, invece, caratterizzati<br />
dal continuo fluire di varie comunità nella Certosa. Questo fatto<br />
era già stato previsto da Desiderio Erasmo da Rotterdam. «Ci fu un<br />
uomo dal volto gialliccio, affilato, dagli occhi penetranti che, alzando<br />
lo sguardo sulle decine di operai che lavoravano alla facciata, scrollò<br />
la testa borbottando: «Pazzi! Pazzi! Pazzia è il sudore dell'arte, perché<br />
effimera è la sua gloria! Perché mai profondere tanto denaro per il salmeggiare<br />
di pochi monaci che saranno molestati dal concorso di coloro<br />
che cercheranno solo il lusso dei marmi? » (M. Brambilla «500 anni<br />
di storia alla Certosa »).<br />
Lasciata dai Certosini nel 1782, la Certosa venne occupata due<br />
anni dopo dai <strong>Cistercensi</strong>, che l'abbandonarono dopo 14 anni, cedendo<br />
il posto ai Padri di Como. Anche questi ultimi non ebbero maggior<br />
fortuna e la lasciarono dopo appena due anni, sostituiti dai Padri Carmelitani<br />
che vi resistettero per 3 anni dal 1807 al 1810. Finalmente<br />
nel 1843 la gloriosa Certosa rivede le sue celle ripopolarsi, e i bianchi<br />
monaci certosini riprendono il loro antico monastero per alcuni decenni.<br />
Cacciati nel 1880 non vi ritorneranno che nel 1932. Questa volta vi<br />
- 134-<br />
l
imasero per quindici anni, non più padroni, ma ospiti nel loro monastero,<br />
con una libertà d'azione molto limitata e con l'afflusso dei turisti<br />
che intralciava la loro vita fondamentalmente eremitica. Per questo nel<br />
1947 dovettero lasciare definitivamente la loro casa. Vi ritornarono per<br />
la seconda volta i PP. Carmelitani, che l'abitarono fino al 1957. Seguono<br />
undici anni di desolazione. La Certosa da casa della preghiera viene<br />
declassata a Museo. Finalmente, dopo lunghe trattative per ottenere ai<br />
monaci una condizione di vita possibile, l'undici novembre 1968,dopo<br />
170 anni vi ritornano i monaci cistercensi.<br />
Visita alla Certosa.<br />
È impossibile condensare in poche righe quello che si può contemplare<br />
nella Certosa di Pavia. Solo un poeta potrebbe dare a chi<br />
non è presente un'idea meno inadeguata. .<br />
Dal lungo viale di tigli si giunge al vestibolo ornato di figure di<br />
santi di Bernardino Luini. Il vestibolo dà nel grande piazzale antistante<br />
al tempio che col suo verde e le siepi di bosso «prepara l'anima alla<br />
riverenza necessaria per accostarlo e per contemplare la facciata rinascimentale<br />
in bianco e nero. Una orchestrazione dello spazio: porte,<br />
portali, finestroni, riquadri con medaglioni di profeti, di santi, di re;<br />
una Bibbia in marmo, un'enciclopedia storica favolosa ». (C. Angelini)<br />
Progettata dal Solari, modificata dal Bergognone, alle ricche sculture<br />
unisce la ricchezza del materiale impiegato: marmo di Gandoglia<br />
verde di Polcevera, lumachella, cipollino d'Egitto, alabastro orientale,<br />
verde di Francia, rosso di Verona, macchiavecchia ...<br />
L'interno della Chiesa, opera di Guiniforte Solari è un capolavoro<br />
di arte gotica. «Rapisce l'impeto delle tre navate, la potenza e la sapienza<br />
delle arcate, le colonne che s'alzano come alberature ». (C. Angelini)<br />
Le decorazioni della volta sono di Ambrogio da Fossano detto Bergognone,<br />
che venne coadiuvato dal fratello Bernardino e da Jacopo de<br />
Mottis.<br />
L'altare maggiore e il coro sono separati dal resto della Chiesa<br />
da una iconostasi cinquecentesca. Daniele Crespi ne ha affrescato le<br />
pareti all'inizio del '600 con scene della vita di Gesù e della vita di<br />
S. Bruno. L'altare e il presbiterio sono un complesso imponente, ricco<br />
di marmi e pietre dure: i lapislazzuli, le ametiste, le agate, i rubini,<br />
l'onice, le acquemarine sono profuse con una ricchezza che ha della<br />
prodigalità. « Piano piano si indovina tutto l'altro che c'è di mirabile<br />
e di vago: intagli, intarsi, miniature, che sono come i trilli, le fioriture,<br />
- 136-
le cascatelle della scultura, e non interessano meno dei capolavori»<br />
(C. Angelini ).<br />
Nel transetto, due sono i monumenti che attirano l'attenzione:<br />
il monumento funebre di Ludovico il Moro e della moglie Beatrice<br />
d'Este a destra, e il mausoleo dove tutt'oggi è sepolto Gian Galeazzo<br />
Visconti, a sinistra, opera la prima di Cristoforo Solari del 1497, la<br />
seconda di G. Cristoforo Romano e Benedetto Briosco della fine deI<br />
secolo XV.<br />
Si esce poi nel piccolo chiostro: un gioiello disegnato da Guiniforte<br />
Solari. La parte esterna degli archi è decorata con le terrecotte di Rinaldo<br />
de Stauris. Il chiostrino è coronato in alto dalla grandiosa Cupola<br />
con la lanterna e dai vari camminamenti che percorrono tutta la parte<br />
esterna della Chiesa. Il refettorio è molto austero coi suoi tavoli e schienali<br />
in noce scuro. Un tocco di colore è dato dalle pitture del Bergoanone<br />
che ne ha decorato la volta e dalla grande « Cena» di Ottavio<br />
Semini del secolo XVII.<br />
Il grande Chiostro meno bello del piccolo, stupisce per la sua<br />
grandiosità, col suo perimetro di circa mezzo chilometro. Anch'esso ha<br />
le arcate esterne in terracotta, ed è coronato dalle ventiquattro cellette<br />
dei monaci coi loro comignoli aguzzi.<br />
La Certosa oggi e domani.<br />
L'undici novembre 1968 segna una data importante per la Certosa:<br />
n ritorno dei monaci. Desiderato dal Papa Paolo VI e dal Vescovo<br />
di Pavia monsignor Allorio, questo rientro venne reso possibile<br />
dal Ministero della Pubblica Istruzione e da quello dei Lavori pubblici,<br />
che dopo lunghe trattative restituirono il monastero al suo primitivo<br />
scopo: quello di essere una casa religiosa, la casa della preghiera.<br />
Un gruppo di 19 monaci entrava processionalmente nella Certosa in<br />
auel giorno grigio di novembre, mentre una folla numerosa faceva ala<br />
al loro passaggio. «Notizie <strong>Cistercensi</strong>» hanno riportato allora la cronaca<br />
dell'avvenimento.<br />
Passati i primi giorni dell'osanna, la comunità dovette mettersi al<br />
lavoro e si accorse subito che questo non era poco: le attese del clero,<br />
della popolazione e dei turisti impegnavano i monaci ad una attività<br />
molto intensa. Si aggiungano tutti i problemi materiali di sussistenza<br />
e il lavoro nello studentato interno (6 monaci erano giovani studenti)<br />
e si può avere un'idea di quanto han dovuto lavorare i « fondatori ».<br />
Attualmente ancora l'attività che i monaci della Certosa devono<br />
- 137-
svolgere è sproporzionata al loro numero, e il sovraccarico di lavoro è<br />
notevole.<br />
Attività turistiche.<br />
Sono ancora le più impegnative e assorbenti quantitativamente,<br />
anche se non sono le principali in ordine di dignità. A cominciare dal<br />
mese di aprile, con la buona stagione migliaia di persone si riversano<br />
nella Certosa nei giorni festivi, e centinaia nei giorni feriali. Un giornale<br />
pavese ha notato l'aumentato flusso turistico, calcolando la presenza<br />
di circa 180.000 visitatori mensili. La cifra è enormemente esagerata,<br />
ma è sempre vero che il numero dei visitatori e dei pellegrini<br />
impegna seriamente i monaci che devono accompagnare tutta questa<br />
folla alla visita del monastero.<br />
Attività pastorali.<br />
Specialmente nei mesi di minore afflusso tunstico alcuni Padri si<br />
dedicano alla predicazione sia in casa (ritiri per sacerdoti e laici) sia<br />
fuori in varie occasioni. Nei primi quattro mesi di questo anno, per<br />
esempo, ci sono stati 22 ritiri interni, sono state predicate 12 Quarant'ore<br />
e 19 predicazioni varie (tridui in preparazione alla Pasqua,<br />
ritiri spirituali, quaresimali ... ). Il mese di maggio con l'istituzione dei<br />
pellegrinaggi mariani di tutte le parrocchie della diocesi di Pavia e con<br />
le predicazioni mariane porta un aumento di attività pastorale ai monaci.<br />
A questo si aggiungano tutte le prestazioni per le confessioni e<br />
un padre impegnato come aiuto al prevosto del paese di Certosa e si<br />
avrà un'idea del lavoro svolto dai monaci nel campo più propriamente<br />
spirituale.<br />
Attività varie culturali.<br />
L'impegno scolastico dei monaci che frequentano l'Università di<br />
Stato, unito agli impegni religiosi e turistici della Certosa, non lasciano<br />
molto tempo per altre attività a sfondo culturale. Tuttavia le due associazioni<br />
degli « Amici di Certosa » con la loro rivista «La Certosa<br />
di Pavia », e dell'Accademia di Certosa, l'impegno per i concerti vocali<br />
e strumentali che riprenderanno a svolgersi quest'anno, la formazione<br />
della ( Corale della Certosa' diretta da un Padre, che ha ormai al suo<br />
attivo due concerti, la formazione di una piccola «schola cantorum »<br />
per le messe domenicali, testimoniano la disponibilità dei monaci anche<br />
in questo campo che potrebbe avere notevoli sviluppi di bene.<br />
138 -<br />
P. Malachia Falletti O. Cisto
CRONACA<br />
A - Cronaca della Congregazione<br />
Il Capitolo Speciale<br />
della Congregazione di Casamari<br />
Il Capitolo Speciale della Congregazione di Casamari si svolge nel<br />
monastero della Certosa di Trisulti. I suoi lavori sono stati distribuiti<br />
in due periodi. Il primo periodo ebbe luogo dal 24 agosto al 13 settembre<br />
1968. Il secondo periodo è stato diviso in due parti: la prima<br />
parte si svolse dall' 8 al 27 settembre 1969; la seconda parte del secondo<br />
periodo inizierà nel prossimo mese di luglio 1970.<br />
Al Capitolo Speciale partecipano, come ai Capitoli Ordinari, l'Abate<br />
Preside e i Membri del suo Consiglio, l'Economo Generale, il Segretario<br />
Generale, i Superiori dei monasteri e un delegato per ogni<br />
comunità. Inoltre, a questo Capitolo Speciale partecipano altri tre membri:<br />
il primo, eletto tra e dai Maestri dei novizi e Maestri di spirito;<br />
il secondo, eletto tra e dai Rettori dei seminari; il terzo, eletto tra e dai<br />
chierici professi solenni (cfr. deliberato 3, 1968). Al secondo periodo<br />
di questo Capitolo Speciale partecipa anche un Fratello Converso eletto<br />
tra e dai Fratelli Conversi professi solenni (cfr. delibo 4, 1968).<br />
I membri di questo Capitolo Speciale della Congregazione di Casamari<br />
sono 34.<br />
Uno tra gli argomenti che hanno caratterizzato questo Capitolo<br />
Speciale è stata la erezione di alcuni monasteri sui [uris in seno alla<br />
Congregazione. Il monastero sui juris non è inteso in maniera univoca<br />
presso tutte le famiglie monastiche: l'istituto del monastero sui juris<br />
presenta varie diversità e attenuazioni a seconda dei tempi e dei luoghi.<br />
Così, nella Congregazione di Casamari, la professione sarà emessa<br />
« per la Congregazione; perciò i monaci restano soggetti all' Abate Preside<br />
a riguardo della stabilità» (cfr. delibo 15, 1968). Tuttavia ci sarà<br />
una reale stabilità nella comunità, « nel senso che i trasferimenti non<br />
devono avvenire se non per vera e grave esigenza del bene personale<br />
del monaco, del bene particolare del monastero e del bene comune<br />
della Congregazione. In tali trasferimenti o nell'assegnazione di nuovi<br />
membri ad una comunità, l'Abate Preside consulterà prima il Supe-<br />
- 139-
~<br />
I<br />
riore, poi i detti membri, e quindi provvederà con il consenso del suo r<br />
Consiglio» (cfr. delibo 16, e 1968; delibo 96, 1969).<br />
Ai monasteri sui juris della Congregazione di Casamari compete:<br />
a) l'autonomia disciplinare e amministrativa;<br />
b) il capitolo conventuale con le relative attribuzioni;<br />
c) l'elezione, da parte del capitolo conventuale, del Superiore<br />
che sarà confermato dall' Abate Preside (cfr. delibo 16, a-b-c, 1968).<br />
Il Superiore del monastero sui juris sarà Superiore Maggiore e<br />
Ordinario dei monaci ascritti al monastero (cfr. delibo 16, d, 1968).<br />
Su proposta dell'Abate Preside col suo Consiglio (cfr. delibo 9,<br />
1968), il Capitolo Speciale ha eretto in case sui juris tre monasteri della<br />
Congregazione: Santa Maria di Cotrino (Latiano, BR), cui è stata aggregata<br />
Santa Maria della Consolazione (Martano, LE); Santa Maria di<br />
Piona (Colico, CO), cui è stata aggregata Santa Maria di Chiaravalle<br />
della Colomba (Alseno, PC); e Santa Maria del Galluzzo (Certosa di<br />
Firenze) (cfr. delibo 75, 1969).<br />
Questi tre monasteri dovranno cominciare a funzionare come case<br />
sui juris prima e non oltre il mese di settembre 1970 (cfr. delibo 76,<br />
1969).<br />
Intanto l'Abate Preside ha provveduto a consultare tutti i membri<br />
della Congregazione, chiedendo loro a quale casa sui juris desiderano<br />
appartenere. Ora egli dovrà costituire le varie famiglie monastiche<br />
scegliendo di preferenza fra gli optanti (cfr. delibo 14, 1968). Quindi,<br />
costituite le comunità, l'Abate Preside col consenso del suo Consiglio<br />
nominerà, per un periodo di cinque mesi, un Priore-Amministratore per<br />
ogni monastero sui juris, badando a non sceglierlo fra i membri della<br />
comunità dove dovrà esercitare il suo incarico (cfr. delibo 77, a, 1969).<br />
Entro il periodo di cinque mesi, quando l'Abate Preside e la Comunità<br />
lo giudicheranno opportuno, si procederà alla elezione o alla nomina<br />
del primo priore conventuale, a norma dell'art. 167, b, delle Costituzioni<br />
della Congregazione.<br />
B - Cronaca della Certosa di Firenze<br />
Pubblichiamo l'articolo di GIORGIO BATINI (apparso su « La<br />
Nazione» di Firenze del 9 Maggio 1970 in occasione dei restauri della<br />
Chiesa di Santa Maria Maddalena de' Pazzi in Borgo Pinti) perché l'argomento<br />
tratta di uno dei più antichi monasteri cistercensi di Firenze,<br />
- 140-<br />
~<br />
i<br />
l'<br />
~<br />
,<br />
l,<br />
f"<br />
l;'<br />
\<br />
~.,<br />
','<br />
,_'
«Cestello Vecchio», come i nostri vecchi amarono chiamare questo<br />
centro di spiritualità e di arte.<br />
Infatti, come accenna il Batini, il monastero passò' dalle «Convertite<br />
», che probabilmente passarono a Sant'Ambrogio di Firenze<br />
(i vecchi fiorentini chiamavano questo monastero «delle mal maritate<br />
») ai nostri Padri di Badia a Settimo (ricordiamo a proposito di<br />
questo monastero lo studio di Mons. Celso Calzolai).<br />
Cestello Vecchio, o Santa Maria Maddalena Penitente, non crediamo<br />
di identificarlo col monastero dei Camoldolesi di Santa Maria<br />
degli Angioli, volgarmente detto degli «Angiolini» antica sede dei<br />
Frati Gaudenti (Ordine e Milizia della Vergine Madre di Gesù Cristo<br />
detto Frati Gaudenti di Fra' Guittone d'Arezzo), denominazione che è<br />
passata al «Conservatorio tuttora esistente, aperto dopo la soppressione<br />
dei Camaldolesi Cenobiti che si trasferirono all'attuale Piazza<br />
Beccaria nella Chiesetta costruita dai Monaci riuniti dopo la soppressione<br />
e che in seguito si riunirono con i Camaldolesi Remiti di Toscana.<br />
Nel Monastero degli « Angiolini » vi mori l'Umanista Beato Ambrogio<br />
Traversari (1386-1439).<br />
Che si tratti di due monasteri distinti lo apprendiamo dalla notizia<br />
che ci offre Benedetto Varchi nella sua « STORIA FIORENTINA»<br />
II-98 (citando l'Edizione di Firenze del 1843, curata da Lelio Arbib):<br />
« Tutti i conventi de' frati, che son buon numero, e tutti i munisteri<br />
di monache, che son quarantanove, hanno le lor muraglie grandi e ben<br />
fatte, e tutti, eccettuato quello di San Pier Maggiore, hanno i loro orti,<br />
i quali per lo più sono grandissimi e belli, come si può vedere in Santo<br />
