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Leggi - I Cistercensi

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NOTIZIE<br />

CISTERCENSI<br />

3<br />

ANNO TERZO<br />

MAGGIO - GIUGNO<br />

1970<br />

Periodico bimestrale - Spedizione in Abbonamento Postale - Gruppo IV


NOTIZIE CISTERCENSI<br />

Periodico bimestrale di vita cistercense<br />

SOMMARIO<br />

P. POLICARPO ZAKAR, Le origini dell'Ordine Cistercense<br />

(II). Brevi osservazioni sugli studi degli ultimi quindici<br />

anni (1954-1969)<br />

PIERO BARGELLINI, Bernardo, Santo come uomo<br />

Le contraddizioni di un santo<br />

Florilegio Cistercense<br />

Elementi principali della vita cistercense odierna<br />

P. MALACHIA FALLETTI, La Certosa di Pavia<br />

Cronaca<br />

Fr. M. STEFANO HOÀNG, La vita monastica nel monastero<br />

di Cbau-son<br />

P. ILDEBRANDODI FULVIO, Emissione del suono e fonetica<br />

delle vocali<br />

La distribuzione del Salterio secondo lo «Schema C » dei<br />

<strong>Cistercensi</strong> Str. Obs.<br />

Le preci aggiunte alle lodi e ai vespri .<br />

J. DE LA CROIX BOUTON, Storia dell'Ordine Cistercense<br />

(sesta puntata)<br />

I monaci e la scrittura secondo il Concilio Vaticano II<br />

Direttore e Redattore:<br />

Don. Filippo M. Agostini O. Cist.<br />

Monastero Cistercense<br />

Certosa del Galluzzo - 50]24 Firenze<br />

Tel. 289.226<br />

Conto corrente postale 5/7219<br />

Pago 89<br />

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Le origini dell'Ordine Cistercense (II) *<br />

Brevi osservazioni sugli studi degli ultimi quindici anni<br />

(1954-1969)<br />

2. LA POSIZIONE DI P. JEAN DE LA CROIX BOUTON<br />

Il Padre Jean de la Croix Bouton O.C.S.O. dell'Abbazia di<br />

Aiguebelle fu il primo che, sotto lo pseudonimo di Gérard de Beaufort,<br />

mosse rilievi alle tesi di Lefèvre. Egli pubblicò uno studio sulla Carta<br />

Caritatis quasi contemporaneamente ai primi due articoli di Lefèvre<br />

e nel postscriptum prese posizione contro la tesi di quest'ultimo (42),<br />

posizione<br />

datta (43).<br />

che più tardi conservò nella storia dell'Ordine da lui re-<br />

Nel suo articolo P. Bouton analizzando la CC l<br />

la confrontò con<br />

la Summa CC, e giunse alle seguenti conclusioni: il prologo della Ccl<br />

è posteriore, perché Stefano Harding non poteva parlare di sé in terza<br />

persona (44); nei diversi manoscritti la Ccl non presenta un contenuto<br />

identico e le differenze non si limitano a minute varianti di manoscritti<br />

(45); egli dice che a prima vista la Summa CC appare di origine<br />

posteriore alla ce: infatti la Summa CC usa già la terminologia<br />

abbas-parer e abbas-filius per riferirsi alle generazioni di monasteri<br />

susseguenti alla prima, mentre la C(1 conosce solo il rapporto fra<br />

Citeaux e le abbazie-figlie fondate direttamente da Citeaux. La Summa<br />

CC inoltre compendia diverse volte le prescrizioni della CC 1 ; d'altra<br />

parte i due documenti si scostano l'uno dall'altro in alcuni punti (46).<br />

Le differenze principali, secondo lui, sono tre:<br />

(~f) La prima parte di questo studio è stata pubblicata nel fascicolo gennaio-aprile<br />

1970 di «Notizie <strong>Cistercensi</strong>» III (1970), 1-17.<br />

(42) BOUTON, 437.<br />

(43) Fiches 23-29, pago 89-116.<br />

(44) BOUTON, 394.<br />

(45) Ibid., 395.<br />

(46) Ibid., 395-6.<br />

- 89-


a) I diritti del visrtatore sono piu ampiamente descritti, cioè<br />

più esattamente limitati dalla Summa CC che dalla CC (47);<br />

b) La Summa CC non dice ancora nulla circa l'uniformità dell'osservanza<br />

e dei libri liturgici (48);<br />

c) La Summa CC non conosce il divieto fatto agli abati di una<br />

filiazione di venire assieme al capitolo annuale, divieto che invece è<br />

presente nella ce (49).<br />

Da ciò egli conclude che la Summa CC si riferisce ad un testo<br />

precedente alla ce, testo che noi non conosciamo e che, egli dice,<br />

dobbiam.o chiamare la primissima CC, Carta anteprior (50).<br />

Circa la datazione, il P. Bouton, specialmente nella già nominata<br />

Storia dell'Ordine, prende la seguente posizione:<br />

1) Il testo approvato da Callisto II nel 1119 non era la CCI,<br />

e nemmeno la Summa CC, ma un testo più breve e più semplice della<br />

CC', testo che noi ancora non conosciamo (51 ).<br />

2) La Summa CC ha avuto origine fra il 1120 e il 1123.<br />

3) La CC originaria (« CC primitive ») è dell'anno 1114 e<br />

contiene in sostanza i primi sette capitoli della CCI.<br />

4) Il capitolo ottavo fu scritto nel 1118 o 1119, dopo la fondazione<br />

di Trois Fontaines, la prima figlia di Clairvaux.<br />

(47) BOUTON,397: «On est déja surpris de voir le resumé plus détaillé que le<br />

texte ... ». La Summa CC Cap. III ha le seguenti prescrizioni che mancano nella CC:<br />

« ... non ejus novitium in monachum benedicere; non ejus monachum ipso invito inde<br />

abducete; non alium ad habitandurn introducere ».<br />

(48) BOUTON,397. Bisogna però notare che tra i «capitula» (X) si trova già<br />

lo statuto: Quos libros non licet babere diuersos. P. Bouton pensa tuttavia che i capitula<br />

siano di origine leggermente posteriore, altrimenti sarebbero stati inseriti nel<br />

testo. Egli scrive ancora: «II nous semble que l'encha1nement des idées dans le chapitre<br />

de generali statuto de la Summa parait plus Iogique dans le développement du<br />

principe posé en premier lieu: nullam exactionem imponere ».<br />

(49) La CC, cap. VIII: « Ipsi vero cum his quos genuerint, annuum capitulum<br />

non habebunt ». BOUTON,401, scrive: «Là encore il y a eu évolution, et la Summa<br />

se réIève une disposition à laquelle la CC prior a apporté une modification », Si potrebbe<br />

tuttavia obiettare a P. Bouton: Se la Summa CC è un compendio della CC ad<br />

uso dei noviziati (come egli sostiene seguendo Turk, nell'articolo citato, pago 432:<br />

«manuel d'histoire de l' Ordre ... en vue d'instruire Ies novices »), allora egli non deve<br />

meravigliarsi se è stato tralasciato qualche punto della CC che non era importante<br />

per i novizi.<br />

(50) BOUTON,401-402: «Constatons-le une fois de plus: la Summa se réfère à<br />

un texte antérieur au ms. 31 de Laybach ». Più tardi egli usò per la primitiva CC<br />

il titolo di «CC primitive» al posto della infelice espressione «Carta anteprior ».<br />

(51) Ficbes 23, p. 89.<br />

- 90-<br />

-


5) I capitoli nono e undicesimo non possono esser nati pnma<br />

del 1116.<br />

6) Il capitolo decimo fu preso dalla Summa CC e incorporato<br />

più tardi.<br />

7) La CC2 va situata fra il 1165 e il 1178; la sua divisione in<br />

cinque capitoli con i rispettivi titoli (De uniformitate Ordinis, etc ... )<br />

non è anteriore al 1316 (52).<br />

8) 1'Exordium Parvum è degli anni 1111-1112, poiché fu<br />

scritto dalla prima generazione dei <strong>Cistercensi</strong>, anzi dallo stesso Abate<br />

Stefano Harding, per la seconda generazione; il capitolo decimottavo<br />

fu aggiunto però soltanto nel 1120 (53).<br />

Dunque, P. Bouton non tiene né le tesi « tradizionali », né quella<br />

di Lefèvre.<br />

Anzi, nel già menzionato postscriptum del suo articolo (54),<br />

P. Bouton critica le tesi di Lefèvre:<br />

1) Egli non può credere che i <strong>Cistercensi</strong> abbiano presentato<br />

a Callisto II solamente un riassunto della CC (per lui infatti la Summa<br />

CC è solamente un riassunto, ciò che invece Lefèvre contesta);<br />

2) La tesi di Lefèvre secondo il quale la proposizione del secondo<br />

capitolo dell'Exordium Cistercii (55) «sicut ab eodem patre<br />

digesta ... munita est» è una interpolazione, non è provata (56);<br />

(52) Vedi specialmente Ficbes 28, p. 110-111, dove egli presenta la sua tesi in<br />

maniera schematica e cerca di datare tutti gli statuti della ce e CCZ.<br />

(53) Fiches 23, p. 90. Frattanto P. Bouton ha cambiato opinione. Nell'introduzione<br />

alla traduzione francese dell'Exordium Paroum, apparsa in ciclostile nel volume Autour<br />

de la spiritualité cistercienne III (volume 1Y della serie Pain de Citeaux, Chambarand,<br />

1962), p. 102, egli a causa del capitolo XVIII data YExordium Parvum tra l'ottobre<br />

del 1119 e l'ottobre del 1120.<br />

(54) BOUTON, 433.<br />

(55) Vedi pp. 10-11 Not. Cisto III (1970), n. 1-2.<br />

(56) A questa obiezione rispose fin dal 1955 A. D'HERBLAY, Le problème des<br />

origines cisterciennes, RHE 50 (1955) 164: Lefèvre ha dimostrato fin dall'inizio che<br />

il tutt'uno costituito da Exordium Cistercii - Summa CC - Capitula venne presentato a<br />

Callisto II. f: chiaro che nell'Exordium Cistercii presentato al Papa non poteva esserci<br />

alcun cenno alla approvazione. Se nel testo che oggi possediamo essa c'è, bisogna concludere<br />

che si tratta di una interpolazione: «la preuve qu'il réclame est déjà donnée<br />

car il est clair camme le jour - c'est une lapalissade - que dans un document présenté<br />

au Pape pour demander son approbation, il ne peut pas ètre question de trouver<br />

mention de cette approbation comme déjà obtenue. Si elle y figure, c'est qu'elle a été<br />

ajoutée postérìeurement. Rien d'étonnant qu'après l'approbation obtenue en 1119, Ies<br />

copistes se soient plus à en faire état dans leurs codifications ».<br />

-91-


3) L'Exordium Cistercii non può derivare da Stefano Harding,<br />

poiché vi si legge: «Venerabilis Pater Stephanus sagacitate pervigili<br />

mire providerat discretionis scriptum... Domnus Stephanus... religionis,<br />

paupertatis disciplinaeque regularis ardentissimus amator, fidelissimus<br />

aemulator ». Queste frasi non le avrebbe potute scrivere lo stesso<br />

Stefano Harding.<br />

Come si vede, P. Bouton ha contribuito con le sue osservazioni<br />

alla soluzione delle questioni riguardanti l'origine dell'Ordine Cistercense<br />

(57).<br />

3. LE VARIE REAZIONI ALLE TESI DI LEFEVRE<br />

Alla breve critica di P. Bouton (58) e del P. Colombano Spahr (59)<br />

seguirono varie recensioni. Le più importanti sono quelle di A. d'Herblay<br />

(60), F. Masai (61), J. Marilier (62), che accettano le tesi di Lefèvre.<br />

Alle tesi di Lefèvre si allinearono anche alcuni libri, quali L. J.<br />

(57) Qualche volta però egli ha veramente sbagliato. A pago 426 egli traduce<br />

lo statuto 34 dell'Instituta Generalis Capituli (Ed. TURK 2; 21) che suona così: «Quod<br />

filia semel per annum visitet rnatrem ecclesiam: Statuit... Cisterciensis conventus,<br />

quatinus... matrem ecclesiam per abbatem suum, si sanus fuerit, visitet filia », «Si<br />

sanus fuerit » (se egli è in buona salute) presso Bouton diviene: «s'il est de bon<br />

sens» (se egli è di buon senso), anziché « s'i! est en bonne santé » come aveva già<br />

notato A. D'Herblay. BOUTON, 426 ha anche un'altra osservazione che può indurre<br />

in errore: «L'Abbé di Citeaux qui n'avait que dix monastères à visiter en 1119, en<br />

avait 40 en 1130 (Cfr. lettre de S. Etienne Harding à l'Abbé de Sherborne, dans<br />

Collectanea O.c.R. 1936, t. III, p. 66-69) et deux cents en 1145 », Nella lettera di<br />

Santo Stefano cui Bouton si riferisce non c'è alcuna parola circa il suo diritto e dovere<br />

di visita in quelle quaranta abbazie. Santo Stefano scrive semplicemente così: « Nunc<br />

enim qui solus de terra mea et pauper egressus sum: dives et cum quadraginta turbis<br />

viam universae carnis laetus ingredior ... ». In nessuna maniera è dimostrato che l'abate<br />

di Citeaux ai primi tempi dell'Ordine abbia avuto - anche solo per un breve periodo -<br />

il diritto di visita su abbazie non direttamente fondate da Citeaux. Il testo della CC,<br />

capitolo IV, «Cum vero Novi Monasterii Abbas ad aliquod horum coenobiorum visitandi<br />

gratia venerit ... » (TURK 1, 54) si riferisce solo alle abbazie figlie dirette di Citeaux,<br />

L'affermazione delle 200 abbazie da visitarsi nell'anno 1145 cade da sé. Cfr. anche V.<br />

HERMANS, Commentarium Cisterciense bistorico-practicum in Codicis canones de religiosis,<br />

Roma 1961, 156-157.<br />

(58) Vedi sopra pago 90-91.<br />

(59) K. SPAHR ha scritto una piccola nota sull'ultimo articolo di LEFÈvRE: Die<br />

Anftinge von Citeaux, in Bernhard von Clairvaux, Internationaler Bernbardkongress Mainz<br />

1953, Wiesbaden 1955, 222, nota 19. Cfr. anche il suo articolo: Charta Caritatis, in Lexikon<br />

fur Theologie und Kircbe, 2 ed., II (1958) 1033, dove lo Spahr data la ce al 1152. Le tesi<br />

di LEFÈVRE saranno descritte anche da V. DAMMERTZ,Das Yeriassungsrecbs der benediktinischen<br />

Monchskongregationen, St. Ottilien 1963, 26-32.<br />

(60) Vedi sopra pago 91, nota 56.<br />

(61) Scriptorium 11 (1957) 119-123.<br />

(62) Annales de Bourgogne 29 (1957) 132.<br />

- 92-


Lekai (63) e C. Bock (64), e negli ultimi anni J. F. Lemarignier (65)<br />

e V. Dammertz (66). Solo C. Noschitzka espresse alcune riserve (67).<br />

4. LA CRITICA DI WINANDY<br />

J. Winandy, abate emerito di Clervaux (Lussemburgo) (68) fu<br />

il primo a sottoporre a critica profonda le tesi di Lefèvre. Egli riconosce<br />

a Lefèvre il grande merito di aver posto la questione in una<br />

maniera completamente nuova, pensa però che «la bella costruzione<br />

da lui edificata si presenti in alcune parti pericolosamente debole» (69).<br />

Riassumiamo così le sue osservazioni:<br />

1) La tesi secondo la quale l'Exordium Cistercii sia il prologo<br />

letterario della codificazione del 1119 non è accettabile, perché per<br />

l'autore del prologo l'approvazione papale è stata già data (« sigilli<br />

quoque apostolici auctoritate munita est ») e la teoria di Lefèvre che<br />

la frase sia una interpolazione tardiva non è in nessun modo provata (70).<br />

2) La Summa CC è un riassunto della CC (« hic breviter perstringemus<br />

»), e non il testo presentato al papa.<br />

(63) Les moines blancs, Histoire de l'Ordre Cistercien, Paris 1957, passim.<br />

P. Lekai ha però mitigato alcune tesi di Lefèvre, Un po' più tardi (Citeaux 11,<br />

1960, 159) scrisse la seguente frase: « Inoltre il problema è ancora soggetto ad ulteriori<br />

discussioni, e allo stato attuale delle ricerche è estremamente pericoloso proporre una<br />

qualche opinione attribuendole valore duraturo ».<br />

(64) Les Codifications du droit Cistercien (serie di articoli apparsi in Collectanea<br />

0.c.R. 1947 - 55); l'estratto: Westmalle 1955, 157-59.<br />

(65) Les institutions ecclésiastiques en France de la fin du X' à milieu du XII'<br />

siècle, Histoire des institutions [rançaises au Moyen Age (edito da F. Lot e R. Fawtier)<br />

volume III, Parigi 1962, 127-132.<br />

(66) Vedi pago 92, nota 59.<br />

(67) Die kirchenrechtliche Stellung des restgmerten Regularabtes ..., Analecta S.O.<br />

Cisto 13 (1957) 157-178, dove egli tratta dello jus constitutianale primigenium dell'Ordine.<br />

A pagina 171 scrive: «Per quanto riguarda la Summa CC potremmo dunque<br />

dire in generale che essa, quando tratta il nostro tema, costituisce uno stato intermedio<br />

tra la CC' e la CCZ,. ma, stando alle parole e all'uso delle espressioni, la Summa CC<br />

è molto più vicina alla CC' », Due sono gli argomenti principali di C. Noschitzka:<br />

primo, la sostituzione dell'espressione «Abbas Novi Monasterii » della CC' coll'espressione<br />

« pater-abbas » della Summa CC (pater-abbas = abate della casa madre); secondo,<br />

nella Summa CC l'abate di Ctteaux assume la denominazione di «Abbas Cisterciensis »<br />

e non quella di «Abbas Novi Monasterii »,<br />

(68) Vedi nell'elenco delle abbreviazioni, sotto WINANDY.<br />

(69) WINANDY, 49: « ... les pages qui suivent voudraient relever, dans la belle<br />

construction édifiée par M. Lefèvre, les endroits qui me paraissent grevés d'une dangeureuse<br />

faiblesse »,<br />

(70) Ibid., 51.<br />

- 93-


3) Non è probabile che Santo Stefano nel 1119 abbia potuto<br />

scrivere frasi tanto laudative della sua persona quali quelle che si<br />

trovano nell'Exordium Cistercii (71).<br />

4) Winandy non crede che si possa correggere «viginti abbates»<br />

dell'Exordium Cistercii in «duodecim abbates», perché tutti i<br />

manoscritti hanno la lezione «viginti »; nella frase precedente dell'Exordium<br />

Cistercii non bisogna leggere «venti anni e dodici abbati<br />

», ma «venti abbati e dodici anni» (72). Secondo Winandy il<br />

terminus ad quem di questi dodici anni è il 1119, e il terminus a quo<br />

è il 1107, che, secondo lui, è l'anno della elezione di Stefano Harding<br />

ad abbate di Citeaux, e non l'anno 1112, che spesso è preso come<br />

anno dell'ingresso di San Bernardo a Citeaux (secondo Winandy, San<br />

Bernardo entrò a Citeaux nel 1113)(73).<br />

5) L'Exordium Parvum è, sempre secondo Winandy, di origine<br />

certamente posteriore all'Exordium Cistercii (come del resto pensa<br />

anche Lefèvre), ma esso non è l'introduzione storica della CC presentata<br />

ad Eugenio III: infatti Eugenio III, cistercense, non ne avrebbe<br />

avuto bisogno; per di più, la ce con gli Instituta Generalis Capituli<br />

non potevano essere presentati al papa a motivo del contenuto<br />

ibrido e di scarsa importanza. Winandy osserva anche che la CC non<br />

corri.sponde in alcuni punti alla bolla « Sacrosancta» di questo papa:<br />

questo è per lui un altro argomento contrario alle tesi di Lefèvre.<br />

L'Exordium Parvum e la CC, secondo Winandy, sono nati tra<br />

il 1134 (anno della morte di Santo Stefano Harding) ed il 1152 (74).<br />

(71) «Cui successit Domnus Stephanus, homo natione Anglicus, religioni s, paupertatis<br />

disciplinaeque regularis ardentissimus amator, fidelissimus aemulator ». Winandy<br />

scrive (pag, 53): «Pour parler en ces termes de saint Etienne, l'Exordium Cistercii a<br />

da ètre écrit soit après la mort de ce dernier (1134), soit ailleurs qu'à Citeaux; de<br />

toute façon, à I'insu de l'intéressé », Egli data il testo tra il 1119 e il 1148. (Nel 1148<br />

venne scritto il primo libro della Vita prima Bernardi, per la quale Guglielmo di S.<br />

Thierry usò certamente l'Exordium Cistercii.<br />

(72) Vedi pago io, nota 13, Not. Cist. III (1970), n. 1-2.<br />

(73) Il problema dell'anno di entrata di San Bernardo lo tratteremo più oltre,<br />

a pago 103, nota 114.<br />

(74) WINANDY, 69 contesta che la ce e gli Instituta Generalis Capituli siano<br />

una vera codificazione presentata alla Santa Sede, come sostiene la tesi principale di<br />

Lefèvre e scrive: «C'est une compilation informe, OÙ abondent les redites, où les<br />

status sont venus sans ordre s'ajouter les uns aux autres, au fur et à mesure qu'en<br />

édictaient les chapitres généraux successifs, où l'on passe et repasse des règles concernant<br />

la Constitution de l'Ordre à des prescriptions ayant trait aux détails les plus minimes<br />

de I'observance, où la mesure d'avoine à donner aux chevaux des moines de passage<br />

voisine avec la punition à infliger aux abbés négligents ou boudeurs qui, présents à<br />

Cìteaux, s'abstiennent à paraitre à une réunion du chapitre général. Y a-t-il quelque<br />

- 94-


Così D. Winandy è giunto a conclusioni del tutto diverse da<br />

quelle di Lefèvre, anche se egli riconosce che le sue tesi e le sue ipotesi<br />

devono molto ai lavori di Lefèvre (75).<br />

5. LE RICERCHE DI P. JEAN BAPTISTE VAN DAMME<br />

P. J. B. Van Damme O.C.S.O. dell'abbazia di Westmalle curò<br />

per primo una minuziosa indagine sulle singole questioni suscitate da<br />

Lefèvre. Egli scrisse prima cinque articoli nel Collectanea O.C.K (76),<br />

poi esaminò gli Instituta Generalis Capituli apud Cistércium (77),<br />

le questioni giuridiche degli inizi (78) e finalmente i singoli statuti<br />

della CC l che egli fa risalire al 1165 (79).<br />

P. Van Damme nei suoi articoli procede sistematicamente: tratta<br />

in primo luogo la questione della primissima, originaria CC, poi la CC<br />

del 1119, l'Exordium Parvum e in fine la CC l . Noi qui seguiamo la<br />

sua esposizione, ma aggiungiamo subito le nostre osservazioni.<br />

a) La primissima Carta Caritatis<br />

Secondo P. Van Damme la pnmrssima CC (« la véritable CC<br />

primitive») è del 1113, e risale quindi, al più tardi, al tempo della<br />

fondazione di La Ferté. Egli ammette che i documenti non ci dicono<br />

esplicitamente niente di ciò (80), ma pensa che la prima origine della<br />

apparence qu'un tel fatras ait été présenté à l'approbation pontificale? ». Winandy non<br />

dimostra che l'Exordium Parvum non ha avuto origine prima del 1134. Egli scrive<br />

soltanto (p. 70): « ... on le voit malaisément rédigé avant la mort de Saint Etienne<br />

(1134)>> - perché egli vede nell'Exordium Parvum una certa critica al terzo abate di<br />

Citeaux. Si noti inoltre che Winandy sbaglia riguardo alla canonizzazione di San Roberto<br />

di Molesme quando scrive: «Quant à l'opinion cistercienne, il ne faudrait pas<br />

oublier que c'est le chapitre général de Citeaux qui a demandé la canonisation de Saint<br />

Robert (cfr. lettre d'Honorius III aux évèques de Langres et de Valence et à l'abbé de<br />

Cluny, 25 janvier 1221, P.L. 157, 1228).<br />

On ne voit pas sur quoi M. Lefèvre peut s'appuyer pour attribuer cette démarche<br />

à l'habilité du successeur de Saint Robert à Molesme (Anal. Bolland., 1956, p. 8) »:<br />

Winandy 67, n. 3. L'Abate emerito di Clervaux evidentemente non conosceva lo statuto<br />

53 del capitolo generale dell'anno 1220: «Petitio Abbatis Molismensis de scribendo<br />

Domino Papae pro canonisatione venerabilis Roberti Abbatis exauditur ».<br />

(75) Ibid., 75: « ... si elles (les conclusions) s'écartent notablement de celles<br />

de M. Lefèvre, elles lui doivent néanmoins beaucoup ».<br />

(76) Vedi nell'elenco delle abbreviazioni, sotto VAN DAMME 1.<br />

(77) VAN DAMME 2. Questo articolo, che tratta un argomento molto complicato,<br />

è stato esaminato in Réponse aux «Quelques à-propos » du Père Van Damme sur<br />

les origines cisterciennes: quelques conclusions: Analecta Cisto 21 (1965), 155-162.<br />

(78) VAN DAMME 3.<br />

(79) VAN DAMME 4.<br />

(80) VAN DAMME 1, 1958, 30: «Si les documents n'en ont conservée aucune<br />

trace ali moment de la première fondation, celle de La Ferté en 1113 ... ».<br />

- 95-


Carta Caritatis debba farsi risalire a quegli anni, poiché in quegli anni<br />

Citeaux già pensava certamente alle nuove fondazioni, e senza un documento<br />

giuridico il nuovo Ordine non sarebbe stato al sicuro dalle<br />

ingerenze dei Vescovi. Una nuova fondazione di Citeaux, pur non essendo<br />

esente dalla giurisdizione vescovile, significava una limitazione<br />

del diritto del vescovo diocesano su questa nuova abbazia; per cui,<br />

al momento della fondazione diveniva necessario presentare al vescovo<br />

la Carta Caritatis, onde evitare eventuali futuri malintesi.<br />

P. Van Damme pensa di poter provare le sue asserzioni anche<br />

dalle parole dell'Exordium Cistercii dove si dice che l'abate Stefano<br />

«con grande previdenza aveva provveduto» (providerat) ed aveva<br />

redatto uno scritto improntato ad ammirevole discrezione e prudenza,<br />

e precisamente (come dal canto suo dice il prologo della CC) « antequam<br />

Abbatiae Cistercienses florere inciperent ». Secondo P. Van<br />

Damme dunque la CC primissima risale al più tardi al 1113 (81), come<br />

già aveva cercato di provare P. Otto Ducourneau con gli stessi argomenti<br />

(82). Egli vede confermata la sua teoria nel documento di fondazione<br />

di Pontigny, nel quale si fa menzione della CC (83).<br />

In seguito P. Van Damme cercò di identificare il testo di questa<br />

primissima CC, testo che Lefèvre e Winandy avevano identificato nei<br />

primi tre capitoli della CCI e p, Bouton nei primi sette (84),<br />

Da una attenta lettura della ce egli pensa si possa arguire che<br />

la primissima CC è costituita dal primo capitolo della CCI. Secondo<br />

(81) VANDAMME1, 1958, 40-41. Per intendere il metodo dell'autore dovremmo<br />

citare il relativo capoverso, cosa che non possiamo fare per mancanza di spazio. P. Van<br />

Damme in quelle pagine è dell'opinione che fin dal 1113 si pensava al capitolo generale<br />

di una grande famiglia (sous la dépendance... du Patriarche de la grande Famille »),<br />

Citiamo anche le ultime frasi:<br />

eu la prévoyance, « providerat »,<br />

«Enfin, on lit<br />

de rédiger un<br />

dans les sources qu'Etienne<br />

écrit admirable de discrétion<br />

avait<br />

et de<br />

prudence (Exordium Cistercii), et cela préalablement aux premières fondations, «antequam<br />

abbatiae Cistercienses florere inciperent » (CC prior et CC posteriori. Aucune<br />

raison ne permet pas de fìxer ce début à la seconde plutòt qu'à la première fondation.<br />

Les documents nous enseignent que la CC existait dès le début de l'expansion de<br />

l'Ordre, c'est-à-dire dès 1113, et aucun indice positif n'a été allégué jusqu'ici pour<br />

écarter de cette date ».<br />

(82) D. Othon DUCOURNEAU,Les origines<br />

(1933) 186-188. Per Doucourneau la parola «florere»<br />

cistercietmes, Reuue Mabillon 23<br />

significa solo «esistere» (« exister,<br />

prendre naissance»). Van Damme non cita il lavoro di Ducourneau, ma i suoi argomenti<br />

sono quasi identici. Egli non accetta la teoria di Ducourneau secondo il quale la<br />

frase del prologo della CC «decretum inter cisterciense coenobium et caetera ex eo<br />

natii» debba essere tradotta «l'accordo fra Citeaux e gli altri monasteri che sarebbero<br />

fondati da Citeaux »: egli ritiene che la suddetta frase sia una interpolazione posteriore:<br />

VAN DAMME 1, 1958, 159.<br />

(83) Cfr. pago 12, nota 20 Not. Cisto III (1970), n. 1-2, e le seguenti osservazioni<br />

subito in nota.<br />

(84) Vedi sopra, pag, 11 Not. Cist. III (1970), n. 1-2 e pago 90-92, e WINANDY, 52.<br />

- 96-


lui infatti la prima parola del prologo della ce «Antequam» è in<br />

stretto rapporto con la prima parola del secondo capitolo «Nunc ».<br />

Ciò che sta prima di questa parola « Nunc » del secondo capitolo e<br />

viene introdotto da «Antequam », prima parola del prologo, è stato<br />

scritto prima della fondazione di La Ferté e costituisce perciò la primissima<br />

Cc. Egli cerca anche di provare la sua argomentazione con<br />

un confronto tra il prologo della CC 1 e il primo capitolo della medesima<br />

ce: in ambedue i passi crede di trovare le medesime idee (85).<br />

Non è facile dire quale grado di certezza P. Van Damme voglia<br />

attribuire alle sue asserzioni. Si tratta di una tesi o semplicemente di<br />

una congettura più o meno probabile? Egli dice che non si hanno<br />

elementi positivi per precisare l'evoluzione della cc dal 1113 al Ili9:<br />

in queste condizioni si possono fare solo ipotesi e supposizioni, e lo<br />

storico dovrebbe conservare un prudente silenzio. Egli invece, nel titolo<br />

premesso a queste conclusioni promette una «risposta semplice<br />

e sicura »; e un po' oltre scrive: «Il confronto del prologo col primo<br />

capitolo della CC 1 ci mostra con evidenza che il redattore della ce<br />

intendeva isolare in qualche modo il primo capitolo della ce da tutto<br />

il resto appunto perché il capitolo primo della CCl costituiva da solo<br />

il testo del 1113 (86).<br />

L'esposizione dell'autore non ci ha convinto. Che SI SIa dovuto<br />

fare un accordo col vescovo di Chalon-sur-Saòne per la fondazione di<br />

La Ferté, è certo per il diritto generale della Chiesa (87). Ma da questo<br />

fatto alla conclusione di una CC originaria c'è un salto che diventa<br />

(85) VAN DAMME 1, 1958, 47-48: «Chose intéressante: cette introduction à la<br />

CC composée par Etienne et ses frères, avant l'expansion de l'Ordre, renferme trois<br />

idées que l'on retro uve exactement dans le chapitre premier de la CC-prior ». «A<br />

l'Antequam de l'introduction répond ... le nunc vero; le lien logique est clair ».<br />

(86) Ibid., 46: « Toutes ces réflexions nous engagent à garder un silence prudent<br />

sur le texte exacte de la CC primitive »; ma alla pagina 47 scrive: « ... La comparaison<br />

montre à l'évidence que, dans l'intention du rédacteur de la CC-prior, Celle de 1113<br />

fut constituée uniquement par le premier chapitre de la CC-prior ». In un seguente<br />

articolo (V AN DAMME 3, 129) qualifica la sua tesi come «opinione », ma la tratta come<br />

cosa che non possa essere messa in dubbio. In VAN DAMME 1, 1959, 155 si legge<br />

anche quanto segue: «D'après l'état actuel des textes, la CC originale date de 1113<br />

et nous est conservée integralement dans le chapitre 1 de la CC-prior ». Qui ci si deve<br />

di nuovo domandare che cosa voglia significare la frase «d'après l'état actuel des<br />

textes », O i testi che oggi conosciamo non ci danno alcuna sicura informazione, e<br />

allora dobbiamo Iimitarci ad avanzare semplici congetture senza proporre solide affermazioni<br />

come fa qui il P. Van Damme; oppure i testi sono già sufficienti per una<br />

solida affermazione, e allora lo «status quaestionis » non cambierà neppure se domani<br />

scoprissimo nuovi manoscritti.<br />

(87) Vedi per esempio ]. GAUDEMET, Histoire des Institutions [rançaises au<br />

Moyen Age, volume 3, Parigi 1962, 237-238.<br />

- 97-


tanto più grande se si vuole identificare questa pnmissima CC con il<br />

primo capitolo della ce. Gli argomenti portati non sono solidi.<br />

Sarebbe necessario esaminare attentamente ancora una volta il<br />

testo conosciuto come carta di fondazione di Pontigny. Il testo è sicuramente<br />

dell'anno 1114? (88). Non si potrebbe trattare di una interpoIazione<br />

posteriore nella frase «Cartam vero Caritatis et unanimitates<br />

inter Novum Monasterium et Abbatias ab eo propagatas compositam<br />

et corroborata m »? (89).<br />

Noi abbiamo l'impressione che dall'Exordium Cistercii e dal prologo<br />

della CCI P. Van Damme deduca molto più di quello che gli<br />

stessi testi riferiscono. « Porro a principio cum novos in ramos novella<br />

coepisset pullurare plantatio » (Exordium Cistercii) significa difficilmente<br />

la fondazione di La Ferté: è più probabile che questa frase si<br />

riferisca ad anni successivi (pullulare) (90). Il testo del prologo della<br />

CCI in nessun caso voleva precisare l'anno della composizione della<br />

Cc. P. Van Damme stesso sa che il testo del prologo è problematico<br />

m alcuni punti (91), ed ha avuto difficoltà per la sua datazione (92).<br />

Noi siamo quindi d'accordo col P. Van Damme nel riconoscere<br />

(88) ]. B. MAHN, L/Ordre Cistercien et son gouuernement dès origines au milieu<br />

du XIII" siècle (1098-1265), Parigi 1945, 64, n. 2 scrive già: « ... rien ne prouve que<br />

cette notice soit bien de 1114 », Il testo che oggi conosciamo proviene dal Cartularium<br />