Spirito e nel Carmine di là d'Amo; e di qua in Santa Croce, negli<br />
Agnoli, in Cestello, nella Nunziata, in San Marco, in Santa Maria Novella,<br />
in Ognissanti e gli altri ».<br />
Come si nota, due centri di alta spiritualità, confinanti ma distinti:<br />
« gli Agnoli » Camaldolese e « Cestello» Cistercense.<br />
Ci auguriamo che l'articolo di Giorgio Batini dia l'avvio a un più<br />
profondo studio sul periodo cistercense di Santa Maria Maddalena de'<br />
Pazzi.<br />
N. d. R.<br />
CHIESA DI SANTA MARIA MADDALENA DE' PAZZI di Firenze<br />
Da oggi Firenze ha una cappella dedicata a Santa Giovanna d'Arco;<br />
è una delle cappelle laterali dell'antichissima chiesa di Santa Maria Maddalena<br />
de' Pazzi, che è stata completamente restaurata e che domani<br />
- 141 -
mattina sarà riaperta con una solenne cerimonia. Varie opere ricordano,<br />
in questa cappella, l'eroica e santa fanciulla lorenese; uno smalto di<br />
Limoges, di M. Heuzé, raffigurante la Pulzella di Orléans che sostiene<br />
lo stendardo e la spada, ricavata da una miniatura del XV secolo; un<br />
calco di una statua della santa che si trova nella cattedrale di Orléans,<br />
una vetrata ideata da Isabelle Rouault, figlia del celebre Georges, ed<br />
eseguita da Adeline Bony.<br />
La cappella dedicata alla santa patrona della Francia ricorderà ai<br />
fiorentini la solidarietà che fu prontamente, e generosamente, dimostrata<br />
dal popolo francese allorché la città dovette sanare le gravi ferite inferte<br />
al suo patrimonio artistico e storico dalla drammatica alluvione del 4<br />
novembre 1966. Santa Maria Maddalena de' Pazzi, infatti è stata restaurata<br />
con i fondi offerti dal governo francese, dall'associazione « Francia-<br />
Italia» presieduta dall'ex ambasciatore francese in Italia Gaston Palewski,<br />
presidente del consiglio costituzionale francese, e dal governo<br />
italiano.<br />
L'insigne monumento soffriva già di molti malanni dovuti alla<br />
vecchiaia, ed era in cattivo stato di conservazione prima ancora che si<br />
aggiungessero i danni della disastrosa alluvione. Il monastero e la<br />
chiesa - dedicati in un primo tempo a Santa Maria Maddalena penitente<br />
- risalgono al 1257allorché costituirono il ritiro delle convertite<br />
e passarono poi alle monache e ai frati <strong>Cistercensi</strong> con il titolo di Santa<br />
Maria degli Angioli. Gli ambienti subirono, nel tempo, varie trasformazioni.<br />
Sul finire del XV secolo, la chiesa e il convento furono ampliati<br />
con la partecipazione di Giuliano da Sangallo, al quale si attribuiscono<br />
il chiostro e le cappelle laterali. Agli inizi del XVII secolo il complesso,<br />
passò per intercessione di Urbano VIII, alle suore Carmelitane, e accolse<br />
le spoglie di Santa Maria Maddalena de' Pazzi.<br />
Il Perugino.<br />
Nel corso del XVII secolo, furono eseguiti diversi rifacimenti ad<br />
opera di Luigi Arrigucci, mentre Ciro Ferri impostava, e Pier Francesco<br />
Silvani portava a termine, il solenne impianto marmoreo della<br />
cappella maggiore e del coro.<br />
In seguito la chiesa passò in consegna ai Padri Assunzionisti, e<br />
le suore Carmelitane si trasferirono in Piazza Savonarola, e quindi nel<br />
convento di Careggi, dove fu traslato anche il corpo di Santa Maria<br />
Maddalena de' Pazzi. Con la soppressione dei beni ecclesiastici gran<br />
parte del convento fu destinata ad uso scolastico, tanto che nel recente<br />
passato gli studiosi e i turisti che desideravano ammirare la celebre<br />
- 142-<br />
i,
Crocefissione del Perugino potevano raggiungere la sala del capitolo<br />
dove è ospitato il capolavoro, solo passando attraverso i locali dell'attiguo<br />
liceo Michelangiolo.<br />
La sfuriata novembrina dell'Arno raggiunse anche questa antichissima<br />
e gloriosa Chiesa. In Borgo Pinti si andava in barca, e nel cortile<br />
della chiesa, benché sopraelevato rispetto alla strada l'acqua melmosa<br />
della piena raggiunse il livello di oltre due metri e mezzo. Innumerevoli<br />
i danni alle strutture architettoniche, agli arredi, alle opere<br />
d'arte: restarono deturpati, nelle zone più basse, l'affresco del Perugino<br />
nella sala capitolare, gli affreschi di Bernardino Poccetti nella Cappella<br />
del Giglio, il San Sebastiano in legno policromo di Leonardo del Tasso,<br />
numerosi dipinti tra i quali opere di Lorenzo Lippi, Santi di Tito, Cosimo<br />
Rosselli, Domenico Puligo, Raffaelino del Garbo, Domenico Passignano.<br />
Mentre i fiorentini con l'aiuto di tutto il mondo, iniziavano il<br />
paziente e delicato salvataggio dell'immenso patrimonio artistico, colpito<br />
dall'alluvione, o messo in pericolo dalle conseguenze del disastro, i<br />
francesi « adottavano» Santa Maria Maddalena de' Pazzi concentrando<br />
su questa bellissima chiesa gran parte del loro generoso contributo al<br />
restauro della bellezza fiorentina. Questo pronto intervento consenti<br />
all'architetto Morozzi, soprintendente ai monumenti, di iniziare immediatamente<br />
i lavori di sgombero e di ripristino, mentre il professor<br />
Ugo Procacci, allora soprintendente alle gallerie, provvedeva a far<br />
distaccare tutti i dipinti, a ordinare il restauro delle altre opere d'arte<br />
e degli arredi, a sanare gli affreschi deturpati.<br />
Totale il restauro eseguito, e seguito con particolare amore, dall'architetto<br />
Guido Morozzi il quale non si è limitato a riparare i danni<br />
prodotti dall'alluvione, ma ha voluto restituire il complesso architettonico<br />
all'antica, originale purezza.<br />
Nella cripta.<br />
Il bellissimo chiostro d'ingresso, legato al nome del Sangallo, è<br />
stato completamente ripristinato rimettendo in luce anche il lato che<br />
era rimasto incompiuto, e che nel passato era stato chiuso con un muro<br />
di tamponarnento allo scopo di ricavare dei locali sfruttando l'ambiente<br />
del portico. Morozzi ha ricavato, facendo abbattere la muraglia posticcia,<br />
antiche colonne, capitelli jonici, volte di copertura ed altri elementi<br />
architettonici. Usando tali elementi e ricostruendo fedelmente<br />
quelli che mancavano, l'opera del Sangallo è stata completata, e ora il<br />
chiostro appare in tutta la sua suggestiva, purissima bellezza.<br />
- 143-
Nell'interno della chiesa le cappelle sono state liberate dalle ornamentazioni<br />
che le avevano appesantite nel tempo, e sono state restituite<br />
al candore degli intonaci e alle pietrigne membrature della loro origine<br />
quattrocentesca.<br />
Inoltre il soprintendente Morozzi ha voluto liberare la cripta<br />
(che, abbandonata da tempo, era in pessimo stato di conservazione,<br />
e ospitava solo sepolture) restituendola al culto: vi si ammirano, tra<br />
l'altro, un bellissimo altare in pietra, un Cristo in terracotta del XVII<br />
secolo, un'urna secentesca con reliquie e l'effige di cera di San Vittorio.<br />
Ora dalla chiesa si può discendere nella cripta e raggiungere, attraverso<br />
questa, la sala del capitolo dove è l'affresco del Perugino. La visita al<br />
monumento religioso si completa, cioè, con quella al celebre capolavoro,<br />
donato ai monaci <strong>Cistercensi</strong> da «Dionisio Pucci e sua moglie Giovanna,<br />
che commesso al Perugino nel 1493 e finito il 20 Aprile 1496 »<br />
costò «cinquantacinque ducati d'oro »: tra le figure che contornano<br />
la Crocifissione, San Bernardo sta a rappresentare l'Ordine che ebbe<br />
nel Santo di Chiaravalle il più grande figlio. Il Perugino fece pure<br />
per «i monaci di Cestello una tavola di San Bernardo» «dipinto<br />
per Bernardo e Filippo Nasi che glie ne allogarono nel 1488 » e che<br />
ora si trova, secondo la presentatrice del volume del Vasari « Vite de'<br />
più eccellenti Pittori, Scultori e Architettori », Anna Maria Ciaranfi,<br />
nella Pinacoteca di Monaco.<br />
Certosa di Firenze, 11 aprile 1970.<br />
GIORGIO BATINI<br />
I pittori Pietro Annigoni (il pittore delle regine) e Ugo Fanfani<br />
trascorrevano una giornata in Certosa assieme ad alcuni amici fiorentini.<br />
Il Maestro Annigoni prometteva che nelle pause di lavoro avrebbe<br />
approfittato della ospitalità cistercense per ritemprare lo spirito nella<br />
quiete della Certosa. Egli si è inoltre formalmente impegnato a realizzare<br />
in Certosa, entro due anni, un affresco raffigurante San Bernardo.<br />
Giova ricordare che Pietro Annigoni, milanese di nascita, fiorentino<br />
di adozione, è particolarmente legato al Galluzzo perché nella nuova<br />
Chiesa parrocchiale ha scritto una pagina meravigliosa della sua vita di<br />
uomo e di artista, con il grande affresco di San Giuseppe, eseguito al<br />
principio del 1970.<br />
Alle ore 16.00, nel Salone del Papa, Paolo Cherubelli presentava<br />
al pubblico e alla stampa il volume « La Certosa di Firenze nell'opera<br />
grafica di Ugo Fanfani ». Al volume, curato da Ubaldo Bardi, hanno<br />
- 144-<br />
l1
collaborato Paolo Cherubelli e Pietro Annigoni, e dal Fanfani è stato<br />
dedicato con animo commosso ai suoi genitori Olinto e Albina. Esso<br />
si apre con la riproduzione del busto in bronzo di Ugo Fanfani, opera<br />
di Pietro Annigoni, e contiene 26 artistiche tavole riproducenti una terracotta,<br />
un « olio» e 24 disegni del Fanfani.<br />
In questo volume il Fanfani ci parla della Certosa «con la fede<br />
che porta verso quelle cose antiche e care allo stesso tempo, intrise<br />
di un linguaggio popolare, ma sostenute da uno spirito vigile ed attento»<br />
(D. Bardi).<br />
Nella lunga ed appassionata opera del Fanfani mancava ancora la<br />
Certosa del Ga11uzzo, suo paese natale, «questo gigante, simbolo di<br />
una grande civiltà, ... il più eloquente testimonio del lavoro dell'uomo<br />
che intendeva elevare al cielo il suo canto» (D. Bardi).<br />
Ricca e perfetta la veste tipografica: merito del litografo Carlo<br />
Maggiani di Scandicci.<br />
Il Prof. Cherube11i, con bella parola, tratteggiava la personalità schiva<br />
e modesta, retta e profonda di Ugo Fanfani, la sua arte disinteressata,<br />
il suo amore per Firenze.<br />
Il volume di Fanfani (notava il Cherubelli) non si prefigge solo uno<br />
scopo artistico, non vuole essere solo un saggio d'arte, ma anche e soprattutto<br />
una guida spirituale segnata graficamente dall'artista che, per<br />
la sua caratteristica bontà, è un innamorato di tutto ciò che porta sollievo<br />
e aiuto allo spirito. Egli ha scelto gli angoli della Certosa più vivi<br />
di spiritualità per dimostrare che il monastero va visto non solo per il<br />
suo valore artistico-turistico (che è grande), ma anche per quello spirituale<br />
che esso conserva e tramanda da un'epoca all'altra.<br />
L'ora et labora di San Benedetto non muta tra le mura della Certosa,<br />
attraverso i secoli della sua storia. Ben lo comprese l'arch. Guido<br />
Morozzi, Soprintendente ai Monumenti, quando prima timidamente e<br />
poi sempre più coraggiosamente intraprese orsono circa quindici anni il<br />
restauro del Palazzo degli Studi, ora custode di opere d'arte, fra le quali<br />
una vasta visione degli affreschi del Pontormo, che da soli fanno Museo<br />
del Palazzo stesso.<br />
Il calore per i lavori alla Certosa si sentiva nelle parole dell'arch.<br />
Morozzi, il quale metteva a punto il suo desiderio, e quello dei Monaci<br />
<strong>Cistercensi</strong>, di vedere la Certosa un cenacolo di preghiera e di cultura.<br />
Preghiera e cultura erano i due punti toccati da Mons. Armando<br />
Casini, Priore-Parroco al Galluzzo, che portava la benedizione e il saluto<br />
del Cardinale Arcivescovo Ermenegildo Florit, impegnato a Roma<br />
per i lavori della Conferenza Episcopale Italiana.<br />
- 145-
Il dotto Mario Ermini, un vero « amico della Certosa », auspicava<br />
che la Certosa ed ogni monastero cistercense diventi un faro che richiami,<br />
come già nel Rinascimento, umili e grandi a forgiare il loro animo alla<br />
fede e alle virtù civiche.<br />
Il Commissario Prefettizio S. E. Padalino, che presiedeva alla manifestazione,<br />
portava con un cordiale intervento la voce e l'augurio della<br />
Città di Firenze a Ugo Fanfani, all'arch. Morozzi, ai monaci e a tutti<br />
i presenti.<br />
Quindi j Presidenti del C.O.F.A.T. (Centro Operatori Fiorentini<br />
Attività Turistiche) signori Waldemaro Pippucci e Quinto Martini consegnavano<br />
all'amico Maestro Ugo Fanfani l'ottava medaglia (la prima<br />
consegnata fuori sede) destinata all'innamoratissimo di Firenze, giusto<br />
riconoscimento alla rara modestia del Fanfani, al suo talento artistico,<br />
al suo amore per Firenze.<br />
Infine Ugo Fanfani cercava di dire a tutti il suo grazie e la sua<br />
commozione, più con lo sguardo che con le parole, e ad ognuno offriva<br />
in omaggio una copia del volume con firma autografa.<br />
Certosa di Firenze) 31 maggio-l" giugno 1970.<br />
Il P. Priore della Certosa di Firenze, su cortese invito di gentili<br />
persone, si è recato a visitare i ruderi dell'abbazia cistercense di Casanova,<br />
in Civitella-Casanova (diocesi di Penne, provincia di Pescara).<br />
Domenica 31 maggio, accolto con chiara letizia dall' Abate Parroco<br />
Don Umberto Di Giacomo, il P. Priore ha celebrato la Messa solenne<br />
delle ore Il, rivestito dei sontuosi paramenti sacri del sec. XVII, che<br />
la Chiesa parrocchiale ereditò a suo tempo dai monaci dell'abbazia, e<br />
che ora vengono usati solo nelle circostanze più solenni.<br />
All'omelia, il P. Priore ha detto la commozione di quella sua Messa<br />
celebrata là dove per diversi secoli tante generazioni di cistercensi hanno<br />
pregato e lavorato gomito a gomito con le popolazioni del posto, ed ha<br />
esortato i presenti a vivere la vita cristiana imitando gli esempi degli<br />
antichi padri.<br />
Nel pomeriggio della stessa domenica, il P. Priore ha compiuto una<br />
lunga visita ai ruderi dell'abbazia, accompagnato da Angelino e da Pietro,<br />
due « ciceroni» perfetti, che di Casanova sanno tutto, che della « loro»<br />
abbazia parlano come della loro casa, con amore e con orgoglio.<br />
Grave è stata l'ingiuria del tempo, gravissima anzi! Tuttavia, si<br />
ammirano ancora le ardite volte del chiostro dai costoloni in terra cotta,<br />
i pilastri, le pareti, parte dei costoloni in pietra della Chiesa abbaziale,<br />
non grande ma posente e severa. Il Capitolo è ancora là, quasi intatto,<br />
- 146-
colle volte che ricadono su due colonne centrali, semplici ed austere,<br />
così come semplice ed austero doveva essere tutto il complesso, improntato<br />
ai rigidi schemi architettonici dei cistercensi tra la fine del sec. XII<br />
e l'inizio del XIII.<br />
Angelino e Pietro hanno mostrato al P. Priore e alle persone che<br />
lo accompagnavano una cosa che sarebbe rara anche ai nostri giorni,<br />
epoca della automazione più progredita: hanno mostrato cioè il<br />
« terminai» dellatteodotto lungo circa sei chilometri, che partendo dai<br />
pascoli delle sovrastanti montagne portava il latte al caseificio dell'abbazia.<br />
Questa «invenzione » dei cistercensi abruzzesi del sec. XIII ci<br />
richiama alla mente un'altra geniale trovata dei cistercensi portoghesi di<br />
Alcobaça, che nel sec. XII costruirono la loro abbazia fra i torrenti Alcoa<br />
e Baça, e poi ne deviarono il corso facendoli passare attraverso la cucina:<br />
così.; era assicurata la pulizia del vasellame necessario ai quasi mille<br />
monaci di quella abbazia.<br />
La visita di un cistercense a Civitella Casanova ha suscitato curiosità<br />
(dal Concilio in poi, diceva qualcuno, non si capisce più niente: prima,<br />