Pantiniacense che fu scritto intorno al 1170 (oggi ms. 9887 della Biblioteca Nazionale<br />

di Parigi). Nel testo non c'è nessuna data. VAN DAMME 1, 1958; 41, al n. 13: « ... Dans<br />

la charte de fondation de Pontigny, mème dans l'hypothèse que son rédacteur en 1125<br />

aurait eu I'intention ... », dove egli non spiega perché abbia datato il documento al 1125.<br />

]. MARILIER, Cbartes et documents concernant l'Abbaye de Citeaux, Biblioteca Cisterciensis,<br />

Roma 1961, 66 pensò che il testo fosse stato redatto dopo la morte del Vescovo<br />

Humboldo, e dunque dopo il 1116. È un fatto che il suddetto Vescovo Humboldo<br />

mori ad Auxerre al più tardi il 20 novembre 1115. Osserviamo anche che in questo<br />

testo Citeaux viene chiamato «Novum Monasterium id est Cistercium ».<br />

(89) Vedi la spiegazione di Lefèvre sulla già uirtualiter avvenuta fondazione<br />

di Pontigny, a pago 12, nota 4, Not. Cisto III (1970), n. 1-2.<br />

(90) Pullulare dice già secondo Lattanzio, San Girolamo ed altri autori una<br />

proliferazione non solo continua, ma anche abbondante. Cfr. A. BLAISE - H. CHIRAT,<br />

Dictionnaire latin - [rançais des auteurs cbrétiens, Turnhout 1963, 684.<br />

(91) Cosi per esempio l'espressione «per abbatias in diversis mundi partibus<br />

corporibus divisis ». Van Damme pensa che l'autore del prologo (l'abate Stefano Harding,<br />

secondo lui) volesse nominare soltanto diverse provincie e intendesse provvedere al<br />

futuro. In base al capitolo XVIII dell'Exot'dium Parvum egli pensa anche che l'espressione<br />

«quorum exernplo senes, juvenes diversaeque aetatis homines in diuersis mundi<br />

partibus animati ... superba colla jugo Christi suavi subdere » si debba applicare a coloro<br />

che sarebbero entrati nelle dodici abbazie esistenti allora in Francia: VAN DAMME 1,<br />

1958, 158. Certo nel secolo XII ci si rappresentava le « partes mundi» diversamente<br />

da come ce le rappresentiamo noi oggi: tuttavia ci sembra che l'interpretazione surriferita<br />

non sia priva di difficoltà. C'è infatti da domandarci ancora se si può, qui, col<br />

capitolo XVIII provare qualche cosa. Torneremo più avanti su questa questione. Perfino<br />

Van Damme pensa che il prologo della CC oggi conosciuto sia stato interpolato<br />

in epoche successive. Vedi sotto, a pago 100, nota 99.<br />

(92) VAN DAMME 1, 1958, 167-168: « Avant de formuler la conclusion de ce<br />

paragraphe, extrayons de ce long examen la liste des passages dont l'appartenance à<br />

- 98


che fino a questo momento non esiste una prova posrtiva per dimostrare<br />

che la primissima CC non possa risalire fino al 1113; pensiamo<br />

però non sia neppur provato che fin dal 1113 esistesse già una parte<br />

della CC, fosse pure il solo capitolo primo. Il compito dello storico<br />

non consiste nel dimostrare che una possibilità debba essere esclusa,<br />

bensì quello di risalire dalle fonti ai fatti.<br />

b) La Carta Caritatis del 1119<br />

Relativamente alla CC del 1119 il P. Van Damme concorda con<br />

la tesi di Dom Winandy, secondo il quale il testo approvato da Callisto<br />

II nel 1119 non era in nessun modo la Summa CC che noi conosciamo<br />

oggi (93); discorda però da Dom Winandy quando si tratta di determinare<br />

il testo del 1119. P. Van Damme pensa cioè che Dom Winandy<br />

abbia sostenuto la tesi secondo la quale la CC del 1119 fosse costituita<br />

dai capitoli 3°, 4° e 9° del manoscritto ritrovato a Trento (Ms.<br />

1711) (94), e si meraviglia non poco che l'Abate emerito di Clervaux<br />

non abbia provato la sua (pretesa) tesi (95). Inoltre P. Van Damme<br />

esclude il 1119 e fa risalire la Summa CC al 1123-1124 (96).<br />

Dopo questa esposizione, egli si sforza di ricostruire il testo approvato<br />

nel 1119, sottomette ad analisi la CC} e tenta di respingere<br />

l'asserzione di Lefèvre e Winandy circa la pretesa ibridità della CC<br />

mostrandone la sua logica costruzione (97).<br />

la teneur originale de la CC-prior est exclue ou douteuse: Introduction: la première<br />

partie date d'après 1119 », Intanto egli non precisa quando la seconda parte abbia<br />

avuto origine, non dice cioè con esattezza in quale degli anni successivi al 1119 la<br />

prima parte sia stata scritta. BOUTON394, pensava che il prologo fosse del 1120, mentre<br />

egli, nel Fiches 28, pago 110-111 menziona il prologo soltanto assieme alla CCI del 1151.<br />

(93) Vedi sopra, a pago 93-95. Van Damme aggiunge un nuovo argomento: l'Exordium<br />

Cistercii e la Summa CC formano un tutt'uno ed hanno lo stesso autore; nell'Exordium<br />

Cistercii si parla di Santo Stefano in terza persona; quindi Santo Stefano<br />

non è l'autore dell'Exordium Cistercii e non è neppure l'autore della Summa CC,<br />

mentre egli è, secondo tutte le fonti, l'autore (principale) della Cc. Si potrebbe però<br />

obiettare a Van Damme che anche nel prologo della CC si parla di Santo Stefano Harding<br />

in terza persona. E se Van Damme accetta Santo Stefano quale autore del prologo<br />

della CC (VAN DAMME 1, 1958, 48), si potrebbe accettarlo anche come autore della<br />

Summa Cc.<br />

(94) VANDAMME1, 1958,57: « Examinons maintenant la thèse de Dom Winandy<br />

qui voit la CC de 1119 dans une partie seulement de la Summa Cc. Cette partie comprendrait<br />

trois passages, retrouvés respectivement dans les chapitres III, IV et IX du<br />

Trente 1711 ».<br />

(95) Ibid., 57-58: «Pour déterminer ce choix le Révérendissime Père n'apporre<br />

aucune preuve tirée directement des découvertes paléographiques ... pour soutenir cles<br />

thèmes tellement neufs ..., on aurait aimé une argumentation solide et détaillée ».<br />

(96) Torneremo sulla questione nel prossimo punto.<br />

(97) WINANDY,52: « Lorsqu'on lit attentivement la Summa CC, on s'aperçoit<br />

bientòt qu'on est en présence d'un texte hybride, aussi hybride que la CC Prior », Cfr.<br />

pago 94-95, nota 74.<br />

- 99-


Alla fine della sua analisi P. Van Damme giunge alla conclusione<br />

che la CC «presenta una forma lievemente evoluta rispetto alla CC<br />

del 1119 »(98). In particolare egli pensa che:<br />

1) il prologo fu interpolato più tardi, perché la disposizione<br />

di presentare la CC ai vescovi per la ratifica fu stabilita dopo l'approvazione<br />

papale; i vescovi erano quelli nelle cui diocesi venivano fondati<br />

i monasteri (99).<br />

2) Nel sesto capitolo, forse un periodo è di origine posteriore<br />

(100).<br />

3) L'autenticità del capitolo decimo non è del tutto sicura.<br />

4) Fatte queste eccezioni, il testo della CC che nOI oggi cono-<br />

SCIamo è il testo approvato da Callisto II.<br />

Noi siamo d'accordo col P. Van Damme nell'ammettere che il<br />

testo presentato al Papa nel 1119 non era la Summa CC, ma la CC,<br />

anche se possiamo pensare che questa CC del 1119 fosse un po' più<br />

breve e più semplice della CCI che conosciamo oggi.<br />

La ricostruzione del prologo fatta dall'autore non ci ha convinti.<br />

Noi siamo molto più inclini ad ammettere che tutta la prefazione sia di<br />

ongine posteriore. L'espressione del testo «in diversis mundi partibus<br />

», il fatto che si parli di Santo Stefano Harding in terza persona<br />

(98) VAN DAMME 1, 1958, 168: «A la rigueur on peut reconnaitre que la CCprior<br />

représente un état légèrernent évolué de la CC de 1119 ».<br />

(99) VAN DAMME 1, 1958, 159-160: Egli cita anche il testo del manoscritto 30<br />

di Laibach (cfr. TURK 1, 61): «Supradictum itaque decretum seu Cartam Caritatis<br />

cum praedicti patres ipsius conditores ab Apostolicae Sedis gratia confirmatum jure<br />

perpetuo obtinuissent, inter se non improvide statuerunt... quod nulla deinceps abbatia<br />

Ordinis in alicujus antistitis dyocesi fundaretur, antequam praedictum decreturn ... ipse<br />

ratum haberet propter materiam discordiae ac scandali inter alterutrum evitandum ».<br />

Diamo qui il testo ricostruito da Van Damme accanto al testo dei manoscritti (in<br />

corsivo le parole che Van Damme ritiene interpolate):<br />

Testo dei manoscritti: Prefazione della CC del 1119 secondo<br />

Van Damme:<br />

«Antequam abbatiae<br />

Cistercienses florere inciperent<br />

Domnus Stephanus Abbas<br />

et fratres sui<br />

ordinauerunt, ut nullo modo in alicujus<br />

antistitis dioecesi [undarentur, ...<br />

«Antequam abbatiae (ecclesiae?)<br />

I n hoc ergo decreto praedicti [ratres<br />

mutuae pacis futurum praecaventes nau- mutuae pacis futurum praecaventes naufragium,<br />

elucidaverunt et statuerunt...» fragium, elucidaverunt et statuerunt...»<br />

(100) Si tratta di questa frase: « si vero (Abbas Novi Monasteri) praesens fuerit,<br />

nihil horum agat, sed in refectorio cornedat; prior autem loci negocia cenobii disponat ».<br />

- 100-<br />

florere inciperent<br />

Stephanus Abbas<br />

et fratres sui<br />

-


(mentre nel primo capitolo se ne parla in prima persona plurale) sembrano<br />

indicare un' origine posteriore (101).<br />

Non sappiamo invece spiegarci come abbia fatto P. Van Damme<br />

ad attribuire a Dom Winandy la tesi secondo la quale il testo approvato<br />

nel 1.119 consiste nei capitoli 3 o, 4 o e 9 o del manoscritto 1711 di<br />

Trento (e cioè i capitoli 3 o e 4 o della cosiddetta Summa CC e il capitolo<br />

9 0 dei Capitula). Noi abbiamo letto attentamente più volte il<br />

testo di Dom Winandy, ma non abbiamo trovato in nessun punto una<br />

simile asserzione. La tesi di Dom Winandy relativamente ai capitoli<br />

in questione ha il senso seguente: L'Exordium Cistercii, che con la<br />

Summa CC forma un tutt'uno, è di origine posteriore al 1119, e per<br />

conseguenza non poté essere presentato al Papa nel 1119 (102). Inoltre,<br />

secondo Dom Winandy la Summa CC non è giunta a noi nella<br />

sua forma originale. La Summa CC coi Capitula che conosciamo ha un<br />

carattere ibrido: anche per questo motivo non poté essere presentata<br />

al Papa nella forma che conosciamo oggi. Dom Winandy cercò poi di<br />

ricostruire la forma originale della Summa CC, che egli pensa di aver<br />

ritrovato nei tre capitoli in questione; ma non solo non sostiene mai<br />

che questi vennero presentati nel 1119 a Callisto II; ché anzi esclude<br />

una tale possibilità quando pensa che l'Exordium Cistercii fu redatto<br />

dopo il 1119 (e prima del 1148) e che questi tre capitoli seguivano<br />

l'Exordium Cistercii e formavano un tutt'uno con esso (103).<br />

(101) Conosciamo un solo manoscritto (Codex Lat. Monacensis 28224) della ce<br />

che non abbia la prefazione; ma ciò può anche significare che il testo giaceva bene<br />

anche senza prefazione. Vale la pena citare la prefazione della ce dal manoscritto di<br />

Laibach 30 (testo di TURK 1, 57): « Antequam Ordo Cysterciensium esset plurimum<br />

dilatatus, Domnus Stephanus abbas Cisterciensis curo conventu suo ceterique abbates<br />

praedicti Ordinis de conventuum suorum consensu unanimi quoddam statutum seu<br />

decretum concorditer ediderunt, in quo idem patres mutuae pacis, caritatis disciplinaeque<br />

naufragium praecaventes dilucide statuerunt ac in suis scriptis suis posteris<br />

reliquerunt quo pacto, quo modo, qua caritate tam ipsi quam monachi eorundem per<br />

abbatias diversis mundi partibus corporibus divisi animis indissolubiliter unirentur ... ».<br />

(102) Vedi sopra, pago 94, nota 71.<br />

(103) WINANDY, 53: « ... le texte actuel de la Summa CC ne représente nullement<br />

la codification présentée à l'approbation de Calliste II en 1119, mais une compilation<br />

postérieure, laquelle a rassemblé tant bien que mal, à la suite de l'Exordium Cistercii,<br />

le resumé qui suivait primitivement ce dernier ». Ibid., 75 scrive sopra la datazione dell'Exordium<br />

Cistercii: «Le premier de ces textes (Exordium Cistercii) a été rédigé entre 1119<br />

et 1148. Il a dù se présenter dabord sous une forme purement narrative et descriptive: après<br />

un bref récit des origines de Citeaux, il donnait un aperçu succinct de la Charte de Charité,<br />

que l'on peut, semble-t-il, retrouver au moins en partie dans l'amalgame juridique qui<br />

l'a remplacé dans la suite ». A pagina 53 egli ha già fatto la seguente costatazione:<br />

« Si donc il est vrai, comme je crois l'avoir montré, que le Exordium Cistercii est posrérieur<br />

au 23 décembre 1119, date de l'approbation par Calliste II de la Charte de<br />

Charité ... », La Summa CC da sola non sarà datata da lui né nella forma conservataci<br />

dai manoscritti né nel suo (di Winandy) testo ricostruito, perché essa secondo lui forma<br />

un tutt'uno con l'Exordium Cistercii; e quindi se l'Exordium Cistercii è posteriore al<br />

1119, posteriore al 1119 dovrà essere anche la Summa Cc.<br />

- 101-


Lo stesso P. Van Damme tenta di costruire un «sistema », sistema<br />

che egli pensa sia sostenuto anche da Dom Winandy (104). Ma<br />

l'abate di Clervaux era prudente, corresse la tesi di Lefèvre (105) in<br />

punti essenziali e rinunciò a costruire un sistema completo, che egli riteneva<br />

cosa prematura.<br />

c) L'Exordium Cistercii e la Summa Cartae Caritatis<br />

P. Van Damme formula cosi le sue tesi:<br />

« La Summa CC risale all'anno 1123 o 1124 e ci dà fedelmente<br />

il contenuto della CC del 1119. Questa però non vuole<br />

essere un riassunto servi le della cc completa, ma ne costituisce<br />

una redazione molto personale» (106).<br />

Egli rifiuta con Dom Winandy la proposta, fatta da Turk e da<br />

Lefèvre, di correggere tutti i manoscritti riducendo il numero degli abbati<br />

da venti a dodici (107) e riferisce l'espressione citata ai venti abbati<br />

già attivi nel loro incarico (108). Cosi è dato il terminus post quem:<br />

il 1123, l'anno in cui l'Ordine contava venti monasteri. Un altro elemento<br />

utile alla datazione della Summa CC, il P. Van Damme lo trova<br />

in un luogo dell' Exordium Cistercii nel quale si dice che l'Ordine in<br />

circa dodici anni aveva venti monasteri (109), mentre l'Exordium Parvum<br />

(Cap. XVIII) ci riferisce che l'Ordine in otto anni possedeva dodici<br />

monasteri. Secondo P. Van Damme il terminus a quo di questi due<br />

enunciati è l'anno 1112, cioè l'anno in cui, secondo lui, San Bernardo<br />

entrò nell'Ordine (110). Stando cosi le cose, la Summa CC<br />

può essere datata al 1124.<br />

Una certa difficoltà presenta anche il fatto che dopo l'approvazione<br />

della CC da parte dei venti abbati, il testo dell' Exordium Cistercii<br />

(104) VAN DAMME 1, 1958, 57.<br />

(105) Vedi sopra, pago 93-95.<br />

(106) VAN DAMME l, 1959, 156: «La Summa-Cc. date de 1123 ou 1124, et donne<br />

fidèlement le contenu de la CC authentique de 1119. Cette Summa-CC ne veut cependant<br />

pas ètre un résumé servile de la CC complète, mais elle en consti tue une rédaction très<br />

personnelle ».<br />

(107) Vedi a pago 10-11, Not. Cisto III (1970), n. 1-2.<br />

(108) WINANDY,58 pensa che fin dal 1119 potevano esserci 20 abati, alcuni dei<br />

quali però erano forse semplici monaci, già designati abati di nuove fondazioni non ancora<br />

realizzate.<br />

(109) Questo testo è stato da noi citato a pago 9-10, Not. Cisto III (1970), n. 1-2.<br />

(110) VAN DAMME 1, 1958, 55: « Quant au terminus a quo de ces douze ans<br />

environ il est aussi plus conforme aux sources et à la tradition de la placer à l'entrée<br />

de Saint Bernard, dont la date la plus probable est le mois d'avril 1112 »,<br />

- 102-


parla di una conferma papale: « quae quidem carta, sicut ... a praefatis<br />

viginti abbatibus confirmata, sigilli quoque apostolici auctoritate munita<br />

est ... ». Ma noi non sappiamo nulla di una conferma papale della CC<br />

intorno al 1124. P. Van Damme tuttavia pensa che la espressione non<br />

significhi una conferma susseguente all'approvazione dei venti abbati,<br />

ma che si tratti semplicemente di quella del 1119. Non si dice infatti<br />

che la CC « dopo di ciò » fu confermata anche dal papa, ma che<br />

essa aveva « anche» (quoque) questa conferma. P. Van Damme crede<br />

di poter interpretare cosi la frase surriferita, anche se il testo dell' Exordium<br />

Cistercii parla prima dell'approvazione dei venti abbati e poi<br />

della conferma papale (111).<br />

P. Van Damme vede il terminus ante quem nell'anno 1124, pur<br />

ammettendo che questa datazione presenta una certa difficoltà (112).<br />

Egli si appoggia in primo luogo sugli studi miranti a provare che la<br />

Summa CC fu usata dai Premonstratensi e dai Canonici di Arrouaise<br />

nel 1128-1130 per i loro statuti, e in secondo luogo sul fatto che la<br />

Summa CC nel manoscritto 1711 di Trento forma un tutt'uno con gli<br />

Ecclesiastica Officia, che sono da datarsi fra il 1130 e il 1134(113).<br />

Egli crede di poter fissare le date con sufficiente precisione servendosi<br />

dei testi dell' Exordium Cistercii perché « una relazione storica, a meno<br />

che non vi siano ragioni positive contrarie, viene datata in base all'ultimo<br />

avvenimento in essa menzionato» (114). L'Exordium Cistercii<br />

parla di venti abbati esistenti nell' Ordine tra la fine del 1123 e l'inizio<br />

del 1124: quindi la Summa CC, come pure l'Exordium Cistercii<br />

sono di questo tempo.<br />

Circa la datazione dell' Exordium Cistercii e della Summa CC<br />

P. Van Damme è andato per la sua strada. La sua tesi può essere presa<br />

(111) Ibid., 54-55.<br />

(112) Ibid., 59: « Le terminus ad quem est plus difficile à déterminer ».<br />

(113) Vedi pago 9, nota 8, Not. Cisto III (1970), n. 1-2.<br />

(114) Vedi WINANDY 60-63. Frattanto H. Bredero ha pubblicato il suo lavoro<br />

fondamentale sulla «Vita prima» di San Bernardo: Analecta S.O.Cist. 17 (1961) 3-72;<br />

215-260 e 18 (1962) 3-59. Bredero ha dimostrato che tutti i manoscritti della prima<br />

recensione (A) e quelli più antichi della seconda recensione (B) indicano il 1113 come<br />

anno di ingresso di San Bernardo nell'Ordine. Cfr. Analecta S.O.Cist., 17 (1961) 33<br />

nota 1, e ibid., pago 62, nota 2, dove per un errore di stampa «anno ... millesimo<br />

tertio» è naturalmente da leggersi «anno ... millesimo tertio decimo ». Bredero conclude<br />

affermando che lo spostamneto della data di ingresso di San Bernardo dal 1113 al 1112,<br />

ed in alcuni manoscritti più tardivi persino al 1111, sia una cosciente falsificazione per<br />

attribuire a San Bernardo un ruolo maggiore nella espansione dell'Ordine: « L'anticipation<br />

de la date d'entrée dans certains mss est une falsifìcation volontaire, qui avait<br />

pour but de mettre le développement de l'Ordre Cistercien entièrernent à l'actif de<br />

Saint Bernard, et de détruire ainsi l'objection de La Ferté qui se savait fondée dès<br />

avant l'entrée dc: Saint Bernard à Cìteaux ». Cfr. Ibid., pago 217, numero 1.<br />

- 103-


come una ipotesi probabile, anche se alcuni elementi di cui egli si è<br />

servito rimangono problematici: non è in nessun modo sicuro, per esempio,<br />

che San Bernardo sia entrato a Citeaux nel 1112; le migliori tradizioni<br />

manoscritte e molti grandi dotti che precedettero Vacandard,<br />

quali Manrique, Mabillon e i Bollandisti hanno fissato l'entrata di San<br />

Bernardo a Citeaux nel 1113 (115).<br />

Sorge ora la questione se l' Exordium Cistercii e l' Exordium<br />

Parvum abbiano in comune il terminus a quo (116). Anche la cronologia<br />

delle prime fondazioni è molto incerta: lo si può constatare attraverso<br />

una accurata lettura di ]anauschek (117). P. Van Damme si<br />

serve del principio in base al quale una relazione storica è contemporanea<br />

all'ultimo avvenimento in essa menzionato. Ma se questo principio<br />

è generalmente valido per il terminus post quem , non lo è altrettanto<br />

per il terminus ante quem. Del resto le ricerche circa il diritto<br />

primitivo dell' Ordine dei Premonstratensi e dei Canonici di Arrouaise<br />

sono in alto mare e ancora cariche di molte ipotesi (118).<br />

d) L'Exordium Parvum<br />

Lefèvre pensa che l'Exordium Parvum sia stato scritto solo nel<br />

1151 e che contenga molti anacronismi (119). P. Van Damme confuta<br />

in due articoli gli argomenti di Lefèvre (120), quindi in un terzo articolo<br />

ten ta di provare la sua tesi che suona così:<br />

«L'Abate Stefano Harding compilò l'Exordium Parvum in<br />

nome e con la collaborazione di quelli tra i primi fondatori<br />

di Citeaux che al tempo della compilazione erano ancora in<br />

(115) VAN DAMME, 1, 1958, 60: « Un récit historique est généralement daté, a<br />

moins de raisons positives en sens contraire, de l'événement qui le termine ».<br />

(116) Vedi sopra, a pago 102, nota 110, dove abbiamo citato il testo. Se San Bernardo<br />

è entrato a Citeaux nel 1113, allora gli otto anni dell'Exordium Paruum terminano<br />

nel 1121, e nOI1 nel 1119 come pensa P. Van Damme.<br />

(117) Cfr. L. JANAUSCHEK,Originum Cisterciensium t. 1, Vienna 1877, 3-11 e<br />

WINANDY56, al n. 4.<br />

(118) Secondo I. J. VAN DEN WESTELAKEN,Premonstratenser ioetgeuing (1120-65)<br />

Analecta Praemonstratensia 38 (1962) 7-43, il testo della prima codificazione dei Premostratensi<br />

(che deve essere anteriore al 1131, perché ratificata nell'aprile 1131 da<br />

Innocenzo II) è finora sconosciuta. La codificazione pubblicata da R. Van Waefelghem<br />

(Cfr. TURK 2, 142-43) viene da lui attribuita agli anni 1140-1165. Ma Van de Westelaken<br />

crede che in questa codificazione degli anni 1140-1165 si possano trovare elementi che<br />

i Premostratensi presero dai <strong>Cistercensi</strong> ancor prima del 1131.<br />

(119) Vedi pago 15, Not. Cisto III (1970), n. 1·2.<br />

(120) VAN DAMME 1, 1958, 374·390 e 1959, 70·86. Non vogliamo discutere questo<br />

argomento. Le relative teorie di Lefèvre furono confutate da CH. DEREINE, La [ondation<br />

de Clteaux d'après l'Exordium Cistercii et l'Exordium Paruum, Citeaux lO (1959), 125·139.<br />

- 104-<br />

-


vita. La compilazione si svolse in diverse fasi e terminò prima<br />

del 23 dicembre 1119» (121).<br />

Dalle parole della introduzione «Nos Cistercienses primi hujus<br />

Ecc1esiae fundatores » P. Van Damme pensa si debba arguire che alcuni<br />

tra i primi fondatori presero parte alla redazione del lavoro. Secondo<br />

lui, tuttavia, l'Abate Stefano Harding rimane l'autore principale<br />

perché la prefazione del Hymnarium (scritta certamente da questo<br />

abbate) concorda in molte cose con l'introduzione dell' Exordium Parvum.<br />

Inoltre l' Exordium Parvum somiglia molto alla CC!: ambedue<br />

« hanno lo stesso tono, la stessa levatura mistica, lo stesso zelo per l'osservanza<br />

regolare» (122).<br />

Il nostro autore tenta anche, allo stesso modo, di rispondere ad<br />

una possibile obiezione: il capitolo XVII dell' Exordium Parvum parla<br />

dell' Abate Stefano Harding in terza persona e lo loda; si può ancora<br />

conciliare ciò con la sua paternità ed umiltà? P. Van Damme è dell'opinione<br />

che questo testo non è in alcun modo inconciliabile con l'umiltà<br />

del grande abate poiché i confratelli avrebbero imposto il testo alla redazione.<br />

Con ciò si spiegherebbe anche l'uso della terza persona.<br />

Circa la datazione al 1119, egli si appoggia all'ultimo (XVIII) capitolo<br />

dell' Exordium Paruum, dove si dice che l'Ordine, dopo otto<br />

anni, oltre a Citeaux contava già dodici monasteri. La dodicesima fondazione<br />

(Fontenay) ebbe luogo nell'ottobre del 1119, e la tredicesima<br />

(Tiglieto) nell'ottobre del 1120. E dato che nell' Exordium Parvum non<br />

è ancora menzionata la bolla di Callisto II del 23 dicembre 1119, egli<br />

pensa di poter sostenere con molta probabilità che l' Exordium Parvum<br />

era stato definitivamente redatto prima del 23 dicembre 1119.<br />

Le nostre osservazioni:<br />

Gli argomenti avanzati da P. Van Damme circa la partecipazione<br />

di alcuni tra i fondatori di Citeaux alla redazione dell' Exordium Parvum<br />

non convmcono.<br />

Né molto meglio è dimostrato che Stefano Harding sia l'autore<br />

dell' Exordium Parvum. È vero che nella prefazione all' Hymnarium<br />

e nella introduzione all' Exordium Parvum si trovano molte espressioni<br />

simili. Certo però, la prefazione all' Hymnarium può anche<br />

non essere stata scritta dallo stesso Abate Stefano, bensì da un altro che<br />

(121) VAN DAMME 1, 1959, 156: «L'abbé Etienne Harding rédigea l'Exordium<br />

Parvum au nom et avec le concours des co-fondateurs encore en vie au moment de<br />

la composition, qui se fit par étapes et se termina avant le 23 décembre 1119 ». Ibid.,<br />

156, dice anche che a questa datazione egli attribuisce una grande probabilità.<br />

(122) VAN DAMME, 1, 1959, 152.<br />

- 105-


scriveva a nome suo. Né lo stile vale a dimostrare l'identità dell'autore:<br />

non si tratta infatti di uno stile molto caratteristico e personale.<br />

Una difficoltà molto più grave contro questa tesi noi la vediamo<br />

nel tenore stesso del capitolo XVII: «Huic successit quidam frater<br />

Stephanus nomine... qui et ipse... de Molismo illuc advenerat, qui<br />

amator Regulae et loci erat. Hujus temporibus ... ». È molto difficiledire<br />

che la parola erat sia una esigenza della grammatica (advenerat - erat).<br />

Erat viene detto di Stefano Harding al passato, come di uno il quale<br />

non è più in vita. L'autore dell' Exordium Parvum scrive, certo, per<br />

i posteri (« Nos... fundatores successoribus nostris... »); tuttavia egli<br />

non può parlare del suo tempo come di una cosa ormai passata (123).<br />

Questa maniera di parlare non solo esclude Santo Stefano quale autore<br />

dell' Exordium Parvum, ma rende anche impossibile datare l'Exordium<br />

Parvum al 1119. Almeno, così ci sembra.<br />

Né più stringente è l'argomento portato da P. Van Damme per il<br />

capitolo XVIII. Nel capitolo XVII il discorso era sullo sviluppo dell'Ordine.<br />

Che in otto anni siano nati dodici monasteri, viene addotto<br />

come esempio di ritmo dello sviluppo (124). Ma può darsi che l'autore<br />

citi proprio questo esempio con l'intenzione di limitarsi agli inizi dell'Ordine<br />

(125).<br />

Il silenzio dell' Exordium Parvum circa la bolla papale del 1119<br />

non è un argomento per dimostrare che l'Exordium Parvum sia stato<br />

scritto prima della concessione della bolla papale. L'autore voleva appunto<br />

limitarsi ai primi documenti, e probabilmente pensò che la CC<br />

con la sua introduzione e la seguente bolla del 1119 completassero in<br />

maniera eminente il suo testo (126).<br />

(123) È bene ricordare che lo stile della introduzione all'Exordium Paroum non<br />

è ccnseguente: « Nos... fundatores successoribus nostris stilo praesenti notificamus,<br />

quam canonice... cenobium et tenor vitae illorum exordiurn sumpserit ». Dove ci aspetteremmo<br />

un pronome di prima persona, troviamo la parola «illorum », la quale non è<br />

del tutto ben riferita alla parola «successoribus ».<br />

(124) La divisione in diciotto capitoli avvenne probabilmente più tardi.<br />

(125) P. Van Damme pensa che il capitolo XVIII sia solo un'appendice all'Exor·<br />

dium Parvum perché esso non tratta più dell'exordium di Cìteaux. Effettivamente<br />

questo capitolo manca in alcuni manoscritti. Cfr. Lefèvre 14. Inoltre ci sembra che per<br />

l'autore dell'Exordium Parvum il terminus a quo dell'« esempio» siano gli otto anni<br />

dalla fondazione di La Ferté la quale del resto coincide con l'anno di ingresso di San<br />

Bernardo a Citeaux, Cfr. a pago 104, nota 115. Sorprende infatti la mancanza, nel capitolo<br />

XVIII, dei nomi delle prime fondazioni di Citeaux, e di un accenno alla CC, la quale<br />

secondo Van Damme doveva esistere nella sua forma primitiva al più tardi fin dal 1113.<br />

(126) Forse varrebbe la pena esaminare la connessione esistente fra il capitolo<br />

XVIII dell'Exordium Parvum e la prefazione della CC, la cui origine molto probabilmente<br />

è posteriore alla CC stessa: vedi sopra a pago 100. Abbiamo l'impressione<br />

- ed è solo un'impressione - che nella prefazione con la parola «antequam» si risalga<br />

al tempo in cui esistevano già alcune abbazie ma non dodici fondazioni.<br />

- 106-


e) Lo sviluppo posteriore della CC<br />

Turk pensava che una prima forma della CC 2 fosse stata approvata<br />

da Eugenio III nel 1152 perché nella bolla di questo papa si<br />

trovano statuti che, mentre mancano nella CCI, sono invece conservati<br />

nella CC 2 (127). L'opinione di Lefèvre dice invece che la CCI sarebbe<br />

stata confermata solo nel 1152 (128), e colloca la CC 2 fra il 1190 e il<br />

1200 (129).<br />

Ciò induce P. Van Damme a indagare sul processo di trasformazione<br />

per il quale la CCI diventò la CC 2 • Egli affronta la questione<br />

in un lungo articolo (130), in cui si avvale anche delle ricerche di Turk<br />

e di P. Bouton (131).<br />

Secondo P. Van Damme il testo della CC approvato da Callisto<br />

II nel 1119 subì modifiche fin dal 1124 (132); alle prime modifiche<br />

ne seguirono altre più tardi. Pur non conoscendo tutti i motivi per cui<br />

la CCI si trasformò nella CC 2 , il nostro autore non si trattiene dall'indagare<br />

su questo processo di trasformazione; ché anzi vuoI precisare<br />

anche il tempo in cui le varie modifiche furono approvate da Roma.<br />

Secondo la sua opinione, l'Ordine avrebbe prima modificato qualche<br />

punto della CCI e poi avrebbe presentato alla Santa Sede il testo modificato<br />

(133).<br />

Dal giorno in cui Lefèvre scopri la bolla di Alessandro III del<br />

1163 (134), noi conosciamo cinque conferme papali, che cominciano<br />

sempre con la parola «Sacrosancta ». La prima fu data da Eugenio<br />

III nel 1152, la seconda nel 1153, la terza nel 1157, la quarta nel<br />

(127) TURK 1, 28-34, dove tuttavia egli ha visto che la visita di Clteaux fatta dai<br />

primi quattro proto-abati venne prescritta soltanto sotto Alessandro III, e quindi la<br />

ce poté avere solo allora la forma da noi oggi conosciuta.<br />

(128) Vedi pago 12-1.3,Not. Cisto III (1970), n. 1-2.<br />

(129) LEPEVRE 15, 13. Il manoscritto 601 (già 354) di Digione il quale contiene<br />

già la ce, è stato scritto secondo Guignard, LXX tra il 1191 e il 1194. Cosi la ce<br />

potrebbe sicuramente essere stata redatta prima del 1194. Va tuttavia osservato che<br />

della CCZnon c'è traccia nel manoscritto 114 (già 82) il quale è stato scritto tra il 1173<br />

e il 1191.<br />

(130) VAN DAMME 4.<br />

(131) Vedi TURK 1, 28-34; TURK 2, 114-128 e Fiches 28, pago 111-112. Citiamo<br />

le conclusioni del P. Bouton: « Après la dernière approbation d'Alexandre III en 1165,<br />

il fallait un simple remaniement dans l'ordre des status pour transformer la CC prior<br />

ainsi évoluée en CC posterior. A quelle date fut operé ce remaniement? Avant 1191,<br />

sans aucun doute ... ». Egli pensa inoltre di poter precisare: « Si cette hypothèse est<br />

exacte (cioè che l'Ordine di Chalais assunse nel 1178 la ce dei <strong>Cistercensi</strong>), c'est<br />

entre 1165 et 1178 que la CC posterior a été établie ». Circa la CC di Chalais vedi<br />

J. B. Van Damme, La Cbarte de Cbarité de Cbalais, Cueau« 14 (1963) 81-104.<br />

(132) Ibid., 52. Crediamo di capire che per il P. Van Damme la Summa CC e<br />

il compendio della CC trasformata nel 1124 si identifichino.<br />

(133) VAN DAMME 4, 52 e 55.<br />

(134) LEFEVRE Il.<br />

- 107-


1163, e l'ultima il 5 agosto 1165. Queste bolle riportano spesso alla<br />

lettera gli statuti della CC ed hanno quasi tutte lo stesso tenore; si differenziano<br />

proprio in quei punti in cui approvano le modifiche intervenute.<br />

P. Van Damme riporta, uno accanto all'altro, i testi distribuiti in<br />

30 statuti (135) della CCI, della CC 2 e delle bolle; poi confronta i testi e<br />

analizza le modifiche che spesso cerca anche di spiegare in base a dati<br />

storici. Egli conclude che con la quinta bolla « Sacrosanta» gli statuti<br />

della CC 2 erano ormai completi, e che completa era la CC 2 già prima<br />

del 5 agosto 1165 (136): egli tuttavia presenta questa tesi come un risultato<br />

non assolutamente definitivo (137).<br />

Questo lavoro diventa in alcune sue parti un commento ad ambedue<br />

le CC. L'autore determina sistematicamente lo sviluppo dell'Ordine<br />

Cistercense tra il 1119 e il 1165 (138), e ci fa vedere chiaramente<br />

come i padri del capitolo generale del secolo XII, aperti alle circostanze<br />

di tempo che andavano mutando, sapevano adattarsi ad esse, modificando,<br />

quando era necessario, anche la cc.<br />

Questo articolo ci pare il più utile e prezioso fra quanti ne sono<br />

apparsi finora: con esso si giunge davvero ad una migliore intelligenza<br />

della cc. L'abbondante materiale raccolto da P. Van Damme con<br />

tanta diligenza merita da solo il nostro plauso. Grande importanza, anche<br />

se non sono del tutto nuove, hanno le precisazioni circa l'unità di<br />

osservanza nel secolo XII (specialmente dopo l'affiliazione di Cadouin<br />

e di Savigny) (139), le osservazioni sul capitolo genreale (140) e sui<br />

diri tti dell' abate di Citeaux (141).<br />

Altra questione è invece affermare che l'autore sia riuscito a dimostrare<br />

la sua tesi, secondo la quale la CC 2 esisteva già prima del<br />

5 agosto 1165. Facciamo queste riserve non solo a causa dello statuto<br />

18 (conferma del neo-abate da parte dell'abate-padre), che l'autore,<br />

come egli stesso ammette, non è riuscito a datare (142), ma anche<br />

(135) Cfr. TURK 1, 57-61. La ce venne divisa in capitoli da Van Damme in<br />

base ai manoscritti della Clementina (VAN DAMME4, 55 n. 1). A nostro parere sarebbe<br />

stato meglio omettere del tutto i titoli di questa divisione posteriore, o almeno<br />

cercare di chiarirli e meglio comprenderli. Solo nel secolo decimoquarto, probabilmente,<br />

furono introdotti i titoli dei singoli capitoli, titoli che in seguito influirono non poco<br />

nella interpretazione dei testi.<br />

(136) VAN DAMME4, 52.<br />

(1.37) Ibid., 55: « Ces remarques, si elles nous mettent d'une part en garde contre<br />

la prétention d'une information complète et de conclusions définitives... »,<br />

(138) Ibid., 99-104.<br />

(139) Ibid., 59-67.<br />

(140) Ibid., 78-79.<br />

(141) Ibid., 102-103.<br />

(142) Ibid., 87-88.<br />

- 108-


perché nutriamo dei dubbi circa la maniera di modificare la CC come la<br />

(maniera) espone ilP. Van Damme. È vero che conosciamo alcuni manoscritti<br />

(per esempio il ms. 31 di Laibach) i quali, pur conservando la forma<br />

della ce, presentano già alcuni nuovi statuti nella forma propria della<br />

CC 2 (143), tuttavia ci pare non sia stato dimostrato che i cistercensi<br />

si siano sempre comportati come dice P. Van Damme, e cioè che prima<br />

abbiano modificato la CC e poi abbiano presentato all'approvazione<br />

papale il testo appositamente modificato. In questo caso l'ordine progressivo<br />

degli statuti contenuti nelle bolle dovrebbe corrispondere all'ordine<br />

progressivo degli statuti contenuti nelle CC corrette: il che<br />

non avviene nella bolla del 1165, la quale segue molto più da vicino<br />

l'ordine progressivo della CC.<br />

Possiamo dunque affermare che tutti gli statuti della CC 2 avevano<br />

la conferma papale fin dal 1165. Essi tuttavia, con grandissima probabilità,<br />

non erano ancora riuniti nella forma della CC 2 che noi conosciamo<br />

oggi. P. Van Damme non ha studiato sufficientemente questa<br />

problematica (144 ).<br />

f) Il libretto «Documenta pro Cisterciensis Ordinis historiae ac [uris<br />

studio»<br />

Nel 1959 P. Van Damme ha pubblicato un libriccino che, per<br />

il suo formato (sono solo 28 pagine) e per il modico prezzo, ha reso<br />

possibile a molte persone una facile consultazione dei primi testi della<br />

storia dell' Ordine Cistercense. In esso sono riportati anche due documenti<br />

riguardanti Molesme: il primo si riferisce alla erezione di<br />

Aulps in abbazia (1097); il secondo tratta la sistemazione dei rapporti<br />

fra Molesme, Aulps e Balerne (1110) e da P. Colombano Spahr è chiamato<br />

« Concordia Molismensis » (145). Nello stesso libriccino sono riportati<br />

anche l'Exordium Parvum, la CCI secondo un manoscritto di<br />

Zurigo (146) e i primi 26 capitoli del manoscritto 1711 di Trento.<br />

Questo libriccino ci è stato spesso utile nelle nostre lezioni; ed<br />

ottima fu l'idea di darlo alle stampe. Purtroppo l'edizione lascia molto<br />

a desiderare: non vengono riportate importanti varianti dei manoscritti<br />

(147); l'edizione segue nella numerazione dei capitoli la numerazione<br />

(143) Cfr. LEFEVRE 1, 7, nota 7.<br />

(144) Cfr. l'opinione di P. Bouton, sopra a pago 90, nota 47.<br />

(145) Il significato di questi documenti venne bene illustrato da VAN DAMME3,<br />

128-131.<br />

(146) Zurigo, Biblioteca Centrale, Car C. 175.<br />

(147) P. Van Damme afferma che non voleva in nessun modo dare una edizione<br />

« critica ». A pagina 5 egli scrive: «In adnotationibus ... solummodo prout intellectui necessarium<br />

videtur, comparatio fit istius codicis (T) cum aliis codd. », Ma in un libro<br />

- 109-


del manoscritto di Zurigo, che non è quella abituale, il che può causare<br />

difficoltà nelle citazioni (148); l'interpunzione è difettosa e alcuni errori<br />

tipografici sono di fastidio alla lettura (149).<br />

È desiderabile una seconda edizione in cui vengano corretti questi<br />

difetti: intanto sarebbe bene avvertire i lettori con un foglio da<br />

allegarsi al volumetto.<br />

a carattere scientifico, il testo, oltre che essere in qualche modo comprensibile, deve<br />

essere anche preciso. Nelle seguenti righe, L. significa Laibach 31, ed. NOSCHITZKA,<br />

Analecta S.O.Cist. 6 (1950); P. significa Paris, Bibl. S. Geneoièoe 1207, ed. TURK 2,<br />

81-82 e LEFEvRE 2, 97-104.<br />

A pago 6 riga 5 e 9: « Privìl. Romanorum », mentre gli altri codici hanno «Privil.<br />

Romanum », come del resto anche nel libriccino, a pago lO riga 9.<br />

A pago lO riga 23, viene data a «Romanorum» quale lectio varians « L D Romano»<br />

anziché « Romanum »,<br />

A pago 12 riga l, si trova di nuovo «Privil. Romanorum ».<br />

A pago lO riga Ll , « prudentiae » - L. ha « providentiae ».<br />

A pago 11 riga lO, « prornìserunt » - L. « proposuerant »,<br />

A pago 15 riga 26, « domnus Stephanus et fratres sui» - 1.: «Domnus Stephanus<br />

abbas et ... ».<br />

A pago 16 riga 6, « exactionis » - 1.: «exactionem »,<br />

A pago 17 riga 9, « abbates » - 1.: « abbatias ».<br />

A pago 17 riga 28, « gaudeat (fìlia) » - 1.: «gaudeant (monachi) »,<br />

A pago 20 riga 24, « ecclesiae abbatem qui» - L.: «ecc1esiae abbatem quae ».<br />

A pago 22 riga 9, « discedere » - P.: « dissidere ».<br />

A pago 21 riga 20, nel testo si dovrebbe mettere il titolo: «De egressu Cisterciensium<br />

monachorum de Molismo» (secondo il codice P. e l'elenco dei capitoli di Trento<br />

1711). La frase « Incipit usus cisterciensium rnonachorum » dovrebbe essere riportata<br />

meglio nell'apparato.<br />

(148) Gli « Instituta Monachorum Cisterciensium de Molismo venientium» costituiscono<br />

il capitolo XV dell'Exordium Parvum in tutte le edizioni, nella maggior parte<br />

dei manoscritti, ed anche nell'elenco dei capitoli del manoscritto di Zurigo. Ma nel<br />

testo di questo manoscritto il capitolo non è numerato (p. 13), così che il capitolo<br />

seguente appare come capitolo XV ecc ..., anziché come capitolo XVI ecc... P. Van Damme<br />

quando pubblicava questo manoscritto avrebbe dovuto correggere l'errore del copista<br />

e uniformare l'enumerazione della sua edizione alla enumerazione delle altre edizioni.<br />

(149) Ai lettori del libriccino sarà utile indicare alcuni errori tipografici:<br />

pagina riga: invece di: leggi:<br />

5 22 carni sarcina carnis sarcina<br />

Il 22 ne pauperes utpote pauperes<br />

Il 33 assunt adsunt<br />

15 27 antistis antistitis<br />

17 37 die qua inter se constituent die quam inter se constituent<br />

19 21 diffusione discussione<br />

21 1 statuimus statuistis<br />

21 33 qui singulos movent quod singulos movet<br />

26 18 regulam regula<br />

26 26 cibro cribro<br />

Non abbiamo potuto consultare il manoscritto di Zurigo. Ma le varianti di T si<br />

trovano nell'apparato di TURK 1, 53-56. È tuttavia possibile che alcune delle varianti<br />

riportate a pagina 133 numero 3 siano lezioni errate oppure siano errori tipografici.<br />

Anche gli errori tipografici da noi riportati possono essere varianti, che tuttavia dovrebbero<br />

almeno essere corrette nell'apparato. Se si eccettuano i due primi documenti che<br />

sono stati tratti dalla edizione di ]. Laurent, l'ortografia degli altri documenti è lunatica.<br />

Sarebbe stato bene anche numerare i righi onde renderne più facile e spedita la<br />

consultazione.<br />

- 110-<br />

.


P. Van Damme cominciò ad interessarsi delle origini dell' Ordine<br />

Cistercense quando volle confutare le tesi di Lefèvre. In molti punti<br />

egli ha raggiunto il suo scopo, tanto più facilmente in quanto Dom<br />

Winandy con stringenti argomentazioni aveva già confutato la tesi fondamentale<br />

di Lefèvre, il quale supponeva che la Summa CC fosse la<br />

Costituzione dell' Ordine del 1119 e che la CCJ fosse la Costituzione<br />

dell' Ordine del 1152.<br />

In questo suo lavoro P. Van Damme ha quasi sempre riproposto le<br />

tesi tradizionali. Purtroppo non ha sempre attentamente distinto dò<br />

che è scientificamente provato da ciò che può essere accettato come semplice<br />

ipotesi, o addirittura da ciò che deve rimanere indeterminato data<br />

la povertà delle fonti.<br />

Alcune ipotesi, che sono semplici possibilità, sono usate più tardi<br />

da P. Van Damme come tesi dimostrate, senza avvedersi che con tale<br />

procedimento viene compromessa la stabilità di tutta la sua costruzione.<br />

Nonostante questi difetti che ci permettiamo di segnalare, dobbiamo<br />

riconoscere che il vasto materiale raccolto dal noto studioso e<br />

le sue osservazioni rendono un grande servizio alle ricerche sulle OrIgini<br />

dell' Ordine Cistercense.<br />

- 111 -<br />

P. POLICARPO ZAKAR<br />

Ordinario di Storia Ecclesiastica<br />

all'Ateneo «S. Anselmo» in Roma<br />

(continua)


Bernardo, Santo come uomo<br />

« Bernardo, l'innamorato della verità, non poteva non innamorarsi<br />

di quella creatura umana, che fu piena di Grazia al di sopra di ogni<br />

altra creatura e che, al di sopra degli Angioli, è la Regina della gloria.<br />

Ed eccolo innamorato della Madonna, cavaliere della Vergine, castellano<br />

della tutta bella. Le Corti d'amore impallidivano, al cospetto<br />

di quella Corte celeste, dove una Donna era il termine fisso d'ogni più<br />

alto consiglio.<br />

La Madonna era per Bernardo la creatura amabile su tutte le creature,<br />

nella quale l'amore di Dio si era, per così dire, posato con maggiore<br />

dilettazione. Amando Lei, s'amava Dio stesso, che non aveva<br />

sdegnato di farsi sua fattura.<br />

La perfetta ortodossia del ( martello degli eretici " la sublime pietà<br />

del ( maestro dei mistici', l'intrepida fermezza del 'campione del Papato',<br />

la dolce dottrina del (dottore mellifluo' derivano dall'amore<br />

per la Madre di Dio, che l'Abate bianco coltivò come il più delicato<br />

fiore di Chiaravalle.<br />

Quell'amore illuminante e fervoroso, quel sentimento di devozione<br />

e di fedeltà sorresse e guidò l'ultimo (Padre della Chiesa' in<br />

tutte le sue impervie controversie, in tutte le sue dure imprese. D'ogni<br />

sua vittoria incoronò la Vergine Madre, da vero innamorato, che attribuisce<br />

ogni grazia all'amata.<br />

Da vero innamorato non si stancò mai di salutarla e di lodarla,<br />

con l'incessante AVE MARIA, con la ripetuta SALVE REGINA. Nella<br />

cattedrale di Spira, rapito nel canto della lode a Maria, continuò da<br />

solo la preghiera, mentre gli altri tacevano, aggiungendo spontaneamente<br />

la triplice invocazione, che ancora non chiudeva la SALVE<br />

REGINA: (O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria '. Era il sospiro<br />

della sua anima d'innamorato.<br />

Il saluto dell'amata sarà sempre il desiderio di tutti gli innamorati<br />

e San Bernardo giunse ad averlo, un giorno, ad AfIlingen, nel Belgio,<br />

dove una statua della Madonna, chinando il capo, gli disse 'Salve<br />

Bernardo! '.<br />

Il saluto della Vergine rappresentava la salute dell'anima e la beatitudine<br />

dello spirito.<br />

Per questo Bernardo non cessò mai di proclamare Maria fonte di<br />

tutte le grazie, sostenendo la dottrina non ancora dogmaticamente<br />

definita, della universale intercessione della Vergine.<br />

- 112-


Nessuna grazia è concessa da Dio se non per merito di Gesù e<br />

per intercessione di Maria. Nessuna preghiera sale a Dio, nessuna richiesta<br />

viene esaudita se non attraverso il canale purissimo dell'umile<br />

ancella di Nazaret.<br />

San Bernardo intitolò una sua opera mariana DE ACQUAEDUCTU.<br />

Dall'Abbazia di Chiaravalle quell'acquedotto irrorò di nuova devozione<br />

tutto il giardino della Cristianità. Portò una fresca onda di pietà<br />

dentro i Monasteri cistercensi, dai quali traboccò per mille vene e fu<br />

rugiada anche sugli sterpi, che più tardi fiorirono nella grazia e nella<br />

paesia.<br />

Dante Alighieri, uscito, per intercessione della Vergine, dalla' selva<br />

selvaggia', quando giunse nel giardino dei beati, per salutare la<br />

Regina del cielo, mise la sua parafrasi poetica sulle labbra del monaco<br />

bianco ».<br />

P. BARGELLINI, Santi come uomini,<br />

Firenze, Vallecchi, 1956; pagg. 62-63<br />

- 113-


Le contraddizioni di un Santo<br />

Nel luglio 1121 Chiaravalle fonda l'Abbazia-figlia di Foigny. S.<br />

Bernardo affida questa nuova fondazione (la terza) a uno tra i suoi<br />

monaci più fedeli e vigilanti, a uno dei suoi figli più cari: Rainaldo.<br />

Entrato al noviziato nel 1117, dopo appena quattro anni, ancora<br />

giovane e senza esperienza, Rainaldo è strappato al dolce nido di Chiaravalle<br />

ed è posto a capo di una nuova comunità. In breve si trova<br />

a dover risolvere i gravi problemi che sempre si accompagnano ad una<br />

nuova fondazione: problemi di alloggio, di vitto, di bonifica, ecc....<br />

Una baracca di legno serviva da dormitorio e da refettorio. Allora<br />

era estate; ma presto sarebbe arrivato l'inverno ...<br />

Anche a Chiaravalle, Rainaldo aveva conosciuto rudi privazioni.<br />

Ma a Chiaravalle c'era Bernardo, focolare di luce e di calore che faceva<br />

tutto sopportare.<br />

Ora, invece, è solo, e brancola nell'incertezza.<br />

Scriverà a Bernardo, e lo supplicherà di venire ad illuminarlo.<br />

E Bernardo gli risponde (lettera 72): gli dice che se non si fosse<br />

trattato della volontà di Dio, non avrebbe mai potuto sopportare di<br />

vivere lontano dal suo Rainaldo, compagno tanto caro e necessario,<br />

tanto obbediente e zelante, dalla memoria cosi pronta che lo rendeva<br />

utile nel disbrigo di tanti affari.<br />

Ma non va a trovarlo e a consolarlo.<br />

Rainaldo, deluso, non sa far di meglio che riprendere in mano<br />

la penna per una seconda lettera che, purtroppo, non possediamo.<br />

Bernardo gli risponde (lettera 73) con tanta tenerezza, materna<br />

e paterna insieme, tenerezza che aveva ereditata da Aletta la sua santa<br />

madre, tenerezza della quale tanti suoi figli non sanno più fare a meno:<br />

«Tu ti lamenti, mio carissimo figlio Rainaldo, di tutte le tue<br />

tribolazioni; e i tuoi lamenti spingono a lamentarmi anche me: non<br />

è possibile che se tu sei in pena non soffra io stesso; non posso sentirti<br />

raccontare le tue ansie e le tue angosce senza essere anch'io ansioso<br />

e preoccupato per te.<br />

Ma, io avevo previsto i mali che ora ti càpitano, e te li avevo<br />

anche predetti, se ben ricordi. Penso quindi che potrai sopportarli<br />

facilmente, e risparmiarmene il peso. Sono già troppo afflitto di averti<br />

perduto, di non vederti più, di non più godere della tua dolce conversazione,<br />

tanto che alle volte mi pento di averti allontanato da me.<br />

È la carità, lo sai, che mi ha spinto a farlo. E tuttavia, pur sapendo<br />

- 114-


che da forza maggiore sono stato costretto a mandarti là dove non<br />

posso più vederti, ti piango come se ti avessi perduto. Ma ora, oltre<br />

alla pena della tua lontananza, tu che dovresti essere il bastone che mi<br />

sostiene, tu mi colpisci, permettimi l'espressione, col bastone della tua<br />

pusillanimità. Tu aggiungi tristezza a tristezza, croce a croce. Certo,<br />

è un gran segno di affetto raccontarmi le tue difficoltà; ma quanto<br />

m'è duro sentire l'elenco delle tue sofferenze. Ti sembra proprio necessario<br />

aumentare, con le tue, le mie preoccupazioni già tanto gravi?<br />

Ti sembra proprio necessario torturare con dolori crudeli l'affetto di<br />

un padre affranto dalla tua lontananza? Avevo diviso con te il mio<br />

fardello, perché eri il mio figlio, il mio fedele e indispensabile compagno.<br />

È così che porti il fardello paterno? In questo modo, invece<br />

di alleggerirmene, tu me lo appesantirai di più. Te ne sarai addossato<br />

il peso senza che io me ne sia alleggerito. Si tratta, tu lo sai bene,<br />

del fardello delle anime malate. Le altre, quelle che godono buona<br />

salute, non hanno bisogno di sostegno, non sono un peso. Ma quelle<br />

che vedrai tristi, inquiete, mormoratrici, di queste soprattutto ricòrdati<br />

che sei padre, abate. Consolare le une, esortare le altre, rimproverare<br />

le ultime: in ciò consiste veramente il tuo còmpito di abate. Sostenendole,<br />

le guarisci; guarendole, le sostieni... Perché lamentarti quindi<br />

che la presenza di queste anime malate, invece di consolarti, ti opprime?<br />

Tu sei l'uomo di tutti, l'hai dimenticato? Tu solo, di tutti:<br />

perché sei il più sano, il più forte, perché di tutti, con la grazia di<br />

Dio, devi essere l'appoggio, senza aver bisogno di altri che ti aiuti.<br />

Ricorda inoltre che quanto maggiore sarà il peso della tua carica, altrettanto<br />

aumenterà il tuo tesoro nel cielo; quanto più cercherai aiuto<br />

dagli altri, altrettanto diminuirà la ricompensa. Scegli dunque! E ricorda<br />

di essere il vicario di Colui che è venuto a servire, e non ad<br />

essere servito...<br />

Vorrei scriverti ancora tante cose per consolarti, ma non è necessario:<br />

che bisogno c'è di riempire di parole superflue un foglio<br />

inanimato? Sto guardando il mio priore che ti consegnerà questa lettera:<br />

penso che la sua presenza basterà a rianimarti. Non avrai più<br />

bisogno di sollecitare il conforto delle mie lettere, perché le parole<br />

del priore basteranno a farti coraggio».<br />

Con questa lettera, pur tanto affettuosa, Bernardo diceva chiaramente<br />

a Rainaldo di smetterla con le lamentele. E un cuore che ama<br />

non s'inganna: Rainaldo amava Bernardo, e non scrisse più.<br />

Ma ben presto è Bernardo che comincia a tormentarsi: la sua<br />

lettera, pensa, potrebbe aver ferito Rainaldo abbandonandolo alla<br />

- 115-


sua solitudine. Bernardo non ha pace; prende la penna, e giù ... un'altra<br />

lettera all' abate-figlio (lettera 74) (1):<br />

«Mio carissimo, speravo porre fine alle mie preoccupazioni per<br />

te, quando ti suggerii di non comunicarmi più le tue difficoltà. Ricordo<br />

di averti scritto che, nonostante le tue attestazioni di pietà filiale, era<br />

per me penoso sentirti raccontare le ansie che ti affliggono. Ma ecco,<br />

quel che credevo servisse ad alleviare la mia inquietudine, proprio<br />

questo è per me motivo di maggiore afflizione. Prima soffrivo e mi<br />

rattristavo per le contrarietà delle quali tu mi informavi; ora, ogni<br />

male che ti potrebbe capitare, tutto io temo. Come dice il tuo indimenticato<br />

Ovidio (2): "Sempre i pericoli temuti mi son sembrati più<br />

gravi di quel che fossero in realtà ", tutto mi sembra sospetto perché<br />

sono incerto di tutto, e spesso mi sforzo a reprimere una angoscia<br />

causata da mali immaginari; il cuore, una volta intenerito dall'amore,<br />

non è più padrone di sé; teme ciò che ignora, si affligge senza motivo,<br />

si tormenta, turbato più di quanto vorrebbe, in modo diverso da ogni<br />

previsione, diventa compassionevole senza volerlo, si intenerisce contro<br />

voglia. Vedi, figlio mio, che i miei calcoli prudenti e la tua discrezione<br />

filiale non mi hanno molto giovato. Ti prego dunque d'ora<br />

innanzi di non nascondermi più nulla di ciò che ti riguarda: altrimenti<br />

c'è pericolo che cercando di risparmiarmi, tu finirai col desolarmi<br />

ancor più ».<br />

Ora, ci sia consentita una piccola, brevissima riflessione: sappiamo<br />

tutti che il 1400 fu il secolo dell'umanesimo. Ma, sarebbe davvero<br />

un grave errore affermare che l'umanesimo era già iniziato quando<br />

San Bernardo scriveva le sue lettere?<br />

(l) Le tre lettere citate (72-73-74) pare siano state scritte a breve distanza di tempo<br />

l'una dall'altra: fra l'agosto 1121 e l'inizio dell'anno seguente.<br />

(2) Rainaldo era un «letterato », o, come allora si diceva, uno «scolastico », Altri<br />

« letterati» della prima generazione cistercense erano Stefano Harding, Guglielmo di Saint-<br />

Thierry e, sopra tutti, Bernardo. Di Rainaldo si ricorda, in modo particolare, la predilezione<br />

per il poeta classico Ovidio. San Bernardo, in vari passi dei suoi scritti cita o riecheggia<br />

spesso brani della letteratura classica.<br />

- 116-


Florilegio Cistercense<br />

1. Il misticismo di Santa Ludgarde.<br />

« Il misticismo di Santa Ludgarde fu in costante, intima relazione<br />

col ciclo liturgico, e le sue visioni nelle feste dei Santi e del Proprio<br />

del tempo attestano l'intelligenza e l'amore con cui seguiva le differenti<br />

stagioni dell'anno ecclesiastico e partecipava alle grazie di ciascun<br />

tempo. È un fatto che non si può mai sottolineare abbastanza quando<br />

si parla di spiritualità monastica. L'opera principale dei Benedettini e<br />

dei <strong>Cistercensi</strong> consiste nella lode corale di Dio, nell'armonioso quoti.<br />

diano susseguirsi degli Uffici intorno al centro spirituale della Messa.<br />

Due ragioni in particolare fanno della Liturgia la fonte di gran lunga<br />

più ricca di grazie e il mezzo più efficace per giungere al più alto grado<br />

di contemplazione e di unione con Dio. La prima di queste ragioni è<br />

che, se Dio volle che San Benedetto stabilisse un Ordine contemplativo<br />

e volle che il principale mezzo di contemplazione prescritto dalla sua<br />

Regola fosse l'Ufficio divino, l'OPUS DEI, a cui ' nulla deve essere<br />

anteposto' ne segue che è intenzione di Dio elargire in via normale<br />

ai suoi servi grazie di preghiera e di unione attraverso la Liturgia. La<br />

seconda ragione è che essendo l'Ufficio parte di un tutto integrale di<br />

cui il centro e il cuore è il sacrificio della Messa, tutte le Ore Canoniche<br />

diventano canali che comunicano le grazie e i benefici del Sacrificio<br />

redentore di Cristo anzitutto a coloro che partecipano al canto, e poi,<br />

attraverso ad essi, alla Chiesa universale ».<br />

2. Solo Dio basta.<br />

(Thomas MERToN, Che sono queste ferite?,<br />

Milano, Garzanti, 1952, pagg. 135-136<br />

« Come è difficile per un cistercense esprimere le sue impressioni<br />

sul suo Monastero!<br />

Alcuni anni fa si trovava in questa abbazia un giovane mondano<br />

colla testa piena di... non so che cosa...<br />

Trascorse alcuni giorni ospite di questi buoni monaci e, siccome<br />

era un innamorato della musica, del colore e di tutto ciò che ha sapore<br />

di arte, fu profondamente impressionato nell'udire la salmodia del coro,<br />

si emozionò per il silenzio di questi uomini che, lontani dal mondo,<br />

- 117


menano una santa vita e godette indicibilmente al vedere nei campi<br />

allietati dalla primavera e pieni di frutti e fiori, alcuni uomini vestiti di<br />

bianco che lavoravano e che, col sudore sulla fronte e i calli alle mani,<br />

cercano di sostenere il loro corpo fin quando durerà il loro esilio, e che<br />

nello stesso tempo lavorano per guadagnare il riposo nella vera patria.<br />

Quando quel giovane ebbe veduto ciò che vide, la sua anima subì<br />

una trasformazione, e forse il Signore si valse dell'impressione dei suoi<br />

sensi per farlo meditare. Il giovane meditò. Oggi c'è un cistercense di<br />

più nel coro, un lavoratore in più nei campi, un uomo che, nell'intento<br />

di dimenticare il mondo, cerca il silenzio delle creature e la pace con<br />

Dio.<br />

n giovane meditò! Dio si valse di quell'apparato esterno per giungere<br />

con la sua luce divina alla sua anima un po' sognatrice. Quant'è<br />

grande la misericordia del Signore!<br />

Trascorsero alcuni anni e l'uomo mutò gli abiti del mondo con<br />

quelli del monaco cistercense.<br />

Mutò le vecchie abitudini di uomo mondano con le semplici Regole<br />

dettate dal nostro Padre San Benedetto.<br />

Mutò il cammino della sua vita e, lasciando da parte i sentieri<br />

tortuosi che nel mondo conducono al benessere, alla fortuna, magari<br />

alla gloria, abbandonò la sua carriera e diresse i suoi passi e i suoi pensieri<br />

per la via che conduce alla vita eterna, lungo il sentiero che hanno<br />

battuto e batteranno gli amanti di Dio.<br />

Tutto subì una trasformazione e, perché non restasse nulla di<br />

quello che c'era prima, cambiò anche la sua maniera di sentire.<br />

Ora, vedendosi come parte integrante e non come semplice spettatore<br />

del quadro che ammirava anni prima, si è reso conto con sua<br />

grande sorpresa, che un tempo mancava una cosa alle sue impressioni<br />

e ai suoi sentimenti: mancava in quel quadro il senso di Dio.<br />

L'arte lo aveva colpito profondamente, tuttavia non aveva ancora<br />

trovato Dio in quella esteriorità. Oggi la cosa è differente ... oggi questo<br />

cistercense, l'antico giovane stordito e sognatore, non dà più importanza<br />

alle campane, né agli uccelli, né al sole ...<br />

Ora ha visto, con l'aiuto di Maria, che la cosa principale in un<br />

Monastero è Dio. Ora non inneggia più all'arte delle creature, ma<br />

all'arte di Dio. È riuscito a comprendere che tutto ciò che è esteriore<br />

è vanità ..., che tutto ciò che impressiona soltanto i sensi è fumo, e<br />

come tale svanisce e si dissolve ..., i fiori avvizziscono, l'allegro sole<br />

primaverile impallidisce e torna il triste inverno, gli uccelli del cielo<br />

si nascondono e i campi perdono il loro verde smeraldo ...<br />

- 118-


Tutte le antiche impressioni di quel giovane nel contemplare un<br />

Monastero si sono oggi trasformate in una sola cosa, una cosa che un<br />

tempo gli mancava: Dio!<br />

Che importa il colore dell'abito? E che le campane abbiano un<br />

suono acuto o grave? Che importanza ha per il nostro fine che sia<br />

estate o inverno? Prescindiamo da tutto dò che è esterno e cerchiamo<br />

le nostre impressioni in Dio solo e nella pura fede.<br />

Per questo, com'è difficileper un cistercense scrivere le sue impressioni<br />

sui monasteri cistercensi.<br />

Colui che arriva dal mondo trova in queste abbazie motivi sufficienti<br />

per meditare, pensare e riflettere, e se è un po' artista potrà godere<br />

del silenzio e della pace del monastero, ma non creda che si trovi<br />

Dio in tutto ciò, anzi per trovare Dio si deve prescindere da tutto ciò.<br />

Solo Dio deve occupare l'anima. La pace non viene dal silenzio, né<br />

dai cipressi del chiostro, né dal canto degli uccelli.., la pace del monaco<br />