i preti vestivano in nero; ora, vestono in bianco e nero come la Juventus);<br />
ma ha destato anche l'entusiasmo della cittadinanza ed ha risvegliato<br />
ricordi e leggende nell'animo dei più anziani.<br />
Tante notizie e tante storie antiche le hanno raccontate anche Cesarino,<br />
il « mago» delle TRE C (Centerbe di Civitella Casanova, un liquore<br />
medicinale potentissimo, puro distillato di erbe locali) e la signora<br />
Berenice, una arzilla nonnina di novant'anni, che con precisione estrema<br />
ha rievocato i trafugamenti notturni del tesoro di Casanova: sembrava<br />
vedere le lunghe file di muli che dall'abbazia trasportavano i pesanti<br />
sacchi di monete d'oro nei meandri sotterranei del castello baronale.<br />
La nota più lieta è venuta dagli alunni della Scuola Elementare e<br />
della Scuola Media di Civitella, che a seguito di questa visita non si<br />
stancavano di bombardare professori e maestri con tanti come? perché?<br />
quando? chi? ecc...<br />
Bravi ragazzi che si entusiasmano alla storia del loro paese!<br />
Un vivo plauso a tutti questi simpatici giovani e forti figli d'Abruzzo,<br />
che si preparano con coraggio ad affrontare la vita: ad essi e ai loro<br />
insegnanti vada il nostro incoraggiamento. Con l'augurio che qualche<br />
altra tonaca bianco-nera possa presto tornare a Civitella. E in quella<br />
occasione sarebbe bello organizzare un incontro diretto tra monaci cistercensi<br />
e alunni delle Scuole.<br />
Il P. Priore della Certosa di Firenze ringrazia il rag, Nicola Santedicola, fiorentino<br />
di Civitella, che ha organizzato questa escursione in terra d'Abruzzo, e Dan Umberto Di<br />
Giacomo, Abate Parroco di Civitella, per la fraterna accoglienza. (N.d. R.).<br />
- 147-
Cari lettori,<br />
Nello scorso mese di Febbraio la redazione di « Notizie<br />
<strong>Cistercensi</strong>» scrisse all'Abate Stefano Hoàng dell'abazia<br />
di Cbsu-son, invitandolo a delineare) per i lettori della nostra<br />
rivista, un quadro della vita monastica cistercense in<br />
Yietnam, nel suo aspetto generale e nelle circostanze attuali.<br />
Il Rev.mo Abate ha gentilmente accolto l'invito trasmettendoci<br />
le notizie che ora pubblichiamo. La Redazione crede<br />
di interpretare l'animo dei lettori ringraziando l'Abate Stefano<br />
a nome di tutta la famiglia di «Notizie <strong>Cistercensi</strong> »,<br />
sono contento di poter rispondere all'invito della redazione di<br />
«Notizie <strong>Cistercensi</strong>» inviandovi alcuni cenni sulla vita monastica,<br />
quale si svolge nel nostro Monastero di Chàu-son,<br />
Vogliate accettare le mie idee così come sono. E pregate per<br />
la nostra comunità affinché possa vivere santamente il suo ideale<br />
monastico,<br />
LA VITA MONASTICA<br />
Fr. M. STEFANO HOÀNG<br />
abate cistercense<br />
NEL NOSTRO MONASTERO DI CHAU-SON<br />
I - IN GENERALE<br />
In nessuna pagina della Regola di San Benedetto si legge il motto<br />
«Ora et Labora ». Tuttavia la tradizione benedettina è solita riassumere<br />
la nostra vita monastica in queste due parole: questa del<br />
resto è la realtà. E quindi vi presento la vita del nostro monastero di<br />
Chàu-son sotto questi due aspetti:<br />
A) Ora;<br />
B) Labora.<br />
- 148-<br />
l
A) ORA: preghiera<br />
1. Il desiderio di comunicare con gli spiriti soprannaturali è un<br />
elemento strutturale della mentalità religiosa del Vietnamita. Egli ha<br />
assorbito questo desiderio dalle varie religioni diffuse nel nostro paese:<br />
il buddismo, il taoismo ... La fede popolare nella sopravvivenza delle<br />
anime conferisce ulteriore vitalità a questa ansia di comunione.<br />
2. Questa innata disposizione alla preghiera ci aiuta a realizzare<br />
la vita benedettina sotto l'aspetto contemplativo. La commissione preparatoria<br />
al Capitolo Speciale della nostra Congregazione (la cui prima<br />
parte si è svolta nel dicembre 1969) ha diffuso fra i confratelli un<br />
elenco di domande-tests circa la nostra vita cistercense: le risposte<br />
confermano che il 50% dei nostri religiosi vuoI conservare la vita di<br />
preghiera e rimanere fedele al tipo di osservanza vissuto finora.<br />
Il desiderio quindi di vivere effettivamente la preghiera domina<br />
la nostra vita liturgica: e ciò postula una riforma e un adattamento.<br />
È per questo che ora abbiamo la Messa in lingua parlata; Compieta<br />
è cantata in lingua vietnamita, e così pure Terza e Vespro quando vi<br />
partecipano gli alunni delle nostre scuole. L'accento della nostra lingua<br />
crea un ritmo e una melodia che non differiscono molto dal canto gregoriano.<br />
Le Letture spesso monotone del Matutino sono state sostituite<br />
con passi scelti di libri vietnamiti più attuali o con traduzioni<br />
di opere attinenti alla vita di oggi.<br />
Due volte al giorno, terminato l'Ufficio divino, dedichiamo mezz'ora<br />
alla meditazione. Un'ora al giorno ci intratteniamo a colloquio<br />
con Dio mediante la lectio divina: gli ultimi quindici minuti sono<br />
riservati all'esercizio della contemplazione quale effetto immediato della<br />
lectio divina.<br />
3. Gli atteggiamenti esterni della preghiera vengono adattati in<br />
modo da esprimere con maggior efficacia l'anima vietnamita che prega:<br />
le genuflessioni, gli abbracci, i baci e altri simili gesti che non rispondono<br />
alla mentalità del popolo dovranno cedere il posto agli usi tradizionali<br />
del nostro paese.<br />
4. Per alimentare la vita liturgica cerchiamo di arricchire la mente<br />
e il cuore dei confratelli: a questo scopo organizziamo corsi di sacra<br />
Scrittura, di liturgia, di santa Regola; spieghiamo il comportamento<br />
psicologico dell'uomo durante la preghiera ... e approfittiamo di vescovi<br />
o sacerdoti di passaggio per ascoltare le loro conferenze ed esortazioni.<br />
Due volte alla settimana abbiamo scuola di canto; una volta, scuola<br />
di liturgia e cerimonie. La nostra commissione liturgica, composta di<br />
- 149-
tre padri, studia i problemi della riforma e dell'adattamento e si tiene<br />
in relazione continua con la commissione liturgica diocesana.<br />
Come tutti, anche noi viviamo un'epoca di esperimenti, e speriamo<br />
di trovare formule adatte a condurre i nostri monaci alla beata<br />
contemplazione.<br />
B) LABORA: lavoro<br />
Il resto della giornata monastica è consacrato al lavoro. L'unica<br />
fonte di sostentamento è il lavoro delle nostre mani: non abbiamo<br />
imprese di produzione o grandi industrie; ce ne mancherebbero i<br />
mezzi; del resto, non è questo che desideriamo, anche perché vediamo<br />
in tutto ciò un pericolo per la nostra vita di preghiera.<br />
Tenendo conto delle influenze che l'uomo esercita sull'ambiente<br />
e viceversa, ci siamo costruiti il nostro monastero lavorando senza<br />
posa dal 1963 ad oggi. Molto modesta, adatta alle esigenze climatiche<br />
e ambientali del nostro paese, questa costruzione ha conservato il carattere<br />
cistercense e soddisfa in giusta misura ai requisiti della vita<br />
monastica.<br />
Ci dedichiamo anche alla coltivazione dei legumi, all'allevamento<br />
del bestiame e dei pesci. Il riso, cibo nazionale, non si produce nella<br />
nostra regione e dobbiamo comperarlo a Saigon; e ciò costituisce una<br />
non leggera preoccupazione data la difficoltà delle comunicazioni.<br />
Ogni settimana dedichiamo due giorni al lavoro in comune: allora<br />
tutta la comunità, dall'abate all'ultimo dei novizi, vive il suo<br />
labora nel bosco o nei campi.<br />
Non possiamo non parlarvi delle nostre attività intellettuali: esse<br />
mirano soprattutto alla formazione teologica in generale, e monastica<br />
in particolare dei nostri giovani. L'orario del noviziato comprende<br />
quattro ore settimanali di latino, quattro ore di lingua nazionale, un'ora<br />
di teologia monastica, un'ora di storia dell'Ordine Cistercense e un'ora<br />
di teologia ascetica, due ore di santa Regola, una di canto e una di<br />
liturgia. Tre dei nostri giovani teologi frequentano lo scolasticato dei<br />
Padri Domenicani a Thu-Dùc presso Saigon; cinque sono ospiti dell'abbazia<br />
di Hauterive (Svizzera) e frequentano l'università di Friburgo.<br />
La nostra biblioteca possiede circa cinquemila volumi in lingua vietnamita,<br />
francese e tedesca.<br />
Nel nostro seminario educhiamo 150 alunni, cercando di orientarli<br />
alla vita cistercense secondo i principi della santa Regola e le<br />
moderne esperienze della sana psico-pedagogia. Al termine degli studi<br />
secondari, conseguita la maturità, gli alunni che lo desiderano possono<br />
- 150-<br />
-
essere ammessi al noviziato. Sette dei nostri padri si dedicano all'opera<br />
della formazione dei seminaristi. Il 27% delle nostre vocazioni viene<br />
dagli alunni del seminario.<br />
C) L'OSSERVANZA REGOLARE<br />
Voglio ora mettere l'accento su alcuni aspetti dell'anima vietnamita<br />
che trovano chiaro riscontro nelle nostre osservanze monastiche.<br />
1. La vita comunitaria: lo spirito di famiglia presso i vietnamiti<br />
è un fatto che nessun buon conoscitore del Viet-nam può negare. La<br />
tradizione secolare del paese è un fattore ancestrale che spinge i suoi<br />
figli a radicarsi nella terra ove riposano i loro antenati. D'altra parte,<br />
i precetti del confucianesimo, quali TU NHAN, TICH DUC, TE GIA ...<br />
(tendere alla perfezione, acquistare le virtù, dirigere la propria famiglia<br />
... ) preparano l'anima vietnami ta alla professione dei voti monastici.<br />
2. Molti sono ancora gli adepti che cercano severità e disciplina.<br />
Così, i nostri usi stabiliscono che ci si flagelli tutti i venerdì dell'anno,<br />
e che nei venerdì di quaresima ci si contenti di un po' di riso condito<br />
con solo sale. Le risposte alle domande della commissione preparatoria<br />
del nostro Capi tolo ci hanno rivelato che il 75% dei nostri monaci<br />
non vuol mitigare l'ora della levata (le due di notte) e la flagellazione<br />
settimanale. Molto numerosi sono i casi di penitenze personali<br />
volontarie. Il nostro orario giornaliero potrà aiutarvi a farvi un giudizio<br />
meno approssimativo sulla nostra vita:<br />
Ore 2.00 Levata<br />
» 2.10 Matutino e meditazione, riposo facoltativo<br />
» 4.45 Laudi, Messa conventuale<br />
» 6.30 Prima, colazione facoltativa<br />
» 7.30 Lavoro o studio<br />
» 8.35 Terza, lavoro<br />
» 11.20 Fine del lavoro<br />
» 11.45 Sesta, esame di coscienza, pranzo, riposo<br />
» 13.40 Nona, lettura della sacra Scrittura<br />
» 15.00 Lavoro o studio<br />
» 17.00 Fine del lavoro e dello studio<br />
» 17.20 Vespro, Rosario, cena<br />
» 19.00 Riunione nel Capitolo, conferenza<br />
» 19.30 Compieta, Salve Regina, esame di COSCienza<br />
» 20.15 Riposo.<br />
- 151 -
La nostra comunità conta ora 49 monaci professi, 3 novizi, 7<br />
aspiranti. L'età media è di 35 anni.<br />
Voglio anche dirvi che non rifiutiamo una certa attività pastorale:<br />
direzione di ritiri sia nel monastero che nelle parrocchie vicine,<br />
aiuti vari alle parrocchie di recente istituzione, ecc. Anche l'ospitalità<br />
è per noi un mezzo di fecondo apostolato.<br />
Il clima della regione è ideale per la nostra vita di preghiera, e<br />
qui godiamo ancora di una relativa tranquillità, al di fuori dei combattimenti.<br />
II. NELLE CIRCOSTANZE ATTUALI<br />
A) LE CIRCOSTANZE ATTUALI<br />
1. Due ideologie, cristianesimo e buddismo, SI oppongono tra<br />
loro come il più e il meno. Ma sul piano esistenziale sembra possibile<br />
una certa coesistenza. Ed alcuni, basandosi su questa eventuale<br />
possibilità, pensano persino ad una collaborazione di tipo ecumenico<br />
secondo lo spirito che va diffondendosi tra le religioni cristiane d'Europa.<br />
Di fatto, sul piano morale pratico, il cristiano e il buddista possono<br />
vivere assieme e insieme lavorare, anche se il loro ideale ascetico<br />
è essenzialmente diverso.<br />
Bisogna tuttavia tener presente che l'ateismo positivo nega categoricamente<br />
la fede in Dio e in Gesù Cristo. Questo conflitto ha scatenato<br />
in Viet-nam ondate enormi di rifugiati: il numero di coloro<br />
che hanno preferito la loro fede ad ogni altra cosa di questo mondo<br />
era, al maggio 1955, di 875.058 unità, su un totale di 35.600.000<br />
abitanti, dei quali i cattolici erano 1.000.000 al Nord e 1.527.000<br />
al Sud.<br />
Chi di noi può essere tanto ingenuo da reclamare, in nome dell'umanitarisrno,<br />
una pace che non tenga conto del nostro avvenire?<br />
2. La situazione militare creatasi in Viet-nam è tragica. I partiti<br />
politici discutono a Saigon, mentre i soldati muoiono sui campi di<br />
battaglia. Il nostro monastero è alla frontiera del mondo libero, ma<br />
non è in una posizione strategica, per cui attorno a noi non si<br />
sono svolte sinora grandi battaglie. A cominciare dalla Pasqua dell'anno<br />
scorso, di tempo in tempo son venuti in monastero gruppi di<br />
viet-cong a cercare vettovaglie, cosa di cui nell'altro campo c'è assoluta<br />
scarsezza. La speciale protezione di Dio e della sua Santa Madre<br />
ci hanno salvato: contiamo anche sulle vostre preghiere, cari lettori!<br />
- 152-
B) GLI INFLUSSI DELLE CIRCOSTANZE ATTUALI<br />
Le circostanze eccezionali tra le quali viviamo influiscono inevitabilmente<br />
sulla nostra vita monastica. Notiamo solo la incertezza psicologica<br />
e la incertezza economica: due fattori che potrebbero creare<br />
nei nostri monaci stati d'animo complessi, i cui sintomi sono l'angoscia<br />
e I'ipersensibilità. Ma non mancano, in compenso, gli influssi<br />
positivi: infatti questa doppia incertezza ci aiuta ad ancorarci più saldamente<br />
nel nostro ideale monastico. La guerra con le sue tristi conseguenze<br />
illumina ed allarga le dimensioni escatologiche della nostra<br />
vita.<br />
La psicologia dei nostri giovani, durante questi lunghi anni di<br />
guerra e al centro del vasto processo di americanizzazione, esige una<br />
speciale opera di formazione. La sensibilità dei giovani e la loro sensibilizzazione<br />
alle realtà umane, l'esuberanza del loro slancio vitale,<br />
il miraggio della potenza illimitata, la frenesia della velocità ... e tante<br />
altre caratteristiche psicologiche della moderna gioventù vietnamita<br />
sono fattori che incidono profondamente (in maniera positiva o negativa)<br />
nel nostro lavoro che tende a formare e a sviluppare la personalità<br />
dei giovani monaci.<br />
Da questi pochi cenni, cari lettori, potete valutare le possibilità<br />
e anche le difficoltà di diffondere la vita monastica nel Viet-nam, paese<br />
in stato di guerra prolungata. Voi potete anche valutare il nostro compito<br />
in seno alla Chiesa del Viet-nam.<br />
Dove va il Viet-nam? Dove va la Chiesa del Viet-nam? Dove va<br />
il monachesimo vietnamita? Quale sarà la sorte del nostro monastero?<br />
Che le vostre preghiere ci accompagnino nel nostro cammino!<br />
Noi camminiamo nella luce della fede, mirando la stella della Provvidenza<br />
divina.<br />
Vi ringraziamo per la simpatia che dimostrate alla nostra vita<br />
dimenticata; vi ringraziamo specialmente per i vostri aiuti spirituali<br />
dei quali sentiamo tanto bisogno. Sì, è proprio da questa sorgente spirituale<br />
che attingiamo il nostro ottimismo monastico. Solo Dio è<br />
rimasto la nostra speranza e la nostra fede nelle tristi circostanze In<br />
cui viviamo!<br />
Fr. M. Stefano Hoàng<br />
abate cistercense<br />
- 153-
Emissione del suono e fonetica delle vocali<br />
Premessa<br />
Il canto gregoriano, per il suo carattere cosi VICInO talvolta alla<br />