è Dio, e all'infuori di Lui non c'è nulla che valga qualcosa.<br />

Signore, Tu solo. Tu solo rimani... non c'è nulla sotto il sole che<br />

possa appagare il cuore dell'uomo all'infuori di Te. E il mio cuore è<br />

assetato di Te e Ti cerca come il cervo le fonti, secondo l'espressione<br />

di Davide. All'infuori di ciò che Tu sei, tutto è tenebra ».<br />

(Dagli scritti di Fr. M. Rafael Arnàiz y Baròn)<br />

«Il piacere della speranza, Milano 1967, pago 237-241 passim »<br />

* * *<br />

Rafael Arnàiz y Baròn nacque nel 1911 da una agiata famiglia<br />

spagnola e visse fino a 23 anni in un ambiente di raffinate comodità.<br />

Per indossare l'abito cistercense abbandonò il successo nella vita,<br />

l'avvenenza e la prestanza fisica, abbandonò intelligenza, cultura, denaro,<br />

e una famiglia disposta ad assecondarlo in tutto.<br />

Nell'Abbazia di S. Isidoro a Venta de Baiios fu sùbito per tutti<br />

esempio di santità di vita, di soprannaturale letizia che traspariva costantemente<br />

dalla sua persona e dai suoi atti; fu specchio di umiltà,<br />

di mansuetudine, di pazienza nell'esercizio dei suoi doveri quotidiani.<br />

Entrato in monastero il 16 gennaio 1934, dovette uscirne due<br />

volte, minato da un male inesorabile, e due volte vi ritornò, deciso a<br />

percorrere fino in fondo il cammino intrapreso.<br />

Quest'anima nobile ha voluto celare la sua luce sotto il moggio<br />

- 119-


della clausura; ma i suoi raggi illuminano tuttora le nostre tenebre; le<br />

sue parole risuonano come rintocchi di speranza nel frastuono della<br />

esistenza.<br />

3. Dignità e santità del Sacerdote.<br />

Nessuna umana dignità è paragonabile alla sublimità del Sacerdote.<br />

Il Sacerdote supera il fulgore dei principi e la potestà dei re. Re e<br />

principi esercitano il loro potere sulle cose terrene; la potenza del Sacerdote<br />

si estende alle cose eterne e celesti. Per queste, principi e re<br />

ricorrono al Sacerdote, implorano il suo aiuto, non temono di sottomettersi<br />

al suo giudizio.<br />

L'Apostolo Paolo dice che il Sacerdote è scelto fra gli uomini « per<br />

offrire doni e sacrifici»: posto al di sopra degli altri, trascende la umana<br />

condizione quale mediatore fra Dio e gli uomini.<br />

Il Profeta Malachia pone sullo stesso piano Angeli e Sacerdoti:<br />

« Le labbra del Sacerdote custodiscono la scienza, e la legge emana<br />

dalla sua bocca: egli è l'Angelo del Dio degli eserciti »,<br />

Anzi, il potere di assolvere i peccati e di consacrare il Corpo e il<br />

Sangue di Cristo lo fa superiore agli Angeli.<br />

S. Gregorio Nazianzeno afferma che il Sacerdote è in un certo<br />

senso Dio, e rende dei anche gli altri.<br />

Se tu sei un Sacerdote di Cristo, cerca di meditare attentamente<br />

su queste idee. Nulla in te sappia di terreno. Il tuo conversare sia un<br />

conversare angelico, la tua sia una vita divina, i tuoi costumi siano<br />

illibati.<br />

È cosa davvero turpe unire in te un onore tanto sublime e una vita<br />

deforme, la professione di vita santa e un illecito comportamento. Devi<br />

esaminarti, e vedere se le tue azioni corrispondono alla tua fama, i tuoi<br />

costumi alla tua dignità.<br />

Ai Sacerdoti dell'Antico Testamento Dio comandò di essere santi<br />

per offrire degnamente l'incenso e i pani della propiziazione: quanto<br />

maggiore deve essere la tua santità, tu che ogni giorno offri il Figlio<br />

di Dio sull'altare e lo ricevi nella tua anima.<br />

Il corpo assimila la quantità dei cibi dei quali si nutre: è quindi<br />

conveniente che tu esprima fedelmente le virtù di Cristo che si nasconde<br />

nell'Eucarestia e del quale ti nutri tanto spesso.<br />

Da Gesù, nascosto sotto le specie del pane e del vino, impara a<br />

non fare bella mostra di te e dei doni che Dio ti ha dato; sii contento<br />

quando ti vedi trascurato; non prendertela a male quando non ti si<br />

esprime stima.<br />

- 120-


Gesù rimane là nell'Ostia, esposto ad ogni possibile ingiuria: sottomettiti<br />

anche tu; sii paziente quando ti capita di essere disprezzato<br />

od ingiuriato.<br />

Gesù si offre in cibo a tutti senza distinzione di persone: tu devi<br />

essere a disposizione di tutti; il tuo zelo delle anime deve essere sincero,<br />

sia diretto alle anime, non alle persone.<br />

Se le Sacre Specie vengono divise, Gesù non se ne adonta affatto:<br />

anche tu, conserva l'animo pacato e imperturbabile in ogni contrarietà.<br />

Gesù non disdegna alcun luogo, e rimane Il dove il Sacerdote lo<br />

pone: impara anche tu ad accettare luoghi ed uffici con santa indifferenza;<br />

non rifiutare mai un incarico che i superiori ti vogliono affidare.<br />

Nella Santa Eucarestia cessa di esistere la sostanza del pane e<br />

del vino, e ne rimangono solo le specie: in te cessi di esistere ciò<br />

che è terreno, tutti gli affetti disordinati, ogni desiderio di gloria,<br />

ogni ambizione, in una parola tutto ciò che ti impedisce di essere<br />

un santo Sacerdote.<br />

4. Quid retribuam Domino?<br />

(Da «Il sacrificio della Messa»<br />

di Giovanni Bona, card. cisterc.;<br />

Primo Capitolo della Terza Parte)<br />

Che cosa renderò io al Signore in cambio di tutti i suoi benefici?<br />

La ragione e un naturale senso di giustizia spingono il pagano<br />

ad offrire tutto il suo essere a colui dal quale ha tutto ricevuto. A me<br />

la fede domanda sicuramente d'amarlo molto di più, perché molto di<br />

più capisco quanto debbo stimarlo. Egli è colui che mi ha dato non<br />

solo ciò che sono, ma anche se medesimo. Del resto, quando ancora<br />

non era giunto il tempo della fede, quando ancora Dio non s'era<br />

fatto conoscere nella carne, non era ancora morto sulla croce, non era<br />

ancora uscito dal sepolcro, quando ancora non ci aveva manifestato il<br />

suo grande amore, già era stato comandato all'uomo di amare il Signore<br />

Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze.<br />

Ma, se devo a Dio tutto me stesso perché sono stato creato da<br />

Lui, che cosa dovrò aggiungere per essere stato ri-creato, e ti-creato<br />

in questo modo? Infatti io non sono stato ri-creato con la stessa facilità<br />

con la quale ero stato creato. Perché di me, e non solo di me,<br />

ma di tutte le cose create, sta scritto: «Egli disse, ed esse furono<br />

fatte». Ma colui che mi ha creato dicendo una sola parola, e dicendola<br />

- 121 -


una volta sola, nel ri-crearmi ha detto molte parole, ha operato molti<br />

prodigi, ha sofferto molti dolori. « Che cosa dunque renderò al Signore<br />

per tutti i benefici ricevuti? ». Nella prima creazione Dio donò me<br />

a me stesso; nella seconda mi donò se medesimo, e, nel darmi se<br />

stesso, restituì anche me a me stesso. Prima beneficiato col dono<br />

della vita, poi nuovamente beneficiato, sono debitore di me in cambio<br />

di me stesso, e due volte sono debitore di me. Ma che cosa renderò<br />

a Dio per il dono che mi ha fatto di sé? Se anche potessi spendere<br />

mille volte la mia vita, che cosa sono io in cambio di un Dio?<br />

Vedi bene quindi che la misura con cui dobbiamo amare Dio è di<br />

amarlo senza misura. È Dio che ci ama, la cui grandezza non ha fine,<br />

la cui sapienza non ha misura, la cui pace supera ogni intelligenza:<br />

e noi dovremmo contraccambiarlo con misura?<br />

« Che io ti ami, o Signore, mia forza, mio sostegno, mio rifugio,<br />

e mio liberatore (Salmo 17, 2-3).Mio Dio, mio aiuto, che io ti ami per i<br />

tuoi doni e nella mia misura, certamente inferiore a quanto ti è dovuto,<br />

ma tuttavia non inferiore a quanto è in mio potere, perché anche<br />

se non posso amarti quanto dovrei, io non posso amarti più di<br />

quanto è nelle mie possibilità. Lo potrò, certo, anche di più, quando tu<br />

ti degnerai di farmene capace; e tuttavia mai per quanto tu meriteresti.<br />

"I tuoi occhi hanno visto quanto c'è in me di imperfetto ",<br />

ma tuttavia "nel tuo libro saranno scritti tutti" coloro che fanno<br />

quanto possono, anche se non possono quanto debbono ».<br />

(San Bernardo: De diligendo Deo, 15-16)<br />

- 122-


Elementi principali<br />

della vita Cistercense odierna 1969 (*)<br />

Dichiarazione del Capitolo Generale dell' Ordine Cistercense<br />

parte quarta<br />

C. LE CONGREGAZIONI CISTERCENSI<br />

1. Origine) ragione e fine delle Congregazioni <strong>Cistercensi</strong>.<br />

a) Origine delle Congregazioni.<br />

108. San Benedetto nella sua Regola non prevede monasteri uniti<br />

tra loro. Egli coordina solamente la vita interna di un monastero. Tuttavia,<br />

nel corso dei secoli, i monasteri si unirono tra loro in maniere<br />

varie, per organizzare e garantire le osservanze proprie della vita religiosa.<br />

Talune di queste unioni per ovviare ai pericoli dell'isolamento<br />

si organizzarono in congregazioni, pur rispettando sempre la legittima<br />

autonomia dei monasteri; in altre unioni si giunse invece ad una forma<br />

di centralizzazione in cui i singoli monasteri dipendevano da una abbazia<br />

centrale, come avvenne a Cluny e, in genere, nelle fondazioni di<br />

Molesme.<br />

109. I fondatori di Cistercio, fedeli ai principi esposti nella « Charta<br />

Charitatis », istituirono i Capitoli Generali e le Visite Annuali: e<br />

con queste due istituzioni cercarono di assicurare la legittima autonomia<br />

dei monasteri senza mettere in pericolo la necessaria unione e l'aiuto<br />

scambievole fra un monastero e l'altro. Tuttavia, cresciuto l'Ordine a<br />

dismisura, e mutate non poco nel corso dei secoli le condizioni di vita,<br />

sorsero in seno all'Ordine le Congregazioni, come abbiamo brevemente<br />

visto nel n. 24 e sego<br />

(*) Le altre parti della Dichiarazione sono state pubblicate nel fascicolo gennaiofebbraio<br />

di «Notizie <strong>Cistercensi</strong> », II (1969), pp. 3-30 e fascicolo gennaio-aprile III (1970),<br />

pp. 26-39.<br />

- 123-


Cosi, questo Capitolo Generale Speciale ha esplicitamente riconosciuto<br />

che oggi l'Ordine Cistercense consta « de facto» delle seguenti<br />

Congregazioni Monastiche «ad normam juris»: .<br />

1 - Congregazione del SS. Cuore di Gesù, in Austria<br />

2 - Congregazione Augiense di San Giuseppe<br />

3 - Congregazione di San Bernardo in Italia<br />

4 - Congregazione della Madonna Mediatrice di tutte le Grazie,<br />

in Belgio e Olanda<br />

5 - Congregazione della Immacolata Concezione o di Sénanque<br />

6 - Congregazione del Purissimo Cuore di Maria, o Boema<br />

7 - Congregazione di Zircz<br />

8 - Congregazione di Casamari<br />

9 - Congregazione della Corona di Aragona, in Spagna<br />

lO - Congregazione della Madonna Regina del Cielo e della<br />

Terra, in Polonia<br />

Il - Congregazione della Santa Croce, in Brasile<br />

12 - Congregazione della Sacra Famiglia, in Viet-Nam<br />

Inoltre fanno parte nell'Ordine Cistercense alcuni monasteri maschili<br />

e femminili che non sono incorporati in alcuna Congregazione.<br />

b) Il principio di sussidiarietà e del legittimo pluralismo nell' ambito<br />

della Congregazione<br />

110. I principi della sussidiaretà e del legittimo pluralismo hanno<br />

gran.de importanza nella struttura delle Congregazioni. Infatti deve<br />

essere lasciato fare ai monasteri ciò che essi, per la parte che li riguarda,<br />

possono fare con efficace competenza e con più esatta cognizione delle<br />

condizioni locali. È compito degli organi centrali della Congregazione<br />

incoraggiare col consiglio fraterno e aiutare i progetti delle singole comunità,<br />

coordinare i loro sforzi ai comuni programmi, ed eliminare gli<br />

abusi che sorgessero. Le Congregazioni hanno anche il compito di rappresentare<br />

le singole comunità sia presso le autorità ecclesiastiche che presso<br />

le autorità civili. Secondo il principio del pluralismo vanno riconosciute<br />

le caratteristiche specifiche ed i compiti particolari dei singoli monasteri;<br />

e la varietà dei doni va coordinata ai vari fini comuni, senza porre<br />

in pericolo l'unità della Congregazione.<br />

111.Non ostante il principio del pluralismo, deve esistere fra<br />

i monasteri non solo un legame di organizzazione giuridica, ma anche<br />

un certo ideale comune. Definire questo ideale ed i più importanti mezzi<br />

- 124-<br />

....


adatti al suo conseguimento spetta alle Costituzioni di ciascuna Congregazione.<br />

Le Costituzioni, a loro volta, devono essere elaborate dal<br />

Capitolo della Congregazione dopo aver consultato le singole Comunità,<br />

e devono essere approvate dalla Santa Sede.<br />

112. Lo scopo principale per cui i Monasteri <strong>Cistercensi</strong> si uniscono<br />

sotto il Capitolo della rispettiva Congregazione e sotto I'Abate<br />

Preside è di far sì che negli stessi monasteri la vita cistercense fiorisca<br />

rigogliosa, l'osservanza regolare non corra pericoli, nelle circostanze difficili<br />

sia più agevole prestare quegli aiuti vicendevoli che la carità suggerisce.<br />

Così unite, le forze delle singole Comunità, al momento opportuno,<br />

potranno collaborare alla realizzazione di progetti maggiori, sarà<br />

più facile superare le difficoltà che ostacolano la vita dei monasteri, e<br />

prestare alla Chiesa e alla società contemporanea il servizio che dai<br />

monasteri è atteso. Oltre a questo scopo, identico per tutte, le singole<br />

Congregazioni <strong>Cistercensi</strong> possono prefiggersi un determinato fine proprio<br />

che, nel caso, deve essere chiaramente enunciato nelle proprie<br />

Costituzioni.<br />

2. Il Capitolo della Congregazione.<br />

113. Il Capitolo della Congregazione, alla luce dei principi su<br />

esposti, è la suprema potestà nell'ambito della Congregazione stessa.<br />

In esso, oltre ai Superiori Maggiori, sono presenti con diritto di voto<br />

anche i delegati eletti a questo incarico da tutti i religiosi della Congregazione,<br />

a norma delle proprie Costituzioni.<br />

114. Il Capitolo della Congregazione è prima di tutto un foro<br />

di fraterna deliberazione, in cui:<br />

a) si elaborano Costituzioni adatte ai nostri tempi, esponendo<br />

m esse chiaramente fini, ideali, compiti comuni della Congregazione;<br />

b) si compilano e si pubblicano «Consuetudini», «Dichiarazioni<br />

», e altre « Istruzioni », che servono ad applicare alle varie circostanze<br />

di luogo e di tempo i principi delle Costituzioni della Congregazione;<br />

c) si cercano nuove forme di vita e di lavoro, si partecipano a<br />

tutti le esperienze e le iniziative dei singoli monasteri;<br />

- 125 ---.


d) si preparano progetti e piani da realizzarsi poi con la collaborazione<br />

di tutti; si cerca nello sforzo comune la soluzione delle difficoltà;<br />

e) si suggerisce l'uso migliore e più razionale delle forze materiali<br />

e individuali.<br />

Per provvedere nel modo migliore al bene comune, il Capitolo<br />

della Congregazione sia convocato spesso, e se sarà opportuno, si favoriscano<br />

anche convegni di altro genere tra i membri del Capitolo della<br />

Congregazione.<br />

3. L'Abate Preside della Congregazione.<br />

115. L'Abate Preside governa la Congregazione secondo le direttive<br />

del Capitolo della Congregazione, ed è il simbolo dell'unione<br />

fraterna dei Monasteri tra loro. Egli presta il suo servizio perché, secondo<br />

le Costituzioni della sua Congregazione, nelle famiglie monastiche<br />

fiorisca, si consolidi e si sviluppi la vita monasteriale.<br />

Per il bene della Congregazione incrementi le relazioni fra i monasteri.<br />

Gli Abati e i monaci dei singoli monasteri aiutino l'Abate<br />

Preside a coltivare tra loro rapporti fraterni, a incontrarsi volentieri<br />

gli uni gli altri, a collaborare negli studi, a promuovere convegni di<br />

natura spirituale e amministrativa, a conoscersi e a stimarsi sempre<br />

di più.<br />

4. Le visite regolari.<br />

116. La «Charta Charitatis » stabilì la VISIta annuale che, secondo<br />

la legge della «filiazione », doveva essere fatta dall'Abate del<br />

monastero fondatore o da un suo delegato. La visita aveva lo scopo di<br />

esortare alla carità, e, se necessario, di correggere fraternamente e caritatevolmente.<br />

La visita annuale era il perno della struttura giuridica<br />

dell'Ordine Cistercense; era stimata da tutti, anche dagli estranei all'Ordine,<br />

e giovò moltissimo a consolidare e a sviluppare la vita nei<br />

monasteri.<br />

Il visitatore infatti, dopo la visita, può spesso suggerire ottimi<br />

consigli all'Abate del luogo, può richiamarne l'attenzione su punti e<br />

problemi che egli forse non aveva avvertito o dei quali non aveva<br />

valutato pienamente la interdipendenza e gli aspetti personali. Se poi<br />

rilevasse che nel monastero visitato fossero violate leggi dell'Ordine,<br />

- 126-


allora egli, col consiglio dell'Abate del luogo potrà correggere con<br />

carità.<br />

La legge della «filiazione» oggi non vige che in pochi casi: all'antico<br />

legame quasi naturale che si chiamò « filiazione », è sostituita<br />

l'unione di Monasteri in Congregazioni, così che, in genere, il Visitatore<br />

ordinario è l'Abate Preside della Congregazione, salvo i casi nei quali<br />

è in vigore la legge della « filiazione» o le Costituzioni delle rispettive<br />

Congregazioni non provvedono diversamente.<br />

117. Lo scopo delle visite non è mutato neppur oggi, anche se<br />

alcune formalità nel modo di effettuare le visite devono essere adattate<br />

alle attuali condizioni di vita. Per provvedere tempestivamente alle<br />

necessità dei monasteri, le visite siano frequenti anche oggi; ma non è<br />

necessario che siano sempre visite canoniche.<br />

Un visitatore non è certamente un legislatore né un « riformatore »,<br />

ma deve esortare tutti ad un esame di coscienza. La soluzione dei problemi<br />

non nasce infatti dalla imposizione ma dalla intima convinzione;<br />

e ciò richiede molto impegno sia da parte del visitatore che da parte<br />

dei visitati.<br />

Dato che svolge soprattutto un servizio di carità, il visitatore<br />

prima di ogni altra cosa cerchi di conoscere lo stato d'animo della<br />

comunità. Dovrà anche badare alla legittima autonomia del monastero<br />

e ai suoi fini particolari legalmente approvati: solo così la visita recherà<br />

un vero profitto al monastero.<br />

È necessario però che i visitati con umiltà e sincerità aprano<br />

l'animo alla ricerca del vero bene delle anime e del progresso della<br />

comunità nel servizio di Dio. Abbiano presenti anche i vari limiti di<br />

una visita, perché ristretto è il campo in cui il visitatore può intervenire<br />

e scarse le reali possibilità dei suoi provvedimenti. Spesso una visita<br />

rimane senza frutto a causa della sconsiderata e infondata attesa di<br />

molti membri della comunità, i quali prima chiedono al visitatore cose<br />

impossibili, quindi non tardano a dichiararsi da lui ingannati.<br />

5. Importanza delle Congregazioni nella struttura dell'Ordine Cistercense.<br />

118. Le Congregazioni hanno una importanza vitale nell'Ordine<br />

Cistercense: se infatti i singoli monasteri sono troppo piccoli e deboli<br />

per vivere e lavorare in piena ed assoluta indipendenza e autosufficienza,<br />

l'Ordine d'altronde raggruppa tanto varie e differenti osservanze e forme<br />

- 127-


di vita, che spesso non può essere governato con leggi e metodi uniformi.<br />

Pertanto la Congregazione rappresenta o dovrebbe rappresentare<br />

una viva e concreta unità di azione che riunisce le forze di molte<br />

case mosse dagli stessi ideali e dalle stesse attività. Da ciò risulta evidente<br />

la necessità e l'utilità delle Congregazioni nella struttura dell'Ordine<br />

Cistercense.<br />

D. IL GOVERNO DELL'ORDINE CISTERCENSE<br />

1. L'Ordine Cistercense - Unione di Congregazioni - Unità e diversità.<br />

119. Le Congregazioni <strong>Cistercensi</strong> unite tra loro costituiscono l'Ordine<br />

Cistercense e tendono a raggiungere fini e ideali comuni servendosi<br />

di strutture e organi giuridici comuni. Il fine principale della unione<br />

è la reciproca emulazione e il mutuo concreto aiuto a praticare la vita<br />

monastica sempre più perfettamente.<br />

Le Congregazioni <strong>Cistercensi</strong>, per la diversa evoluzione storica e<br />

per la varietà delle condizioni culturali e sociali, presentano differenze<br />

di forme, di tradizioni monastiche e di attività. Tali differenze tuttavia<br />

non danneggiano la più ampia unità dell'Ordine; ché anzi la mutua<br />

partecipazione al dono di una grazia varia e molteplice giova allo sviluppo<br />

e al rigoglio della vita dell'Ordine. Perciò è bene che il pluralismo<br />

sia approvato come un valore positivo sia nel campo spirituale che in<br />

quello sociale. In questo modo, forze diverse integrandosi a vicenda<br />

collaboreranno in maniera pratica ed efficace.<br />

2. Il Capitolo Generale e il sinodo dell'Ordine Cistercense.<br />

120. Il Capitolo Generale dell'Ordine Cistercense è il foro centrale<br />

legislativo e giudiziale per fraterne deliberazioni, nel rispetto della<br />

legittima autonomia, che secondo il diritto comune e il diritto particolare<br />

spetta ad ogni Congregazione e ad ogni Monastero.<br />

Il Capitolo Generale deve promuovere lo sforzo teso a realizzare<br />

gli ideali comuni dell'Ordine Cistercense. Spetta quindi al Capitolo<br />

Generale:<br />

a) Dichiarare ed esporre i valori fondamentali che costituiscono<br />

la nostra vocazione comune (cristiana, religiosa, monastica, cistercense)<br />

- 128-


anche se detti valori non possono essere concretamente attuati da tutti<br />

nel medesimo modo;<br />

b) Promuovere relazioni efficaci tra le Congregazioni, il reciproco<br />

aiuto, la collaborazione negli impegni comuni.<br />

121. L'attività tipicamente legislativa ha grande importanza; tuttavia<br />

oggi essa non costituisce il compito specifico del Capitolo Generale.<br />

Infatti il pluralismo di vita delle nostre comunità e il celere<br />

mutamento delle condizioni di vita rendono spesso impossibile ed inutile<br />

l'uniformità rigorosa della legislazione. Quindi il Capitolo Generale<br />

raramente formulerà leggi che obblighino tutto l'Ordine. Ed anche allora<br />

si limiterà per lo più a determinare norme di azione generali che<br />

si potranno adattare alle particolari necessità delle singole regioni e<br />

delle singole Congregazioni. Ma se la funzione legislativa del Capitolo<br />

Generale verrà in parte a ridursi nel futuro, in cambio molto maggiore<br />

importanza dovrà darsi ad altre funzioni del Capitolo Generale, quali<br />

l'interpretazione dei fini e dei valori della nostra vita, la fraterna decisione<br />

di aiuto scambievole nelle difficoltà comuni.<br />

122. Nei primi secoli della vita dell'Ordine Cistercense, i Capitoli<br />

Generali si celebravano annualmente, seguendo le prescrizioni della<br />

« Charta Charitatis » e dei Romani Pontefici. Oggi, i Capitoli Generali<br />

ordinari si celebrano ogni cinque anni, data la frequenza dei Capitoli<br />

delle Congregazioni, ed anche perché le spese di viaggio sono troppo<br />

elevate per non pochi membri del Capitolo. Più frequenti tuttavia saranno<br />

le sessioni del Sinodo dell'Ordine.<br />

Il Sinodo dell'Ordine Cistercense è un collegio da convocarsi per<br />

discutere, attraverso uno scambio di idee, problemi dell'Ordine intero,<br />

che saranno poi proposti al Capitolo Generale e da esso decisi. In via<br />

previa, il Sinodo dell'Ordine dovrà anche decidere affari urgenti, che<br />

poi dovranno essere sottoposti alla decisione finale del prossimo Capitolo<br />

Generale, a norma delle Costituzioni dell'Ordine.<br />

È inoltre compito del Sinodo sollecitare l'esecuzione delle disposizioni<br />

della Santa Sede e delle decisioni del Capitolo Generale. Il Sinodo<br />

provvederà anche a raccogliere informazioni sicure sulla situazione<br />

dell'Ordine per curare il suo migliore sviluppo; e infine ascolterà<br />

la relazione dell'Abate Generale sulla situazione dell'Ordine e le relazioni<br />

degli Abati Presidi sulle loro Congregazioni.<br />

- 129-


3. L'Abate Generale dell'Ordine Cistercense.<br />

123. L'Abate Generale, eletto dal Capitolo Generale, governa<br />

l'Ordine Cistercense secondo le decisioni del Capitolo stesso, a norma<br />

delle Costituzioni, e promuove i fini della nostra unione.<br />

L'Abate Generale:<br />

a) È animatore e centro della fraterna unione nell'ambito dell'Ordine<br />

Cistercense; e disposto soprattutto a servire, esorta e rappresenta<br />

tutte le comunità dell'Ordine. Fa suoi i valori e gli ideali comuni<br />

dell'Ordine sia con la sua azione che con i suoi atti ufficiali. Ha gli<br />

stessi sentimenti dell'Ordine e delle comunità, e con animo aperto fa<br />

proprie le loro preoccupazioni, tendenze ed opinioni.<br />

b) È promotore e coordinatore dei progetti e degli sforzi comuni,<br />

che pur superando la forza delle singole comunità o Congregazioni,<br />

sono tuttavia utili a tutte o alla maggior parte di esse. Nell'impostare<br />

ed elaborare tali progetti, egli ha un ruolo attivo; favorisce le<br />

iniziative degli altri, quindi col consiglio e con l'azione sprona alla loro<br />

esecuzione.<br />

c) Usando a servizio di tutti l'autorità riconosciutagli dalle<br />

Costituzioni, è padre, anzi fratello tra i fatelli, e desidera, secondo la<br />

volontà di Cristo, di essere utile più che di comandare. Nelle lettere,<br />

allocuzioni, e altre comunicazioni dirette all'Ordine si esprime con stile<br />

fraterno, condiscepolo e servo del Signore, cercando insieme agli altri<br />

confratelli la verità e la volontà di Dio. Convinto egli stesso dei valori<br />

della vocazione religiosa, si industria per manifestare ai fratelli e alle<br />

comunità le nuove prospettive e possibilità, e a infondere in loro la<br />

speranza del futuro.<br />

E. COLLABORAZIONE CON GLI ALTRI ORDINI MONASTICI E CON LA SACRA<br />

GERARCHIA<br />

124. L'Ordine Cistercense ha necessariamente molte cose in comune<br />

con gli altri Ordini monastici. Perciò è molto utile collaborare<br />

con essi in tutti i campi comuni, quali gli studi del patrimonio monastico,<br />

le questioni liturgiche, le materie giuridiche, le lecite forme di<br />

vita comunitaria, le occupazioni giornaliere, le direttive pratiche.<br />

- 130-


Inoltre ci proponiamo di sostenerci a vicenda con la preghiera, di<br />

offrire volentieri il nostro aiuto nella carità, di partecipare agli altri nel<br />

modo migliore possibile le realizzazioni dell'Ordine, delle Congregazioni,<br />

delle comunità.<br />

125. I Romani Pontefici, grazie alloro primato su tutta la Chiesa,<br />

hanno esentato l'Ordine Cistercense, le Congregazioni, i monasteri maschili<br />

e femminili e tutti i loro membri dalla giurisdizione dell'Ordinario<br />

del luogo, anche se con varie sfumature a seconda dei luoghi. Questo<br />

privilegio è stato concesso per poter meglio provvedere alla perfezione<br />

della vita monastica secondo l'indole propria dell'Ordine. L'esenzione<br />

non impedisce tuttavia che i monasteri siano in qualche punto sottoposti<br />

alla giurisdizione dei Vescovi, uniformandosi alle leggi del diritto<br />

comune e particolare; né vieta che i monasteri cistercensi collaborino<br />

intimamente con la Chiesa locale pur seguendo la propria vocazione.<br />

Professiamo ossequio e riverenza al Romano Pontefice e ai Vescovi,<br />

quali successori degli Apostoli, e vogliamo essere loro di aiuto<br />

in quanto possiamo e dobbiamo, tenendo conto della nostra vocazione.<br />

È di grande importanza collaborare ordinatamente con la Sacra Gerarchia<br />

e con tutto il clero diocesano e regolare attraverso i sinodi diocesani<br />

e altri convegni.<br />

Cosi, vogliamo promuovere la comunione ecclesiale alla quale teniamo<br />

moltissimo e il cui culmine si attinge nella celebrazione eucaristica,<br />

nella quale preghiamo tutti i giorni per la Sacra Gerarchia e<br />

per tu tto il popolo di Dio.<br />

CONCLUSIONE<br />

NECESSITA' DI UN CONTINUO RINNOVAMENTO<br />

126. Terminando la Dichiarazione circa gli elementi principali<br />

della vita cistercense odierna, non dobbiamo credere che le cose dette,<br />

anche se attuate in pieno, bastino a rinnovare la nostra vita. Come la<br />

Chiesa peregrinante in terra è chiamata da Cristo ad un continuo rinnovamento<br />

nel suo aspetto umano e terreno, altrettanto ed ancor più<br />

dovrà fare l'Ordine Cistercense, le Congregazioni, i Monasteri e i loro<br />

membri.<br />

Questo continuo rinnovamento è necessario perché le vicende umane<br />

si evolvono sempre più velocemente creando circostanze nuove con<br />

- 131-


nuovi problemi positivi e negativi: ad essi la nostra vita va adattata nei<br />

suoi aspetti mutevoli. Tuttavia la necessità di questo continuo rinnovamento<br />

deriva ancor più dal fatto che mai noi potremo realizzare alla<br />

perfezione il nostro ideale. Avremo quindi sempre bisogno di quella<br />

conversione continua e sincera mediante la quale, e come individui e<br />

come comunità, potremo uniformarci all'immagine di Cristo Figlio di Dio.<br />

N. B. - La Commissione incaricata di elaborare lo schema<br />

di dichiarazione circa « Gli elementi principali della<br />

vita cistercense odierna» era cosi composta:<br />

Rev.mo Abate Carlo Braunstorfer, presidente<br />

Rev.mo Abate Cassiano Lauterer, consulente<br />

M. Rev.do Padre Policarpo Zakar, relatore.<br />

La versione italiana è stata curata dal M. Rev.do<br />

Padre Goffredo Viti.<br />

Ringraziamo gli Abbonati che hanno rinnovato l'impegno<br />

per il 1970, e contiamo che la Rivista si imponga da sola<br />

presso tutti coloro, confratelli e laici, che amano conoscere<br />

la vita dello spirito che nasce e vive nel nostro Ordine.<br />

- 132-


I NOSTRI MONASTERI<br />

La Certosa di Pavia<br />

«Ho sempre pensato che la pianura<br />

lombarda ha il suo cuore vicino<br />

alla Certosa, la quale mescola la sua<br />

storia con quella della terra che non<br />

muta. Come è certamente la più bella<br />

Certosa d'Italia, anche se nessun Stendhal<br />

l'ha mai descritta in prosa di<br />

romanzo, e nessun D'Annunzio ha mai<br />

colto violette tra le pietre rosse dei<br />

suoi piccoli orti, dove generazioni di<br />

monaci bianchi riposano in pace nell'estasi<br />

dell'ultima preghiera ».<br />

(Mons. Cesare Angelini)<br />

« Sortendo dalla Città di Pavia per andare a Milano, sempre costeggiando<br />

il nuovo Canale del Naviglio, dopo il cammino di cinque miglia<br />

vedesi uno stradone della lunghezza di mezzo miglio il quale per lo<br />

passato era tutto spalleggiato d'altissime piante, in capo al quale si presenta<br />

l'insigne Basilica della Certosa di Pavia, fra tutte le altre in diversi<br />

tempi costruita, a dir il vero la più bella, e la più ricca ancora» (Baggi<br />

Luigi).<br />

A parte i pioppi che hanno lasciato il posto ai tigli, tutto è rimasto<br />

come allora, e la Certosa continua ad essere meta di visitatori, incantati<br />

da tante meraviglie unite in un unico monumento.<br />

La Certosa nel suo passato.<br />

Sorta alla fine del secolo XIV, cinquantacinque anni dopo la Certosa<br />

di Firenze, per volere del duca di Milano Gian Galeazzo Visconti,<br />

continuata sotto il ducato degli Sforza e mai del tutto terminata, la<br />

Certosa è, nel suo complesso, un immenso monumento del rinascimento<br />

lombardo.<br />

La tua storia è molto tormentata. I primi tre secoli, sono i secoli<br />

della costruzione: iniziata, interrotta e ripresa più volte. È cosa presso<br />

- 133-


che impossibile elencare tutti gli artisti che hanno prestato la loro opera<br />

alla Certosa.<br />

Tra gli architetti si ricordano in modo particolare: nel quattrocento<br />

Bernardo da Venezia, Giacomo da Campione, Cristoforo da<br />

Conigo, Giovanni e Guiniforte Solari; nel cinquecento il perugino Galeazzo<br />

Alessi. Assai più numerosi sono gli scultori: i fratelli Cristoforo<br />

e Antonio Mantegazza, Giovanni Antonio Amadeo, Benedetto Briosco,<br />

Stefano da Sesto, Biagio da Vairone, Alberto Maffioli, Cristoforo Romano,<br />

Angelo Marini, Ambrogio Volpi, Francesco Brambilla, Bernardino<br />

da Novate, Giuseppe Rusnati, Dionigi Bussola, Tommaso Orsolino,<br />

Carlo Simonetta, il Volpino (G. B. Maestri), Annibale Fontana,<br />

Giovanni da Cairate, Rinaldo de Stauris, Baldassarre degli Embriaci,<br />

Macrino d'Alba, Antonio da Lecco, Cristoforo Solari.<br />

Ci sono poi gli intarsiatori sia in legno che in marmo: i Fratelli<br />

Sacchi di Pavia (sec. XVII), Bartolomeo dei Polli e Pietro da Vailate.<br />

Tra i pittori non si possono dimenticare Bernardino Luini, B. F. Barbieri<br />

(Guercino), Ambrogio da Fossano (Bergognone) col fratello Bernardino,<br />

Jacopo de Mottis, Bernardino de Rossi, Carlo Cane, G. B.<br />

Carlene, Ottavio Semini, Daniele Crespi, G. B. Crespi (il Cerano), C. F.<br />

Nuvolone, Camillo, Ercole, Cesare e Giuseppe Procaccini, il Montagna.<br />

Ci sono poi alcuni specialisti nella lavorazione del vetro: Antonio de<br />

Pandino, Nicola da Varaldo e sopratutto Cristoforo de Mottis.<br />

Gli anni che vanno dal 1700 ai giorni nostri sono, invece, caratterizzati<br />

dal continuo fluire di varie comunità nella Certosa. Questo fatto<br />

era già stato previsto da Desiderio Erasmo da Rotterdam. «Ci fu un<br />

uomo dal volto gialliccio, affilato, dagli occhi penetranti che, alzando<br />

lo sguardo sulle decine di operai che lavoravano alla facciata, scrollò<br />

la testa borbottando: «Pazzi! Pazzi! Pazzia è il sudore dell'arte, perché<br />

effimera è la sua gloria! Perché mai profondere tanto denaro per il salmeggiare<br />

di pochi monaci che saranno molestati dal concorso di coloro<br />

che cercheranno solo il lusso dei marmi? » (M. Brambilla «500 anni<br />

di storia alla Certosa »).<br />

Lasciata dai Certosini nel 1782, la Certosa venne occupata due<br />

anni dopo dai <strong>Cistercensi</strong>, che l'abbandonarono dopo 14 anni, cedendo<br />

il posto ai Padri di Como. Anche questi ultimi non ebbero maggior<br />

fortuna e la lasciarono dopo appena due anni, sostituiti dai Padri Carmelitani<br />

che vi resistettero per 3 anni dal 1807 al 1810. Finalmente<br />

nel 1843 la gloriosa Certosa rivede le sue celle ripopolarsi, e i bianchi<br />

monaci certosini riprendono il loro antico monastero per alcuni decenni.<br />

Cacciati nel 1880 non vi ritorneranno che nel 1932. Questa volta vi<br />

- 134-<br />

l


imasero per quindici anni, non più padroni, ma ospiti nel loro monastero,<br />

con una libertà d'azione molto limitata e con l'afflusso dei turisti<br />

che intralciava la loro vita fondamentalmente eremitica. Per questo nel<br />

1947 dovettero lasciare definitivamente la loro casa. Vi ritornarono per<br />

la seconda volta i PP. Carmelitani, che l'abitarono fino al 1957. Seguono<br />

undici anni di desolazione. La Certosa da casa della preghiera viene<br />

declassata a Museo. Finalmente, dopo lunghe trattative per ottenere ai<br />

monaci una condizione di vita possibile, l'undici novembre 1968,dopo<br />

170 anni vi ritornano i monaci cistercensi.<br />

Visita alla Certosa.<br />

È impossibile condensare in poche righe quello che si può contemplare<br />

nella Certosa di Pavia. Solo un poeta potrebbe dare a chi<br />

non è presente un'idea meno inadeguata. .<br />

Dal lungo viale di tigli si giunge al vestibolo ornato di figure di<br />

santi di Bernardino Luini. Il vestibolo dà nel grande piazzale antistante<br />

al tempio che col suo verde e le siepi di bosso «prepara l'anima alla<br />

riverenza necessaria per accostarlo e per contemplare la facciata rinascimentale<br />

in bianco e nero. Una orchestrazione dello spazio: porte,<br />

portali, finestroni, riquadri con medaglioni di profeti, di santi, di re;<br />

una Bibbia in marmo, un'enciclopedia storica favolosa ». (C. Angelini)<br />

Progettata dal Solari, modificata dal Bergognone, alle ricche sculture<br />

unisce la ricchezza del materiale impiegato: marmo di Gandoglia<br />

verde di Polcevera, lumachella, cipollino d'Egitto, alabastro orientale,<br />

verde di Francia, rosso di Verona, macchiavecchia ...<br />

L'interno della Chiesa, opera di Guiniforte Solari è un capolavoro<br />

di arte gotica. «Rapisce l'impeto delle tre navate, la potenza e la sapienza<br />

delle arcate, le colonne che s'alzano come alberature ». (C. Angelini)<br />

Le decorazioni della volta sono di Ambrogio da Fossano detto Bergognone,<br />

che venne coadiuvato dal fratello Bernardino e da Jacopo de<br />

Mottis.<br />

L'altare maggiore e il coro sono separati dal resto della Chiesa<br />

da una iconostasi cinquecentesca. Daniele Crespi ne ha affrescato le<br />

pareti all'inizio del '600 con scene della vita di Gesù e della vita di<br />

S. Bruno. L'altare e il presbiterio sono un complesso imponente, ricco<br />

di marmi e pietre dure: i lapislazzuli, le ametiste, le agate, i rubini,<br />

l'onice, le acquemarine sono profuse con una ricchezza che ha della<br />

prodigalità. « Piano piano si indovina tutto l'altro che c'è di mirabile<br />

e di vago: intagli, intarsi, miniature, che sono come i trilli, le fioriture,<br />

- 136-


le cascatelle della scultura, e non interessano meno dei capolavori»<br />

(C. Angelini ).<br />

Nel transetto, due sono i monumenti che attirano l'attenzione:<br />

il monumento funebre di Ludovico il Moro e della moglie Beatrice<br />

d'Este a destra, e il mausoleo dove tutt'oggi è sepolto Gian Galeazzo<br />

Visconti, a sinistra, opera la prima di Cristoforo Solari del 1497, la<br />

seconda di G. Cristoforo Romano e Benedetto Briosco della fine deI<br />

secolo XV.<br />

Si esce poi nel piccolo chiostro: un gioiello disegnato da Guiniforte<br />

Solari. La parte esterna degli archi è decorata con le terrecotte di Rinaldo<br />

de Stauris. Il chiostrino è coronato in alto dalla grandiosa Cupola<br />

con la lanterna e dai vari camminamenti che percorrono tutta la parte<br />

esterna della Chiesa. Il refettorio è molto austero coi suoi tavoli e schienali<br />

in noce scuro. Un tocco di colore è dato dalle pitture del Bergoanone<br />

che ne ha decorato la volta e dalla grande « Cena» di Ottavio<br />

Semini del secolo XVII.<br />

Il grande Chiostro meno bello del piccolo, stupisce per la sua<br />

grandiosità, col suo perimetro di circa mezzo chilometro. Anch'esso ha<br />

le arcate esterne in terracotta, ed è coronato dalle ventiquattro cellette<br />

dei monaci coi loro comignoli aguzzi.<br />

La Certosa oggi e domani.<br />

L'undici novembre 1968 segna una data importante per la Certosa:<br />

n ritorno dei monaci. Desiderato dal Papa Paolo VI e dal Vescovo<br />

di Pavia monsignor Allorio, questo rientro venne reso possibile<br />

dal Ministero della Pubblica Istruzione e da quello dei Lavori pubblici,<br />

che dopo lunghe trattative restituirono il monastero al suo primitivo<br />

scopo: quello di essere una casa religiosa, la casa della preghiera.<br />

Un gruppo di 19 monaci entrava processionalmente nella Certosa in<br />

auel giorno grigio di novembre, mentre una folla numerosa faceva ala<br />

al loro passaggio. «Notizie <strong>Cistercensi</strong>» hanno riportato allora la cronaca<br />

dell'avvenimento.<br />

Passati i primi giorni dell'osanna, la comunità dovette mettersi al<br />

lavoro e si accorse subito che questo non era poco: le attese del clero,<br />

della popolazione e dei turisti impegnavano i monaci ad una attività<br />

molto intensa. Si aggiungano tutti i problemi materiali di sussistenza<br />

e il lavoro nello studentato interno (6 monaci erano giovani studenti)<br />

e si può avere un'idea di quanto han dovuto lavorare i « fondatori ».<br />

Attualmente ancora l'attività che i monaci della Certosa devono<br />

- 137-


svolgere è sproporzionata al loro numero, e il sovraccarico di lavoro è<br />

notevole.<br />

Attività turistiche.<br />

Sono ancora le più impegnative e assorbenti quantitativamente,<br />

anche se non sono le principali in ordine di dignità. A cominciare dal<br />

mese di aprile, con la buona stagione migliaia di persone si riversano<br />

nella Certosa nei giorni festivi, e centinaia nei giorni feriali. Un giornale<br />

pavese ha notato l'aumentato flusso turistico, calcolando la presenza<br />

di circa 180.000 visitatori mensili. La cifra è enormemente esagerata,<br />

ma è sempre vero che il numero dei visitatori e dei pellegrini<br />

impegna seriamente i monaci che devono accompagnare tutta questa<br />

folla alla visita del monastero.<br />

Attività pastorali.<br />

Specialmente nei mesi di minore afflusso tunstico alcuni Padri si<br />

dedicano alla predicazione sia in casa (ritiri per sacerdoti e laici) sia<br />

fuori in varie occasioni. Nei primi quattro mesi di questo anno, per<br />

esempo, ci sono stati 22 ritiri interni, sono state predicate 12 Quarant'ore<br />

e 19 predicazioni varie (tridui in preparazione alla Pasqua,<br />

ritiri spirituali, quaresimali ... ). Il mese di maggio con l'istituzione dei<br />

pellegrinaggi mariani di tutte le parrocchie della diocesi di Pavia e con<br />

le predicazioni mariane porta un aumento di attività pastorale ai monaci.<br />

A questo si aggiungano tutte le prestazioni per le confessioni e<br />

un padre impegnato come aiuto al prevosto del paese di Certosa e si<br />

avrà un'idea del lavoro svolto dai monaci nel campo più propriamente<br />

spirituale.<br />

Attività varie culturali.<br />

L'impegno scolastico dei monaci che frequentano l'Università di<br />

Stato, unito agli impegni religiosi e turistici della Certosa, non lasciano<br />

molto tempo per altre attività a sfondo culturale. Tuttavia le due associazioni<br />

degli « Amici di Certosa » con la loro rivista «La Certosa<br />

di Pavia », e dell'Accademia di Certosa, l'impegno per i concerti vocali<br />

e strumentali che riprenderanno a svolgersi quest'anno, la formazione<br />

della ( Corale della Certosa' diretta da un Padre, che ha ormai al suo<br />

attivo due concerti, la formazione di una piccola «schola cantorum »<br />

per le messe domenicali, testimoniano la disponibilità dei monaci anche<br />

in questo campo che potrebbe avere notevoli sviluppi di bene.<br />

138 -<br />

P. Malachia Falletti O. Cisto


CRONACA<br />

A - Cronaca della Congregazione<br />

Il Capitolo Speciale<br />

della Congregazione di Casamari<br />

Il Capitolo Speciale della Congregazione di Casamari si svolge nel<br />

monastero della Certosa di Trisulti. I suoi lavori sono stati distribuiti<br />

in due periodi. Il primo periodo ebbe luogo dal 24 agosto al 13 settembre<br />

1968. Il secondo periodo è stato diviso in due parti: la prima<br />

parte si svolse dall' 8 al 27 settembre 1969; la seconda parte del secondo<br />

periodo inizierà nel prossimo mese di luglio 1970.<br />

Al Capitolo Speciale partecipano, come ai Capitoli Ordinari, l'Abate<br />

Preside e i Membri del suo Consiglio, l'Economo Generale, il Segretario<br />

Generale, i Superiori dei monasteri e un delegato per ogni<br />

comunità. Inoltre, a questo Capitolo Speciale partecipano altri tre membri:<br />

il primo, eletto tra e dai Maestri dei novizi e Maestri di spirito;<br />

il secondo, eletto tra e dai Rettori dei seminari; il terzo, eletto tra e dai<br />

chierici professi solenni (cfr. deliberato 3, 1968). Al secondo periodo<br />

di questo Capitolo Speciale partecipa anche un Fratello Converso eletto<br />

tra e dai Fratelli Conversi professi solenni (cfr. delibo 4, 1968).<br />

I membri di questo Capitolo Speciale della Congregazione di Casamari<br />

sono 34.<br />

Uno tra gli argomenti che hanno caratterizzato questo Capitolo<br />

Speciale è stata la erezione di alcuni monasteri sui [uris in seno alla<br />

Congregazione. Il monastero sui juris non è inteso in maniera univoca<br />

presso tutte le famiglie monastiche: l'istituto del monastero sui juris<br />

presenta varie diversità e attenuazioni a seconda dei tempi e dei luoghi.<br />

Così, nella Congregazione di Casamari, la professione sarà emessa<br />

« per la Congregazione; perciò i monaci restano soggetti all' Abate Preside<br />

a riguardo della stabilità» (cfr. delibo 15, 1968). Tuttavia ci sarà<br />

una reale stabilità nella comunità, « nel senso che i trasferimenti non<br />

devono avvenire se non per vera e grave esigenza del bene personale<br />

del monaco, del bene particolare del monastero e del bene comune<br />

della Congregazione. In tali trasferimenti o nell'assegnazione di nuovi<br />

membri ad una comunità, l'Abate Preside consulterà prima il Supe-<br />

- 139-


~<br />

I<br />

riore, poi i detti membri, e quindi provvederà con il consenso del suo r<br />

Consiglio» (cfr. delibo 16, e 1968; delibo 96, 1969).<br />

Ai monasteri sui juris della Congregazione di Casamari compete:<br />

a) l'autonomia disciplinare e amministrativa;<br />

b) il capitolo conventuale con le relative attribuzioni;<br />

c) l'elezione, da parte del capitolo conventuale, del Superiore<br />

che sarà confermato dall' Abate Preside (cfr. delibo 16, a-b-c, 1968).<br />

Il Superiore del monastero sui juris sarà Superiore Maggiore e<br />

Ordinario dei monaci ascritti al monastero (cfr. delibo 16, d, 1968).<br />

Su proposta dell'Abate Preside col suo Consiglio (cfr. delibo 9,<br />

1968), il Capitolo Speciale ha eretto in case sui juris tre monasteri della<br />

Congregazione: Santa Maria di Cotrino (Latiano, BR), cui è stata aggregata<br />

Santa Maria della Consolazione (Martano, LE); Santa Maria di<br />

Piona (Colico, CO), cui è stata aggregata Santa Maria di Chiaravalle<br />

della Colomba (Alseno, PC); e Santa Maria del Galluzzo (Certosa di<br />

Firenze) (cfr. delibo 75, 1969).<br />

Questi tre monasteri dovranno cominciare a funzionare come case<br />

sui juris prima e non oltre il mese di settembre 1970 (cfr. delibo 76,<br />

1969).<br />

Intanto l'Abate Preside ha provveduto a consultare tutti i membri<br />

della Congregazione, chiedendo loro a quale casa sui juris desiderano<br />

appartenere. Ora egli dovrà costituire le varie famiglie monastiche<br />

scegliendo di preferenza fra gli optanti (cfr. delibo 14, 1968). Quindi,<br />

costituite le comunità, l'Abate Preside col consenso del suo Consiglio<br />

nominerà, per un periodo di cinque mesi, un Priore-Amministratore per<br />

ogni monastero sui juris, badando a non sceglierlo fra i membri della<br />

comunità dove dovrà esercitare il suo incarico (cfr. delibo 77, a, 1969).<br />

Entro il periodo di cinque mesi, quando l'Abate Preside e la Comunità<br />

lo giudicheranno opportuno, si procederà alla elezione o alla nomina<br />

del primo priore conventuale, a norma dell'art. 167, b, delle Costituzioni<br />

della Congregazione.<br />

B - Cronaca della Certosa di Firenze<br />

Pubblichiamo l'articolo di GIORGIO BATINI (apparso su « La<br />

Nazione» di Firenze del 9 Maggio 1970 in occasione dei restauri della<br />

Chiesa di Santa Maria Maddalena de' Pazzi in Borgo Pinti) perché l'argomento<br />

tratta di uno dei più antichi monasteri cistercensi di Firenze,<br />

- 140-<br />

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«Cestello Vecchio», come i nostri vecchi amarono chiamare questo<br />

centro di spiritualità e di arte.<br />

Infatti, come accenna il Batini, il monastero passò' dalle «Convertite<br />

», che probabilmente passarono a Sant'Ambrogio di Firenze<br />

(i vecchi fiorentini chiamavano questo monastero «delle mal maritate<br />

») ai nostri Padri di Badia a Settimo (ricordiamo a proposito di<br />

questo monastero lo studio di Mons. Celso Calzolai).<br />

Cestello Vecchio, o Santa Maria Maddalena Penitente, non crediamo<br />

di identificarlo col monastero dei Camoldolesi di Santa Maria<br />

degli Angioli, volgarmente detto degli «Angiolini» antica sede dei<br />

Frati Gaudenti (Ordine e Milizia della Vergine Madre di Gesù Cristo<br />

detto Frati Gaudenti di Fra' Guittone d'Arezzo), denominazione che è<br />

passata al «Conservatorio tuttora esistente, aperto dopo la soppressione<br />

dei Camaldolesi Cenobiti che si trasferirono all'attuale Piazza<br />

Beccaria nella Chiesetta costruita dai Monaci riuniti dopo la soppressione<br />

e che in seguito si riunirono con i Camaldolesi Remiti di Toscana.<br />

Nel Monastero degli « Angiolini » vi mori l'Umanista Beato Ambrogio<br />

Traversari (1386-1439).<br />

Che si tratti di due monasteri distinti lo apprendiamo dalla notizia<br />

che ci offre Benedetto Varchi nella sua « STORIA FIORENTINA»<br />

II-98 (citando l'Edizione di Firenze del 1843, curata da Lelio Arbib):<br />

« Tutti i conventi de' frati, che son buon numero, e tutti i munisteri<br />

di monache, che son quarantanove, hanno le lor muraglie grandi e ben<br />

fatte, e tutti, eccettuato quello di San Pier Maggiore, hanno i loro orti,<br />

i quali per lo più sono grandissimi e belli, come si può vedere in Santo<br />

Spirito e nel Carmine di là d'Amo; e di qua in Santa Croce, negli<br />

Agnoli, in Cestello, nella Nunziata, in San Marco, in Santa Maria Novella,<br />

in Ognissanti e gli altri ».<br />

Come si nota, due centri di alta spiritualità, confinanti ma distinti:<br />

« gli Agnoli » Camaldolese e « Cestello» Cistercense.<br />

Ci auguriamo che l'articolo di Giorgio Batini dia l'avvio a un più<br />

profondo studio sul periodo cistercense di Santa Maria Maddalena de'<br />

Pazzi.<br />

N. d. R.<br />

CHIESA DI SANTA MARIA MADDALENA DE' PAZZI di Firenze<br />

Da oggi Firenze ha una cappella dedicata a Santa Giovanna d'Arco;<br />

è una delle cappelle laterali dell'antichissima chiesa di Santa Maria Maddalena<br />

de' Pazzi, che è stata completamente restaurata e che domani<br />

- 141 -


mattina sarà riaperta con una solenne cerimonia. Varie opere ricordano,<br />

in questa cappella, l'eroica e santa fanciulla lorenese; uno smalto di<br />

Limoges, di M. Heuzé, raffigurante la Pulzella di Orléans che sostiene<br />

lo stendardo e la spada, ricavata da una miniatura del XV secolo; un<br />

calco di una statua della santa che si trova nella cattedrale di Orléans,<br />

una vetrata ideata da Isabelle Rouault, figlia del celebre Georges, ed<br />

eseguita da Adeline Bony.<br />

La cappella dedicata alla santa patrona della Francia ricorderà ai<br />

fiorentini la solidarietà che fu prontamente, e generosamente, dimostrata<br />

dal popolo francese allorché la città dovette sanare le gravi ferite inferte<br />

al suo patrimonio artistico e storico dalla drammatica alluvione del 4<br />

novembre 1966. Santa Maria Maddalena de' Pazzi, infatti è stata restaurata<br />

con i fondi offerti dal governo francese, dall'associazione « Francia-<br />

Italia» presieduta dall'ex ambasciatore francese in Italia Gaston Palewski,<br />

presidente del consiglio costituzionale francese, e dal governo<br />

italiano.<br />

L'insigne monumento soffriva già di molti malanni dovuti alla<br />

vecchiaia, ed era in cattivo stato di conservazione prima ancora che si<br />

aggiungessero i danni della disastrosa alluvione. Il monastero e la<br />

chiesa - dedicati in un primo tempo a Santa Maria Maddalena penitente<br />

- risalgono al 1257allorché costituirono il ritiro delle convertite<br />

e passarono poi alle monache e ai frati <strong>Cistercensi</strong> con il titolo di Santa<br />

Maria degli Angioli. Gli ambienti subirono, nel tempo, varie trasformazioni.<br />

Sul finire del XV secolo, la chiesa e il convento furono ampliati<br />

con la partecipazione di Giuliano da Sangallo, al quale si attribuiscono<br />

il chiostro e le cappelle laterali. Agli inizi del XVII secolo il complesso,<br />

passò per intercessione di Urbano VIII, alle suore Carmelitane, e accolse<br />

le spoglie di Santa Maria Maddalena de' Pazzi.<br />

Il Perugino.<br />

Nel corso del XVII secolo, furono eseguiti diversi rifacimenti ad<br />

opera di Luigi Arrigucci, mentre Ciro Ferri impostava, e Pier Francesco<br />

Silvani portava a termine, il solenne impianto marmoreo della<br />

cappella maggiore e del coro.<br />

In seguito la chiesa passò in consegna ai Padri Assunzionisti, e<br />

le suore Carmelitane si trasferirono in Piazza Savonarola, e quindi nel<br />

convento di Careggi, dove fu traslato anche il corpo di Santa Maria<br />

Maddalena de' Pazzi. Con la soppressione dei beni ecclesiastici gran<br />

parte del convento fu destinata ad uso scolastico, tanto che nel recente<br />

passato gli studiosi e i turisti che desideravano ammirare la celebre<br />

- 142-<br />

i,


Crocefissione del Perugino potevano raggiungere la sala del capitolo<br />

dove è ospitato il capolavoro, solo passando attraverso i locali dell'attiguo<br />

liceo Michelangiolo.<br />

La sfuriata novembrina dell'Arno raggiunse anche questa antichissima<br />

e gloriosa Chiesa. In Borgo Pinti si andava in barca, e nel cortile<br />

della chiesa, benché sopraelevato rispetto alla strada l'acqua melmosa<br />

della piena raggiunse il livello di oltre due metri e mezzo. Innumerevoli<br />

i danni alle strutture architettoniche, agli arredi, alle opere<br />

d'arte: restarono deturpati, nelle zone più basse, l'affresco del Perugino<br />

nella sala capitolare, gli affreschi di Bernardino Poccetti nella Cappella<br />

del Giglio, il San Sebastiano in legno policromo di Leonardo del Tasso,<br />

numerosi dipinti tra i quali opere di Lorenzo Lippi, Santi di Tito, Cosimo<br />

Rosselli, Domenico Puligo, Raffaelino del Garbo, Domenico Passignano.<br />

Mentre i fiorentini con l'aiuto di tutto il mondo, iniziavano il<br />

paziente e delicato salvataggio dell'immenso patrimonio artistico, colpito<br />

dall'alluvione, o messo in pericolo dalle conseguenze del disastro, i<br />

francesi « adottavano» Santa Maria Maddalena de' Pazzi concentrando<br />

su questa bellissima chiesa gran parte del loro generoso contributo al<br />

restauro della bellezza fiorentina. Questo pronto intervento consenti<br />

all'architetto Morozzi, soprintendente ai monumenti, di iniziare immediatamente<br />

i lavori di sgombero e di ripristino, mentre il professor<br />

Ugo Procacci, allora soprintendente alle gallerie, provvedeva a far<br />

distaccare tutti i dipinti, a ordinare il restauro delle altre opere d'arte<br />

e degli arredi, a sanare gli affreschi deturpati.<br />

Totale il restauro eseguito, e seguito con particolare amore, dall'architetto<br />

Guido Morozzi il quale non si è limitato a riparare i danni<br />

prodotti dall'alluvione, ma ha voluto restituire il complesso architettonico<br />

all'antica, originale purezza.<br />

Nella cripta.<br />

Il bellissimo chiostro d'ingresso, legato al nome del Sangallo, è<br />

stato completamente ripristinato rimettendo in luce anche il lato che<br />

era rimasto incompiuto, e che nel passato era stato chiuso con un muro<br />

di tamponarnento allo scopo di ricavare dei locali sfruttando l'ambiente<br />

del portico. Morozzi ha ricavato, facendo abbattere la muraglia posticcia,<br />

antiche colonne, capitelli jonici, volte di copertura ed altri elementi<br />

architettonici. Usando tali elementi e ricostruendo fedelmente<br />

quelli che mancavano, l'opera del Sangallo è stata completata, e ora il<br />

chiostro appare in tutta la sua suggestiva, purissima bellezza.<br />

- 143-


Nell'interno della chiesa le cappelle sono state liberate dalle ornamentazioni<br />

che le avevano appesantite nel tempo, e sono state restituite<br />

al candore degli intonaci e alle pietrigne membrature della loro origine<br />

quattrocentesca.<br />

Inoltre il soprintendente Morozzi ha voluto liberare la cripta<br />

(che, abbandonata da tempo, era in pessimo stato di conservazione,<br />

e ospitava solo sepolture) restituendola al culto: vi si ammirano, tra<br />

l'altro, un bellissimo altare in pietra, un Cristo in terracotta del XVII<br />

secolo, un'urna secentesca con reliquie e l'effige di cera di San Vittorio.<br />

Ora dalla chiesa si può discendere nella cripta e raggiungere, attraverso<br />

questa, la sala del capitolo dove è l'affresco del Perugino. La visita al<br />

monumento religioso si completa, cioè, con quella al celebre capolavoro,<br />

donato ai monaci <strong>Cistercensi</strong> da «Dionisio Pucci e sua moglie Giovanna,<br />

che commesso al Perugino nel 1493 e finito il 20 Aprile 1496 »<br />

costò «cinquantacinque ducati d'oro »: tra le figure che contornano<br />

la Crocifissione, San Bernardo sta a rappresentare l'Ordine che ebbe<br />

nel Santo di Chiaravalle il più grande figlio. Il Perugino fece pure<br />

per «i monaci di Cestello una tavola di San Bernardo» «dipinto<br />

per Bernardo e Filippo Nasi che glie ne allogarono nel 1488 » e che<br />

ora si trova, secondo la presentatrice del volume del Vasari « Vite de'<br />

più eccellenti Pittori, Scultori e Architettori », Anna Maria Ciaranfi,<br />

nella Pinacoteca di Monaco.<br />

Certosa di Firenze, 11 aprile 1970.<br />

GIORGIO BATINI<br />

I pittori Pietro Annigoni (il pittore delle regine) e Ugo Fanfani<br />

trascorrevano una giornata in Certosa assieme ad alcuni amici fiorentini.<br />

Il Maestro Annigoni prometteva che nelle pause di lavoro avrebbe<br />

approfittato della ospitalità cistercense per ritemprare lo spirito nella<br />

quiete della Certosa. Egli si è inoltre formalmente impegnato a realizzare<br />

in Certosa, entro due anni, un affresco raffigurante San Bernardo.<br />

Giova ricordare che Pietro Annigoni, milanese di nascita, fiorentino<br />

di adozione, è particolarmente legato al Galluzzo perché nella nuova<br />

Chiesa parrocchiale ha scritto una pagina meravigliosa della sua vita di<br />

uomo e di artista, con il grande affresco di San Giuseppe, eseguito al<br />

principio del 1970.<br />

Alle ore 16.00, nel Salone del Papa, Paolo Cherubelli presentava<br />

al pubblico e alla stampa il volume « La Certosa di Firenze nell'opera<br />

grafica di Ugo Fanfani ». Al volume, curato da Ubaldo Bardi, hanno<br />

- 144-<br />

l1


collaborato Paolo Cherubelli e Pietro Annigoni, e dal Fanfani è stato<br />

dedicato con animo commosso ai suoi genitori Olinto e Albina. Esso<br />

si apre con la riproduzione del busto in bronzo di Ugo Fanfani, opera<br />

di Pietro Annigoni, e contiene 26 artistiche tavole riproducenti una terracotta,<br />

un « olio» e 24 disegni del Fanfani.<br />

In questo volume il Fanfani ci parla della Certosa «con la fede<br />

che porta verso quelle cose antiche e care allo stesso tempo, intrise<br />

di un linguaggio popolare, ma sostenute da uno spirito vigile ed attento»<br />

(D. Bardi).<br />

Nella lunga ed appassionata opera del Fanfani mancava ancora la<br />

Certosa del Ga11uzzo, suo paese natale, «questo gigante, simbolo di<br />

una grande civiltà, ... il più eloquente testimonio del lavoro dell'uomo<br />

che intendeva elevare al cielo il suo canto» (D. Bardi).<br />

Ricca e perfetta la veste tipografica: merito del litografo Carlo<br />

Maggiani di Scandicci.<br />

Il Prof. Cherube11i, con bella parola, tratteggiava la personalità schiva<br />

e modesta, retta e profonda di Ugo Fanfani, la sua arte disinteressata,<br />

il suo amore per Firenze.<br />

Il volume di Fanfani (notava il Cherubelli) non si prefigge solo uno<br />

scopo artistico, non vuole essere solo un saggio d'arte, ma anche e soprattutto<br />

una guida spirituale segnata graficamente dall'artista che, per<br />

la sua caratteristica bontà, è un innamorato di tutto ciò che porta sollievo<br />

e aiuto allo spirito. Egli ha scelto gli angoli della Certosa più vivi<br />

di spiritualità per dimostrare che il monastero va visto non solo per il<br />

suo valore artistico-turistico (che è grande), ma anche per quello spirituale<br />

che esso conserva e tramanda da un'epoca all'altra.<br />

L'ora et labora di San Benedetto non muta tra le mura della Certosa,<br />

attraverso i secoli della sua storia. Ben lo comprese l'arch. Guido<br />

Morozzi, Soprintendente ai Monumenti, quando prima timidamente e<br />

poi sempre più coraggiosamente intraprese orsono circa quindici anni il<br />

restauro del Palazzo degli Studi, ora custode di opere d'arte, fra le quali<br />

una vasta visione degli affreschi del Pontormo, che da soli fanno Museo<br />

del Palazzo stesso.<br />

Il calore per i lavori alla Certosa si sentiva nelle parole dell'arch.<br />

Morozzi, il quale metteva a punto il suo desiderio, e quello dei Monaci<br />

<strong>Cistercensi</strong>, di vedere la Certosa un cenacolo di preghiera e di cultura.<br />

Preghiera e cultura erano i due punti toccati da Mons. Armando<br />

Casini, Priore-Parroco al Galluzzo, che portava la benedizione e il saluto<br />

del Cardinale Arcivescovo Ermenegildo Florit, impegnato a Roma<br />

per i lavori della Conferenza Episcopale Italiana.<br />

- 145-


Il dotto Mario Ermini, un vero « amico della Certosa », auspicava<br />

che la Certosa ed ogni monastero cistercense diventi un faro che richiami,<br />

come già nel Rinascimento, umili e grandi a forgiare il loro animo alla<br />

fede e alle virtù civiche.<br />

Il Commissario Prefettizio S. E. Padalino, che presiedeva alla manifestazione,<br />

portava con un cordiale intervento la voce e l'augurio della<br />

Città di Firenze a Ugo Fanfani, all'arch. Morozzi, ai monaci e a tutti<br />

i presenti.<br />

Quindi j Presidenti del C.O.F.A.T. (Centro Operatori Fiorentini<br />

Attività Turistiche) signori Waldemaro Pippucci e Quinto Martini consegnavano<br />

all'amico Maestro Ugo Fanfani l'ottava medaglia (la prima<br />

consegnata fuori sede) destinata all'innamoratissimo di Firenze, giusto<br />

riconoscimento alla rara modestia del Fanfani, al suo talento artistico,<br />

al suo amore per Firenze.<br />

Infine Ugo Fanfani cercava di dire a tutti il suo grazie e la sua<br />

commozione, più con lo sguardo che con le parole, e ad ognuno offriva<br />

in omaggio una copia del volume con firma autografa.<br />

Certosa di Firenze) 31 maggio-l" giugno 1970.<br />

Il P. Priore della Certosa di Firenze, su cortese invito di gentili<br />

persone, si è recato a visitare i ruderi dell'abbazia cistercense di Casanova,<br />

in Civitella-Casanova (diocesi di Penne, provincia di Pescara).<br />

Domenica 31 maggio, accolto con chiara letizia dall' Abate Parroco<br />

Don Umberto Di Giacomo, il P. Priore ha celebrato la Messa solenne<br />

delle ore Il, rivestito dei sontuosi paramenti sacri del sec. XVII, che<br />

la Chiesa parrocchiale ereditò a suo tempo dai monaci dell'abbazia, e<br />

che ora vengono usati solo nelle circostanze più solenni.<br />

All'omelia, il P. Priore ha detto la commozione di quella sua Messa<br />

celebrata là dove per diversi secoli tante generazioni di cistercensi hanno<br />

pregato e lavorato gomito a gomito con le popolazioni del posto, ed ha<br />

esortato i presenti a vivere la vita cristiana imitando gli esempi degli<br />

antichi padri.<br />

Nel pomeriggio della stessa domenica, il P. Priore ha compiuto una<br />

lunga visita ai ruderi dell'abbazia, accompagnato da Angelino e da Pietro,<br />

due « ciceroni» perfetti, che di Casanova sanno tutto, che della « loro»<br />

abbazia parlano come della loro casa, con amore e con orgoglio.<br />

Grave è stata l'ingiuria del tempo, gravissima anzi! Tuttavia, si<br />

ammirano ancora le ardite volte del chiostro dai costoloni in terra cotta,<br />

i pilastri, le pareti, parte dei costoloni in pietra della Chiesa abbaziale,<br />

non grande ma posente e severa. Il Capitolo è ancora là, quasi intatto,<br />

- 146-


colle volte che ricadono su due colonne centrali, semplici ed austere,<br />

così come semplice ed austero doveva essere tutto il complesso, improntato<br />

ai rigidi schemi architettonici dei cistercensi tra la fine del sec. XII<br />

e l'inizio del XIII.<br />

Angelino e Pietro hanno mostrato al P. Priore e alle persone che<br />

lo accompagnavano una cosa che sarebbe rara anche ai nostri giorni,<br />

epoca della automazione più progredita: hanno mostrato cioè il<br />

« terminai» dellatteodotto lungo circa sei chilometri, che partendo dai<br />

pascoli delle sovrastanti montagne portava il latte al caseificio dell'abbazia.<br />