declamazione, è di necessità legato alla retta pronuncia. Privo di qualsiasi<br />
accompagnamento orchestrale, giganteggia nella sua purezza: un<br />
qualsiasi difetto vocale degli esecutori si manifesta in modo tanto evidente,<br />
da non poter essere sopportato. È un canto esigentissimo che<br />
non ammette approssimazione tecnica. Le sue necessità sembrano scolpite<br />
dalle parole di S. Bernardo, quando invita ad intervenire alle<br />
lodi divine « con assiduità e purezza, senza sbadigliare né risparmiare<br />
la voce, senza troncare a metà le parole, né addirittura saltarle, con<br />
voce non spezzata né talmente effeminata, né risuonante nel naso »;<br />
ma invita a «cantare le lodi dello Spirito Santo con voce ed affetto<br />
virile ». Questa breve esortazione contiene in sé l'accenno ad alcuni<br />
canoni essenziali del modo di cantare.<br />
Emissione del suono<br />
« L'atto del cantare e del parlare, è fisicamente il risultato sensibile<br />
della somma di simultanei movimenti di diversi organi» ( 1).<br />
La formazione vocale, se è necessaria per la musica in genere, lo è<br />
assai più per quella gregoriana, la quale possiede forme melodiche<br />
di una delicatezza estrema, che richiedono per l'esecuzione, un'arte<br />
fine ed una voce elastica e sonora. Lo strumento vocale donatoci dal<br />
Creatore è il più perfetto che esista. Esso è composto, innanzi tutto,<br />
dai polmoni, che costituiscono il mantice produttore di aria per l'emissione<br />
del suono. L'aria, infatti, per mezzo della trachea, viene portata<br />
alla laringe, la quale, a sua volta, è composta da vari muscoli tra cui<br />
le corde vocali che, percosse dall'aria, si tendono e vibrano producendo<br />
il suono. In ultimo ci sono le casse di risonanza che, quali altoparlanti<br />
(1) J. P. BAGAGIOLO, Cenni di critica ortojonica, Venezia 1958.<br />
- 154-
e amplificatori del suono già prodotto, acquistano una notevole importanza<br />
« nel determinare la veste cromatica dei vari suoni; questi ultimi,<br />
vengono 'modulati' ed acquistano sonorità e colore in virtù delle<br />
particolari modulazioni di forma e dimensioni delle cavità sopraglottiche.<br />
Quindi i suoni vengono ampliati e arricchiti di sovratoni o armonici,<br />
oltre quelli già prodotti dalle vibrazioni delle corde vocali»<br />
(2). «Il suono inizia immediatamente al termine della inspirazione<br />
e contemporaneamente alla espirazione dell'aria. Al momento del<br />
canto, le corde vocali si avvicinano l'una all'altra, per impedire all'aria<br />
la regolare uscita. I margini di queste corde, quasi forzati dalla colonna<br />
d'aria proveniente dai polmoni, vengono messi in azione, in<br />
tensione e in vibrazione come un'ancia dell'organo. Queste flessioni e<br />
deflessioni, producendo la vibrazione, ottengono il suono che poi viene<br />
amplificato nella bocca, in grado più o meno elevato secondo la varia<br />
apertura» (3). In altri termini, «le vibrazioni delle corde vocali si<br />
comunicano alla colonna d'aria che le attraversa; questa, uscendo per<br />
la gola, va a battere nella parete superiore e anteriore della bocca.<br />
È qui che il suono si forma, ossia riceve il suo colore tonico e si<br />
riveste della parola ... » (4). In questo esercizio è necessario fare attenzione<br />
che la colonna d'aria attraversi tutta intera la gola, senza passare<br />
per altre vie non naturali; diversamente, il suono uscirà nasale<br />
o gutturale. «La voce deve uscire limpida e chiara, senza che passi<br />
per il naso, né in gola si affoghi, che sono i due difetti più orribili<br />
di un cantore» (5) e fra i più difficili ad essere corretti. Noi italiani,<br />
come fa notare la Bagagiolo, abbiamo una lingua che non<br />
ha bisogno né di canto gutturale né di canto nasale. Basta esercitare<br />
la voce nel modo più naturale, perché essa sveli il suo colore e la<br />
facilità di distendersi nei suoni acuti o nei gravi (6). Il suono deve<br />
formarsi sempre sulle labbra e non nella gola; «questo principio, oltre<br />
a facilitare la retta pronuncia e la precisione dell'emissione, impedisce<br />
il suono gutturale e preserva l'apparato vocale da infiammazioni» (7).<br />
Il suono, inoltre, va emesso a mezza voce e senza alcuno sforzo,<br />
con dolcezza e morbidezza, con precisione e sicurezza, onde vengano<br />
ben eseguite le varie flessioni vocali, senza stancare la laringe.<br />
(2) J. P. BAGAGIOLO, Tecnica uoc., ].1., 1965, Venezia.<br />
(3) TARNEAUD, Le ebani, sa cdnstruction ..., Paris 1946.<br />
(4) P. FERRETTI, Canto Greg., Roma 1914.<br />
(5) TOSI, Opinioni dei cantori antichi e moderni, Bologna 1723.<br />
(6) J. P. BAGAGIOLO, Tecnica vocale ...<br />
(7) P. ERNETTI o.s.b., Canto Greg., Venezia-Roma 1960.<br />
- 155-
« Non cantare mai a voce forzata, anzi buona regola è di cantare sempre<br />
a mezza voce, il che non impedisce di eseguire la melodia nella<br />
varietà delle sue sfumature» (8). «Non debba adunque il cantore<br />
nel cantare, mandar fuori la voce con impeto, et con furore, a guisa di<br />
bestia, ma debba cantar con voce moderata» (9). Perché il suono sia<br />
limpido e preciso, bisogna aprire la bocca, abbassando la mascella inferiore<br />
in maniera tale che, tra i denti incisivi superiori e quelli inferiori,<br />
ci sia una distanza di circa due centimetri. Tale movimento della<br />
mascella inferiore va fatto senza scatti. Ogni scatto altera la posizione<br />
muscolare di tutto l'apparato vocale, per cui la voce viene serrata<br />
e forzata. Anche la posizione della lingua è di capitalissima importanza<br />
nella pronuncia delle parole. «Essa deve stare leggermente e<br />
morbidamente appoggiata sulla mascella inferiore, con la punta che<br />
tocchi i denti inferiori. Non meno importante è la posizione delle<br />
labbra. L'apertura e la chiusura delle labbra determinano moltissimo<br />
il timbro di una voce, per cui devono variare sia per ogni vocale,<br />
come per la diversa colorazione delle singole e medesime vocali» (10).<br />
Formazione delle vocali<br />
Per la emissione delle cinque vocali della nostra lingua, le cavità<br />
che costituiscono il tubo di risonanza assumono precisi atteggiamenti<br />
muscolari, diversi per ogni vocale. Perciò le labbra, la lingua, le guance,<br />
il palato molle modificano alternativamente la cavità orale per la produzione<br />
di ciascun suono.<br />
Per quanto riguarda la retta pronuncia, diamo solo qualche indicazione<br />
molto utile. La vocale A si ottiene abbassando semplicemente<br />
la mascella inferiore e, con questa, la lingua; poi si solleva appena<br />
il velo palatino. Per la vocale 0, basta protendere le labbra in<br />
avanti e immediatamente il velopendolo si eleva per dare il suono<br />
cupo e chiuso.<br />
La vocale U si ottiene restringendo un po' più le labbra e alzando<br />
ancora il velopendolo, per ampliare la risonanza boccale. Per<br />
la vocale E, la bocca si stende orizzontalmente premendo la punta<br />
della lingua sui denti inferiori e sollevandola al centro. La vocale I<br />
si ottiene schiacciando ancor più le labbra orizzontalmente, lasciando<br />
(8) E. RAVEGNANI, Metodo compilato di Canto Greg., Roma 1904.<br />
(9) ZARLINO, Le Istituzioni Armoniche, Venezia 1562.<br />
(lO) P. ERNETTI o.s.b., Canto Gregoriano, Venezia-Roma 1960.<br />
- 156-
la lingua come nella vocale E (11). Anche qui però, bisogna evitare un<br />
difetto in cui si cade spesso, pronunciare cioè una vocale per un'altra.<br />
« Vi sono molti maestri che abituano gli allievi a deformare le vocali,<br />
credendo in tal modo di facilitare l'esecuzione. Si suggerisce di pronunciare<br />
la A in modo che assomigli alla 0, la I alla U ecc. Oltre ad essere<br />
segno di deficienza, le vocali male pronunciate offendono le esigenze<br />
dell'arte. Queste deformazioni risultano, in ultima analisi, brutte necessità<br />
delle voci male educate» (12).<br />
Conclusione<br />
Diciamo che il canto deve essere basato sulla semplicità e chiarezza,<br />
« se non si vuole che lo stesso finisca in un labirinto di assurde<br />
parole e di comiche e nocive pratiche» (13). Intanto, per incoraggiarci<br />
a far sempre meglio, riporto un ultimo passo del grande maestro di<br />
orchestra, Carlo Polacco, il quale, meditando sul meraviglioso strumento<br />
della voce umana, esclama: «La laringe è un dono prezioso<br />
offerto ci da Dio, perché ci si possa esprimere con la parola e perché<br />
possiamo godere del nostro canto; è strumento vivo, palpitante, sempre<br />
imitato dagli strumenti inventati dall'uomo, mai raggiunto e tanto<br />
meno superato. Il fiato che anima il suono prodotto dalle corde vocali,<br />
si espande così dall'anima del cantante a quella dell'ascoltatore.<br />
Il cantante che sa di poter offrire qualche cosa di buono con la sua<br />
voce a questo mondo tanto assetato di bene, si prodighi con senso<br />
religioso in quest'atto benefico e sappia trasfondere i tesori del suo<br />
strumento. Non ricerchi gloria, né ricchezza; queste gli verranno di<br />
conseguenza e conferiranno una nota di umana pienezza alla singolare<br />
espressione della sua ricchezza interiore» (14).<br />
D. ILDEBRANDO DI FULVIO O. Cisto<br />
(11) ZARLINO, op. cito<br />
(12) ]. P. BAGAGIOLO, op. cito<br />
(13) ]. P. BAGAGIOLO, op. cito<br />
(14) C. POLACCO, Come respirare per cantare, ].L., Venezia 1966.<br />
- 157-
LA DISTRIBUZIONE DEL SALTERIO SECONDO<br />
LO « SCHEMA C » DEI CISTERCENSI STR. OBS.<br />
Avvalendosi delle facoltà concesse<br />
all' Ordine Cistercense dalla Sacra Congregazione<br />
del Culto Divino (prot.<br />
n. 974/69 del 3-9-1969), la comunità<br />
della Certosa di Firenze in via sperimentale<br />
celebra l'Ufficio divino distribuendo<br />
i 150 salmi del Salterio nel<br />
corso di una sola settimana secondo<br />
il cosiddetto «Schema C » già in uso<br />
presso alcune abbazie dei Trappisti.<br />
L'esperimento della Certosa di Firenze<br />
è iniziato al principio di aprile<br />
1970.<br />
La rivista « Ora et Labora » del monastero San Benedetto di Milano<br />
(Via Felice Bellotti, lO) nel n. 2, aprile-giugno 1970 pubblica la relazione<br />
tenuta dall'Abate Sebastiano Bovo O.S.B. al Convegno Monastico di<br />
Liturgia (Roma, novembre 1969) su «Schemi di distribuzione dei<br />
Salmi ». In quella relazione il dotto Abate benedettino tratteggia con<br />
chiarezza il valore che la preghiera ha e deve avere, in seguito al preciso<br />
comando evangelico, per i cristiani tutti e per i monaci in particolare;<br />
quindi passa ad esaminare vari schemi di distribuzione di Salmi, proposti<br />
e sperimentati negli ambienti monastici italiani e stranieri.<br />
Noi crediamo utile riportare qui alcune idee generali circa la riforma<br />
dell'Ufficio divino, e altre idee più particolari atte ad illustrare i criteri<br />
che hanno guidato i compilatori dello « Schema C».<br />
Lo « Schema C » parte dal presupposto che i 150 salmi del Salterio<br />
debbono essere recitati tutti in una settimana, senza ripetizioni. Esso<br />
si ispira, nonostante le modifiche, al progetto presentato da Don<br />
Fiiglister O.S.B., basato sui generi poetici dei salmi, e sul progetto di<br />
P. Drijvers, basato sui « temi» o argomenti dei salmi.<br />
Le Ore brevi.<br />
Dato che i salmi graduali (119-127) non possono essere ripetuti,<br />
essi sono stati riservati all'ora di Nona nei primi tre giorni della settimana.<br />
Anziché dividere il salmo 118 tra la domenica e il lunedì (come<br />
in altri schemi), si è preferito ripartirlo all'ora di Terza, in tutti i<br />
- 158-
giorni della settimana: Terza è l'ora della Pentecoste, l'ora dello Spirito;<br />
e lo Spirito è la nuova Legge, la Legge dell'Amore.<br />
Le Laudi.<br />
Le Laudi conservano nello schema «C» la loro struttura tradizionale,<br />
in cui si accentua il passaggio dell'anima dalla confessione<br />
dei peccati alla confessione di lode.<br />
Il primo salmo è, ogni giorno, uno dei sette salmi peni tenziali.<br />
L'ultimo invece è un salmo tratto dal «Terzo Rallel» del Salterio<br />
(salmi 145-150), con l'aggiunta del salmo 96 per completare la serie.<br />
I due salmi intermedi sono, con qualche eccezione, gli stessi che furono<br />
stabiliti da San Benedetto.<br />
Vespri.<br />
La maggior parte dei salmi dei Vespri è tratta dall'ultimo settore<br />
del Salterio (a cominciare dal salmo 109). La domenica ha<br />
conservato in parte la struttura attuale; ma si è cercato di accentuarne<br />
il carattere pasquale (salmi 109, 11O, 113A, 114-115). I salmi del<br />
martedì, ben legati tra loro, evocano chiaramente Gerusalemme e il<br />
Tempio Santo; così del resto i salmi delle altre «ore» di questo<br />
giorno. Forse il martedì è il giorno in cui l'Ufficio è risultato meglio<br />
« costruito ». I salmi del venerdì sono una combinazione di suppliche<br />
collettive ed individuali.<br />
Vigilie.<br />
Il salmo-invitatorio cambia ogni giorno (il 94 è ripetuto la domenica<br />
e il venerdì). Il salmo 80, data la sua caratterizzazione eucaristica,<br />
è stato scelto per il giovedì. Negli altri giorni il salmo-invitatorio tende<br />
ad introdurre la mente alla susseguente salmodia delle vigilie.<br />
Se si eccettua la domenica, in ogni notturno due salmi relativamente<br />
brevi ne inquadrano uno più lungo (come nello schema Fiìglister).<br />
In generale i salmi delle vigilie sono stati raggruppati per affinità.<br />
Il lunedì, per esempio, il salmo 106 è una preghiera di ringraziamento<br />
per la salvezza che Dio continua a darci anche nelle situazioni<br />
più scabrose; e i salmi 1 e 111, letti sotto questo punto di<br />
vista, ci suggeriscono il modo in cui noi dobbiamo rispondere alla<br />
salvezza che ci viene da Dio. Il salmo 105 del secondo notturno del<br />
martedì ci suggerisce le risposte da dare alle domande dei due salmi<br />
(73 e 43) che lo accompagnano. Il venerdì e la domenica i salmi<br />
- 159-
sono stati scelti in funzione della Pasqua del Signore. Il tema dell'Esodo<br />
ritorna spesso nel corso della settimana (lunedì, martedì, giovedì,<br />
sabato).<br />
Nota dottrinale sulla riforma dell' UfJicio divino.<br />
1. Il Concilio Vaticano II ha voluto che «il venerabile e sacro<br />
tesoro dell'Ufficio romano venga adattato in modo tale che possano<br />
usufruirne più largamente e più facilmente tutti coloro ai quali è affidato»<br />
(Sacrosanctum Concilium 90).<br />
Questa esigenza di riforma è valida anche per il nostro Ufficio<br />
monastico. E per due motivi:<br />
Primo, perché la struttura del nostro Ufficio divino è molto<br />
vicina al breviario romano.<br />
Secondo, perché il fine della riforma non consiste solo nel sollievo<br />
da dare ai sacerdoti diocesani oppressi dalle fatiche del ministero<br />
apostolico, ma anche e soprattutto in un maggiore profitto spirituale.<br />
Ciò risulta chiaramente dal citato n. 90 della' Sacrosanctum Concilium "<br />
e da altri numeri della stessa Costituzione conciliare. Il n. 87, per<br />
esempio, dice: «affinché i sacerdoti e' gli altri membri della Chiesa<br />
possano meglio e più perfettamente celebrare l'Ufficio divino ». Del<br />
resto si conosce bene il «ritornello» di tutta la riforma liturgica<br />
promossa dal Concilio: « ...i fedeli vengano formati alla piena, consapevole<br />
ed attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche» (cfr. Sacrosanctum<br />
Concilium 11, 14, 19, 21, ...).<br />
Non si potrà certo dire che tale piena, consapevole ed attiva<br />
partecipazione alla liturgia non riguardi coloro il cui compito principale<br />
« è quello di prestare umile e insieme nobile servizio alla divina<br />
maestà entro le mura del Monastero» (Perfectae Caritatis 9; cfr. 2, c).<br />
È evidente che la riforma del nostro Ufficio divino va fatta tenendo<br />
conto del nostro genere di vita, che non è quello dei sacerdoti<br />
diocesani o dei cristiani nel mondo. La nostra riforma deve essere ben<br />
distinta dalla riforma dell'Ufficio romano. Ma va applicato anche a noi<br />
il principio secondo il quale «l'ordinamento dei testi e dei riti deve<br />
essere condotto in modo che le sante realtà da essi significate siano<br />
espresse più chiaramente, il popolo cristiano (cioè noi stessi) possa<br />
capirne più facilmente il senso e possa parteciparvi con una celebrazione<br />
piena, attiva, comunitaria» (Sacrosanctum Concilium 21).<br />
2. Princìpi che, secondo la mente del Concilio, devono guidare<br />
la riforma dell' Ufficio divino:<br />
160 -
a. Nelle sacre celebrazioni, la lettura della Sacra Scrittura sia<br />
più abbondante, più varia, meglio scelta (Se. 35,1; 92,a,b).<br />
b. I riti splendano per nobile semplicità; siano chiari nella<br />
loro brevità e senza inutili ripetizioni (Se. 34).<br />
c. ...ciascuno ... svolgendo il proprio ufficio, si limiti a compiere<br />
tutto e soltanto ciò che... è di sua competenza (Se. 28).<br />
d .... si curino le acclamazioni..., le risposte, la salmodia, le<br />
antifone, i canti nonché le azioni e i gesti, e l'atteggiamento del corpo<br />
(Se. 30).<br />
e. Si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio (Se. 30).<br />
f. Scopo dell'Ufficio è la santificazione del giorno: perciò l'ordinamento<br />
tradizionale dell'Ufficio sia riveduto in modo che le diverse<br />
Ore, per quanto possibile, corrispondano al loro vero tempo, tenendo<br />
presenti però anche le condizioni della vita contemporanea in cui si<br />
trovano specialmente coloro che attendono all'apostolato (Se. 88).<br />
Per santificare veramente il giorno e per recitare le Ore si osservi<br />
il tempo che corrisponde più prossimamente al momento di ciascuna<br />
Ora canonica (Se. 94).<br />
g. 1 - La lettura della Sacra Scrittura sia ordinata in modo<br />
che i tesori della parola divina siano accessibili più facilmente e in<br />
. .<br />
maggIor ampIezza.<br />
2 - La lettura delle opere dei Padri, dei Dottori e degli<br />
scrittori ecclesiastici sia meglio selezionata.<br />
3 - Le «Passioni» ossia le vite dei Santi siano rivedute<br />
dal punto di vista storico (Se.92).<br />
h. Si esortano nel Signore i Sacerdoti e tutti gli altri che partecipano<br />
all'Ufficio divino a fare in modo che, nel recitarlo, la mente<br />
corrisponda alla voce. A tale scopo si procurino una maggiore istruzione<br />
liturgica e biblica, specialmente riguardo ai Salmi (Se. 90).<br />
i. Gli inni, per quanto sembrerà conveniente, siano restituiti<br />
alla loro forma originale, togliendo o mutando ciò che ha sapore mitologico<br />
o che può essere meno conveniente alla pietà cristiana.<br />
Secondo l'opportunità, poi, se ne riprendano anche altri che si<br />
trovano nelle raccolte innografiche (Se. 93).<br />
l. È bene inoltre che, secondo l'opportunità, l'Ufficio In coro<br />
e in comune sia cantato (Se. 99).<br />
Nell'opera di riforma dell'Ufficio divino, oltre a questi princìpi<br />
sanciti dal Concilio, è da tener presente anche «una benevola dispo-<br />
- 161 -
sizione molto recente del Sovrano Pontefice » che permette, In alcuni<br />
casi, l'uso della lingua parlata.<br />
Inoltre, i lavori del «Concilium» prevedono:<br />
a. La preghiera universale quale embolismo del «Pater Noster<br />
» a Vespro.<br />
b. Preghiere per la santificazione della giornata, alle Laudi,<br />
riassumendo la parte migliore delle tradizionali preghiere che si recitavano<br />
in Capitolo (Notitiae 49, novembre-dicembre 1969, pagg. 458-469).<br />
3. La questione centrale, quella della redistribuzione dei salmi,<br />
è toccata al n. 91 della Costituzione « Sacrosanctum Concilium ». Essa<br />
è suggerita da due motivi:<br />
a. Se la lettura della Sacra Scrittura deve essere più abbondante,<br />
se dobbiamo cantare di più, se bisogna introdurre momenti di preghiera<br />
silenziosa, ecc..., sarà anche necessario riequilibrare l'Ufficio attuale,<br />
che dalle accennate riforme uscirà sconvolto.<br />
b. L'introduzione della lingua parlata modificherà il nostro<br />
modo di concepire la salmodia e la sua esecuzione.<br />
«Non si vuol dire che salmeggiando in latino il senso importi<br />
poco o sia poco compreso: bisogna però convenire che in latino, il<br />
senso dà forma alla nostra preghiera solo a grandi linee e per mezzo<br />
di alcuni versetti sparsi qua e là. Quando si ascolta una lingua straniera<br />
(anche se la si possiede perfettamente), il senso delle parole non ci colpisce<br />
troppo direttamente e con altrettanta pienezza e frutto. Il problema<br />
dell'attenzione non è certo facilitato. Questo inconveniente poteva<br />
non nuocere alla preghiera in quanto tale, perché mediante la ripetizione<br />
alternata di formule melodiche e ritmiche, semplici e armoniose, la<br />
salmodia gregoriana riusciva a creare un'atmosfera di preghiera che agiva<br />
potentemente sul nostro animo; il salmo, più che un grido di gioia o<br />
di dolore, più che una espressione volontaria, diventava una impressione<br />
ricevuta, eco intima di una Parola che veniva dall'alto e che<br />
si dirigeva al nostro cuore» (Cfr. J. Y. Hameline, Célébrer l'office<br />
divin, Paris 1967, pagg. 133-135).<br />
Così, per pregare bastava una certa « dose» di salmi. Ne è esempio<br />
l'ufficio delle Laudi con i suoi sette salmi cantati di :fila sotto una<br />
sola melodia che non lascia trasparire il movimento del pensiero, il significato<br />
di questa Ora canonica: il passaggio pasquale dalla confessione<br />
dei peccati alla confessione di lode (salmi 148-150).<br />
- 162-<br />
I<br />
l<br />
\<br />
i iI<br />
l I
Se l'Ufficio divino verrà celebrato in lingua parlata, il significato<br />
del salmo prenderà il sopravvento su l'aspetto «salmodiante» della<br />
salmodia. E probabilmente, dopo un periodo più o meno lungo di incertezze,<br />
si arriverà alle seguenti conclusioni:<br />
1. Non sarà più possibile riunire diversi salmi sotto una sola<br />
antifona (per conseguenza, bisognerà aumentare il numero delle antifone).<br />
2. La nostra mente sarà più sensibile ai generi letterari dei salmi,<br />
e quindi si dovrà fare attenzione al modo in cui essi si succedono.<br />
3. Si dovrà variare il tipo di salmodia, cosi come variano i generi<br />
letterari dei salmi.<br />
4. Sarà necessario, forse, interporre qualche attimo di silenzio fra<br />
un salmo e l'altro.<br />
5. Il numero dei salmi dovrà essere diminuito: pregando più<br />
profondamente secondo il contenuto di ciascun salmo, non potremo<br />
assimilarne tanti quanti ne sono stati recitati finora. D'altra parte, la<br />
nostra pietà personale troverà alimento sufficiente anche in pochi salmi<br />
(Un monaco che ha fatto l'esperienza dell'ufficio celebrato in lingua<br />
parlata, ci dà questa testimonianza: «Il passaggio alla lingua parlata<br />
porta con sé una vera" doccia" di idee e di concetti. I vari uffici, nella<br />
loro struttura, appaiono troppo ricchi... È dunque necessario sperare<br />
uffici la cui carica concettuale sia meno pesante. Ma essi dovranno celebrarsi<br />
con tutto il lirismo e con tutta la poesia che i testi impiegati<br />
richiedono» (Cfr. Célébrer l'office divin, pago 196).<br />
Padre Bugnini, presentando la « Istruzione» Tres abhinc, faceva<br />
questa osservazione: «Recitati in lingua parlata, cinque salmi sono<br />
un po' lunghi. La preghiera salmodiata dovrà essere eseguita più lentamente,<br />
riflettendo e meditando » (Cfr. Osservatore Romano, 7 maggio<br />
1967).<br />
A ben riflettere, il passaggio alla lingua parlata (ammesso che<br />
questo passaggio avvenga), ci orienterà naturalmente verso una riforma<br />
dell'Ufficio divino quale la desidera il Concilio Vaticano II. D'altra<br />
parte, se cercheremo di attuare la riforma suggerita dal Concilio, dovrebbe<br />
essere inevitabile, a 'scadenza più o meno lontana, il passaggio<br />
alla lingua parlata. Le due idee dipendono l'una dall'altra più di<br />
quanto non sembri a prima vista.<br />
Si tratta, insomma, non già di diminuire il tempo della preghiera,<br />
quanto piuttosto di equilibrarlo meglio in vista di una partecipazione più<br />
consapevole, più attiva, più fruttuosa.<br />
- 163-
SCHEMA «C»<br />
Dom. Fer. II Fer. III Fer. IV Fer. V Fer. VI Sabb.<br />
Vigiliae 94 97 45 46 80 94 95<br />
2 1 3 Il 38 12 8<br />
20 106 17 9 36 21 103<br />
29 111 lO 27 40 25 102<br />
44 48 73 81 49 87 76<br />
71 104 105 88 67 68 77A<br />
75 70 43 82 65 58 77B<br />
Laudes 50 6 101 37 31 129 142<br />
117 5 42 63 99 85 91<br />
62 35 56 64 89 107 100<br />
Canto Canto Canto Canto Canto Canto Canto<br />
150 145 146 147 148 149 96<br />
Tertia 118 118 118 118 118 118 118<br />
1-4 5-7 8-10 11-13 14-16 17-19 20-22<br />
Sexta 18 13 84 78 69 108 59<br />
23 72 41 79 33 19<br />
74<br />
Nona 22 119 122 125 54 34 57<br />
83 120 123 126 51<br />
92 121 124 127 52<br />
Vesperae 109 128 134 32 7 136 143A<br />
110 39 28 135 137 93 143B<br />
113A 113B 47 98 61 139 144A<br />
114-115 66-116 86 112 131 141 144B<br />
Completo 4 24 60 138 53 30 14<br />
90 130 26 140 15<br />
133 132 55 16<br />
(Cant. Nune dimittis)<br />
- 164-<br />
l<br />
,<br />
l<br />
t I<br />
l
LE PRECI AGGIUNTE ALLE LODI E AI VESPRI<br />
l. Importanza delle Preci.<br />
Le Preci da aggiungere alle Lodi e ai Vespri sono suppliche rivolte<br />
a Dio per intenzioni diverse. Fra queste suppliche sono da annoverarsi<br />
anche quelle particolari preghiere colle quali consacriamo a Dio<br />
in modo più esplicito la nostra giornata o le ore mattutine o quelle della<br />
sera, nonché le varie attività umane e tutte le cose create.<br />
Quanto alle ore mattutine, ne abbiamo un esempio in quelle preci<br />
che talvolta erano chiamate «consacrazione del giorno e del lavoro»<br />
e che facevano parte dell' Ora di Prima dell' Ufficio Romano.<br />
Le preci aggiunte alle Lodi e ai Vespri sono « petizioni»; tuttavia<br />
non escludono l'elemento di lode e di ringraziamento. E ne daremo<br />
spiegazione più avanti.<br />
Non solo la loro collocazione, ma anche il fine distingue queste<br />
« nuove» preci dai salmi, dagli inni, dalle letture, dalle antifone, dai<br />
versetti, dai responsori e dalle altre orazioni, anche se alle volte possano<br />
riscontrarsi elementi comuni. Esse infatti sono collocate dopo il<br />
Magnificat e dopo il Benedictus, e sono preghiere con le quali la Chiesa<br />
in modo più chiaro e ex professo interpreta le ore mattutine e vespertine<br />
alla luce salvificadel Cristo Dio e intercede per tutti.<br />
Le Preci, intese in questo senso, pur nella diversità delle loro<br />
forme e dei loro modi, ci sono attestate da tutta la tradizione per le<br />
Laudi e per i Vespri.<br />
Già l'Apostolo Paolo ci raccomanda «che si facciano supplicazioni,<br />
preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, per<br />
i re e per tutti quelli che sono in autorità, affinché possiamo menare<br />
una vita tranquilla e quieta, in ogni pietà e onestà. Questo è buono e<br />
accettevole nel cospetto di Dio nostro Salvatore, il quale vuole che tutti<br />
gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità» (Cfr.<br />
I Tim. 2, 1-4). Non poche volte i Padri e le Chiese hanno interpretato<br />
questa raccomandazione di San Paolo nel senso che alla mattina e alla<br />
sera si rivolgessero a Dio suppliche sia per le varie « comunità, quali la<br />
Chiesa, sia per singole persone, quali il Papa, i Vescovi, i poveri, sia<br />
per ottenere un bene determinato, quale la pace, la prosperità, ecc. ». A<br />
- 165-
queste « petizioni» si aggiungevano spesso preghiere per offrire a Dio<br />
Padre e a Cristo la giornata e le varie attività degli uomini.<br />
Esula dal nostro compito riferire qui i documenti circa l'uso delle<br />
Preci nella storia. Piace tuttavia accennare alcune idee fra le tante che<br />
rivelano il culto e la pietà delle Chiese.<br />
S. Giovanni Crisostomo afferma: «I fedeli sanno bene che ogni<br />
giorno, mattina e sera, preghiamo per il mondo intero, per i re e per<br />
tutti i pubblici ufficiali» (In Ep. I Tim. 2, 1; PG, 62, 630).<br />
Le Costituzioni Apostoliche, lib. VIII, c. 35-38 offrono sia per le<br />
Laudi che per il Vespro vari formulari dell' Ufficio della Chiesa locale,<br />
in cui si trovano preghiere non solo per le persone ma anche per la<br />
santificazione delle ore mattutine e vespertine (Ed. F. X. Funk,<br />
pp. 542-549).<br />
La pellegrina Egeria (sec. IV-V) fa spesso menzione esplicita delle<br />
Preci che avevano luogo nell' Ufficio comunitario della Chiesa di Gerusalemme<br />
(Cfr. Ed. H. Pétré, Ethérie, Journal de voyage, Paris 1948,<br />
pp. 190-192).<br />
Esempi concreti di alcune Preci si hanno nell' Antifonario di Bangor,<br />
il quale segue, come pare, le prescrizioni che San Colombano stabill<br />
nel cap. VII della sua Regola (cfr. Antifonario di Bangor, di E.<br />
Franceschini, Padova 1941, pp. 45, 48-66, 75-76). Preci per le Lodi<br />
e per i Vespri sono prescritte da alcune Regole monastiche, anche se<br />
la loro misura e forma non è determinata con esattezza: cosi per es.<br />
la Regola di San Benedetto e la « Regula Magistri ».<br />
È da tener presente inoltre che Preci di tal genere fanno parte dell'Ufficio<br />
romano, ambrosiano, visigoto, bizantino, siro, caldeo, copto,<br />
etiopico, ecc.<br />
Per quanto riguarda l'Ufficio romano, a parte la chiara testimonianza<br />
di Amalario, tutti sanno che alcune Preci furono conservate fino<br />
ad oggi in una data misura per alcuni giorni, anche se con varie restrizioni<br />
ed abbreviazioni.<br />
Non si può tuttavia negare che queste Preci caddero un po' per<br />
volta nella disistima di chi se ne serviva. Fra le cause principali che determinarono<br />
questo fenomeno possono forse a buon diritto essere annoverate<br />
le seguenti.<br />
Le Preci acquistarono attraverso il tempo un'indole penitenziale:<br />
ciò valse ad adulterare non poco il loro genuino carattere e a confinarne<br />
l'uso in alcuni determinati giorni. Per di più le Preci divennero<br />
troppo lunghe e furono composte in maniera eterogenea tanto da provocare<br />
fastidio in alcuni animi.<br />
166 -
Ma ai nostri giorni l'animo di molti era ad esse alieno soprattutto<br />
a motivo della loro « fissità» che non solo generava monotonia ma prescindeva<br />
anche dalla necessaria connessione colle variabili condizioni di<br />
vita, di tempo, di luoghi e di persone. Così l'elemento che una volta<br />
aveva la massima efficacia (Egeria per esempio ricorda le infinite « voci »<br />
dei fanciulli che rispondevano) venne a perdere in gran parte, e forse<br />
del tutto, la sua attrattiva.<br />
Coloro cui era affidato il compito della riforma dell'Ufficio divino<br />
dovevano stabilire se le Preci fossero da conservarsi. In caso affermativo,<br />
essi dovevano strutturarle in modo che corrispondessero meglio<br />
ai voti degli uomini del nostro tempo, raggiungessero il loro fine, incidessero<br />
efficacemente nella vita e nella pietà di coloro che se ne fossero<br />
serviti.<br />
La Commissione conciliare del Concilio Vaticano II aveva trattato<br />
delle Preci solo «per transennam», in quanto la questione non era<br />
ancora stata sottoposta a studio diligente. Si disse che essa spettava<br />
« potius ad peritos qui post Concilium adlaborabunt ad exsecutionem<br />