Questa «invenzione » dei cistercensi abruzzesi del sec. XIII ci<br />

richiama alla mente un'altra geniale trovata dei cistercensi portoghesi di<br />

Alcobaça, che nel sec. XII costruirono la loro abbazia fra i torrenti Alcoa<br />

e Baça, e poi ne deviarono il corso facendoli passare attraverso la cucina:<br />

così.; era assicurata la pulizia del vasellame necessario ai quasi mille<br />

monaci di quella abbazia.<br />

La visita di un cistercense a Civitella Casanova ha suscitato curiosità<br />

(dal Concilio in poi, diceva qualcuno, non si capisce più niente: prima,<br />

i preti vestivano in nero; ora, vestono in bianco e nero come la Juventus);<br />

ma ha destato anche l'entusiasmo della cittadinanza ed ha risvegliato<br />

ricordi e leggende nell'animo dei più anziani.<br />

Tante notizie e tante storie antiche le hanno raccontate anche Cesarino,<br />

il « mago» delle TRE C (Centerbe di Civitella Casanova, un liquore<br />

medicinale potentissimo, puro distillato di erbe locali) e la signora<br />

Berenice, una arzilla nonnina di novant'anni, che con precisione estrema<br />

ha rievocato i trafugamenti notturni del tesoro di Casanova: sembrava<br />

vedere le lunghe file di muli che dall'abbazia trasportavano i pesanti<br />

sacchi di monete d'oro nei meandri sotterranei del castello baronale.<br />

La nota più lieta è venuta dagli alunni della Scuola Elementare e<br />

della Scuola Media di Civitella, che a seguito di questa visita non si<br />

stancavano di bombardare professori e maestri con tanti come? perché?<br />

quando? chi? ecc...<br />

Bravi ragazzi che si entusiasmano alla storia del loro paese!<br />

Un vivo plauso a tutti questi simpatici giovani e forti figli d'Abruzzo,<br />

che si preparano con coraggio ad affrontare la vita: ad essi e ai loro<br />

insegnanti vada il nostro incoraggiamento. Con l'augurio che qualche<br />

altra tonaca bianco-nera possa presto tornare a Civitella. E in quella<br />

occasione sarebbe bello organizzare un incontro diretto tra monaci cistercensi<br />

e alunni delle Scuole.<br />

Il P. Priore della Certosa di Firenze ringrazia il rag, Nicola Santedicola, fiorentino<br />

di Civitella, che ha organizzato questa escursione in terra d'Abruzzo, e Dan Umberto Di<br />

Giacomo, Abate Parroco di Civitella, per la fraterna accoglienza. (N.d. R.).<br />

- 147-


Cari lettori,<br />

Nello scorso mese di Febbraio la redazione di « Notizie<br />

<strong>Cistercensi</strong>» scrisse all'Abate Stefano Hoàng dell'abazia<br />

di Cbsu-son, invitandolo a delineare) per i lettori della nostra<br />

rivista, un quadro della vita monastica cistercense in<br />

Yietnam, nel suo aspetto generale e nelle circostanze attuali.<br />

Il Rev.mo Abate ha gentilmente accolto l'invito trasmettendoci<br />

le notizie che ora pubblichiamo. La Redazione crede<br />

di interpretare l'animo dei lettori ringraziando l'Abate Stefano<br />

a nome di tutta la famiglia di «Notizie <strong>Cistercensi</strong> »,<br />

sono contento di poter rispondere all'invito della redazione di<br />

«Notizie <strong>Cistercensi</strong>» inviandovi alcuni cenni sulla vita monastica,<br />

quale si svolge nel nostro Monastero di Chàu-son,<br />

Vogliate accettare le mie idee così come sono. E pregate per<br />

la nostra comunità affinché possa vivere santamente il suo ideale<br />

monastico,<br />

LA VITA MONASTICA<br />

Fr. M. STEFANO HOÀNG<br />

abate cistercense<br />

NEL NOSTRO MONASTERO DI CHAU-SON<br />

I - IN GENERALE<br />

In nessuna pagina della Regola di San Benedetto si legge il motto<br />

«Ora et Labora ». Tuttavia la tradizione benedettina è solita riassumere<br />

la nostra vita monastica in queste due parole: questa del<br />

resto è la realtà. E quindi vi presento la vita del nostro monastero di<br />

Chàu-son sotto questi due aspetti:<br />

A) Ora;<br />

B) Labora.<br />

- 148-<br />

l


A) ORA: preghiera<br />

1. Il desiderio di comunicare con gli spiriti soprannaturali è un<br />

elemento strutturale della mentalità religiosa del Vietnamita. Egli ha<br />

assorbito questo desiderio dalle varie religioni diffuse nel nostro paese:<br />

il buddismo, il taoismo ... La fede popolare nella sopravvivenza delle<br />

anime conferisce ulteriore vitalità a questa ansia di comunione.<br />

2. Questa innata disposizione alla preghiera ci aiuta a realizzare<br />

la vita benedettina sotto l'aspetto contemplativo. La commissione preparatoria<br />

al Capitolo Speciale della nostra Congregazione (la cui prima<br />

parte si è svolta nel dicembre 1969) ha diffuso fra i confratelli un<br />

elenco di domande-tests circa la nostra vita cistercense: le risposte<br />

confermano che il 50% dei nostri religiosi vuoI conservare la vita di<br />

preghiera e rimanere fedele al tipo di osservanza vissuto finora.<br />

Il desiderio quindi di vivere effettivamente la preghiera domina<br />

la nostra vita liturgica: e ciò postula una riforma e un adattamento.<br />

È per questo che ora abbiamo la Messa in lingua parlata; Compieta<br />

è cantata in lingua vietnamita, e così pure Terza e Vespro quando vi<br />

partecipano gli alunni delle nostre scuole. L'accento della nostra lingua<br />

crea un ritmo e una melodia che non differiscono molto dal canto gregoriano.<br />

Le Letture spesso monotone del Matutino sono state sostituite<br />

con passi scelti di libri vietnamiti più attuali o con traduzioni<br />

di opere attinenti alla vita di oggi.<br />

Due volte al giorno, terminato l'Ufficio divino, dedichiamo mezz'ora<br />

alla meditazione. Un'ora al giorno ci intratteniamo a colloquio<br />

con Dio mediante la lectio divina: gli ultimi quindici minuti sono<br />

riservati all'esercizio della contemplazione quale effetto immediato della<br />

lectio divina.<br />

3. Gli atteggiamenti esterni della preghiera vengono adattati in<br />

modo da esprimere con maggior efficacia l'anima vietnamita che prega:<br />

le genuflessioni, gli abbracci, i baci e altri simili gesti che non rispondono<br />

alla mentalità del popolo dovranno cedere il posto agli usi tradizionali<br />

del nostro paese.<br />

4. Per alimentare la vita liturgica cerchiamo di arricchire la mente<br />

e il cuore dei confratelli: a questo scopo organizziamo corsi di sacra<br />

Scrittura, di liturgia, di santa Regola; spieghiamo il comportamento<br />

psicologico dell'uomo durante la preghiera ... e approfittiamo di vescovi<br />

o sacerdoti di passaggio per ascoltare le loro conferenze ed esortazioni.<br />

Due volte alla settimana abbiamo scuola di canto; una volta, scuola<br />

di liturgia e cerimonie. La nostra commissione liturgica, composta di<br />

- 149-


tre padri, studia i problemi della riforma e dell'adattamento e si tiene<br />

in relazione continua con la commissione liturgica diocesana.<br />

Come tutti, anche noi viviamo un'epoca di esperimenti, e speriamo<br />

di trovare formule adatte a condurre i nostri monaci alla beata<br />

contemplazione.<br />

B) LABORA: lavoro<br />

Il resto della giornata monastica è consacrato al lavoro. L'unica<br />

fonte di sostentamento è il lavoro delle nostre mani: non abbiamo<br />

imprese di produzione o grandi industrie; ce ne mancherebbero i<br />

mezzi; del resto, non è questo che desideriamo, anche perché vediamo<br />

in tutto ciò un pericolo per la nostra vita di preghiera.<br />

Tenendo conto delle influenze che l'uomo esercita sull'ambiente<br />

e viceversa, ci siamo costruiti il nostro monastero lavorando senza<br />

posa dal 1963 ad oggi. Molto modesta, adatta alle esigenze climatiche<br />

e ambientali del nostro paese, questa costruzione ha conservato il carattere<br />

cistercense e soddisfa in giusta misura ai requisiti della vita<br />

monastica.<br />

Ci dedichiamo anche alla coltivazione dei legumi, all'allevamento<br />

del bestiame e dei pesci. Il riso, cibo nazionale, non si produce nella<br />

nostra regione e dobbiamo comperarlo a Saigon; e ciò costituisce una<br />

non leggera preoccupazione data la difficoltà delle comunicazioni.<br />

Ogni settimana dedichiamo due giorni al lavoro in comune: allora<br />

tutta la comunità, dall'abate all'ultimo dei novizi, vive il suo<br />

labora nel bosco o nei campi.<br />

Non possiamo non parlarvi delle nostre attività intellettuali: esse<br />

mirano soprattutto alla formazione teologica in generale, e monastica<br />

in particolare dei nostri giovani. L'orario del noviziato comprende<br />

quattro ore settimanali di latino, quattro ore di lingua nazionale, un'ora<br />

di teologia monastica, un'ora di storia dell'Ordine Cistercense e un'ora<br />

di teologia ascetica, due ore di santa Regola, una di canto e una di<br />

liturgia. Tre dei nostri giovani teologi frequentano lo scolasticato dei<br />

Padri Domenicani a Thu-Dùc presso Saigon; cinque sono ospiti dell'abbazia<br />

di Hauterive (Svizzera) e frequentano l'università di Friburgo.<br />

La nostra biblioteca possiede circa cinquemila volumi in lingua vietnamita,<br />

francese e tedesca.<br />

Nel nostro seminario educhiamo 150 alunni, cercando di orientarli<br />

alla vita cistercense secondo i principi della santa Regola e le<br />

moderne esperienze della sana psico-pedagogia. Al termine degli studi<br />

secondari, conseguita la maturità, gli alunni che lo desiderano possono<br />

- 150-<br />

-


essere ammessi al noviziato. Sette dei nostri padri si dedicano all'opera<br />

della formazione dei seminaristi. Il 27% delle nostre vocazioni viene<br />

dagli alunni del seminario.<br />

C) L'OSSERVANZA REGOLARE<br />

Voglio ora mettere l'accento su alcuni aspetti dell'anima vietnamita<br />

che trovano chiaro riscontro nelle nostre osservanze monastiche.<br />

1. La vita comunitaria: lo spirito di famiglia presso i vietnamiti<br />

è un fatto che nessun buon conoscitore del Viet-nam può negare. La<br />

tradizione secolare del paese è un fattore ancestrale che spinge i suoi<br />

figli a radicarsi nella terra ove riposano i loro antenati. D'altra parte,<br />

i precetti del confucianesimo, quali TU NHAN, TICH DUC, TE GIA ...<br />

(tendere alla perfezione, acquistare le virtù, dirigere la propria famiglia<br />

... ) preparano l'anima vietnami ta alla professione dei voti monastici.<br />

2. Molti sono ancora gli adepti che cercano severità e disciplina.<br />

Così, i nostri usi stabiliscono che ci si flagelli tutti i venerdì dell'anno,<br />

e che nei venerdì di quaresima ci si contenti di un po' di riso condito<br />

con solo sale. Le risposte alle domande della commissione preparatoria<br />

del nostro Capi tolo ci hanno rivelato che il 75% dei nostri monaci<br />

non vuol mitigare l'ora della levata (le due di notte) e la flagellazione<br />

settimanale. Molto numerosi sono i casi di penitenze personali<br />

volontarie. Il nostro orario giornaliero potrà aiutarvi a farvi un giudizio<br />

meno approssimativo sulla nostra vita:<br />

Ore 2.00 Levata<br />

» 2.10 Matutino e meditazione, riposo facoltativo<br />

» 4.45 Laudi, Messa conventuale<br />

» 6.30 Prima, colazione facoltativa<br />

» 7.30 Lavoro o studio<br />

» 8.35 Terza, lavoro<br />

» 11.20 Fine del lavoro<br />

» 11.45 Sesta, esame di coscienza, pranzo, riposo<br />

» 13.40 Nona, lettura della sacra Scrittura<br />

» 15.00 Lavoro o studio<br />

» 17.00 Fine del lavoro e dello studio<br />

» 17.20 Vespro, Rosario, cena<br />

» 19.00 Riunione nel Capitolo, conferenza<br />

» 19.30 Compieta, Salve Regina, esame di COSCienza<br />

» 20.15 Riposo.<br />

- 151 -


La nostra comunità conta ora 49 monaci professi, 3 novizi, 7<br />

aspiranti. L'età media è di 35 anni.<br />

Voglio anche dirvi che non rifiutiamo una certa attività pastorale:<br />

direzione di ritiri sia nel monastero che nelle parrocchie vicine,<br />

aiuti vari alle parrocchie di recente istituzione, ecc. Anche l'ospitalità<br />

è per noi un mezzo di fecondo apostolato.<br />

Il clima della regione è ideale per la nostra vita di preghiera, e<br />

qui godiamo ancora di una relativa tranquillità, al di fuori dei combattimenti.<br />

II. NELLE CIRCOSTANZE ATTUALI<br />

A) LE CIRCOSTANZE ATTUALI<br />

1. Due ideologie, cristianesimo e buddismo, SI oppongono tra<br />

loro come il più e il meno. Ma sul piano esistenziale sembra possibile<br />

una certa coesistenza. Ed alcuni, basandosi su questa eventuale<br />

possibilità, pensano persino ad una collaborazione di tipo ecumenico<br />

secondo lo spirito che va diffondendosi tra le religioni cristiane d'Europa.<br />

Di fatto, sul piano morale pratico, il cristiano e il buddista possono<br />

vivere assieme e insieme lavorare, anche se il loro ideale ascetico<br />

è essenzialmente diverso.<br />

Bisogna tuttavia tener presente che l'ateismo positivo nega categoricamente<br />

la fede in Dio e in Gesù Cristo. Questo conflitto ha scatenato<br />

in Viet-nam ondate enormi di rifugiati: il numero di coloro<br />

che hanno preferito la loro fede ad ogni altra cosa di questo mondo<br />

era, al maggio 1955, di 875.058 unità, su un totale di 35.600.000<br />

abitanti, dei quali i cattolici erano 1.000.000 al Nord e 1.527.000<br />

al Sud.<br />

Chi di noi può essere tanto ingenuo da reclamare, in nome dell'umanitarisrno,<br />

una pace che non tenga conto del nostro avvenire?<br />

2. La situazione militare creatasi in Viet-nam è tragica. I partiti<br />

politici discutono a Saigon, mentre i soldati muoiono sui campi di<br />

battaglia. Il nostro monastero è alla frontiera del mondo libero, ma<br />

non è in una posizione strategica, per cui attorno a noi non si<br />

sono svolte sinora grandi battaglie. A cominciare dalla Pasqua dell'anno<br />

scorso, di tempo in tempo son venuti in monastero gruppi di<br />

viet-cong a cercare vettovaglie, cosa di cui nell'altro campo c'è assoluta<br />

scarsezza. La speciale protezione di Dio e della sua Santa Madre<br />

ci hanno salvato: contiamo anche sulle vostre preghiere, cari lettori!<br />

- 152-


B) GLI INFLUSSI DELLE CIRCOSTANZE ATTUALI<br />

Le circostanze eccezionali tra le quali viviamo influiscono inevitabilmente<br />

sulla nostra vita monastica. Notiamo solo la incertezza psicologica<br />

e la incertezza economica: due fattori che potrebbero creare<br />

nei nostri monaci stati d'animo complessi, i cui sintomi sono l'angoscia<br />

e I'ipersensibilità. Ma non mancano, in compenso, gli influssi<br />

positivi: infatti questa doppia incertezza ci aiuta ad ancorarci più saldamente<br />

nel nostro ideale monastico. La guerra con le sue tristi conseguenze<br />

illumina ed allarga le dimensioni escatologiche della nostra<br />

vita.<br />

La psicologia dei nostri giovani, durante questi lunghi anni di<br />

guerra e al centro del vasto processo di americanizzazione, esige una<br />

speciale opera di formazione. La sensibilità dei giovani e la loro sensibilizzazione<br />

alle realtà umane, l'esuberanza del loro slancio vitale,<br />

il miraggio della potenza illimitata, la frenesia della velocità ... e tante<br />

altre caratteristiche psicologiche della moderna gioventù vietnamita<br />

sono fattori che incidono profondamente (in maniera positiva o negativa)<br />

nel nostro lavoro che tende a formare e a sviluppare la personalità<br />

dei giovani monaci.<br />

Da questi pochi cenni, cari lettori, potete valutare le possibilità<br />

e anche le difficoltà di diffondere la vita monastica nel Viet-nam, paese<br />

in stato di guerra prolungata. Voi potete anche valutare il nostro compito<br />

in seno alla Chiesa del Viet-nam.<br />

Dove va il Viet-nam? Dove va la Chiesa del Viet-nam? Dove va<br />

il monachesimo vietnamita? Quale sarà la sorte del nostro monastero?<br />

Che le vostre preghiere ci accompagnino nel nostro cammino!<br />

Noi camminiamo nella luce della fede, mirando la stella della Provvidenza<br />

divina.<br />

Vi ringraziamo per la simpatia che dimostrate alla nostra vita<br />

dimenticata; vi ringraziamo specialmente per i vostri aiuti spirituali<br />

dei quali sentiamo tanto bisogno. Sì, è proprio da questa sorgente spirituale<br />

che attingiamo il nostro ottimismo monastico. Solo Dio è<br />

rimasto la nostra speranza e la nostra fede nelle tristi circostanze In<br />

cui viviamo!<br />

Fr. M. Stefano Hoàng<br />

abate cistercense<br />

- 153-


Emissione del suono e fonetica delle vocali<br />

Premessa<br />

Il canto gregoriano, per il suo carattere cosi VICInO talvolta alla<br />

declamazione, è di necessità legato alla retta pronuncia. Privo di qualsiasi<br />

accompagnamento orchestrale, giganteggia nella sua purezza: un<br />

qualsiasi difetto vocale degli esecutori si manifesta in modo tanto evidente,<br />

da non poter essere sopportato. È un canto esigentissimo che<br />

non ammette approssimazione tecnica. Le sue necessità sembrano scolpite<br />

dalle parole di S. Bernardo, quando invita ad intervenire alle<br />

lodi divine « con assiduità e purezza, senza sbadigliare né risparmiare<br />

la voce, senza troncare a metà le parole, né addirittura saltarle, con<br />

voce non spezzata né talmente effeminata, né risuonante nel naso »;<br />

ma invita a «cantare le lodi dello Spirito Santo con voce ed affetto<br />

virile ». Questa breve esortazione contiene in sé l'accenno ad alcuni<br />

canoni essenziali del modo di cantare.<br />

Emissione del suono<br />

« L'atto del cantare e del parlare, è fisicamente il risultato sensibile<br />

della somma di simultanei movimenti di diversi organi» ( 1).<br />

La formazione vocale, se è necessaria per la musica in genere, lo è<br />

assai più per quella gregoriana, la quale possiede forme melodiche<br />

di una delicatezza estrema, che richiedono per l'esecuzione, un'arte<br />

fine ed una voce elastica e sonora. Lo strumento vocale donatoci dal<br />

Creatore è il più perfetto che esista. Esso è composto, innanzi tutto,<br />

dai polmoni, che costituiscono il mantice produttore di aria per l'emissione<br />

del suono. L'aria, infatti, per mezzo della trachea, viene portata<br />

alla laringe, la quale, a sua volta, è composta da vari muscoli tra cui<br />

le corde vocali che, percosse dall'aria, si tendono e vibrano producendo<br />

il suono. In ultimo ci sono le casse di risonanza che, quali altoparlanti<br />

(1) J. P. BAGAGIOLO, Cenni di critica ortojonica, Venezia 1958.<br />

- 154-


e amplificatori del suono già prodotto, acquistano una notevole importanza<br />

« nel determinare la veste cromatica dei vari suoni; questi ultimi,<br />

vengono 'modulati' ed acquistano sonorità e colore in virtù delle<br />

particolari modulazioni di forma e dimensioni delle cavità sopraglottiche.<br />

Quindi i suoni vengono ampliati e arricchiti di sovratoni o armonici,<br />

oltre quelli già prodotti dalle vibrazioni delle corde vocali»<br />

(2). «Il suono inizia immediatamente al termine della inspirazione<br />

e contemporaneamente alla espirazione dell'aria. Al momento del<br />

canto, le corde vocali si avvicinano l'una all'altra, per impedire all'aria<br />

la regolare uscita. I margini di queste corde, quasi forzati dalla colonna<br />

d'aria proveniente dai polmoni, vengono messi in azione, in<br />

tensione e in vibrazione come un'ancia dell'organo. Queste flessioni e<br />

deflessioni, producendo la vibrazione, ottengono il suono che poi viene<br />

amplificato nella bocca, in grado più o meno elevato secondo la varia<br />

apertura» (3). In altri termini, «le vibrazioni delle corde vocali si<br />

comunicano alla colonna d'aria che le attraversa; questa, uscendo per<br />

la gola, va a battere nella parete superiore e anteriore della bocca.<br />

È qui che il suono si forma, ossia riceve il suo colore tonico e si<br />

riveste della parola ... » (4). In questo esercizio è necessario fare attenzione<br />

che la colonna d'aria attraversi tutta intera la gola, senza passare<br />

per altre vie non naturali; diversamente, il suono uscirà nasale<br />

o gutturale. «La voce deve uscire limpida e chiara, senza che passi<br />

per il naso, né in gola si affoghi, che sono i due difetti più orribili<br />

di un cantore» (5) e fra i più difficili ad essere corretti. Noi italiani,<br />

come fa notare la Bagagiolo, abbiamo una lingua che non<br />

ha bisogno né di canto gutturale né di canto nasale. Basta esercitare<br />

la voce nel modo più naturale, perché essa sveli il suo colore e la<br />

facilità di distendersi nei suoni acuti o nei gravi (6). Il suono deve<br />

formarsi sempre sulle labbra e non nella gola; «questo principio, oltre<br />

a facilitare la retta pronuncia e la precisione dell'emissione, impedisce<br />

il suono gutturale e preserva l'apparato vocale da infiammazioni» (7).<br />

Il suono, inoltre, va emesso a mezza voce e senza alcuno sforzo,<br />

con dolcezza e morbidezza, con precisione e sicurezza, onde vengano<br />

ben eseguite le varie flessioni vocali, senza stancare la laringe.<br />

(2) J. P. BAGAGIOLO, Tecnica uoc., ].1., 1965, Venezia.<br />

(3) TARNEAUD, Le ebani, sa cdnstruction ..., Paris 1946.<br />

(4) P. FERRETTI, Canto Greg., Roma 1914.<br />

(5) TOSI, Opinioni dei cantori antichi e moderni, Bologna 1723.<br />

(6) J. P. BAGAGIOLO, Tecnica vocale ...<br />

(7) P. ERNETTI o.s.b., Canto Greg., Venezia-Roma 1960.<br />

- 155-


« Non cantare mai a voce forzata, anzi buona regola è di cantare sempre<br />

a mezza voce, il che non impedisce di eseguire la melodia nella<br />

varietà delle sue sfumature» (8). «Non debba adunque il cantore<br />

nel cantare, mandar fuori la voce con impeto, et con furore, a guisa di<br />

bestia, ma debba cantar con voce moderata» (9). Perché il suono sia<br />

limpido e preciso, bisogna aprire la bocca, abbassando la mascella inferiore<br />

in maniera tale che, tra i denti incisivi superiori e quelli inferiori,<br />

ci sia una distanza di circa due centimetri. Tale movimento della<br />

mascella inferiore va fatto senza scatti. Ogni scatto altera la posizione<br />

muscolare di tutto l'apparato vocale, per cui la voce viene serrata<br />

e forzata. Anche la posizione della lingua è di capitalissima importanza<br />

nella pronuncia delle parole. «Essa deve stare leggermente e<br />

morbidamente appoggiata sulla mascella inferiore, con la punta che<br />

tocchi i denti inferiori. Non meno importante è la posizione delle<br />

labbra. L'apertura e la chiusura delle labbra determinano moltissimo<br />

il timbro di una voce, per cui devono variare sia per ogni vocale,<br />

come per la diversa colorazione delle singole e medesime vocali» (10).<br />

Formazione delle vocali<br />

Per la emissione delle cinque vocali della nostra lingua, le cavità<br />

che costituiscono il tubo di risonanza assumono precisi atteggiamenti<br />

muscolari, diversi per ogni vocale. Perciò le labbra, la lingua, le guance,<br />

il palato molle modificano alternativamente la cavità orale per la produzione<br />

di ciascun suono.<br />

Per quanto riguarda la retta pronuncia, diamo solo qualche indicazione<br />

molto utile. La vocale A si ottiene abbassando semplicemente<br />

la mascella inferiore e, con questa, la lingua; poi si solleva appena<br />

il velo palatino. Per la vocale 0, basta protendere le labbra in<br />

avanti e immediatamente il velopendolo si eleva per dare il suono<br />

cupo e chiuso.<br />

La vocale U si ottiene restringendo un po' più le labbra e alzando<br />

ancora il velopendolo, per ampliare la risonanza boccale. Per<br />

la vocale E, la bocca si stende orizzontalmente premendo la punta<br />

della lingua sui denti inferiori e sollevandola al centro. La vocale I<br />

si ottiene schiacciando ancor più le labbra orizzontalmente, lasciando<br />

(8) E. RAVEGNANI, Metodo compilato di Canto Greg., Roma 1904.<br />

(9) ZARLINO, Le Istituzioni Armoniche, Venezia 1562.<br />

(lO) P. ERNETTI o.s.b., Canto Gregoriano, Venezia-Roma 1960.<br />

- 156-


la lingua come nella vocale E (11). Anche qui però, bisogna evitare un<br />

difetto in cui si cade spesso, pronunciare cioè una vocale per un'altra.<br />

« Vi sono molti maestri che abituano gli allievi a deformare le vocali,<br />

credendo in tal modo di facilitare l'esecuzione. Si suggerisce di pronunciare<br />

la A in modo che assomigli alla 0, la I alla U ecc. Oltre ad essere<br />

segno di deficienza, le vocali male pronunciate offendono le esigenze<br />

dell'arte. Queste deformazioni risultano, in ultima analisi, brutte necessità<br />

delle voci male educate» (12).<br />

Conclusione<br />

Diciamo che il canto deve essere basato sulla semplicità e chiarezza,<br />

« se non si vuole che lo stesso finisca in un labirinto di assurde<br />

parole e di comiche e nocive pratiche» (13). Intanto, per incoraggiarci<br />

a far sempre meglio, riporto un ultimo passo del grande maestro di<br />

orchestra, Carlo Polacco, il quale, meditando sul meraviglioso strumento<br />

della voce umana, esclama: «La laringe è un dono prezioso<br />

offerto ci da Dio, perché ci si possa esprimere con la parola e perché<br />

possiamo godere del nostro canto; è strumento vivo, palpitante, sempre<br />

imitato dagli strumenti inventati dall'uomo, mai raggiunto e tanto<br />

meno superato. Il fiato che anima il suono prodotto dalle corde vocali,<br />

si espande così dall'anima del cantante a quella dell'ascoltatore.<br />

Il cantante che sa di poter offrire qualche cosa di buono con la sua<br />

voce a questo mondo tanto assetato di bene, si prodighi con senso<br />

religioso in quest'atto benefico e sappia trasfondere i tesori del suo<br />

strumento. Non ricerchi gloria, né ricchezza; queste gli verranno di<br />

conseguenza e conferiranno una nota di umana pienezza alla singolare<br />

espressione della sua ricchezza interiore» (14).<br />

D. ILDEBRANDO DI FULVIO O. Cisto<br />

(11) ZARLINO, op. cito<br />

(12) ]. P. BAGAGIOLO, op. cito<br />

(13) ]. P. BAGAGIOLO, op. cito<br />

(14) C. POLACCO, Come respirare per cantare, ].L., Venezia 1966.<br />

- 157-


LA DISTRIBUZIONE DEL SALTERIO SECONDO<br />

LO « SCHEMA C » DEI CISTERCENSI STR. OBS.<br />

Avvalendosi delle facoltà concesse<br />

all' Ordine Cistercense dalla Sacra Congregazione<br />

del Culto Divino (prot.<br />

n. 974/69 del 3-9-1969), la comunità<br />

della Certosa di Firenze in via sperimentale<br />

celebra l'Ufficio divino distribuendo<br />

i 150 salmi del Salterio nel<br />

corso di una sola settimana secondo<br />

il cosiddetto «Schema C » già in uso<br />

presso alcune abbazie dei Trappisti.<br />

L'esperimento della Certosa di Firenze<br />

è iniziato al principio di aprile<br />

1970.<br />

La rivista « Ora et Labora » del monastero San Benedetto di Milano<br />

(Via Felice Bellotti, lO) nel n. 2, aprile-giugno 1970 pubblica la relazione<br />

tenuta dall'Abate Sebastiano Bovo O.S.B. al Convegno Monastico di<br />

Liturgia (Roma, novembre 1969) su «Schemi di distribuzione dei<br />

Salmi ». In quella relazione il dotto Abate benedettino tratteggia con<br />

chiarezza il valore che la preghiera ha e deve avere, in seguito al preciso<br />

comando evangelico, per i cristiani tutti e per i monaci in particolare;<br />

quindi passa ad esaminare vari schemi di distribuzione di Salmi, proposti<br />

e sperimentati negli ambienti monastici italiani e stranieri.<br />

Noi crediamo utile riportare qui alcune idee generali circa la riforma<br />

dell'Ufficio divino, e altre idee più particolari atte ad illustrare i criteri<br />

che hanno guidato i compilatori dello « Schema C».<br />

Lo « Schema C » parte dal presupposto che i 150 salmi del Salterio<br />

debbono essere recitati tutti in una settimana, senza ripetizioni. Esso<br />

si ispira, nonostante le modifiche, al progetto presentato da Don<br />

Fiiglister O.S.B., basato sui generi poetici dei salmi, e sul progetto di<br />

P. Drijvers, basato sui « temi» o argomenti dei salmi.<br />

Le Ore brevi.<br />

Dato che i salmi graduali (119-127) non possono essere ripetuti,<br />

essi sono stati riservati all'ora di Nona nei primi tre giorni della settimana.<br />

Anziché dividere il salmo 118 tra la domenica e il lunedì (come<br />

in altri schemi), si è preferito ripartirlo all'ora di Terza, in tutti i<br />

- 158-


giorni della settimana: Terza è l'ora della Pentecoste, l'ora dello Spirito;<br />

e lo Spirito è la nuova Legge, la Legge dell'Amore.<br />

Le Laudi.<br />

Le Laudi conservano nello schema «C» la loro struttura tradizionale,<br />

in cui si accentua il passaggio dell'anima dalla confessione<br />

dei peccati alla confessione di lode.<br />

Il primo salmo è, ogni giorno, uno dei sette salmi peni tenziali.<br />

L'ultimo invece è un salmo tratto dal «Terzo Rallel» del Salterio<br />

(salmi 145-150), con l'aggiunta del salmo 96 per completare la serie.<br />

I due salmi intermedi sono, con qualche eccezione, gli stessi che furono<br />

stabiliti da San Benedetto.<br />

Vespri.<br />

La maggior parte dei salmi dei Vespri è tratta dall'ultimo settore<br />

del Salterio (a cominciare dal salmo 109). La domenica ha<br />

conservato in parte la struttura attuale; ma si è cercato di accentuarne<br />

il carattere pasquale (salmi 109, 11O, 113A, 114-115). I salmi del<br />

martedì, ben legati tra loro, evocano chiaramente Gerusalemme e il<br />

Tempio Santo; così del resto i salmi delle altre «ore» di questo<br />

giorno. Forse il martedì è il giorno in cui l'Ufficio è risultato meglio<br />

« costruito ». I salmi del venerdì sono una combinazione di suppliche<br />

collettive ed individuali.<br />

Vigilie.<br />

Il salmo-invitatorio cambia ogni giorno (il 94 è ripetuto la domenica<br />

e il venerdì). Il salmo 80, data la sua caratterizzazione eucaristica,<br />

è stato scelto per il giovedì. Negli altri giorni il salmo-invitatorio tende<br />

ad introdurre la mente alla susseguente salmodia delle vigilie.<br />

Se si eccettua la domenica, in ogni notturno due salmi relativamente<br />

brevi ne inquadrano uno più lungo (come nello schema Fiìglister).<br />

In generale i salmi delle vigilie sono stati raggruppati per affinità.<br />

Il lunedì, per esempio, il salmo 106 è una preghiera di ringraziamento<br />

per la salvezza che Dio continua a darci anche nelle situazioni<br />

più scabrose; e i salmi 1 e 111, letti sotto questo punto di<br />

vista, ci suggeriscono il modo in cui noi dobbiamo rispondere alla<br />

salvezza che ci viene da Dio. Il salmo 105 del secondo notturno del<br />

martedì ci suggerisce le risposte da dare alle domande dei due salmi<br />

(73 e 43) che lo accompagnano. Il venerdì e la domenica i salmi<br />

- 159-


sono stati scelti in funzione della Pasqua del Signore. Il tema dell'Esodo<br />

ritorna spesso nel corso della settimana (lunedì, martedì, giovedì,<br />

sabato).<br />

Nota dottrinale sulla riforma dell' UfJicio divino.<br />

1. Il Concilio Vaticano II ha voluto che «il venerabile e sacro<br />

tesoro dell'Ufficio romano venga adattato in modo tale che possano<br />

usufruirne più largamente e più facilmente tutti coloro ai quali è affidato»<br />

(Sacrosanctum Concilium 90).<br />

Questa esigenza di riforma è valida anche per il nostro Ufficio<br />

monastico. E per due motivi:<br />

Primo, perché la struttura del nostro Ufficio divino è molto<br />

vicina al breviario romano.<br />

Secondo, perché il fine della riforma non consiste solo nel sollievo<br />

da dare ai sacerdoti diocesani oppressi dalle fatiche del ministero<br />

apostolico, ma anche e soprattutto in un maggiore profitto spirituale.<br />

Ciò risulta chiaramente dal citato n. 90 della' Sacrosanctum Concilium "<br />

e da altri numeri della stessa Costituzione conciliare. Il n. 87, per<br />

esempio, dice: «affinché i sacerdoti e' gli altri membri della Chiesa<br />

possano meglio e più perfettamente celebrare l'Ufficio divino ». Del<br />

resto si conosce bene il «ritornello» di tutta la riforma liturgica<br />

promossa dal Concilio: « ...i fedeli vengano formati alla piena, consapevole<br />

ed attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche» (cfr. Sacrosanctum<br />