Constitutionis quia quaestiones technicae tanguntur, quae respiciunt<br />
Commissionem postconciliarem» (Cf. Modi a Patribus conciliaribus<br />
propositi a commissione conciliari de sacra Liturgia examinati. IV.<br />
Caput IV De Officio divino, n. 33, p. 14).<br />
La Commissione postconciliare, ossia il « Consilium ad exsequendam<br />
Constitutionem de sacra Liturgia» stabilì di inserire le Preci sia<br />
alle Lodi che ai Vespri (Cf. Schema n. 50, De Breviario 14; 1 dee.<br />
1964, p. 14-15; Sch. Res Secretariae, n. 19; 14 iunii 1965, p. 4-5;<br />
Sch. Res Secretariae, n. 25; 28 octobris 1966, p. Il). Era ben chiaro<br />
infatti che le Preci potevano diventare una parte delle Lodi e dei<br />
Vespri in cui avrebbero avuto il dovuto risalto le necessità, le aspirazioni,<br />
i voti, i propositi, le iniziative, le varie circostanze ed occasioni,<br />
le mutevoli condizioni delle chiese locali, delle comunità e dei singoli<br />
oranti.<br />
Le opinioni espresse dagli organi di informazione e alcuni esperimenti<br />
indicavano che l'introduzione di Preci rinnovate avrebbe dato<br />
all'Ufficio divino un certo carattere di più chiara attualità e avrebbe<br />
maggiormente favorito la partecipazione attiva del popolo.<br />
Tuttavia fino all'aprile 1967 la questione delle formule da usare<br />
no.n fu mai affrontata in profondità e « ex professo », per dare la precedenza<br />
ad argomenti più generali e più complicati. Fu fatto quindi<br />
un primo esperimento con un formulario interamente nuovo da adope-<br />
- 167-
arsi m determinati giorni: allora apparvero alcune difficoltà prima<br />
non notate. Dopo nuovo esame sembrò opportuno istituire un piccolo<br />
« coetus » composto da pochi membri. Questo piccolo gruppo (coetus<br />
XII bis) appena istituito, compì ricerche storiche, teologiche e pastorali<br />
e soppesò vari criteri e norme di composizione. L'esito del lavoro<br />
fu presentato e discusso nella riunione di studio per l'Ufficio (coetus<br />
IX) e nella Sessione plenaria dei Relatori e dei Vescovi. Il «Consilium<br />
» approvò in modo generale i criteri e le norme, senza peraltro<br />
scendere ai dettagli. Lo stesso « Consilium » permise anche di creare<br />
un « corpus» distinto in vari cicli: tempi speciali (cioè Avvento, Natale,<br />
Quaresima, Pasqua), principali giorni festivi dell'anno liturgico,<br />
comuni, tempo ordinario. Circa quest'ultimo, dato che il salterio risulterà<br />
distribuito in quattro settimane, fu stabilito che le Preci formassero<br />
anch'esse una serie di quattro settimane. (Cf. Schema 227, De<br />
Breviario, n. 48; 9 maii 1967, p. 12; Sch. 239, De Brev. 55; 25 augusti<br />
1967, pp. 7-10. Cf. etiam Relationem ad Synodum, Pars I, III, De<br />
Officio divino, I, 2; Sch. 263, De Brev., 44; lO dee. 1967, pp. 11-14).<br />
La fase di composizione iniziò dopo le prime ricerche. Ma trattandosi<br />
di cosa nuova, il « Consilium » richiese degli esperimenti che<br />
furono fatti qua e là in varie nazioni proponendo e raccomandando le<br />
versioni in lingua parlata dei testi latini già preparati. Dalle osservazioni<br />
pervenute a suo tempo risultò quanto segue:<br />
a) Tutti furono favorevoli all'idea di inserire questo genere<br />
di Preci nelle Lodi e nei Vespri.<br />
b) Tutti affermarono di preferire formule brevi, semplici, concise,<br />
tratte soprattutto dai testi biblici.<br />
c) Fu espresso il voto di lasciare una certa libertà.<br />
Dopo le osservazioni, le formule furono corrette ed arricchite<br />
di numero. I Padri del « Consilium », presa visione di questi formulari,<br />
li approvarono « sensu quodam generali », in quanto intendevano<br />
che il lavoro iniziato dovesse continuare fino a raggiungere i termini<br />
di una sufficiente perfezione (Sch. 284, De Brev. 70; 25 rnartii 1968,<br />
pp. 11-14; Sch. 294, De Brev. 73, 14 martii 1968, pp. 10-11).<br />
Da tutto ciò deve apparire chiaro il fine della presente edizione:<br />
le attuali Preci vanno corrette « ad ultimos apices » per poter essere<br />
inserite quindi nell'Ufficio divino.<br />
- 168
2. Alcuni criteri seguiti nella composizione.<br />
A. Struttura Generale<br />
Ogni formulario comincia con un Invitatorio o Introduzione, che<br />
oltre a suggerire la risposta .della comunità, 'esprime anche l'elemento<br />
della confessione.<br />
L'Invitatorio è seguito generalmente da quattro formule per le<br />
Lodi e da cinque per i Vespri. La quinta formula dei Vespri ,è sempre<br />
per i Defunti; dato che il «Consilium» ha stabilito di sopprimere<br />
il versetto finale «Fidelium animae » che concludeva ogni Ora, dell'Ufficio<br />
divino, sostituendolo con una speciale intenzione .nelle Preci<br />
dei 'Vespri.<br />
L'Invitatorio o Introduzione è giudicato necessario almeno per<br />
due ragiom:<br />
a) l'esecuzione in comune esige assolutamente un qualche preavviso<br />
e il suggerimento della risposta da dare: questa esigenza è' stata<br />
confermata dagli esperimenti.<br />
. b) la seconda è una esigenza teologica più profonda e più importante,<br />
iii quanto la supplica-domanda cristiana 'trae ottimamente 'la<br />
sua origine dalla' confessione, dal ricordo e dalla lode delle meraviglie<br />
di Dio. La domanda di' un favore deriva dalla ,lode delle opere di Dio<br />
o dei misteri di Cristo o delle perfezioni divine perché secondo la tradizione<br />
giudaica e cristiana, Dio concedendo il favore richiesto rinnova<br />
le sue meraviglie e dimostra la veridicità dei suoi attributi. '<br />
. , ,<br />
Le Preci delle Lodi ricalcano in qualche modo l'indole dell'Ora<br />
di Prima, anzi la esprimono in modo più ricco e vario; in genere mirano<br />
della giornata e le impreviste circostanze in cui ci si può imbattere<br />
a consacrare a Dio con pietà e religione le ore del mattino, le, attività<br />
fino a sera.<br />
Le Preci dei Vespri sono soprattutto formule di intercessione per<br />
le necessità del popolo di Dio.<br />
B. Genere e stile delle Preci.<br />
Queste Preci sono state composte in modo- da formare un genere<br />
diverso dalla Preghiera dei Fedeli della Messa. In questo modo si è<br />
evitata la monotonia, non solo, ma SI sono ottenute formule che .si<br />
169 -<br />
, '
adattano indifferentemente alla recita col popolo, alla recita in comunità,<br />
e possono anche essere recitate dai singoli o da piccoli gruppi.<br />
Per questo, dopo l'Invitatorio o Introduzione, la preghiera è rivolta<br />
direttamente a Dio; mentre nella Messa, dopo l'Introduzione si invitano<br />
i fedeli a rivolgersi a Dio.<br />
Ogni Prece consta di due parti. Alla seconda parte è anteposto<br />
un trattino: esso indica che le parole che seguono possono essere<br />
usate come risposta variabile, se questo modo di rispondere piace e<br />
sembra più adatto. Le formule in genere sono brevi; spessissimo<br />
(anche se non sempre se ne cita il riferimento) sono tratte dal testo<br />
biblico e opportunamente adattate allo stile della preghiera. Qualche<br />
volta affiorano appena vaghe reminiscenze bibliche. Non di rado sono<br />
stati impiegati testi desunti dai Padri, dalle formule liturgiche antiche<br />
o anche da libri liturgici più recenti. Non mancano formule nuove di<br />
sana pianta.<br />
c. Varietà delle Preci<br />
Di preci ne sono state preparate diverse serie, col preciso scopo<br />
che possano così eccitare la partecipazione attiva e l'attenzione, si<br />
adattino ai tempi e alle principali celebrazioni dell'anno liturgico. Inoltre,<br />
data la loro varietà, si potrà tener conto anche delle varie comunità,<br />
delle persone e delle maggiori necessità avvertite nella vita<br />
del popolo di Dio e di tutta l'umanità. Tornano con maggior frequenza<br />
alcune intenzioni generali e di maggiore importanza, quali p.es. la<br />
preghiera per la Chiesa, per il Papa, per i Vescovi. Le altre intenzioni<br />
seguono un ritmo diverso. Le intenzioni generali precedono quelle<br />
particolari.<br />
3. Norme per l'esecuzione delle preci.<br />
A) Quando le Preci sono recitate col popolo o in comune, il<br />
Sacerdote o ministro dice l'Invitatorio o Introduzione e la risposta.<br />
Il popolo o la comunità ripete la risposta. Le formule che seguono si<br />
possono dire in modi diversi:<br />
a) il Sacerdote o ministro dice ambedue le parti delle singole<br />
formule e gli altri ripetono sempre la stessa risposta già suggerita<br />
nell'Invitatorio.<br />
- 170
) il Sacerdote o mimstro dice solo la prima parte delle<br />
singole formule, mentre gli altri dicono la seconda (quella preceduta<br />
da un trattino).<br />
c) il Sacerdote o ministro dice ambedue le parti delle singole<br />
formule e invece della risposta si fa seguire qualche attimo di<br />
silenzio.<br />
Il modo più adatto alle circostanze può essere scelto nei singoli<br />
casi.<br />
Quando le Preci sono recitate da una singola persona o da un<br />
piccolo gruppo,<br />
da ripetere.<br />
si può omettere l'Invitatorio o Introduzione e il verso<br />
B) Al posto della risposta fissa indicata nei formulari, se ne<br />
può usare nei singoli casi un'altra che sembri più adatta.<br />
C) Al formulario stabilito per un giorno determinato se ne può<br />
sostituire un altro della stessa settimana o dello stesso periodo liturgico.<br />
D) Alle Preci, sia nelle Lodi che nei Vespri, si possono sempre<br />
aggiungere alcune intenzioni particolari della chiesa locale o della<br />
comunità. Nel caso di recita individuale o di un piccolo gruppo, si<br />
possono aggiungere intenzioni personali. Si tenga presente tuttavia che<br />
l'ultima Prece dei Vespri deve essere sempre per i defunti.<br />
E) In circostanze speciali (quali peculiari solennità, Battesimi,<br />
Matrimoni, Professioni religiose, Giubilei, Funerali, ecc.) le intenzioni<br />
particolari possono precedere quelle generali. In questo caso tutti potrebbero<br />
rispondere ripetendo il versetto suggerito nell'Introduzione.<br />
F) Le Preci vanno inserite dopo aver ripetuto l'antifona del<br />
Benedictus o del Magnificat, o immediatamente al termine di questi<br />
cantici nel caso che le antifone non vengano ripetute.<br />
Dopo il saluto Dominus vobiscum e la sua risposta segue l'Introduzione<br />
delle Preci col verso da ripetersi e con le varie formule, come<br />
si è già detto.<br />
Terminate le formule, si può aggiungere una delle ammonizioni<br />
che si trovano alla fine dell'opuscolo; segue il Pater noster e senza<br />
Oremus l'orazione propria del giorno o del tempo liturgico.<br />
- 171 -
Dominica ad Laudes<br />
Il volumetto « De Precibus ad Laudes et ad Vesperas<br />
Officii divini» è stato edito « pro rnanuscripto » dalla<br />
Sacra Congregazioneper ilCulto divino, e contiene 1269<br />
formule.<br />
Le notizie che ne abbiamo date costituiscono la Introduzione<br />
del volumetto. La versione dal latino è nostra,<br />
e viene pubblicata col gentile permesso del Rev.mo<br />
Padre Annibale Bugnini, Segretario della S. Congregazione<br />
per il Culto Divino.<br />
Crediamo utile pubblicare qui di seguito un esempio<br />
concreto delle Preci (pag. 63):<br />
634 Christum Dominum, diem et solem nostrum, qui illuminat omnem<br />
hominem venientem in hunc mundum, et qui nescit occasum,<br />
deprecemur et ei dicamus: O Domine, vita et salus nostra! (Cfr<br />
lo 1,9; S. August. Sermo 177 de Nat. Dom.; PL, 38, 1003).<br />
635 Primitias hujus diei, o Siderum creator, a tua pietate gratanter<br />
suscipimus,<br />
- Resurrectionem tuam commemoramus.<br />
636 Spiritus tuus bonus voluntatem tuam hodie nos facere doceat,<br />
- et tua Sapientia deducat nos semper (Cfr Ps. 142, 10).<br />
637 Magno cum gaudio coetui dominicali da nobis interesse,<br />
- in circuitu mensae verbi et corporis tui.<br />
638 Gratias agunt tibi animae nostrae,<br />
pro innumeris beneficiis tuis (Cfr Antiph. Benchorense, 49).<br />
Dominica ad Vesperas<br />
639 Christum Dominum qui est caput nostrum et cujus nos membra<br />
sumus, deprecemus et ei dicamus: Adveniat regnum tuum, Domine.'<br />
(Cfr Eph. 4, 15; 1, 22-23; Mt. 6, 10) ..<br />
- 172-
640 Ecclesiam tuam, Salvator noster, vividius totius generis humani<br />
unitatis sacramentum constitue,<br />
- et efficacius cunctis gentibus mysterium salutis (Cfr Lumen<br />
Gentium, 1, 8).<br />
641 Antistitum collegio cum Papa nostro semper adesto,<br />
- largire eis dona unitatis, caritatis et pacis.<br />
642 Fac ut christiani arctius tibi Capiti divino uniantur,<br />
- et regnum tuum testimonio vitae proclament.<br />
643 Pacem mundo praestare digneris,<br />
- ut securitas et tranquillitas ubique florescant.<br />
644 Novissimae resurrectionis gloriam defunctis concede,<br />
- et illorum beatitudinis fac nos consortes.<br />
1258 Et nunc orationem, quam Christus Dominus nos docuit omnes<br />
simul dicamus: Pater noster ...<br />
- 173-
Iean De La Croix Bouton O. C.S.O.<br />
Storia dell'Ordine Cistercense<br />
(Sesta Puntata)<br />
Cluny dalle origini alla morte di S. Ugo (909-1109)<br />
Nel 1080, il papa Gregorio VII esclamava in pieno Concilio Lateranense:<br />
«Quante abbazie al di là delle Alpi sono più antiche di<br />
Cluny; ebbene non ve n'è una che l'eguagli in virtù, dignità e fervore<br />
nel servizio di Dio! ». Questo magnifico elogio di Gregorio VII allora<br />
veniva ratificato da tutta la cristianità; e oggi si può appena immaginare<br />
che cosa Cluny fosse per gli uomini della seconda metà del secolo XI.<br />
Il papa Urbano II non esagerava quando parlava di Cluny come di un<br />
« nuovo sole che spande i suoi raggi sulla terra ».<br />
I grandi abati<br />
Niente lasciava prevedere quale sviluppo Cluny avrebbe avuto,<br />
quando l' Il settembre 909 Guglielmo d'Aquitania, conte di Macon,<br />
donò il sito dell'abbazia all'abate Bernone di Baume, «a condizione<br />
che vi fosse costruito un monastero regolare in onore degli apostoli<br />
Pietro e Paolo e che vi si riunissero dei monaci militanti sotto la Regola<br />
di S. Benedetto ». Bernone, ex-monaco di S. Martino d' Autun, che<br />
aveva già fondato Gigny nell' 893 e restaurato Baume, accolse molto<br />
volentieri la domanda del pio duca d'Aquitania e condusse nella valle<br />
di Cluny alcuni monaci di Gigny e di Baume. La prima impressione fu<br />
tutt'altro che lusinghiera. I primi anni furono difficili. Tuttavia, malgrado<br />
la morte del fondatore e protettore avvenuta nel 918, Cluny si sviluppò<br />
sotto il governo di Bernone. Questi alla sua morte (926) dispose dei monasteri<br />
come avrebbe fatto un proprietario laico: lasciò Gigny, Baume<br />
e Mauthiers-en-Bresse a Guido suo nipote, e Cluny, Déols e Massay<br />
al suo discepolo Odone.<br />
Fu SANT'ODONE, abate dal 926 al 942, che cominciò veramente<br />
a fare di Cluny il centro di un nuovo Ordine. Era un uomo piccolo di<br />
statura, serio e grave, camminava sempre a testa bassa e fu soprannominato<br />
per tale ragione « il beccamorto ». Ma fu soprattutto un uomo<br />
profondamente religioso, che insisteva particolarmente sulla preghiera<br />
- 175 --
costante, la lettura e la salmodia. Nel 931 il papa Giovanni XI l'autorizzò<br />
ad accogliere qualsiasi monastero desiderasse migliorare la propria<br />
disciplina e qualsiasi monaco il cui abate rifiutasse di adottare la<br />
riforma. Così l'influenza dell'abate di Cluny cominciò ad accrescersi;<br />
e tale autorità morale durò anche dopo la morte di S. Odone (942).<br />
Il suo successore AIMARDO(942-963) fu un monaco venerato e<br />
pieno di umiltà, amante del silenzio e del chiostro, eccellente amministratore.<br />
Verso il 942 perse la vista e come aiutante si scelse Maiolo,<br />
che gli successe sul seggio abbaziale nel 954.<br />
SAN MAIOLO, che governò Cluny per quaranta anni (954-994),<br />
era un uomo di bell'aspetto, appassionato della lettura (non usciva mai<br />
senza un libro), oratore piacevole, moderato in tutto; realizzava l'ideale<br />
benedettino con tale eleganza, pur nella perfetta semplicità, che fu<br />
soprannominato «principe della vita ». Seguendo l'esempio di S.<br />
Odone, percorse instancabilmente la Francia Capetingia, la Borgogna,<br />
la Provenza, l'Italia, la Svizzera e la Germania, al fine di estendere la<br />
riforma monastica e di visitare le filiali sempre più numerose. Ebbe<br />
una grande parte nella politica europea e rifiutò la tiara che l'imperatrice<br />
Adelaide, moglie di Ottone il Grande, di cui egli era consigliere,<br />
lo sollecitava ad accettare. Alla sua morte, l' Il maggio 994, Ugo Capeto<br />
prese a suo carico tutte le spese dei funerali, rendendogli così<br />
una testimonianza pubblica di stima e di venerazione.<br />
Il suo successore, SANT'ODILONE DI MERCOEUR,governò Cluny<br />
per cinquantacinque anni (994-1049). Piccolo di statura, magro, irrequieto,<br />
divorato da una fiamma interiore che si manifestava nell'aspetto<br />
e attraverso i suoi occhi vivi, oratore mediocre, ma scrittore fecondo,<br />
fu uomo politico molto influente e capo energico. Sotto il suo lungo<br />
governo l'orbita di Cluny si estese a dismisura: il numero dei grandi<br />
monasteri su cui si esercitava l'influenza cluniacense crebbe da trentasette<br />
a sessantacinque, senza contare centinaia di piccole case, che venivano<br />
chiamate «celle ». S. Odilone diede anche esempio di ammirabile<br />
carità; soleva dire: «L'oro della Chiesa è fatto per essere distribuito,<br />
non per essere ammucchiato ». E fu lui a istituire nel suo monastero,<br />
il 2 novembre 998, una solenne commemorazione di tutti i defunti,<br />
che in seguito fu adottata dalla Chiesa universale.<br />
Benché molto lungo e fecondo, il governo di S. Odilone fu superato<br />
da quello del successore S. UGO DI SEMUR, che fu superiore di<br />
Cluny per ben sessanta anni (1049-1109). Slanciato nella persona e<br />
nobile di aspetto, S. Ugo fu un distinto oratore e un abile diplomatico;<br />
si trovò immischiato in tutti i grandi eventi del suo secolo; vide due<br />
- 176-<br />
-t_
dei suoi monaci elevati al Soglio Pontificio (Urbano II e Pasquale II),<br />
ed egli stesso rifiutò la tiara più volte. L'energico Gregorio VII, nella<br />
sua opera di riforma della Chiesa, trovò nell'abate di Cluny il suo<br />
migliore aiuto, e gli conferi il privilegio dei pontificalia.<br />
Prima di parlare dello spirito di Cluny che assicurò il successo<br />
e l'influenza dell'« impero di Cluny» sulle innumerevoli case sparse in<br />
tutta Europa (se ne contavano più di 1400), vogliamo dare uno sguardo<br />
all'organizzazione dell' Ordine. «Perché fu nella struttura dell' Ordine<br />
e della sua gerarchia che Cluny veramente innovò. Portò una concezione<br />
nuova del monachesimo, con la quale si iniziò un nuovo periodo<br />
della vita claustrale: d'ora in poi questa avrà la sua forza non più nelle<br />
sue applicazioni e nei suoi meccanismi, bensì nella ricerca dell'unità e<br />
della centralizzazione, per cui un gran numero di case separate verranno<br />
riunite in un'unica osservanza e sotto un unico capo ». (D. Ph. SCHMITZ,<br />
Hist. de l'Ordre de S. Benoit, t. I, p. 135).<br />
L'organizzazione dell' Ordine<br />
L'idea di riunire i monasteri in un corpo organizzato, sconosciuta<br />
a S. Benedetto, appena intravista da S. Benedetto d'Aniano, non fu<br />
dapprima familiare neppure a Cluny, ma poi, a poco a poco, vi prese<br />
forma. Già Bernone nel suo testamento auspicava che tra i suoi monasteri<br />
regnasse l'unità (unanimitas ... tam in psalmodia quam in obsercatione<br />
silentii sed et qualitate victus et vestitus).<br />
Cluny era «sotto la protezione di S. Pietro ». Odone fece rinnovare<br />
questo privilegio nel 931 da Giovanni XI, che l'autorizzò anche<br />
ad accogliere tutti i monasteri che desiderassero essere riformati.<br />
S. Odone usò questo metodo: percorreva la Francia e l'Italia da un'abbazia<br />
all'altra; si fermava in ciascuna di esse per un periodo più o meno<br />
lungo, ogni mattina spiegava la Regola in capitolo, cercava di attirare<br />
i bene intenzionati, quindi vi lasciava o faceva venire qualche cluniacense<br />
che continuasse l'opera, e tornava di tanto in tanto per rendersi<br />
conto dei risultati e per infondere nuovo coraggio. I successori continuarono<br />
sulla stessa linea a tal punto da guadagnarsi la fama di perenni<br />
viaggiatori. L'unione cosi formata tra Cluny e i monasteri riformati<br />
era quasi soltanto morale. Sotto S. Maiolo e' soprattutto sotto<br />
S. Ugo prese maggior consistenza. Si potevano distinguere nettamente<br />
diversi gruppi di case cluniacensi: da una parte le case mediate, dipendenti<br />
da un grande monastero, soggetto a sua volta direttamente a<br />
Cluny; dall'altra le case immediate, da classificarsi in tre categorie:<br />
1 0 i priorati completamente soggetti a Cluny, che avevano come abate<br />
- 177-
unicamente l'abate di Cluny. Cinque di essi, le « cinque figlie di Cluny »,<br />
vale a dire Lewes, La Charité-sur-Loire, Saint-Martin-des-Champs, Souvigny,<br />
Sauxillanges, erano privilegiate, e il loro superiore aveva il titolo<br />
di priore maggiore. Il priore di La Charité aveva sotto di sé ben cinquantadue<br />
priorati o celle. 2° Le abbazie soggette completamente a<br />
Cluny, che avevano ottenuto il permesso di conservare il titolo abbaziale;<br />
3° le abbazie assoggettate o rimesse in ordine, sulle quali l'abate<br />
di Cluny aveva una giurisdizione che variava da abbazia ad abbazia.<br />
In tutte queste case l'abate di Cluny aveva il diritto di integrare<br />
la Regola imponendo i costumi di Cluny, ed era libero di adattarli ai<br />
tempi e ai luoghi. Il personale di tutto l'ordine era modellato approssimativamente<br />
su quello della casa-madre, secondo il principio dell'<br />
« estensione ». È .vero che ogni priorato accoglieva e formava i suoi<br />
novizi, ma soltanto l'abate, e di più a Cluny, li ammetteva alla professione.<br />
L'abate poteva trasferire un monaco da una casa all'altra ogni<br />
volta che lo riteneva opportuno. L'abate comune di tutti i monaci dell'Ordine<br />
era quello che «visitava» tutti i monasteri dell' Ordine, di<br />
persona o per mezzo di un delegato. Di modo che il potere dell'abate<br />
di Cluny era quasi assoluto. Tutto poggiava su di lui, perché tutto dipendeva<br />
da lui. In ciò fu la sua forza, ma anche la sua debolezza.<br />
(D. SCHMITZ,op. cit., t. II p. 134 ss.).<br />
Bisogna riconoscere che in un'epoca di disgregazione generale la<br />
forte centralizzazione di Cluny sotto abati eccezionali fu un bene e<br />
per il monachesimo e per la Chiesa intera. Se alla fine del secolo IX<br />
si son visti canonici sostituire monaci degenerati (questo non perché<br />
i canonici rimanessero sempre fedeli ai loro regolamenti promulgati a<br />
Aix-la-Chapelle nell' 817, ma perché costavano meno dei monaci, che<br />
non avevano alcuna fortuna personale), nel X e nell' XI secolo, al contrario,<br />
furono i monaci dei monasteri riformati, come Gorze e Cluny, a<br />
prendere il posto dei canonici. In questo modo Cluny - nota G. SCHREI-<br />
BER iGemeinscbaiten der Mittelalters, Regensburg, Miìnster, 1948,<br />
pp. 81 ss e 139 ss.) - grazie alla sua vasta rete di priorati, contribui a<br />
liberare molte chiese dalle mani dei laici.<br />
Lo spirito di Cluny<br />
All'inizio dell'opera di Bernone il programma di vita era molto<br />
semplice: osservare la Regola di S. Benedetto commentata da S. Benedetto<br />
d'Aniano.<br />
Presso quest'ultimo la liturgia occupava già una parte considerevole<br />
della giornata del monaco. Al tempo di S. adone fu aumentata<br />
- 178-<br />
\ ,<br />
. \'<br />
, ,<br />
J '<br />
,<br />
, .<br />
, f;<br />
r.<br />
"<br />
,\
ancor più. Non è certo che adone componesse opere musicali (cf. Saint<br />
Odo n et son oeuvre musicale, in Actes du Congrès de Cluny, 1950),<br />
ma è indiscutibile che egli amava la musica e le cerimonie liturgiche,<br />
e che a cominciare dal suo abbaziato il coro divenne l'occupazione principale<br />
del monaco cluniacense. Gli si sarebbe potuta benissimo attribuire<br />
la risposta che un giorno S. Uberto fece a un chierico che gli chiedeva<br />
se non era possibile abbreviare un pò l'Ufficio: «No, recitatelo<br />
più a lungo e meglio possibile ». Il benedettino Ruperto di Deutz, che<br />
viveva realmente la liturgia, considerava il Verbo Divino come il Grande<br />
Strumento musicale del Padre e tutte le creature come strumenti<br />
della lode di Dio. A maggior ragione il monaco avrebbe dovuto dedicarsi<br />
giorno e notte alla lode. E quando si trattava di glorificare Dio<br />
nessuno splendore poteva considerarsi eccessivo. È il « lusso per Dio »,<br />
che si manifesta non soltanto nella grandiosità delle cerimonie ma in<br />
tutto ciò che riguarda il Tempio di Dio: architettura, decorazione, arredamento.<br />
Lo spirito di Cluny risiedeva essenzialmente in una concezione<br />
molto elevata della grandezza di Dio. Quoniam Deus magnus<br />
Dominus, et Rex magnus super omnes deos. Per questo Cluny era<br />
destinata a divenire una vasta scuola d'arte che si sarebbe irradiata<br />
in tutto l'Occidente (cf. F. MERCIER, Les Primitifs Français, éd. Picard,<br />
1931). La chiesa abbaziale fatta erigere da S. Ugo a cominciare dal<br />
1088, la più vasta dopo S. Pietro in Roma, era un capolavoro d'arte<br />
con i suoi 68 pilastri, le sue 300 finestre, il suo colonnato di marmo,<br />
la cupola sull'abside con un immenso affresco che rappresentava la<br />
gloria dell' Eterno Padre, le cappelle, i mausolei, i reliquiari e tanti altri<br />
tesori. Il lavoro negli studi di pittura, scultura, oreficeria, miniatura,<br />
d'ora in poi occuperà il posto del lavoro manuale nei campi, lasciato<br />
quasi esclusivamente ai coloni e ai familiari. D'altronde il tempo<br />
lasciato libero dal lungo Ufficio era veramente poco. Ed è per questo<br />
che anche lo studio non veniva approfondito. Se si eccettua Pietro<br />
il Venerabile, Cluny non conta grandi nomi tra i letterati. Essi brillarono<br />
piuttosto nell'arte della copiatura e della miniatura. Tuttavia,<br />
come testimonia una lista di «libri di Quaresima» distribuiti a 63<br />
monaci nel 1042, la biblioteca era ricca e il livello di cultura abbastanza<br />
elevato.<br />
Se l'Ordine non ha mai fatto professione di alta cultura intellettuale,<br />
esso va però giustamente lodato per le sue opere di carità. L'abbazia<br />
di Cluny, nella misura in cui fu grandiosa nel culto di Dio, fu anche<br />
grande e generosa nell'elemosina; e queste due note caratteristiche<br />
restano la sua gloria imperitura.<br />
- 179
Diversi aspetti del monachesimo Benedettino<br />
nel secolo XI<br />
Sarebbe assurdo voler classificare in modo preciso le migliaia di<br />
monasteri -abbazie, priorati, semplici celle - che coprivano il suolo<br />
europeo verso la metà del secolo XI. Abbiamo visto che i monasteri<br />
dipendenti da Cluny si ripartivano in tre categorie. Ebbene Cluny rappresentava<br />
solo una piccola parte del monachesimo occidentale. Bisogna<br />
dunque accontentarsi di indicare i principali centri di irradiamento<br />
e le tendenze che li caratterizzavano, anche a rischio di commettere<br />
qualche errore su tale o tal'altra abbazia le cui osservanze si sono successivamente<br />
evolute.<br />
Abbiamo cercato di evidenziare lo spirito di Cluny. Su questa base<br />
si possono distinguere: 10 le riforme e le fondazioni che restano sulla<br />
linea di Cluny; 2 0 quelle che vanno oltre Cluny.<br />
A) Fondazioni e riforme sulla linea di Cluny<br />
Ispirati o non ispirati da Cluny, questi fondatori o riformatori<br />
mirano principalmente a combattere gli abusi che nel periodo precedente<br />
hanno devastato l'istituzione monastica e causato la decadenza del<br />
monachesimo (e che non sono cessati del tutto). Montalembert ha riassunto<br />
questi abusi e cause di decadenza in quattro categorie: 10 lotte<br />
troppo frequenti tra abbazie e vescovi; 2 0 oppressione degli avvocati;<br />
3o rilassamento della disciplina dovuto al vizio della proprietà, alla<br />
ammissione di candidati troppo giovani, alla cattiva condotta di alcuni<br />
abati; 4 0 interventi secolari nelle elezioni abbaziali (cf. Précis d' Histoire<br />
monastique, pp. 270-279). Cluny reagì contro questi abusi e, grazie<br />
alla sua unicità di direzione e alla sua forte coesione, riuscì a frenare<br />
le invasioni dei laici (e spesso anche dei vescovi). D'altra parte, per<br />
il suo attaccamento alla Sede Apostolica, essa favorì la riforma generale<br />
intrapresa dai Papi, specialmente da Gregorio VII, e restava sempre<br />
una forza morale pronta a mettersi al servizio della Chiesa. L'influenza<br />
di Cluny si esercitò non soltanto sulle case affiliate all' Ordine ma<br />
anche su numerosi monasteri che, pur non entrando nell'orbita cluniacense,<br />
accettarono della grande abbazia lo spirito che l'animava e<br />
i costumi che la governavano, e li comunicarono alle loro fondazioni.<br />
Così, parallelamente a Cluny, si formarono dei piccoli « Ordini », più<br />
modesti. Possono ricordarsi come «case-madri» di ordini sulla linea<br />
di CIuny:<br />
- 180-
IN FRANCIA: Fleury-sur-Loire 930, Marmoutiers v. 982, Montmajour<br />
949, San Vittore di Marsiglia restaurato nel 1066, Lérins<br />
v. 990, la Chaise-Dieu v. 1043, Le Bee 1034.<br />
IN ITALIA: S. Michele delle Chiuse in Piemonte v. 987, Cava<br />
dei Tirreni in provincia di Salerno lOIl, che qualcuno ha chiamata<br />
« La replica di Cluny in Italia ».<br />
IN SPAGNA: San Juan de la Pena, in Aragona, 1025.<br />
IN INGHILTERRA, Cluny non ebbe la direzione del movimento<br />
di riforma, perché il primo priorato cluniacense inglese, Lewes, risale<br />
al 1077, ma Lanfranco, consigliere ecclesiastico di Guglielmo il Conquistatore,<br />
era animato dallo spirito di Cluny.<br />
IN GERMANIA, i costumi di Cluny si diffusero attraverso<br />
Hirschau, dove furono introdotti verso il 1073 dall'abate Guglielmo.<br />
La ripresa della vita monastica era evidente, ma purtroppo alcune abbazie<br />
presero parte alle lotte tra il Clero e l'Impero, schierandosi sia<br />
dalla parte del Papa che dalla parte dell' Imperatore loro protettore:<br />
e tale intrusione negli affari pubblici portò di conseguenza qualche<br />
intralcio all'influenza di Cluny in Germania. A questo contribuì anche<br />
un difetto generale del monachesimo cluniacense: l'attaccamento<br />
alle proprie tradizioni. «Cluny, - scrive M. de Valous - merita<br />
un rimprovero capitale ... : il suo eccessivo conservatorismo» (L' Ordre<br />
de Cluny, t. I p. 377). Per non aver saputo piegarsi alle necessità dei<br />
tempi nuovi, credendo di restar fedele ai suoi fondatori, ne tradì lo spirito.<br />
Bisogna andare anche più oltre e dire con lo stesso storico che,<br />
cristallizzandosi nelle sue tradizioni, essa cessò di praticare una delle<br />
qualità principali che hanno assicurato alla Regola benedettina la sua<br />
sopravvivenza attraverso i secoli: la sua facoltà di adattamento. Il<br />
rimprovero è giusto a partire soprattutto dalla fine del secolo XIII.<br />
Tuttavia, a Cluny non mancarono, già nel secolo XI, monaci e abati<br />
presi da un ideale monastico più alto e insoddisfatti delle osservanze<br />