Concilium 11, 14, 19, 21, ...).<br />

Non si potrà certo dire che tale piena, consapevole ed attiva<br />

partecipazione alla liturgia non riguardi coloro il cui compito principale<br />

« è quello di prestare umile e insieme nobile servizio alla divina<br />

maestà entro le mura del Monastero» (Perfectae Caritatis 9; cfr. 2, c).<br />

È evidente che la riforma del nostro Ufficio divino va fatta tenendo<br />

conto del nostro genere di vita, che non è quello dei sacerdoti<br />

diocesani o dei cristiani nel mondo. La nostra riforma deve essere ben<br />

distinta dalla riforma dell'Ufficio romano. Ma va applicato anche a noi<br />

il principio secondo il quale «l'ordinamento dei testi e dei riti deve<br />

essere condotto in modo che le sante realtà da essi significate siano<br />

espresse più chiaramente, il popolo cristiano (cioè noi stessi) possa<br />

capirne più facilmente il senso e possa parteciparvi con una celebrazione<br />

piena, attiva, comunitaria» (Sacrosanctum Concilium 21).<br />

2. Princìpi che, secondo la mente del Concilio, devono guidare<br />

la riforma dell' Ufficio divino:<br />

160 -


a. Nelle sacre celebrazioni, la lettura della Sacra Scrittura sia<br />

più abbondante, più varia, meglio scelta (Se. 35,1; 92,a,b).<br />

b. I riti splendano per nobile semplicità; siano chiari nella<br />

loro brevità e senza inutili ripetizioni (Se. 34).<br />

c. ...ciascuno ... svolgendo il proprio ufficio, si limiti a compiere<br />

tutto e soltanto ciò che... è di sua competenza (Se. 28).<br />

d .... si curino le acclamazioni..., le risposte, la salmodia, le<br />

antifone, i canti nonché le azioni e i gesti, e l'atteggiamento del corpo<br />

(Se. 30).<br />

e. Si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio (Se. 30).<br />

f. Scopo dell'Ufficio è la santificazione del giorno: perciò l'ordinamento<br />

tradizionale dell'Ufficio sia riveduto in modo che le diverse<br />

Ore, per quanto possibile, corrispondano al loro vero tempo, tenendo<br />

presenti però anche le condizioni della vita contemporanea in cui si<br />

trovano specialmente coloro che attendono all'apostolato (Se. 88).<br />

Per santificare veramente il giorno e per recitare le Ore si osservi<br />

il tempo che corrisponde più prossimamente al momento di ciascuna<br />

Ora canonica (Se. 94).<br />

g. 1 - La lettura della Sacra Scrittura sia ordinata in modo<br />

che i tesori della parola divina siano accessibili più facilmente e in<br />

. .<br />

maggIor ampIezza.<br />

2 - La lettura delle opere dei Padri, dei Dottori e degli<br />

scrittori ecclesiastici sia meglio selezionata.<br />

3 - Le «Passioni» ossia le vite dei Santi siano rivedute<br />

dal punto di vista storico (Se.92).<br />

h. Si esortano nel Signore i Sacerdoti e tutti gli altri che partecipano<br />

all'Ufficio divino a fare in modo che, nel recitarlo, la mente<br />

corrisponda alla voce. A tale scopo si procurino una maggiore istruzione<br />

liturgica e biblica, specialmente riguardo ai Salmi (Se. 90).<br />

i. Gli inni, per quanto sembrerà conveniente, siano restituiti<br />

alla loro forma originale, togliendo o mutando ciò che ha sapore mitologico<br />

o che può essere meno conveniente alla pietà cristiana.<br />

Secondo l'opportunità, poi, se ne riprendano anche altri che si<br />

trovano nelle raccolte innografiche (Se. 93).<br />

l. È bene inoltre che, secondo l'opportunità, l'Ufficio In coro<br />

e in comune sia cantato (Se. 99).<br />

Nell'opera di riforma dell'Ufficio divino, oltre a questi princìpi<br />

sanciti dal Concilio, è da tener presente anche «una benevola dispo-<br />

- 161 -


sizione molto recente del Sovrano Pontefice » che permette, In alcuni<br />

casi, l'uso della lingua parlata.<br />

Inoltre, i lavori del «Concilium» prevedono:<br />

a. La preghiera universale quale embolismo del «Pater Noster<br />

» a Vespro.<br />

b. Preghiere per la santificazione della giornata, alle Laudi,<br />

riassumendo la parte migliore delle tradizionali preghiere che si recitavano<br />

in Capitolo (Notitiae 49, novembre-dicembre 1969, pagg. 458-469).<br />

3. La questione centrale, quella della redistribuzione dei salmi,<br />

è toccata al n. 91 della Costituzione « Sacrosanctum Concilium ». Essa<br />

è suggerita da due motivi:<br />

a. Se la lettura della Sacra Scrittura deve essere più abbondante,<br />

se dobbiamo cantare di più, se bisogna introdurre momenti di preghiera<br />

silenziosa, ecc..., sarà anche necessario riequilibrare l'Ufficio attuale,<br />

che dalle accennate riforme uscirà sconvolto.<br />

b. L'introduzione della lingua parlata modificherà il nostro<br />

modo di concepire la salmodia e la sua esecuzione.<br />

«Non si vuol dire che salmeggiando in latino il senso importi<br />

poco o sia poco compreso: bisogna però convenire che in latino, il<br />

senso dà forma alla nostra preghiera solo a grandi linee e per mezzo<br />

di alcuni versetti sparsi qua e là. Quando si ascolta una lingua straniera<br />

(anche se la si possiede perfettamente), il senso delle parole non ci colpisce<br />

troppo direttamente e con altrettanta pienezza e frutto. Il problema<br />

dell'attenzione non è certo facilitato. Questo inconveniente poteva<br />

non nuocere alla preghiera in quanto tale, perché mediante la ripetizione<br />

alternata di formule melodiche e ritmiche, semplici e armoniose, la<br />

salmodia gregoriana riusciva a creare un'atmosfera di preghiera che agiva<br />

potentemente sul nostro animo; il salmo, più che un grido di gioia o<br />

di dolore, più che una espressione volontaria, diventava una impressione<br />

ricevuta, eco intima di una Parola che veniva dall'alto e che<br />

si dirigeva al nostro cuore» (Cfr. J. Y. Hameline, Célébrer l'office<br />

divin, Paris 1967, pagg. 133-135).<br />

Così, per pregare bastava una certa « dose» di salmi. Ne è esempio<br />

l'ufficio delle Laudi con i suoi sette salmi cantati di :fila sotto una<br />

sola melodia che non lascia trasparire il movimento del pensiero, il significato<br />

di questa Ora canonica: il passaggio pasquale dalla confessione<br />

dei peccati alla confessione di lode (salmi 148-150).<br />

- 162-<br />

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Se l'Ufficio divino verrà celebrato in lingua parlata, il significato<br />

del salmo prenderà il sopravvento su l'aspetto «salmodiante» della<br />

salmodia. E probabilmente, dopo un periodo più o meno lungo di incertezze,<br />

si arriverà alle seguenti conclusioni:<br />

1. Non sarà più possibile riunire diversi salmi sotto una sola<br />

antifona (per conseguenza, bisognerà aumentare il numero delle antifone).<br />

2. La nostra mente sarà più sensibile ai generi letterari dei salmi,<br />

e quindi si dovrà fare attenzione al modo in cui essi si succedono.<br />

3. Si dovrà variare il tipo di salmodia, cosi come variano i generi<br />

letterari dei salmi.<br />

4. Sarà necessario, forse, interporre qualche attimo di silenzio fra<br />

un salmo e l'altro.<br />

5. Il numero dei salmi dovrà essere diminuito: pregando più<br />

profondamente secondo il contenuto di ciascun salmo, non potremo<br />

assimilarne tanti quanti ne sono stati recitati finora. D'altra parte, la<br />

nostra pietà personale troverà alimento sufficiente anche in pochi salmi<br />

(Un monaco che ha fatto l'esperienza dell'ufficio celebrato in lingua<br />

parlata, ci dà questa testimonianza: «Il passaggio alla lingua parlata<br />

porta con sé una vera" doccia" di idee e di concetti. I vari uffici, nella<br />

loro struttura, appaiono troppo ricchi... È dunque necessario sperare<br />

uffici la cui carica concettuale sia meno pesante. Ma essi dovranno celebrarsi<br />

con tutto il lirismo e con tutta la poesia che i testi impiegati<br />

richiedono» (Cfr. Célébrer l'office divin, pago 196).<br />

Padre Bugnini, presentando la « Istruzione» Tres abhinc, faceva<br />

questa osservazione: «Recitati in lingua parlata, cinque salmi sono<br />

un po' lunghi. La preghiera salmodiata dovrà essere eseguita più lentamente,<br />

riflettendo e meditando » (Cfr. Osservatore Romano, 7 maggio<br />

1967).<br />

A ben riflettere, il passaggio alla lingua parlata (ammesso che<br />

questo passaggio avvenga), ci orienterà naturalmente verso una riforma<br />

dell'Ufficio divino quale la desidera il Concilio Vaticano II. D'altra<br />

parte, se cercheremo di attuare la riforma suggerita dal Concilio, dovrebbe<br />

essere inevitabile, a 'scadenza più o meno lontana, il passaggio<br />

alla lingua parlata. Le due idee dipendono l'una dall'altra più di<br />

quanto non sembri a prima vista.<br />

Si tratta, insomma, non già di diminuire il tempo della preghiera,<br />

quanto piuttosto di equilibrarlo meglio in vista di una partecipazione più<br />

consapevole, più attiva, più fruttuosa.<br />

- 163-


SCHEMA «C»<br />

Dom. Fer. II Fer. III Fer. IV Fer. V Fer. VI Sabb.<br />

Vigiliae 94 97 45 46 80 94 95<br />

2 1 3 Il 38 12 8<br />

20 106 17 9 36 21 103<br />

29 111 lO 27 40 25 102<br />

44 48 73 81 49 87 76<br />

71 104 105 88 67 68 77A<br />

75 70 43 82 65 58 77B<br />

Laudes 50 6 101 37 31 129 142<br />

117 5 42 63 99 85 91<br />

62 35 56 64 89 107 100<br />

Canto Canto Canto Canto Canto Canto Canto<br />

150 145 146 147 148 149 96<br />

Tertia 118 118 118 118 118 118 118<br />

1-4 5-7 8-10 11-13 14-16 17-19 20-22<br />

Sexta 18 13 84 78 69 108 59<br />

23 72 41 79 33 19<br />

74<br />

Nona 22 119 122 125 54 34 57<br />

83 120 123 126 51<br />

92 121 124 127 52<br />

Vesperae 109 128 134 32 7 136 143A<br />

110 39 28 135 137 93 143B<br />

113A 113B 47 98 61 139 144A<br />

114-115 66-116 86 112 131 141 144B<br />

Completo 4 24 60 138 53 30 14<br />

90 130 26 140 15<br />

133 132 55 16<br />

(Cant. Nune dimittis)<br />

- 164-<br />

l<br />

,<br />

l<br />

t I<br />

l


LE PRECI AGGIUNTE ALLE LODI E AI VESPRI<br />

l. Importanza delle Preci.<br />

Le Preci da aggiungere alle Lodi e ai Vespri sono suppliche rivolte<br />

a Dio per intenzioni diverse. Fra queste suppliche sono da annoverarsi<br />

anche quelle particolari preghiere colle quali consacriamo a Dio<br />

in modo più esplicito la nostra giornata o le ore mattutine o quelle della<br />

sera, nonché le varie attività umane e tutte le cose create.<br />

Quanto alle ore mattutine, ne abbiamo un esempio in quelle preci<br />

che talvolta erano chiamate «consacrazione del giorno e del lavoro»<br />

e che facevano parte dell' Ora di Prima dell' Ufficio Romano.<br />

Le preci aggiunte alle Lodi e ai Vespri sono « petizioni»; tuttavia<br />

non escludono l'elemento di lode e di ringraziamento. E ne daremo<br />

spiegazione più avanti.<br />

Non solo la loro collocazione, ma anche il fine distingue queste<br />

« nuove» preci dai salmi, dagli inni, dalle letture, dalle antifone, dai<br />

versetti, dai responsori e dalle altre orazioni, anche se alle volte possano<br />

riscontrarsi elementi comuni. Esse infatti sono collocate dopo il<br />

Magnificat e dopo il Benedictus, e sono preghiere con le quali la Chiesa<br />

in modo più chiaro e ex professo interpreta le ore mattutine e vespertine<br />

alla luce salvificadel Cristo Dio e intercede per tutti.<br />

Le Preci, intese in questo senso, pur nella diversità delle loro<br />

forme e dei loro modi, ci sono attestate da tutta la tradizione per le<br />

Laudi e per i Vespri.<br />

Già l'Apostolo Paolo ci raccomanda «che si facciano supplicazioni,<br />

preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, per<br />

i re e per tutti quelli che sono in autorità, affinché possiamo menare<br />

una vita tranquilla e quieta, in ogni pietà e onestà. Questo è buono e<br />

accettevole nel cospetto di Dio nostro Salvatore, il quale vuole che tutti<br />

gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità» (Cfr.<br />

I Tim. 2, 1-4). Non poche volte i Padri e le Chiese hanno interpretato<br />

questa raccomandazione di San Paolo nel senso che alla mattina e alla<br />

sera si rivolgessero a Dio suppliche sia per le varie « comunità, quali la<br />

Chiesa, sia per singole persone, quali il Papa, i Vescovi, i poveri, sia<br />

per ottenere un bene determinato, quale la pace, la prosperità, ecc. ». A<br />

- 165-


queste « petizioni» si aggiungevano spesso preghiere per offrire a Dio<br />

Padre e a Cristo la giornata e le varie attività degli uomini.<br />

Esula dal nostro compito riferire qui i documenti circa l'uso delle<br />

Preci nella storia. Piace tuttavia accennare alcune idee fra le tante che<br />

rivelano il culto e la pietà delle Chiese.<br />

S. Giovanni Crisostomo afferma: «I fedeli sanno bene che ogni<br />

giorno, mattina e sera, preghiamo per il mondo intero, per i re e per<br />

tutti i pubblici ufficiali» (In Ep. I Tim. 2, 1; PG, 62, 630).<br />

Le Costituzioni Apostoliche, lib. VIII, c. 35-38 offrono sia per le<br />

Laudi che per il Vespro vari formulari dell' Ufficio della Chiesa locale,<br />

in cui si trovano preghiere non solo per le persone ma anche per la<br />

santificazione delle ore mattutine e vespertine (Ed. F. X. Funk,<br />

pp. 542-549).<br />

La pellegrina Egeria (sec. IV-V) fa spesso menzione esplicita delle<br />

Preci che avevano luogo nell' Ufficio comunitario della Chiesa di Gerusalemme<br />

(Cfr. Ed. H. Pétré, Ethérie, Journal de voyage, Paris 1948,<br />

pp. 190-192).<br />

Esempi concreti di alcune Preci si hanno nell' Antifonario di Bangor,<br />

il quale segue, come pare, le prescrizioni che San Colombano stabill<br />

nel cap. VII della sua Regola (cfr. Antifonario di Bangor, di E.<br />

Franceschini, Padova 1941, pp. 45, 48-66, 75-76). Preci per le Lodi<br />

e per i Vespri sono prescritte da alcune Regole monastiche, anche se<br />

la loro misura e forma non è determinata con esattezza: cosi per es.<br />

la Regola di San Benedetto e la « Regula Magistri ».<br />

È da tener presente inoltre che Preci di tal genere fanno parte dell'Ufficio<br />

romano, ambrosiano, visigoto, bizantino, siro, caldeo, copto,<br />

etiopico, ecc.<br />

Per quanto riguarda l'Ufficio romano, a parte la chiara testimonianza<br />

di Amalario, tutti sanno che alcune Preci furono conservate fino<br />

ad oggi in una data misura per alcuni giorni, anche se con varie restrizioni<br />

ed abbreviazioni.<br />

Non si può tuttavia negare che queste Preci caddero un po' per<br />

volta nella disistima di chi se ne serviva. Fra le cause principali che determinarono<br />

questo fenomeno possono forse a buon diritto essere annoverate<br />

le seguenti.<br />

Le Preci acquistarono attraverso il tempo un'indole penitenziale:<br />

ciò valse ad adulterare non poco il loro genuino carattere e a confinarne<br />

l'uso in alcuni determinati giorni. Per di più le Preci divennero<br />

troppo lunghe e furono composte in maniera eterogenea tanto da provocare<br />

fastidio in alcuni animi.<br />

166 -


Ma ai nostri giorni l'animo di molti era ad esse alieno soprattutto<br />

a motivo della loro « fissità» che non solo generava monotonia ma prescindeva<br />

anche dalla necessaria connessione colle variabili condizioni di<br />

vita, di tempo, di luoghi e di persone. Così l'elemento che una volta<br />

aveva la massima efficacia (Egeria per esempio ricorda le infinite « voci »<br />

dei fanciulli che rispondevano) venne a perdere in gran parte, e forse<br />

del tutto, la sua attrattiva.<br />

Coloro cui era affidato il compito della riforma dell'Ufficio divino<br />

dovevano stabilire se le Preci fossero da conservarsi. In caso affermativo,<br />

essi dovevano strutturarle in modo che corrispondessero meglio<br />

ai voti degli uomini del nostro tempo, raggiungessero il loro fine, incidessero<br />

efficacemente nella vita e nella pietà di coloro che se ne fossero<br />

serviti.<br />

La Commissione conciliare del Concilio Vaticano II aveva trattato<br />

delle Preci solo «per transennam», in quanto la questione non era<br />

ancora stata sottoposta a studio diligente. Si disse che essa spettava<br />

« potius ad peritos qui post Concilium adlaborabunt ad exsecutionem<br />

Constitutionis quia quaestiones technicae tanguntur, quae respiciunt<br />

Commissionem postconciliarem» (Cf. Modi a Patribus conciliaribus<br />

propositi a commissione conciliari de sacra Liturgia examinati. IV.<br />

Caput IV De Officio divino, n. 33, p. 14).<br />

La Commissione postconciliare, ossia il « Consilium ad exsequendam<br />

Constitutionem de sacra Liturgia» stabilì di inserire le Preci sia<br />

alle Lodi che ai Vespri (Cf. Schema n. 50, De Breviario 14; 1 dee.<br />

1964, p. 14-15; Sch. Res Secretariae, n. 19; 14 iunii 1965, p. 4-5;<br />

Sch. Res Secretariae, n. 25; 28 octobris 1966, p. Il). Era ben chiaro<br />

infatti che le Preci potevano diventare una parte delle Lodi e dei<br />

Vespri in cui avrebbero avuto il dovuto risalto le necessità, le aspirazioni,<br />

i voti, i propositi, le iniziative, le varie circostanze ed occasioni,<br />

le mutevoli condizioni delle chiese locali, delle comunità e dei singoli<br />

oranti.<br />

Le opinioni espresse dagli organi di informazione e alcuni esperimenti<br />

indicavano che l'introduzione di Preci rinnovate avrebbe dato<br />

all'Ufficio divino un certo carattere di più chiara attualità e avrebbe<br />

maggiormente favorito la partecipazione attiva del popolo.<br />

Tuttavia fino all'aprile 1967 la questione delle formule da usare<br />

no.n fu mai affrontata in profondità e « ex professo », per dare la precedenza<br />

ad argomenti più generali e più complicati. Fu fatto quindi<br />

un primo esperimento con un formulario interamente nuovo da adope-<br />

- 167-


arsi m determinati giorni: allora apparvero alcune difficoltà prima<br />

non notate. Dopo nuovo esame sembrò opportuno istituire un piccolo<br />

« coetus » composto da pochi membri. Questo piccolo gruppo (coetus<br />

XII bis) appena istituito, compì ricerche storiche, teologiche e pastorali<br />

e soppesò vari criteri e norme di composizione. L'esito del lavoro<br />

fu presentato e discusso nella riunione di studio per l'Ufficio (coetus<br />

IX) e nella Sessione plenaria dei Relatori e dei Vescovi. Il «Consilium<br />

» approvò in modo generale i criteri e le norme, senza peraltro<br />

scendere ai dettagli. Lo stesso « Consilium » permise anche di creare<br />

un « corpus» distinto in vari cicli: tempi speciali (cioè Avvento, Natale,<br />

Quaresima, Pasqua), principali giorni festivi dell'anno liturgico,<br />

comuni, tempo ordinario. Circa quest'ultimo, dato che il salterio risulterà<br />

distribuito in quattro settimane, fu stabilito che le Preci formassero<br />

anch'esse una serie di quattro settimane. (Cf. Schema 227, De<br />

Breviario, n. 48; 9 maii 1967, p. 12; Sch. 239, De Brev. 55; 25 augusti<br />

1967, pp. 7-10. Cf. etiam Relationem ad Synodum, Pars I, III, De<br />

Officio divino, I, 2; Sch. 263, De Brev., 44; lO dee. 1967, pp. 11-14).<br />

La fase di composizione iniziò dopo le prime ricerche. Ma trattandosi<br />

di cosa nuova, il « Consilium » richiese degli esperimenti che<br />

furono fatti qua e là in varie nazioni proponendo e raccomandando le<br />

versioni in lingua parlata dei testi latini già preparati. Dalle osservazioni<br />

pervenute a suo tempo risultò quanto segue:<br />

a) Tutti furono favorevoli all'idea di inserire questo genere<br />

di Preci nelle Lodi e nei Vespri.<br />

b) Tutti affermarono di preferire formule brevi, semplici, concise,<br />

tratte soprattutto dai testi biblici.<br />

c) Fu espresso il voto di lasciare una certa libertà.<br />

Dopo le osservazioni, le formule furono corrette ed arricchite<br />

di numero. I Padri del « Consilium », presa visione di questi formulari,<br />

li approvarono « sensu quodam generali », in quanto intendevano<br />

che il lavoro iniziato dovesse continuare fino a raggiungere i termini<br />

di una sufficiente perfezione (Sch. 284, De Brev. 70; 25 rnartii 1968,<br />

pp. 11-14; Sch. 294, De Brev. 73, 14 martii 1968, pp. 10-11).<br />

Da tutto ciò deve apparire chiaro il fine della presente edizione:<br />

le attuali Preci vanno corrette « ad ultimos apices » per poter essere<br />

inserite quindi nell'Ufficio divino.<br />

- 168


2. Alcuni criteri seguiti nella composizione.<br />

A. Struttura Generale<br />

Ogni formulario comincia con un Invitatorio o Introduzione, che<br />

oltre a suggerire la risposta .della comunità, 'esprime anche l'elemento<br />

della confessione.<br />

L'Invitatorio è seguito generalmente da quattro formule per le<br />

Lodi e da cinque per i Vespri. La quinta formula dei Vespri ,è sempre<br />

per i Defunti; dato che il «Consilium» ha stabilito di sopprimere<br />

il versetto finale «Fidelium animae » che concludeva ogni Ora, dell'Ufficio<br />

divino, sostituendolo con una speciale intenzione .nelle Preci<br />

dei 'Vespri.<br />

L'Invitatorio o Introduzione è giudicato necessario almeno per<br />

due ragiom:<br />

a) l'esecuzione in comune esige assolutamente un qualche preavviso<br />

e il suggerimento della risposta da dare: questa esigenza è' stata<br />

confermata dagli esperimenti.<br />

. b) la seconda è una esigenza teologica più profonda e più importante,<br />

iii quanto la supplica-domanda cristiana 'trae ottimamente 'la<br />

sua origine dalla' confessione, dal ricordo e dalla lode delle meraviglie<br />

di Dio. La domanda di' un favore deriva dalla ,lode delle opere di Dio<br />

o dei misteri di Cristo o delle perfezioni divine perché secondo la tradizione<br />

giudaica e cristiana, Dio concedendo il favore richiesto rinnova<br />

le sue meraviglie e dimostra la veridicità dei suoi attributi. '<br />

. , ,<br />

Le Preci delle Lodi ricalcano in qualche modo l'indole dell'Ora<br />

di Prima, anzi la esprimono in modo più ricco e vario; in genere mirano<br />

della giornata e le impreviste circostanze in cui ci si può imbattere<br />

a consacrare a Dio con pietà e religione le ore del mattino, le, attività<br />

fino a sera.<br />

Le Preci dei Vespri sono soprattutto formule di intercessione per<br />

le necessità del popolo di Dio.<br />

B. Genere e stile delle Preci.<br />

Queste Preci sono state composte in modo- da formare un genere<br />

diverso dalla Preghiera dei Fedeli della Messa. In questo modo si è<br />

evitata la monotonia, non solo, ma SI sono ottenute formule che .si<br />

169 -<br />

, '


adattano indifferentemente alla recita col popolo, alla recita in comunità,<br />

e possono anche essere recitate dai singoli o da piccoli gruppi.<br />

Per questo, dopo l'Invitatorio o Introduzione, la preghiera è rivolta<br />

direttamente a Dio; mentre nella Messa, dopo l'Introduzione si invitano<br />

i fedeli a rivolgersi a Dio.<br />

Ogni Prece consta di due parti. Alla seconda parte è anteposto<br />

un trattino: esso indica che le parole che seguono possono essere<br />

usate come risposta variabile, se questo modo di rispondere piace e<br />

sembra più adatto. Le formule in genere sono brevi; spessissimo<br />

(anche se non sempre se ne cita il riferimento) sono tratte dal testo<br />

biblico e opportunamente adattate allo stile della preghiera. Qualche<br />

volta affiorano appena vaghe reminiscenze bibliche. Non di rado sono<br />

stati impiegati testi desunti dai Padri, dalle formule liturgiche antiche<br />

o anche da libri liturgici più recenti. Non mancano formule nuove di<br />

sana pianta.<br />

c. Varietà delle Preci<br />

Di preci ne sono state preparate diverse serie, col preciso scopo<br />

che possano così eccitare la partecipazione attiva e l'attenzione, si<br />

adattino ai tempi e alle principali celebrazioni dell'anno liturgico. Inoltre,<br />

data la loro varietà, si potrà tener conto anche delle varie comunità,<br />

delle persone e delle maggiori necessità avvertite nella vita<br />

del popolo di Dio e di tutta l'umanità. Tornano con maggior frequenza<br />

alcune intenzioni generali e di maggiore importanza, quali p.es. la<br />

preghiera per la Chiesa, per il Papa, per i Vescovi. Le altre intenzioni<br />

seguono un ritmo diverso. Le intenzioni generali precedono quelle<br />

particolari.<br />

3. Norme per l'esecuzione delle preci.<br />

A) Quando le Preci sono recitate col popolo o in comune, il<br />

Sacerdote o ministro dice l'Invitatorio o Introduzione e la risposta.<br />

Il popolo o la comunità ripete la risposta. Le formule che seguono si<br />

possono dire in modi diversi:<br />

a) il Sacerdote o ministro dice ambedue le parti delle singole<br />

formule e gli altri ripetono sempre la stessa risposta già suggerita<br />

nell'Invitatorio.<br />

- 170


) il Sacerdote o mimstro dice solo la prima parte delle<br />

singole formule, mentre gli altri dicono la seconda (quella preceduta<br />

da un trattino).<br />

c) il Sacerdote o ministro dice ambedue le parti delle singole<br />

formule e invece della risposta si fa seguire qualche attimo di<br />

silenzio.<br />

Il modo più adatto alle circostanze può essere scelto nei singoli<br />

casi.<br />

Quando le Preci sono recitate da una singola persona o da un<br />

piccolo gruppo,<br />

da ripetere.<br />

si può omettere l'Invitatorio o Introduzione e il verso<br />

B) Al posto della risposta fissa indicata nei formulari, se ne<br />

può usare nei singoli casi un'altra che sembri più adatta.<br />

C) Al formulario stabilito per un giorno determinato se ne può<br />

sostituire un altro della stessa settimana o dello stesso periodo liturgico.<br />

D) Alle Preci, sia nelle Lodi che nei Vespri, si possono sempre<br />

aggiungere alcune intenzioni particolari della chiesa locale o della<br />

comunità. Nel caso di recita individuale o di un piccolo gruppo, si<br />

possono aggiungere intenzioni personali. Si tenga presente tuttavia che<br />

l'ultima Prece dei Vespri deve essere sempre per i defunti.<br />

E) In circostanze speciali (quali peculiari solennità, Battesimi,<br />

Matrimoni, Professioni religiose, Giubilei, Funerali, ecc.) le intenzioni<br />

particolari possono precedere quelle generali. In questo caso tutti potrebbero<br />

rispondere ripetendo il versetto suggerito nell'Introduzione.<br />

F) Le Preci vanno inserite dopo aver ripetuto l'antifona del<br />

Benedictus o del Magnificat, o immediatamente al termine di questi<br />

cantici nel caso che le antifone non vengano ripetute.<br />

Dopo il saluto Dominus vobiscum e la sua risposta segue l'Introduzione<br />

delle Preci col verso da ripetersi e con le varie formule, come<br />

si è già detto.<br />

Terminate le formule, si può aggiungere una delle ammonizioni<br />

che si trovano alla fine dell'opuscolo; segue il Pater noster e senza<br />

Oremus l'orazione propria del giorno o del tempo liturgico.<br />

- 171 -


Dominica ad Laudes<br />

Il volumetto « De Precibus ad Laudes et ad Vesperas<br />

Officii divini» è stato edito « pro rnanuscripto » dalla<br />

Sacra Congregazioneper ilCulto divino, e contiene 1269<br />

formule.<br />

Le notizie che ne abbiamo date costituiscono la Introduzione<br />

del volumetto. La versione dal latino è nostra,<br />

e viene pubblicata col gentile permesso del Rev.mo<br />

Padre Annibale Bugnini, Segretario della S. Congregazione<br />

per il Culto Divino.<br />

Crediamo utile pubblicare qui di seguito un esempio<br />

concreto delle Preci (pag. 63):<br />

634 Christum Dominum, diem et solem nostrum, qui illuminat omnem<br />

hominem venientem in hunc mundum, et qui nescit occasum,<br />

deprecemur et ei dicamus: O Domine, vita et salus nostra! (Cfr<br />

lo 1,9; S. August. Sermo 177 de Nat. Dom.; PL, 38, 1003).<br />

635 Primitias hujus diei, o Siderum creator, a tua pietate gratanter<br />

suscipimus,<br />

- Resurrectionem tuam commemoramus.<br />

636 Spiritus tuus bonus voluntatem tuam hodie nos facere doceat,<br />

- et tua Sapientia deducat nos semper (Cfr Ps. 142, 10).<br />

637 Magno cum gaudio coetui dominicali da nobis interesse,<br />

- in circuitu mensae verbi et corporis tui.<br />

638 Gratias agunt tibi animae nostrae,<br />

pro innumeris beneficiis tuis (Cfr Antiph. Benchorense, 49).<br />

Dominica ad Vesperas<br />

639 Christum Dominum qui est caput nostrum et cujus nos membra<br />

sumus, deprecemus et ei dicamus: Adveniat regnum tuum, Domine.'<br />

(Cfr Eph. 4, 15; 1, 22-23; Mt. 6, 10) ..<br />

- 172-


640 Ecclesiam tuam, Salvator noster, vividius totius generis humani<br />

unitatis sacramentum constitue,<br />

- et efficacius cunctis gentibus mysterium salutis (Cfr Lumen<br />

Gentium, 1, 8).<br />

641 Antistitum collegio cum Papa nostro semper adesto,<br />

- largire eis dona unitatis, caritatis et pacis.<br />

642 Fac ut christiani arctius tibi Capiti divino uniantur,<br />

- et regnum tuum testimonio vitae proclament.<br />

643 Pacem mundo praestare digneris,<br />

- ut securitas et tranquillitas ubique florescant.<br />

644 Novissimae resurrectionis gloriam defunctis concede,<br />

- et illorum beatitudinis fac nos consortes.<br />

1258 Et nunc orationem, quam Christus Dominus nos docuit omnes<br />

simul dicamus: Pater noster ...<br />

- 173-


Iean De La Croix Bouton O. C.S.O.<br />

Storia dell'Ordine Cistercense<br />

(Sesta Puntata)<br />

Cluny dalle origini alla morte di S. Ugo (909-1109)<br />

Nel 1080, il papa Gregorio VII esclamava in pieno Concilio Lateranense:<br />

«Quante abbazie al di là delle Alpi sono più antiche di<br />

Cluny; ebbene non ve n'è una che l'eguagli in virtù, dignità e fervore<br />

nel servizio di Dio! ». Questo magnifico elogio di Gregorio VII allora<br />

veniva ratificato da tutta la cristianità; e oggi si può appena immaginare<br />

che cosa Cluny fosse per gli uomini della seconda metà del secolo XI.<br />

Il papa Urbano II non esagerava quando parlava di Cluny come di un<br />

« nuovo sole che spande i suoi raggi sulla terra ».<br />

I grandi abati<br />

Niente lasciava prevedere quale sviluppo Cluny avrebbe avuto,<br />

quando l' Il settembre 909 Guglielmo d'Aquitania, conte di Macon,<br />

donò il sito dell'abbazia all'abate Bernone di Baume, «a condizione<br />

che vi fosse costruito un monastero regolare in onore degli apostoli<br />

Pietro e Paolo e che vi si riunissero dei monaci militanti sotto la Regola<br />

di S. Benedetto ». Bernone, ex-monaco di S. Martino d' Autun, che<br />

aveva già fondato Gigny nell' 893 e restaurato Baume, accolse molto<br />

volentieri la domanda del pio duca d'Aquitania e condusse nella valle<br />

di Cluny alcuni monaci di Gigny e di Baume. La prima impressione fu<br />

tutt'altro che lusinghiera. I primi anni furono difficili. Tuttavia, malgrado<br />

la morte del fondatore e protettore avvenuta nel 918, Cluny si sviluppò<br />

sotto il governo di Bernone. Questi alla sua morte (926) dispose dei monasteri<br />

come avrebbe fatto un proprietario laico: lasciò Gigny, Baume<br />

e Mauthiers-en-Bresse a Guido suo nipote, e Cluny, Déols e Massay<br />

al suo discepolo Odone.<br />

Fu SANT'ODONE, abate dal 926 al 942, che cominciò veramente<br />

a fare di Cluny il centro di un nuovo Ordine. Era un uomo piccolo di<br />

statura, serio e grave, camminava sempre a testa bassa e fu soprannominato<br />

per tale ragione « il beccamorto ». Ma fu soprattutto un uomo<br />

profondamente religioso, che insisteva particolarmente sulla preghiera<br />

- 175 --


costante, la lettura e la salmodia. Nel 931 il papa Giovanni XI l'autorizzò<br />

ad accogliere qualsiasi monastero desiderasse migliorare la propria<br />

disciplina e qualsiasi monaco il cui abate rifiutasse di adottare la<br />

riforma. Così l'influenza dell'abate di Cluny cominciò ad accrescersi;<br />

e tale autorità morale durò anche dopo la morte di S. Odone (942).<br />

Il suo successore AIMARDO(942-963) fu un monaco venerato e<br />

pieno di umiltà, amante del silenzio e del chiostro, eccellente amministratore.<br />

Verso il 942 perse la vista e come aiutante si scelse Maiolo,<br />

che gli successe sul seggio abbaziale nel 954.<br />

SAN MAIOLO, che governò Cluny per quaranta anni (954-994),<br />

era un uomo di bell'aspetto, appassionato della lettura (non usciva mai<br />

senza un libro), oratore piacevole, moderato in tutto; realizzava l'ideale<br />

benedettino con tale eleganza, pur nella perfetta semplicità, che fu<br />

soprannominato «principe della vita ». Seguendo l'esempio di S.<br />

Odone, percorse instancabilmente la Francia Capetingia, la Borgogna,<br />

la Provenza, l'Italia, la Svizzera e la Germania, al fine di estendere la<br />

riforma monastica e di visitare le filiali sempre più numerose. Ebbe<br />

una grande parte nella politica europea e rifiutò la tiara che l'imperatrice<br />

Adelaide, moglie di Ottone il Grande, di cui egli era consigliere,<br />

lo sollecitava ad accettare. Alla sua morte, l' Il maggio 994, Ugo Capeto<br />

prese a suo carico tutte le spese dei funerali, rendendogli così<br />

una testimonianza pubblica di stima e di venerazione.<br />

Il suo successore, SANT'ODILONE DI MERCOEUR,governò Cluny<br />

per cinquantacinque anni (994-1049). Piccolo di statura, magro, irrequieto,<br />

divorato da una fiamma interiore che si manifestava nell'aspetto<br />

e attraverso i suoi occhi vivi, oratore mediocre, ma scrittore fecondo,<br />

fu uomo politico molto influente e capo energico. Sotto il suo lungo<br />

governo l'orbita di Cluny si estese a dismisura: il numero dei grandi<br />

monasteri su cui si esercitava l'influenza cluniacense crebbe da trentasette<br />

a sessantacinque, senza contare centinaia di piccole case, che venivano<br />

chiamate «celle ». S. Odilone diede anche esempio di ammirabile<br />

carità; soleva dire: «L'oro della Chiesa è fatto per essere distribuito,<br />

non per essere ammucchiato ». E fu lui a istituire nel suo monastero,<br />

il 2 novembre 998, una solenne commemorazione di tutti i defunti,<br />

che in seguito fu adottata dalla Chiesa universale.<br />

Benché molto lungo e fecondo, il governo di S. Odilone fu superato<br />

da quello del successore S. UGO DI SEMUR, che fu superiore di<br />

Cluny per ben sessanta anni (1049-1109). Slanciato nella persona e<br />

nobile di aspetto, S. Ugo fu un distinto oratore e un abile diplomatico;<br />

si trovò immischiato in tutti i grandi eventi del suo secolo; vide due<br />

- 176-<br />

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dei suoi monaci elevati al Soglio Pontificio (Urbano II e Pasquale II),<br />

ed egli stesso rifiutò la tiara più volte. L'energico Gregorio VII, nella<br />

sua opera di riforma della Chiesa, trovò nell'abate di Cluny il suo<br />

migliore aiuto, e gli conferi il privilegio dei pontificalia.<br />

Prima di parlare dello spirito di Cluny che assicurò il successo<br />

e l'influenza dell'« impero di Cluny» sulle innumerevoli case sparse in<br />

tutta Europa (se ne contavano più di 1400), vogliamo dare uno sguardo<br />

all'organizzazione dell' Ordine. «Perché fu nella struttura dell' Ordine<br />

e della sua gerarchia che Cluny veramente innovò. Portò una concezione<br />

nuova del monachesimo, con la quale si iniziò un nuovo periodo<br />

della vita claustrale: d'ora in poi questa avrà la sua forza non più nelle<br />

sue applicazioni e nei suoi meccanismi, bensì nella ricerca dell'unità e<br />

della centralizzazione, per cui un gran numero di case separate verranno<br />

riunite in un'unica osservanza e sotto un unico capo ». (D. Ph. SCHMITZ,<br />

Hist. de l'Ordre de S. Benoit, t. I, p. 135).<br />

L'organizzazione dell' Ordine<br />

L'idea di riunire i monasteri in un corpo organizzato, sconosciuta<br />

a S. Benedetto, appena intravista da S. Benedetto d'Aniano, non fu<br />

dapprima familiare neppure a Cluny, ma poi, a poco a poco, vi prese<br />

forma. Già Bernone nel suo testamento auspicava che tra i suoi monasteri<br />

regnasse l'unità (unanimitas ... tam in psalmodia quam in obsercatione<br />

silentii sed et qualitate victus et vestitus).<br />

Cluny era «sotto la protezione di S. Pietro ». Odone fece rinnovare<br />

questo privilegio nel 931 da Giovanni XI, che l'autorizzò anche<br />

ad accogliere tutti i monasteri che desiderassero essere riformati.<br />

S. Odone usò questo metodo: percorreva la Francia e l'Italia da un'abbazia<br />

all'altra; si fermava in ciascuna di esse per un periodo più o meno<br />

lungo, ogni mattina spiegava la Regola in capitolo, cercava di attirare<br />

i bene intenzionati, quindi vi lasciava o faceva venire qualche cluniacense<br />

che continuasse l'opera, e tornava di tanto in tanto per rendersi<br />

conto dei risultati e per infondere nuovo coraggio. I successori continuarono<br />

sulla stessa linea a tal punto da guadagnarsi la fama di perenni<br />

viaggiatori. L'unione cosi formata tra Cluny e i monasteri riformati<br />

era quasi soltanto morale. Sotto S. Maiolo e' soprattutto sotto<br />

S. Ugo prese maggior consistenza. Si potevano distinguere nettamente<br />

diversi gruppi di case cluniacensi: da una parte le case mediate, dipendenti<br />

da un grande monastero, soggetto a sua volta direttamente a<br />

Cluny; dall'altra le case immediate, da classificarsi in tre categorie:<br />

1 0 i priorati completamente soggetti a Cluny, che avevano come abate<br />

- 177-


unicamente l'abate di Cluny. Cinque di essi, le « cinque figlie di Cluny »,<br />

vale a dire Lewes, La Charité-sur-Loire, Saint-Martin-des-Champs, Souvigny,<br />

Sauxillanges, erano privilegiate, e il loro superiore aveva il titolo<br />

di priore maggiore. Il priore di La Charité aveva sotto di sé ben cinquantadue<br />

priorati o celle. 2° Le abbazie soggette completamente a<br />

Cluny, che avevano ottenuto il permesso di conservare il titolo abbaziale;<br />

3° le abbazie assoggettate o rimesse in ordine, sulle quali l'abate<br />

di Cluny aveva una giurisdizione che variava da abbazia ad abbazia.<br />

In tutte queste case l'abate di Cluny aveva il diritto di integrare<br />

la Regola imponendo i costumi di Cluny, ed era libero di adattarli ai<br />

tempi e ai luoghi. Il personale di tutto l'ordine era modellato approssimativamente<br />

su quello della casa-madre, secondo il principio dell'<br />

« estensione ». È .vero che ogni priorato accoglieva e formava i suoi<br />

novizi, ma soltanto l'abate, e di più a Cluny, li ammetteva alla professione.<br />

L'abate poteva trasferire un monaco da una casa all'altra ogni<br />

volta che lo riteneva opportuno. L'abate comune di tutti i monaci dell'Ordine<br />

era quello che «visitava» tutti i monasteri dell' Ordine, di<br />

persona o per mezzo di un delegato. Di modo che il potere dell'abate<br />

di Cluny era quasi assoluto. Tutto poggiava su di lui, perché tutto dipendeva<br />

da lui. In ciò fu la sua forza, ma anche la sua debolezza.<br />

(D. SCHMITZ,op. cit., t. II p. 134 ss.).<br />

Bisogna riconoscere che in un'epoca di disgregazione generale la<br />

forte centralizzazione di Cluny sotto abati eccezionali fu un bene e<br />

per il monachesimo e per la Chiesa intera. Se alla fine del secolo IX<br />

si son visti canonici sostituire monaci degenerati (questo non perché<br />

i canonici rimanessero sempre fedeli ai loro regolamenti promulgati a<br />

Aix-la-Chapelle nell' 817, ma perché costavano meno dei monaci, che<br />

non avevano alcuna fortuna personale), nel X e nell' XI secolo, al contrario,<br />

furono i monaci dei monasteri riformati, come Gorze e Cluny, a<br />

prendere il posto dei canonici. In questo modo Cluny - nota G. SCHREI-<br />

BER iGemeinscbaiten der Mittelalters, Regensburg, Miìnster, 1948,<br />

pp. 81 ss e 139 ss.) - grazie alla sua vasta rete di priorati, contribui a<br />

liberare molte chiese dalle mani dei laici.<br />

Lo spirito di Cluny<br />

All'inizio dell'opera di Bernone il programma di vita era molto<br />

semplice: osservare la Regola di S. Benedetto commentata da S. Benedetto<br />

d'Aniano.<br />

Presso quest'ultimo la liturgia occupava già una parte considerevole<br />

della giornata del monaco. Al tempo di S. adone fu aumentata<br />

- 178-<br />

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ancor più. Non è certo che adone componesse opere musicali (cf. Saint<br />

Odo n et son oeuvre musicale, in Actes du Congrès de Cluny, 1950),<br />

ma è indiscutibile che egli amava la musica e le cerimonie liturgiche,<br />

e che a cominciare dal suo abbaziato il coro divenne l'occupazione principale<br />

del monaco cluniacense. Gli si sarebbe potuta benissimo attribuire<br />

la risposta che un giorno S. Uberto fece a un chierico che gli chiedeva<br />

se non era possibile abbreviare un pò l'Ufficio: «No, recitatelo<br />

più a lungo e meglio possibile ». Il benedettino Ruperto di Deutz, che<br />

viveva realmente la liturgia, considerava il Verbo Divino come il Grande<br />

Strumento musicale del Padre e tutte le creature come strumenti<br />

della lode di Dio. A maggior ragione il monaco avrebbe dovuto dedicarsi<br />

giorno e notte alla lode. E quando si trattava di glorificare Dio<br />

nessuno splendore poteva considerarsi eccessivo. È il « lusso per Dio »,<br />

che si manifesta non soltanto nella grandiosità delle cerimonie ma in<br />

tutto ciò che riguarda il Tempio di Dio: architettura, decorazione, arredamento.<br />

Lo spirito di Cluny risiedeva essenzialmente in una concezione<br />

molto elevata della grandezza di Dio. Quoniam Deus magnus<br />

Dominus, et Rex magnus super omnes deos. Per questo Cluny era<br />

destinata a divenire una vasta scuola d'arte che si sarebbe irradiata<br />

in tutto l'Occidente (cf. F. MERCIER, Les Primitifs Français, éd. Picard,<br />

1931). La chiesa abbaziale fatta erigere da S. Ugo a cominciare dal<br />

1088, la più vasta dopo S. Pietro in Roma, era un capolavoro d'arte<br />

con i suoi 68 pilastri, le sue 300 finestre, il suo colonnato di marmo,<br />

la cupola sull'abside con un immenso affresco che rappresentava la<br />

gloria dell' Eterno Padre, le cappelle, i mausolei, i reliquiari e tanti altri<br />

tesori. Il lavoro negli studi di pittura, scultura, oreficeria, miniatura,<br />

d'ora in poi occuperà il posto del lavoro manuale nei campi, lasciato<br />

quasi esclusivamente ai coloni e ai familiari. D'altronde il tempo<br />

lasciato libero dal lungo Ufficio era veramente poco. Ed è per questo<br />

che anche lo studio non veniva approfondito. Se si eccettua Pietro<br />

il Venerabile, Cluny non conta grandi nomi tra i letterati. Essi brillarono<br />

piuttosto nell'arte della copiatura e della miniatura. Tuttavia,<br />

come testimonia una lista di «libri di Quaresima» distribuiti a 63<br />

monaci nel 1042, la biblioteca era ricca e il livello di cultura abbastanza<br />

elevato.<br />

Se l'Ordine non ha mai fatto professione di alta cultura intellettuale,<br />

esso va però giustamente lodato per le sue opere di carità. L'abbazia<br />

di Cluny, nella misura in cui fu grandiosa nel culto di Dio, fu anche<br />

grande e generosa nell'elemosina; e queste due note caratteristiche<br />

restano la sua gloria imperitura.<br />

- 179


Diversi aspetti del monachesimo Benedettino<br />

nel secolo XI<br />

Sarebbe assurdo voler classificare in modo preciso le migliaia di<br />

monasteri -abbazie, priorati, semplici celle - che coprivano il suolo<br />

europeo verso la metà del secolo XI. Abbiamo visto che i monasteri<br />

dipendenti da Cluny si ripartivano in tre categorie. Ebbene Cluny rappresentava<br />

solo una piccola parte del monachesimo occidentale. Bisogna<br />

dunque accontentarsi di indicare i principali centri di irradiamento<br />

e le tendenze che li caratterizzavano, anche a rischio di commettere<br />

qualche errore su tale o tal'altra abbazia le cui osservanze si sono successivamente<br />

evolute.<br />

Abbiamo cercato di evidenziare lo spirito di Cluny. Su questa base<br />

si possono distinguere: 10 le riforme e le fondazioni che restano sulla<br />

linea di Cluny; 2 0 quelle che vanno oltre Cluny.<br />

A) Fondazioni e riforme sulla linea di Cluny<br />

Ispirati o non ispirati da Cluny, questi fondatori o riformatori<br />

mirano principalmente a combattere gli abusi che nel periodo precedente<br />

hanno devastato l'istituzione monastica e causato la decadenza del<br />

monachesimo (e che non sono cessati del tutto). Montalembert ha riassunto<br />

questi abusi e cause di decadenza in quattro categorie: 10 lotte<br />

troppo frequenti tra abbazie e vescovi; 2 0 oppressione degli avvocati;<br />

3o rilassamento della disciplina dovuto al vizio della proprietà, alla<br />

ammissione di candidati troppo giovani, alla cattiva condotta di alcuni<br />

abati; 4 0 interventi secolari nelle elezioni abbaziali (cf. Précis d' Histoire<br />

monastique, pp. 270-279). Cluny reagì contro questi abusi e, grazie<br />

alla sua unicità di direzione e alla sua forte coesione, riuscì a frenare<br />

le invasioni dei laici (e spesso anche dei vescovi). D'altra parte, per<br />

il suo attaccamento alla Sede Apostolica, essa favorì la riforma generale<br />

intrapresa dai Papi, specialmente da Gregorio VII, e restava sempre<br />

una forza morale pronta a mettersi al servizio della Chiesa. L'influenza<br />

di Cluny si esercitò non soltanto sulle case affiliate all' Ordine ma<br />

anche su numerosi monasteri che, pur non entrando nell'orbita cluniacense,<br />

accettarono della grande abbazia lo spirito che l'animava e<br />

i costumi che la governavano, e li comunicarono alle loro fondazioni.<br />

Così, parallelamente a Cluny, si formarono dei piccoli « Ordini », più<br />

modesti. Possono ricordarsi come «case-madri» di ordini sulla linea<br />

di CIuny:<br />

- 180-


IN FRANCIA: Fleury-sur-Loire 930, Marmoutiers v. 982, Montmajour<br />

949, San Vittore di Marsiglia restaurato nel 1066, Lérins<br />

v. 990, la Chaise-Dieu v. 1043, Le Bee 1034.<br />

IN ITALIA: S. Michele delle Chiuse in Piemonte v. 987, Cava<br />

dei Tirreni in provincia di Salerno lOIl, che qualcuno ha chiamata<br />

« La replica di Cluny in Italia ».<br />

IN SPAGNA: San Juan de la Pena, in Aragona, 1025.<br />

IN INGHILTERRA, Cluny non ebbe la direzione del movimento<br />

di riforma, perché il primo priorato cluniacense inglese, Lewes, risale<br />

al 1077, ma Lanfranco, consigliere ecclesiastico di Guglielmo il Conquistatore,<br />

era animato dallo spirito di Cluny.<br />

IN GERMANIA, i costumi di Cluny si diffusero attraverso<br />

Hirschau, dove furono introdotti verso il 1073 dall'abate Guglielmo.<br />

La ripresa della vita monastica era evidente, ma purtroppo alcune abbazie<br />

presero parte alle lotte tra il Clero e l'Impero, schierandosi sia<br />

dalla parte del Papa che dalla parte dell' Imperatore loro protettore:<br />

e tale intrusione negli affari pubblici portò di conseguenza qualche<br />

intralcio all'influenza di Cluny in Germania. A questo contribuì anche<br />

un difetto generale del monachesimo cluniacense: l'attaccamento<br />

alle proprie tradizioni. «Cluny, - scrive M. de Valous - merita<br />

un rimprovero capitale ... : il suo eccessivo conservatorismo» (L' Ordre<br />

de Cluny, t. I p. 377). Per non aver saputo piegarsi alle necessità dei<br />

tempi nuovi, credendo di restar fedele ai suoi fondatori, ne tradì lo spirito.<br />

Bisogna andare anche più oltre e dire con lo stesso storico che,<br />

cristallizzandosi nelle sue tradizioni, essa cessò di praticare una delle<br />

qualità principali che hanno assicurato alla Regola benedettina la sua<br />

sopravvivenza attraverso i secoli: la sua facoltà di adattamento. Il<br />

rimprovero è giusto a partire soprattutto dalla fine del secolo XIII.<br />

Tuttavia, a Cluny non mancarono, già nel secolo XI, monaci e abati<br />

presi da un ideale monastico più alto e insoddisfatti delle osservanze<br />

« tradizionali ».<br />

B) Il monachesimo non cluniacense<br />

Le diverse tendenze del monachesimo nel secolo XI possono farsi<br />

risalire ad alcune idee dominanti che si affermano sempre con maggiore<br />

evidenza: più solitudine e separazione dal mondo, più austerità nel nu-<br />

- 181 -


trimento e nel vestire, rivalutazione del lavoro manuale. Qualche riformatore<br />

cerca di completare la Regola in alcuni punti che essa non<br />

precisa, in particolare nelle relazioni dei monasteri tra loro: bisogna<br />

trovare un compromesso tra l'autonomia assoluta e l'unione sotto una<br />

direzione centralizzata di tipo pacomiano, ripresa da Benedetto d'Aniano<br />

e da Cluny. Per quanto concerne la Regola di S. Benedetto qualcuno<br />

vuole superarla, qualcun altro vuole rimettere in vigore soltanto una<br />

parte delle sue prescrizioni, altri ancora vogliono semplicemente seguida<br />

con più fedeltà.<br />

In linea generale, i fondatori e i riformatori dell' XI secolo hanno<br />

l'assillo della solitudine: tendenza che del resto è conforme allo spirito<br />

della vocazione monastica. Nel secolo successivo, il premostratense<br />

Reimbaud da Liegi nel suo Liber de diuersis ordinibus ecclesiae<br />

fa una netta distinzione tra i monaci che vivono vicino agli uomini del<br />

mondo, come i Cluniacensi, e i monaci che si ritirano lontani dal mondo,<br />

come i <strong>Cistercensi</strong>. I <strong>Cistercensi</strong> nel secolo XI non esistono ancora, ma<br />

si possono prevedere (cf. Le monacbisrne à l'apparition de saint Bernard,<br />

in Bernard de Clairuaux, pp. 45-63).<br />

Bisogna distinguere tra vita comune più o meno separata dal mondo<br />

e vita eremitica o semi-eremitica. In rapporto alla prevalenza dell'una<br />

o dell'altra, possono classificarsi due tipi di fondazioni dell' XI secolo.<br />

1. Fondazioni di tipo eremitico: La vita eremitica non aveva mai<br />

cessato di sedurre anime generose. Ma dopo S. Nilo (910-1005) si nota<br />

in Occidente una vera infatuazione per tale vita. E cosi sorgono ordini<br />

su una base di vita eremitica o semi-eremitica.<br />

La prima fondazione in ordine cronologico è quella dei Camaldolesi.<br />

SANROMUALDO(952-1027), dopo una vita raminga e un soggiorno<br />

a S. Michele di Cuxa in Catalogna, nel 1012 si stabilì a Camaldoli. Aveva<br />

come principio che la vita cenobitica fosse una specie di noviziato<br />

in preparazione alla vita eremitica. Quest'ultima, però, non era lasciata<br />

al capriccio di ciascuno: sia gli eremiti che i cenobiti camaldolesi restavano<br />

sempre sotto la guida di un abate e di una regola.<br />

S. PIER DAMIANI(1007-1072) portò la vita eremitica a Fonte Avellana,<br />

fondata da Landolfo discepolo di S. Romualdo. Divenuto abate,<br />

fondò una congregazione conlo stesso nome di Fonte Avellana. Più tardi<br />

fu eletto vescovo di Ostia (1057).<br />

Nel 1076 S. STEFANODA MURET, che aveva sperimentato la vita<br />

eremitica in Calabria, si stabilì in un luogo isolato della diocesi di Limoges,<br />

nei pressi di Grandmont. Il monastero di Grandmont da lui fon-<br />

- 182-<br />

,<br />

I<br />

" ,


dato, organizzato sulla linea delle antiche laure della Palestina, viveva<br />

in una povertà assoluta e nella completa separazione dal mondo. L'Or·<br />

dine si sviluppò rapidamente.<br />

Qualche anno più tardi, nel 1086, l'ex-canonico di Reims BRU-<br />

NONE,nativo di Colonia, riunì tra le montagne di Chartreuse un piccolo<br />

gruppo di eremiti, riallacciandoli in un primo tempo all'abbazia<br />

benedettina della Chaise-Dieu. Alla domanda di Urbano II, essi si resero<br />

indipendenti, e soltanto nel 1130 redassero un corpo di norme che<br />

regolavano il loro genere di vita. La vita dei Certosini rappresentava<br />

una felice fusione della vita eremitica con quella cenobitica.<br />

2. Fondazioni di tipo cenobitico: Trovando troppo dolce la regola<br />

che si seguiva a Cluny, GUGLIELMODI VOLPIANO,abate di S. Benigno di<br />

Digione (990-1031), aumentò l'austerità nel suo monastero; il che gli guadagnò<br />

l'appellativo di ultraregulam. Misurava il nutrimento dei monaci<br />

con parsimonia e permetteva loro solo indumenti grossolani. Ciò tuttavia<br />

non costituì un ostacolo all'espansione della sua riforma. Essa infatti<br />

si estese fino in Italia (Fruttuaria) e alla morte di Guglielmo contava<br />

quasi quaranta monasteri.<br />

RICCARDODA SAINT-VANNE(1004-1046), decano del Capitolo di<br />

Reims, entrò nel monastero di Saint-Vanne, nella diocesi di Verdun, dietro<br />

consiglio di S. Odilone di Cluny. Divenne abate nello stesso monastero<br />

nel 1004 e ne intraprese la riforma. Vi riuscl così bene che si vide<br />

affidare monasteri da ogni parte. Dimostrò più flessibilità degli abati di<br />

Cluny e seguì la norma di lasciare ad ogni casa la propria autonomia, sotto<br />

la direzione di un abate scelto dai monaci più ferventi. I superiori delle<br />

diverse case dovevano recarsi ogni anno a Saint-Vanne per render conto<br />

della loro amministrazione. Fu questo un primo abbozzo del Capitolo<br />

Generale.<br />

Un discepolo di Riccardo, POPPONE(1020-1048) abate di Stavelot-<br />

Malmédy, nel 1020 introdusse nel suo e in altri monasteri un genere di<br />

vita più rigido di quello di Cluny, senza peraltro rimettere in vigore il<br />

lavoro manuale prescritto da S. Benedetto.<br />

L'Ordine di Vallombrosa, fondato nel 1038 da S. GIOVANNIGUAL-<br />

BERTO,è stato a torto considerato tra le fondazioni di tipo eremitico.<br />

Il biografo di Giovanni, Andrea di Strumi, dice che egli cercò a lungo<br />

un monastero dove si praticasse la vita cenobitica secondo la Regola di<br />

S. Benedetto, ma non ne trovò neppure uno che la vivesse come si conveniva.<br />

Allora radunò un certo numero di discepoli nella solitaria vallata<br />

di Acquabella (in seguito chiamata Vallombrosa), in Toscana, e si<br />

mise a osservare la Regola benedettina in omnibus. Vita comune rigo-<br />

- 183-


osa, separazione totale dal mondo, proibizione assoluta di esercitare<br />

qualsiasi funzione ecclesiastica all'esterno e di accettare chiese e cappelle,<br />

semplicità nel vestiario e nel nutrimento, povertà negli edifici,<br />

silenzio e lavoro manuale: ecco le caratteristiche di Vallombrosa. I fratelli<br />

conversi erano incaricati dei rapporti col mondo e in modo particolare<br />

avevano cura degli ospizi per i pellegrini.<br />

L'Ordine di Vallombrosa fu approvato nel 1055 dal papa Vittore II<br />

e raggiunse una grande celebrità in Italia. Col suo sistema di governo<br />

tutto impregnato di carità e di discrezione, si distinse per la preminenza<br />

della casa-madre, per le visite regolari annuali, per i capitoli generali<br />

degli abati e per l'uniformità delle osservanze come garanzia di coesione<br />

interna: esso rappresenta una delle più felici realizzazioni monastiche<br />

del secolo XI. Talvolta viene di domandarci se i fondatori di<br />

Citeaux non si siano ispirati ad esso per qualche elemento della loro<br />

istituzione. Ma prima di parlare di Molesme, donde uscirono i fondatori<br />

di Citeaux, per completare questo quadro vogliamo dire qualche<br />

parola su due fondazioni che si allontanarono alquanto dall'ideale benedettino<br />

ma che godettero di grande notorietà: Sassovino e la Grande<br />

Sauve.<br />

Ricollegandosi alla Regola benedettina, il venerabile MAINARDO,<br />

Fondatore di Sassovino nella diocesi di Foligno (1080-1085), indirizzò<br />

i suoi monaci alle opere di misericordia e all'insegnamento. La congregazione<br />

di Sassovino contò fino a novantadue monasteri, quarantuno<br />

chiese e sette ospedali.<br />

Quasi contemporaneamente (1078) Geraldo fondava la Grande<br />

Sauve nella diocesi di Bordeaux. Geraldo, già abate a S. Vincent-de-<br />

Laon e a S. Medard-de-Soissons, adottò nel nuovo monastero la Regola<br />

di S. Benedetto, aggiungendovi qualche uso particolare. Come a Sassovino,<br />

i monaci della congregazione della Grande Sauve, che contava<br />

una trentina di monasteri, si occupavano di opere caritative, aiutavano<br />

i pellegrini e avevano scuole per l'educazione dei giovani, mentre una<br />

parte di essi vivevano semplicemente in clausura.<br />

Questa varietà di costumi è una prova della flessibilità e della facilità<br />

di adattamento della Regola benedettina, ma è pure una prova<br />

che la vita monastica si era allontanata dallo spirito di S. Benedetto.<br />

Bisognava dimostrare. dunque, che l'ideale monastico di S. Benedetto<br />

non era un dominio del passato, bensl poteva essere ancora vissuto. E<br />

di questo prenderanno l'incarico i <strong>Cistercensi</strong>.<br />

(Traduzione dal francese di P. Igino Vona O. Cist.)<br />

- 184-


I Monaci e la scrittura, secondo il Concilio Vaticano II<br />

Sacrosanctum Concilium 24<br />

Quando leggo le divine Scritture, Dio passeggia<br />

con me nel Paradiso (S. Ambrogio, epist.<br />

49 n. 3).<br />

« ...Per promuovere la riforma, il progresso e l'adattamento della<br />

Sacra Liturgia, è necessario che venga favorita quella soave e viva<br />

conoscenza della Sacra Scrittura, che è attestata dalla venerabile tradizione<br />

dei riti sia orientali che occidentali ».<br />

Sacrosanctum Concilium 61<br />

« Affinché la mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli con<br />

maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della<br />

Bibbia, in modo che, in un determinato numero di anni, si leggano<br />

al popolo le parti più importanti della Sacra Scrittura ».<br />

Perfectae Caritatis 6<br />

Perciò i membri degli istituti coltivino con assiduità lo spinto<br />

di preghiera e la preghiera stessa, attingendoli dalle fonti genuine della<br />

spiritualità cristiana. In primo luogo abbiano quotidianamente tra le<br />

mani la Sacra Scrittura, affinché dalla lettura e dalla meditazione<br />

dei Libri Sacri imparino «la sovreminente scienza di Gesù Cristo»<br />

(Fil. 3,8).<br />

Dei V erbum 21<br />

«La chiesa ha venerato sempre le Divine Scritture come ha<br />

fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto<br />

nella Sacra Liturgia, di nutrirsi del Pane della Vita dalla mensa sia<br />

della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli...<br />

È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica come la stessa<br />

religione cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura ».<br />

Dei V erbum 25<br />

Perciò è necessario che tutti i chierici, principalmente i sacerdoti<br />

e quanti, come i diaconi e i catechisti, attendono legittimamente al<br />

ministero della parola, conservino un contatto continuo con la Scrittura,<br />

mediante la sacra lettura assidua e lo studio accurato, affinché<br />

- 185-


non diventi «vano predicatore della parola di Dio all'esterno colui<br />

che non l'ascolta di dentro» (S. Agostino) ... Parimenti, il Santo Sinodo<br />

esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi,<br />

ad apprendere «la sublime scienza di Gesù Cristo» (Fil. 3,8)<br />

con la frequente lettura delle divine Scritture. «L'ignoranza delle<br />

Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo» (S. Girolamo) ... Si ricordino<br />

però che la lettura della Sacra Scrittura deve essere accompagnata<br />

dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio fra Dio e l'uomo;<br />

poiché « quando preghiamo, parliamo con Lui; Lui ascoltiamo quando<br />

leggiamo gli oracoli divini» (S. Ambrogio: De Ofliciis Ministrorum).<br />

Dei Verbum 26<br />

« ...Come dall'assidua frequenza del mistero eucansnco si accresce<br />

la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita<br />

spirituale dall'accresciuta venerazione della Parola di Dio, che « permane<br />

in eterno" » (Is. 40,8; cfr. I Pt. 1, 23-25).<br />

Tante volte nel passato ci siamo fermati a pensare a questo piccolo<br />

mistero: come mai negli Stati Uniti, dove le famiglie sono disgregate<br />

più che da noi, dove impera una mentalità edonistica, dove<br />

si adora la libertà sotto tutte le sue forme, dove la moralità non è<br />

certo più elevata che altrove, pure ci sono vocazioni religiose così<br />

numerose? (... )<br />

Quando abbiamo constatato l'entusiasmo, il modo francamente<br />

ottimista, l'accento posto sulla generosità con cui gli americani presentano<br />

l'ideale della perfezione religiosa ci è venuto fatto di pensare<br />

che la crisi delle vocazioni in varie nazioni europee dipenda molto<br />

non solo dal terminus a qua (cioè dalla crisi morale-religiosa delle famiglie)<br />

ma anche dal terminus ad quem (cioè dalla crisi delle stesse<br />

congregazioni religiose, dove gli scontenti, gli spostati, i pentiti non<br />

mancano). Quanto contribuisce alla diffusione del nostro ideale l'intima<br />

contentezza di sentirei felici nel proprio stato! I più ingegnosi<br />

ritrovati propagandistici non produrranno nessun effetto rilevante se<br />

non ci sarà allo stato diffuso e sperimentalmente percettibile questa<br />

atmosfera di serenità, di letizia, di giocondità, frutto non di una fastosità<br />

naturale e tutta esterna, ma rampollante dal fondo delle coscienze<br />

religiose che si trovano in pace con Cristo e con la Regola.<br />

Questa gioia, quando è piena e sincera, è terribilmente contagiosa.<br />

- 186-


Citazioni dal Concilio:<br />

OT. 2- ( ... ) Tutti i sacerdoti dimostrino il loro zelo apostolico<br />

massimamente nel favorire le vocazioni, e con la loro vita ( ... ) vissuta<br />

con interiore gioia (... ), attirino verso il sacerdozio l'animo degli<br />

adolescenti.<br />

OT. 5- ( ... ) I superiori e i professori ( ... ) fra loro e con gli alunni<br />

formino una sola famiglia tale ( ... ) da alimentare negli alunni la gioia<br />

della propria vocazione.<br />

PO. 11- ( ... ) Nella predicazione, nella catechesi, sulla stampa ( ... )<br />

devono essere messi in luce il significato e l'importanza del ministero<br />

sacerdotale, facendo vedere che esso comporta pesanti responsabilità,<br />

ma allo stesso tempo anche gioie ineffabili.<br />

L'ABBAZIA DI FRATTOCCHIE (Roma) E L'ECUMENISMO<br />

L'abbazia cistercense di Frattocchie (Roma) sta diventando,<br />

silenziosamente, un importante centro di contatti ecumenici.<br />

La posizione stessa dell'abbazia alla periferia di Roma dalla<br />

parte dei Castelli Romani, ha offerto spesso l'occasione di accogliere<br />

nella foresteria del monastero numerosi membri di altre<br />

confessioni religiose e di scambiare con essi utilissimi dialoghi<br />

sulla preghiera, dialoghi che non cessano con la partenza degli<br />

ospiti, ma continuano, spesso e con tanti vantaggi spirituali,<br />

per via epistolare.<br />

Alla fine del mese di dicembre 1969 il rabbino Joél Orent<br />

di Boston, amico di Thomas Merton, fu ospite di Frattocchie in<br />

occasione di un suo viaggio ai campi di concentramento nazisti<br />

e in Israele. Il suo viaggio mirava a preparare una documentazione<br />

fotografica in favore della pace di cui egli si professa<br />

apostolo.<br />

Molti contatti ecumenici a Frattocchie sono stati favoriti<br />

dal dott. Bolshakoff. Nel luglio 1969 egli ha riunito nell'abbazia<br />

romana, sotto la presidenza del card. Tisserant. alcune personalità<br />

ortodosse e gli abati di Casamari e di San Nilo (abbazia<br />

greco-cattolica di Grottaferrata): nel convegno si discusse il<br />

modo di assicurare la continuità e lo sviluppo di questi contatti<br />

ecumenici sul piano della preghiera.<br />

TUTTI COLORO CHE, CATTOLICI O NO, SI RE-<br />

CANO A ROMA PER MOTIVI ECUMENICI POSSONO LI-<br />

BERAMENTE PRENDERE CONTATTO CON L'ABBAZIA<br />

D I FRA TTOCCHIE.<br />

- 187-

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