« tradizionali ».<br />
B) Il monachesimo non cluniacense<br />
Le diverse tendenze del monachesimo nel secolo XI possono farsi<br />
risalire ad alcune idee dominanti che si affermano sempre con maggiore<br />
evidenza: più solitudine e separazione dal mondo, più austerità nel nu-<br />
- 181 -
trimento e nel vestire, rivalutazione del lavoro manuale. Qualche riformatore<br />
cerca di completare la Regola in alcuni punti che essa non<br />
precisa, in particolare nelle relazioni dei monasteri tra loro: bisogna<br />
trovare un compromesso tra l'autonomia assoluta e l'unione sotto una<br />
direzione centralizzata di tipo pacomiano, ripresa da Benedetto d'Aniano<br />
e da Cluny. Per quanto concerne la Regola di S. Benedetto qualcuno<br />
vuole superarla, qualcun altro vuole rimettere in vigore soltanto una<br />
parte delle sue prescrizioni, altri ancora vogliono semplicemente seguida<br />
con più fedeltà.<br />
In linea generale, i fondatori e i riformatori dell' XI secolo hanno<br />
l'assillo della solitudine: tendenza che del resto è conforme allo spirito<br />
della vocazione monastica. Nel secolo successivo, il premostratense<br />
Reimbaud da Liegi nel suo Liber de diuersis ordinibus ecclesiae<br />
fa una netta distinzione tra i monaci che vivono vicino agli uomini del<br />
mondo, come i Cluniacensi, e i monaci che si ritirano lontani dal mondo,<br />
come i <strong>Cistercensi</strong>. I <strong>Cistercensi</strong> nel secolo XI non esistono ancora, ma<br />
si possono prevedere (cf. Le monacbisrne à l'apparition de saint Bernard,<br />
in Bernard de Clairuaux, pp. 45-63).<br />
Bisogna distinguere tra vita comune più o meno separata dal mondo<br />
e vita eremitica o semi-eremitica. In rapporto alla prevalenza dell'una<br />
o dell'altra, possono classificarsi due tipi di fondazioni dell' XI secolo.<br />
1. Fondazioni di tipo eremitico: La vita eremitica non aveva mai<br />
cessato di sedurre anime generose. Ma dopo S. Nilo (910-1005) si nota<br />
in Occidente una vera infatuazione per tale vita. E cosi sorgono ordini<br />
su una base di vita eremitica o semi-eremitica.<br />
La prima fondazione in ordine cronologico è quella dei Camaldolesi.<br />
SANROMUALDO(952-1027), dopo una vita raminga e un soggiorno<br />
a S. Michele di Cuxa in Catalogna, nel 1012 si stabilì a Camaldoli. Aveva<br />
come principio che la vita cenobitica fosse una specie di noviziato<br />
in preparazione alla vita eremitica. Quest'ultima, però, non era lasciata<br />
al capriccio di ciascuno: sia gli eremiti che i cenobiti camaldolesi restavano<br />
sempre sotto la guida di un abate e di una regola.<br />
S. PIER DAMIANI(1007-1072) portò la vita eremitica a Fonte Avellana,<br />
fondata da Landolfo discepolo di S. Romualdo. Divenuto abate,<br />
fondò una congregazione conlo stesso nome di Fonte Avellana. Più tardi<br />
fu eletto vescovo di Ostia (1057).<br />
Nel 1076 S. STEFANODA MURET, che aveva sperimentato la vita<br />
eremitica in Calabria, si stabilì in un luogo isolato della diocesi di Limoges,<br />
nei pressi di Grandmont. Il monastero di Grandmont da lui fon-<br />
- 182-<br />
,<br />
I<br />
" ,
dato, organizzato sulla linea delle antiche laure della Palestina, viveva<br />
in una povertà assoluta e nella completa separazione dal mondo. L'Or·<br />
dine si sviluppò rapidamente.<br />
Qualche anno più tardi, nel 1086, l'ex-canonico di Reims BRU-<br />
NONE,nativo di Colonia, riunì tra le montagne di Chartreuse un piccolo<br />
gruppo di eremiti, riallacciandoli in un primo tempo all'abbazia<br />
benedettina della Chaise-Dieu. Alla domanda di Urbano II, essi si resero<br />
indipendenti, e soltanto nel 1130 redassero un corpo di norme che<br />
regolavano il loro genere di vita. La vita dei Certosini rappresentava<br />
una felice fusione della vita eremitica con quella cenobitica.<br />
2. Fondazioni di tipo cenobitico: Trovando troppo dolce la regola<br />
che si seguiva a Cluny, GUGLIELMODI VOLPIANO,abate di S. Benigno di<br />
Digione (990-1031), aumentò l'austerità nel suo monastero; il che gli guadagnò<br />
l'appellativo di ultraregulam. Misurava il nutrimento dei monaci<br />
con parsimonia e permetteva loro solo indumenti grossolani. Ciò tuttavia<br />
non costituì un ostacolo all'espansione della sua riforma. Essa infatti<br />
si estese fino in Italia (Fruttuaria) e alla morte di Guglielmo contava<br />
quasi quaranta monasteri.<br />
RICCARDODA SAINT-VANNE(1004-1046), decano del Capitolo di<br />
Reims, entrò nel monastero di Saint-Vanne, nella diocesi di Verdun, dietro<br />
consiglio di S. Odilone di Cluny. Divenne abate nello stesso monastero<br />
nel 1004 e ne intraprese la riforma. Vi riuscl così bene che si vide<br />
affidare monasteri da ogni parte. Dimostrò più flessibilità degli abati di<br />
Cluny e seguì la norma di lasciare ad ogni casa la propria autonomia, sotto<br />
la direzione di un abate scelto dai monaci più ferventi. I superiori delle<br />
diverse case dovevano recarsi ogni anno a Saint-Vanne per render conto<br />
della loro amministrazione. Fu questo un primo abbozzo del Capitolo<br />
Generale.<br />
Un discepolo di Riccardo, POPPONE(1020-1048) abate di Stavelot-<br />
Malmédy, nel 1020 introdusse nel suo e in altri monasteri un genere di<br />
vita più rigido di quello di Cluny, senza peraltro rimettere in vigore il<br />
lavoro manuale prescritto da S. Benedetto.<br />
L'Ordine di Vallombrosa, fondato nel 1038 da S. GIOVANNIGUAL-<br />
BERTO,è stato a torto considerato tra le fondazioni di tipo eremitico.<br />
Il biografo di Giovanni, Andrea di Strumi, dice che egli cercò a lungo<br />
un monastero dove si praticasse la vita cenobitica secondo la Regola di<br />
S. Benedetto, ma non ne trovò neppure uno che la vivesse come si conveniva.<br />
Allora radunò un certo numero di discepoli nella solitaria vallata<br />
di Acquabella (in seguito chiamata Vallombrosa), in Toscana, e si<br />
mise a osservare la Regola benedettina in omnibus. Vita comune rigo-<br />
- 183-
osa, separazione totale dal mondo, proibizione assoluta di esercitare<br />
qualsiasi funzione ecclesiastica all'esterno e di accettare chiese e cappelle,<br />
semplicità nel vestiario e nel nutrimento, povertà negli edifici,<br />
silenzio e lavoro manuale: ecco le caratteristiche di Vallombrosa. I fratelli<br />
conversi erano incaricati dei rapporti col mondo e in modo particolare<br />
avevano cura degli ospizi per i pellegrini.<br />
L'Ordine di Vallombrosa fu approvato nel 1055 dal papa Vittore II<br />
e raggiunse una grande celebrità in Italia. Col suo sistema di governo<br />
tutto impregnato di carità e di discrezione, si distinse per la preminenza<br />
della casa-madre, per le visite regolari annuali, per i capitoli generali<br />
degli abati e per l'uniformità delle osservanze come garanzia di coesione<br />
interna: esso rappresenta una delle più felici realizzazioni monastiche<br />
del secolo XI. Talvolta viene di domandarci se i fondatori di<br />
Citeaux non si siano ispirati ad esso per qualche elemento della loro<br />
istituzione. Ma prima di parlare di Molesme, donde uscirono i fondatori<br />
di Citeaux, per completare questo quadro vogliamo dire qualche<br />
parola su due fondazioni che si allontanarono alquanto dall'ideale benedettino<br />
ma che godettero di grande notorietà: Sassovino e la Grande<br />
Sauve.<br />
Ricollegandosi alla Regola benedettina, il venerabile MAINARDO,<br />
Fondatore di Sassovino nella diocesi di Foligno (1080-1085), indirizzò<br />
i suoi monaci alle opere di misericordia e all'insegnamento. La congregazione<br />
di Sassovino contò fino a novantadue monasteri, quarantuno<br />
chiese e sette ospedali.<br />
Quasi contemporaneamente (1078) Geraldo fondava la Grande<br />
Sauve nella diocesi di Bordeaux. Geraldo, già abate a S. Vincent-de-<br />
Laon e a S. Medard-de-Soissons, adottò nel nuovo monastero la Regola<br />
di S. Benedetto, aggiungendovi qualche uso particolare. Come a Sassovino,<br />
i monaci della congregazione della Grande Sauve, che contava<br />
una trentina di monasteri, si occupavano di opere caritative, aiutavano<br />
i pellegrini e avevano scuole per l'educazione dei giovani, mentre una<br />
parte di essi vivevano semplicemente in clausura.<br />
Questa varietà di costumi è una prova della flessibilità e della facilità<br />
di adattamento della Regola benedettina, ma è pure una prova<br />
che la vita monastica si era allontanata dallo spirito di S. Benedetto.<br />
Bisognava dimostrare. dunque, che l'ideale monastico di S. Benedetto<br />
non era un dominio del passato, bensl poteva essere ancora vissuto. E<br />
di questo prenderanno l'incarico i <strong>Cistercensi</strong>.<br />
(Traduzione dal francese di P. Igino Vona O. Cist.)<br />
- 184-
I Monaci e la scrittura, secondo il Concilio Vaticano II<br />
Sacrosanctum Concilium 24<br />
Quando leggo le divine Scritture, Dio passeggia<br />
con me nel Paradiso (S. Ambrogio, epist.<br />
49 n. 3).<br />
« ...Per promuovere la riforma, il progresso e l'adattamento della<br />
Sacra Liturgia, è necessario che venga favorita quella soave e viva<br />
conoscenza della Sacra Scrittura, che è attestata dalla venerabile tradizione<br />
dei riti sia orientali che occidentali ».<br />
Sacrosanctum Concilium 61<br />
« Affinché la mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli con<br />
maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della<br />
Bibbia, in modo che, in un determinato numero di anni, si leggano<br />
al popolo le parti più importanti della Sacra Scrittura ».<br />
Perfectae Caritatis 6<br />
Perciò i membri degli istituti coltivino con assiduità lo spinto<br />
di preghiera e la preghiera stessa, attingendoli dalle fonti genuine della<br />
spiritualità cristiana. In primo luogo abbiano quotidianamente tra le<br />
mani la Sacra Scrittura, affinché dalla lettura e dalla meditazione<br />
dei Libri Sacri imparino «la sovreminente scienza di Gesù Cristo»<br />
(Fil. 3,8).<br />
Dei V erbum 21<br />
«La chiesa ha venerato sempre le Divine Scritture come ha<br />
fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto<br />
nella Sacra Liturgia, di nutrirsi del Pane della Vita dalla mensa sia<br />
della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli...<br />
È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica come la stessa<br />
religione cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura ».<br />
Dei V erbum 25<br />
Perciò è necessario che tutti i chierici, principalmente i sacerdoti<br />
e quanti, come i diaconi e i catechisti, attendono legittimamente al<br />
ministero della parola, conservino un contatto continuo con la Scrittura,<br />
mediante la sacra lettura assidua e lo studio accurato, affinché<br />
- 185-
non diventi «vano predicatore della parola di Dio all'esterno colui<br />
che non l'ascolta di dentro» (S. Agostino) ... Parimenti, il Santo Sinodo<br />
esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi,<br />
ad apprendere «la sublime scienza di Gesù Cristo» (Fil. 3,8)<br />
con la frequente lettura delle divine Scritture. «L'ignoranza delle<br />
Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo» (S. Girolamo) ... Si ricordino<br />
però che la lettura della Sacra Scrittura deve essere accompagnata<br />
dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio fra Dio e l'uomo;<br />
poiché « quando preghiamo, parliamo con Lui; Lui ascoltiamo quando<br />
leggiamo gli oracoli divini» (S. Ambrogio: De Ofliciis Ministrorum).<br />
Dei Verbum 26<br />
« ...Come dall'assidua frequenza del mistero eucansnco si accresce<br />
la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita<br />
spirituale dall'accresciuta venerazione della Parola di Dio, che « permane<br />
in eterno" » (Is. 40,8; cfr. I Pt. 1, 23-25).<br />
Tante volte nel passato ci siamo fermati a pensare a questo piccolo<br />
mistero: come mai negli Stati Uniti, dove le famiglie sono disgregate<br />
più che da noi, dove impera una mentalità edonistica, dove<br />
si adora la libertà sotto tutte le sue forme, dove la moralità non è<br />
certo più elevata che altrove, pure ci sono vocazioni religiose così<br />
numerose? (... )<br />
Quando abbiamo constatato l'entusiasmo, il modo francamente<br />
ottimista, l'accento posto sulla generosità con cui gli americani presentano<br />
l'ideale della perfezione religiosa ci è venuto fatto di pensare<br />
che la crisi delle vocazioni in varie nazioni europee dipenda molto<br />
non solo dal terminus a qua (cioè dalla crisi morale-religiosa delle famiglie)<br />
ma anche dal terminus ad quem (cioè dalla crisi delle stesse<br />
congregazioni religiose, dove gli scontenti, gli spostati, i pentiti non<br />
mancano). Quanto contribuisce alla diffusione del nostro ideale l'intima<br />
contentezza di sentirei felici nel proprio stato! I più ingegnosi<br />
ritrovati propagandistici non produrranno nessun effetto rilevante se<br />
non ci sarà allo stato diffuso e sperimentalmente percettibile questa<br />
atmosfera di serenità, di letizia, di giocondità, frutto non di una fastosità<br />
naturale e tutta esterna, ma rampollante dal fondo delle coscienze<br />
religiose che si trovano in pace con Cristo e con la Regola.<br />
Questa gioia, quando è piena e sincera, è terribilmente contagiosa.<br />
- 186-
Citazioni dal Concilio:<br />
OT. 2- ( ... ) Tutti i sacerdoti dimostrino il loro zelo apostolico<br />
massimamente nel favorire le vocazioni, e con la loro vita ( ... ) vissuta<br />
con interiore gioia (... ), attirino verso il sacerdozio l'animo degli<br />
adolescenti.<br />
OT. 5- ( ... ) I superiori e i professori ( ... ) fra loro e con gli alunni<br />
formino una sola famiglia tale ( ... ) da alimentare negli alunni la gioia<br />
della propria vocazione.<br />
PO. 11- ( ... ) Nella predicazione, nella catechesi, sulla stampa ( ... )<br />
devono essere messi in luce il significato e l'importanza del ministero<br />
sacerdotale, facendo vedere che esso comporta pesanti responsabilità,<br />
ma allo stesso tempo anche gioie ineffabili.<br />
L'ABBAZIA DI FRATTOCCHIE (Roma) E L'ECUMENISMO<br />
L'abbazia cistercense di Frattocchie (Roma) sta diventando,<br />
silenziosamente, un importante centro di contatti ecumenici.<br />
La posizione stessa dell'abbazia alla periferia di Roma dalla<br />
parte dei Castelli Romani, ha offerto spesso l'occasione di accogliere<br />
nella foresteria del monastero numerosi membri di altre<br />
confessioni religiose e di scambiare con essi utilissimi dialoghi<br />
sulla preghiera, dialoghi che non cessano con la partenza degli<br />
ospiti, ma continuano, spesso e con tanti vantaggi spirituali,<br />
per via epistolare.<br />
Alla fine del mese di dicembre 1969 il rabbino Joél Orent<br />
di Boston, amico di Thomas Merton, fu ospite di Frattocchie in<br />
occasione di un suo viaggio ai campi di concentramento nazisti<br />
e in Israele. Il suo viaggio mirava a preparare una documentazione<br />
fotografica in favore della pace di cui egli si professa<br />
apostolo.<br />
Molti contatti ecumenici a Frattocchie sono stati favoriti<br />
dal dott. Bolshakoff. Nel luglio 1969 egli ha riunito nell'abbazia<br />
romana, sotto la presidenza del card. Tisserant. alcune personalità<br />
ortodosse e gli abati di Casamari e di San Nilo (abbazia<br />
greco-cattolica di Grottaferrata): nel convegno si discusse il<br />
modo di assicurare la continuità e lo sviluppo di questi contatti<br />
ecumenici sul piano della preghiera.<br />
TUTTI COLORO CHE, CATTOLICI O NO, SI RE-<br />
CANO A ROMA PER MOTIVI ECUMENICI POSSONO LI-<br />
BERAMENTE PRENDERE CONTATTO CON L'ABBAZIA<br />
D I FRA TTOCCHIE.<br />
- 187-